Dalla passione all`emozione estetica: il contributo di Du Bos

Transcript

Dalla passione all`emozione estetica: il contributo di Du Bos
Dalla passione all’emozione estetica:
il contributo di Du Bos
Paola Vincenzi
Tra le numerose tematiche trattate da Jean Baptiste Du Bos nelle sue Réflexions
critiques sur la poésie et sur la peinture, pubblicate per la prima volta nel 1719, una
delle più significative, anche per quanto riguarda i successivi sviluppi, è certamente
quella che assume la sfera dell’emozione come piano privilegiato su cui fondare i
meccanismi di ricezione del fenomeno artistico. Il punto di partenza fondamentale
dell’analisi dubosiana è dato dalla constatazione che esistono eventi, oggetti, particolari contingenze che toccano la nostra sfera sensibile ed emozionale e accendono
le nostre passioni, procurandoci piacere.
L’interesse intorno alle passioni è d’altra parte molto vivo nella riflessione filosofica seicentesca, anzi si può dire che trovare una “soluzione” alla gestione degli
stati passionali è, in quell’epoca, un problema di stretta competenza dei filosofi,
basti pensare ai contributi di Cartesio, Pascal, Malebranche o Leibniz1 .
1 In un’ottica cartesiana, la prima manifestazione di una retta ragione consiste nel dubitare dell’apparente evidenza delle idee dei sensi che, se accettate nella loro immediatezza, non possono
essere che fonte di confusione e d’inganno. Questa fiducia nell’elemento razionale conduce all’esigenza di misurare col metro della ragione anche tutto ciò che per sua natura non appartiene a una
dimensione analitica. Per mezzo delle sensazioni e delle passioni l’anima subisce l’influsso del corpo, ma tutto ciò che è legato alla res extensa è per Cartesio inessenziale alla res cogitans; ai moti
passionali egli riconosce comunque una positività e un’utilità, in quanto «l’effetto principale delle
passioni negli uomini, consiste nell’incitare e disporre l’anima a volere le cose a cui esse predispongono il corpo» (R. Descartes, Le passioni dell’anima, in Opere filosofiche, 4 voll., tr. it. di E. Garin e
M. Garin, a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1994, vol. IV, art. 40, p. 27).
Le passioni devono però essere sottoposte a un controllo, quasi una sorta di «educazione», che porterà «a rendersi talmente padroni delle passioni, a dirigerle con tale abilità, da far sì che esse cagionino
soltanto mali molto sopportabili, e perfino tali che sia sempre possibile volgerli in gioia» (ibid.,
art. 212, p. 121).
c 2005 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)
Copyright Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali.
Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte
e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o
riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su
reti di calcolatori) in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte di
ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi
parziali.
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
Si ha al contempo piena consapevolezza che l’ambito dell’estetico, del qualitativo, del sensibile, è parte essenziale della dimensione umana. A prevalere è
quindi l’idea che tutto ciò che attiene all’esperienza estetica, anche il mondo dell’arte, possa acquistare, in qualche modo, significato se sottoposto a un codice, a
una regola, a una misura. L’accademismo del Seicento francese si fonda proprio
sul presupposto che il passionale debba essere regolato. Regola e misura sono le
categorie dominanti del classicismo francese, anche se la loro interpretazione deve
tener conto di un contesto culturale e storico così complesso, basti pensare agli influssi del Barocco, che le sfumature valgono assai più delle rigide categorizzazioni.
Resta il fatto che l’arte e le elaborazioni teoriche del classicismo testimoniano questo amore per l’ordine e per la misura, per la chiarezza e la distinzione nelle forme
e nei contenuti delle sue produzioni2 . A prevalere nella cultura dell’epoca è quindi l’idea che un’arte ben organizzata sul piano della regola e della misura possa
svolgere una funzione di purificazione dalla violenza delle impressioni immediate
e possa quindi educare a un ordinato controllo dell’emotività.
L’abate Du Bos è certamente influenzato dal dibattito teorico sulle passioni e
sin dalle prime pagine delle Réflexions imposta il suo discorso mettendo a fuoco due dimensioni, che diventeranno sempre più importanti e alla fine decisive
nell’elaborazione della sua teoria della fruizione estetica, la dimensione emotivopassionale e quella del piacere, spesso a sua volta collegato al dolore. Ecco le
parole di Du Bos in proposito: «Constatiamo quotidianamente che i versi e i quadri provocano un piacere sensibile; ma ciò non rende meno difficile spiegare in
che cosa consista questo piacere che assomiglia spesso all’afflizione e i cui sintomi
talvolta sono uguali a quelli del più vivo dolore. L’arte della poesia e l’arte della
pittura non sono mai tanto apprezzate come quando riescono ad affliggerci»3 . L’eco di alcune considerazioni cartesiane è qui facilmente percepibile; anche Cartesio
attribuisce alle passioni una naturale positività, ragione per cui l’anima gradisce
essere sottoposta al loro influsso piuttosto che patirne l’assenza4 . La conclusione
2 Solo per fare qualche esempio, con l’Art poétique, pubblicata nel 1674, Boileau evidenzia la necessità, per l’artista autentico, di seguire quel buon senso che può dettargli le giuste regole tenendolo
lontano dagli eccessi di un’immaginazione troppo libera; la Conférence sur l’expression générale et
particulière, tenuta dal pittore Charles Le Brun a Parigi, all’Accademia Reale di Pittura e Scultura e
pubblicata postuma nel 1698, ricalca in modo quasi calligrafico, nella sua parte teorica, la dottrina
cartesiana delle passioni mentre, nella parte esemplificativa, riproduce sui volti disegnati gli effetti
dei moti passionali, a partire dalla conoscenza teorica della passione in questione. Il testo della conferenza, con le riproduzioni dei disegni di Le Brun, è stato ripubblicato con il titolo Le figure delle
passioni, Raffaello Cortina, Milano 1992, a cura di M. Giuffredi.
3 J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, a cura di M. Mazzocut-Mis e
P. Vincenzi, “Prefazione” di E. Franzini, cura delle fonti antiche di M. Gioseffi, Aesthetica Edizioni,
Palermo 2005, Parte I, p. 37.
4 L’unico vero pericolo, ci ricorda Cartesio, è costituito dall’eccesso. Egli afferma che le passioni
«per loro natura son tutte buone, e che ci resta solo da evitarne il cattivo uso e l’eccesso» (R. Descartes, op. cit., art. 211, p. 119). Le passioni rappresentano infatti il superamento del limite consentito,
lo straripare della dimensione sensibile e corporea su quella spirituale. Spetta allora alla ragione
sottoporre a controllo tutto ciò che può scivolare nello sregolato, spetta al filosofo “dirigere” le passioni, per mezzo di un metodo che non mira a sopprimerle bensì a renderle innocue, prive cioè di quel
2
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
è che anche le passioni più negative, se solo rappresentate e, perciò, prive di effettualità concreta sul soggetto che le percepisce, hanno una valenza emozionale che,
per il semplice fatto di accadere, è sentita come positiva. In particolare, all’art. 94
de Les passions de l’âme, si legge:
È press’a poco la stessa ragione per cui proviamo un naturale piacere a sentirci commuovere da ogni sorta di passioni, persino dalla tristezza e dall’odio,
quando queste passioni son cagionate soltanto dalle strane avventure che si
vedono rappresentate a teatro, o da altre cause del genere, che, non potendo nuocerci in alcun modo, sembrano toccare piacevolmente l’anima nostra.
Mentre la causa per cui generalmente il dolore produce la tristezza è che il
sentimento chiamato dolore proviene sempre da qualche azione tanto violenta da offendere i nervi; dimodoché, essendo designato dalla natura ad avvertire l’anima del pericolo a cui il corpo è esposto da quella azione, e della sua
debolezza nel non poter resistere, le rappresenta l’uno e l’altra come mali che
le riescono sempre sgradevoli, a meno che non siano causa di qualche bene
che essa valuta superiore.5
Fatto salvo il richiamo a Cartesio, dal confronto tra le due citazioni risulta evidente la differenza di tono tra l’una e l’altra e si intuisce già che l’itinerario seguito
da Du Bos si allontanerà da quello cartesiano: il livello di apprezzamento del fenomeno artistico è infatti per Du Bos direttamente proporzionale alla sua capacità
di procurare un’emozione, un piacere sensibile. A partire da questa considerazione
Du Bos sarà in grado di dare nuova dignità all’esperienza del piacere di chi si accosta a un’opera d’arte, un piacere che non si riduce al versante puramente sensistico,
ma che fonda una dimensione giudicativa e conoscitiva6 .
Prima di trattare l’emozione direttamente collegata all’evento artistico, Du Bos
si dedica alla descrizione, e a una possibile interpretazione, delle dinamiche psicofisiologiche dell’individuo alle prese con le passioni suscitate in occasione di eventi
reali, eventi che possono essere più o meno eclatanti o insoliti, ma che appartengono comunque alla sfera della realtà e non della finzione artistica. Le lotte dei
gladiatori nell’arena, le acrobazie e i volteggi dei funamboli, ma anche l’esecuzione di un supplizio sul patibolo, sono situazioni che procurano forti emozioni in chi
vi assiste, e nemmeno le conseguenze dolorose che alcune di queste situazioni possono provocare distolgono l’uomo dalla ricerca di tali turbamenti. D’altronde in
Du Bos è costante il riferimento alle tematiche lockiane dell’uneasiness e a quelle
della noia, stato di passività che affligge l’individuo e a cui si cerca di porre rimedio
dedicandosi ad attività manuali o intellettuali; ma quando l’uomo scopre l’intensità
potere che può destabilizzare il soggetto. Questa teoria cartesiana delle passioni, teoria fondativa a
sua volta di una “pratica” filosofica di messa a distanza degli elementi legati alla sfera del sensibile,
produce effetti importanti nel campo della riflessione estetica dell’epoca.
5 Ibid., art. 94, p. 58.
6 Senza addentrarci in un’analisi del sentimento come dimensione conoscitiva, ricordiamo che,
mentre nella prima parte delle Réflexions il fulcro del discorso è rappresentato dalle passioni, dagli
stati emozionali provocati dalle opere d’arte, solo nella seconda parte appare il sentimento il quale,
pur nella sua immediatezza, fonda un piano di elaborazione superiore, in quanto è funzione di un
giudizio.
3
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
delle passioni, qualsiasi altro modo di “tenersi occupato”, come dice Du Bos, gli
sembra inefficace; egli accetta quindi persino il dolore che spesso accompagna le
passioni, ma non rinuncia a viverle:
Sicuramente lo stato di agitazione in cui ci tengono le passioni, anche durante
la solitudine, è così vivo che, al confronto, ogni altra condizione che segue è
di languore. Così noi rincorriamo per istinto gli oggetti che possono eccitare
le nostre passioni, sebbene essi esercitino su di noi impressioni che spesso ci
costano notti inquiete e giornate infelici: ma in generale gli uomini soffrono
di più per una vita senza passioni che per la sofferenza suscitata dalle passioni
stesse.7
Gli uomini assistono quindi con intimo gusto anche a spettacoli tremendi non
perché malvagi o perché spinti da una qualche perversione, bensì perché mossi
dalla dinamica naturale del loro animo, perché sostanzialmente incapaci di attivare
emozionalmente per proprio conto la mente e quindi bisognosi di trarre dall’esterno
nutrimento alla loro fantasia. Ad accendere la scintilla della carica emozionale
contribuisce anche l’assistere ai supplizi del condannato a morte, ai tormenti inferti
sul patibolo, luogo a cui si accorre in massa per assistere al lugubre spettacolo
ch’esso da sempre propone.
Certo il gusto per l’orrido è più conseguenza della povertà e dei limiti della
mente che il risultato di un’abbondanza d’immaginazione; forse qui possiamo cogliere, di Locke, il concetto di limite e di condizionamento esterno della mente;
è plausibile, però, anche un riferimento a Cartesio nell’evidenziare la presenza di
una meccanica passionale che, in situazioni di sospensione reale del pericolo, ci
rende gradite anche idee dolorose.
Un altro elemento fondamentale consiste nel fatto che, per quanto truculenti,
solo gli spettacoli che posseggono qualcosa di insolito, di grandioso e stupefacente,
riescono a emozionare. In altri termini, non basta che uno spettacolo sia violento
e portatore di morte perché sia sufficiente a scatenare un’emozione, bensì occorre
che possieda anche qualche elemento di novità, affinché susciti un interesse:
Più i volteggi che un acrobata temerario fa sulla corda sono pericolosi, più la
maggior parte degli spettatori si fa attenta. Quando egli salta tra due spade
pronte a trafiggerlo, se nell’impeto del movimento il suo corpo si scosta dal
punto della traiettoria che deve descrivere, egli diventa degno di tutta la nostra
curiosità. Si mettano due bastoni al posto delle spade, l’acrobata faccia tendere la corda a due piedi di altezza su un prato, inutilmente eseguirà gli stessi
salti e gli stessi volteggi; nessuno si degnerà più di guardarlo; l’attenzione
dello spettatore cesserebbe assieme al pericolo.8
Du Bos dimostra di conoscere assai bene il mondo delle passioni e dà piena
rilevanza a tutte le accezioni del termine, sottolineando come la passione sia uno
stato d’animo perturbante, che giunge a volte a coincidere persino con la sofferenza
7
8
J.-B. Du Bos, op. cit., Parte I, sezione I, p. 40.
Ibid., Parte I, sezione II, p. 41.
4
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
fisica, ma che spesso è pure da intendersi come un vivo interesse rivolto a qualcosa;
per il momento egli sembra non voler specificare l’emozione estetica, ma piuttosto
mostrare la relazione tra l’uomo e un determinato tipo di eventi che si usa chiamare
artistici partendo dall’osservazione e dalla descrizione di eventi reali che toccano
la vita emotiva.
Il discorso sull’arte e sulla sua specificità sembra quasi nascere in veste di
provocazione, con la formulazione di una domanda che, come tutte le domande
retoriche, contiene già in sé i termini di una possibile risposta:
Quando le passioni reali e autentiche che procurano all’animo le sensazioni
più vive hanno conseguenze così dolorose, poiché i momenti felici di cui ci
fanno gioire sono seguiti da giornate così tristi, l’arte non potrebbe trovare la
maniera di separare le brutte conseguenze di molte passioni da ciò che esse
hanno di piacevole? L’arte non potrebbe creare, per così dire, esseri di una
nuova natura? Non potrebbe produrre oggetti che suscitino in noi passioni
artificiali capaci di tenerci occupati nel momento in cui le sentiamo e incapaci
di causare in seguito pene reali e autentiche afflizioni?9
La descrizione delle passioni artificiali è senza dubbio il nucleo da cui Du Bos
elabora la sua trattazione delle caratteristiche della dimensione artistica. L’arte
produce passioni “artificiali”, vale a dire prive di quelle conseguenze dolorose che
gli eventi reali producono nell’animo umano, imitando tali eventi e trasponendoli
così su un piano altro rispetto a quello della realtà:
I pittori e i poeti destano in noi passioni artificiali, offrendoci le imitazioni
degli oggetti che suscitano in noi passioni vere. Poiché l’impressione provocata da queste imitazioni è dello stesso tipo di quella che l’oggetto imitato
dal pittore o dal poeta causerebbe in noi; poiché l’impressione data dall’imitazione non differisce da quella provocata dall’oggetto imitato se non per il
fatto che è meno viva, essa deve destare nel nostro animo una passione che
assomiglia a quella che avrebbe potuto suscitare l’oggetto imitato. La copia
dell’oggetto deve, per così dire, ispirare in noi una copia della passione che
l’oggetto stesso avrebbe ingenerato. Ma, dato che l’impressione causata dall’imitazione non è tanto profonda come quella causata dall’oggetto, dato che
non è seria, non raggiungendo la ragione, per la quale in queste sensazioni
non c’è illusione, come avremo modo di spiegare più a lungo in seguito, infine, dato che l’impressione causata dall’imitazione colpisce vivacemente solo
l’anima sensitiva, essa svanisce subito.10
Emerge qui una prima e importante funzione dell’arte: ad essa è affidato il compito di farci vivere intense passioni, senza dover subire le conseguenze dolorose che
le vere passioni ci procurano. Si possono a questo punto evidenziare due elementi
fondamentali della teoria estetica dubosiana, il primo prettamente antropologico,
il secondo legato a un uso innovativo di un termine della tradizione. Per quanto
riguarda il primo punto, è risaputo come in Du Bos l’attenzione per l’individuo sia
9
10
Ibid., Parte I, sezione III, p. 44.
Ibid., Parte I, sezione III, pp. 44-45.
5
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
costante, e se le suggestioni lockiane lo conducono certamente a considerare con
qualche interesse l’irrequietudine e la continua tensione volta al soddisfacimento
dei bisogni come caratteristiche connaturate alla condizione umana, egli tende allo
stesso tempo quasi a preservare il soggetto, che può trovare nelle particolari situazioni date dall’arte una possibilità di provare emozioni e, contemporaneamente,
di avere un controllo su di esse11 . L’arte crea quindi un rapporto particolare con
l’uomo, rapporto caratterizzato dalla dimensione dell’artificio. Quando Du Bos
descrive con un esempio la dinamica di approccio all’evento teatrale, ci fornisce
elementi importanti per comprendere il meccanismo di fruizione dell’opera d’arte
in generale:
Ora, è vero che tutto ciò che vediamo a teatro concorre a emozionarci; ma
nulla provoca illusione, perché lì tutto è imitazione. Nulla vi appare, per così dire, se non come copia. Non andiamo a teatro con l’idea che vedremo
veramente Chimène e Rodrigue. Non giungiamo prevenuti come colui che,
convinto da un mago che vedrà uno spettro, entra nella caverna in cui esso
deve apparire. L’essere prevenuti dispone assai all’illusione, ma noi non lo
siamo a teatro. Il cartellone ci ha promesso solo un’imitazione o copie di
Chimène e di Fedra. Arriviamo a teatro predisposti a vedere ciò che vediamo e inoltre abbiamo continuamente sotto gli occhi centinaia di cose che di
momento in momento ci fanno ricordare il luogo in cui siamo e ciò che siamo. Lo spettatore conserva dunque il suo buon senso, malgrado la più viva
emozione. Ci si appassiona senza andare in delirio.12
Du Bos ci dice in sostanza che l’opera, per quanto vicina ai fatti che vuole
narrare, non può prefiggersi lo scopo di riprodurre gli eventi nella loro nuda oggettività. Il suo scopo è quello di creare una “scena” in cui determinate sequenze e
combinazioni di fatti, di passioni, di personaggi, danno vita a un racconto capace di
emozionare. Ma la condizione perché ciò avvenga è proprio che non ci siano i “fatti”, bensì la loro rappresentazione, ovvero che tutti siano perfettamente coscienti di
partecipare a un gioco artificiale in cui, chi vi assiste, assume con consapevolezza
il ruolo di spettatore, vale a dire di una figura che è assolutamente irrealistica rispetto a qualsiasi accadimento reale e che quindi assume una posizione artificiale,
nel senso di essere “complice” di una situazione del tutto immaginaria. Artificiale
è dunque la riproduzione dell’evento, artificiale il ruolo dello spettatore, artificiale
l’emozione che si crea. In altre parole, se assiste a un assassinio vero, a un naufragio, a un’esecuzione capitale, il ruolo dello spettatore non è “artificiale”, proprio
perché l’evento è reale. Invece una rappresentazione teatrale, ma anche un quadro
11
«Nel solco della tradizione agostiniana, Du Bos sviluppa il tema dell’esercizio della compassione, reso autonomo dalla sfera etica, considerandolo unicamente per il suo lato psico-fisiologico
connesso all’attività emotiva. Poiché ogni turbamento dell’anima, anche a prescindere dalla sua qualità, è fonte di piacere, ma solo a condizione, come già voleva Cartesio, che l’anima lo domini, le
emozioni che si provano di fronte a un’opera d’arte rispondono pienamente a questa esigenza e risultano quindi ‘senza inconvenienti’, cioè piacevoli» (M. Mazzocut-Mis, Il gonzo sublime. Dal Patetico
al kitsch, Mimesis, Milano 2005, p. 97).
12 J.-B. Du Bos, op. cit., Parte I, sezione XLIII, p. 173.
6
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
o la lettura di un poema, sono situazioni del tutto artificiali, perché possono esistere
solo con l’assunzione di un preciso ruolo da parte di chi vi assiste e tutto quello che
avviene appartiene all’ordine dell’immaginario assunto scientemente come piano
della realtà.
A queste considerazioni si aggiunga il fatto che il piacere “artificiale”, l’emozione estetica, non si esaurisce quando viene a mancare la componente della
sorpresa: le immagini dei quadri piacciono e affascinano nonostante si sappia che
sono solo colori applicati a una tela, così come le tragedie rappresentate sulla scena ci colpiscono, anche se siamo pienamente coscienti di assistere a una finzione;
anzi, gli avvenimenti da esse narrati continuano a colpirci anche se ci sono già noti.
In sintesi, se l’arte è un artificio che ha per oggetto la propria stessa artificialità, ne
deve conseguire che l’emozione che discende dalla partecipazione all’evento artistico non può essere, anch’essa, che perfettamente naturale, ovvero perfettamente
consanguinea alla naturale artificialità dell’universo in cui viene generata.
Du Bos ribadisce più volte che le produzioni poetiche o pittoriche ci permettono di accostarci a fatti, personaggi, immagini spesso di una forza dirompente, con
una carica emozionale che difficilmente potremmo controllare se avessimo a che
fare con eventi della realtà, piuttosto che con prodotti dell’artificio: «La strage degli
innocenti deve aver lasciato ricordi funesti nell’immaginazione di coloro che videro realmente i soldati sfrenati trucidare i bambini in braccio alle madri insanguinate. Il quadro di Le Brun, in cui vediamo l’imitazione di questo tragico evento, ci
commuove e c’intenerisce ma non lascia nella nostra mente alcun’idea spiacevole:
questo quadro muove la nostra compassione senza affliggerci veramente»13 .
Questa diversa intensità delle passioni create dall’arte è di una diversa qualità
rispetto a quelle reali. È una passionalità “come ci piace” e totalmente dominata da
noi, quindi qualcosa di veramente altro rispetto ai veri stati passionali, nei quali, appunto, siamo completamente travolti e resi impotenti dall’impatto emozionale che
subiamo. L’affermazione dubosiana secondo cui «il nostro animo domina sempre
le emozioni superficiali suscitate dai versi e dai quadri»14 risulterà fondamentale
per una definizione innovativa dell’oggetto arte e delle dinamiche di adesione e
comprensione dell’opera. Per Du Bos l’arte è, anche sotto il profilo delle emozioni che genera, il risultato di un’attività totalmente dominata dall’immaginazione
creativa e non dalla semplice riproduzione di qualcosa che esiste già15 .
In questo senso allora, e veniamo al secondo elemento più sopra accennato,
la capacità imitativa dell’arte è funzionale al suo potere di riprodurre in noi determinate emozioni le quali, sul piano della realtà, possono rivelare la loro carica
destabilizzante, mentre sul piano della finzione permettono un’esperienza che va
al di là del semplice apprezzamento dell’opera e che produce una consapevolezza
13
Ibid., Parte I, sezione III, p. 45.
Ibid., Parte I, sezione III, p. 46.
15 Se considerata dal punto di vista cartesiano, invece, la dimensione immaginativa appartiene
all’ambito del fisiologico ed è quindi estranea a qualsiasi processo di conoscenza, divenendo priva di
significato o persino dannosa se lasciata al caso e al disordine dell’improvvisazione, del momento,
dell’istinto.
14
7
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
delle proprie emozioni esente dal rischio di esserne sopraffatti. In diversi passi delle Réflexions Du Bos sostiene che l’emozione procurata dall’arte è più debole di
quella che ci è offerta direttamente dalla natura, ma questa debolezza non è segno
di incompiutezza e inferiorità della dimensione artistica, bensì sua caratteristica
costitutiva che le permette di produrre autonomamente determinati effetti sull’animo umano. Questa prerogativa dell’opera d’arte è paragonabile alla capacità degli
eventi naturali di commuovere e far vibrare di passione gli uomini: «Il cuore si
emoziona spontaneamente, con un moto che precede ogni riflessione, quando l’oggetto che gli viene presentato è realmente toccante, che sia un oggetto della natura
oppure un’imitazione artistica»16 . Certo, l’oggetto deve essere “realmente toccante”, deve avere quei connotati che lo rendono autenticamente coinvolgente, sia che
appartenga al piano della realtà sia che si tratti di un’opera d’arte17 . La capacità
imitativa dell’arte nei confronti della natura non coincide però con la fedele replica
e con la creazione di una copia esatta dell’oggetto naturale. L’imitazione artistica
è semmai per Du Bos la capacità dell’opera di riprodurre con un artificio quell’emozione che spontaneamente la natura produce in noi. L’arte produce effetti
analoghi a quelli prodotti dalla natura o, il che è lo stesso, dalla vita; è artista colui
che, con i propri mezzi e materiali, riesce a riprodurre con intensità quegli aspetti
che nella realtà colpiscono la nostra sfera emozionale. L’artista agisce dunque in
una dimensione analoga a quella in cui agisce la natura. Il suo imitare la natura
equivale allora a immaginare mezzi espressivi che siano una combinazione altrettanto sorprendente, sul lato emozionale, di elementi sensoriali quale avviene nel
gioco delle rappresentazioni naturali. Ogni autentica opera d’arte, al di là delle
modalità di rappresentazione, è espressione di una dimensione passionale, emotiva, sentimentale18 . Il piacere sensibile provato di fronte all’opera è da Du Bos
definito puro poiché privo di tutti gli elementi turbativi che derivano da una situazione reale particolarmente impressionante; questo piacere può essere considerato
conseguenza di un’attivazione della facoltà immaginativa, fattore fondamentale sia
della capacità creativa sia della ricezione del fatto artistico.
«È molto raro trovare uomini che abbiano nello stesso tempo il cuore tanto sensibile e la mente tanto debole; supposto che ce ne siano realmente, il loro modesto
numero non merita che si faccia un’eccezione a questa regola generale: il nostro
16
J.-B. Du Bos, op. cit., Parte II, sezione XXII, p. 296.
«Essendo poi l’imitazione per sua natura più debole dell’originale, sarà necessario che gli oggetti imitati siano particolarmente drammatici. Così in Du Bos la pittura di paesaggio verrà esclusa.
Che emozione può procurare la rappresentazione di un paesaggio che già in realtà non suscita nessuna
emozione? Esso non può che annoiarci» (M. Mazzocut-Mis, op. cit., pp. 98-99).
18 L’espressione come categoria estetica sarà introdotta da Batteux per dare più esatta connotazione
ad arti come la musica o la danza, che non possono essere definite mimetiche, poiché non riproducono
delle oggettualità bensì le emozioni o i sentimenti insiti nell’animo umano o le pure forze della
natura. Ma già in Du Bos la dimensione espressiva è volta a dare nuova dignità e significazione
alla sfera passionale e con essa all’intero campo del sensibile, al punto che «La passione può essere
condotta, come accade in Diderot, in Batteux e ancor prima in Du Bos, sul piano della espressione,
cioè di un’immaginazione creativa e gestuale sia nelle dimensioni produttive sia in quelle estetiche
della ricezione» (E. Franzini, Filosofia dei sentimenti, Mondadori, Milano 1997, p. 117).
17
8
ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
animo domina sempre le emozioni superficiali suscitate dai versi e dai quadri»19 .
Nell’affermare che il nostro animo domina le emozioni prodotte dall’arte, ecco
dunque che Du Bos ci dà due precise indicazioni: la prima è che godere di un’opera d’arte implica l’aver sviluppato una sensibilità particolare, quella che proviene
dalla capacità di apprezzare i giochi e gli stimoli dell’immaginazione; la seconda
indicazione riguarda il fatto che l’arte produce eventi emozionali superficiali – per
usare le parole di Du Bos – ovvero diversi per natura, ma non per grado, da quelli
prodotti dalla realtà. L’evento artistico mette in gioco emozioni che sono prodotte
dalla finzione, ossia dalla capacità di giocare coscientemente con l’immaginazione.
19
J.-B. Du Bos, op. cit., Parte I, sezione III, p. 46.
9