UN LAMPO D`EBANO CONTRO IL RAZZISMO

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UN LAMPO D`EBANO CONTRO IL RAZZISMO
[QUESTIONI DI FAMIGLIA]
DI MARCO RONCALLI
UN LAMPO D’EBANO CONTRO IL RAZZISMO
Parla Gloria, figlia del grande campione: «Era un
uomo di fede, per lui lo sport era onore e amicizia»
L
Qui sotto: Gloria Owens
neonata in braccio alla madre
Ruth. A destra: lo
scatto di Jesse Owens
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o chiamavano “lampo d’ebano”. E secondo un sondaggio mondiale è stato il
più grande sportivo del Ventesimo secolo. Di certo la sua partecipazione alle Olimpiadi del 1936 a Berlino, dove vinse quattro
medaglie d’oro (100 e 200 metri, staffetta
4x100 e salto in lungo), lo trasformò nel
simbolo stesso di quei Giochi. Un appuntamento che, nelle intenzioni di Adolf Hitler,
doveva far risaltare nell’Olympiastadion la superiorità della razza ariana, ma dove invece,
davanti a 100 mila persone, brillò la stella di
un nero di 23 anni: James Cleveland Owens,
chiamato Jesse dalle iniziali J.C. Occorrerà
attendere quasi mezzo secolo, fino alle
Olimpiadi di Los Angeles (1984), per vedere Carl Lewis ripetere
una simile impresa.
Owens era nato a
Oakville, in Alabama,
nel 1913, e a otto anni
s’era trasferito con la
famiglia a Cleveland,
nell’Ohio. Una storia, la sua, all’inizio
uguale a quella di
molti ragazzi neri cresciuti nel periodo della
Depressione. Tanti lavoretti umili per vivere
e studiare, ma con la passione per lo sport meno costoso: la corsa. Negli Usa, poi, perdurava
allora la segregazione razziale, e il ventenne
Jesse viveva fuori dal campus universitario, subendo le restrizioni degli altri afro-americani.
Ben presto, però, cominciò a farsi notare. Due
gli incontri determinanti: quello con Charles
Riley, suo preparatore sportivo, e quello con
Ruth, primo e unico amore di tutta la sua vita.
E arrivò anche “il giorno dei giorni” (come
scrisse nell’autobiografia) del quale si parlò anche oltreoceano. Il 25 maggio 1935, ai campionati del Middle West, reduce da un infortunio alla schiena, Jesse scende in pista all’ultimo istante ma eguaglia il record mondiale nei 100 metri, stabilisce quello nel salto in lungo (è il primo uomo a superare la
misura degli 8 metri), vince la gara dei 200
metri e quella dei 200 metri a ostacoli. Quel
che accadrà l’anno dopo alle Olimpiadi di Berlino l’abbiamo già ricordato: 4 medaglie d’oro
in un giorno. Aveva ai piedi un nuovissimo tipo di scarpe marcate Dassler che il patron della griffe aveva confezionato per lui in un cuoio
leggerissimo, quasi una seconda pelle.
Ma qui piuttosto bisognerebbe aggiungere
almeno un paio di note più importanti. La prima riguarda la leggenda su Hitler che rifiuta
di stringergli la mano dopo la vittoria, episodio tramandato da storici e giornalisti che non
considerarono mai le circostanze concrete. Secondo la versione dello stesso Owens, ma anche di testimoni come l’italiano Arturo Maffei
(recordman del salto in lungo a Berlino, morto nel 2006 a 97 anni), Hitler trovatosi innanzi a Owens, gli fece il saluto nazista a braccio teso proprio nel momento in cui Jesse
gli tendeva la mano per stringergliela; mentre quando il dittatore abbassò il braccio,
Owens alzò il suo alla fronte per un saluto stile
militare. Pochi istanti e Hitler passò oltre per
congratularsi con gli altri. Che poi Owens, come lo stesso Hitler, le congratulazioni non le
volesse, potrebbe essere pur vero.
La seconda nota riguarda invece l’amicizia
di Jesse con il tedesco Lutz Long, suo avversario nelle gare. Fu Long a suggerire a Owens,
nel suo ultimo salto di qualificazione, di anticipare la sua battuta facendogli così passare il
turno eliminatorio e conquistare l’oro. Non so씮
DUE RECORD DIVERSI
씰 Il record di quattro medaglie d’oro
nella stessa edizione delle Olimpiadi
(100, 200, 4x100 e salto in lungo) ha
resistito da Jesse Owens (Berlino 1936)
a Carl Lewis (Los Angeles 1984) quasi
mezzo secolo. Quando l’atleta nero
dell’Alabama detto “figlio del vento”
riuscì nell’impresa, il paragone col
grande predecessore fu inevitabile: chi
era il più forte? Difficile stabilirlo, ogni
atleta vale nella sua epoca, ma con una
differenza tra le due imprese: Lewis
gareggiò in casa, in un clima favorevole,
Owens nella Berlino nazista e di Hitler
che andò via indispettito per il successo
contro il campione ariano Long.
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“
”
Se non poteva esser
presente alle nostre
occasioni speciali,
mandava fiori da tutto
il mondo. Era il suo
linguaggio d’amore
씮
lo. A fine gara i due si abbracciarono, trottando poi sulla pista mano nella mano sotto
gli sguardi stupiti dei teorici della supremazia ariana. Sarebbero stati amici per sempre. Anche dopo la morte di Long in piena
guerra mondiale, a Cassino nel 1943, Owens
rintracciò la famiglia dell’amico e, secondo
una disposizione di Long, spiegò al figlio rimasto orfano due cose: l’importanza dell’amicizia e il valore dell’etica dello sport.
Chi è stato Jesse Owens, continua a raccontarcelo ora la figlia Gloria, nata nel 1932 a
Cleveland, studi all’Università dell’Ohio, master in Scienze dell’educazione a Chicago, oggi vicepresidente della fondazione che porta il
nome del padre: un’organizzazione no-profit
aperta a tutti che promuove lo sviluppo dei
giovani, creata da sua madre Ruth dopo la morte del
marito nel 1980 (il 31 marzo, a Tucson nell’Arizona,
quando Jesse, a 66 anni, fu
Mio padre non parlava
A destra: Owens fa il saluto
militare a Berlino 1936;
il suo nome inciso sul muro
dell’Olympiastadion;
il campione in una pausa
dei Giochi olimpici
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stroncato da un cancro ai
polmoni). Gloria, che ha
due figli adulti e risiede a
Chicago con il marito Malcolm M. Hemphill, riannoda per noi il filo dei ricordi.
Parte da lontano, Gloria.
«Avevamo dei momenti di
gioia estrema. Le gite alla piscina senza mai imparare a
nuotare, nonostante lui cercasse disperatamente di insegnarmelo. La mia prima
bicicletta e lui a farmela usare subito. L’attesa e l’emozione ogni volta che rientrava a casa dai suoi tanti
viaggi. Era sempre come
se fosse Natale, regali da
ogni luogo visitato. E i fiori da tutto il mondo se non poteva esser presente a occasioni speciali. Era il suo linguaggio
d’amore. Raccontava sempre le storie dei bambini incontrati: una bella lezione per capire le
diverse culture. Dopo la guerra, nonostante i
suoi successi, mio padre doveva guadagnarsi
nio. Le lettere che mio padre
mi ha scritto per esprimere la
sua felicità per la nascita dei
miei figli mi riempiono ancora
il cuore di una gioia immensa».
Molti ricordi belli…«Ne ho
anche di tristi. Come le innumerevoli volte in cui era così malato
da non poter respirare. Avrei voluto respirare
per lui. L’ultima volta che abbiamo lasciato
Chicago per andare a Phoenix, lui era su una
sedia a rotelle e mentre eravamo all’aeroporto salutava tutti con la mano con il suo solito modo da “ciao campione”. Lo salutavano
tutti e quando siamo arrivati al gate, si è alzato
dalla sedia a rotelle e ha camminato orgoglioso sulle sue gambe fino all’aereo. Solo Dio
può avergli dato la forza per farlo».
Chiedo a Gloria cosa sa dell’episodio con
Hitler a Berlino. «Ci sono state così tante interpretazioni della risposta di Hitler alle vittorie
di mio padre a Berlino... Sinceramente, non
mai di Hitler.
da vivere preparando squadre sportive e persino correndo contro i cavalli… E
io sempre a guardare baseball e pallacanestro: non mi
piacevano, ma meno ancora mi piaceva vedere mio
padre correre contro un cavallo e venir battuto ogni
volta. Lui non avrebbe voluto farlo ma era un lavoro
onesto e aveva una famiglia
da mantenere. Era attaccatissimo a noi, a me. Come dimenticare il meraviglioso discorso che fece quando mi
diplomai.... O quando mi accompagnò al ballo dell’ultimo anno fermandosi sulla
porta. O la sua tensione e la
felicità per la mia laurea. Diversa la tensione
quando, mentre stavo imparando a guidare,
sono andata a sbattere contro un idrante e contro la staccionata del vicino. E un altro genere di tensione quando abbiamo percorso insieme la navata della chiesa al mio matrimo-
rant’anni dopo, nel 1967, ha ricevuto la Medaglia della Libertà
dal presidente Ford, solo nel
1979 il presidente Carter l’ha insignito del Premio delle leggende viventi. Ed ero presente alla
Casa Bianca nel 1990 quando il
presidente Bush senior ha consegnato a mia madre la Medaglia d’oro del Congresso in onore di mio padre».
Nella vita di Jesse Owens ha un posto speciale l’amicizia con Long….«Eccome! E se io
non ho mai incontrato Lutz Long, ho però
avuto il piacere di incontrare alcuni suoi familiari a Berlino, su invito del Governo tedesco,
quando la strada che porta allo Stadio Olimpico è stata intitolata a mio padre. Sono persone
molto care. Mia figlia, Gina Hemphill, e la
nipote di Lutz Long hanno partecipato insieme a una manifestazione qualche anno
fa per onorare i loro nonni e la loro amicizia». Mi accorgo che stiamo parlando poco di
“
”
Mio padre era un uomo
religioso, lo ha
dimostrato. Dopo le
Olimpiadi, nessuna
pubblicità ma tanto
lavoro con i bambini
Diceva solo: «Sono andato in Germania per correre»
so come si sentisse mio padre in proposito.
Ho visto solo i filmati con le reazioni di Hitler
e a volte una fotografia vale migliaia di parole.
Che ci creda o no, nessuno parlava di Hitler
in casa nostra. Mio padre disse solo: “Sono
andato in Germania per correre e ho corso. Volevo rendere il
mio Paese, la mia famiglia e il
mio allenatore orgogliosi di me”.
Personalmente, credo che abbia
raggiunto il suo obiettivo. Ma è
stato un vero peccato che dopo il
grande successo alle Olimpiadi
mio padre sia dovuto ritornare in
un Paese dove in alcuni luoghi
non poteva nemmeno sedersi nelle prime file
sull’autobus».
Insomma più che Hitler, fu il presidente
americano dell’epoca, Franklin D. Roosevelt,
a snobbarlo. Forse perché in quel periodo elettorale era preoccupato della reazione degli Stati del Sud… O no? «Non ho mai sentito di
nessun riconoscimento da parte del presidente degli Stati Uniti. Ero una bambina, allora, e lui non ha mai più discusso di queste cose con noi quando siamo cresciuti. Solo qua-
sport e che in Owens c’è stato davvero ciò che
Gloria chiama una «sintonia fra la forza fisica e quella spirituale». Aggiunge: «Mio padre era un uomo religioso. Lo ha dimostrato
con le scelte della sua vita. Tornato dalle
Olimpiadi non si è lanciato in
campagne pubblicitarie lucrative. Anche il lavoro di allenatore
a Cleveland è stato solo il suo
primo passo verso una vita intera di lavoro con giovani svantaggiati che gli ha dato molte
soddisfazioni e di cui si parla
poco. È stato direttore del Chicago Boys Club, ha aiutato più di 150.000 giovani,
Commissario dello sport dello
Stato dell’Illinois ma anche ambasciatore americano degli
sport in India, a Singapore, in Malesia, nelle Filippine e in Costa d’Avorio.
Parlava e lavorava con i bambini più sfortunati. Li motivava e divenne per loro un
mezzo di contatto con il mondo esterno.
Ed era consapevole che si educa anche attraverso lo sport».
왎
In alto: Owens in una delle
ultime immagini. A sinistra:
il francobollo dedicato
alle sue imprese sportive
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