Dalla passione all`emozione estetica: il contributo di Du Bos
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Dalla passione all`emozione estetica: il contributo di Du Bos
Dalla passione all’emozione estetica: il contributo di Du Bos Paola Vincenzi Tra le numerose tematiche trattate da Jean Baptiste Du Bos nelle sue Réflexions critiques sur la poésie et sur la peinture, pubblicate per la prima volta nel 1719, una delle più significative, anche per quanto riguarda i successivi sviluppi, è certamente quella che assume la sfera dell’emozione come piano privilegiato su cui fondare i meccanismi di ricezione del fenomeno artistico. Il punto di partenza fondamentale dell’analisi dubosiana è dato dalla constatazione che esistono eventi, oggetti, particolari contingenze che toccano la nostra sfera sensibile ed emozionale e accendono le nostre passioni, procurandoci piacere. L’interesse intorno alle passioni è d’altra parte molto vivo nella riflessione filosofica seicentesca, anzi si può dire che trovare una “soluzione” alla gestione degli stati passionali è, in quell’epoca, un problema di stretta competenza dei filosofi, basti pensare ai contributi di Cartesio, Pascal, Malebranche o Leibniz1 . 1 In un’ottica cartesiana, la prima manifestazione di una retta ragione consiste nel dubitare dell’apparente evidenza delle idee dei sensi che, se accettate nella loro immediatezza, non possono essere che fonte di confusione e d’inganno. Questa fiducia nell’elemento razionale conduce all’esigenza di misurare col metro della ragione anche tutto ciò che per sua natura non appartiene a una dimensione analitica. Per mezzo delle sensazioni e delle passioni l’anima subisce l’influsso del corpo, ma tutto ciò che è legato alla res extensa è per Cartesio inessenziale alla res cogitans; ai moti passionali egli riconosce comunque una positività e un’utilità, in quanto «l’effetto principale delle passioni negli uomini, consiste nell’incitare e disporre l’anima a volere le cose a cui esse predispongono il corpo» (R. Descartes, Le passioni dell’anima, in Opere filosofiche, 4 voll., tr. it. di E. Garin e M. Garin, a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1994, vol. IV, art. 40, p. 27). Le passioni devono però essere sottoposte a un controllo, quasi una sorta di «educazione», che porterà «a rendersi talmente padroni delle passioni, a dirigerle con tale abilità, da far sì che esse cagionino soltanto mali molto sopportabili, e perfino tali che sia sempre possibile volgerli in gioia» (ibid., art. 212, p. 121). c 2005 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera) Copyright Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. 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Regola e misura sono le categorie dominanti del classicismo francese, anche se la loro interpretazione deve tener conto di un contesto culturale e storico così complesso, basti pensare agli influssi del Barocco, che le sfumature valgono assai più delle rigide categorizzazioni. Resta il fatto che l’arte e le elaborazioni teoriche del classicismo testimoniano questo amore per l’ordine e per la misura, per la chiarezza e la distinzione nelle forme e nei contenuti delle sue produzioni2 . A prevalere nella cultura dell’epoca è quindi l’idea che un’arte ben organizzata sul piano della regola e della misura possa svolgere una funzione di purificazione dalla violenza delle impressioni immediate e possa quindi educare a un ordinato controllo dell’emotività. L’abate Du Bos è certamente influenzato dal dibattito teorico sulle passioni e sin dalle prime pagine delle Réflexions imposta il suo discorso mettendo a fuoco due dimensioni, che diventeranno sempre più importanti e alla fine decisive nell’elaborazione della sua teoria della fruizione estetica, la dimensione emotivopassionale e quella del piacere, spesso a sua volta collegato al dolore. Ecco le parole di Du Bos in proposito: «Constatiamo quotidianamente che i versi e i quadri provocano un piacere sensibile; ma ciò non rende meno difficile spiegare in che cosa consista questo piacere che assomiglia spesso all’afflizione e i cui sintomi talvolta sono uguali a quelli del più vivo dolore. L’arte della poesia e l’arte della pittura non sono mai tanto apprezzate come quando riescono ad affliggerci»3 . L’eco di alcune considerazioni cartesiane è qui facilmente percepibile; anche Cartesio attribuisce alle passioni una naturale positività, ragione per cui l’anima gradisce essere sottoposta al loro influsso piuttosto che patirne l’assenza4 . La conclusione 2 Solo per fare qualche esempio, con l’Art poétique, pubblicata nel 1674, Boileau evidenzia la necessità, per l’artista autentico, di seguire quel buon senso che può dettargli le giuste regole tenendolo lontano dagli eccessi di un’immaginazione troppo libera; la Conférence sur l’expression générale et particulière, tenuta dal pittore Charles Le Brun a Parigi, all’Accademia Reale di Pittura e Scultura e pubblicata postuma nel 1698, ricalca in modo quasi calligrafico, nella sua parte teorica, la dottrina cartesiana delle passioni mentre, nella parte esemplificativa, riproduce sui volti disegnati gli effetti dei moti passionali, a partire dalla conoscenza teorica della passione in questione. Il testo della conferenza, con le riproduzioni dei disegni di Le Brun, è stato ripubblicato con il titolo Le figure delle passioni, Raffaello Cortina, Milano 1992, a cura di M. Giuffredi. 3 J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, a cura di M. Mazzocut-Mis e P. Vincenzi, “Prefazione” di E. Franzini, cura delle fonti antiche di M. Gioseffi, Aesthetica Edizioni, Palermo 2005, Parte I, p. 37. 4 L’unico vero pericolo, ci ricorda Cartesio, è costituito dall’eccesso. Egli afferma che le passioni «per loro natura son tutte buone, e che ci resta solo da evitarne il cattivo uso e l’eccesso» (R. Descartes, op. cit., art. 211, p. 119). Le passioni rappresentano infatti il superamento del limite consentito, lo straripare della dimensione sensibile e corporea su quella spirituale. Spetta allora alla ragione sottoporre a controllo tutto ciò che può scivolare nello sregolato, spetta al filosofo “dirigere” le passioni, per mezzo di un metodo che non mira a sopprimerle bensì a renderle innocue, prive cioè di quel 2 ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura è che anche le passioni più negative, se solo rappresentate e, perciò, prive di effettualità concreta sul soggetto che le percepisce, hanno una valenza emozionale che, per il semplice fatto di accadere, è sentita come positiva. In particolare, all’art. 94 de Les passions de l’âme, si legge: È press’a poco la stessa ragione per cui proviamo un naturale piacere a sentirci commuovere da ogni sorta di passioni, persino dalla tristezza e dall’odio, quando queste passioni son cagionate soltanto dalle strane avventure che si vedono rappresentate a teatro, o da altre cause del genere, che, non potendo nuocerci in alcun modo, sembrano toccare piacevolmente l’anima nostra. Mentre la causa per cui generalmente il dolore produce la tristezza è che il sentimento chiamato dolore proviene sempre da qualche azione tanto violenta da offendere i nervi; dimodoché, essendo designato dalla natura ad avvertire l’anima del pericolo a cui il corpo è esposto da quella azione, e della sua debolezza nel non poter resistere, le rappresenta l’uno e l’altra come mali che le riescono sempre sgradevoli, a meno che non siano causa di qualche bene che essa valuta superiore.5 Fatto salvo il richiamo a Cartesio, dal confronto tra le due citazioni risulta evidente la differenza di tono tra l’una e l’altra e si intuisce già che l’itinerario seguito da Du Bos si allontanerà da quello cartesiano: il livello di apprezzamento del fenomeno artistico è infatti per Du Bos direttamente proporzionale alla sua capacità di procurare un’emozione, un piacere sensibile. A partire da questa considerazione Du Bos sarà in grado di dare nuova dignità all’esperienza del piacere di chi si accosta a un’opera d’arte, un piacere che non si riduce al versante puramente sensistico, ma che fonda una dimensione giudicativa e conoscitiva6 . Prima di trattare l’emozione direttamente collegata all’evento artistico, Du Bos si dedica alla descrizione, e a una possibile interpretazione, delle dinamiche psicofisiologiche dell’individuo alle prese con le passioni suscitate in occasione di eventi reali, eventi che possono essere più o meno eclatanti o insoliti, ma che appartengono comunque alla sfera della realtà e non della finzione artistica. Le lotte dei gladiatori nell’arena, le acrobazie e i volteggi dei funamboli, ma anche l’esecuzione di un supplizio sul patibolo, sono situazioni che procurano forti emozioni in chi vi assiste, e nemmeno le conseguenze dolorose che alcune di queste situazioni possono provocare distolgono l’uomo dalla ricerca di tali turbamenti. D’altronde in Du Bos è costante il riferimento alle tematiche lockiane dell’uneasiness e a quelle della noia, stato di passività che affligge l’individuo e a cui si cerca di porre rimedio dedicandosi ad attività manuali o intellettuali; ma quando l’uomo scopre l’intensità potere che può destabilizzare il soggetto. Questa teoria cartesiana delle passioni, teoria fondativa a sua volta di una “pratica” filosofica di messa a distanza degli elementi legati alla sfera del sensibile, produce effetti importanti nel campo della riflessione estetica dell’epoca. 5 Ibid., art. 94, p. 58. 6 Senza addentrarci in un’analisi del sentimento come dimensione conoscitiva, ricordiamo che, mentre nella prima parte delle Réflexions il fulcro del discorso è rappresentato dalle passioni, dagli stati emozionali provocati dalle opere d’arte, solo nella seconda parte appare il sentimento il quale, pur nella sua immediatezza, fonda un piano di elaborazione superiore, in quanto è funzione di un giudizio. 3 ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura delle passioni, qualsiasi altro modo di “tenersi occupato”, come dice Du Bos, gli sembra inefficace; egli accetta quindi persino il dolore che spesso accompagna le passioni, ma non rinuncia a viverle: Sicuramente lo stato di agitazione in cui ci tengono le passioni, anche durante la solitudine, è così vivo che, al confronto, ogni altra condizione che segue è di languore. Così noi rincorriamo per istinto gli oggetti che possono eccitare le nostre passioni, sebbene essi esercitino su di noi impressioni che spesso ci costano notti inquiete e giornate infelici: ma in generale gli uomini soffrono di più per una vita senza passioni che per la sofferenza suscitata dalle passioni stesse.7 Gli uomini assistono quindi con intimo gusto anche a spettacoli tremendi non perché malvagi o perché spinti da una qualche perversione, bensì perché mossi dalla dinamica naturale del loro animo, perché sostanzialmente incapaci di attivare emozionalmente per proprio conto la mente e quindi bisognosi di trarre dall’esterno nutrimento alla loro fantasia. Ad accendere la scintilla della carica emozionale contribuisce anche l’assistere ai supplizi del condannato a morte, ai tormenti inferti sul patibolo, luogo a cui si accorre in massa per assistere al lugubre spettacolo ch’esso da sempre propone. Certo il gusto per l’orrido è più conseguenza della povertà e dei limiti della mente che il risultato di un’abbondanza d’immaginazione; forse qui possiamo cogliere, di Locke, il concetto di limite e di condizionamento esterno della mente; è plausibile, però, anche un riferimento a Cartesio nell’evidenziare la presenza di una meccanica passionale che, in situazioni di sospensione reale del pericolo, ci rende gradite anche idee dolorose. Un altro elemento fondamentale consiste nel fatto che, per quanto truculenti, solo gli spettacoli che posseggono qualcosa di insolito, di grandioso e stupefacente, riescono a emozionare. In altri termini, non basta che uno spettacolo sia violento e portatore di morte perché sia sufficiente a scatenare un’emozione, bensì occorre che possieda anche qualche elemento di novità, affinché susciti un interesse: Più i volteggi che un acrobata temerario fa sulla corda sono pericolosi, più la maggior parte degli spettatori si fa attenta. Quando egli salta tra due spade pronte a trafiggerlo, se nell’impeto del movimento il suo corpo si scosta dal punto della traiettoria che deve descrivere, egli diventa degno di tutta la nostra curiosità. Si mettano due bastoni al posto delle spade, l’acrobata faccia tendere la corda a due piedi di altezza su un prato, inutilmente eseguirà gli stessi salti e gli stessi volteggi; nessuno si degnerà più di guardarlo; l’attenzione dello spettatore cesserebbe assieme al pericolo.8 Du Bos dimostra di conoscere assai bene il mondo delle passioni e dà piena rilevanza a tutte le accezioni del termine, sottolineando come la passione sia uno stato d’animo perturbante, che giunge a volte a coincidere persino con la sofferenza 7 8 J.-B. Du Bos, op. cit., Parte I, sezione I, p. 40. Ibid., Parte I, sezione II, p. 41. 4 ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura fisica, ma che spesso è pure da intendersi come un vivo interesse rivolto a qualcosa; per il momento egli sembra non voler specificare l’emozione estetica, ma piuttosto mostrare la relazione tra l’uomo e un determinato tipo di eventi che si usa chiamare artistici partendo dall’osservazione e dalla descrizione di eventi reali che toccano la vita emotiva. Il discorso sull’arte e sulla sua specificità sembra quasi nascere in veste di provocazione, con la formulazione di una domanda che, come tutte le domande retoriche, contiene già in sé i termini di una possibile risposta: Quando le passioni reali e autentiche che procurano all’animo le sensazioni più vive hanno conseguenze così dolorose, poiché i momenti felici di cui ci fanno gioire sono seguiti da giornate così tristi, l’arte non potrebbe trovare la maniera di separare le brutte conseguenze di molte passioni da ciò che esse hanno di piacevole? L’arte non potrebbe creare, per così dire, esseri di una nuova natura? Non potrebbe produrre oggetti che suscitino in noi passioni artificiali capaci di tenerci occupati nel momento in cui le sentiamo e incapaci di causare in seguito pene reali e autentiche afflizioni?9 La descrizione delle passioni artificiali è senza dubbio il nucleo da cui Du Bos elabora la sua trattazione delle caratteristiche della dimensione artistica. L’arte produce passioni “artificiali”, vale a dire prive di quelle conseguenze dolorose che gli eventi reali producono nell’animo umano, imitando tali eventi e trasponendoli così su un piano altro rispetto a quello della realtà: I pittori e i poeti destano in noi passioni artificiali, offrendoci le imitazioni degli oggetti che suscitano in noi passioni vere. Poiché l’impressione provocata da queste imitazioni è dello stesso tipo di quella che l’oggetto imitato dal pittore o dal poeta causerebbe in noi; poiché l’impressione data dall’imitazione non differisce da quella provocata dall’oggetto imitato se non per il fatto che è meno viva, essa deve destare nel nostro animo una passione che assomiglia a quella che avrebbe potuto suscitare l’oggetto imitato. La copia dell’oggetto deve, per così dire, ispirare in noi una copia della passione che l’oggetto stesso avrebbe ingenerato. Ma, dato che l’impressione causata dall’imitazione non è tanto profonda come quella causata dall’oggetto, dato che non è seria, non raggiungendo la ragione, per la quale in queste sensazioni non c’è illusione, come avremo modo di spiegare più a lungo in seguito, infine, dato che l’impressione causata dall’imitazione colpisce vivacemente solo l’anima sensitiva, essa svanisce subito.10 Emerge qui una prima e importante funzione dell’arte: ad essa è affidato il compito di farci vivere intense passioni, senza dover subire le conseguenze dolorose che le vere passioni ci procurano. Si possono a questo punto evidenziare due elementi fondamentali della teoria estetica dubosiana, il primo prettamente antropologico, il secondo legato a un uso innovativo di un termine della tradizione. Per quanto riguarda il primo punto, è risaputo come in Du Bos l’attenzione per l’individuo sia 9 10 Ibid., Parte I, sezione III, p. 44. Ibid., Parte I, sezione III, pp. 44-45. 5 ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura costante, e se le suggestioni lockiane lo conducono certamente a considerare con qualche interesse l’irrequietudine e la continua tensione volta al soddisfacimento dei bisogni come caratteristiche connaturate alla condizione umana, egli tende allo stesso tempo quasi a preservare il soggetto, che può trovare nelle particolari situazioni date dall’arte una possibilità di provare emozioni e, contemporaneamente, di avere un controllo su di esse11 . L’arte crea quindi un rapporto particolare con l’uomo, rapporto caratterizzato dalla dimensione dell’artificio. Quando Du Bos descrive con un esempio la dinamica di approccio all’evento teatrale, ci fornisce elementi importanti per comprendere il meccanismo di fruizione dell’opera d’arte in generale: Ora, è vero che tutto ciò che vediamo a teatro concorre a emozionarci; ma nulla provoca illusione, perché lì tutto è imitazione. Nulla vi appare, per così dire, se non come copia. Non andiamo a teatro con l’idea che vedremo veramente Chimène e Rodrigue. Non giungiamo prevenuti come colui che, convinto da un mago che vedrà uno spettro, entra nella caverna in cui esso deve apparire. L’essere prevenuti dispone assai all’illusione, ma noi non lo siamo a teatro. Il cartellone ci ha promesso solo un’imitazione o copie di Chimène e di Fedra. Arriviamo a teatro predisposti a vedere ciò che vediamo e inoltre abbiamo continuamente sotto gli occhi centinaia di cose che di momento in momento ci fanno ricordare il luogo in cui siamo e ciò che siamo. Lo spettatore conserva dunque il suo buon senso, malgrado la più viva emozione. Ci si appassiona senza andare in delirio.12 Du Bos ci dice in sostanza che l’opera, per quanto vicina ai fatti che vuole narrare, non può prefiggersi lo scopo di riprodurre gli eventi nella loro nuda oggettività. Il suo scopo è quello di creare una “scena” in cui determinate sequenze e combinazioni di fatti, di passioni, di personaggi, danno vita a un racconto capace di emozionare. Ma la condizione perché ciò avvenga è proprio che non ci siano i “fatti”, bensì la loro rappresentazione, ovvero che tutti siano perfettamente coscienti di partecipare a un gioco artificiale in cui, chi vi assiste, assume con consapevolezza il ruolo di spettatore, vale a dire di una figura che è assolutamente irrealistica rispetto a qualsiasi accadimento reale e che quindi assume una posizione artificiale, nel senso di essere “complice” di una situazione del tutto immaginaria. Artificiale è dunque la riproduzione dell’evento, artificiale il ruolo dello spettatore, artificiale l’emozione che si crea. In altre parole, se assiste a un assassinio vero, a un naufragio, a un’esecuzione capitale, il ruolo dello spettatore non è “artificiale”, proprio perché l’evento è reale. Invece una rappresentazione teatrale, ma anche un quadro 11 «Nel solco della tradizione agostiniana, Du Bos sviluppa il tema dell’esercizio della compassione, reso autonomo dalla sfera etica, considerandolo unicamente per il suo lato psico-fisiologico connesso all’attività emotiva. Poiché ogni turbamento dell’anima, anche a prescindere dalla sua qualità, è fonte di piacere, ma solo a condizione, come già voleva Cartesio, che l’anima lo domini, le emozioni che si provano di fronte a un’opera d’arte rispondono pienamente a questa esigenza e risultano quindi ‘senza inconvenienti’, cioè piacevoli» (M. Mazzocut-Mis, Il gonzo sublime. Dal Patetico al kitsch, Mimesis, Milano 2005, p. 97). 12 J.-B. Du Bos, op. cit., Parte I, sezione XLIII, p. 173. 6 ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura o la lettura di un poema, sono situazioni del tutto artificiali, perché possono esistere solo con l’assunzione di un preciso ruolo da parte di chi vi assiste e tutto quello che avviene appartiene all’ordine dell’immaginario assunto scientemente come piano della realtà. A queste considerazioni si aggiunga il fatto che il piacere “artificiale”, l’emozione estetica, non si esaurisce quando viene a mancare la componente della sorpresa: le immagini dei quadri piacciono e affascinano nonostante si sappia che sono solo colori applicati a una tela, così come le tragedie rappresentate sulla scena ci colpiscono, anche se siamo pienamente coscienti di assistere a una finzione; anzi, gli avvenimenti da esse narrati continuano a colpirci anche se ci sono già noti. In sintesi, se l’arte è un artificio che ha per oggetto la propria stessa artificialità, ne deve conseguire che l’emozione che discende dalla partecipazione all’evento artistico non può essere, anch’essa, che perfettamente naturale, ovvero perfettamente consanguinea alla naturale artificialità dell’universo in cui viene generata. Du Bos ribadisce più volte che le produzioni poetiche o pittoriche ci permettono di accostarci a fatti, personaggi, immagini spesso di una forza dirompente, con una carica emozionale che difficilmente potremmo controllare se avessimo a che fare con eventi della realtà, piuttosto che con prodotti dell’artificio: «La strage degli innocenti deve aver lasciato ricordi funesti nell’immaginazione di coloro che videro realmente i soldati sfrenati trucidare i bambini in braccio alle madri insanguinate. Il quadro di Le Brun, in cui vediamo l’imitazione di questo tragico evento, ci commuove e c’intenerisce ma non lascia nella nostra mente alcun’idea spiacevole: questo quadro muove la nostra compassione senza affliggerci veramente»13 . Questa diversa intensità delle passioni create dall’arte è di una diversa qualità rispetto a quelle reali. È una passionalità “come ci piace” e totalmente dominata da noi, quindi qualcosa di veramente altro rispetto ai veri stati passionali, nei quali, appunto, siamo completamente travolti e resi impotenti dall’impatto emozionale che subiamo. L’affermazione dubosiana secondo cui «il nostro animo domina sempre le emozioni superficiali suscitate dai versi e dai quadri»14 risulterà fondamentale per una definizione innovativa dell’oggetto arte e delle dinamiche di adesione e comprensione dell’opera. Per Du Bos l’arte è, anche sotto il profilo delle emozioni che genera, il risultato di un’attività totalmente dominata dall’immaginazione creativa e non dalla semplice riproduzione di qualcosa che esiste già15 . In questo senso allora, e veniamo al secondo elemento più sopra accennato, la capacità imitativa dell’arte è funzionale al suo potere di riprodurre in noi determinate emozioni le quali, sul piano della realtà, possono rivelare la loro carica destabilizzante, mentre sul piano della finzione permettono un’esperienza che va al di là del semplice apprezzamento dell’opera e che produce una consapevolezza 13 Ibid., Parte I, sezione III, p. 45. Ibid., Parte I, sezione III, p. 46. 15 Se considerata dal punto di vista cartesiano, invece, la dimensione immaginativa appartiene all’ambito del fisiologico ed è quindi estranea a qualsiasi processo di conoscenza, divenendo priva di significato o persino dannosa se lasciata al caso e al disordine dell’improvvisazione, del momento, dell’istinto. 14 7 ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura delle proprie emozioni esente dal rischio di esserne sopraffatti. In diversi passi delle Réflexions Du Bos sostiene che l’emozione procurata dall’arte è più debole di quella che ci è offerta direttamente dalla natura, ma questa debolezza non è segno di incompiutezza e inferiorità della dimensione artistica, bensì sua caratteristica costitutiva che le permette di produrre autonomamente determinati effetti sull’animo umano. Questa prerogativa dell’opera d’arte è paragonabile alla capacità degli eventi naturali di commuovere e far vibrare di passione gli uomini: «Il cuore si emoziona spontaneamente, con un moto che precede ogni riflessione, quando l’oggetto che gli viene presentato è realmente toccante, che sia un oggetto della natura oppure un’imitazione artistica»16 . Certo, l’oggetto deve essere “realmente toccante”, deve avere quei connotati che lo rendono autenticamente coinvolgente, sia che appartenga al piano della realtà sia che si tratti di un’opera d’arte17 . La capacità imitativa dell’arte nei confronti della natura non coincide però con la fedele replica e con la creazione di una copia esatta dell’oggetto naturale. L’imitazione artistica è semmai per Du Bos la capacità dell’opera di riprodurre con un artificio quell’emozione che spontaneamente la natura produce in noi. L’arte produce effetti analoghi a quelli prodotti dalla natura o, il che è lo stesso, dalla vita; è artista colui che, con i propri mezzi e materiali, riesce a riprodurre con intensità quegli aspetti che nella realtà colpiscono la nostra sfera emozionale. L’artista agisce dunque in una dimensione analoga a quella in cui agisce la natura. Il suo imitare la natura equivale allora a immaginare mezzi espressivi che siano una combinazione altrettanto sorprendente, sul lato emozionale, di elementi sensoriali quale avviene nel gioco delle rappresentazioni naturali. Ogni autentica opera d’arte, al di là delle modalità di rappresentazione, è espressione di una dimensione passionale, emotiva, sentimentale18 . Il piacere sensibile provato di fronte all’opera è da Du Bos definito puro poiché privo di tutti gli elementi turbativi che derivano da una situazione reale particolarmente impressionante; questo piacere può essere considerato conseguenza di un’attivazione della facoltà immaginativa, fattore fondamentale sia della capacità creativa sia della ricezione del fatto artistico. «È molto raro trovare uomini che abbiano nello stesso tempo il cuore tanto sensibile e la mente tanto debole; supposto che ce ne siano realmente, il loro modesto numero non merita che si faccia un’eccezione a questa regola generale: il nostro 16 J.-B. Du Bos, op. cit., Parte II, sezione XXII, p. 296. «Essendo poi l’imitazione per sua natura più debole dell’originale, sarà necessario che gli oggetti imitati siano particolarmente drammatici. Così in Du Bos la pittura di paesaggio verrà esclusa. Che emozione può procurare la rappresentazione di un paesaggio che già in realtà non suscita nessuna emozione? Esso non può che annoiarci» (M. Mazzocut-Mis, op. cit., pp. 98-99). 18 L’espressione come categoria estetica sarà introdotta da Batteux per dare più esatta connotazione ad arti come la musica o la danza, che non possono essere definite mimetiche, poiché non riproducono delle oggettualità bensì le emozioni o i sentimenti insiti nell’animo umano o le pure forze della natura. Ma già in Du Bos la dimensione espressiva è volta a dare nuova dignità e significazione alla sfera passionale e con essa all’intero campo del sensibile, al punto che «La passione può essere condotta, come accade in Diderot, in Batteux e ancor prima in Du Bos, sul piano della espressione, cioè di un’immaginazione creativa e gestuale sia nelle dimensioni produttive sia in quelle estetiche della ricezione» (E. Franzini, Filosofia dei sentimenti, Mondadori, Milano 1997, p. 117). 17 8 ITIN ER A – R ivista di F ilosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura animo domina sempre le emozioni superficiali suscitate dai versi e dai quadri»19 . Nell’affermare che il nostro animo domina le emozioni prodotte dall’arte, ecco dunque che Du Bos ci dà due precise indicazioni: la prima è che godere di un’opera d’arte implica l’aver sviluppato una sensibilità particolare, quella che proviene dalla capacità di apprezzare i giochi e gli stimoli dell’immaginazione; la seconda indicazione riguarda il fatto che l’arte produce eventi emozionali superficiali – per usare le parole di Du Bos – ovvero diversi per natura, ma non per grado, da quelli prodotti dalla realtà. L’evento artistico mette in gioco emozioni che sono prodotte dalla finzione, ossia dalla capacità di giocare coscientemente con l’immaginazione. 19 J.-B. Du Bos, op. cit., Parte I, sezione III, p. 46. 9