gli investimenti diretti esteri come strumento
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gli investimenti diretti esteri come strumento
Michela Morizzo GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI COME STRUMENTO COMPETITIVO NELL’ERA DEL MERCATO GLOBALE A.A. 1998/1999: N.12 DISTRIBUZIONE SOLO PER FINI DIDATTICI UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE Facoltà di Scienze Politiche Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche Tesi di Laurea: GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI COME STRUMENTO COMPETITIVO NELL’ERA DEL MERCATO GLOBALE Laureanda Relatore Ch.mo Prof. ROBERTO VANORE MICHELA MORIZZO Correlatore Ch.mo Prof. GIORGIO BAZO Correlatore Ch.mo Prof. VINCENZO PORCASI ANNO ACCADEMICO 1997-1998 INDICE INTRODUZIONE Pag. 8 PARTE I: INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: DALLA TEORIA ALL’ESPERIENZA ITALIANA CAPITOLO 1 • APPROCCIO «GLOBALE» AGLI I.D.E Pag. 14 1.1 Investimenti esteri e commercio internazionale, un binomio inscindibile " 14 " 18 " 23 1.1.1 Riflessi della relazione IDE/commercio per settore produttivo 1.2 Metodi e strategie alla base della scelta d'ingresso in un nuovo mercato 1.2.1 Le singole opzioni: investimenti, esportazione e contratti " 2 26 1.2.2 Analisi delle dimensioni in grado di influenzare la scelta Pag. 28 1.2.3 Corollario: variabili situazionali " 31 " 34 " 35 straniero " 37 1.3.3 Joint-venture " 38 1.3.4 Project financing " 40 " 42 1.3 Forme tecniche assunte dagli I.D.E. 1.3.1 Acquisizione di un’impresa 1.3.2 Costituzione di una società in un paese 1.3.5 Altre forme di investimento diretto: la delega della produzione e la cessione di tecnologie CAPITOLO 2 • LE PRINCIPALI TENDENZE A LIVELLO MONDIALE 2.1 Evoluzione dei flussi di I.D.E. " 47 2.2 Boom e recessione negli ultimi venti anni " 56 3 2.2.1 Approfondimento sulle variazioni del volume di I.D.E. avvenute nei P.V.S Pag. 59 2.3 La politica competitiva come elemento determinante l’investimento sui mercati internazionali " 62 " 63 2.3.1 Il rapporto tra I.D.E. e normativa sulla competizione CAPITOLO 3 • INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: IL CASO ITALIA 3.1 Il ruolo dell’Italia nella propensione all’investimento sui mercati internazionali " 68 " 72 " 74 " 79 " 86 3.1.1 Andamento degli I.D.E. italiani in uscita nel quadro dell’Unione Europea 3.2 Le partecipazioni industriali italiane all’estero 3.2.1 I protagonisti: suddivisione per dimensione dell’investitore e regione d’origine 3.2.2 Localizzazione geografica e settore di attività delle imprese partecipate 4 3.3 Le «piccole multinazionali» negli I.D.E. Pag. 91 3.3.1 Le logiche alla base degli investimenti delle Piccole e Medie Imprese italiane " 93 " 97 3.4 Accenno alle fonti di finanziamento a favore delle P.M.I. PARTE II: VERSO L’ACCORDO MULTILATERALE SUGLI INVESTIMENTI CAPITOLO 4 • EVOLUZIONE DELLE REGOLE INTERNAZIONALI IN MATERIA DI I.D.E. 4.1 Il quadro giuridico iniziale Pag. 104 4.2 La disciplina internazionale " 106 4.2.1 I Trattati Bilaterali sugli Investimenti " 108 4.2.2 Accordi Regionali " 110 4.2.3 Strumenti multilaterali " 113 5 4.3 Presupposti per un ulteriore sviluppo normativo Pag. 115 4.4 La progressiva liberalizzazione degli I.D.E.: in attesa dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti " 118 " 119 " 120 " 129 5.1.1 I caratteri distintivi " 130 5.2 Il contenuto dell’Accordo " 132 5.2.1 Le definizioni " 132 5.2.2 La protezione degli investimenti " 135 5.2.3 Il trattamento riservato all’investimento " 136 5.2.4 Discipline aggiuntive " 137 4.4.1 Vantaggi e svantaggi di regole internazionali in materia di liberalizzazione dei mercati 4.4.2 Prime considerazioni sul M.A.I. CAPITOLO 5 • L’ACCORDO MULTILATERALE SUGLI INVESTIMENTI 5.1 Caratteristiche del nuovo strumento multilaterale 5.2.5 Il regolamento delle controversie 6 “ 140 5.2.6 Il sistema di tassazione stabilito dall’A.M.I. 5.2.7 Uno sguardo al futuro Pag. 142 " 143 " 144 " 145 6.1 Introduzione “ 149 6.2 Implicazioni per i Paesi in via di sviluppo “ 150 6.3 Clausole vincolanti in materia di lavoro “ 152 6.4 L’AMI e la questione ambientale “ 153 6.5 La posizione dell’Unione Europea “ 157 “ 158 " 159 " 161 5.3 L’A.M.I. in una prospettiva mondiale 5.3.1 L’apertura dell’Accordo a paesi non membri OCSE CAPITOLO 6 • Evoluzioni dell’AMI: un fallimento ? 6.5.1 Argomentazioni della C.E. a favore di un accordo multilaterale sugli investimenti 6.5.2 Obiettivi della Commissione per il New Trade CONCLUSIONE APPENDICI § Appendice A " 158 § Appendice B " 172 BIBLIOGRAFIA " 184 7 INTRODUZIONE Negli ultimi decenni, lo scenario economico mondiale è andato via via trasformandosi sotto l’incalzare di una molteplicità di forze, tra le quali è emerso il processo di progressiva scomparsa, tuttora in corso, delle barriere economiche, amministrative e anche ideologiche che tanto hanno influenzato in passato le attività economiche tra i diversi paesi. Tali processi di unificazione e integrazione dei mercati vengono definiti, da qualche anno a questa parte, con il termine “globalizzazione” del quale riporto la definizione data da un autorevole professore, T. Levitt 1: “Una forza di grande potenza, la tecnologia, spinge il mondo verso modelli sempre più uniformi e convergenti. Questa forza ha reso accessibili a tutti le comunicazioni, i trasporti, i viaggi.(...)Praticamente ogni uomo della terra desidera tutte le cose di cui ha sentito parlare o che ha potuto vedere o sperimentare grazie alle nuove tecnologie. Da tutto ciò nasce una nuova realtà commerciale e cioè l’emergere dei mercati globali per i prodotti di consumo standardizzati di dimensioni inimmaginabili in precedenza.” La vastità di significati che possono essere dati al termine in questione è un dato di notevole importanza e sottolinea il fatto che parlare di globalizzazione non significa parlare di un fenomeno fotografabile, bensì di un processo in movimento, in gran parte dipendente dalle nuove tecnologie. I cambiamenti apportati da tale inarrestabile evoluzione dell’ambiente economico sono di portata così ampia da individui, 1 necessitare un sottolineando cambiamento così la nella “dimensione Cfr. T. Levitt: La globalizzazione dei mercati, p. 19 8 sia mentalità degli umana” della globalizzazione, che nelle strutture che hanno caratterizzato il mondo economico fino a questo momento. In quest’ottica di evoluzione e cambiamento si collocano le nuove strategie di internazionalizzazione delle imprese che non riguardano solamente i grandi gruppi multinazionali, bensì anche le Piccole e Medie Imprese che tanto attivamente hanno cominciato ad inserirsi in questa nuova dimensione. Nella gamma di possibilità che si prospettano ad un’impresa che voglia penetrare ed affermarsi in un mercato straniero, l’Investimento Diretto Estero (IDE) è l’opzione che si pone sempre più come la forza conduttrice di quel processo di globalizzazione di cui tanto si parla e che costituisce il corpus del presente lavoro. Il quadro generale che viene proposto a seguire costituisce una breve rassegna degli argomenti che verranno analizzati successivamente nell’opera. Nel corso degli ultimi anni si è registrato un notevole incremento nel volume di IDE in entrata e in uscita, anche superiore al commercio internazionale che per lungo tempo è stato il principale mezzo di collegamento tra le diverse economie. Da sottolineare, a tale proposito, la rinnovata attenzione al rapporto esistente tra IDE e commercio, al modo in cui essi possono essere definiti interdipendenti ed in che modo influenzano la crescita economica dei paesi, in particolare di quelli in via di sviluppo. L’espansione della produzione internazionale, collegata alla scelta della formula degli IDE come strategia di inserimento sui mercati esteri, è in gran parte dovuto alle politiche di liberalizzazione in materia che, negli ultimi anni, vengono introdotte in un numero sempre maggiore di paesi. A testimonianza di ciò il fatto che, dall’inizio degli anni ’90, su un totale di 600 ca. modifiche introdotte nelle regolamentazioni sugli investimenti, quasi liberalizzazione e il 95% promozione erano degli indirizzate stessi. I ad una maggiore cambiamenti hanno coinvolto per lo più l’apertura di certi settori industriali prima preclusi 9 agli investitori stranieri , l’eliminazione di procedure particolari di approvazione da parte delle autorità locali nonché l’introduzione di incentivi a favore degli operatori esteri. Un ulteriore fattore determinante per l’investimento diretto e che a sua volta è, attualmente, oggetto di particolare attenzione da parte delle autorità nazionali è dato dal rapporto intercorrente tra gli IDE e la normativa in materia di competizione. Se, infatti, da un lato, la liberalizzazione degli IDE rappresenta uno strumento in grado di stimolare la competizione tra le imprese, dall’altro lato ogni paese necessita un’assicurazione contro la possibilità che vengano posti in essere atteggiamenti anticompetitivi da parte di imprese, sia domestiche che straniere. E’ stato successivamente effettuato un excursus sull’evoluzione dell’andamento dei flussi di investimenti a livello mondiale, prendendo in considerazione le principali aree geografiche e approfondendo le diverse specificità caratterizzanti le fasi di boom e recessione avvenute nel corso degli ultimi vent’anni. Attraverso un procedimento analitico sviluppato dal generale al particolare si giunge poi all’analisi del “caso Italia”, del suo ruolo nella propensione all’investimento, ponendo l’accento sia sulla situazione delle partecipazioni industriali all’estero che sulle logiche seguite dalle PMI; il tutto completato da un accenno alle fonti di finanziamento a loro riservate, a livello nazionale e comunitario, per stimolare l’investimento diretto. In concomitanza con il riconoscimento dell’importanza degli IDE come strumento in grado di far fronte alla sfida della globalizzazione, si è rilevata la presenza di un numero sempre maggiore di interventi di carattere normativo sotto forma di accordi bilaterali, regionali e anche multilateral i volti alla promozione, ma anche e soprattutto alla protezione degli stessi. Ecco che la seconda parte dell’opera si occuperà innanzitutto dell’evoluzione avvenuta nella normativa in materia e dei presupposti per quello che sembra essere il “futuro” della regolamentazione internazionale: 10 l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti, ideato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in concerto con l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e che è destinato a modificare radical mente la regolamentazione internazionale in materia di IDE. Il capitolo 5 si concentrerà proprio sulla struttura, i caratteri distintivi e soprattutto il contenuto dell’Accordo stesso, con particolare attenzione per il dibattuto tema della possibilità per i paesi non facenti parte dell’OCSE di accedere alla sottoscrizione del trattato. 11 PARTE PRIMA INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: DALLA TEORIA ALL’ESPERIENZA ITALIANA CAPITOLO 1 APPROCCIO “GLOBALE” AGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI 1.1 Investimenti esteri e commercio internazionale, un binomio inscindibile La rapida crescita degli Investimenti Diretti Esteri e l’evoluzione degli accordi internazionali in materia hanno fatto emergere un rinnovato interesse sulla relazione esistente tra gli IDE e il commercio internazionale. In particolare, le questioni più scottanti e dibattute restano le seguenti: gli IDE si pongono come sostituti del commercio, sono o meno complementari e quali sono le implicazioni sulla crescita e lo sviluppo di un paese? L’innegabile interrelazione tra IDE e commercio risulta di grande importanza per molteplici ragioni: innanzitutto, il commercio è sempre stato visto come fattore positivo per la crescita e lo sviluppo di un’economia e gli investimenti, come propulsori nella diffusione di beni e servizi sui mercati esteri ed elementi chiave nell’internazionalizzazione produttiva, influenzano notevolmente la direzione e composizione del commercio mondiale. Il ruolo degli IDE come elemento chiave per lo sviluppo economico di un paese, quindi, sta influenzando in maniera sempre più pregnante l’approccio dei singoli organismi governativi nella regolamentazione di tale pratica. A conferma di ciò, nonostante commercio e investimenti continuino ad essere caratterizzati da una interrelazione lineare positiva, negli ultimi trent’anni e, in particolare, a partire dagli anni ’80, si sono registrati numerosi cambiamenti che hanno interessato l’ambiente economico in cui si realizzano gli investimenti. Le novità più significative riguardano la diminuzione di barriere ai movimenti d e l l e m e r c i , s e r v i z i , capitali, lavoratori e imprese. La liberalizzazione delle regole sui flussi commerciali, tecnologici e degli investimenti facilitano enormemente le pratiche di trasferimento dei vari fattori produttivi dal paese d’origine a quello ospitante. La prima conse guenza è stata la crescita della produzione internazionale, in quanto numerose 14 imprese sono divenute compagnie transnazionali e anche le piccole e medie imprese si stanno sempre più orientando verso i mercati esteri. La tabella1 qui di seguito indica proprio il notevole aumento delle imprese con affiliate all’estero nel lasso temporale 1969-1993, mentre il grafico 1 subito dopo espone l’evoluzione degli IDE da parte delle imprese transnazionali tra il 1970 e il 1996. Tabella 1: Numero totale di imprese con affiliate all’estero, per paese. STATO 1968/1969 1993 Stati Uniti 2468 3013 Gran Bretagna 1692 1443 Germania 954 7003 Francia 538 2216 Svizzera 447 3000 Paesi Bassi 268 1608 Svezia 255 3520 Belgio e Lussemburgo 253 96 Danimarca 128 800 Italia 120 445 94 1000 Norvegia 15 STATO 1968/1969 1993 Austria 39 838 Spagna 15 744 5 1165 7276 26891 Portogallo Totale Fonte: UNCTAD Grafico 1: Flusso di IDE all’estero delle imprese transnazionali, 1970-1996. 1600 1400 1200 1000 800 600 400 1996 1994 1992 investimenti 1990 gli 1988 1986 tra 1984 rapporto 1982 il 1980 1976 1974 1972 utilizzando 1970 0 a) i.e. 1978 200 annuali effettuati nelle affiliate all’estero e i dati sugli IDE contenuti nella bilancia dei pagamenti. IDE in uscita corretti (a) IDE in uscita Fonte: UNCTAD Il nuovo ambiente economico internazionale ha reso le imprese molto più libere sulla scelta del metodo di ingresso in un nuovo mercato: ad esempio, produrre nel paese d’origine ed esportare i prodotti, produrre in un altro paese per la 16 vendita locale o dell’esportazione. ancora Esse produrre godono all’estero inoltre di in vista numerose facilitazioni nel reperimento degli input produttivi necessari alla produzione, vuoi importandoli oppure attraverso particolari investimenti che permettano l’accesso alla fonte, in modo da diminuire i costi e da semplificare la copertura di un mercato nazionale, regionale o globale. Le organizzazioni aziendali transnazionali sono decisamente facilitate nell’effettuare investimenti all’estero e possono anche decidere di iniziare la produzione di un determinato prodotto in un paese straniero, magari destinando tale prodotto al solo mercato del paese ospitante. Risulta evidente, quindi, come l’intrecciarsi di Investimenti Diretti Esteri e commercio apporti nuovi stimo li per le politiche condotte a livello nazionale in materia. I sistemi di produzione internazionale integrata, di cui gli IDE e il commercio costituiscono la linfa vitale, richiedono l’utilizzo di politiche coordinate. Un approccio distinto, infatti, sarebbe pregiudizievole per i due elementi che sono decisamente collegati, anche se fino a pochi anni fa era un abitudine consolidata. 1.1.1 Riflessi della relazione IDE/commercio per settore produttivo Il processo di internazionalizzazione scelto da un’impresa e il tipo di attività svolta, influenzano notevolmente la relazione tra gli IDE e il commercio. Ecco che quindi diventa indispensabile fare un quadro che tenga conto dei diversi settori produttivi ed in particolare quello manifatturiero, delle risorse naturali e dei servizi: 17 a) settore manifatturiero La maggior parte delle imprese operanti in questo settore hanno da sempre privilegiato commerciare con imprese e/o acquirenti stranieri, prima di optare per un investimento vero e proprio 1. Questo perché il commercio era meno rischioso, a breve termine, non coinvolgeva tutti gli assetti dell’azienda e inoltre, prima della modernizzazione delle vie di comunicazione, un controllo serrato da parte della casa madre risultava complicato. L’impresa manifatturiera dovrà quindi possedere un vantaggio competitivo elevato per scegliere la via dell’investimento: ad esempio, per un’attività improntata al ciclo produttivo dall’immissione il sul vantaggio mercato competitivo internazionale di deriverà un nuovo prodotto, dal possesso di marchi e/o brevetti, da un livello tecnologico e manageriale superiore alla media nonché dalla produzione di beni differenziati e di alta qualità. Concludendo, per quanto concerne questo specifico settore, i fattori che hanno permesso l’evoluzione delle scelte dalle esportazioni agli IDE sono principalmente quattro (Dunning, 1993): innanzitutto le politiche governative ed in particolare quelle miranti ad aumentare le barriere alle importazioni, seguite dalla necessità di ridurre i costi di trasporto e produzione. Infine, la vicinanza e il contatto diretto col mercato di sbocco e la clientela sono altresì elementi fondamentali. b) settore delle risorse naturali 1 Se, quindi, nella maggior parte dei casi l’instaurazione di rapporti commerciali precede gli IDE, si possono notare esempi recenti che stravolgono tale sequenza: ci si riferisce ai Paesi in Via di Sviluppo, i quali spesso optano per gli IDE sui mercati di paesi industrializzati con lo scopo di acquisire nuove tecnologie o rilevare imprese manifatturiere straniere, senza per questo aver instaurato in precedenza relazioni commerciali. 18 Il fatto che l’estrazione e la produzione di risorse naturali siano totalmente dipendenti dal luogo in cui sono situate le risorse stesse influenza in maniera rilevante la relazione tra commercio e IDE in questa branca di attività 2. I fattori più importanti nel determinare dove collocare la produzione e se si rendano necessari investimenti riguardano la locazione delle risorse non rinnovabili, le condizioni climatiche indispensabili per la coltivazione di risorse rinnovabili e, non meno importante, le condizioni economiche basilari per l’inizio di qualsiasi attività economica: capitale, tecnologie e competenza. Per quanto riguarda le risorse non rinnovabili, gli IDE sono inizialmente collegati all’esplorazione ed estrazione e si viene a creare un rapporto commerciale tra il paese investitore e quello ospitante. A sostenere molto gli IDE stessi è anche la natura ad alta intensità di capitale delle attività che richiedono, quindi, investimenti su larga scala. Il secondo gruppo - quello costituito dalle risorse rinnovabili vede inizialmente una richiesta di beni manufatti basati su tali risorse da parte dei paesi sviluppati, che vengono serviti da compagnie localizzate alla fonte. Si crea dunque un flusso commerciale tra compagnie indipendenti, che poi si trasformerà in investimenti effettuati dal paese importatore in un processo di integrazione verticale in vista dell’internazionalizzazione del mercato e dell’assunzione del controllo delle attività presenti nel paese ospitante. 2 Gran parte delle risorse naturali sono collocate nei Paesi in Via di Sviluppo e questo ha determinato la nascita di un commercio di tipo unidirezionale p r oveniente dai paesi industrializzati. I PVS, quindi, danno la disponibilità di utilizzo delle risorse, mentre le grandi imprese straniere apportano il capitale, l’esperienza e l’accesso al mercato internazionale. Tutto questo, perché nei PVS non esiste mercato di sbocco per tali risorse e i costi di estrazione sono troppo elevati. 19 Da sottolineare infine che gli IDE nel settore primario hanno subito un aumento considerevole nel ventennio ‘70-’90, come testimonia la tabella 2 riportata a pagina seguente. Tabella 2: Stock economicamente di più IDE nel sviluppati, settore primario 1970-1990 dei (mld paesi US$ e percentuale). Paesi e settori 1970 1975 1980 1985 1990 Stock in uscita nel settore primario 29 58 88 115 160 22.7 25.3 18.5 18.5 11.2 Paesi sviluppati (a) Quota nello stock totale in uscita a) Australia, Canada, Francia, Germania, ITALIA, Giappone, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti; complessivamente considerati, tali paesi hanno coperto nel 1990 il 90% dello stock di investimenti diretti all’estero. Fonte: UNCTAD c) settore dei servizi Il settore dei servizi è caratterizzato da una forte interazione tra produttori e consumatori in quanto, non essendo trasportabili, essi richiedono di essere prodotti esattamente nel luogo dove saranno poi distribuiti. Tale fase di distribuzione fa si che l’opzione migliore sia quella della costituzione di una società affiliata all’estero; questo in quanto il commercio come metodo di esportazione dei servizi non può essere realizzato per il motivo sopra citato e gli IDE si 20 pongono come l’alternativa in grado di mettere in contatto produttore e potenziale cliente. Prendendo ad esempio alcune particolari attività come le società pubblicitarie e contabili, emerge immediatamente il fatto che i servizi da loro proposti non possono essere esportati e prerogativa per l’inizio dell’attività è la presenza diretta sul mercato straniero. In più, qualora il mercato in cui opera una certa società conta un numero considerevole di concorrenti, si tratta cioè di un oligopolio, l’effetto emulativo incentiverà sicuramente l’espansione all’estero generando un incremento degli IDE. A supporto considerevole di tale aumento conclusione dello stock di si può notare investimenti il diretti all’estero avvenuto nel corso degli ultimi vent’anni nell’ambito dei servizi: il cosiddetto “terzo settore” è infatti diventato sempre più indispensabile per l’economia mondiale e, conseguentemente, anche il livello di IDE si è accresciuto fino a coprire circa la metà dello stock mondiale totale. Con tale breve rassegna, si è cercato di esaminare separatamente i tre settori economici più importanti, ma non si può dimenticare strettamente che collegati IDE a e livello commercio sono intersettoriale. spesso Moltissime imprese, infatti, esercitano attività che non possono essere classificate in questo o quel settore con precisione, proprio perché operano in ambiti molto diversi tra loro. A livello pratico, comunque, sia che siano gli IDE a produrre un aumento del commercio o che sia il commercio a stimolare gli investimenti, certo è che ne risulterà una forte intensificazione delle transazioni economiche internazionali, cuore di quella globalizzazione dei mercati di cui tanto si parla. 1.2 Metodi e strategie alla base della scelta di ingresso in un nuovo mercato 21 La formulazione di una strategia d’azienda fortemente caratterizzata in senso internazionale richiede la presa di coscienza di un considerevole numero di fattori in grado di “permettere l’ingresso dei prodotti, della tecnologia, delle risorse umane, del management della compagnia in un paese straniero” (Root) 3. In altre parole, i quadri direttivi aziendali devono essere in grado di scegliere il metodo più adatto per fare ingresso sui mercati esteri in considerazione delle peculiarità della struttura in questione. La selezione del metodo di ingresso sarà dunque articolata e complessa a causa dei numerosi elementi entranti in gioco. Innanzitutto la molteplicità dei criteri di scelta, ciascuno riflettente una particolare dimensione della strategia aziendale. I punti chiave in grado di differenziarli sono essenzialmente: diversi livelli di controllo, suddivisione del rischio, risorse coinvolte e flessibilità posseduti da ciascuna modalità. La scelta spazia attraverso una vasta gamma di possibilità quali, per esempio: esportazione, franchising, coproduzione, joint-ventures, alleanze strategiche oppure il possesso totale della struttura estera. Anche altri elementi possono ugualmente contribuire ad una particolare scelta nell’ingresso in un mercato straniero; ci si riferisce soprattutto a fattori collegati al paese ospitante: rischio paese, distanza socio-culturale, politiche e normative governative, nonché peculiarità inerenti il tipo di know-how a disposizione dell’impresa, la differenziazione produttiva e un eventuale background di esperienze internazionali (Kogut and 3 Cfr. F.R. ROOT -“ Entry strategies for international markets”, 2 n d edition, New York, Lexington Books- 1994. 22 Zander, 1993) 4. Risulta evidente, quindi, l’importanza di un approfondita conoscenza del modo in cui tali elementi potrebbero influenzare la decisione di internazionalizzazione dell’attività d’azienda. A tutto ciò si aggiunga la rapida globalizzazione dei mercati, la forte accelerazione dei cambiamenti tecnologici, l’espansione economica dei paesi di nuova industrializzazione e la transizione delle economie centralmente pianificate verso il modello economico di mercato. La realtà è dunque che la stragrande maggioranza delle imprese operano in un economia internazionale, faccia a faccia con competitori sempre nuovi e agguerriti e mercati inesplorati; il tutto inglobato in un ambiente economico in continua trasformazione. Il risultato è che si possono identificare essenzialmente tre alternative di ingresso in un mercato estero: • investimento, • esportazione, • contratti di varia natura. Le tabelle 3 e 4 riportate qui di seguito schematizzano innanzitutto il modello concettuale che si vuole proporre attraverso le tre possibilità sopra indicate affiancate dalle quattro dimensioni che le differenziano, nonché i vantaggi che una particolare scelta porterebbe all’attività dell’azienda. La seconda specifica discriminatori su ulteriormente ciascuna l’impatto modalità. degli Un’analisi elementi di questo genere fa immediatamente emergere l’influenza che fattori 4 Cfr. B. KOGUT, U. ZANDER- “Knowledge of the firm and the evolutionary theory of the multinational corporation” in Journal of International Business Studies (autunno), pgg 625-645- 1993. 23 esogeni possono avere sulla scelta del management d’azienda. Tabella 3 A) Fattori specifici d’impresa B)Fattori locativi Differenziazione Produttiva Attrattività del Mercato Influenza di know-how c.d. “nascosto” Governativo Intervento Governativo 24 Rischio - Paese Esperienza Internazionale Distanza Socio - culturale Controllo Rischio di espropriazione Coinvolgimento delle risorse Flessibilità Tabella 4 Metodologia Controllo Rischio di Coinvolgi Flessibil. d’ingresso METODO DI INGRESSO espropriaPRESCELTO: mento di • Esportazioni zione risorse • Contratti • Investimenti Investimento ALTO BASSO ALTO BASSO Contratto MEDIO MEDIO/ ALTO MEDIO MEDIO Esportazione BASSO BASSO BASSO ALTO Fonte: Journal of Marketing Management 1997, n.13. 25 1.2.1 Le singole opzioni: investimento, esportazione, contratto Numerosi sono gli economisti di tutto il mondo che hanno tentato di classificare organicamente le possibilità di scelta degli imprenditori e si cercherà ora di tratteggiare le linee essenziali delle tre strade indicate come le principali: ◊ Investimento La scelta di questa modalità di ingresso in un mercato comprende varie forme di proprietà e controllo da parte dell’impresa in un paese straniero. La scelta spazia, ad esempio, dalle fusioni e acquisizioni agli investimenti greenfield. L’acquisizione fa riferimento al possesso di un considerevole pacchetto azionario di un’azienda estera in grado di assicurare il controllo di questa da parte dell’impresa acquirente. derivante 1988) 5. (Kogut/Singh, da questo tipo di Il vantaggio investimento è principale dato dalla possibilità di stabilirsi rapidamente in un nuovo mercato attraverso un’entità già esistente e attiva. A loro volta, le jointventures e gli investimenti greenfield garantiscono un processo di inserimento sul mercato ancora più rapido ed incisivo. Essendo gli Investimenti Diretti Esteri l’argomento della presente opera, essi verranno debitamente approfonditi nelle parti solamente successive; sottolineare in i questo fattori paragrafo principali si vogliono che possono determinare una certa scelta di ingresso sul mercato. ◊ Esportazione 5 Cfr. B. KOGUT, H. SINGH- “ The effect of national culture on the choice of entry mode”, in Journal of International Business Studies, n.19, pgg. 411-432 – 1988. 26 L’esportazione implica la decisione di mantenere la produzione nel paese in cui ha sede la casa madre oppure in un paese terzo per prodotto poi finito trasferire sul direttamente mercato prescelto. o indirettamente Con il l’esportazione diretta l’impresa gestisce tutti i passaggi che condurranno il prodotto nel paese straniero (documentazione, trasporto fisico, consegna...). Al contrario, l’esportazione indiretta usufruisce di intermediari come società di export o compagnie commerciali e solitamente l’impresa produttrice non è coinvolta nella vendita dei propri prodotti all’estero. ◊ Contratti La scelta contrattuale come modalità di inserimento in un nuovo mercato include una notevole varietà di alternative come, ad esempio, licenze, franchising, contratti di management, non-equity joint ventures nonché accordi di coproduzione, tecnici e knowhow. Tale tipo di scelta si rivela preferibile qualora l’impresa in questione possieda un certo vantaggio competitivo nel penetrare un mercato straniero, ma vista l’insufficienza delle risorse, le convenga trasferire il vantaggio alla parte straniera. La licenza, per esempio, Al contrario, un accordo di franchising prevede la cessione di un diritto esclusivo di produzione o vendita dei prodotti su una determinata area. L’incaricato (franchisee) nel paese straniero pagherà comunque al franchisor una somma (o percentuale) in relazione al numero di unità prodotte o vendute. 1.2.2 Analisi delle dimensioni in grado di influenzare la scelta Come indicato dalla tabella 1 sopra riportata, quattro sono le dimensioni che, in maniera più o meno marcata, influiscono 27 sulla scelta effettuata dal management d’azienda e che verranno qui di seguito singolarmente analizzate: ◊ Controllo Definita come “autorità sui processi decisionali strategici ed operativi” (Hill, 1990) 6, tale dimensione permette all’impresa di salvaguardare gli input essenziali al processo produttivo, coordinare le attività, assicurare la qualità del prodotto finito e influire sulle attività logistiche e di marketing sul mercato straniero. E’ evidente come ogni possibile metodo di ingresso implichi livelli di controllo differenti. Singolarmente considerati, l’investimento è caratterizzato da un grado piuttosto elevato di controllo da parte dell’azienda madre, la mo dalità contrattuale da un livello medio, mentre l’esportazione implica un potere di vigilanza e controllo decisamente basso. Nonostante una “gradazione di controllo” per ciascuna dimensione non sia stata ancora empiricamente misurata, la sua analisi risulta di fondamentale importanza nell’assunzione della migliore decisione di ingresso sul mercato internazionale, in quanto permette all’azienda di cogliere al meglio i bisogni del nuovo mercato e, di conseguenza, proporre prodotti e servizi adatti alla loro completa soddisfazione. In ultimo, ma non per questo meno importante, l’azienda è anche in grado di anticipare e rispondere adeguatamente alle mosse dei competitori. ◊ Rischio di espropriazione Tale dimensione fa riferimento alla percezione del rischio per l’azienda di essere espropriata dei propri vantaggi dal partner contrattuale, 6 dalle autorità del paese ospitante o da Cfr. C.W.L. HILL- “An eclectic theory of the choice of international entry mode”, in strategic Managem e n t J o u r n a l , n . 1 1 , p g g . 1 1 7 -128 – 1990. 28 competitori del settore. I vantaggi competitivi di un’impresa sono infatti generalmente collegati con i suoi assetti conoscitivi sia tecnologici che di marketing. Di conseguenza, la protezione delle proprie conoscenze e know-how e l’immissione sul mercato di prodotti e servizi sempre nuovi costituiscono la base di quel vantaggio competitivo relativo che fa la differenza rispetto alla concorrenza. Qualora l’impresa sembri particolarmente soggetta a questo genere di rischio, è probabile che opterà per l’investimento sotto forma di creazione di una filiale totalmente posseduta dalla casa madre. Il rischio di disseminazione nel caso dell’investimento è infatti basso in quanto “l’organizzazione aziendale interna crea un’atmosfera che conduce ad una congruenza di intenti e valutazioni tra i membri del sistema” (Hill, 1990). Nonostante il rischio non possa essere eliminato totalmente, in quanto i dipendenti potrebbero avere la possibilità di espropriare i know-how d’azienda, questo sarà sicuramente minore rispetto alla scelta di utilizzare la concessione di una licenza. Tale scelta espone, infatti, a rischi molto elevati in quanto i “dipendenti” non sono quelli della casa madre e si tratta proprio di un accordo che prevede il trasferimento di know-how tra diverse compagnie. ◊ Risorse coinvolte La tipologia delle risorse impegnate nel procedimento di inserimento su un nuovo mercato si riferisce alle risorse fisiche, finanziarie e umane utilizzate a questo fine. L’impiego di notevoli risorse espone, inoltre, l’impresa ad un certo rischio sia di espropriazione dei propri assetti che di perdite dovute al rischio di cambio sopportato. In particolare, l’investimento richiede una quantità di risorse da impiegare notevole; la creazione di una filiale totalmente posseduta dalla casa madre, ad esempio, necessita 29 il trasferimento di personale ed equipaggiamenti di vario genere, la costruzione, acquisto o affitto di una sede locale. Il tutto senza dimenticare lo sviluppo di un network di fornitori in grado di soddisfare le esigenze dell’attività in questione e una clientela esigente che deve essere persuasa della superiorità del prodotto o servizio. Al contrario, la scelta dell’opzione contrattuale richiede un coinvolgimento inferiore di risorse, perché queste sono suddivise tra i diversi partner contrattuali. Ma è l’esportazione a costituire l’alternativa meno impegnativa da questo punto di vista, in quanto molto spesso tale scelta nasce dalla presenza di un surplus di produzione domestica dell’azienda e quindi sarà necessaria una minima aggiunta di risorse per fornire un mercato straniero. ◊ Flessibilità L’ultima tra le dimensioni in grado di influenzare l’impostazione dell’attività d’azienda sul piano internazionale è costituita dalla flessibilità che consiste nell’abilità di ingresso sul mercato in tempi rapidi e con un costi relativamente bassi. Di conseguenza, il mantenimento di un livello di flessibilità adeguato al tipo di attività svolto e alle peculiari esigenze, permette alle imprese di meglio adattarsi al modificarsi delle circostante in maniera efficiente; risultato, questo, che può essere facilmente ottenuto attraverso un impiego di risorse non elevato e una struttura organizzativa meno formalizzata e centralizzata. In questo modo, qualora le condizioni economiche dovessero evolversi improvvisamente in senso negativo, l’impresa potrebbe rapidamente ritirarsi dal mercato o modificare il sistema con cui viene servito il mercato stesso. 30 La letteratura economica internazionale in materia ha rilevato come le esportazioni costituiscano la modalità più flessibile, l’investimento la meno adattabile alle circostanze ed infine la forma contrattuale come la via di mezzo tra le due precedenti. 1.2.3 Corollario: variabili situazionali Come appena corollario definite, alla specificazione numerose ricerche delle hanno dimensioni rivelato come determinate variabili situazionali possano influire sul tipo di insediamento determinanti scelto. sono Come suddivisi indicato nella in grandi due tabella gruppi: 1, tali fattori specifici d’impresa (gruppo A) e fattori locativi (gruppo B), che saranno qui di seguito esaminati: A. I vantaggi specifici dell’azienda si ri feriscono al vantaggio competitivo paese posseduto straniero differenziazione “tacito” e nei confronti prendono produttiva, d’azienda, nonché la delle forma della dell’influenza della già concorrenti nel capacità di del know-how maturata esperienza internazionale. Tale vantaggio competitivo deve compensare la perfetta conoscenza consumatori, del contraddistinguono del nuovo mercato, sistema legale e i competitori degli del dei usi paese gusti dei sociali che ospitante. L’impresa investitrice dovrà dunque emergere con tecnologie all’avanguardia, notevoli capacità, economie di scala e fonti di finanziamento il più possibile economiche. La differenziazione produttiva costituisce variabile cruciale nel raggiungimento di tale superiorità. Da sottolineare, inoltre, il ruolo giocato da quell’insieme di know-how non rappresentata dalle disponibilità e conoscenze aziendali, bensì incorporata in alcune procedure operative ed abitudini informali facenti parte integrante delle peculiarità dell’impresa in questione. Tale know-how viene identificato come “tacito” e risulta costoso ed 31 estremamente difficile da trasferire senza un contatto personale ed un coinvolgimento diretto. Ecco perché costi e difficoltà possono stimolare l’utilizzo dell’investimento, quanto unica modalità in grado di facilitare il in trasferimento intra-organizzativo del know-how “tacito” con il trasferimento del capitale umano già operante nella rete aziendale. A sua volta, l’esperienza internazionale acquisita dal management e dall’impresa stessa avrà un ruolo fondamentale nel computo dei costi e dell’incertezza derivante dall’ingresso in un nuovo mercato. Generalmente, infatti, imprese con uno scarso background di esperienze internazionali tendono spesso a sopravvalutare i rischi e costi e a sottoval utare i possibili ritorni in termini di guadagno sui mercati esteri. Saranno quindi portate ad optare per l’esportazione invece della formula dell’investimento. B. Tra i fattori locativi emergono come principali l’attrattività del mercato, gli interventi governativi, la distanza socio- culturale, nonché il rischio paese. Se si considera infatti il “dove” in merito agli IDE , le imprese tenderanno a rivolgersi verso quei paesi le cui condizioni competitive, della domanda, di dinamicità del mercato sono valutate di livello tale da incentivare gli IDE. Su tutto ciò influisce l’intervento governativo del paese ospitante che, attraverso particolari politiche e regolamenti per gli investitori esteri, può favorire o meno il movimento di capitali nel paese, l’ingresso delle merci e di conseguenza gli IDE. Inoltre, l’opzione investimento sarà preferita qualora i costi derivanti dall’esportazione siano superiori oppure l’incertezza del mercato locale sia molto elevata e rendano quindi preferibile la prima scelta. I vantaggi dal punto di vista locativo sono altresì rappresentati dalla vicinanza culturale, di usi e costumi tra il paese ospitante 32 e quello investitore; trattasi infatti di fattori che influenzano molto la scelta della modalità di ingresso in un paese. Una lontananza l’opzione socio-culturale investimento, avrà visti i l’effetto costi di troppo scoraggiare elevati del trasferimento di risorse umane e tecnologie su un mercato radicalmente opposto. Ultimo, anche se non in ordine di importanza, il rischio paese che da solo contribuisce non poco ad una certa scelta; con questo termine ci si riferisce all’instabilità creata da eventi politici, sociali, economici che si rivelano destabilizzanti per il paese ospitante e, di conseguenza, disincentivante la scelta di investire nello stesso. In conseguenza di ciò, trovandosi l’impresa ad operare con un paese ad alto rischio, si rivolgerà quasi sicuramente alla modalità contrattuale o all’esportazione; l’investimento si rivelerebbe infatti troppo a rischio rispetto alle altre due modalità, ad esempio per quanto riguarda l’espropriazione degli assetti dell’azienda stessa. 1.3 Forme tecniche assunte dagli Investimenti Diretti Esteri Prima di procedere, nel capitolo successivo, con l’analisi dettagliata della situazione italiana in materia di investimenti all’estero, del ruolo che la scelta di internazionalizzazione della produzione occupa tra le priorità delle imprese e della posizione ricoperta a livello europeo e mondiale in tale ambito, è necessario esaminare quelle che sono le diverse forme tecniche che gli IDE possono assumere. Oltre al tradizionale investimento detto “greenfield”, che consiste nella costituzione di un vero e proprio impianto produttivo all’estero, vi sono numerose altre possibilità meritevoli di essere analizzate: l’IDE potrà, infatti, prendere la forma di acquisizione di un’impresa già avviata operante nel settore di attività svolto 33 dall’azienda acquirente nel paese d’origine. Il management aziendale potrà ritenere invece più redditizio la rilevazione di un’impresa in crisi, in via di privatizzazione oppure ancora la costituzione di joint ventures o la realizzazione di grandi progetti di investimento attraverso il project financing. I fattori che influenzano tale scel ta sono molteplici, come indicato nel paragrafo precedente, e ricordando ad esempio il grado di coinvolgimento diretto cercato dall’azienda, ecco che tra le varie tipologie di IDE troviamo anche la delega della produzione o la cessione di tecnologie. Tutte le possibilità sopra elencate saranno esaminate singolarmente nei paragrafi a seguire. 1.3.1 Acquisizione di un’impresa Tale forma di investimento estero si riferisce alla possibilità di rilevare un’impresa già avviata in un mercato straniero. I vantaggi che possono derivare da una decisione di questo tipo sono collegabili soprattutto allo sfruttamento dell’affermazione sul mercato già conseguita dall’azienda in cessione e che quindi permette di conoscere in partenza la situazione e le prospettive della domanda interna. Nonostante i numerosi tentativi a livello internazionale di progressiva eliminazione delle barriere e restrizioni varie all’ingresso di investitori stranieri, scelte politiche e interessi nazionali verso imprese di un certo interesse possono però impedire l’acquisizione da parte di un soggetto straniero. Oggigiorno, comunque, nella maggior parte dei paesi l’impedimento non è assoluto, bensì i limiti sono circoscritti a casi particolari: ad esempio, la relegazione dell’investitore a socio di minoranza ponendo un tetto massimo alla sua quota di 34 partecipazione oppure il divieto di possedere quote di riferimento in imprese la cui importanza è giudicata strategica o di utilità sociale. Per quanto riguarda i Paesi industrializzati, tra le attività generalmente più protette si trovano quelle bancaria e assicurativa, nonché le imprese che producono energia, elettricità, acqua, gas e le imprese di trasporto pubblico. I Paesi in Via di Sviluppo, invece, tendono a permettere l’ingresso di operatori economici stranieri solamente previa trattativa con le autorità locali. L’acquisizione di un’impresa può anche rivolgersi verso imprese in crisi o in via di privatizzazione e, viste le caratteristiche particolari di tale tipo di investimento, meritano un esame distinto: ◊ La decisione di acquisire un’azienda in crisi viene accolta molto spesso con una certa diffidenza dai Paesi industrializzati benché, con le opportune ristrutturazioni e dopo un certo lasso di tempo, tale decisione strategica si potrà rivelare un affare fruttuoso. Tuttavia, la prospettiva di dover provvedere al risanamento dell’impresa nella sua totalità è un fattore disincentivante l’investimento e l’acquirente tenterà l’impresa solo se il potenziale sviluppo dell’attività e il suo vantaggio competitivo sul mercato sono previsti di portata molto superiore ai costi sostenuti. ◊ I Paesi dell’Europa dell’Est costituiscono attualmente una destinazione piuttosto appetibile dal punto di vista degli IDE ed è proprio in questi paesi che si sta conducendo una colossale opera di privatizzazione attirando così investitori da ogni parte del mondo e soprattutto dai paesi membri dell’Unione Europea. Tra 35 i numerosi problemi che l’investitore si trova ad affrontare si rileva innanzitutto la necessità di un cospicuo investimento per ammodernare gli impianti esistenti e obsoleti: impegno, questo, che molto spesso rientra tra le garanzie richieste dal paese ospitante per concedere l’ingresso di operatori stranieri. Una delle esigenze più immediate è anche la regolamentazione dei rapporti, struttura e controllo all’interno dell’impresa rilevata e, vista la carenza della normativa societaria di tali paesi, è indispensabile riservare particolare attenzione alla redazione dello statuto societario che dovrà quindi risultare il più dettagliato possibile. 1.3.2 Costituzione di una società in un paese straniero Qualora non vi siano impedimenti per la costituzione di una società a totale partecipazione straniera, il management aziendale potrà optare per l’insediamento in un mercato estero di una propria società. Tale scelta permetterà una totale libertà di decisione sulla gestione della società rispetto, per esempio, alla formula della società mista anche se, a differenza di quest’ultima, si potranno incontrare maggiori difficoltà nel reperimento dei finanziamenti necessari all’avvio dell’attività. La maggior parte degli aiuti finanziari sono infatti destinati alle società miste, vi ste le maggiori garanzie di copertura date dal coinvolgimento di una pluralità di aziende nell’investimento. Alla base della scelta di creare una società all’estero si rilevano due motivazioni principali: innanzitutto, la possibilità di produrre senza alcuna ingerenza da parte di un partner straniero, che potrebbe creare 36 qualche difficoltà nella conciliazione di moduli e abitudini gestionali diversi tra loro. Secondariamente, l’eventuale istituzione di una società finanziaria che abbia il compito di controllare le altre affiliate di produzione situate all’estero potrebbe permettere alla casa madre una adeguata e conveniente pianificazione fiscale senza per questo eludere la normativa tributaria internazionale. Di conseguenza, a seconda dell’ambito di attività dell’impresa che intende internazionalizzarsi, si cercherà un paese di destinazione in cui tale attività gode di trattamenti di favore. Tra i settori che consentono di ottenere privilegi particolari si trovano: • le società off-shore, che possono essere sia di produzione che finanziarie e che, essendo destinate all’esportazione, vengono in genere collocate in zone franche dove le condizioni fiscali sono sicuramente favorevoli; • le holding che, partecipazione concentrandosi finanziaria, sono esclusivamente ammesse a sulla numerose esenzioni dalle imposte sui dividendi in numerosi paesi; • le affiliate estere alle quali vengono spesso concesse agevolazioni qualora svolgano attività anche commerciale, a patto che siano destinate al mercato internazionale; • le società non residenti, che vengono cioè istituite in un determinato paese, ma che hanno sede in un altro paese estero. Tali società sono soggette alle legislazione del paese in cui hanno sede, ma di solito usufruiscono di privilegi dal punto di vista fiscale. 37 In conclusione, affinché tale forma di IDE dia i migliori risultati, si rendono indispensabili una serie di valutazioni sul diritto applicabile nel paese straniero; se, infatti, il nostro sistema comunitario è integrato e omogeneo da questo punto di vista, diversa è la situazione nei paesi di recente sviluppo dove la normativa può essere ancora frammentaria e poco conoscibile. 1.3.3 Joint-venture Una delle possibilità maggiormente utilizzate per investire all’estero è rappresentata dalla ricerca di un partner locale per avviare l’attività economica e col quale costituire, quindi, una joint-venture. Tale scelta è anche incentivata dalle particolari agevolazioni concesse alle joint-venture a capitale misto, dalla migliore conoscenza del mercato di sbocco da parte del partner locale, dal minor rischio economico connesso all’iniziativa, nonché dalla maggiore forza che tale unione esercita sulla concorrenza. Tale operazione può essere effettuata attraverso l’utilizzo di diverse formule: innanzitutto si può istituire una società di capitali costituita dalle imprese partecipanti, oppure creare una partnership Economico). o GEIE Quest’ultima (Gruppo opzione Europeo è però di Interesse utilizzabile solamente in ambito comunitario e risulta vantaggiosa per le sole attività di ricerca e sviluppo, viste le numerose restrizioni al settore industriale e la responsabilità illimitata dei soci. Un’alternativa è data anche dalla formula del consorzio tra imprese o dal sempl ice contratto di cooperazione che vede ogni impresa impegnata esclusivamente per il raggiungimento dell’obbligazione assunta. 38 La tabella 5 di seguito riportata, sottolinea quelli che sono i tratti distintivi che differenziano una joint-venture da una società controllata al 100% dalla casa madre (si veda a questo proposito la pagina successiva). Tabella 5: Comparazione tra una società controllata al 100% ed una joint-venture. Società controllata Joint-venture • Iniziativa indipendente • Azione coordinata • Finanziamento a propria cura • Numerose fonti di finanziamento • Soggetta a norme sulle imprese estere • Agevolata come impresa locale (minor rischio politico) • Minore introduzione al mercato locale • Partner già introdotto sul mercato locale • Totale autonomia decisionale • Necessità di accordo e possibilità di conflitti • Assenza di contratti collegati • Contratti collegati (es. know-how, fornitura...) 39 • Facilità di controllo • Necessità di controllo contabile e di gestione Come si può notare dalla tabella, quando entra in gioco un partner già operante sul mercato locale, sorgono necessariamente nuovi problemi che non si evidenziano nel caso di una società già completamente controllata. In particolare, incomprensioni tra i partner possono sorgere nella definizione degli obiettivi da perseguire o della politica gestionale da condurre. 1.3.4 Project financing Alcune operazioni di Investimento Diretto Estero richiedono un massiccio apporto di capitale e tecnologie e, proprio per questo motivo, difficilmente potrebbero essere affrontati da un unico soggetto. Il ricorso al project financing permette di coinvolgere più soggetti economici come, ad esempio, imprese di progettazione, imprese produttive ed enti finanziatori. Tale specifico strumento si rivolge a tutti quei contratti di appalto e/o fornitura di impianti e fabbriche in vista dello svolgimento di un’attività remunerativa che può spaziare dall’estrazione di risorse naturali alla produzione di beni e servizi. Proprio richiesta il a causa principale dell’ingente soggetto disponibilità coinvolto sarà di capitali proprio il finanziatore, ma a suo vantaggio andrà il fatto che il prestito è indirizzato al progetto di investimento in sé e non ad un singolo soggetto appaltatore. Il finanziatore resta comunque soggetto ad alcuni rischi, quali, ad esempio, la fattibilità dell’opera e la redditività del progetto che possono non condurre ai risultati sperati; al fine di ridurre al minimo tali rischi, al contratto di project financing si possono aggiungere 40 ulteriori accordi e garanzie quali la garanzia di esecuzione dell’opera o accordi tra il finanziatore, l’appaltatore e lo Stato ospite. Quest’ultimo in particol are fa si che il contratto venga definitivamente assoggettato alla normativa vigente al momento della stipula, per mettersi così al riparo da norme successive e magari meno favorevoli all’investimento stesso. Il tutto senza dimenticare la necessità di copertura dal rischio politico o dalla possibilità di espropriazione e nazionalizzazione dell’impianto avviato nel paese straniero, che molto spesso sottoposizione di viene garantita eventuali dall’accordo controversie sulla all’International Center for Settlement of Investment Disputes (ICSID). 1.3.5 Altre forme di investimento diretto: la delega della produzione e la cessione di tecnologie La delega della produzione è particolarmente utilizzata qualora l’investitore non intenda costituire un’unità produttiva all’estero e ricorra, quindi, all’acquisto di beni forniti da imprese terze che produrranno in base al modello, disegni e progetti forniti dall’acquirente. Il prodotto verrà poi completato dall’impresa acquirente e sul mercato apparirà come il produttore ufficiale. Il contratto stipulato dalle due parti prende il nome di “Original Equipment Manufacturer” (OEM). Il rapporto tra le due aziende consiste nella vendita dei prodotti per un certo lasso di tempo, anche se le parti restano sempre potenziali concorrenti e sarà quindi loro cura disciplinare il rapporto in maniera completa e dettagliata. Per quanto riguarda la cessione di tecnologie, si tratta di una scelta generalmente correlata ad una joint-venture; la tecnologia, infatti, necessita di 41 una protezione maggiore rispetto al brevetto in quanto non gode della stessa tutela giuridica. Nel caso di un investimento all’estero, la tutela della tecnologia va assumendo un ruolo primario specialmente nei contratti di coproduzione con i Paesi dell’Est o i Paesi in Via di Sviluppo, dove peraltro sta assumendo sempre più i connotati di un’attività di consulenza. La tecnologia potrà quindi essere oggetto di cessione, che implica il trasferimento definitivo del know-how al soggetto straniero o di licenza e cioè di “affitto” del know-how per un certo periodo di tempo. L’analisi condotta in questo capitolo e definita come approccio “globale” agli IDE, spaziando dalla relazione tra investimenti e commercio internazionale alle strategie alla base della scel ta di insediamento su un nuovo mercato e ancora alle forme tecniche assunte dagli investimenti, costituisce il punto di partenza per procedere all’analisi del caso Italia in materia di IDE, oggetto del prossimo capitolo. 42 CAPITOLO 2 LE PRINCIPALI TENDENZE A LIVELLO MONDIALE 2.1 Evoluzione dei flussi di IDE per area geografica A conclusione di un periodo ad andamento altalenante, il 1996 ha rappresentato un anno record nel flusso di Investimenti Diretti Esteri a livello mondiale. Questo significa che le imprese di numerosi paesi del mondo, collocate geograficamente in zone economiche dalle caratteristiche più diverse, hanno espanso ulteriormente le loro operazioni all’estero in concomitanza con la progressiva liberalizzazione dei mercati mondiali. Gli investimenti in uscita hanno subito un incremento intorno al 2% raggiungendo il valore di 374 mld US$, mentre quelli in entrata si sono attestati a 349 mld US$ registrando un aumento del 10%. Nello stesso anno, flussi in entrata in 54 paesi e in uscita da 20 paesi hanno stabilito nuovi record; è stato così dimostrato che un paese con un volume elevato di IDE in uscita rappresenta spesso anche una meta molto richiesta da parte di investitori stranieri. Questo perché i fattori che rendono appetibile un paese come destinazione degli IDE sono strettamente collegati ai vantaggi competitivi che spingono le imprese residenti in tale paese ad espandere la produzione investendo all’estero. Comunque, il rapporto tra Investimenti Diretti e la politica condotta a livello nazionale nella valorizzazione dei vantaggi competitivi delle proprie imprese verrà analizzato successivamente nel capitolo. Il grafico 1 qui di seguito riportato evidenzia l’elenco dei paesi, suddivisi per aree geografiche, che si collocano ai primi posti nei flussi di IDE in uscita e in entrata: 47 Grafico 1: I 10 paesi principali negli IDE in uscita e in entrata, per area geografic a, 1996. Paesi sviluppati (Mld US $) Svezia IDE in entrata Paesi Bassi Canada Francia Stati Uniti 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 90 100 Paesi in via di sviluppo Canada Colombia IDE in uscita Svizzera Cile IDE in entrata Perù Giappone Argentina Malaysia Germania Messico Indonesia Stati Uniti Singapore Brasile 0 10 20 30 40 50 60 70 80 (Mld US $) Cina 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 45 50 Kuwait Cile IDE in uscita Brasile Tailandia Malaysia Cina Taiwan Rep. Corea Singapore Hong Kong 0 5 10 15 20 48 25 30 35 40 Europa centro - orientale (Mln US $) Lettonia Slovacchia Rep. Moldava Bulgaria Romania Lituania Albania Lettonia Ucraina Ucraina Polonia Romania Estonia Rep. Ceca Ungheria Federaz. Russa Rep. Ceca Ungheria Federaz. Russa Polonia 00 IDE in uscita IDE in entrata 501000 100 150 2000 200 3000 250 300 4000 350 400 5000 450 6000 500 Fonte: UNCTAD, tratto da: Unctad FDI/TNC database. Il quadro delineato dal grafico sottolinea l’impossibilità di un’unica spiegazione dei diversi andamenti e rende quindi necessaria un’analisi delle situazioni singolarmente considerate: ⇒ Paesi sviluppati: tale categoria ha registrato, per il 1996, un totale di 295 mld US$ investiti all’estero e 208 mld US$ ricevuti da investitori stranieri 1. In particolare, gli Stati Uniti si collocano in testa alla classifica per entrambi i tipi di investimento che hanno raggiunto circa il valore di 85 mld US$ cadauno; se si considerano solamente gli IDE in entrata, l’anno in esame ha portato un incremento del 40% ca. L’Unione Europea rappresenta da sola il 70% circa degli investimenti destinati agli Stati Uniti, seguita a debita 1 S i t r a t t a d i u n i n c r e m e n t o di non poca rilevanza se si considerano i valori rilevati per l’anno 1995: 291 e 205 mld US$ per gli IDE in uscita e in entrata rispettivamente. 49 distanza dal Giappone che, nell’arco di un anno solamente ha raddoppiato la sua quota passando dall’8% del 1995 al 16% del 1996. Tra le destinazioni principali degli IDE statunitensi, i paesi sviluppati detengono il primato con il 66%, mentre la percentuale ricoperta dai PVS si attesta al 29%. All’interno della categoria in esame, “paesi sviluppati”, Inghilterra, Germania, Francia e Giappone seguono a notevole distanza dagli USA, mentre l’Italia si colloca solo al decimo posto per quanto ri guarda gli IDE in uscita, mentre non appare nella lista per gli investimenti in entrata. ⇒ Paesi in Via di Sviluppo: innanzitutto si rileva una forte discrepanza tra il valore degli IDE in uscita e quelli in entrata, con valori che volgono decisamente a favore di questi ultimi. Nel 1996 sono stati rilevati investimenti per un valore di 51 mld US$ in uscita e di 129 mld US$ in entrata: dati, questi, che rappresentano comunque un certo incremento rispetto agli anni precedenti. A livello mondiale, la loro quota in uscita è salita al 15%, mentre in entrata è salita al 37%. La Cina si colloca al primo posto tra i paesi ospitanti, mentre Hong Kong è in testa alla classifica tra i paesi investitori dell’area dei PVS. Tra i PVS non rientranti nelle prime dieci posizioni del grafico 1, particolare rilevanza assume la situazione di quelli che sono all’interno definibili dei PVS” come e gli “ultimi che sono paesi in sviluppati maggioranza geograficamente collocati sul territorio africano 2. Tali paesi 2 Trattasi di 48 paesi, di cui 32 sono collocati nell’Africa sub-s a h a r i a n a . I primi venti in ordine di importanza nella ricezione di flussi di IDE sono i seguenti: Cambogia, Angola, Tanzania, Uganda, Lao, Myanmar, Yemen, Zambia, Vanuato, Mozambico, Lesotho, Mali, Isole Solomon, Ciad, Malawi, Liberia, Gambia, Madagascar, Bangladesh, Capo Verde, Maldive, Etiopia. 50 stanno facendo ogni sforzo per attrarre maggiori investimenti come, ad esempio, cooperando con i territori confinanti; a questo scopo è stato costituito il COMESA (Common Market for Eastern and Southern Africa), un mercato comune che stimola la crescita economica attraverso gli investimenti, la produzione e il commercio tra i 20 paesi membri. Un altro esempio è rappresentato dalla Zona Franca CFA dell’UEMOA (West African Economic and Monetary Union) il cui ultimo membro ammesso è stata la Guinea-Bissau pianificati nel numerosi Gennaio progetti 1997. che Sono stati coinvolgono inoltre investitori stranieri privati miranti al miglioramento delle infrastrutture nei settori dei trasporti e telecomunicazioni. Da sottolineare come un ostacolo all’attrazione di IDE in tali paesi è dovuta alla mancanza di informazione sulle opportunità di investimento offerte da queste economie in sviluppo. ⇒ Paesi Asiatici e America Latina: tale area ha raggiunto livelli record negli IDE in entrata e alcuni paesi appartenenti a tale area hanno superato, nel 1996, i record registrati negli anni precedenti 3. I risultati ottenuti sono riferibili al periodo caratterizzato da una congiuntura economica particolarmente favorevole che ha sostenuto e stimolato gli investimenti effettuati dalle cd. “tigri asiatiche” soprattutto in America Latina: questo prima della crisi generale che ha contraddistinto i mercati asiatici nell’anno in corso!! Il 3 I paesi che hanno raggiunto livelli record di IDE in uscita sono: Cambogia, Cina, India, Indonesia, Repubblica di Corea, Repubblica Democratica del Lao, Malesia, Maldive, Pakistan, Singapore, Vietnam nel Sud, Est e Sud-est asiatico e Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Paraguay e Perù nell’America La t i n a . 51 grafico 2 indica il flusso di IDE in uscita dai paesi del Sud, Est e Sud-est asiatico nel biennio 1995-1996: Grafico 2: IDE in uscita dai paesi del Sud, Est e Sud-est asiatico, 1995-1996 (in mld US $) 30 25 20 1995 15 1996 10 5 Ci na M ale sia Ta Re iwa n p. Co r Si ea ng ap Ho ore ng Ko ng In d Fil ia ipp i Ind ne on es Ta ia ila nd ia Pa kis t Sr an iL an ka 0 Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database. Il volume di IDE in uscita da tale area ha registrato un incremento del 10% ca. nel 1996 per un valore di 46 mld US$: il primato va a Hong Kong, come precedentemente rilevato trattando i Paesi in Via di Sviluppo. Ed è proprio questa nuova propensione principale Australia ad investire peculiarità ed America all’estero dell’area Latina in che esame: costituiscono rappresenta Nord le la America, destinazioni principali degli IDE, anche se l’Unione Europea sta diventando un’attrattiva sempre più allettante per internazionalizzare la produzione. Negli ultimi anni, inoltre, le imprese locali hanno usufruito dei numerosi vantaggi derivanti dal processo di privatizzazione in corso nell’area dell’Europa Centro-orientale. 52 ⇒ Paesi dell’Europa Centro -orientale: il flussi di IDE in entrata in questa area geografica ha subito un calo nel 1996 attestandosi a 12 mld US$ rispetto ai 14 mld US$ dell’anno precedente. Le ragioni a cui addebitare il peggioramento della situazione transizione ad sono un innanzitutto sistema ricollegabili economico di alla mercato: la mancanza di una situazione economica stabile e di chiare prospettive per il futuro può aver fuorviato gli investitori stranieri inducendo ad una sopravvalutazione del potenziale degli investimenti effettuati nell’area. I paesi che assorbono il volume maggiore di IDE restano la Repubblica Ceca, la Polonia e la Federazione Russa, che da soli hanno rappresentato, nel 1996, il 68% del flusso totale indirizzato a tale area. Gli investitori stranieri provengono per la stragrande maggioranza dall’Europa Occidentale, seguita a distanza dagli Stati industrializzazione Repubblica di e Uniti dell’Asia Corea), dalle (tra mentre economie queste la si quota di nuova distingue detenuta la dal Giappone resta ai margini. Il grafico 3 qui di seguito riportato schematizza la situazione: 53 Grafico 3: I 20 paesi principali ricettori di IDE,1995-1996 (Mld di US $) Polonia Ungheria Federaz. Russa Rep. Ceca Romania Azerbaijan Ucraina Kazakistan Croazia Lettonia Slovenia Lituania Slovacchia Bulgaria Estonia Turkmenistan 1995 1996 Albania Uzbekistan Moldova Georgia 0 1 2 Fonte: UNCTAD. 54 3 4 5 6 Nonostante gli IDE in entrata in tale area non rappresentino ancora un volume estremamente elevato, essi hanno contribuito in maniera consistente alla transizione; questo soprattutto in alcune zone dove gli investitori stranieri hanno introdotto una nuova cultura competitiva nel sistema locale e hanno apportato benefici in materia di qualità dei prodotti, diminuzione dei prezzi e l’orientamento al consumatore. Trattasi, quindi, di interventi che hanno salvaguardato la struttura produttiva già esistente da una sicura estinzione causata dall’apertura alle importazioni dall’occidente. 2.2 Boom e recessione degli IDE negli ultimi vent’anni Le diverse fasi di sviluppo che hanno caratterizzato gli Investimenti Diretti Esteri nell’ultimo ventennio hanno permesso di evidenziare l’alternarsi di fasi di esplosione ad altre di stagnazione e/o declino. Il grafico 4 e la tabella 1 evidenziano rispettivamente l’andamento degli IDE in entrata e in uscita a livello mondiale e la quantificazione degli stessi nei diversi periodi. 56 Grafico 4: IDE in entrata e uscita nel periodo 1970-1996 (mld US$) 400 350 300 250 200 150 100 50 Totali in entrata Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database 57 Totali in uscita 19 96 19 94 19 92 19 90 19 88 19 86 19 84 19 82 19 80 19 78 19 76 19 74 19 72 19 70 0 Tabella 1: Valore degli IDE in mld US$ nei periodo di boom e recessione, 1994-1996 Anni PAESI PAESI IN VIA SVILUPPATI DI SVILUPPO Entra Uscita Entra EUROPA TOTALE CENTRO – PAESI ORIENTALE Uscita Entra Uscita Entra Uscita Periodo boom (media annuale) 1979-81 36,8 55,8 16,3 1,3 0,02 0,01 53,2 57,1 1986-90 131,8 163,5 26,5 11,7 0,5 0,02 158,9 175,1 1995-96 207,0 293,0 112,5 49,2 13,3 0,5 332,9 342,8 Periodo di recessione (media annuale) 1975-77 14,6 27,3 6,5 0,4 0,003 0,01 21,1 27,8 1991-92 117,2 184,7 45,6 15,0 3,4 0,06 166,3 199,8 Fonte: UNCTAD L’enorme sviluppo degli IDE avvenuto negli ultimi due anni si differenzia, comunque, da quello che ha caratterizzato i boom precedenti e che merita un’esame distinto: 1979-1981: tale breve periodo di ripresa arriva dopo un momento di crisi molto grave causato dal secondo shock petrolifero della seconda metà degli anni ’70 e il recupero sarà merito dei maggiori paesi produttori di petrolio, che si sono concentrati sul fronte in entrata. In questo periodo, infatti, l’Arabia Saudita si collocherà al secondo posto dopo gli Stati Uniti come paese ospitante; sul fronte degli IDE in uscita, invece, il boom tocca paesi quali i Paesi Bassi , Regno Unito e Stati Uniti . Da sottolineare come , in ogni caso, il volume complessivo di IDE contribuisse per un solo formazione del Prodotto Interno Lordo mondiale. 58 2% alla 1986-1990: nel corso di questi quattro anni numerosi paesi sono emersi come importanti fonti di investimenti, tra cui spicca il Giappone dal lato degli IDE in uscita. I flussi subiscono un’influenza su due fronti differenti: da un lato le ancora esistenti pressioni protezionistiche e dall’altro i primi accenni di un processo di liberalizzazione dei mercati e da una rapida crescita dei PVS. Il boom che caratterizza il periodo è però collegato quasi esclusivamente ai paesi sviluppati, che accrescono notevolmente le rispettive quote. 1995-....: molte spiegazioni sono state date in merito al boom cominciato tre anni fa e che sta tuttora proseguendo, ma sembra che, nonostante molti paesi abbiano raggiunto livelli record, il forte incremento sia attribuibile per la quasi totalità a due paesi: Cina e Stati Uniti , che assorbono da soli quasi 1/3 del volume totale di IDE in entrata. A loro volta, Inghilterra e Stati Uniti dominano nell’ambito degli IDE in uscita, che hanno rappresentato circa il 40% del totale. Analisi condotte recentemente hanno evidenziato che, prima del termine di questa fase positiva, si potrebbe raggiungere una distribuzione degli IDE più bilanciata: paesi come Francia, Germania e numerosi PVS dal lato degli IDE in uscita e paesi dell’America Latina dal lato degli investimenti in entrata stanno infatti diventando più dinamici sia come paesi ospitanti che investitori. 2.2.1 Approfondimento sulle variazioni del volume di IDE avvenute nei PVS Il ruolo dei Paesi in Via di Sviluppo durante questi ultimi decenni, ed in particolare durante le fasi di boom e recessione analizzate nel paragrafo precedente, si è caratterizzato per un 59 andamento piuttosto vario e non sempre prevedibile. E’ quindi indispensabile un approfondimento specifico per il loro caso. La loro quota di IDE in entrata, considerata in rapporto al totale mondiale, è cresciuta dai primi anni ’90 attestandosi ad un +37% nel 1996; tale valore non supera però di molto quella che era la quota esattamente dieci anni prima e cioè all’inizio degli anni ’80. La principale differenza si ritrova comunque nel fatto che, mentre il livello raggiunto nel decennio scorso era da attribuirsi ai maggiori investimenti effettuati in alcuni paesi produttori di petrolio, i risultati più recenti riflettono una serie di maggiori e più equamente distribuiti vantaggi locativi. L’andamento fin qui delineato è chiaramente evidenziato dal grafico 5 a seguire: 60 Grafico 5: Quote percentuali dei PVS per: IDE in entrata, esportazioni e importazioni, 1970-1996 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 IDE in entrata 1986 1988 1990 Import 1992 1994 1996 Export Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database Durante i periodi di boom e recessione che precedettero, come indicato nel grafico suesposto, la linea indicante la loro quota di IDE in entrata non si è mossa sempre lungo la medesima direzione. Ad esempio, il periodo di crisi tra il 1975-77 ha causato un crollo dal 38% ca. a meno del 25%; il motivo principale a cui attribuire tale andamento negativo è stato lo spostamento degli investimenti effettuati dalle imprese verso i paesi sviluppati, in quanto preferivano concentrare tutti i fondi riservati agli IDE per sostenere le proprie affiliate fino al termine del prevedibile periodo risposta di dei crisi. PVS 61 A dimostrazione alla variabile della non congiuntura economica mondiale si colloca il boom che ha contraddistinto gli anni tra il 1986 e il 1990 e che in tali paesi ha portato un crollo negli IDE in entrata; gli investimenti riguardavano infatti fusioni e acquisizioni effettuate da imprese stabilite nei PVS, ma che erano diretti ai paesi sviluppati. Negli anni più recenti, la recessione del biennio 1991-1993 ha visto, contrariamente ad ogni aspettativa, un notevole innalzamento del numero di IDE in entrata grazie alla forte spinta ad investire proveniente dai paesi del Sud-est asiatico. In conclusione, la composizione dei maggiori paesi ricettori di IDE tra i PVS ha subito un radicale cambiamento nel corso degli ultimi anni, mettendo in secondo piano i paesi produttori di petrolio che per lungo tempo hanno detenuto il primato ricevendo, tra la fine anni ’70 e i primi anni ’80, la metà degli IDE in entrata e che attualmente non superano il livello di 1/5 sul volume globale. 2.3 La politica competitiva come elemento determinante dell’investimento sui mercati internazionali L’andamento degli IDE in entrata e uscita a livello mondiale può essere circostanze influenzato ascrivibili ad da numerosi un certo avvenimenti contesto e da economico internazionale e più o meno prevedibili; ci sono però fattori in grado di modificare e migliorare le tendenze generali. A tal proposito, il tema della competizione è in grado di assolvere proprio a questo compito e merita un’analisi distinta. L’obiettivo principale della normativa in materia di competizione che tanto sviluppo sta avendo negli ultimi anni è quello di garantire e promuovere la competizione stessa, 62 intesa come lo strumento in grado di assicurare l’efficiente allocazione delle risorse (in termini di qualità, livello dei prezzi e risposte adeguate alle esigenze dei consumatori) in una data economia di mercato. Le norme sulla competizione regolano generalmente il comportamento delle imprese proibendo l’assunzione di atteggiamenti e pratiche restrittive, come ad esempio acquisizioni e abusi di posizione dominante 1 oppure accordi orizzontali restrittivi o ancora relativi alla distribuzione verticale 2. Inoltre, stanno entrando in vigore numerose nuove leggi in materia competitiva che si occupano di alterazioni della struttura del mercato attraverso un serrato controllo sulle fusioni e acquisizioni e delle joint ventures che vuole evitare la creazione di imprese dominanti il mercato, monopoli e anche oligopoli. 2.3.1 Il rapporto tra IDE e normativa sulla competizione Il paragrafo precedente ha evidenziato quale ampia correlazione ci sia tra la progressiva liberalizzazione degli IDE e la politica in materia di competizione: l’eliminazione delle barriere agli investimenti, l’istituzione di standard di trattamento adeguati per le imprese investitrici devono andare di pari passo con l’adozione di misure che garantiscano l’adeguato funzionamento dei mercati e, di conseguenza, 1 Tali norme non considerano il caso di assunzione di posizione dominante o di possesso di un monopolio come contrari alla legge, bensì sono destinate all’abuso di queste posizioni privilegiate. 2 Più precisamente, si usa differenziare tra “accordi orizzontali” ed “accordi verticali”; i primi stanno ad indicare pratiche effettuate in concerto con altre imprese in competizione, reale o potenziale, operanti sullo stesso mercato. I secondi sono invece accordi stipulati tra i mprese attive in fasi diverse della catena produttiva o distributiva (produttori, distributori, venditori all’ingrosso etc.). 63 limitino l’insorgenza di comportamenti anticompetitivi. Nel momento in cui le autorità formulano le decisioni in materia non deve essere dimenticato che le norme sulla competizione non sostituiscono gli IDE o le politiche commerciali; trattasi infatti di tre elementi interdipendenti nel comune scopo di assicurare il corretto funzionamento del mercato. Tale obiettivo non è comunque di facile raggiungimento, in quanto molti paesi sono ancora piuttosto indietro nello sviluppo di politiche appropriate. Le leggi regolanti il sistema competitivo di una nazione si applicano a tutte le imprese operanti sul territorio e che forniscono un certo mercato attraverso un sistema di vendite interno, importazioni, affiliate con sede all’estero o ancora varie forme di IDE. Tali norme non fanno, almeno in principio, distinzioni tra imprese nazionali o straniere o, tra queste ultime, non applicano trattamenti discriminatori nei confronti delle aziende provenienti da particolari regioni del mondo. In sostanza, lo stato cerca di proteggere il mondo imprenditoriale dagli effetti negativi che possono derivare da accordi tendenti a sfavorire il commercio e gli investimenti come, ad esempio, cartelli di market-allocation internazionale degli investimenti tra imprese in competizione tra loro e che possono contenere disposizioni circa l’assunzione di un impegno a non investi re in certi mercati e comunque a non intralciarsi vicendevolmente. Il caso appena delineato non è in effetti molto frequente; di norma, infatti, il rapporto tra la normativa in materia di competizione e gli IDE emerge in occasione dello stabilimento di un’impresa affiliata all’estero tramite una fusione, acquisizione o joint venture 3 di notevole entità. 3 Affinché la joint venture susciti l’interesse delle autorità nazionali competenti in materia, deve trattarsi dell’assunzione di un’acquisizione di 64 Gli ultimi anni hanno vi sto un numero sempre maggiore di paesi adottare normative tese al controllo delle operazioni di acquisizione e, a questo proposito, è possibile identificare quattro tipi diversi di normative adottate da alcuni paesi in materia: A. Innanzitutto, fino a pochi anni fa vigeva una regolamentazione delle sole società registrate sul territorio nazionale; in Ungheria, per esempio, fino al 1997 è stata condotta una revisione della normativa da parte dell’autorità responsabile della competizione che ha coinvolto solamente le fusioni e acquisizioni tra imprese registrate nel paese; B. La crescente importanza del ruolo della partecipazione straniera in operazioni di IDE quali fusioni e acquisizioni ha reso indispensabile l’introduzione di norme specifiche al caso di acquisizione di un’impresa locale da parte di una concorrente estera. E’ evidente, infatti, la inarrestabile crescita di partecipazioni di controllo assunte da investitori stranieri su imprese strategiche per il sistema economico di una nazione. Come esempio può essere riportato il Canada, paese in cui, se nei primi anni ’70 le imprese estere coinvolte in fusioni o acquisizioni erano un terzo del totale, negli anni ’90 hanno più che raddoppiato il numero di F&A rispetto a quelle concluse tra le sole imprese locali. Anche un paese dell’Europa centro-orientale quale l’Ungheria ha modificato, nel 1997, la normativa sulle fusioni in questo senso. controllo da parte dell’impresa coinvolta. Qualora l’accordo preveda esclusivamente l’acquisto di una partecipazione azionaria maggiore senza alcun tipo di potere di controllo sull’azienda partecipata, lo stato non entra nel merito. 65 C. Considerando in maniera specifica gli IDE in uscita, ecco che una regolamentazione delle acquisizioni effettuate da un’impresa locale di una concorrente all’estero può essere giustificato dai possibili effetti sul mercato interno. A questo proposito, in Germania e Regno Unito sono stati rilevati numerosi casi del genere. D. Un altro tipo di regolamentazione che può essere applicata riguarda le fusioni e acquisizioni tra imprese straniere; il motivo principale può essere riconducibile alla presenza di una delle imprese sul proprio territorio nazionale oppure ai potenziali potrebbe effetti avere anticompetitivi sui consumatori. che A tale tal investimento proposito, dati elaborati dall’OCSE (1997), hanno rilevato che il 6% delle F&A avvenute in Germania nel 1993 non coinvolgevano imprese nazionali. In conclusione, l’analisi condotta in merito al rapporto esistente tra IDE e la normativa competitiva ha evidenziato come la maggior parte delle leggi in materia di competizione abbiano due indirizzi principali: anti accordi restrittivi (ad es. i cartelli) e anti mo nopolizzazione e abusi di posizione dominante. Trattasi quindi di stabilire regole chiare e precise a monte e che coprano i possibili effetti anticompetitivi di tutte le forme di IDE, vista l’elevata incertezza che caratterizzerebbe un procedimento avviato a posteriori. 66 CAPITOLO 3 INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: IL CASO ITALIA 3.1 La posizione detenuta dall’Italia nella propensione agli investimenti Nei capitoli precedenti è stato realizzato un excursus relativo alle diverse modalità tramite le quali l'impresa può espandere la propria attività al di fuori dei confini nazionali nonché un approfondimento delle tendenze mondiali in materia di IDE. Tra le l'internazionalizzazione Diretti Esteri sembra varie possibilità produttiva essere tramite quella che prospettate, gli Investimenti meglio esprime l'orientamento di un'impresa o più in generale di un sistema industriale che intende cimentarsi in un processo di crescita multinazi onale volto ad acquisire una presenza stabile nell'arena competitiva internazionale. Il quadro che si delineava ancora intorno alla metà degli anni Ottanta vedeva un'internazionalizzazione produttiva dell'industria italiana decisamente modesta innanzi tutto in rapporto all'investimento diretto estero entrante in Italia; con tale terminologia si fa riferimento al numero delle imprese industriali italiane partecipate dall'estero che all’epoca era due volte e mezza superiore a quello delle imprese estere industriali partecipate dall'Italia. Il ritardo era evidente proprio nei confronti degli altri Paesi industrializzati, rispetto ai quali l'Italia evidenziava un grado di internazionalizzazione attiva significativamente inferiore. Tale dato si desume dal rapporto tra il numero partecipate e di addetti delle l'occupazione imprese industriale 68 industriali interna al estere Paese considerato. Da allora ha preso avvio una fase di sviluppo multinazionale che ha consentito all'industria italiana di raggiungere una proiezione verso i mercati internazionali più consona al ruolo che il nostro Paese ha nel contesto economico mondiale. E’ solamente all'inizio degli anni novanta gli IDE in uscita hanno per la prima volta raggiunto una consistenza paragonabile a quella degli IDE in entrata. Da non dimenticare, comunque, gli elementi congiunturali decisamente sfavorevoli quali la svalutazione della lira e la recessione interna che hanno caratterizzato l’economia italiana negli anni più recenti hanno nettamente ridotto la spi nta propulsiva delle imprese principali protagoniste negli anni ottanta e la crescita multinazionale dell'industria italiana ha registrato un brusco rallentamento. Il grafico 1 qui di seguito riportato chiarifica il ruolo italiano in materia di IDE in uscita in relazione agli altri paesi sviluppati, mentre il grafico 2 considera la percentuale di Prodotto Interno Lordo costituita dagli IDE stessi. 69 Grafico 1: Valore degli IDE in uscita provenienti dai paesi industrializzati, 1995 e 1996 (in mld US$). Stati Uniti Regno Unito Germania Francia Giappone Paesi Bassi Svizzera Belgio e Lux Canada ITALIA Norvegia Svezia Spagna Danimarca Finlandia Austria Australia Portogallo 1996 Israele 1995 Sud Africa Irlanda Grecia Islanda Nuova Zelanda 0 20 40 Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database. 70 60 80 100 Grafico 2: Quota del PIL costituito dagli IDE, 1995 (%) Nuova Zelanda Belgio e Lux Australia Regno Unito Paesi Bassi Canada Irlanda Svizzera Spagna Grecia Svezia Norvegia Danimarca Francia Austria Sud Africa Stati Uniti Portogallo IDE in Uscita Germania IDE in Entrata Finlandia Israele ITALIA Islanda Giappone 0 10 20 Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database. 71 30 40 50 2.1.1 Andamento degli IDE italiani in uscita nel quadro dell’Unione Europea Un’analisi distinta merita la posizione dell’Italia all’interno dell’Unione Europea e, a questo proposito, è indispensabile effettuare un esame incrociato che prenda in considerazione l’evoluzione degli IDE in uscita nei diversi paesi. A tal proposito, la seguente tabella 1 evidenzia come il nostro paese si sia attestato nel 1996 al quinto posto (per un valore di IDE pari a 5.870 ca. milioni di US$) dopo Regno Unito, Germania, Francia, Belgio e Lussemburgo. Tabella 1: IDE in uscita dai paesi membri della CE, 1985-1996 (in milioni di US$). PAESE 85-90 D’ORIGINE 1992 1993 1994 1995 M.A. Austria Belgio 1991 597 e 3564 1996 Stime 1293 1872 1465 1203 1046 1410 6271 11407 4904 1371 11399 8983 975 1852 2236 1373 4162 2969 2510 Finlandia 1780 120 757 1401 4354 1678 3538 Francia 1427 23932 31269 2060 22801 18734 25186 Lux Danimarca 9 Germania 5 1285 23720 19670 1528 16690 34890 28652 8 0 Grecia - -2 -44 29 -4 -6 6 Irlanda 340 195 215 220 438 820 493 ITALIA 3424 6928 6502 9271 5639 6925 5866 Paesi Bassi 8810 13576 14349 1225 17188 13250 19984 8 Portogallo 57 463 687 147 287 685 770 Regno Unito 2517 16310 18990 2552 28280 42360 53499 7 0 72 Spagna 1267 4442 2192 2652 3831 Svezia 7157 7262 419 1471 6596 10733 Totali UE 8028 10636 11052 9659 11283 14911 16037 5 2 1 6 3635 6 8 4629 4847 2 Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database. Da notare come il Regno Unito dimostri elevato dinamismo e propensione all’internazionalizzazione con un costante aumento degli investimenti in uscita a partire dal 1991, mentre la Svezia, ad esempio, ha registrato un andamento molto più instabile e altalenante che ha condotto ad un crollo degli IDE in uscita da 10.733 mln US$ nel 1995 a poco più di 4.800 nell’anno successivo. Considerata come un corpus unico, l’Unione Europea continua a evidenziare comunque il più alto livello di IDE in uscita e in entrata a livello mondiale. Gli anni novanta hanno segnato un punto di svolta anche nella struttura degli investimenti effettuati dall’Unione Europea; innanzitutto, il livello di IDE in uscita sul piano intra-europeo ha raggiunto il massimo livello nel 1992 arrivando a rappresentare più del 70% del totale, come evidenziato dal grafico 3 a seguire: 73 Grafico 3: Evoluzione percentuale degli IDE in entrata e uscita nei confini dell’Unione Europea, a), 1985-1994 80 70 60 50 In Uscita 40 30 In Entrata 20 10 0 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 a) UE composta da 12 paesi membri. Fonte: Eurostat, 1997. Anche la posizione dei paesi non membri dell’UE come destinazione degli investimenti europei è notevolmente migliorata dal 1992, anno in cui rappresentavano il 28% del totale, al 1994, quando si sono attestati al 45%. I paesi ospitanti più ricercati sono rappresentati dai Paesi in Via di Sviluppo e dagli Stati Uniti, che nel 1994 hanno ricevuto il 13% e il 10% del totale rispettivamente. Da sottolineare, infine, come la stragrande maggioranza degli IDE in uscita e in entrata a livello europeo nel triennio 1994-1996 hanno avuto la forma di fusioni e acquisizioni effettuate preferibilmente oltre confine; scelta, questa, che palesa le maggiori difficoltà incontrate dagli investitori europei nell’acquisizione di imprese esistenti (attraverso la formula del take over) all’interno dell’Unione piuttosto che oltreoceano come negli Stati Uniti. 3.2 Le partecipazioni industriali italiane all’estero L’esame della situazione italiana in materia di Investimenti Diretti all’Estero non può prescindere 74 dall’analisi delle parteci pazioni industriali detenute sui mercati esteri, quale esempio dell’evoluzione che nell’arco di un ventennio ha radicalmente modificato e valorizzato il ricorso agli IDE da parte non solo dalle grandi multinazionali, ma anche delle Piccole e Medie Imprese. La situazione partecipazioni complessiva detenute da del soggetti controllo economici e delle italiani in imprese estere specializzate, ad esempio, nei settori estrattivo e manifatturiero per l’anno 1996 è indicata nella tabella 2 a seguire: Tabella 2: L’investimento diretto dell’industria italiana all’estero al 1° gennaio 1996. Partecipazioni Partecipaz. di controllo paritarie e Totale minoritarie Investitori N. % N. % N. % 499 80,2 210 33,8 622 100,0 441 23,9 1842 100,0 italiani Imprese estere partecipate - Imprese (N.) - Addetti (N.) - Fatturato (Md. lire) 1401 39836 2 10924 2 76,1 19718 66,9 5 69,7 47599 33,1 30,3 59554 7 15684 1 Fonte: database Reprint, CNEL – R&P- Politecnico di Milano. 75 100,0 100,0 Da tale tabella si desume come gli investitori italiani che detengono il controllo di almeno un’impresa industriale estera sono 499, mentre le partecipazioni di minoranza si attestano a quota 210 1. Esemplificativa da un punto di vista più evolutivo, la tabella 3 illustra la dinamica dell’evoluzione di lungo periodo (1986-1996) delle partecipazioni come forma prescelta di IDE da parte del mondo industriale italiano: 1 Facendo la somma tra il numero di investitori con partecipazioni di controllo e di quelli con partecipazioni minoritarie, si nota come il totale risulti superiore a quello indicato in 622 investitori italiani. Questo in quanto un soggetto investitore può detenere partecipazioni di entrambe le tipologie di investimento. 76 Tabella 3: Evoluzione delle partecipazioni all’estero nel periodo: 1° gennaio 1986 – 1° gennaio 1996. Partecipazioni Partecipazioni paritarie e di controllo N. minoritarie Totale partecipazioni Indice N. Indice N. Indice Investitori Esteri (N.) - al 1.1.1986 166 100,0 130 100,0 263 100,0 - al 1.1.1988 189 113,9 122 93,8 271 103,0 - al 1.1.1990 220 132,5 141 108,5 309 117,5 - al 1.1.1992 301 181,3 156 120,0 394 149,8 - al 1.1.1994 418 251,8 196 150,8 546 207,6 - al 1.1.1996 499 300,6 210 161,5 622 236,5 N. Indice N. Indice N. Indice Imprese partecipate (N.) - al 1.1.1986 425 100,0 246 100,0 671 100,0 - al 1.1.1988 565 132,9 246 100,0 811 120,9 - al 1.1.1990 744 175,1 289 117,5 1033 153,9 - al 1.1.1992 974 229,2 347 141,1 1321 196,9 - al 1.1.1994 1202 282,8 398 161,8 1600 238,5 - al 1.1.1996 1401 329,6 441 179,3 1842 274,5 14117 100,0 89430 100,0 23860 100,0 Addetti (N.) - al 1.1.1986 1 - al 1.1.1988 23760 1 159,3 12110 7 5 77 135,4 35871 2 150,3 - al 1.1.1990 27705 185,7 15311 3 - al 1.1.1992 33715 226,0 230,9 54368 0 38053 255,1 267,1 19651 219,7 57705 241,8 3 19718 2 227,9 2 6 39836 180,3 2 20653 7 - al 1.1.1996 43017 9 2 - al 1.1.1994 171,2 220,5 59554 5 240,6 7 Fatturato (Md. di lire) - al 1.1.1986 32182 100,0 10257 100,0 42439 100,0 - al 1.1.1988 42013 130,5 14441 140,8 56454 133,0 - al 1.1.1990 56340 175,1 21202 206,7 77542 182,7 - al 1.1.1992 74706 232,1 30727 299,6 10543 248,4 4 - al 1.1.1994 97474 302,9 40489 394,7 13796 325,1 3 - al 1.1.1996 10924 339,5 47599 464,1 15684 2 369,6 1 Fonte: CNEL. Il periodo considerato ha costituito una tappa fondamentale del processo di espansione internazionale che ha caratterizzato l’industria italiana. Fino alla metà degli anni ’80, infatti, l’opzione IDE e di conseguenza la quantità di partecipazioni all’estero era alquanto modesta nel comparto industriale rispetto ai livelli già raggiunti dagli altri paesi europei. Da questo momento in poi si è registrato un vero e proprio boom degli IDE nel comparto industriale italiano , grazie al quale l’orientamento internazionale delle imprese ha raggiunto livelli più adatti al peso del nostro paese sui mercati esteri. Il numero delle multinazionali è quindi più che raddoppiato (da 263 a 622 unità = + 136,5%), come del resto 78 si è triplicato il numero di investitori che controllano almeno un’attività (da 166 a 499). Con gli anni coinvolgimento novanta delle si concretizza imprese nei il progressivo processi di internazionalizzazione produttiva; nonostante un’ottantina di aziende escano dal club degli investitori in seguito alla dismissione delle partecipazioni all’estero o per essere state loro stesse oggetto di acquisizione, sono state circa 400 le nuove adesioni, tra cui spicca un numero notevole di Piccole e Medie Imprese 2. La tabella rileva altresì come, a partire dal 1993, la crescita delle multinazionali italiane e la loro conseguente propensione ad investire all’estero abbia subito un rallentamento, nonostante l’espansione produttiva non si sia mai del tutto interrotta. Durante il biennio ‘94/’95, inoltre, il numero delle nuove partecipazioni si attesta sui precedenti livelli del 1993 intorno alle 200 l’anno e fortunatamente anche il numero delle dismissioni subisce un rallentamento. Infine, il confronto tra i tassi di crescita assunti dai diversi indicatori rispetto alla tipologia dell’investimento (che si tratti, cioè, di partecipazioni minoritarie o di controllo) mette in evidenza l’evoluzione qualitativa avvenuta tra le modalità di internazionalizzazione delle imprese. 3.2.1 I protagonisti: suddivisione degli IDE per dimensione dell’investitore e regione d’origine Uno dei tratti distintivi della accresciuta propensione all’investimento delle nostre imprese è dato dal crescente 2 A tal proposito, è indispensabile sottolineare che il proliferare di nuove iniziative da parte delle PMI rende alquanto problematica un’accurata rilevazione di tutte le loro attività con l’estero. Di conseguenza, una sottostima delle imprese che si rivolgono all’estero sarà inevitabile a causa delle microiniziative che sfuggono anche alle ricerche effettuate dai paesi ospitanti. 79 coinvolgimento delle Piccole e Medie Imprese (PMI) nei processi di internazionalizzazione della produzione. Il rilievo che tale fenomeno va assumendo è di portata tale da rendere necessario un approfondimento delle strategie adottate dalle PMI, cui sarà dedicato il paragrafo 2. . . La tabella 4 riportata nella pagina successiva schematizza, a tal proposito, la ripartizione delle partecipazioni italiane all’estero a seconda delle dimensioni dell’investitore. 80 Tabella imprese 4: Classificazione industriali delle all’estero partecipazioni al 1° gennaio italiane 1996, in per dimensione dell’investitore. Case Madri N. Imprese Addetti Estere Imprese Partecipate Partecipate % N. % N. % Partecipazioni di controllo Fino a 49 addetti 93 18,7 103 7,4 14807 3,7 Da 50 a 99 85 17,1 113 8,1 8569 2,2 100 a 199 87 17,5 108 7,7 14069 3,5 200 a 499 100 20,1 169 12,1 23856 6,0 500 a 999 44 8,8 95 6,8 11381 2,9 Da 1000 a 1999 36 7,2 143 10,2 35897 9,0 29 5,8 132 9,4 28675 7,2 24 4,8 538 38,4 26114 65,6 addetti Da add. Da add. Da add. add Da 2000 a 4999 add Oltre 4999 addetti 8 Totale 498 100,0 1401 100,0 39836 100,0 2 Partecipazioni minoritarie e paritarie Fino a 49 addetti 42 19,9 42 9,5 4854 2,5 Da 50 a 99 26 12,3 32 7,3 2091 1,1 100 a 199 37 17,5 47 10,7 3604 1,8 200 a 499 48 22,7 72 16,3 8786 4,5 addetti Da add. Da add. 81 add. Da 500 a 999 16 7,6 27 6,1 9068 4,6 Da 1000 a 1999 12 5,7 20 4,5 6303 3,2 12 5,7 15 3,4 6379 3,2 18 8,5 186 42,2 15610 79,2 add. add Da 2000 a 4999 add Oltre 4999 addetti 0 Totale 211 100,0 441 100,0 19718 100,0 5 Totale partecipazioni Fino a 49 addetti 129 20,7 145 7,9 19661 3,3 Da 50 a 99 105 16,9 145 7,9 10660 1,8 100 a 199 116 18,6 155 8,4 17633 3,0 200 a 499 128 20,6 241 13,1 32642 5,5 500 a 999 52 8,4 122 6,6 20449 3,4 Da 1000 a 1999 38 6,1 163 8,8 42200 7,1 29 4,7 147 8,0 35054 5,9 25 4,0 724 39,3 41724 70,1 addetti Da add. Da add. Da add. add Da 2000 a 4999 add Oltre 4999 addetti Totale 8 622 100,0 1842 100,0 59554 100,0 7 Fonte: CNEL- R&P- Politecnico di Milano. 82 Dalla tabella si rileva come, delle 622 multinazionali censite nel 1996, 350 (corrispondente al 56,3% del totale) sono imprese con un numero di dipendenti inferiore a 200, mentre ben 478 (ovvero il 76,8%) contano meno di 500 addetti. Se ne desume un aumento del peso dei gruppi di media taglia internazionale, che vanno, cioè, da 500 a 4.999 addetti e che nel 1995 hanno contribuito per il 45% del totale. Attualmente, gli investitori in tale fascia dimensionale rappresentano circa 1/5 delle multinazionali ital iane e il loro apporto all’internazionalizzazione produttiva si attesta intorno al 23,2% delle imprese partecipate, al 16,2% dei relativi addetti e al 10,6% del fatturato. Naturalmente, il contributo complessivo apportato da tali aziende alla consistenza globale delle partecipazioni estere sarà di impatto minore rispetto a quello delle grandi multinazionali. Per quanto riguarda la distribuzione regionale delle multinazionali, la tabella 5 sotto riportata è esemplificativa della ripartizione delle imprese partecipate per regione di origine delle case madri. 83 Tabella 5: Ripartizione degli investitori italiani con partecipazioni in imprese all’estero al 1° gennaio 1996, per regione di origine. Case Madri Italia nord - Imprese Addetti Estere Imprese Partecipate Partecipate N. % N. % N. % 285 46,8 731 54,0 16640 58,1 occident. 2 Valle d’Aosta Piemonte Lombardia 0 0,0 0 0,0 0 0,0 76 12,5 185 13,7 28035 9,8 198 32,5 535 39,5 13750 48,0 8 Liguria 11 1,8 11 0,8 859 0,3 213 35,0 442 32,7 78637 27,4 95 15,6 173 12,8 29755 10,4 – 12 2,0 12 0,9 577 0,2 Venezia 19 3,1 29 2,1 4288 1,5 – 87 14,3 228 16,9 44017 15,4 Italia centrale 74 12,2 129 9,5 32219 11,2 Toscana 26 4,3 54 4,0 20563 7,2 Umbria 6 1,0 7 0,5 560 0,2 Marche 20 3,3 35 2,6 7399 2,6 Lazio 22 3,6 33 2,4 3697 1,3 37 6,1 51 3,8 9343 3,3 Abruzzo 5 0,8 5 0,4 511 0,2 Molise 0 0,0 0 0,0 0 0,0 Italia nord - orientale Veneto Trentino Alto Adige Friuli – G. Emilia Romagna Mezzogiorno e Isole 84 Campania 10 1,6 20 1,5 3572 1,2 Puglia 15 2,5 18 1,3 3962 1,4 Basilicata 1 0,2 1 0,1 300 0,1 Calabria 1 0,2 1 0,1 30 0,0 Sicilia 3 0,5 4 0,3 748 0,3 Sardegna 2 0,3 2 0,1 220 0,1 609 100,0 1353 Totale 100,0 28660 100,0 1 Gruppi esclusi 5 479 30716 (a) 9 Sede non 8 10 1777 622 1842 59554 identificata Totale 7 a) Dal computo sono esclusi i gruppi Eni, Iri, Fiat, Cir e Compart (Ferruzzi). Fonte: CNEL. Dall’analisi sono stati esclusi i cinque grandi gruppi industriali italiani (cfr. a)), in quanto risulta complicato attribuire un’origine regionale specifica ai loro Investimenti Diretti, trattandosi molto spesso di operazioni effettuate da subholding domiciliate all’estero; il computo ha altresì escluso sette soggetti investitori di cui non è stato possibile stabilire la provenienza 3. Nel complesso, l’analisi regionale ha interessato il 98,1% dei soggetti investitori totali (610 su un totale di 622): 3 Tra le multinazionali prese in esame al fine di costruire la tabella vi sono 49 investitori la cui identità non è nota, ma che sono stati ugualmente inseriti nel computo in quanto erano note le caratteristiche delle imprese straniere partecipate. 85 di queste, 285 (46,8%) provengono dalle regioni nord- occidentali ed in particolare Lombardia e Piemonte, 213 (35%) dall’Italia nord-orientale (Veneto ed Emilia Romagna soprattutto), 74 (12,2%) dal centro del paese e solamente 37 (6,1%) dal meridione e isole. Si nota, quindi, come il club degli investitori risulti territorialmente molto concentrato nell’Italia del nord. Il sud del paese resta notevolmente arretrato rispetto alle aree più avanzate; si pensi che in Basilicata, almeno secondo dati relativi al 1996, non vi è alcuna impresa multinazionale e che il contributo della Puglia deriva da delocalizzazioni produttive indirizzate verso l’Albania nei comparti tessile e calzaturiero. 3.2.2 Localizzazione geografica e settore di attività delle imprese partecipate Ai fini della corretta valutazione delle tendenze prevalenti nel mondo industriale italiano in materia di Investimenti Diretti Esteri è necessario effettuare uno studio delle principali caratteristiche strutturali delle imprese partecipate; analizzare, cioè, quelle che sono la loro collocazione geografica di destinazione e l’ambito di attività in cui operano. Da notare come la creazione del Mercato Unico abbia rappresentato il punto di partenza e lo stimolo necessari per l’ingresso in nuovi mercati da parte di numerose imprese. Tutti i riferimenti a dati e tabelle contenuti in tale paragrafo rimandano all’APPENDICE A collocata al termine dell’opera. La composizione settoriale delle partecipazioni detenute all’estero è nettamente favorevole ai settori con forti economie di scala che, da soli, assorbono il 67,2% dell’occupazione delle imprese industriali partecipate all’estero. A sua volta, l’incidenza dei settori tradizionali si attesta al 15,4%, mentre 86 quelli specialistici e ad alta intensità tecnologica giungono alle quote più modeste del 9% e 8,4% rispettivamente. Prima di procedere con l’analisi specifica delle destinazioni e per settori di attività degli IDE dei comparti industriali italiani, bisogna sottolineare che il biennio 1990-91 è stato testimone di una prima, forte ondata di IDE verso i paesi dell’Europa Orientale in seguito alle conseguenze della caduta del Muro di Berlino e dal crollo dei regimi comunisti. Nei due anni a seguire, 1992-93, la presenza italiana sui mercati dell’Europa Occidentale subisce un calo del 5,5%, la cui causa è da attribuirsi alle vistose diminuzioni registrate nei comparti tradizionale e rispettivamente). dell’alta In tecnologia contrazione (-32,3% appaiono e altresì 27,3% sia la presenza in Nord-America (-20,2%) e in America Latina (8,0%). Al contrario, prosegue l’escalation dell’Europa Orientale che attesterà tale area al secondo posto tra le località di destinazione delle partecipazioni in termini di addetti alle imprese partecipate. Il breve quadro fin qui delineato rappresenta il punto di partenza per lo studio degli IDE dal punto di vista delle: a)articolazione geografica e b) settoriale: a) Considerando l’evoluzione dei mercati di sbocco degli Investimenti Diretti italiani, dati relativi al 1996 rilevano come le partecipazioni industriali si siano orientate verso un totale di 93 paesi del mondo 4. Con riferimento alla tabella A.1 contenuta nell’APPENDICE A si nota come, a 4 Nonostante il numero dei paesi di destinazione sia rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi anni, l’insieme dei paesi ospitanti ha comunque subito delle modificazioni: ad esempio, non vi sono più partecipazioni italiane a CIPRO ed in MOLDAVIA, mentre due nuovi mercati si sono a g g i u n t i d a l biennio 1994-95, quali MACEDONIA e GIORDANIA. 87 livello di macro-aree, le imprese partecipate con sede in Europa Occidentale sono 854 e rappresentano il 46,4% del totale, in Europa Orientale 307 (16,7%, inclusa l’intera exUnione Sovietica). Seguono, a debita distanza, l’America Latina con 204 imprese (11,1% del totale) ed il Nord America con il numero piuttosto esiguo di 175 aziende partecipate. Le rimanenti aree del Pacifico, dell’Africa e dei paesi asiatici, complessivamente intese, non superano il 16,4% del totale. partecipazione è Dal punto importante di vista rilevare delle le forme di sostanziali differenze a seconda delle aree di destinazione, come evidenziato dal l a tabella A.2. Nelle zone di maggiore tradizione insediativa sono le partecipazioni di controllo ad avere la netta supremazia e vanno ad incidere per ben il 72,4% del totale per l’Europa Occidentale, 73,3% per il Nord America e il 76,6% per l’America Latina. Inoltre, con il miglioramento delle relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Est europeo e la progressiva eliminazione delle barriere imposte in precedenza dalle legislazioni locali, il numero di partecipazioni di controllo ha subito un netto incremento registrando nel biennio ‘94-‘95 l’ingresso di 97 nuovi investitori nella realtà economica locale. Anche il numero di addetti è così salito di 16.804 unità (+21,2%). Da sottolineare come, in effetti, sia un numero ristretto di paesi che continua a concentrare quote significative degli IDE italiani: solamente dieci paesi coprono oltre i 2/3 del totale degli addetti nelle imprese all’estero. Come si desume dalla stessa tabella, al 1° posto si colloca la Francia che con i suoi 110 mila addetti rappresenta il 18,4% del totale, mentre altri paesi quali Brasile, Stati Uniti, Germania, Spagna, Regno Unito, Polonia, India, Ungheria e Cina seguono a distanza elevata. La Polonia, 88 ad esempio, continua ad essere una tra le mete preferite dagli investitori; a favorire tal e sviluppo anche gli insediamenti di fornitori del gruppo Fiat secondo la logica del follow the customer. Particolare la situazione della Cina che in soli due anni è passata dal 26° al 10° posto, grazie al numero degli addetti che si è praticamente quadruplicato e al rinnovato interesse che gli investitori dimostrano nei confronti di un paese sempre più ricettore di flussi di IDE da ogni parte del mondo. E dall’Italia sono in corso di preparazione numerose iniziative che potranno far salire ulteriormente la posizione attualmente occupata dal paese. Concludendo, la spiegazione dei dati riportati nella tabella A.2 quasi certamente ha sottostimato tutte quelle iniziative avviate e/o realizzate negli anni più recenti dalle entità di dimensioni inferiori costituite dalle PMI e da investitori individuali. Le loro attività sono infatti scarsamente reclamizzate e possono sfuggire a molteplici rilevazioni. b) L’approfondimento dell’articolazione settoriale delle partecipazioni industriali prenderà come spunto le tabelle A.3 e A.4 contenute nell’APPENDICE A, le quali vogliono evidenziare le tendenze evolutive di medio-lungo e breve periodo per ambito di attività e numero di addetti all’estero. Da notare come le due tabelle si distinguano nell’oggetto dell’analisi: la prima analizza, infatti, le industrie estere a controllo italiano, mentre la seconda quelle a partecipazione, coprendo l’arco temporale tra il 1986 ed il 1996. Entrambe le tabelle rivelano un incremento di enormi proporzioni avvenuto negli ultimi dieci anni in tutti i settori produttivi: i comparti tradizionali 89 (alimentari, tessile, abbigliamento, industrie manifatturiere in generale etc.) hanno fatto un salto nel numero di imprese controllate e partecipate registrando un aumento del 292,9% e del 405,3% rispettivamente. partecipazioni, in Per quanto particolare, esse riguarda si le concentrano soprattutto nei settori con forti economie di scala (ad esempio, alimentari, autoveicoli e chimica, componentistica per lavorazione auto etc.), metalli, i quali comprendono oltre la metà delle imprese partecipate come si rileva dalla tabella A.5: dati relativi al 1° gennaio 1996, infatti, indicano che tali settori rappresentano il 52% del totale con 957 imprese industriali estere. Al secondo posto si collocano i settori tradizionali con il 26,1% per un totale di 480 imprese, mentre i settori specialistici rappresentano il 12,2% e quelli a elevata intensità tecnologia il 9,8%. Da sottolineare come l’ultimo biennio abbia visto il comparto tradizionale particolarmente dinamico in termini di aumento del numero di addetti con un +20,3%, che diventa +70% se si considera il solo settore cuoio e calzature. Per quanto concerne il “sistema moda italiano”, l’ultimo quadriennio ha evidenziato uno spostamento delle direttrici di investimento. Fino a pochi anni fa, infatti, gli IDE del settore erano rivolti ai principali paesi europei (Francia e Germania in particolare) e verso gli Stati Uniti 5, mentre attualmente gli investitori cercano vantaggi soprattutto nel rapporto efficienza-costo delle risorse umane localizzando, di conseguenza, i loro investimenti dei processi di lavorazione in paesi quali l’Europa Orientale, Maghreb, 5 Alcuni esempi sono rappresentati dalle acquisizioni effettuate da Gft (Beumler), Miroglio (Ulmia Steiger etc) e Marzotto (Hugo Boss e Joseph & Feiss) in Germania. 90 India, Messico e Paesi in Via di Sviluppo in generale. Alla base di tale scelta il vantaggio competitivo delle imprese che sopportano un costo della manodopera notevolmente inferiore rispetto a quello presente nei paesi industrializzati. 3.3 Le “piccole multinazionali” negli IDE Come accennato in precedenza, il ruolo delle Piccole e Medie Imprese sta assumendo sempre più rilevanza nel mondo economico globale che si va delineando; di conseguenza, anche queste strutture di ridotte dimensioni e non dotate dell’apparato strutturale, finanziario e organizzativo delle grandi multinazionali tentano in maniera molto decisa di accaparrarsi una fetta di mercato estero attraverso gli Investimenti Diretti Esteri. Consci delle enormi possibilità di sviluppo internazionale delle PMI italiane, le autorità nazionali nonché quelle comunitarie si stanno adeguando alle loro esigenze attraverso la costituzione di un vasto apparato normativo in continua evoluzione. Dal punto di vista geografico, la scelta di internazionalizzazione delle PMI trova grandi opportunità di sviluppo nei paesi dell’Europa Orientale come risulta dalla tabella A.6 collocata nell’APPENDICE A. In tale area, infatti, hanno trovato collocamento il 31% delle imprese partecipate da soggetti investitori provenienti da aziende con meno di 500 dipendenti e il 46,7% degli relativi addetti (le punte più elevate in Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria). Da sottolineare il fatto che le 213 iniziative di IDE rilevate tra le PMI rappresentano ben il 69,4% del totale delle partecipazioni italiane localizzate in Europa Orientale. I flussi in uscita degli IDE realizzati dalle PMI italiane 91 privilegiano i paesi culturalmente e geograficamente più vicini, come Francia, Portogallo Spagna, Svizzera, mentre piuttosto limitate le attività condotte con i paesi dell’Europa settentrionale. La tabella rivela che, comunque, le partecipazioni estere delle PMI si rivolgono a tutte le aree geografiche mondiali; l’area del Pacifico, ad esempio, rappresenta l’8,2% delle destinazioni delle partecipazioni italiane e, all’interno di tale area, Cina, Malesia, Singapore costituiscono mete privilegiate dai piccoli e medi imprenditori. Se si considera la ripartizione settoriale, le PMI, viste le loro dimensioni, tendono a concentrarsi sui settori tradizionali quali il tessile-abbigliamento, cuoio, pelletteria, calzature, nonché sui settori specialistici ed in particolare nelle macchine/apparecchi meccanici e apparecchiature strumentali. La tabella A.7 evidenzia tutto ciò sottolineando come le attività tradizionali rappresentino il 35% delle partecipazioni detenute all’estero dalle PMI e ben il 50% del totale di tale forma di investimento diretto prescelta dall’industria italiana complessivamente intesa. A loro volta, anche gli investimenti nei settori specialistici da parte delle piccole e medie imprese sono rappresentati dal 18,1% delle imprese partecipate; al contrario, nell’alta tecnologia si sottolinea la presenza di alcune “piccole multinazionali” piuttosto attive nell’ambito della farmaceutica, derivati chimici e strumentazione. In questo caso, le limitate dimensioni riflettono un’esigenza di efficienza produttiva e si rivelano una scelta adatta alle richieste di differenziazione produttiva e alle economie di caratterizzanti le principali richieste del mercato attuale. 92 scala 3.3.1 Le logiche alla base dell’Investimento Diretto Estero delle PMI italiane Il crescente coinvolgimento delle imprese di minori dimensioni nell’attuale processo di internazionalizzazione della produzione rende necessaria un’analisi delle logiche e strategie perseguite dalle PMI nella loro incessante “crescita multinazionale”. Studi recenti 6 hanno rilevato come vi siano differenze sostanziali nell’approccio ai mercati esteri delle PMI rispetto alle grandi multinazionali. E’ così stato possibile selezionare alcune logiche settoriali più ricorrenti nel loro processo di internazionalizzazione: ◊ Per quanto riguarda i settori tradizionali, le PMI ital iane scelgono quale destinazione principale dei loro investimenti l’Europa Orientale, come precedentemente evidenziato. Le scelte strategiche del management aziendale si orientano generalmente verso una determinata opzione a seconda dell’attività condotta e del vantaggio competitivo in possesso dell’impresa. Le situazioni più ricorrenti sono le seguenti: essi considerando acquistano gli rilevanza investimenti in labour-seeking, particolare nel comparto produttivo del tessile-abbigliamento, calzature e pelletteria. Tali settori sono infatti rinomati per ricercare mercati di sbocco ad alta intensità di lavoro e che permettano quindi il pagamento di salari reale inferiori a quelli occidentali, senza per questo dover rinunciare ad un discreto livello qualitativo delle risorse umane. Se invece l’obiettivo è di crearsi un accesso privilegiato a materie prime e prodotti intermedi a basso 6 costo, l’investimento verrà identificato come Gli ultimi anni hanno visto un prolificare di indagini sulla base dei dati e informazioni reperibili dalla banca dati Reprint, CNEL - R&P -Politecnico (Milano). 93 resource-seeking (ad es. metalli, minerali non metalliferi etc.). In casi come questo, la scelta tra IDE e relazioni di mercato come subforniture, accordi contrattuali ed altro è principalmente determinata dal trade-off tra le esigenze in termini di qualità del prodotto e la flessibilità nella gestione degli approvvigionamenti. ◊ I settori scale-intensive si contraddistinguono per IDE effettuati dalle Piccole e Medie Imprese prevalentemente market-seeking e le destinazioni favorite si concentrano nell’area dei Investimenti paesi diretti europei sia dell’est che di stampo market-seeking all’estero dell’ovest. caratterizzano anche i settori specialistici della meccanica strumentale, anche se in questo caso ci si trova in presenza di partecipazioni localizzate geograficamente più lontano fino a toccare l’Area del Pacifico e l’America Latina. Le piccole multinazionali italiane tendono a decentrare in questo ramo di attività in particolare le fasi di montaggio e assemblaggio a seconda delle specificità della zona prescelta e della possibilità di diminuire i costi di trasporto. Una tale scelta di IDE non permette, però, la creazione di una strategia aziendale di lunghe vedute ed un controllo serrato in quanto l’impresa è legata da cessione di impianti chiavi -i n-mano, tecnologie e know-how all’impresa partecipata. Un certo numero di iniziative di investimento market-seeking, effettuati sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli avanzati, caratterizza altresì i settori ad elevata intensità tecnologica (farmaceutica, informatica, elettronica etc.); in tale ambito, però, l’elemento che può fare la differenza nella decisione del management aziendale è la possibilità di accedere agli assets tecnologici dell’impresa partecipata. 94 Come in precedenza sottolineato, numerose differenze negli orientamenti strategici relativamente agli IDE sono state rilevate nel corso di studi condotti sulle partecipazioni italiane detenute nei paesi dell’Europa Occidentale e Orientale 7. Gli IDE effettuati da imprese e/o gruppi di grandi dimensioni (i.e. con più di 5.000 addetti) sono totalmente finalizzati alla penetrazione del mercato locale, mentre la quota di iniziative market-seeking scende al 40% del totale per quei soggetti investitori con un numero di addetti inferiore a 500. La maggioranza degl i investimenti all’estero effettuati dalle imprese di dimensioni minori mirano più che altro ad usufruire di un vantaggio competitivo nelle attività labour intensive , a mantenere un accesso di favore a materie prime e prodotti intermedi a basso costo oppure ancora alla stipula di accordi sulla cessione di tecnologie, impianti e know how ad un’impresa locale. Naturalmente, la piccola e media impresa dovrà sopportare vincoli e difficoltà maggiori dal punto di vista finanziario e manageriale soprattutto nel far fronte all’incertezza e rischi collegati ad un’attività all’estero. Dovranno infatti essere affrontate numerose situazioni di rischio derivanti dalla mancanza di familiarità verso il contesto economico e culturale locale, nonché previsioni dalla attendibili sul maggiore difficoltà possibile nell’effettuare andamento e sviluppo dell’attività d’azienda. Tutti questi sono elementi che andranno ad influenzare notevolmente la strategia di internazionalizzazione adottata dall’impresa in questione. Il metodo migliore per cercare di ovviare alla elevata incertezza è senza dubbio l’informazione; di conseguenza, si rendono raccomandabili conoscenza, 7 investimenti anche se le sistematici PMI in saranno nuove sicuramente A tal proposito cfr. Mariotti e Mutinelli (1994) e Piscitello (1996). 95 fonti di più svantaggiate rispetto ai grandi gruppi multinazionali. Queste ultime, infatti, anche in materia di assets conoscitivi sono in genere favorite dalla presenza di numerose consociate estere, attraverso le quali apprendono tutte le informazioni necessarie allo sviluppo dell’attività all’estero e al migliore contatto con la realtà locale. Al contrario, una media impresa-tipo sarà alla sua prima esperienza internazionale e sarà consigliabile una preventiva e approfondita analisi di fattibilità che permetta il reperimento del maggior numero di informazioni possibili sull’investimento in fieri, nonostante un tale processo richiede l’impiego di ingenti mezzi finanziari. Le considerazioni fin qui esposte portano le PMI ad operare in condizioni di razionalità limitata nonché ad attuare strategie di internazionalizzazione in cui la prudenza e la minimizzazione del rischio diventano le priorità a discapito degli IDE market seeking. Gli Investimenti Diretti Esteri miranti alla conquista di una fetta del mercato straniero, infatti, oltre alla del ocalizzazione della produzione, comportano altresì lo sviluppo di adeguate reti distributive e di un supporto tecnico all’avanguardia. Il metodo per ridurre al minimo i costi si trova molto spesso nella scelta delle PMI di creare joint ventures od assumere partecipazioni di minoranza in imprese straniere. La condivisione dell’investimento con un partner estero permette infatti la riduzione del coinvolgimento finanziario ed un prezioso punto di riferimento per il reperimento di informazioni sul mercato local e che permetta previsioni attendibili sull’andamento e le prospettive future della domanda nel settore di attività. In conclusione, la creazione di adeguate strutture, istituzionali e non, a sostegno dell’internazionalizzazione delle PMI è di cruciale importanza per un sistema industriale come il 96 nostro, caratterizzato dalla presenza di un vastissimo numero di aziende di ridotte dimensioni e sofferente per un ritardo nel processo di globalizzazione rispetto agli altri paesi economicamente avanzati. 3.4 Principali fonti di finanziamento nazionali e comunitarie per gli IDE delle Piccole e Medie Imprese Affinché gli IDE possano diventare uno strumento in grado di avvicinare sempre più il mondo dei piccoli e medi imprenditori al mercato globale, si rendono indispensabili, come spiegato nel precedente paragrafo, interventi normativi finalizzati al sostegno dei settori che attraversano una difficile fase di adattamento alle nuove esigenze di mercato. Si tratta quindi di dare una precisa ed organica regolamentazione ad una materia per altro molto vasta e nel presente lavoro si intende rimarcare quelle che sono le iniziative principali avviate nel corso degli ultimi anni dalle autorità nazionali e comunitarie preposte. Per quanto riguarda i provvedi menti a livello nazionale, le principali leggi incentivanti gli IDE approvate dalle autorità italiane sono le seguenti: ⇒ legge 394/81: si tratta di agevolazioni in favore delle PMI esportatrici comprese quelle agricole, turistiche, alberghiere, sia si ngole che riunite in consorzi e che siano intenzionate a stabilirsi definitivamente sui mercati esteri. Tale legge permette di coprire le spese necessarie alla costituzione e finanziamento di strutture per la commercializzazione dei prodotti italiani, nonché quelle sostenute per effettuare studi di mercato, attività di training e pubblicità; 97 ⇒ legge 49/85: promozione di investimenti effettuati da cooperative che radunano lavoratori licenziate da aziende in crisi e messi in cassa integrazione. Al finanziamento sono ammesse le spese sostenute in vista dell’ammodernamento dei mezzi di produzione e/o servizi tecnici, commerciali e amministrativi; i costi derivanti dalla razi onalizzazione della rete commerciale, ristrutturazione degli impianti, nonché per l’acquisto di impianti nel settore della distribuzione, turismo etc. Da tale possibilità sono escluse le spese sostenute negli anni precedenti la presentazione della domanda; ⇒ legge 449/97: incentivi fiscali alle PMI commerciali e turistiche che appartengono al settore del commercio e anche le imprese turistiche iscritte al Registro delle Imprese della provincia in cui è ubicata la sede principale. Tale contributo prevede la concessione di una serie di “bonus” fiscali da utilizzare in sede di versamento d’imposta. Le spese ammessa sono quelle relative all’acquisto di beni strumentali nuovi di fabbrica ed oggetto di ammortamento, valido anche per gli acquisti di valore inferiore ad un milione per i quali l’ammortamento non è necessario. Oggetto di notevole interesse sono i programmi di finanziamento e promozione degli investimenti all’estero per le PMI ideati nel quadro della Comunità Europea e dell’ormai imminente Mercato Comune. Qui di seguito verranno evidenziati i tratti distintivi delle tre iniziative principali in ordine di creazione: 98 ECIP (European Community Investment Patners) L’ECIP è uno strumento finanziario istituito nel 1988 dalla Comunità Europea e dalla sua creazione sono state approvate più di 1.500 azioni per un valore superiore a 173 milioni di ECU (European Currency Unit). Il programma è gestito dalla Commissione europea a Bruxelles, la quale usufruisce della collaborazione di un’ampia cerchia di istituzioni finanziarie e agenzie di parlando, promozione l’ECIP offre degli investimenti. cinque facilities Tecnicamente (facilitazioni) di carattere tecnico e finanziario per il completamento delle diverse fasi che conducono alla creazione di imprese miste nei Paesi in Via di Sviluppo, Mediterraneo e Africa del Sud. I beneficiari per eccellenza di tale programma sono le PMI, ma le stesse grandi imprese si trovano nella possibilità di fare richiesta e la loro domanda sarà approvata qualora venga accertato che il progetto di investimento aumenterà lo sviluppo del paese di destinazione. Singolarmente considerate, la facility 1 (montante massimo 100.000 ECU) riguarda l’identificazione del progetto dell’impresa mista e quindi dei partner potenziali; la facility 2 (max 250.000 ECU) si occupa dello studio di fattibilità o di un progetto pilota; la facility 3 (max 1 milione di ECU) identifica i finanziamenti necessari alla copertura del fabbisogno di capitale; la facility 4 (max 250.000 ECU) tratta la formazione e l’assistenza tecnica. Infine, la facility 1B (max 200.000 ECU) concerne la preparazione della privatizzazione o di altri progetti che comunque riguardino infrastrutture private, servizi di pubblico interesse o a favore dell’ambiente. Da sottolineare come i beneficiari di quest’ultima facilitazione siano esclusivamente governi oppure enti pubblici. Il finanziamento totale per ogni singolo progetto non può superare il tetto di 1 milione di ECU. 99 JOP (Joint Venture Programme Phare-Tacis) Il programma Jop è stato adottato nel 1991 con lo scopo di promuovere nei paesi dell’Europa centrale e orientale la costituzione di joint ventures tra le imprese locali e operatori economici dell’Unione Europea. Dal 1994 tale forma di IDE viene promosso anche nei paesi dell’ex-Unione Sovietica. L’obiettivo principale è quello di sostenere la costituzione di società miste durante le varie fasi di sviluppo: dalle informazioni di base sui paesi esteri, al finanziamento di attività di formazione professionale, all’assistenza tecnicogestionale. Trattasi di quattro diverse facility: 1) informazioni e promozione, 2) studi di fattibilità, 3) partecipazione al capitale delle joint venture, 4) formazione del personale, assistenza tecnica e gestionale del personale locale. Le iniziative devono riguardare esclusivamente la realizzazione di imprese miste produttive; commerciali sono pertanto oppure a escluse carattere attività puramente speculativo, quali la costruzione di immobili da destinarsi alla vendita. JEV (Joint European Venture) Il programma Jev è stato varato nel novembre 1997 con l’intento di finanziare le joint venture 8 tra almeno due imprese residenti nell’Unione Europea. Tale iniziativa colma una lacuna particolarmente sentita; fino a questo momento, infatti, Bruxelles aveva agevolato solamente la creazione di società miste tra aziende europee e quelle dei paesi extracomunitari, ma non offriva alcuno strumento affinchè le PMI europee 8 La promozione di imprese miste è da intendersi in senso lato, come qualsiasi forma di collaborazione tra due o più commerciale, dei servizi o dell’artigianato. 100 imprese nei settori industriali, potessero interagire tra loro. Il programma prevede un contributo massimo di 100.000 Ecu per ogni singolo progetto e la concessione del finanziamento avviene in tre stadi: al momento dell’approvazione viene concesso un anticipo pari al 50% dei costi per lo studio di fattibilità e l’avvio della joint venture, fino a un massimo di 25.000 Ecu. Interessante sottolineare come la somma erogata sia concessa a fondo perduto qualora venga costituita la joint venture e come altrimenti si trasformi in un finanziamento a tasso zero. La seconda tranche, pari ancora al 50% dei costi, verrà fatta in seguito alla presentazione dei documenti giustificativi necessari e, infine, una sovvenzione addizionale pari al 10% dell’investimento e non superiore al 50.000 Ecu sarà versata al momento dell’avvio dell’attività. 101 PARTE SECONDA VERSO L’ACCORDO MULTILATERALE SUGLI INVESTIMENTI CAPITOLO 4 EVOLUZIONE DELLE REGOLE INTERNAZIONALI IN MATERIA DI INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI 4.1 Il quadro giuridico iniziale Durante tutto il 19° secolo fino alla metà del 20° gli unici investimenti effettuati a livello internazionale consistevano in forme indirette di investimenti di portafoglio. Gli IDE rivestivano un ruolo minoritario nell’economia mondiale; erano principalmente legati ad attivi tà di reperimento di materie prime e, di conseguenza, si concentravano in regioni geograficamente limitate. E’ solo negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale che un numero sempre maggiore di paesi hanno compreso l’importanza e i vantaggi a livello sia nazionale che internazionale degli IDE. Nel trentennio che va dagli anni ’40 all’inizio degli anni ’70, comunque, l’attitudine generale restava orientata nel senso di una certa diffidenza verso nuove forme di approccio ai mercati internazionali. Una delle cause è da attribuirsi alla reazione dei paesi in via di sviluppo al processo di decolonizzazione; il timore dell’espropriazione delle proprie risorse da parte dei paesi excolonizzatori ha condotto i governi all’imposizione di severi controlli e forti limitazioni all’ingresso di IDE. Le misure prese dai PVS nel corso del trentennio assicuravano un costante controllo nazionale sugli investimenti esteri. Questa politica ha influenzato notevolmente anche l’attività delle Nazioni Unite fino alla risoluzione 1803 (XVII) del 1962, la quale ha riconosciuto il diritto di ogni paese sulle risorse naturali presenti nel proprio territorio e la possibilità di 104 controllare e nazionalizzare gli investimenti effettuati nel paese. Il passare commercio degli anni e internazionale la costante hanno reso evoluzione del indispensabile la creazione di un nuovo ordine economico internazionale e, di conseguenza, un radicale cambiamento a livello strutturale dei sistemi commerciale e finanziario mondiale. A prendere l’iniziativa a livello regionale è stata l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) attraverso l’adozione nel 1961 del “Codice di liberalizzazione dei movimenti di capitale”; si trattava di uno strumento vincolante che incoraggiava la progressiva liberalizzazione dei movimenti di capitale tra i vari paesi disciplinando la maggior parte delle transazioni internazionali. Al Codice del 1961 ha fatto seguito nel 1976 la “Dichiarazione sull’Investimento Internazionale e le Imprese Multinazionali”; strumento, quest’ultimo, non vincolante per dirimere la questione del trattamento nazionale delle imprese sotto il controllo straniero, contenente anche tutta una serie di principi direttivi indirizzati alle imprese multinazionali. Tale Dichiarazione è uno degli strumenti OCSE più conosciuti in materia di investimenti esteri. Rimasta inalterata dal momento della sua adozione, la Dichiarazione costituisce uno strumento in grado di rispondere ai principali quesiti in materia di cooperazione internazionale e investimenti: ◊ uno strumento sugli incentivi e gli ostacoli all’investimento internazionale, ◊ uno strumento per evitare trattamenti discriminatori da parte degli stati nei confronti delle multinazionali straniere, ◊ i principi relativi alla parità di trattamento delle imprese sotto controllo straniero da parte dei paesi ospitanti. 105 4.2 La disciplina internazionale: accordi bilaterali, regionali e multilaterali. L’evoluzione dell’economia internazionale verso la mondializzazione dei mercati ha fatto si che gli Investimenti Esteri Diretti venissero riconosciuti uno strumento sempre più indispensabile, tanto che un numero sempre maggiore di paesi si stanno muovendo verso la liberalizzazione e promozione degli IDE in entrata e in uscita, come testimonia la seguente tabella: Numero di paesi che 199 199 199 199 199 199 1 2 3 4 5 6 35 43 57 49 64 65 82 79 102 110 112 114 80 79 101 108 106 98 2 _ 1 2 6 16 hanno introdotto modifiche nel regime sugli investimenti: Numero di cambiamenti: di cui: - verso una maggiore liberalizzazione - verso un controllo centralizzato Fonte: UNCTAD; World Investment Report 1996 106 Il quadro giuridico attuale vede la forte interazione tra la legislazione nazionale e quella internazionale in materia di IDE che, insieme, hanno apportato numerose modifiche alla legislazione preesistente. La figura 1 qui di seguito indica i principal i cambiamenti inseriti nelle leggi e regolamenti: FIGURA 1: Modifiche a leggi e regolamenti sugli IDE, 1996 a) (% indicate tra parentesi nella legenda) Condizioni operative più liberali (25) Minore controllo (4) Incremento delle garanzie (4) Regolamentazione della proprietà straniera più liberale (7) Procedure di approvazione più elastiche (7) Aumento delle iniziative promozionali (8) Aumento del controllo (5) Diminuzione degli incentivi (7) Fonte: UNCTAD Aumento degli incentivi (34) a) Nel corso del 1996, sono state apportati 138 cambiamenti in 114 misure adottate da 65 paesi Le misure prese a livello nazionale fissano regole dettagliate in materia di creazione, stabilimento e attività delle imprese controllate da capitale straniero. 107 Gli impegni contratti a livello internazionale si distinguono a seconda del numero di paesi partecipanti in: accordi bilaterali, regionali e multilaterali. Nessuno di questi strumenti, però è stato creato per disciplinare gli IDE nella totalità dei loro aspetti: si può invece parlare dell’esistenza di un quadro giuridico internazionale dove ogni accordo vincola i paesi firmatari al rispetto di norme disciplinanti singoli aspetti dell’investimento. Qui di seguito verrà approfondita l’analisi delle diverse forme di accordo in materia di IDE: 4.2.1 Trattati Bilaterali sugli Investimenti (TBI) A livello bilaterale, gli accordi vengono conclusi quasi esclusivamente per la promozione e la protezione degli IDE e prendono il nome di “Trattati Bilateral i sugli Investimenti”. Nonostante questa forma di accordo sia stata creata più di quaranta anni fa, essa non ha mai subito particolari modifiche nella sua struttura. I trattati usano iniziare con una dichiarazione sull’importanza e i benefici degli IDE ai fini dello sviluppo dell’economia e danno inoltre una definizione piuttosto ampia dell’investimento. Essi hanno il compito di incoraggiare i governi a facilitare l’iter di ingresso nel paese da parte di operatori stranieri, anche se in genere evitano di fissare una regolamentazione del diritto di stabilimento che viene lasciata alla normativa nazionale. 1 Negli ultimi anni il numero di TBI è cresciuto enormemente: circa 2/3 dei 1.160 accordi conclusi fino al giugno 1996, sono stati raggiunti negli anni ’90 (172 solo nel 1995) e hanno coinvolto 158 paesi. Se 1 I TBI specificano, infatti, che ad essere protetti dal trattato sono esclusivamente gli investimenti che soddisfano i requisiti richiesti dalla legislazione nazionale del paese ospitante o che sono stati comunque approvati dall’autorità competente in materia. 108 inizialmente sviluppate i e trattati paesi in venivano transizione, conclusi tra oggigiorno economie un numero sempre maggiore di accordi viene concluso con le economie in transizione. GRAFICO 1: Crescita dei Trattati Bilaterali sugli Investimenti, 1959 – 1996 1200 1000 800 Numero Totale di TBI 600 TBI conclusi tra Paesi OCSE 400 200 0 1960 1970 1980 1990 Fonte:World Investment Report 1996 Con particolare riferimento all’Italia, la tabella seguente indica i Trattati Bilaterali sugli Investimenti conclusi dal nostro paese nel periodo compreso tra GENNAIO 1994 e GIUGNO 1996: 109 Accordo tra Italia e: Congo Data della firma 17 marzo Data di entrata in vigore dell’accordo - - 1994 Perù Kazakistan 5 maggio 18 ottobre 1994 1995 22 settembre - - 1994 Etiopia 23 dicembre - - 1994 Turchia 23 marzo - - 1995 Brasile 3 aprile 1995 - - Ucraina 2 maggio - - 1995 Bielorussia 25 luglio - - 1995 India 1 novembre - - 1995 Hong Kong 28 novembre - - 1995 RepubblicaC 22 gennaio eca - - 1996 Fonte: UNCTAD, World Investment Report 1996 4.2.2 Accordi Regionali A livello regionale, gli accordi sugli investimenti mirano essenzialmente alla liberalizzazione degli Investimenti Esteri Diretti dalle restrizioni all’ingresso e stabilimento nel territorio e alla progressiva eliminazione di trattamenti discriminatori . Recentemente, inoltre, vengono introdotte clausole relative 110 alla protezione degli investimenti stessi; si sta cercando di riunire in un unico strumento un’ampia gamma di regole, che includa anche la regolamentazione della scelta del foro competente in caso di controversie. La maggior parte degli accordi regionali sono legalmente vincolanti per i paesi firmatari, anche se vi sono alcune eccezioni come per esempio i principi base dell’APEC e le linee guida dell’OCSE. Attraverso un’analisi più dettagliata di questi accordi emerge immediatamente che essi contengono una definizione del termine “investimento” che varia a seconda del contesto e dello scopo dell’accordo. Per esempio, gli accordi sugli investimenti tra i paesi ASEAN, il NAFTA (North American Free Trade Association) e il Protocollo sull’investimento all’interno del MERCOSUR contengono definizioni piuttosto ampie dell’investimento e molto simili a quelle contenute nei Trattati Bilaterali. A sua volta, anche il diritto di ingresso e stabilimento viene garantito nel testo della maggior parte degli Accordi Regionali, anche se poi alcuni paesi firmatari inseriscono alcune eccezioni alla libertà di stabilimento destinate ad alcuni tipi particolari di industrie e attività commerciali. Le eccezioni vengono inserite in “liste negative”, le quali sottolineano le misure prese dal paese contrarie ai provvedimenti di liberalizzazione contenuti nel testo dell’accordo. La richiesta effettuare un di particolari investimento non condizioni operative è di oggetto per particolare attenzione in questo genere di accordi; un caso a parte può essere considerato il NAFTA che in questo senso va oltre qualsiasi accordo bilaterale o regionale vietando espressamente la necessità di particolari condizioni operative, che gli investitori facciano o meno parte dell’Associazione. 111 Per quanto concerne il trattamento e la protezione dell’investitore dopo l’ingresso nel paese, la maggior parte degli accordi regionali tratta approfonditamente l’argomento in linea con la struttura seguita dai TBI. Il testo prevede generalmente alcuni standard quali, per esempio, i principi della nazione più favorita, del trattamento al pari di qualsiasi investitore nazionale e del rispetto del diritto internazionale in materia. Inoltre, nella maggioranza dei casi, si usa inserire alcune clausole relative alla completa libertà di trasferimento dei fondi e introiti collegati all’investimento nel paese d’origine con poche eccezioni, ad es. in caso di bancarotta. Gli Accordi Regionali stabiliscono le regolamentazione per il trasferimento di tecnologie, la competizione internazionale, la protezione ambientale, nonché alcuni standard di condotta per le imprese transnazionali in relazione all’impiego o meno di manodopera locale, alle condizioni lavorative ed anche alla possibilità di accedere a informazioni concernenti l’attività d’azienda. In conclusione è rilevante ricordare come i paesi membri degli Accordi Regionali siano situati sul medesimo livello di sviluppo e di vedute in relazione agl i Investimenti Diretti Esteri, anche se spinti da interessi e necessità divergenti. Alcuni gruppi di regioni hanno sviluppato un regime comune per gli investimenti diretti o provenienti da paesi terzi: l’Unione Europea, ad esempio, ha fissato una serie di principi volti alla promozione degli IDE nei paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) in occasione della Convenzione Lomè IV. Numerosi accordi sono inoltre conclusi con i paesi dell’Europa Centrale e con le repubbliche dell’ex-Unione Sovietica; questi costituiscono infatti i nuovi mercati verso cui si stanno orientando i piani di investimento dei paesi europei e contengono numerosi rimandi alla libertà di movimento dei capitali, al diritto di stabilimento e 112 ad una regolamentazione comune in materia di competizione internazionale. 4.2.3 Strumenti multilaterali Fino a poco multilaterale strettamente stesso; tempo sugli collegati questi fa gli accordi Investimenti a accordi singoli si stipulati Esteri aspetti possono a Diretti livello erano dell’investimento quindi facilmente settorializzare a seconda dell’aspetto che intendono regolare in: ◊ Servizi: gli IDE in questo settore sono regolati dal General Agreement on Trade in Services (GATS), il quale definisce alcuni principi generali che possono essere applicati a tutte le industrie di servizi. Questi principi riguardano, per esempio, la trasparenza e il trattamento speciale secondo il principio della nazione più favorita. Le condizioni di accesso al mercato di un determinato paese e il relativo trattamento nazionale dipendono dalle disposizioni, che possono essere progressivamente ampliate attraverso successivi negoziati. L’Accordo contiene inoltre numerose appendici che fissano regole addizionali per particolari tipi di industrie; ◊ Requisiti di performance, sono trattati nell’Agreement on Trade-related Investment Measures (TRIMs), che limita il suo campo di analisi alle misure prese nei confronti di investimenti effettuati nell’ambito del commercio di beni di consumo; ◊ Diritti di proprietà intellettuale. Il lavoro più completo in merito alla protezione della proprietà intellettuale a livello multilaterale nel commercio e negli investimenti è contenuto nell’Agreement on Trade-related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS Agreement), il quale include altresì norme sugli standard basilari per la protezione di specifiche 113 categorie di diritti, includendo anche la definizione della sede per la discussione delle controversie; ◊ Copertura assicurativa per il rischio politico a favore di investitori che si rivolgono ai mercati dei paesi in via di sviluppo è garantita Investment facente dalla Guarantee parte del presenza Agency gruppo della (MIGA), Banca Multilateral organizzazione Mondiale. Condizione basilare per la concessione di garanzie assicurative è la certezza che l’investitore accetti la legislazione del paese ospitante e che queste ultime soddisfino gli standard internazionali universalmente riconosciuti; ◊ La sede per la trattazione delle controversie tra investitori privati e paesi dell’International ospitanti Centre on viene trattata Settlement all’interno of Investment Disputes (ICSID), istituzione che fa parte del gruppo Banca Mondiale e che negli ultimi anni ha visto un notevole aumento dei paesi membri e delle cause trattate. Un importante apporto alla disciplina sugli IDE è fornito dalle “Guidelines on the Treatment of Foreign Direct Investment” stilate dalla Banca Mondiale. Tali linee guida agli investimenti si basano su una completa analisi degli strumenti a disposizione delle imprese che vogliano affermare la loro presenza in un particolare mercato; nonostante non siano formalmente vincolanti, esse rappresentano uno sforzo considerevole per conciliare i problemi che i Paesi in Via di Sviluppo incontrano nel confrontarsi con il costante aumento del flusso di investimenti stranieri verso i loro paesi. Lo studio di un fenomeno così complesso come gli IDE non può tralasciare il fatto che l’evoluzione della disciplina internazionale in materia non si compone solamente di Trattati 114 Bilaterali sugli Investimenti, Accordi Regionali e Multilaterali stipulati dagli organi di governo dei diversi paesi, nonostante la loro indiscussa importanza. Un notevole contributo proviene infatti dalle regolamentazioni sugli investime nti elaborate da istituzioni private, in particolare organizzazioni commerciali, associazioni professionali, di consumatori e da qualsiasi gruppo di interesse in questo ambito; a questo proposito, l’APPENDICE A collocata al termine dell’opera contiene l’el encazione completa degli strumenti internazionale relativi agli IDE stipulati in un periodo compreso tra il 1948 ed il 1996 con l’esclusione dei TBI e delle Direttive dell’Unione Europea. 4.3 Presupposti per un ulteriore sviluppo normativo in materia di IDE La futura elaborazione delle regole internazionali in materia di IDE deve necessariamente tenere conto delle esperienze passate per poter ottenere risultati migliori e costruttivi, evitare gli errori commessi in precedenza ed affrontare il sopraggiungere del XXI° secolo con i mezzi più adeguati. Resta comunque complicato giungere a conclusioni definitive in quanto un gran numero di strumenti attualmente a disposizione, in particolare quelli relativi al processo di liberalizzazione, sono di recente istituzione e gli effetti reali della loro applicazione non ancora chiari. Sulla base dell’esperienza passata e in qualche caso ancora attuale si possono comunque delineare alcuni punti fermi utili per comprendere l’evoluzione più recente degli IDE e gli sviluppi che seguiranno a breve: ◊ investimenti e commercio sono ormai considerati un binomio inscindibile. Durante gli anni ’60, ad esempio, le economie sviluppate si orientavano verso Trattati Bilaterali 115 sugli Investimenti molto specializzati che focalizzavano la loro attenzione esclusivamente sugli investimenti. E’ stato solamente dalla metà degli anni ’80 che, riconosciuto il ruolo delle imprese in un mercato sempre più internazionale, si è affermata la necessità di trattare le problematiche relative a commercio e IDE di pari passo soprattutto a livello regionale (es. NAFTA) e multilaterale. L’Uruguay Round del “Multilateral Trade Negotiations” rappresenta il primo caso di inserimento degli IDE nel quadro molto più ampio di analisi della rete commerciale multilaterale, ma si sta comunque cercando di estendere ed ampliare ulteriormente questa relazione fino a giungere ad un approccio onnicomprensivo. ◊ l’importanza del graduale e costante aumento della trasparenza e del monitoraggio negli investimenti esteri è sottolineata in quasi tutti gli accordi, i quali mirano innanzitutto alla progressiva eliminazione delle barriere all’ingresso; risultato, questo, ottenuto con difficoltà se si pensa, per esempio, al caso dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in cui sono trascorsi ben 25 anni dall’adozione dei Codici sui movimenti di capitale prima che fosse confermato il diritto di stabilimento. Gli strumenti bilaterali, regionali e multilaterali sono indispensabili anche per accrescere la trasparenza dei regolamenti nazionali e il monitoraggio delegato ad autorità neutrali ha reso i singoli paesi più propensi a utilizzare il sistema dell’arbitraggio internazionale per dirimere eventuali controversie. ◊ il sempre maggiore riconoscimento del ruolo rivestito dagli IDE nell’economia mondiale e la crescente attitudine dei governi a condurre politiche economiche market-oriented hanno portato alla convergenza degli interessi nazionali 116 con le più attuali problematiche internazionali. Questa tendenza, oggetto di numerosi accordi regionali e multilaterali, si rivela in particolare nei confronti delle tematiche relative dell’investitore all’ingresso straniero e a e stabilimento particolari condizioni operative richieste dal la nazione ospitante. I TBI, invece, non approfondiscono molto questi aspetti lasciando piena autonomia ai paesi a seconda delle singole priorità. I progressi avvenuti negli ultimi cinquant’anni in materia di Investimenti Diretti Esteri sono stati numerosi a tutti i livelli e nella maggioranza dei paesi del mondo, anche se la difficoltà maggiore resta la creazione di un contesto internazionale globale, coerente e completo che divenga il punto di riferimento principale in materia. Molti paesi, infatti, sono sempre stati più propensi ad assumersi impegni a livello bilaterale o regionale piuttosto che multilaterale; questo significherebbe infatti un coinvolgimento troppo ampio e assume quindi un aspetto molto vincolante. Il continuo evolversi dei mercati internazionali verso la mondializzazione dell’economia ha però portato, dalla metà degli anni ’80, ad una maggiore presa di coscienza della necessità di una concertazione a livello globale anche in materia di investimenti; questo ha posto le fondamenta per la discussione sui costi e benefici ed i successivi negoziati che hanno portato a parlare di AGREEMENT ON INVESTMENT. 117 M.A.I.: MULTILATERAL 4.4 La progressiva liberalizzazione degli IDE: in attesa dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti Una politica “liberale” in materia di Investimenti Esteri Diretti è una politica in cui vengono ridotti al minimo indispensabile gli interventi dei pubblici poteri sotto forma di leggi, regolamenti e pratiche di vario genere. In un regime sostanzialmente liberale le imprese sono quindi libere di prendere qualsivoglia decisione in merito alla penetrazione in uno o più mercati esteri. A seconda delle strategie aziendali, potranno scegliere tra: ⇒ la costituzione di un nuova impresa oppure di una società partecipata da un’azienda locale; ⇒ l’apertura di una filiale registrata secondo la normativa del paese ospitante, di un succursale (senza alcuna registrazione); ⇒ l’acquisizione di una quota di partecipazione in un’impresa straniera già esistente oppure l’acquisto totale della stessa. Condizione basilare è che all’imprenditore straniero venga garantito il medesimo trattamento riservato alle locali imprese che svolgano la stessa attivi tà; non dovranno quindi esistere procedure di esame preliminare da parte delle autorità tese a scegliere tra diverse proposte di investimento e queste ultime soddisfacimento non di potranno esigenze nemmeno a carattere richiedere il prettamente nazionale. L’apertura delle frontiere agli investitori esteri non significa comunque la perdita di autorità delle istituzioni politiche ed economiche: esse sono infatti sempre in dovere di attuare politiche di tutela del consumatore, dell’ambiente, del sistema finanziario o per proteggere nazionale qualora si rendano necessarie. 118 la sicurezza Anche all’interno di numerosi organismi internazionali si sta incitando i paesi a sostenere questo processo di liberalizzazione. Le risposte dei paesi non sono comunque sempre immediate; all’interno dell’OCDE, per esempio, non sono molti i paesi che si sono incamminati verso una massiccia apertura o spinta verso nuovi mercati, anche se, paragonati al passato, i risultati ottenuti negli ultimi decenni sono stati sorprendenti. Ma quali sono gli obiettivi che si pongono quei governi che proseguono con strategie protezionistiche? Le ipotesi sono molteplici: la protezione dell’impiego e della produzione nazionale in particolare nelle zone con i maggiori problemi, l’incoraggiamento delle esportazioni o la diminuzione delle importazioni per assicurare l’equilibro della bilancia dei pagamenti o ancora si vuole favorire il trasferimento all’interno del paese di tecnologie, know-how in materia di direzione d’impresa e specializzazione dei lavoratori. In altri casi le autorità possono porsi l’obiettivo di proteggere le imprese nazionali dalla concorrenza straniera o do esercitare il controllo sul mondo imprenditoriale interno per mantenere la “sovranità nazionale”. 4.4.1Vantaggi e svantaggi di regole internazionali in materia di liberalizzazione dei mercati. Quando si parla di una sistematica regolamentazione a livello internazionale in relazione agli IDE è necessario innanzitutto distinguere tra paese investitore e ospitante. Pe r quanto riguarda il paese d’origine dell’investimento, una serie di regole sono necessarie al fine di preservare l’accesso al mercato e garantire sicurezza giuridica alle proprie attività internazionali. Numerosi saranno i vantaggi 119 anche per il paese ospi tante. In primo luogo risulterà più facile l’adozione di politiche liberali anche a livello interno se anche da parte di altri paesi c’è l’impegno a rispettare un vicolo sovranazionale. Secondariamente, in un mondo dalla concorrenza sempre più agguerrita, un paese che si sia già impegnato formalmente a livello internazionale con politiche liberali potrà evitare gli effetti distorsivi e peraltro molto costosi derivanti dalla concessione di sovvenzioni ed esenzioni fiscali per incentivare l’afflusso di investimenti. In ultimo, ma non meno importante, gli impegni vincolanti tra diversi paesi garantiscono un liberalismo continuo, indipendentemente da eventuali sconvolgimenti politici. E’ importante sottolineare come l’evoluzione verso una regolamentazione vincolante sul piano multilaterale degli Investimenti Esteri Diretti creerebbe le condizioni ideali per una liberalizzazione molto maggiore rispetto a quella garantita dai Trattati Bilaterali sugli Investimenti e dagli Accordi Regionali. Un vincolo di questo tipo garantirebbe a tutti i paesi aderenti, indipendentemente dalle dimensioni e dall’importanza medesime degli regole. stessi, Inoltre, le l’obbligo al disposizioni rispetto delle generalmente presenti sul principio di reciprocità sarebbero inutili in quanto un accordo multilaterale deve essere in grado di garantire un equilibrio soddisfacente tutte le parti coinvolte. 4.4.2 Prime considerazioni sull’AMI. Le regole relative agli IDE fissate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e che sono contenute all’interno di tre documenti principali quali i due Codici di Liberalizzazione (dei movimenti di capitali e delle operazioni Trattamento invisibili nazionale, correnti) hanno 120 e senza lo strumento dubbio sul contribuito enormemente allo sviluppo di una coscienza liberale negli ultimi decenni. 2 Comunque, la consapevolezza delle lacune presenti in tali documenti ha portato alla constatazione della necessità di un accordo basato su nuovi principi e impegni tale da poter affrontare la sfida della globalizzazione. Di qui l’interesse verso un Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI) che stabilisca diritti e doveri concernenti il trattamento da parte dei governi degli IDE in entrata e in uscita, nonché disposizioni in materia di liberalizzazione e protezione degli investimenti e una completa disciplina per la soluzione delle controversie. Tale Accordo dovrà tenere conto degli altri accordi già in vigore (ad es. convenzioni fiscali, sulla proprietà intellettuale nonché convenzioni bilaterali sugli investimenti) e dell’insorgenza di eventuali conflitti normativi. Per fungere da reale strumento multilaterale, l’AMI dovrà essere aperto ai paesi non membri dell’OCSE e, di conseguenza, importanza decisiva avrà la definizione della procedura di ammissione; l’opinione prevalente sottolinea la necessità per i paesi terzi di soddisfare alcuni requisiti minimi ritenuti essenziali per entrare a far parte dell’accordo. Le motivazioni alla base del desiderio di paesi non membri OCSE di aderire all’Accordo possono essere schematizzate come segue: innanzi tutto, i paesi firmatari si attenderebbero certamente un notevole aumento del flusso di investimenti grazie ad un nuovo sistema di accesso ai mercati esteri ed un sofisticato sistema di protezione degli investimenti e degli 2 La Dichiarazione del 1976 sugli investimenti internazionali e le imprese multinazionali contiene lo Strumento relativo al Trattamento nazionale, i P r i n c i p i d i r e t t i v i p e r l e m u l t i n a z i onali, procedure di consultazione in caso dell’insorgenza di obbligazioni contraddittorie ostacoli e vantaggi all’investimento. 121 nonché disposizioni su investitori. A questo proposito, infatti, il MAI sarà sicuramente più efficace dei numerosi trattati bilaterali in quanto in grado di coprire tutte le fasi dell’investimento (incluse le fasi di ingresso e stabilimento) e di garantire un efficace sistema normativo per dirimere le controversie. Secondariamente, investimenti prevista l’Accordo possibili riguarderà molto superiore una gamma rispetto a di quella dal sistema di Trattamento della Nazione più Favorita del GATT o da altri Trattati Bilaterali; il MAI includerà infatti anche i settori manifatturiero, delle risorse naturali, nonché dei servizi. In ultima analisi, essere firmatari del MAI darà diritto al paese in questione di partecipazione con il medesimo status al “Parties’ Group”, cioè ai lavori dei paesi membri OCSE relativamente all’Accordo. Per quanto concerne la liberalizzazione, l’Accordo è destinato a prevedere la disciplina del trattamento nazionale, disposizioni relative alla non discriminazione (da applicarsi nei confronti dei soli paesi firmatari), un meccanismo si status quo (i.e. il divieto di formulare nuove restrizioni su alcune voci facenti parte delle liste) e un meccanismo contenente misure supplementari di liberalizzazione in vista di una progressiva e totale soppressione di qualsivoglia restrizione. In materia di protezione degli investimenti, saranno indispensabili norme generali e specifiche per le imprese multinazionali e tutti gli investitori internazionali. Tra le varie proposte avanzate sulla struttura di quest’Accordo, l’accento è sempre stato messo sulla messa a punto di un corpo normativo molto solido; di conseguenza, per risultare efficace, l’AMI potrà disciplinare questioni relativamente “nuove” in merito agli IDE, come ad esempio 122 gli obblighi di risultato, i monopoli, le concessioni, le privatizzazioni, le pratiche private nonché stimoli e ostacoli degli investimenti. Il tutto senza però dimenticare un’analisi dettagliata di specifici aspetti relativi alla politica della concorrenza, del mercato del lavoro e dell’ambiente. Altrettanto importante è stata la scelta del forum dove svolgere i negoziati; sulla decisione notevole influenza è esercitata dall’Unione Europea, dai suoi paesi membri, nonché dagli Stati Uniti e dal Giappone. Da parte loro, i paesi europei avrebbero preferito che tutto il lavoro avvenisse nell’ambito dell’OCSE, visto il loro ruolo di paesi essenzialmente esportatori di capitali e con quindi tutto l’interesse al mantenimento della loro “competenza” in materia di negoziazione su questioni inerenti gli investimenti. La Commissione Europea, invece, sembrava preferire l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) come sede dei negoziati. A loro volta, Stati Uniti e Giappone pendevano per l’OCSE. Le considerazioni che devono portare alla scelta del forum non possono comunque limitarsi a considerare le preferenze dei diversi paesi, le quali tendono sicuramente a privilegiare gli interessi personali. Una questione fondamentale è decidere la base sulla quale verranno prese le decisioni: il consenso oppure la maggioranza? L’art.18 del Codice sulle operazioni invisibili correnti prevede che il Comitato dei movimenti di capitali e delle transazioni invisibili dell’OCSE adotti le decisioni secondo il criterio della maggioranza. I membri non europei dell’OCSE, però, con molta difficoltà accetterebbero di negoziare un accordo di tale portata sulla base della maggioranza e non del consenso. Non meno importante è la definizione del ruolo dell’Unione Europea nei procedimenti di votazione ed in particolare chi avrebbe diritto al voto: l’Unione globalmente 123 intesa oppure i singoli paesi membri e, in questo caso, che ruolo andrebbe attribuito all’UE come corpo unico. Riassumendo, nonostante vi sia una generale convergenza di pareri tra i membri OCSE sulla necessità e fattibilità di un Accordo Multilaterale sugli Investimenti, le questioni che potrebbero essere soggette a controversie sono molteplici. In primo luogo, come già spiegato, le questioni sulla scelta del forum di negoziazione, dello statuto giuridico dell’Accordo e delle regole di votazione. Della medesima importanza è la questione del trattamento delle informazioni infranazionali all’interno di paesi federali quali Stati Uniti, Australia e Canada nonché lo spinoso problema della “sovranazionalità” con specifico riferimento all’UE. 124 CAPITOLO 5 L’ACCORDO MULTILATERALE SUGLI INVESTIMENTI 5.1 Caratteristiche del nuovo strumento multilaterale in materia di investimenti Come ripetutamente accennato nel corso del presente lavoro, la spettacolare crescita del flusso di Investimenti Diretti Esteri registrata nell’ultimo decennio è stata sicuramente favorita da politiche nazionali improntate alla liberalizzazione ed una sempre più agguerrita concorrenza tra i paesi nell’attirare investitori stranieri. A tutto ciò si è affiancata un’attività legislativa internazionale mirante a creare un ambiente economico favorevole all’accoglienza di tale forma di internazionalizzazione aziendale. Nonostante l’esistenza di strumenti multilaterali creati già negli anni ’60 all’interno dell’OCSE e di cui si è parlato nel precedente capitolo, i responsabili della politica sugli investimenti hanno da tempo rilevato la necessità di uno strumento gl obale, adatto alle nuove e mutevoli esigenze del contesto economico mondiale. La scelta di dare all’OCDE il compito di stilare un accordo di tale portata è da rimandare al fatto che tale organismo si è sempre interessato a questioni inerenti gli investimenti, tanto più che i paesi membri rappresentano i principali investitori e ricettori di investimenti. Inoltre, la presenza di numerose regolamentazioni antecedenti garantisce, in un certo qual senso, dall’approvazione di misure discriminatorie o dall’introduzione di restrizioni o barriere al commercio. Anche la struttura particolarmente flessibile 129 dell’organizzazione offre un quadro adatto alle varie fasi della negoziazione e l’eventuale consultazione di esperti di altre discipline, quali la fiscalità, le politiche della concorrenza etc. Da alcuni anni sono in atto numerose trattative con paesi non membri che avrebbero tutte le intenzioni di entrare a far parte di tale organismo e un completo strumento di regolamentazione degli IDE politica potrebbe condotta essere dai molto utile governi nell’analisi interessati della nonché nell’andamento del processo di adesione. 5.1.1 I caratteri distintivi Il nuovo e favorevole ambiente economico venuto a delinearsi in materia di investimenti ha quindi permesso l’ideazione di un strumento multilaterale come l’AMI, che preveda: ∗ regole vincolanti in modo tale da assicurare condizioni eque di concorrenza internazionali da parte per le imprese nazionali delle autorità, nonché e un trattamento coerente degli Investimenti Diretti Esteri come valido strumento di internazionalizzazione produttiva; ∗ un meccanismo efficace per garantire l’applicazione delle obbligazioni tra le parti che stipulino un accordo ed eventualmente tra l’investitore stesso e le autorità del paese ospitante; ∗ norme di liberalizzazione e protezione degli investimenti applicabili in tutti i paesi membri dell’OCSE e in grado di influenzare e incoraggiare le riforme in materia nei paesi non membri. Un attento esame delle caratteristi che basilari di un tale Accordo ha evidenziato come la semplice combinazione e 130 parziale rielaborazione degli elementi contenuti nei vari accordi tra i paesi OCSE già esistenti non avrebbe risposto alle esigenze ed alle aspettative dei membri. Questi ultimi , infatti, ricercano uno strumento multilaterale che apporti sostanziali novità al sistema vigente. In particolare, la creazione di uno strumento-collage non permetterebbe di avere la certezza supplementari di dell’introduzione di liberalizzazione provvedimenti non conterrebbe innovazioni in materia di protezione degli investimenti e di regolamento delle controversie rispetto alle disposizioni già contenute Inoltre, negli una accordi così permetterebbe la bilaterali, regionali semplicistica protezione e settoriali. elaborazione degli non interessi delle organizzazioni regionali di integrazione economica. Di conseguenza, strumento se ne multilaterale comprendente le liberalizzazione, norme di desume che di portata più avanzate protezione degli solamente molto uno ampia nell’ambito investimenti e degli e che assicuri un soddisfacente equilibrio tra le parti beneficerebbe del sostegno politico necessario per la sua realizzazione. Ecco che quindi gli elementi base per un accordo globale possono essere sintetizzati come segue: innanzitutto obblighi di liberalizzazione, che comprendono anche il trattamento nazionale applicato prima e dopo lo stabilimento eccezioni di portata molto limitata nonché con il dovere di non discriminazione per il paese ospitante. Se condariamente, obblighi di protezione degli investimenti, ivi comprese norme di carattere sia generale che specifico sul trattamento degli investitori stranieri e disposizioni sull’espropriazione, indennizzo e trasferimento dei fondi. Punti di particolare rilevanza sono infine l’approvazione di un meccanismo di 131 regolamento delle controversie e l’apertura alla firma ai paesi non membri OCSE. In conclusione, l’AMI renderebbe possibile il far fronte a questioni relative alla reciprocità e alla progressi va eliminazione di misure discriminatorie in maniera innovativa, senza per altro negare l’importanza di idee e metodi nati in altri accordi internazionali indispensabili come punto di partenza per i nuovi sviluppi normativi. 5.2 Il contenuto dell’Accordo Le negoziazioni sull’AMI sono entrate nell’ultima fase nel settembre 1995 e, dopo una serie di dibattiti orientati alla definizione della configurazione che tale Accordo andrà ad assumere, sta finalmente emergendo il suo corpus in maniera chiara e delineata nei suoi contorni principali, nonostante alcune questioni restino ancora da chiarire. Ed è proprio sui contenuti del nuovo strumento che si concentrerà l’analisi a seguire: 5.2.1 Le definizioni Di fondamentale importanza è innanzitutto la definizione del termine investimento nel contesto dell’AMI, la quale è stata oggetto di un esteso dibattito. Un rapido ed esteso consenso è stato raggiunto sul fatto che l’AMI doveva prevedere una singola e ampia definizione del termine applicabile ad entrambe le fasi di pre e post-stabilimento in un paese e che quindi andasse oltre la nozione tradizionale di Investimento Diretto Estero (IDE) che lo indica come l’insieme degli assetti tangibili e intangibili. Tale scelta è di non poca rilevanza se si pensa che rende conciliabili due 132 esigenze contrastanti: infatti, se da un lato la definizione dovrebbe essere tanto ampia da includere qualsiasi forma rilevante di investimento 1, dall’altro lato essa non dovrebbe comunque confondere semplici transazioni commerciali o finanziarie (ad monetario e es. le operazioni finanziario e che effettuate non sui mercati possono essere considerate parte degli assetti reali di un investitore) con un IDE. Nonostante un accordo definitivo non sia ancora stato raggiunto, la soluzione maggiormente accreditata vuole definire l’investimento con una lista aperta di tipologie di assetti che possono essere ritenuti come tale ed una breve lista chiusa di operazioni che non possono essere definiti tali, a meno che lo scopo non sia la protezione dell’investimento stesso. Una possibile al ternativa è data dalla presenza di un’unica lista cd. “positiva” e la possibilità che vengano applicate delle riserve a livello di trattamento nazionale ad eccezione di quelle ritenute di stampo protezionistico. Una scelta di questo genere renderebbe però ciascuna parte aderente all’AMI troppo libera nella scelta delle operazioni da escludere e non sarebbe più garantita la stessa trasparenza della prima opzione indicata. Indipendentemente dalla decisione finale, la definizione di “investimento” contenuta nell’AMI avrà una struttura simile alla seguente: 1 Tra le forme rilevanti non troviamo solamente gli assetti intangibili come ad es. la proprietà intellettuale, ma portafoglio acquisito dall’investitore. 133 anche qualsiasi investimento di “Ogni genere di assetto posseduto o controllato dall’investitore e che può includere: • un impresa struttura (qualunque prescelta - sia la forma associazione, giuridica e la organizzazione, filiale, joint-venture, corporation, partnership etc.privata o statale, a scopo di lucro o no-profit); • azioni, stock o altre forme di partecipazione detenute in un’azienda straniera; • obbligazioni, prestiti ed altre forme di debito; • contratti di concessione, costruzione, management, produzione, divisione degli introiti; • la rivendicazione di moneta o prestazioni che possiedano un valore economico; • diritti di proprietà intellettuale; • diritti riferibili a norme o contratti quali concessioni, licenze e permessi.” A sua volta, la definizione di “investitore”, “ (i) Una persona fisica che abbia la nazionalità oppure sia residente nel paese di una delle parti contraenti, in concordanza con la legge nazionale applicabile; oppure: (ii) Una persona fisica o altra entità costituita o organizzata secondo la legge di una delle parti contraenti, abbia o meno scopo di lucro, sia privata o pubblica e strutturata come joint venture, corporation, proprietà singola, associazione o organizzazione,” 134 partnership, ha acceso un vivace dibattito sulla legittimità o meno di considerare una particolare “branca di attività” come potenziale investitore, tenendo presente che, di norma, le legislazioni nazionali non conferiscono (tranne in alcuni ambiti dei servizi finanziari) loro la possibilità di agire in maniera indipendente come tale. 5.2.2 La protezione degli investimenti La discussione sulle misura di protezione degli investimenti è seguita relativamente rapida e, già i primi mesi del 1997 hanno visto la presenza di un ristretto numero di questioni ancora mancanti di un consenso completo. Da sottolineare come, comunque, non vi sia disaccordo su quelli che sono i principi base del tema in esame. L’AMI prevederà infatti un articolo fondame ntale che garantisca un equo trattamento nonché piena e costante protezione all’investimento. Un articolo di particolare rilevanza è quello che stabilisce la completa libertà di trasferimento di pagamenti legati all’operazione di IDE ed è proprio su questo che alcuni paesi hanno sottolineato la presenza, nell’Accordo stipulato in seno al Fondo Monetario Internazionale, della possibilità per un paese di restringere la libertà di trasferimento dei fondi in caso di crisi di Bilancia dei Pagamenti. Norma, questa, in contrasto con quella contenuta nell’AMI che, invece, riguarda il libero trasferimento di: capitale iniziale e l’eventuale ammontare addizionale per il mantenimento o la crescita dell’investimento, introiti, tutti i pagamenti previsti dal contratto compreso un accordo di affitto, incassi derivanti dalla vendita o liquidazione totale o parziale dell’investimento stesso, pagamenti derivanti dal regolamento di una controversia o di compensazione a seguito di un’espropriazione, remunerazioni del personale 135 ingaggiato all’estero la cui attività è collegata all’investimento. 5.2.3 Il trattamento riservato all’investimento Il punto di svolta nella specificazione del trattamento a livello nazionale riservato agli IDE si trova nel principio di non discriminazione e l’AMI sancisce inoltre l’obbligo di estensione di tale trattamento nonché del trattamento secondo il principio della cd. nazione-più-favorita a: “stabilimento, mantenimento, acquisizione, utilizzo, espansione, godimento, management, vendita e altre disposizioni di investimento” Non si può dimenticare, comunque, che ogni paese è interessato a preservare alcuni settori o attività economiche dall’ingerenza di investitori stranieri, ad es. per motivi di sicurezza nazionale. In sede di discussi one, a questo proposito, è stata proposta l’ammissione di riserve specifiche per paese rappresentate, cioè, dalla identificazione da parte di ciascun paese degli ambiti di attività che possono diventare oggetto di restrizione. Tali riserve diventeranno “obbligazioni permanenti”, nel senso che nessun altro tipo di restrizione potrà essere approvata dal momento in cui l’AMI sarà attivo a tutti gli effetti nella nazione in questione. L’idea in questione ha però sollevato il dubbio sul modo in cui l’AMI potrebbe contribuire alla liberalizzazione delle politiche condotte in materia di IDE; a questo proposito, durante il meeting del dicembre 1996 il Gruppo Negoziatore ha concordato che ogni paese membro dovesse presentare entro la fine del febbraio 1997 una lista iniziale di riserve tenendo sempre presenti le obbligazioni stabilite dall’AMI. In questo modo si creerebbero le fondamenta per una successiva 136 discussione inerente il migliore metodo per garantire un livello di liberalizzazione appropriato. Un accenno merita infine la questione fino a che punto la sicurezza nazionale e/o l’ordine pubblico possono essere considerati un concetto “autogiudicantesi”, nel senso che l’eventuale invocazione di un’eccezione di questo genere possa o meno essere risolta attraverso il procedimento di regolamento delle controversie. 5.2.4 Discipline aggiuntive Una particolarità dell’AMI si ritrova nel sempre più vivo interessamento nei confronti di eventuali ostacoli agli IDE non contemplati né dalla norma sul trattamento nazionale né dal principio della Nazione più Favorita (NPF). In particolare, sono state oggetto di esame alcune tematiche, quali: • ingresso e soggiorno temporanei di investitori e personale specifico; • privatizzazione; • monopoli ed imprese statali; • incentivi agli investimenti; • richiesta di particolari prestazioni agli investitori. In particolare, per quanto riguarda l’ingresso e soggiorno temporaneo in un paese, le imprese investitrici sono a favore di una maggiore rapidità e semplificazione delle procedure per l’ottenimento di visti o altre autorizzazioni a favore di quel personale che risulti di fondamentale importanza per l’attività in corso all’estero. Inoltre, l’AMI intende facilitare l’ingresso degli investitori stessi (intesi fisiche) coinvolti in iniziative di investimento. 137 come persone Molto spesso accade inoltre che i governi tendano ad imporre agli investitori determinate richieste di prestazioni miranti a garantire un certo beneficio economico alla nazione ospitante complessivamente intesa. Tali richieste interferiscono però con le decisioni prese dall’investitore stesso e possono condurre a distorsioni del mercato. A tal proposito, mentre, ad esempio, “l’Accordo sulle misure collegate agli investimenti” dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Agreement on Trade-related Investment Measures) concentra la sua attenzione esclusivamente sulle richieste di prestazioni riferibili al puro e semplice commercio, l’AMI si focalizza su qualunque prestazione che possa distorcere i flussi di investimenti ed in particolare mira alla proibizione di richieste quali: ⇒ l’imposizione di una percentuale sui beni e/o servizi che possono essere esportati; ⇒ l’obbligo che la fornitura dei beni prodotti o dei servizi forniti al mercato sia a livello regionale che mondiale provenga esclusivamente dal territorio della parte contraente; ⇒ l’accordare un trattamento preferenziale a beni e/o servizi offerti nel paese ospitante; ⇒ la localizzazione della sede principale destinata a servire un mercato specifico o mondiale in un paese contraente; ⇒ la richiesta di trasferimento di tecnologie, del processo produttivo o di altri assets proprietari ad una persona fisica o giuridica residente nel paese ospitante. Un’altra nuova potenziale disciplina riguarderebbe gli incentivi agli investimenti. Oggigiorno, infatti, la quasi totalità dei paesi promuovono la pratica degli IDE attraverso diverse 138 forme di incentivi come, ad esempio, misure fiscali che prevedono particolari esenzioni. In sede di discussione dell’AMI una prima questione è sorta inerente il limite entro il quale determinate misure possono essere considerate “incentivi”, in quanto è stato rilevato come in certi casi gli effetti di incentivi una forte possano competizione risultare nella negativi. concessione Consenso è di stato ottenuto comunque sulla necessità di rendere più trasparente la loro introduzione; il primo elemento da considerare è l’applicazione del principio del trattamento nazionale anche agli incentivi stessi discriminazione in positiva modo nei tale confronti da evitare degli una investitori stranieri. Inoltre, anche il principio della NPF contribuirebbe all’eliminazione di disparità di trattamento riservati a investitori di paesi diversi. La negoziazione in vista di un Accordo di così ampia portata non può prescindere dalla trattazione di argomenti di grande attualità anche dal punto di vista degli investimenti come i processi di privatizzazione e trasformazione dei monopoli e delle imprese che in molti paesi fino a pochi anni fa erano sotto il controllo statale. Il proponimento sta nel far si che al momento dell’offerta di vendita di tali imprese a privati, entri automaticamente in vigore il principio di non discriminazione; in questo modo, gli investitori stranieri avranno la possibilità di acquisire assetti statali alla stregua degli operatori economici interni. Il tutto fermo restando il fatto che l’Accordo non potrà in alcun modo costringere alla privatizzazione, che resta una decisione totalmente nelle mani delle autorità. Un altro punto importante da sottolineare sta nel fatto che l’AMI non interferisce nemmeno con l’istituto del monopolio in presenza del quale non c’è spazi o per altri 139 investitori, siano essi interni o stranieri. Se le competenze dell’Accordo non prevedono ingerenza in questo campo, non si può nascondere il fatto che la presenza di uno o più monopoli arreca notevole forza ad un mercato; nonostante un accordo totale in materia non sia stato ancora raggiunto, l’AMI norma il comportamento degli stessi in modo tale da garantire la preservazione del principio di non discriminazione. 5.2.5 Il regolamento delle controversie La codifi cazione delle norme per il regolamento delle controversie, che in numerosi accordi bilaterali e ad esempio anche all’interno fondamentale dell’OMC importanza, è è considerata un tema un quasi punto nuovo di per l’OCSE 2. Proprio per questo motivo il meccanismo da inserire nell’AMI prende a modello gli accordi bilaterali sugli investimenti e la stessa disciplina applicata all’OMC; il tribunale ad hoc composto da tre membri avrebbe infatti la possibilità di emettere dichiarazioni e/o raccomandazioni ad un paese in merito all’adattamento di determinate procedure in conformità all’AMI. La differenza principale tra i due metodi di disciplina - quello utilizzato dall’OMC e quello stabilito con l’AMI - è che mentre il primo si limita alle controversie che sorgono tra Stati diversi, l’AMI intende disciplinari altresì i casi di arbitrato tra il Paese ospitante e l’investitore stesso. Nel caso in cui sia l’investitore a far avviare una procedura, avrà egli stesso la possibilità di decidere a quale tipo di istituzione sottomettere la causa: ad una corte o tribunale del paese ospitante oppure all’arbitrato 2 Un precedente si ritrova nell’Accor do sulla Costruzione delle Navi (Shipbuilding Agreement), il quale non è però ancora entrato in vigore. 140 di un tribunale internazi onale, come previsto sia dalla Convenzione sul regolamento delle controversie tra Stati e soggetti stranieri sull’arbitrato (ICSID della Internazionale Convention) Commissione delle Nazioni sul Unite che dalla Diritto Regole Commerciale (UNCITRAL: United Nations Commission on International Trade Law). L’Accordo deve anche definire e circoscrivere quelle che sono le forme di risarcimento permesse: semplici dichiarazioni, pagamento di una somma di denaro e qualunque altro tipo anche se non esplicitamente indi cato, previo consenso di tutte le parti coinvolte nella disputa. Nonostante le linee essenziali della tematica in esame siano piuttosto ben delineate, un consenso generale non è ancora stato raggiunto nel trattamento di alcune particolari argome ntazioni che mi accingo ad analizzare più in dettaglio qui di seguito. Opinioni contrastanti riguardano, ad esempio, il caso di una disputa sorta tra uno Stato e l’investitore ed in particolare la questione se gli arbitrati nazionale e internazionale si escludano vicendevolmente o meno (nel gergo tipico degli investimenti cd. “biforcazione nella strada”). Un certo numero di paesi sono dell’idea che, nel momento in cui l’investitore sceglie la via dell’arbitrato nazionale, non possa più prendere in considerazione un’altra possibilità; altri sostengono invece che il ricorso alle procedure internazionali sia possibile anche successivamente alla scelta del giudizio nazionale. Una tematica di particolare interesse e molto dibattuta in sede di negoziazione ri guarda la regolamentazione delle controversie che stabilimento tra possono sorgere l’investitore ed il nella paese fase di ospitante. preLa questione dibattuta riguarda la possibilità o meno per un 141 investitore di citare in giudizio un potenziale paese ospitante che gli precluda la possibilità di effettuare un investimento sul proprio territorio. Molti paesi sono dell’idea che una tale possibilità venga contemplata dall’AMI all’interno di quei provvedimenti che stabiliscono un diritto per l’investitore stesso. Altri sottolineano invece la competenza in tale ambito delle sole autorità statali, in quanto la questione dello stabilimento in un paese straniero è strettamente connessa ad un diritto di sovranità sul territorio che mette l’investitore in posizione di subordinazione alla volontà delle locali autorità. Inoltre, è stato rilevato come una tale concessione potrebbe recare pregiudizio al sistema di disciplina delle controversie applicato all’interno della OMC, nonché alle norme stabilite dal General Agreement on Trade in Services (GATS). 5.2.6 Il sistema di tassazione stabilito dall’AMI In qualsiasi accordo il cui tema principale siano gli investimenti esteri, la trattazione e negoziazione del sistema di tassazione applicabile riveste un ruolo di fondamentale importanza e suscita un vivo interesse di tutte le parti coinvolte. L’AMI deve, anche in questo ambito, essere in grado di garantire l’estensione del principio di non discriminazione, nonostante il provvedimento non sia di facile attuazione. Alcuni esperti fiscali hanno infatti notato come la presenza di forti obbligazioni per i paesi aderenti all’AMI in materia di trattamento nazionale, principio di non discriminazione o trattamento specifico per la NPF potrebbe creare situazioni conflittuali con le norme contenute in numerosi accordi bilaterali che mirano alla protezione dalla doppia tassazione. D’altro canto, il fatto che generalmente i trattati bilaterali sulla tassazione degli IDE non contemplano 142 la possibilità di ricorso all’arbitrato come me ccanismo di risoluzione delle controversie, è facile pensare che gli Stati dimostrino maggiore interesse per le disposizioni contenute nell’AMI e prediligano la sua applicazione. L’insieme di questi fattori hanno portato alcuni esperti a proporre un provvedimento che indichi come l’Accordo non applichi misure fiscali. Un intenso dibattito si è sviluppato sul tema in questione e ha condotto alla conclusione che l’AMI non applicherà provvedimenti di carattere fiscale, tranne alcune norme a garanzia della trasparenza delle fasi dell’investimento e di eventuali espropriazioni. 5.2.7 Uno sguardo al futuro L’inizio del 1996 ha visto il termine dello stadio di lavori orientativo sulla struttura dell’Accordo e l’avviarsi all’ultimo anno di negoziazioni prima della fase finale dell’effettiva adozione dell’AMI, prevista per l’estate 1997. E’ proprio a questo punto che i paesi devono attivarsi per rendere note quelle che sono le riserve ed i provvedimenti specifici da loro proposti per essere inseriti nel testo; a tal fine, entro il febbraio 1997, dovevano essere presentate le liste e, prima che si giunga alla firma dell’Accordo, è indispensabile un consenso generale sull’effettivo raggiungimento di un’equa considerazione di tutti gli interessi in gioco. Nonostante un tale consenso sia stato raggiunto relativamente al trattamento degli investimenti, numerose differenze di vedute sono state riscontrate rispetto a particolari questioni, tra cui emergono le seguenti: ◊ la possibilità di aumentare la liberalizzazione nel campo degli IDE da parte di determinate organizzazioni regionali 143 di integrazione economica senza che i provvedimenti vengano estesi a tutti gli altri partners dell’AMI; ◊ alcuni paesi hanno espresso il desiderio di poter deviare dagli obblighi stabiliti dall’AMI in forza di particolari caratteristiche culturali; ◊ infine, alcuni paesi a struttura federale potrebbero incontrare difficoltà nel vincolare tutti i territori presenti all’Accordo. Il problema potrebbe ulteriormente aggravarsi in quei paesi in cui le regioni o stati federati sono dotati di autonomia legislativa in materia di investimenti. Da sottolineare come, nonostante la presenza di opinioni contrastanti su alcune questioni rimaste aperte, i paesi membri OCSE siano sempre rimasti determinati nella volontà di raggiungimento dell’obiettivo stabilito. Questa rassegna sui principali temi oggetto di trattazione nell’Accordo ha volutamente evitato, fino a questo momento, l’analisi di un argomento quale l’ammissione alla firma dello stesso di paesi non membri dell’Organizzazione. La complessità di tale tematica rende infatti necessario un esame distinto che verrà condotto nel paragrafo a seguire, in cui si focalizzerà l’attenzione su ruoli e possibilità della comunità mondiale in relazione all’AMI. 5.3 L’AMI in una prospettiva mondiale La corsa sempre più frenetica verso la globalizzazione dei mercati non ha fatto altro che rafforzare la convinzione che un accordo della portata dell’AMI non doveva limitarsi al rafforzamento del processo di liberalizzazione all’interno della zona di influenza dell’OCSE. Ed è proprio per questo motivo che i paesi membri sono concordi sull’importanza di 144 considerare l’obiettivo da raggiungere in una prospettiva mondiale. genere L’evoluzione vede tre verso una conseguenze dimensione immediate: di questo innanzitutto permette di offrire un quadro dettagliato e giuridicamente completo in materia di IDE, nonché di aumentare il loro volume globale e concretizzare i vantaggi economici a favore di tutte le parti. Di conseguenza, molteplici saranno anche le ragioni per cui l’OCSE non si oppone all’apertura alla firma dell’Accordo da parte di paesi non membri e che per di più non hanno partecipato alle negoziazioni: ◊ innanzitutto, il mercato economico mondiale al di fuori della zona dell’OCSE vede la presenza sempre più numerosa di importatori ed esportatori netti di IDE e addirittura di paesi che in breve tempo diventeranno esportatori netti. Alcuni di questi sarebbero già pronti ad aderire alle disposizioni fissate dall’AMI, se si considera il regime già stabilito a livello nazi onale; ◊ a sostegno di quanto è stato appena detto il fatto che la maggior parte di questi paesi hanno già sottoscritto Convenzioni bilaterali sugli investimenti e l’AMI potrebbe apportare loro ulteriori benefici; ◊ infine, l’Accordo in questione darebbe loro anche la possibilità di negoziare direttamente i termini dell’adesione nel quadro delle obbligazioni stabilite dallo stesso. 5.3.1 L’apertura dell’Accordo a paesi non membri OCSE Come già sopra accennato, l’AMI sarà aperto anche alla firma di paesi non membri OCSE visto che, tra l'altro, l'Accordo stesso sarà uno trattato indipendente piuttosto che uno strumento dell’Organizzazione. In questo modo, i molti 145 paesi interessati a questo tipo di accordo e desiderosi di partecipare all’AMI avranno la possibilità di farlo in un momento successivo. L’Atto Finale dovrà comunque essere siglato esclusivamente dal Gruppo Negoziatore e un paese esterno potrà accedere all’Accordo previa definizione dei termini di partecipazione con i membri del “Parties Group” (i.e. i paesi già aderenti). L’adesione ad un Accordo quale l’AMI è sicuramente appetibile da parte di numerosi paesi, in quanto sembra garantire una normazione di livello superiore a qualsiasi altro accordo in materia sia nel campo dell’accesso ad un mercato straniero che nel trattamento riservato alle parti contraenti e altresì nella protezione legale garantita. Il tutto supportato da un sistema di regolamentazione delle controversie ampio e innovativo. Inoltre, per quei paesi la cui quota di IDE in uscita è piuttosto elevata, l’AMI rappresenta un’opportunità ancora maggiore per lo stabilimento e la protezione legale di tutte le forme di investimento nei paesi firmatari. In sede di negoziazione è stato condotto un dibattimento proprio in relazione al modo migliore per far partecipare i paesi non membri OCSE ad un costruttivo e fruttuoso dialogo in modo tale da renderli partecipi, anche se non da un punto di vista attivo, all'avanzamento dei lavori. Sono quindi state avanzate una serie di proposte, di cui le principali vengono riportate qui di seguito: Ø l'organizzazione di riunioni supplementari nel quadro di un approfondimento del dialogo con le più dinamiche economie non facenti parte dell'OCSE e mantenendo inalterate le altre attività già condotte con paesi esterni; Ø l’accettazione di loro contributi scritti; 146 Ø attività di cooperazione con altre organizzazioni intergovernative (ad es. l’OMC, la CNUCED etc.) con le quali ci sono molte probabilità di instaurare rapporti nel corso delle negoziazioni; Ø il mantenimento di contatti informali supplementari tra i paesi esterni e il Segretariato; Ø inoltre, l’instaurazione di contatti bilaterali informali tra i paesi membri e non. Tra tutte le varie opzioni proposte in sede negoziale, il Segretariato dell’Organizzazione ha quindi optato per l’organizzazione di numerosi meeting tenutisi a Parigi in modo tale da agevolare l'uniforme diffusione delle informazioni. Un generale accordo è stato raggiunto su alcuni punti fondamentali inerenti la formalizzazione dello status dei paesi esterni interessati a sottoscrivere l’AMI ed in particolare: innanzitutto l’adesione deve essere preceduta dall’approvazione di tutte Secondariamente, essa dall’appartenenza all’OCSE le è e del infine, parti tutto dato contraenti. indipendente che i paesi interessati devono assumersi tutte le obbligazioni che ne derivano, le parti già aderenti hanno la possibilità di procedere ad una specie di “esame” simile a quello utilizzato per l’adesione ai Codici oppure all’OMC in modo tale da determinare la misura in cui i candidati soddisfino tali obblighi. L’analisi fin qui condotta ha evidenziato l’importanza, espressa non solo da un gran numero di paesi tra cui emerge proprio la Comunità Europea, ma anche dal mondo imp renditoriale, di uno strumento in grado di affrontare le 147 sfide imposte dalla crescente competizione del mercato globale. L’AMI è stato pensato proprio per permettere l’eliminazione di quei fattori di stampo protezionistico tuttora esistenti tesi a discrimi nare l’ingresso e la permanenza di investitori stranieri in un paese. Una conclusione positiva della lunga opera di negoziazione realizzerebbe quindi un sistema di norme internazionali sugli Investimenti Diretti Esteri che, con l’apertura ai paesi non memb ri OCSE, permetterebbe anche ai PVS un avanzamento nella quota di IDE, nonostante il primato spetti ancora ai paesi membri dell’Organizzazione con l’80% ca. del totale il uscita e il 65% in entrata. 148 CAPITOLO 6 Evoluzioni dell’AMI: un fallimento? 6.1 Introduzione Se le premesse sulla creazione di uno strumento multilaterale così ampio come l’AMI sembravano far presagire, in breve tempo, uno stravolgimento nei rapporti commerciali internazionali, la cassa di risonanza creatasi intorno all’Accordo ha dato esiti differenti. I giorni 27 e 28 aprile 1998 dovevano infatti essere riservati alla firma del testo dell’Accordo da parte dei paesi membri dell’OCSE, dopo che la data era stata già rimandata di quasi un anno. Questo fatto dovrebbe far riflettere i diversi governi sui motivi che stanno dietro un tale blocco delle negoziazioni e sulle cause delle difficoltà politiche che sottendono all’approccio fino ad ora utilizzato. Le problematiche maggiori sono state scatenate da portatori di interessi esterni all’OCSE che sono riusciti ad imporsi in modo tale da mettere in discussione il lavoro fi no ad allora compiuto; in particolare ci si riferisce ai Paesi in Via di Sviluppo, a numerose Organizzazioni non Governative (ONG) e agli ambientalisti di diversi paesi che, come i fatti di attualità ci dicono, stanno diventando un gruppo di pressione semp re più forte. A testimonianza dell’importanza che tali gruppi stanno assumendo merita sottolineare un fatto accaduto negli ultimi giorni in occasione del vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio tenutosi a Seattle: se lo scopo era quello di mettere alcuni punti fermi tra le posizioni dei 132 paesi presenti nella regolamentazione del commercio “globale”, nessun progresso è stato fatto. Il tutto a 149 causa delle anche violente proteste che gli ambientalisti hanno condotto nel corso delle giornate del vertice, rendendo, tra l’altro, Seattle una città blindata. Nei paragrafi a seguire verrà fatto un breve excursus su quelle che sono le principali tesi e argomentazioni contro alcuni provvedimenti sanciti dall’Accordo, che hanno fino ad ora impedito la conclusione dell’iter di approvazione, ma che forse potrebbero essere il punto di partenza per una futura riapertura delle negoziazioni, magari in sede OMC. Ha sempre stupito, infatti, che un accordo di tale rilevanza per il commercio internazionale non fosse stato affidato ad un organismo, quale l’OMC appunto, che sin dalla sua creazione nel 1995 è sempre stato considerato come il culmine degli sforzi iniziati circa cinquant’anni fa con l’obiettivo di stabilire un comune regime commerciale internazionale. 6.2 Implicazioni per i Paesi In Via di Sviluppo Q u i di seguito verranno elencati i punti principali del testo dell’Accordo che dovrebbero sicuramente essere modificati secondo quanto espresso dai PVS: v Debito Pubblico Nelle diverse occasioni in cui è stato affrontato l’argomento, c’è sempre stato accordo generale sul fatto che l’AMI non prevederà la trattazione della rinegoziazione del debito pubblico dei PVS. E’ stata invece sottolineata da questi ultimi la necessità della verifica e trattazi one del tema in questione da esperti esterni all’Organizzazione. v Termini sull’accesso dei PVS all’AMI Visto e considerato che l’Accordo sarà aperto alla firma da parte dei PVS intenzionati a farne parte, esso non dovrebbe essere siglato senza un 150 documento separato sulle implicazioni della sua applicazione sui PVS stessi. Lo “Studio DFID” è un primo passo in tale direzione, anche se l’influenza di tale strumento potrebbe essere ristretta da eventuali ritardi e lentezze nella ricerca e nelle discussioni. Un ulteriore delicata questione riguarda l’inadeguatezza di numerose disposizioni contenute nel testo dell’Accordo se comparate agli standard di sviluppo attualmente raggiunti dai PVS. Sarebbe quindi necessario prevedere la possibilità di siglare l’Accordo “settore per settore” , invece di siglare l’intero accordo (come attualmente previsto dal testo dello stesso) e negoziare le eccezioni, nel caso in cui si renda necessario, con il singolo paese. v Eccezioni generali al trattamento nazionale La formula dell’investimento diretto può dare un notevole contributo alla diminuzione della povertà nei PVS, anche se tale processo non è automatico. L’impatto che gli IDE possono avere dipende, infatti, soprattutto dalla qualità d e l l ’ i n v e s t i m ento e dalla sua regolamentazione. L’AMI stabilisce che gli Stati debbano trattare gli investitori stranieri come quelli nazionali, ma, nella realtà, nessun tipo di investitore è uguale ad un altro, siano essi nazionali o stranieri. I l c o n t r o l l o g o v e r n a t i v o può quindi rendersi necessario in un certo numero di casi e non è conveniente scartare tale possibilità e priori. L’apertura agli investitori stranieri non è poi detto che porti con sé effetti esclusivamente positivi; paesi quali la Tanzania, l’Uganda e l o Zambia, ad esempio, stanno premendo con forza sui governi affinché una nuova legislazione renda tali paesi più aperti agli investitori stranieri. La firma di un accordo come l’AMI consoliderebbe certamente questi movimenti, ma sorge subito la questione delle lobby di potere che potrebbero concentrare al loro interno i vantaggi derivanti dall’apertura commerciale. v Eventuali richieste di prestazioni Polemiche su questo tipo di provvedimento sono giunte da mole parti. La soluzione proposta è di stampo diverso da quella prevista dal testo attuale; l’Accordo dovrebbe infatti applicare la richiesta di determinate prestazioni solamente al fine di prevenire l’espropriazione di eccessivi benefici e di assicurare che la positività dell’investimento in termini di sviluppo per il paese ospitante. Questo si rivelerebbe particolarmente importante per una costante diminuzione dello “storico” sfruttamento condotto nei confronti dei PVS. 151 6.3 Clausole vincolanti in materia di lavoro La sempre crescente mobilità di capitali sta esercitando una pressione crescente sugli standard lavorativi, in quanto i governi sono in competizione nell’attrarre investimenti stranieri. A riprova di tale fenomeno si possono citare: l’aumento delle zone di libero scambio, la deregulation del mercato del lavoro e l’allargamento a macchia d’olio del lavoro flessibile, che spesso impediscono ai lavoratori di avere un lavoro fisso e a tempo pieno. Il tutto nonostante da più parti si sia notata l’assenza di un vantaggio competitivo a lungo termine nell’adozione di un tale sistema lavorativo. L’AMI renderà tutto ciò ancora più forte attraverso la rimozione dei controlli governativi sugli investimenti diretti senza che vengano al contempo rafforzati gli standard in materia a livello nazionale e internazionale. Inoltre, l’Accordo non prevede regole vincolanti in tema di lavoro. E’ stato proposto l’inserimento di una clausola di “non abbassamento degli standard”, ma il suo effetto sarebbe praticamente irrilevante visto e considerato che essa sarebbe subordinata all’accettazione dell’intonso testo dell’Accordo. Al contrario, l’accesso alla firma dell’Accordo dovrebbe presupporre la preventiva accettazione delle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Il tutto tenendo comunque in considerazione le opposizioni dei PVS ad un condizionamento degli standard lavorativi. 6.4 L’AMI e la questione ambientale Della problematica questione ambientale numerose associazioni ambientaliste si sono schierate totalmente contro la firma di tale Accordo. Circa 600 organizzazioni tra ambientalisti, femministe, religiose, dei consumatori provenienti da più di 70 paesi stanno facendo valere le loro opinioni bloccando così le negoziazioni. Sul fronte ambientalista emerge, per il grande interesse dimostrato e la maggiore documentazione disponibile, l’Associazione ambientalista “Friends of the earth” con sede a Londra. 6.4.1 Il quadro generale I l raggiungimento di un accordo generale per l’approvazione dell’AMI è supportato dalla maggior parte del mondo industriale mondiale e soprattutto dalle imprese multinazionali, che hanno tutto l’interesse di espandere la 152 propria influenza. Tra queste ce ne sono alcune che di certo non brillano per la loro attenzione al territorio: la Shell, ad esem pio, è stata non molto tempo fa coinvolta in scandali sull’abuso dei diritti umani in Nigeria. La Texaco, nonostante sia membro della Global Climate Coalition, ha una causa pendente per mancato controllo dell’inquinamento nelle operazioni condotte in Ecuador. Le implicazioni in materia ambientale dell’Accordo non vengono trattate in profondità e gli eventuali danni causati dipenderebbero solamente dalle circostanze e dal comportamento degli investitori; nulla garantisce, però, un loro atteggiamento corretto e rispettoso dell’ecosistema. La liberalizzazione ampiamente garantita nel testo renderebbe improbabile la possibilità di qualsiasi provvedimento da parte dei governi nei confronti degli investitori. Inoltre, l’AMI si trova potenzialmente in una posizione conflittuale nei confronti di numerosi Accordi Ambientali Multilaterali, quali ad esempio: v I provvedimenti sanciti nel Protocollo di Kyoto in merito ad un “Meccanismo di Sviluppo Pulito” (Clean Development Mechanism) e ad un elenco di emissioni permesse; v La regolamentazione all’accesso a risorse genetiche sotto l’egida della Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity). 6.4.2 Comparazione tra il testo e le obiezioni Q u i di seguito si procede con l ’indicazione delle componenti principali dell’Accordo e la parallela disamina di come gli obiettivi di protezione dell’ambiente vangano sottovalutati. v Trattamento Nazionale Nonostante alla formulazione sopra indicata si potrebbe aggiungere “diritti di tutti, responsabilità di nessuno”, è proprio il principio del Trattamento Nazionale il punto cardine di tutto l’Accordo. Secondo tale principio, infatti, gli investitori stranieri devono poter godere dei medesimi diritti, privilegi e concessioni normalmente riservate alle imprese nazionali. Uno statement di questo genere però proibirebbe, ad esempio: - l’approvazione di politiche mirate a favorire la manutenzione del territorio o a regolamentare lo sfruttamento delle risorse naturali; - i sussidi a supporto dello sviluppo della comunità locale; 153 - le procedure richieste ai cittadini per le licenze di pesca o raccolta funghi. Sarebbe quindi necessario stabilire che l’utilizzo di determinate risorse naturali sia preceduto dalla presa di impegno dell’interessato a garantire il monitoraggio e manutenzione delle stesse. v Diritti degli investitori All’interno della sezione “Richieste di prestazioni”, l’AMI specifica tutta una serie di misure che non possono essere imposte né su investitori nazionali né su quelli stranieri. Vista però la necessità di contenere e possibilmente ridurre il grado di sfruttamento delle risorse naturali, al fine di non aggravare ulteriormente i già seri danni causati al nostro ecosistema, l’Accordo dovrebbe impegnarsi a lavorare economie su fronti locali diversi. (sempre Ad esempio, magari tramite promuovendo investitori lo sviluppo stranieri) o delle ancora favorendo le imprese che utilizzano tecnologie il meno possibile dannose per l’ambiente. A tutt’oggi, però, il testo dell’AMI non prevede niente di tutto ciò. v Espropriazione Sotto la dicitura di “protezione dell’investitore, l’AMI prevede che i governi: “non esproprieranno o nazionalizzeranno direttamente o indirettamente un investimento….né prenderanno alcuna misura con effetto equivalente.” Dall’estratto della definizione sopra riportato se ne deduce che il divieto è inteso in senso molto ampio e che nessun provvedimento restrittivo potrebbe essere preso qualora si riscontrino evidenti infrazioni in materia ambientale. In termini pratici, lo stato ospite non potrebbe, ad esempio, revocare o modificare i termini delle esistenti licenze al fine di proteggere le riserve marine, di flora e fauna oppure modificare le regolamentazioni sull’utilizzo del terri torio che possano ridurre il valore della proprietà dell’investitore; per non parlare delle richieste di utilizzo di tecniche estrattive non dannose per l’ambiente che porterebbero ad un incremento dei costi di estrazione. v Condizionamenti ambientali 154 Nell’ambito delle varie discussioni in materia ambientale, i negoziatori dell’AMI hanno sempre evidenziato la presenza del seguente provvedimento: “le Parti riconoscono che è del tutto inappropriato incoraggiare gli investimenti abbassando il livello della salute pubblica, della sicurezza o degli standard ambientali…” Il testo di tale provvedimento è stato preso dal capitolo sugli investimenti presente nel NAFTA, ma la sua severità è solamente apparente visto che, tra l’altro, si colloca in un tipo di accordo che stimola e incita alla concorrenza e alla competizione in materia di IDE. E’ scandaloso come sia stata data la possibilità ai diversi governi di prendere le misure necessarie per la protezione e la sicurezza degli interessi essenziali del paese, ma nulla è stato previsto per garantire la sicurezza dell’ecosistema che, tra le altre cose, interessa tutto il pianeta. 6.5 La posizione dell’Unione Europea Anche a livello di istituzioni europee l’AMI ha creato un ampia cassa di risonanza, mol to è stato detto e scritto in merito e il processo è ancora in corso. Nessuno ha mai negato l’importanza degli Investimenti Diretti Esteri come fattore chiave per la crescita economica e il benessere di un paese, anche per i Paesi in Via di Sviluppo. Ma le qualità di stabilizzazione e l’input dato da quest ultimi allo sviluppo di un paese non possono nemmeno essere prese per oro colato, soprattutto in un periodo come questo di fine millennio, caratterizzato da una congiuntura estremamente mutevole e imprev e d i b i l e . L e numerosi crisi finanziarie che hanno colpito, anche in modo grave, diversi paesi negli ultimi anni ne sono sicuramente una prova. La Commissione Europea ha recentemente sottolineato le innumerevoli difficoltà che hanno caratterizzato i ten t a t i v i di rimozione dei fattori ostacolanti gli IDE. Questo al contrario di quanto è per esempio avvenuto nel quadro del GATT, ovvero nell’abbassamento barriere commerciali tariffarie e non. In questo percorso, le negoziazioni tenutesi nell’OCSE per la realizzazione dell’AMI sono state il primo reale tentativo di costruire una regolamentazione 155 comune intorno ad un tema per molti paesi così importante. L’iniziativa è fallita soprattutto, secondo la stessa Commissione, a causa di una sostanziale mancanza di trasparenza nella condotta delle trattative, la grave mancanza di una pratica considerazione degli aspetti ambientali e molto probabilmente una troppo ambiziosa definizione di investimento. Nonostante tutto ciò, a livello europeo si resta fermamente conv inti della necessità della creazione di un insieme di regole base comuni per garantire una certa, seppur non totale, omogeneità nel trattamento degli IDE. 6.5.1 Argomentazioni della Commissione Europea a favore di un accordo multilaterale sugli investimenti Le motivazioni per cui agli albori del terzo millennio è necessario giungere alla definizione di una serie di regole in materia di IDE sono m o l t e p l i c i . Qui di seguito si darà spazio a quelli che sono i principali punti fermi espressi dalla Commissione Europea. Innanzitutto, l’eccessova numerosità di accordi bilaterali e regionali in materia di investimenti ha creato un sovraccarico di norme spesso inconsistenti e che spesso restano ineffettivie o non vincolanti. Inoltre, per quanto concerne i PVS, essi costituiscono indubbiamente un’area sempre più allargata per gli IDE, ma gli investimenti in entrata si concentrano poi solo in una minima parte di essi. La maggior parte dei paesi più poveri resta così esclusa da tale processo di sviluppo. Un accordo multilaterale contribuirebbe certamente alla progressiva apertura di tutte le economie agli IDE secondo il loro livello di sviluppo ed evitando inoltre la confusione creatasi nel tentativo di governare la competizione tra paesi attraverso un incrocio di troppi accordi diversi. Regole multilaterali costituiscono altresì la logica conseguenza ed il seguito delle basi poste dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Certamente, le normative multilaterali non saranno sufficienti a garantire l’incremento di IDE, ma comunque daranno una maggiore sicurezza al potenziale investitore che quindi sarà più disposto a rischiare. 6.5.2 Obiettivi della Commissione per il New Trade Round 156 L’Unione Europea è sempre stata del parere che l’OMC fosse senza dubbio il luogo ideale per negoziare un accordo del genere, in particolare, vista la presenza, al suo interno, sia dei paesi sviluppati che di quelli in via di s v i l uppo. Gli interessi di entrambi potrebbero quindi essere meglio presi in considerazione. Questo porterebbe ad un’opera non discriminatoria per nessuno, che possa garantire una certa stabilità in materia, senza peraltro togliere ai singoli paesi la possibilità regolare l’attività sul proprio territorio. In primis, dovrebbe essere garantita la massima trasparenza nelle operazioni, nonché una elementi che maggiore disponibilità dei diversi paesi. La posizione dell’Unione Europea in merito ai principali dovrebbero essere trattati nelle nuove negoziazioni si struttura come segue. Innanzitutto, per quanto riguarda l’accesso alle opportunità di investimento, la negoziazione nel quadro OMC garantirebbe un bilanciamento ed un'equa considerazione delle diverse situazioni. Un coerente sistema di protezione degli IDE contribuirebbe inoltre all’eliminazione di trattamenti preferenziali che distorcono l’andamento corretto del mercato. Un sistema di regole così ad ampio raggio sarebbe anche in grado di assicurare un certo grado di beneficio in termini di sviluppo economico sia per il paese investitore che per quello ospitante, in un clima stabile e trasparente. In ultimo, ma non certo per importanza, l’investitore deve sempre garantire uno standard minimo di condotta dovunque si trovi ad operare, mettendo in luce il concetto di “good corporate citizenship” di cui si è da qualche anno iniziato a parlare. In conclusione, facendo riferimento alla domanda contenuta nel titolo del capitolo, se evidente è stato il fallimento delle negoziazioni condotte in sede OCSE, non è assolutamente detto che una loro riapertura in un ambito diverso porti a risultati concreti. L’importante è assicurare la più trasparente e coerente condotta delle stesse nella maggiore problematiche più scottanti di questo fine millennio. 157 considerazioni delle CONCLUSIONE La crescita senza precedenti nel volume di investimenti che sta interessando ormai da alcuni anni un gran numero di paesi e che si è cercato di spiegare sia dal punto di vista delle cause che hanno portato a tali cambiamenti che dall’analisi della presente situazione a livello mondiale per macro-aree e, nel caso particolare, dell’Italia, non può mancare di evidenziare quelle che sono l e tendenze prospettate per il prossimo futuro. Senza inoltrarsi in previsioni di lungo periodo che potrebbero essere troppo rischiose a causa dell’elevata incertezza sugli eventi intercorrenti durante tale periodo, possono invece essere evidenziate le prospettive di medio periodo che, tra l’altro, d’informazione per il costituiscono management preziose aziendale fonti intento a preparare i piani di investimento che condurranno nel nuovo millennio. A tale proposito, tra le motivazioni che spingono il quadro dirigente di un’azienda ad ampliare la propria struttura all’estero, la possibilità di accedere ed assicurarsi una fetta di mercato resta e resterà anche per i prossimi anni l’elemento principale in grado di influenzare la scelta. Si nota, quindi, che le dimensioni del mercato di sbocco e la possibile crescita personale siano identificabili come le priorità fondamentali, seguite poi dagli altri fattori collegati all’ambiente economico più generale. Per il periodo 1997-2001 1, proseguendo con le previsioni, è attesa una rapida crescita della quantità di beni e servizi 1 A tal proposito, una ricerca è stata condotta dall’UNCTAD, in concerto con Invest in France Mission e Arthur Andersen Consulting, attraverso tutta una serie di interviste effettuate a numerosi managers di imprese transnazionali. 153 prodotti attraverso le filiali all’estero, anche se destinati al consumo nello stesso mercato di provenienza. Inoltre, come rilevato nei precedenti capitoli della presente opera, gli imprenditori opteranno sempre più per gli investimenti diretti sotto forma di fusioni, acquisizioni, joint venture e alleanze strategiche. In particolare, la scelta della formula joint venture è facilmente spiegabile con la propensione alla suddivisione dei costi e dei rischi connessi al fatto di trovarsi comunque in un paese straniero e magari allo sviluppo di un nuovo prodotto che richiede il coinvolgimento di personale locale esperto e specializzato. Per quanto riguarda la destinazione degli IDE, le mete favorite e che qui ndi registreranno un aumento nel volume in ingresso, sembrano essere i paesi asiatici seguiti dall’America Latina e dall’Europa Centro-orientale, mentre i valori relativi all’Europa Occidentale e del Nord America non dovrebbero subire variazioni di rilievo. Una forte propensione all’internazionalizzazione caratterizzerà anche l’organizzazione interna dell’impresa e porterà con sé notevoli cambiamenti in quasi tutti i settori operativi. Alla nuova mentalità non dovranno quindi adattarsi e adeguarsi sol amente i vertici dei settori amministrativo, commerciale, distributivo, post-vendita ecc., bensì anche tutti coloro che operano nell’ambito della R&S, del reperimento delle materie prime e della produzione. Questa novità sottolinea l’importanza, già evidenziata nell’introduzione al presente lavoro, della preparazione della “dimensione umana della globalizzazione”, in qualsiasi ambito e ad ogni livello. Spostando l’attenzione sulle dimensioni delle imprese investitrici che si immetteranno sul mercato mo ndiale nei prossimi anni e sui settori che risulteranno avvantaggiati da tale inarrestabile processo, bisogna sottolineare come l’IDE 154 resti positivamente correlato alla dimensione dell’azienda, nonostante il fatto che anche le PMI continueranno ad estendere le proprie strutture produttive. Per quanto concerne i settori produttivi, invece, si prevede un forte incremento degli infrastrutturale, IDE della nei settori distribuzione e automobilistico, dei servizi non finanziari, mentre un certo rallentamento caratterizzerà i servizi finanziari. E’ comunque difficile fare un discorso generale e valido per tutte le realtà industriali; le situazioni in cui si trovano le diverse imprese sono infatti molto diverse tra loro ed influenzano non poco tempi e scelte di internazionalizzazione dell’attività. Ci sono, ad esempio, numerose industrie in cui l’espansione all’estero è ancora limitata, nonostante siano presenti tutti i presupposti necessari all’ottenimento di risultati positivi. Altre realtà industriali, in particolare quella manifatturiera, hanno già raggiunto un tale livello di internazionalizzazione che è difficile prevedere un ulteriore massiccio incremento 2; non possono essere però dimenticate quelle industrie in cui rimangono attivi alcuni ostacoli sotto forma, ad esempio, di vincoli normativi oppure ancora i casi di tentativi che hanno condotto a risultati estremamente negativi, tali da scoraggiare uno sviluppo ulteriore sui mercati esteri. Con particolare riferimento alla presenza di restrizioni normative in materia di IDE, gli anni a venire dovranno portare con sé un serio impegno in vista sia dell’entrata in vigore di quegli accordi ancora in fase di discussione o approvazione che dell’ulteriore e incessante approfondimento delle tematiche più controverse, in grado di 2 L’eccezione sembrano essere le imprese produttrici di automobili e beni di consumo, per le quali si prevede un ulteriore incremento degli IDE. 155 favorire e stimolare una sempre più ampia risposta alla sfida della globalizzazione. 156 APPENDICI APPENDICE A TABELLA A.1 A1. IMPRESE INDUSTRIALI ESTERE A PARTECIPAZIONE ITALIANA AL 1° GENNAIO 1996, PER AREA GEOGRAFICA Partecipazioni Partecipazioni di controllo paritarie e Totale minoritarie N. % N. % N. % 705 50,3 149 33,8 854 46,4 Austria 16 1,1 1 0,2 17 0,9 Belgio 26 1,9 3 0,7 29 1,6 229 16,3 51 11,6 280 15,2 Germania 87 6,2 18 4,1 105 5,7 Grecia 24 1,7 5 1,1 29 1,6 Paesi Bassi 17 1,2 4 0,9 21 1,1 Portogallo 39 2,8 8 1,8 47 2,6 Regno Unito 66 4,7 17 3,9 83 4,5 Spagna 137 9,8 34 7,7 171 9,3 Svizzera 32 2,3 5 1,1 37 2,0 228 16,3 79 17,9 307 16,7 11 0,8 3 0,7 14 0,8 0 0,0 2 0,5 2 0,1 Polonia 39 2,8 6 1,4 45 2,4 Repubblica Ceca 18 1,3 1 0,2 19 1,0 Romania 26 1,9 7 1,6 33 1,8 Russia 18 1,3 26 5,9 44 2,4 Slovacchia 15 1,1 3 0,7 18 1,0 Slovenia 10 0,7 5 1,1 15 0,8 Ungheria 59 4,2 12 2,7 71 3,9 143 10,2 32 7,3 175 9,5 21 1,5 8 1,8 29 1,6 Europa Occidentale Francia Europa Orientale Albania Yugoslavia Nord America Canada 158 Stati Uniti 122 8,7 24 5,4 146 7,9 America Latina 157 11,2 47 10,7 204 11,1 Argentina 25 1,8 9 2,0 34 1,8 Brasile 58 4,1 18 4,1 76 4,1 Messico 14 1,0 11 2,5 25 1,4 Venezuela 38 2,7 6 1,4 44 2,4 Area del Pacifico 62 4,4 57 12,9 119 6,5 Cina 20 1,4 29 6,6 49 2,7 Malesia 4 0,3 6 1,4 10 0,5 Singapore 4 0,3 2 0,5 6 0,3 Altri Paesi Asiatici 43 3,1 42 9,5 85 4,6 India 11 0,8 18 4,1 29 1,6 Turchia 25 1,8 13 2,9 38 2,1 Africa 63 4,5 35 7,9 98 5,3 Egitto 4 0,3 3 0,7 7 0,4 10 0,7 3 0,7 13 0,7 1401 100,0 441 100,0 1842 100,0 Marocco Totale Fonte: database Reprint, CNEL. TABELLA A.2 NUOVE PARTECIPAZIONI ITALIANE IN IMPRESE INDUSTRIALI ALL’ESTERO NEL BIENNIO 1994-95, PER AREA GEOGRAFICA 159 Partecipazioni Totale di controllo Impres Addetti e N. Europa Occidentale 110 Impres Addetti e N. 1816 4 % N. N. % 35,1 146 29017 36,6 Austria 1 4 0,0 1 4 0,0 Belgio 3 829 1,6 3 829 1,0 Francia 25 2385 4,6 43 8227 10,4 Germania 17 5351 10,4 23 7113 9,0 Grecia 1 3 0,0 2 9 0,0 Paesi Bassi 7 988 1,9 8 1988 2,5 Portogallo 9 536 1,0 12 1406 1,8 Regno Unito 16 4564 8,8 18 4864 6,1 Spagna 19 2313 4,5 24 3386 4,3 Svizzera 4 385 0,7 4 385 0,5 82 1265 24,5 97 16804 21,2 Europa Orientale 6 Albania 5 1428 2,8 6 1478 1,9 Yugoslavia - - - - - - 17 3386 6,5 18 3435 4,3 6 1673 3,2 6 1673 2,1 12 806 1,6 13 825 1,0 Russia 5 602 1,2 9 1061 1,3 Slovacchia 9 1424 2,8 11 4713 5,9 Slovenia 3 1000 1,9 4 1041 1,3 Ungheria 13 1013 2,0 14 1023 1,3 Nord America 19 4161 8,0 23 5976 7,5 2 155 0,3 4 1390 1,8 Polonia Repubblica Ceca Romania Canada 160 Stati Uniti 17 4006 7,7 19 4586 5,8 America Latina 59 7709 14,9 72 9599 12,1 Argentina 9 1315 2,5 11 1355 1,7 Brasile 8 833 1,6 12 1653 2,1 Messico 5 634 1,2 10 1034 1,3 Venezuela 28 3901 7,5 29 4501 5,7 Area del Pacifico 27 7679 14,9 45 14038 17,7 Cina 18 7362 14,2 29 12212 15,4 Malesia 1 10 0,0 1 10 0,0 Singapore 1 10 0,0 2 60 0,1 Altri Paesi Asiatici 8 439 0,8 17 1949 2,5 India 3 114 0,2 6 814 1,0 Turchia 4 275 0,5 7 965 1,2 Africa 10 889 1,7 16 1881 2,4 Egitto 1 250 0,5 3 1100 1,4 Marocco 3 214 0,4 3 214 0,3 315 5169 100,0 416 Totale 79264 100,0 7 Fonte: database Reprint, CNEL. TABELLA A.3 EVOLUZIONE SETTORIALE DEL NUMERO DI IMPRESE INDUSTRIALI ESTERE A CONTROLLO ITALIANO NEL PERIODO 1° GENNAIO 1986 – 1° GENNAIO 1996, PER SETTORE DI ATTIVITA’ 161 Imprese al 1° gennaio Variazioni % 1986 1994 1996 96-94 96-86 Settori tradizionali 99 309 389 25,9 292,9 Prodotti alimentari base 35 78 90 15,4 157,1 Tessile 22 56 65 16,1 195,5 Abbigliamento 18 62 75 21,0 316,7 Cuoio, pellett. e calzature 1 22 34 54,5 3300,0 Legno e prodotti in legno 9 24 31 29,2 244,4 Editoria e stampa 8 42 63 50,0 687,5 Ind. manifatt. Diverse 6 25 31 24,0 416,7 319 631 717 13,6 124,8 Prodotti aliment. Derivati 25 74 112 51,4 348,0 Bevande 24 19 17 -10,5 -29,2 Tabacco 0 0 0 n.s. n.s. Carta e cartotecnica 11 16 23 43,8 109,1 Petrolio e prod. energetici 29 26 25 -3 , 8 -13,8 Chimica di base 14 31 35 12,9 150,0 Saponi e cosmetici 5 7 7 0,0 40,0 Fibre sintetiche e artific. 5 5 3 -40,0 -40,0 Pneumatici / gomma 23 23 26 13,0 13,0 Prod. in materie plastiche 17 50 45 -10,0 164,7 7 12 16 33,3 128,6 15 80 86 7,5 473,3 31 56 58 3,6 87,1 Prodotti in metallo 12 58 66 13,8 450,0 Elettrodomestici 13 29 37 27,6 184,6 Fili e cavi isolati 23 21 21 0,0 -8 , 7 Compon. elettrica auto 23 34 32 -5 , 9 39,1 3 22 17 -22,7 466,7 Autoveicoli/moto/bici 12 20 22 10,0 83,3 Compon. meccanica auto 27 48 69 43,8 155,6 Settori specialistici 72 146 169 15,8 134,7 Macchine, app. meccanici 64 124 142 14,5 121,9 Elettromecc. strumentale 7 19 23 21,1 228,6 Settori con forti economie di scala Lavorazione del vetro Estrazione e lavorazione minerali non metalliferi Estrazione e lavorazione metalli e loro leghe Altri prod. e comp. elettr. 162 Costruz. navali/ferrotranv 1 3 4 33,3 300,0 75 116 126 8,6 68,0 6 24 27 12,5 350,0 Farmaceutica 27 31 36 16,1 33,3 Inform., macchine ufficio 17 15 14 -6 , 7 -17,6 Elettronica e telecomunic. 8 13 13 0,0 62,5 Strum. e mecc. precisione 16 32 35 9,4 118,8 Aeromob. e veic. spaziali 1 1 1 0,0 0,0 565 1202 1401 16,6 148,0 Settori a elevata intensità tecnologica Derivati chimici Totale Fonte: database Reprint, CNEL. TABELLA A.4 EVOLUZIONE DEL NUMERO DI IMPRESE INDUSTRIALI ESTERE A PARTECIPAZIONE ITALIANA NEL PERIODO 1° GENNAIO 1986 – 1° GENNAIO 1996, 163 PER SETTORE DI ATTIVITA’ Imprese al 1° gennaio Variazioni % 1986 1994 1996 96-94 96-86 Settori tradizionali 95 396 480 21,2 405,3 Prodotti alimentari base 11 89 100 12,4 809,1 Tessile 27 72 79 9,7 192,6 Abbigliamento 17 75 96 28,0 464,7 Cuoio, pellett. e calzature 13 38 49 28,9 276,9 Legno e prodotti in legno 11 28 37 32,1 236,4 3 55 73 32,7 2333,3 13 39 46 17,9 253,8 377 837 957 14,3 153,8 Prodotti aliment. derivati 28 88 129 46,6 360,7 Bevande 30 20 18 -10,0 -40,0 Tabacco 0 0 0 n.s. n.s. Carta e cartotecnica 12 20 26 30,0 116,7 Petrolio e prod. energetici 35 42 41 -2 , 4 17,1 Chimica di base 15 55 73 32,7 386,7 Saponi e cosmetici 4 10 8 -20,0 100,0 Fibre sintetiche e artific. 8 9 17 88,9 112,5 Pneumatici / gomma 23 26 29 11,5 26,1 Prod. in materie plastiche 25 69 66 -4 , 3 164,0 6 14 20 42,9 233,3 34 101 106 5,0 211,8 36 72 82 13,9 127,8 Prodotti in metallo 24 88 92 4,5 283,3 Elettrodomestici 11 34 43 26,5 290,9 Fili e cavi isolati 30 21 21 0,0 -30,0 Compon. elettrica auto 5 37 36 -2 , 7 620,0 Altri prod. e comp. elettr. 6 31 26 -16,1 333,3 Autoveicoli/moto/bici 20 35 40 14,3 100,0 Compon. meccanica auto 25 65 84 29,2 236,0 107 197 224 13,7 109,3 Editoria e stampa Ind. manifatt. diverse Settori con forti economie di scala Lavorazione del vetro Estrazione e lavorazione minerali non metalliferi Estrazione e lavorazione metalli e loro leghe Settori specialistici 164 Macchine, app. meccanici 93 171 193 12,9 107,5 Elettromecc. strumentale 12 23 27 17,4 125,0 Costruz. navali/ferrotranv 2 3 4 33,3 100,0 92 170 181 6,5 96,7 Derivati chimici 12 33 38 15,2 216,7 Farmaceutica 29 36 40 11,1 37,9 Inform., macchine ufficio 20 23 22 -4 , 3 10,0 Elettronica e telecomunic. 13 33 32 -3 , 0 146,2 Strum. e mecc. precisione 18 43 47 9,3 161,1 Aeromob. e veic. spaziali 0 2 2 0,0 n.s. 671 1600 1842 15,1 174,5 Settori a elevata intensità tecnologica Totale Fonte: database Reprint, CNEL. TABELLA A.5 IMPRESE INDUSTRIALI ESTERE A PARTECIPAZIONE ITALIANA AL 1° GENNAIO 1996, 165 PER SETTORE DI ATTIVITA’ Partecipaz Partecipaz di controllo paritarie e Totale minorit. N. % N. N. % 389 27,8 91 480 26,1 Prodotti alimentari base 90 6,4 10 100 5,4 Tessile 65 4,6 14 79 4,3 Abbigliamento 75 5,4 21 96 5,2 Cuoio, pellett. e calzature 34 2,4 15 49 2,7 Legno e prodotti in legno 31 2,2 6 37 2,0 Editoria e stampa 63 4,5 10 73 4,0 Ind. manifatt. diverse 31 2,2 15 46 2,5 717 51,2 240 957 52,0 112 8,0 17 129 7,0 Bevande 17 1,2 1 18 1,0 Tabacco 0 0,0 0 0 0,0 Carta e cartotecnica 23 1,6 3 26 1,4 Petrolio e prod. energetici 25 1,8 16 41 2,2 Chimica di base 35 2,5 38 73 4,0 Saponi e cosmetici 7 0,5 1 8 0,4 Fibre sintetiche e artific. 3 0,2 14 17 0,9 Pneumatici / gomma 26 1,9 3 29 1,6 Prod. in materie plastiche 45 3,2 21 66 3,6 Lavorazione del vetro 16 1,1 4 20 1,1 86 6,1 20 106 5,8 58 4,1 24 82 4,5 Prodotti in metallo 66 4,7 26 92 5,0 Elettrodomestici 37 2,6 6 43 2,3 Fili e cavi isolati 21 1,5 0 21 1,1 Compon. elettrica auto 32 2,3 4 36 2,0 Altri prod. e comp. elettr. 17 1,2 9 26 1,4 Autoveicoli/moto/bici 22 1,6 18 40 2,2 Settori tradizionali Settori con forti economie di scala Prodotti aliment. derivati Estrazione e lavorazione minerali non metalliferi Estrazione e lavorazione metalli e loro leghe 166 Compon. meccanica auto 69 4,9 15 84 4,6 Settori specialistici 169 12,1 55 224 12,2 Macchine, app. meccanici 142 10,1 51 193 10,5 Elettromecc. strumentale 23 1,6 4 27 1,5 Costruz. navali/ferrotranv 4 0,3 0 4 0,2 126 9,0 55 181 9,8 Derivati chimici 27 1,9 11 38 2,1 Farmaceutica 36 2,6 4 40 2,2 Inform., macchine ufficio 14 1,0 8 22 1,2 Elettronica e telecomunic. 13 0,9 19 32 1,7 Strum. e mecc. precisione 35 2,5 12 47 2,6 Aeromob. e veic. spaziali 1 0,1 1 2 0,1 1401 100,0 441 1842 100,0 Settori a elevata intensità tecnologica Totale Fonte: database Reprint, CNEL. TABELLA A.6 RIPARTIZIONE GEOGRAFICA DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE DELLE “PICCOLE MULTINAZIONALI” ITALIANE 167 AL 1° GENNAIO 1996 Imprese partecipate Addetti N. % (a) N. % (a) 245 35,7 28,7 20306 25,2 8,1 Austria 3 0,4 17,6 111 0,1 3,4 Belgio 7 1,0 24,1 709 0,9 8,1 Francia 91 13,3 32,5 7832 9,7 7,1 Germania 25 3,6 23,8 2914 3,6 7,8 Grecia 6 0,9 20,7 133 0,2 2,9 Paesi Bassi 2 0,3 9,5 523 0,6 9,2 Portogallo 20 2,9 42,6 1473 1,8 26,4 Regno Unito 14 2,0 16,9 1379 1,7 4,4 Spagna 58 8,5 33,9 3671 4,6 10,5 Svizzera 13 1,9 35,1 1339 1,7 30,8 213 31,0 69,4 37672 46,7 38,6 11 1,6 78,6 2768 3,4 68,5 1 0,1 50,0 800 1,0 24,2 Polonia 23 3,4 51,1 3762 4,7 14,9 Repubblica Ceca 10 1,5 52,6 1210 1,5 19,9 Romania 30 4,4 90,9 12616 15,7 97,2 Russia 29 4,2 65,9 5656 7,0 53,1 Slovacchia 16 2,3 88,9 1809 2,2 31,2 Slovenia 11 1,6 73,3 555 0,7 16,1 Ungheria 43 6,3 60,6 3561 4,4 18,0 Nord America 53 7,7 30,3 2442 3,0 5,0 9 1,3 31,0 651 0,8 10,4 Stati Uniti 44 6,4 30,1 1791 2,2 4,2 America Latina 49 7,1 24,0 5068 6,3 5,0 Argentina 13 1,9 38,2 785 1,0 5,2 Brasile 19 2,8 25,0 2665 3,3 3,9 Messico 6 0,9 24,0 802 1,0 10,2 Venezuela 6 0,9 13,6 312 0,4 3,9 Area del Pacifico 56 8,2 47,1 8714 10,8 29,0 Cina 25 3,6 51,0 6914 8,6 42,3 Malesia 6 0,9 60,0 410 0,5 10,3 Singapore 2 0,3 33,3 140 0,2 4,4 Europa Occidentale Europa Orientale Albania Yugoslavia Canada 168 Altri Paesi Asiatici 31 4,5 36,5 2039 2,5 4,9 India 11 1,6 37,9 544 0,7 2,5 Turchia 13 1,9 34,2 809 1,0 5,7 Africa 39 5,7 39,8 4355 5,4 16,5 Egitto 0 0,0 0,0 0 0,0 0,0 Marocco 5 0,7 38,5 756 0,9 13,0 686 100,0 37,2 80596 100,0 13,5 Totale a) Incidenza % sul totale delle partecipazioni estere dell’industria italiana. Fonte: database Reprint, CNEL. TABELLA A.7 RIPARTIZIONE SETTORIALE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE DELLE “PICCOLE MULTINAZIONALI” ITALIANE AL 1° GENNAIO 1996 Imprese partecipate N. % 169 (a) Addetti N. % (a) Settori tradizionali 240 35,0 50,0 38032 47,2 41,4 Prodotti alimentari base 28 4,1 28,0 3041 3,8 14,2 Tessile 43 6,3 54,4 5163 6,4 32,5 Abbigliamento 54 7,9 56,3 11720 14,5 48,8 Cuoio, pellett. e calzature 45 6,6 91,8 7937 9,8 89,7 Legno e prodotti in legno 33 4,8 89,2 5670 7,0 86,7 3 0,4 4,1 335 0,4 6,4 34 5,0 73,9 4166 5,2 42,2 255 37,2 26,6 21711 26,9 5,4 Prodotti aliment. derivati 19 2,8 14,7 1918 2,4 3,7 Bevande 10 1,5 55,6 319 0,4 33,4 Tabacco 0 0,0 - 0 0,0 - 12 1,7 46,2 960 1,2 5,5 0 0,0 0,0 0 0,0 0,0 20 2,9 27,4 1317 1,6 10,4 Saponi e cosmetici 5 0,7 62,5 784 1,0 13,6 Fibre sintetiche e artific. 2 0,3 11,8 105 0,1 1,3 Pneumatici / gomma 4 0,6 13,8 401 0,5 2,1 32 4,7 48,5 1191 1,5 20,5 8 1,2 40,0 993 1,2 20,3 31 4,5 29,2 2140 2,7 8,0 21 3,1 25,6 5989 7,4 15,3 55 8,0 59,8 3045 3,8 31,6 Elettrodomestici 4 0,6 9,3 116 0,1 0,6 Fili e cavi isolati 1 0,1 4,8 60 0,1 0,5 Compon. elettrica auto 1 0,1 2,8 25 0,0 0,1 12 1,7 46,2 398 0,5 11,7 4 0,6 10,0 778 1,0 0,8 14 2,0 16,7 1172 1,5 3,6 Settori specialistici 124 18,1 55,4 13887 17,2 25,9 Macchine, app. meccanici 115 16,8 59,6 13130 16,3 29,6 Elettromecc. strumentale 9 1,3 33,3 757 0,9 9,6 Costruz. navali/ferrotranv 0 0,0 0,0 0 0,0 0 Editoria e stampa Ind. manifatt. diverse Settori con forti economie di scala Carta e cartotecnica Petrolio e prod. energetici Chimica di base Prod. in materie plastiche Lavorazione del vetro Estrazione e lavorazione minerali non metalliferi Estrazione e lavorazione metalli e loro leghe Prodotti in metallo Altri prod. e comp. elettr. Autoveicoli/moto/bici Compon. meccanica auto 170 Settori a elevata intensità 67 9,8 37,0 6966 8,6 14,0 Derivati chimici 21 3,1 55,3 964 1,2 47,3 Farmaceutica 16 2,3 40,0 1351 1,7 20,5 Inform., macchine ufficio 4 0,6 18,2 101 0,1 1,4 Elettronica e telecomunic. 6 0,9 28,8 559 0,7 2,8 Strum. e mecc. precisione 20 2,9 42,6 3991 5,0 33,5 Aeromob. e veic. spaziali 0 0,0 0,0 0 0,0 0,0 686 100,0 37,2 80596 100,0 13,5 tecnologica Totale a) Incidenza % sul totale delle partecipazioni estere dell’industria italiana. Fonte: database Reprint, CNEL. 171 APPENDICE B PRINCIPALI STRUMENTI INTERNAZIONALI RELATIVI AGLI IDE, 1948-1996 Anno di ratifica del trattato 1948 1948 1949 1957 1957 1958 1961 1961 Titolo Organismo Havana Charter for an International Trade Organisation Draft Statuses of the Arbitral Tribunal for Foreign Investment and of Foreign Investment Court International Code of Fair Treatment for Foreign Investments Treaty Establishing the European Economic Community Agreement on Arab Economic Unity Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral awards Code of Liberalisation of Capital Movement Code of Liberalisation of Current Invisible Operations International Conference on Trade and Employment multilaterale vincolante non ratificato International Law Association non non governativo vincolante non adottato International Chamber of Commerce non non governativo vincolante adottato European Economic Community regionale vincolante adottato vincolante Agreement on regionale Arab Economic Unity United Nations multilaterale vincolante adottato OECD regionale vincolante adottato OECD regionale vincolante adottato 175 Livello Forma Status adottato 1962 1963 1965 1965 1967 1967 1969 1970 UN General Assembly Resolution 1803 (XVII): permanent sovereignity over natural resources Model tax Convention on Income and Capital Common Convention on Investments in the States of the Customs and Economic Union of Central Africa Convention on the Settlement of Investment Disputes between States and Nationals of other States Revised Recommendati on of the Council concerning Cooperation between member countries on Anticompetitive Practices affecting International Trade Draft Convention on the Protection of Foreign Property Agreement on Andean Subregional Integration Agreement on Investment and Free Movement of Arab Capital among Arab Countries United Nations multilaterale non vincolante adottato OECD Regionale non vincolante adottato Customs and Economic Union of Central Africa Regionale vincolante adottato World Bank multilaterale vincolante adottato OECD regionale non vincolante adottato OECD regionale non vincolante non aperto alla firma Andean Common Market regionale vincolante adottato Arab Economic regionale Unity vincolante adottato 176 1970 1971 1972 1972 1973 1973 1974 1974 Decision N.24 of the Commission of the Cartagena Agreement Convention establishing the Inter-Arab Investment Guarantee Corporation Joint Convention on the Freedom of Movement of persons and the Right of Establishment in the Central African Customs and Economic Union Guidelines for International Investments Agreement on the Harmonisation of Fiscal Incentives to Industry Treaty establishing the Caribbean Community UN General Assembly Resolution 3201 (S-VI): Declaration on the Establishment of a New International Economic Order and Resolution 3202. UN General Assembly Resolution 3281 (XXIX): Charter of Economic Rights and Duties of States Andean Subregional Integration Group regionale vincolante adottato Inter-Arab Investment Guarantee Corporation regionale vincolante SUPERSE DED?? Central African Customs and Economic Union regionale vincolante adottato International Chamber of Commerce Caribbean Community non non governativo vincolante adottato regionale vincolante adottato Caribbean Community regionale vincolante adottato United Nations multilaterale non vincolante adottato United Nations multilaterale non vincolante adottato 177 1975 1975 1975 1976 1976 1977 1977 1979 The Multinational Companies Code in the UDEAC (Customs and Economic Union of Central Africa) Charter of Trade Union Demands for the Legislative Control of Multinational Companies Internatonal Chamber of Commerce Rules of Conciliation and Arbitration Declaration on International Investment and Multinational Enterprises Arbitration Rules of the United Nations Commission on Internatonal Trade Law ILO Tripartite Declaration of Principles concerning Multinational Enterprises and Social Policy International Chamber of Commerce Recommendati on to combat Extortion and Bribery in Business Transactions Draft International Agreement on Illicit Payments Customs and Economic Union of Central Africa regionale vincolante adottato International Confederation of Free Trade Unions non non governativo vincolante adottato International Chamber of Commerce non non governativo vincolante adottato OECD regionale adottato United Nations multilaterale (modello) adottato International Labour Office multilaterale non vincolante adottato International Chamber of Commerce non non governativo vincolante adottato United Nations multilaterale Vincolante adottato 178 vincolante/ non vincolantei 1979 1980 1980 1980 1980 1981 1981 UN Model Double Taxation Convention between Developed and Developing Countries The set of Multilaterally Agreed Equitable Principles and Rules for the Control of Restrictive Business Practices Guidelines governing the Protection of Privacy and Transborder Flows of Personal Data Unified Agreement for the Investment of Arab Capital in the Arab States Treaty establishing the Latin American Integration Association Agreement on Promotion, Protection and Guarantee of Investments among Member States of the Organisation of the Islamic Conference Treaty for the Establishment of the Preferential Trade Area for Eastern and South African States United Nations multilaterale (modello) adottato United Nations multilaterale non vincolante adottato OECD regionale non vincolante adottato League of Arab regionale States vincolante adottato LAIA regionale vincolante adottato Islamic Conference regionale vincolante adottato Preferential Trade Area for Eastern and Southern African States regionale vincolante non più attivo 179 1982 1983 1983 1985 1985 1985 1987 1987 1987 1989 Community Investment Code of the Economic Community of the Great Lake Countries (CEPGL) Draft United Nations Code of Conduct on Transnational Corporations Treaty for the Establishment of the Economic Community of the Central African States Draft International Code of Conduct on the Transfer of Technology Convention establishing the Multilateral Investment Guarantee Agency Declaration on Transborder Data Flows Agreement for the Establishment of a Regime for CARICOM Enterprises Revised Basic Agreement on ASEAN Industrial Joint Ventures Agreement among the ASEAN countries for the Promotion and Protection of Investments Fourth ACPEEC Convention of Lomè CEPGL regionale vincolante adottato United Nations multilaterale non vincolante non adottato Economic regionale Community of the Central African States vincolante adottato United Nations multilaterale non vincolante non adottato World Bank multilaterale Vincolante adottato OECD regionale non vincolante adottato Caribbean Common Market regionale vincolante adottato ASEAN regionale vincolante adottato ASEAN regionale vincolante adottato ACP-EU regionale vincolante adottato 180 1990 1991 1991 1991 1992 1992 Charter on a Regime of Multinational Industrial Enterprises (MIEs) in the preferential trade area for Eastern and Southern African States Decision 291 of the Commission of the Cartagena Agreement : Common Code for the Treatmet of Foreign Capital and on Trademarks, Patents, Licences and Royalties Decision 292 of the Commission of the Cartagena Agreement: Uniform Code on Andean Multinational Enterprises The Business Charter for Sustainable Development: Principles for Environmental Management Guidelines on the Treatment of Foeign Direct Investment Articles of Agreement of the Islamic Corporation for the Insurance of Investment and Export Credit Preferential regionale Trade Area for Eastern and Southern African States vincolante adottato Andean Subregional Integration Group regionale vincolante adottato Andean Subregional Integration Group regionale vincolante adottato International Chamber of Commerce non non governativo vincolante adottato World Bank multilaterale non vincolante adottato Islamic Conference regionale adottato 181 vincolante 1992 1993 1994 1994 1994 1994 North American Canada, Free Trade Mexico and Agreement the United States Common Treaty esteblishing the Market for Eastern and Common Southern Market for Africa Eastern and Southern African World Trade Marrakesh Organisation Agreement establishing the World Trade Organisation. Annex 1A: Multilateral Agreements on Trade in Goods. Agreement on Trade related Investment Measures World Trade WTO Annex Organisation 1B: Generla Agreement on Trade in Services and ministerial Decisions relating to the General Agreement on Trade in Services WTO Annex World Trade 1C: Agreement Organisation on Trade related Aspects of Intellectual Property Rights Protocol of MERCOSUR Colonia for the Reciprocal Promotion and Protection of Investments in the MERCOSUR (Intra-zonal) 182 regionale vincolante adottato regionale vincolante adottato Multilaterale vincolante adottato multilaterale Vincolante adottato multilaterale vincolante adottato regionale adottato vincolante 1994 1994 1994 1995 1995 Recommendati on of the Council on Bribery in International Business Transactions Protocol on Promotion and Protection of Investments from States not parties to MERCOSUR APEC Non binding Investment Principles Consumer Charter for Global Business Pacific Basin Charter on International Investments OECD regionale non vincolante adottato MERCOSUR regionale vincolante adottato APEC regionale non vincolante adottato Consumers International non non governativo vincolante adottato Pacific Basin Economic Council non non governativo vincolante adottato Fonte: UNCTAD; World Investment Report 1996. i La Dichiarazione OCSE sull’Investimento Internazionale e le Imprese Multinazionali è un documento politico supportato da vincolanti Decisioni del Consiglio, mentre le Linee Guida sulle Multinazionali non sono vincolanti per i paesi membri. 183 BIBLIOGRAFIA A.A.V.V., World Investment Report 1995: Transnational Corporations and Competitiveness, United Nations. 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