gli investimenti diretti esteri come strumento

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gli investimenti diretti esteri come strumento
Michela Morizzo
GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI
COME STRUMENTO COMPETITIVO
NELL’ERA DEL MERCATO GLOBALE
A.A. 1998/1999: N.12
DISTRIBUZIONE SOLO PER FINI DIDATTICI
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche
Tesi di Laurea:
GLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI
COME STRUMENTO COMPETITIVO
NELL’ERA DEL MERCATO GLOBALE
Laureanda
Relatore
Ch.mo Prof. ROBERTO VANORE
MICHELA MORIZZO
Correlatore
Ch.mo Prof. GIORGIO BAZO
Correlatore
Ch.mo Prof. VINCENZO PORCASI
ANNO ACCADEMICO 1997-1998
INDICE
INTRODUZIONE
Pag.
8
PARTE I: INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI:
DALLA TEORIA ALL’ESPERIENZA ITALIANA
CAPITOLO 1 • APPROCCIO «GLOBALE» AGLI
I.D.E
Pag. 14
1.1 Investimenti esteri e commercio internazionale, un
binomio inscindibile
"
14
"
18
"
23
1.1.1 Riflessi della relazione IDE/commercio per
settore produttivo
1.2 Metodi e strategie alla base della scelta d'ingresso
in un nuovo mercato
1.2.1 Le singole opzioni: investimenti, esportazione e contratti
"
2
26
1.2.2 Analisi delle dimensioni in grado di
influenzare la scelta
Pag. 28
1.2.3 Corollario: variabili situazionali
"
31
"
34
"
35
straniero
"
37
1.3.3 Joint-venture
"
38
1.3.4 Project financing
"
40
"
42
1.3 Forme tecniche assunte dagli I.D.E.
1.3.1 Acquisizione di un’impresa
1.3.2 Costituzione di una società in un paese
1.3.5 Altre forme di investimento diretto:
la delega della produzione e la cessione
di tecnologie
CAPITOLO 2 • LE PRINCIPALI TENDENZE A LIVELLO MONDIALE
2.1 Evoluzione dei flussi di I.D.E.
"
47
2.2 Boom e recessione negli ultimi venti anni
"
56
3
2.2.1 Approfondimento sulle variazioni
del volume di I.D.E. avvenute nei P.V.S
Pag. 59
2.3 La politica competitiva come elemento
determinante l’investimento sui mercati
internazionali
"
62
"
63
2.3.1 Il rapporto tra I.D.E. e normativa sulla
competizione
CAPITOLO 3 • INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: IL CASO ITALIA
3.1 Il ruolo dell’Italia nella propensione
all’investimento sui mercati internazionali
"
68
"
72
"
74
"
79
"
86
3.1.1 Andamento degli I.D.E. italiani in uscita
nel quadro dell’Unione Europea
3.2 Le partecipazioni industriali italiane all’estero
3.2.1 I protagonisti: suddivisione per dimensione
dell’investitore e regione d’origine
3.2.2 Localizzazione geografica e settore di
attività delle imprese partecipate
4
3.3 Le «piccole multinazionali» negli I.D.E.
Pag. 91
3.3.1 Le logiche alla base degli investimenti delle
Piccole e Medie Imprese italiane
"
93
"
97
3.4 Accenno alle fonti di finanziamento a favore delle
P.M.I.
PARTE II: VERSO L’ACCORDO MULTILATERALE SUGLI
INVESTIMENTI
CAPITOLO 4 • EVOLUZIONE DELLE REGOLE INTERNAZIONALI
IN MATERIA DI I.D.E.
4.1 Il quadro giuridico iniziale
Pag. 104
4.2 La disciplina internazionale
"
106
4.2.1 I Trattati Bilaterali sugli Investimenti
"
108
4.2.2 Accordi Regionali
"
110
4.2.3 Strumenti multilaterali
"
113
5
4.3 Presupposti per un ulteriore sviluppo normativo
Pag. 115
4.4 La progressiva liberalizzazione degli I.D.E.: in
attesa dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti
"
118
"
119
"
120
"
129
5.1.1 I caratteri distintivi
"
130
5.2 Il contenuto dell’Accordo
"
132
5.2.1 Le definizioni
"
132
5.2.2 La protezione degli investimenti
"
135
5.2.3 Il trattamento riservato all’investimento
"
136
5.2.4 Discipline aggiuntive
"
137
4.4.1 Vantaggi e svantaggi di regole internazionali
in materia di liberalizzazione dei mercati
4.4.2 Prime considerazioni sul M.A.I.
CAPITOLO 5 • L’ACCORDO MULTILATERALE SUGLI
INVESTIMENTI
5.1 Caratteristiche del nuovo strumento multilaterale
5.2.5 Il regolamento delle controversie
6
“
140
5.2.6 Il sistema di tassazione stabilito dall’A.M.I.
5.2.7 Uno sguardo al futuro
Pag.
142
"
143
"
144
"
145
6.1 Introduzione
“
149
6.2 Implicazioni per i Paesi in via di sviluppo
“
150
6.3 Clausole vincolanti in materia di lavoro
“
152
6.4 L’AMI e la questione ambientale
“
153
6.5 La posizione dell’Unione Europea
“
157
“
158
"
159
"
161
5.3 L’A.M.I. in una prospettiva mondiale
5.3.1 L’apertura dell’Accordo a paesi non membri
OCSE
CAPITOLO 6 • Evoluzioni dell’AMI: un fallimento ?
6.5.1 Argomentazioni della C.E. a favore di un
accordo multilaterale sugli investimenti
6.5.2 Obiettivi della Commissione per il New Trade
CONCLUSIONE
APPENDICI
§
Appendice A
"
158
§
Appendice B
"
172
BIBLIOGRAFIA
"
184
7
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni, lo scenario economico mondiale è andato via
via trasformandosi sotto l’incalzare di una molteplicità di forze, tra le
quali è emerso il processo di progressiva scomparsa, tuttora in corso,
delle barriere economiche, amministrative e anche ideologiche che
tanto hanno influenzato in passato le attività economiche tra i diversi
paesi. Tali processi di unificazione e integrazione dei mercati vengono
definiti,
da
qualche
anno
a
questa
parte,
con
il
termine
“globalizzazione” del quale riporto la definizione data da un autorevole
professore, T. Levitt 1:
“Una forza di grande potenza, la tecnologia, spinge il mondo verso
modelli sempre più uniformi e convergenti. Questa forza ha reso
accessibili a tutti le comunicazioni, i trasporti, i viaggi.(...)Praticamente
ogni uomo della terra desidera tutte le cose di cui ha sentito parlare o
che ha potuto vedere o sperimentare grazie alle nuove tecnologie. Da
tutto ciò nasce una nuova realtà commerciale e cioè l’emergere dei
mercati globali per i prodotti di consumo standardizzati di dimensioni
inimmaginabili in precedenza.”
La vastità di significati che possono essere dati al termine in
questione è un dato di notevole importanza e sottolinea il fatto che
parlare
di
globalizzazione
non
significa
parlare
di
un
fenomeno
fotografabile, bensì di un processo in movimento, in gran parte
dipendente dalle nuove tecnologie. I cambiamenti apportati da tale
inarrestabile evoluzione dell’ambiente economico sono di portata così
ampia
da
individui,
1
necessitare
un
sottolineando
cambiamento
così
la
nella
“dimensione
Cfr. T. Levitt: La globalizzazione dei mercati, p. 19
8
sia
mentalità
degli
umana”
della
globalizzazione, che nelle strutture che hanno caratterizzato il mondo
economico fino a questo momento.
In quest’ottica di evoluzione e cambiamento si collocano le nuove
strategie di internazionalizzazione delle imprese che non riguardano
solamente i grandi gruppi multinazionali, bensì anche le Piccole e
Medie Imprese che tanto attivamente hanno cominciato ad inserirsi in
questa
nuova
dimensione.
Nella
gamma
di
possibilità
che
si
prospettano ad un’impresa che voglia penetrare ed affermarsi in un
mercato straniero, l’Investimento Diretto Estero (IDE) è l’opzione che si
pone sempre più come la forza conduttrice di quel processo di
globalizzazione di cui tanto si parla e che costituisce il corpus del
presente lavoro. Il quadro generale che viene proposto a seguire
costituisce una breve rassegna degli argomenti che verranno analizzati
successivamente nell’opera.
Nel corso degli ultimi anni si è registrato un notevole incremento nel
volume di IDE in entrata e in uscita, anche superiore al commercio
internazionale che per lungo tempo è stato il principale mezzo di
collegamento tra le diverse economie. Da sottolineare, a tale proposito,
la rinnovata attenzione al rapporto esistente tra IDE e commercio, al
modo in cui essi possono essere definiti interdipendenti ed in che modo
influenzano la crescita economica dei paesi, in particolare di quelli in
via di sviluppo.
L’espansione della produzione internazionale, collegata alla scelta
della formula degli IDE come strategia di inserimento sui mercati esteri,
è in gran parte dovuto alle politiche di liberalizzazione in materia che,
negli ultimi anni, vengono introdotte in un numero sempre maggiore di
paesi. A testimonianza di ciò il fatto che, dall’inizio degli anni ’90, su un
totale di 600 ca. modifiche introdotte nelle regolamentazioni sugli
investimenti,
quasi
liberalizzazione
e
il
95%
promozione
erano
degli
indirizzate
stessi.
I
ad
una
maggiore
cambiamenti
hanno
coinvolto per lo più l’apertura di certi settori industriali prima preclusi
9
agli investitori stranieri , l’eliminazione di procedure particolari di
approvazione da parte delle autorità locali nonché l’introduzione di
incentivi
a
favore
degli
operatori
esteri.
Un
ulteriore
fattore
determinante per l’investimento diretto e che a sua volta è, attualmente,
oggetto di particolare attenzione da parte delle autorità nazionali è dato
dal rapporto intercorrente tra gli IDE e la normativa in materia di
competizione. Se, infatti, da un lato, la liberalizzazione degli IDE
rappresenta uno strumento in grado di stimolare la competizione tra le
imprese, dall’altro lato ogni paese necessita un’assicurazione contro la
possibilità che vengano posti in essere atteggiamenti anticompetitivi da
parte di imprese, sia domestiche che straniere.
E’ stato successivamente effettuato un excursus sull’evoluzione
dell’andamento dei flussi di investimenti a livello mondiale, prendendo
in considerazione le principali aree geografiche e approfondendo le
diverse specificità caratterizzanti le fasi di boom e recessione avvenute
nel corso degli ultimi vent’anni. Attraverso un procedimento analitico
sviluppato dal generale al particolare si giunge poi all’analisi del “caso
Italia”, del suo ruolo nella propensione all’investimento, ponendo
l’accento sia sulla situazione delle partecipazioni industriali all’estero
che sulle logiche seguite dalle PMI; il tutto completato da un accenno
alle fonti di finanziamento a loro riservate, a livello nazionale e
comunitario, per stimolare l’investimento diretto.
In concomitanza con il riconoscimento dell’importanza degli IDE
come strumento in grado di far fronte alla sfida della globalizzazione, si
è rilevata la presenza di un numero sempre maggiore di interventi di
carattere normativo sotto forma di accordi bilaterali, regionali e anche
multilateral i
volti
alla
promozione,
ma
anche
e
soprattutto
alla
protezione degli stessi. Ecco che la seconda parte dell’opera si
occuperà
innanzitutto
dell’evoluzione
avvenuta
nella
normativa
in
materia e dei presupposti per quello che sembra essere il “futuro” della
regolamentazione
internazionale:
10
l’Accordo
Multilaterale
sugli
Investimenti, ideato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico (OCSE) in concerto con l’Organizzazione Mondiale
del Commercio (OMC) e che è destinato a modificare radical mente la
regolamentazione internazionale in materia di IDE. Il capitolo 5 si
concentrerà proprio sulla struttura, i caratteri distintivi e soprattutto il
contenuto
dell’Accordo
stesso,
con
particolare
attenzione
per
il
dibattuto tema della possibilità per i paesi non facenti parte dell’OCSE
di accedere alla sottoscrizione del trattato.
11
PARTE PRIMA
INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: DALLA TEORIA
ALL’ESPERIENZA ITALIANA
CAPITOLO 1
APPROCCIO “GLOBALE” AGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI
1.1 Investimenti esteri e commercio internazionale, un binomio
inscindibile
La
rapida
crescita
degli
Investimenti
Diretti
Esteri
e
l’evoluzione degli accordi internazionali in materia hanno fatto
emergere un rinnovato interesse sulla relazione esistente tra
gli IDE e il commercio internazionale. In particolare, le
questioni più scottanti e dibattute restano le seguenti: gli IDE
si pongono come sostituti del commercio, sono o meno
complementari e quali sono le implicazioni sulla crescita e lo
sviluppo di un paese?
L’innegabile interrelazione tra IDE e commercio risulta di grande
importanza per molteplici ragioni: innanzitutto, il commercio è sempre
stato visto come fattore positivo per la crescita e lo sviluppo di
un’economia e gli investimenti, come propulsori nella diffusione di beni e
servizi sui mercati esteri ed elementi chiave nell’internazionalizzazione
produttiva, influenzano notevolmente la direzione e composizione del
commercio mondiale. Il ruolo degli IDE come elemento chiave per lo
sviluppo economico di un paese, quindi, sta influenzando in maniera
sempre più pregnante l’approccio dei singoli organismi governativi nella
regolamentazione
di
tale
pratica.
A
conferma
di
ciò,
nonostante
commercio e investimenti continuino ad essere caratterizzati da una
interrelazione lineare positiva, negli ultimi trent’anni e, in particolare, a
partire dagli anni ’80, si sono registrati numerosi cambiamenti che hanno
interessato l’ambiente economico in cui si realizzano gli investimenti. Le
novità più significative riguardano la diminuzione di barriere ai movimenti
d e l l e m e r c i , s e r v i z i , capitali, lavoratori e imprese. La liberalizzazione
delle regole sui flussi commerciali, tecnologici e degli investimenti
facilitano enormemente le pratiche di trasferimento dei vari fattori
produttivi dal paese d’origine a quello ospitante. La prima conse guenza è
stata la crescita della produzione internazionale, in quanto numerose
14
imprese sono divenute compagnie transnazionali e anche le piccole e
medie imprese si stanno sempre più orientando verso i mercati esteri.
La
tabella1 qui di seguito indica proprio il notevole
aumento
delle
imprese
con
affiliate
all’estero
nel
lasso
temporale 1969-1993, mentre il grafico 1 subito dopo espone
l’evoluzione degli IDE
da parte delle imprese transnazionali
tra il 1970 e il 1996.
Tabella 1: Numero totale di imprese con affiliate all’estero, per
paese.
STATO
1968/1969
1993
Stati Uniti
2468
3013
Gran Bretagna
1692
1443
Germania
954
7003
Francia
538
2216
Svizzera
447
3000
Paesi Bassi
268
1608
Svezia
255
3520
Belgio e Lussemburgo
253
96
Danimarca
128
800
Italia
120
445
94
1000
Norvegia
15
STATO
1968/1969
1993
Austria
39
838
Spagna
15
744
5
1165
7276
26891
Portogallo
Totale
Fonte: UNCTAD
Grafico
1:
Flusso
di
IDE
all’estero
delle
imprese
transnazionali, 1970-1996.
1600
1400
1200
1000
800
600
400
1996
1994
1992
investimenti
1990
gli
1988
1986
tra
1984
rapporto
1982
il
1980
1976
1974
1972
utilizzando
1970
0
a) i.e.
1978
200
annuali
effettuati nelle affiliate all’estero e i dati sugli IDE contenuti
nella bilancia
dei
pagamenti.
IDE
in uscita
corretti (a)
IDE in uscita
Fonte: UNCTAD
Il nuovo ambiente economico internazionale ha reso le
imprese molto più libere sulla scelta del metodo di ingresso in
un nuovo mercato: ad esempio, produrre nel paese d’origine
ed esportare i prodotti, produrre in un altro paese per la
16
vendita
locale
o
dell’esportazione.
ancora
Esse
produrre
godono
all’estero
inoltre
di
in
vista
numerose
facilitazioni nel reperimento degli input produttivi necessari
alla produzione, vuoi importandoli oppure attraverso particolari
investimenti che permettano l’accesso alla fonte, in modo da
diminuire i costi e da semplificare la copertura di un mercato
nazionale, regionale o globale. Le organizzazioni aziendali
transnazionali
sono
decisamente
facilitate
nell’effettuare
investimenti all’estero e possono anche decidere di iniziare la
produzione di un determinato prodotto in un paese straniero,
magari destinando tale prodotto al solo mercato del paese
ospitante.
Risulta evidente, quindi, come l’intrecciarsi di Investimenti
Diretti Esteri e commercio apporti nuovi stimo li per le politiche
condotte a livello nazionale in materia. I sistemi di produzione
internazionale
integrata,
di
cui
gli
IDE
e
il
commercio
costituiscono la linfa vitale, richiedono l’utilizzo di politiche
coordinate.
Un
approccio
distinto,
infatti,
sarebbe
pregiudizievole per i due elementi che sono decisamente
collegati, anche se fino a pochi anni fa era un abitudine
consolidata.
1.1.1
Riflessi
della
relazione
IDE/commercio
per
settore
produttivo
Il processo di internazionalizzazione scelto da un’impresa
e
il
tipo
di
attività
svolta,
influenzano
notevolmente
la
relazione tra gli IDE e il commercio. Ecco che quindi diventa
indispensabile fare un quadro che tenga conto dei diversi
settori produttivi ed in particolare quello manifatturiero, delle
risorse naturali e dei servizi:
17
a) settore manifatturiero
La maggior parte delle imprese operanti in questo settore
hanno da sempre privilegiato commerciare con imprese e/o
acquirenti stranieri, prima di optare per un investimento vero e
proprio 1. Questo perché il commercio era meno rischioso, a
breve termine, non coinvolgeva tutti gli assetti dell’azienda e
inoltre,
prima
della
modernizzazione
delle
vie
di
comunicazione, un controllo serrato da parte della casa madre
risultava complicato. L’impresa manifatturiera dovrà quindi
possedere un vantaggio competitivo elevato per scegliere la
via dell’investimento: ad esempio, per un’attività improntata al
ciclo
produttivo
dall’immissione
il
sul
vantaggio
mercato
competitivo
internazionale
di
deriverà
un
nuovo
prodotto, dal possesso di marchi e/o brevetti, da un livello
tecnologico e manageriale superiore alla media nonché dalla
produzione di beni differenziati e di alta qualità.
Concludendo,
per
quanto
concerne
questo
specifico
settore, i fattori che hanno permesso l’evoluzione delle scelte
dalle
esportazioni
agli
IDE
sono
principalmente
quattro
(Dunning, 1993): innanzitutto le politiche governative ed in
particolare
quelle
miranti
ad
aumentare
le
barriere
alle
importazioni, seguite dalla necessità di ridurre i costi di
trasporto e produzione. Infine, la vicinanza e il contatto diretto
col mercato di sbocco e la clientela sono altresì elementi
fondamentali.
b) settore delle risorse naturali
1
Se,
quindi,
nella
maggior
parte
dei
casi
l’instaurazione
di
rapporti
commerciali precede gli IDE, si possono notare esempi recenti che stravolgono
tale sequenza: ci si riferisce ai Paesi in Via di Sviluppo, i quali spesso optano
per gli IDE sui mercati di paesi industrializzati con lo scopo di acquisire nuove
tecnologie o rilevare imprese manifatturiere straniere, senza per questo aver
instaurato in precedenza relazioni commerciali.
18
Il fatto che l’estrazione e la produzione di risorse naturali
siano totalmente dipendenti dal luogo in cui sono situate le
risorse stesse influenza in maniera rilevante la relazione tra
commercio e IDE in questa branca di attività 2. I fattori più
importanti nel determinare dove collocare la produzione e se si
rendano necessari investimenti riguardano la locazione delle
risorse non rinnovabili, le condizioni climatiche indispensabili
per
la
coltivazione
di
risorse
rinnovabili
e,
non
meno
importante, le condizioni economiche basilari per l’inizio di
qualsiasi
attività
economica:
capitale,
tecnologie
e
competenza. Per quanto riguarda le risorse non rinnovabili, gli
IDE sono inizialmente collegati all’esplorazione ed estrazione
e si viene a creare un rapporto commerciale tra il paese
investitore e quello ospitante. A sostenere molto gli IDE stessi
è anche la natura ad alta intensità di capitale delle attività che
richiedono, quindi, investimenti su larga scala.
Il secondo gruppo - quello costituito dalle risorse rinnovabili vede inizialmente una richiesta di beni manufatti basati su tali
risorse da parte dei paesi sviluppati, che vengono serviti da
compagnie localizzate alla fonte. Si crea dunque un flusso
commerciale
tra
compagnie
indipendenti,
che
poi
si
trasformerà in investimenti effettuati dal paese importatore in
un
processo
di
integrazione
verticale
in
vista
dell’internazionalizzazione del mercato e dell’assunzione del
controllo delle attività presenti nel paese ospitante.
2
Gran parte delle risorse naturali sono collocate nei Paesi in Via di Sviluppo e
questo ha determinato la nascita di un commercio di tipo unidirezionale
p r oveniente dai paesi industrializzati. I PVS, quindi, danno la disponibilità di
utilizzo delle risorse, mentre le grandi imprese straniere apportano il capitale,
l’esperienza e l’accesso al mercato internazionale. Tutto questo, perché nei
PVS non esiste mercato di sbocco per tali risorse e i costi di estrazione sono
troppo elevati.
19
Da sottolineare infine che gli IDE nel settore primario hanno
subito un aumento considerevole nel ventennio ‘70-’90, come
testimonia la tabella 2 riportata a pagina seguente.
Tabella
2:
Stock
economicamente
di
più
IDE
nel
sviluppati,
settore
primario
1970-1990
dei
(mld
paesi
US$
e
percentuale).
Paesi e settori
1970
1975
1980
1985
1990
Stock in uscita nel settore
primario
29
58
88
115
160
22.7
25.3
18.5
18.5
11.2
Paesi sviluppati (a)
Quota nello stock totale
in uscita
a) Australia, Canada, Francia, Germania, ITALIA, Giappone,
Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti; complessivamente
considerati, tali paesi hanno coperto nel 1990
il 90% dello
stock di investimenti diretti all’estero.
Fonte: UNCTAD
c) settore dei servizi
Il settore dei servizi è caratterizzato da una forte interazione
tra
produttori
e
consumatori
in
quanto,
non
essendo
trasportabili, essi richiedono di essere prodotti esattamente
nel
luogo
dove
saranno
poi
distribuiti.
Tale
fase
di
distribuzione fa si che l’opzione migliore sia quella della
costituzione di una società affiliata all’estero; questo in quanto
il commercio come metodo di esportazione dei servizi non può
essere realizzato per il motivo sopra citato e gli IDE si
20
pongono come l’alternativa in grado di mettere in contatto
produttore e potenziale cliente. Prendendo ad esempio alcune
particolari attività come le società pubblicitarie e contabili,
emerge immediatamente il fatto che i servizi da loro proposti
non
possono
essere
esportati
e
prerogativa
per
l’inizio
dell’attività è la presenza diretta sul mercato straniero. In più,
qualora il mercato in cui opera una certa società conta un
numero considerevole di concorrenti, si tratta cioè di un
oligopolio,
l’effetto
emulativo
incentiverà
sicuramente
l’espansione all’estero generando un incremento degli IDE.
A
supporto
considerevole
di
tale
aumento
conclusione
dello
stock
di
si
può
notare
investimenti
il
diretti
all’estero avvenuto nel corso degli ultimi vent’anni nell’ambito
dei servizi: il cosiddetto “terzo settore” è infatti diventato
sempre
più
indispensabile
per
l’economia
mondiale
e,
conseguentemente, anche il livello di IDE si è accresciuto fino
a coprire circa la metà dello stock mondiale totale.
Con
tale
breve
rassegna,
si
è
cercato
di
esaminare
separatamente i tre settori economici più importanti, ma non si
può
dimenticare
strettamente
che
collegati
IDE
a
e
livello
commercio
sono
intersettoriale.
spesso
Moltissime
imprese, infatti, esercitano attività che non possono essere
classificate in questo o quel settore con precisione, proprio
perché operano in ambiti molto diversi tra loro. A livello
pratico, comunque, sia che siano gli IDE a produrre un
aumento del commercio o che sia il commercio a stimolare gli
investimenti, certo è che ne risulterà una forte intensificazione
delle transazioni economiche internazionali, cuore di quella
globalizzazione dei mercati di cui tanto si parla.
1.2 Metodi e strategie alla base della scelta di ingresso in
un nuovo mercato
21
La formulazione di una strategia d’azienda fortemente
caratterizzata in senso internazionale richiede la presa di
coscienza di un considerevole numero di fattori in grado di
“permettere l’ingresso dei prodotti, della tecnologia, delle
risorse umane, del management della compagnia in un paese
straniero” (Root) 3. In altre parole, i quadri direttivi aziendali
devono essere in grado di scegliere il metodo più adatto per
fare
ingresso
sui
mercati
esteri
in
considerazione
delle
peculiarità della struttura in questione. La selezione del
metodo di ingresso sarà dunque articolata e complessa a
causa dei numerosi elementi entranti in gioco. Innanzitutto la
molteplicità dei criteri di scelta, ciascuno riflettente una
particolare dimensione della strategia aziendale. I punti chiave
in grado di differenziarli sono essenzialmente: diversi livelli di
controllo,
suddivisione
del
rischio,
risorse
coinvolte
e
flessibilità posseduti da ciascuna modalità. La scelta spazia
attraverso una vasta gamma di possibilità quali, per esempio:
esportazione,
franchising,
coproduzione,
joint-ventures,
alleanze strategiche oppure il possesso totale della struttura
estera.
Anche altri elementi possono ugualmente contribuire ad una
particolare scelta nell’ingresso in un mercato straniero; ci si
riferisce soprattutto a fattori collegati al paese ospitante:
rischio paese, distanza socio-culturale, politiche e normative
governative, nonché peculiarità inerenti il tipo di know-how a
disposizione dell’impresa, la differenziazione produttiva e un
eventuale background di esperienze internazionali (Kogut and
3
Cfr. F.R. ROOT -“ Entry strategies for international markets”, 2 n d edition,
New York, Lexington Books- 1994.
22
Zander, 1993) 4. Risulta evidente, quindi, l’importanza di un
approfondita
conoscenza
del
modo
in
cui
tali
elementi
potrebbero influenzare la decisione di internazionalizzazione
dell’attività d’azienda.
A tutto ciò si aggiunga la rapida globalizzazione dei
mercati, la forte accelerazione dei cambiamenti tecnologici,
l’espansione economica dei paesi di nuova industrializzazione
e la transizione delle economie centralmente pianificate verso
il modello economico di mercato. La realtà è dunque che la
stragrande maggioranza delle imprese operano in un economia
internazionale, faccia a faccia con competitori sempre nuovi e
agguerriti
e
mercati
inesplorati;
il
tutto
inglobato
in
un
ambiente economico in continua trasformazione.
Il risultato è che si possono identificare essenzialmente tre
alternative di ingresso in un mercato estero:
• investimento,
• esportazione,
• contratti di varia natura.
Le tabelle 3 e 4 riportate qui di seguito schematizzano
innanzitutto il modello concettuale che si vuole proporre
attraverso le tre possibilità sopra indicate affiancate dalle
quattro dimensioni che le differenziano, nonché i vantaggi che
una particolare scelta porterebbe all’attività dell’azienda. La
seconda
specifica
discriminatori
su
ulteriormente
ciascuna
l’impatto
modalità.
degli
Un’analisi
elementi
di
questo
genere fa immediatamente emergere l’influenza che fattori
4
Cfr. B. KOGUT, U. ZANDER- “Knowledge of the firm and the evolutionary
theory of the multinational corporation” in Journal of International Business
Studies (autunno), pgg 625-645- 1993.
23
esogeni
possono
avere
sulla
scelta
del
management
d’azienda.
Tabella 3
A) Fattori specifici d’impresa
B)Fattori locativi
Differenziazione
Produttiva
Attrattività
del Mercato
Influenza di
know-how c.d.
“nascosto”
Governativo
Intervento
Governativo
24
Rischio - Paese
Esperienza
Internazionale
Distanza
Socio - culturale
Controllo
Rischio di espropriazione
Coinvolgimento delle risorse
Flessibilità
Tabella 4
Metodologia
Controllo
Rischio di Coinvolgi
Flessibil.
d’ingresso METODO DI INGRESSO
espropriaPRESCELTO:
mento di
• Esportazioni
zione
risorse
• Contratti
• Investimenti
Investimento
ALTO
BASSO
ALTO
BASSO
Contratto
MEDIO
MEDIO/
ALTO
MEDIO
MEDIO
Esportazione BASSO
BASSO
BASSO
ALTO
Fonte: Journal of Marketing Management 1997, n.13.
25
1.2.1 Le singole opzioni: investimento, esportazione, contratto
Numerosi sono gli economisti di tutto il mondo che hanno
tentato di classificare organicamente le possibilità di scelta
degli imprenditori e si cercherà ora di tratteggiare le linee
essenziali delle tre strade indicate come le principali:
◊ Investimento
La scelta di questa modalità di ingresso in un mercato
comprende varie forme di proprietà e controllo da parte
dell’impresa in un paese straniero. La scelta spazia, ad
esempio,
dalle
fusioni
e
acquisizioni
agli
investimenti
greenfield. L’acquisizione fa riferimento al possesso di un
considerevole pacchetto azionario di un’azienda estera in
grado di assicurare il controllo di questa da parte dell’impresa
acquirente.
derivante
1988) 5.
(Kogut/Singh,
da
questo
tipo
di
Il
vantaggio
investimento
è
principale
dato
dalla
possibilità di stabilirsi rapidamente in un nuovo mercato
attraverso un’entità già esistente e attiva. A loro volta, le jointventures
e
gli
investimenti
greenfield
garantiscono
un
processo di inserimento sul mercato ancora più rapido ed
incisivo. Essendo gli Investimenti Diretti Esteri l’argomento
della presente opera, essi verranno debitamente approfonditi
nelle
parti
solamente
successive;
sottolineare
in
i
questo
fattori
paragrafo
principali
si
vogliono
che
possono
determinare una certa scelta di ingresso sul mercato.
◊ Esportazione
5
Cfr. B. KOGUT, H. SINGH- “ The effect of national culture on the choice of
entry mode”, in Journal of International Business Studies, n.19, pgg. 411-432 –
1988.
26
L’esportazione implica la decisione di mantenere la produzione
nel paese in cui ha sede la casa madre oppure in un paese
terzo
per
prodotto
poi
finito
trasferire
sul
direttamente
mercato
prescelto.
o
indirettamente
Con
il
l’esportazione
diretta l’impresa gestisce tutti i passaggi che condurranno il
prodotto nel paese straniero (documentazione, trasporto fisico,
consegna...).
Al contrario, l’esportazione indiretta usufruisce di intermediari
come società di export o compagnie commerciali e solitamente
l’impresa produttrice non è coinvolta nella vendita dei propri
prodotti all’estero.
◊ Contratti
La scelta contrattuale come modalità di inserimento in un
nuovo mercato include una notevole varietà di alternative
come,
ad
esempio,
licenze,
franchising,
contratti
di
management, non-equity joint ventures nonché accordi di
coproduzione, tecnici e knowhow. Tale tipo di scelta si rivela
preferibile qualora l’impresa in questione possieda un certo
vantaggio competitivo nel penetrare un mercato straniero, ma
vista l’insufficienza delle risorse, le convenga trasferire il
vantaggio alla parte straniera. La licenza, per esempio,
Al contrario, un accordo di franchising prevede la cessione di
un diritto esclusivo di produzione o vendita dei prodotti su una
determinata area. L’incaricato (franchisee) nel paese straniero
pagherà comunque al franchisor una somma (o percentuale) in
relazione al numero di unità prodotte o vendute.
1.2.2 Analisi delle dimensioni in grado di influenzare la scelta
Come indicato dalla tabella 1 sopra riportata, quattro sono
le dimensioni che, in maniera più o meno marcata, influiscono
27
sulla
scelta
effettuata
dal
management
d’azienda
e
che
verranno qui di seguito singolarmente analizzate:
◊ Controllo
Definita come “autorità sui processi decisionali strategici ed
operativi” (Hill, 1990) 6, tale dimensione permette all’impresa di
salvaguardare gli input essenziali al processo produttivo,
coordinare le attività, assicurare la qualità del prodotto finito e
influire sulle attività logistiche e di marketing sul mercato
straniero. E’ evidente come ogni possibile metodo di ingresso
implichi livelli di controllo differenti. Singolarmente considerati,
l’investimento è caratterizzato da un grado piuttosto elevato di
controllo da parte dell’azienda madre, la mo dalità contrattuale
da un livello medio, mentre l’esportazione implica un potere di
vigilanza e controllo decisamente basso.
Nonostante
una
“gradazione
di
controllo”
per
ciascuna
dimensione non sia stata ancora empiricamente misurata, la
sua analisi risulta di fondamentale importanza nell’assunzione
della migliore decisione di ingresso sul mercato internazionale,
in quanto permette all’azienda di cogliere al meglio i bisogni
del nuovo mercato e, di conseguenza, proporre prodotti e
servizi adatti alla loro completa soddisfazione. In ultimo, ma
non per questo meno importante, l’azienda è anche in grado di
anticipare
e
rispondere
adeguatamente
alle
mosse
dei
competitori.
◊ Rischio di espropriazione
Tale dimensione fa riferimento alla percezione del rischio per
l’azienda di essere espropriata dei propri vantaggi dal partner
contrattuale,
6
dalle
autorità
del
paese
ospitante
o
da
Cfr. C.W.L. HILL- “An eclectic theory of the choice of international entry
mode”, in strategic Managem e n t J o u r n a l , n . 1 1 , p g g . 1 1 7 -128 – 1990.
28
competitori del settore. I vantaggi competitivi di un’impresa
sono
infatti
generalmente
collegati
con
i
suoi
assetti
conoscitivi sia tecnologici che di marketing. Di conseguenza,
la
protezione
delle
proprie
conoscenze
e
know-how
e
l’immissione sul mercato di prodotti e servizi sempre nuovi
costituiscono la base di quel vantaggio competitivo relativo
che fa la differenza rispetto alla concorrenza.
Qualora l’impresa sembri particolarmente soggetta a questo
genere di rischio, è probabile che opterà per l’investimento
sotto forma di creazione di una filiale totalmente posseduta
dalla casa madre. Il rischio di disseminazione nel caso
dell’investimento è infatti basso in quanto “l’organizzazione
aziendale interna crea un’atmosfera che conduce ad una
congruenza di intenti e valutazioni tra i membri del sistema”
(Hill, 1990). Nonostante il rischio non possa essere eliminato
totalmente,
in
quanto
i
dipendenti
potrebbero
avere
la
possibilità di espropriare i know-how d’azienda, questo sarà
sicuramente
minore
rispetto
alla
scelta
di
utilizzare
la
concessione di una licenza. Tale scelta espone, infatti, a rischi
molto elevati in quanto i “dipendenti” non sono quelli della
casa madre e si tratta proprio di un accordo che prevede il
trasferimento di know-how tra diverse compagnie.
◊ Risorse coinvolte
La tipologia delle risorse impegnate nel procedimento di
inserimento su un nuovo mercato si riferisce alle risorse
fisiche, finanziarie e umane utilizzate a questo fine. L’impiego
di notevoli risorse espone, inoltre, l’impresa ad un certo
rischio sia di espropriazione dei propri assetti che di perdite
dovute
al
rischio
di
cambio
sopportato.
In
particolare,
l’investimento richiede una quantità di risorse da impiegare
notevole; la creazione di una filiale totalmente posseduta dalla
casa
madre,
ad
esempio,
necessita
29
il
trasferimento
di
personale ed equipaggiamenti di vario genere, la costruzione,
acquisto o affitto di una sede locale. Il tutto senza dimenticare
lo sviluppo di un network di fornitori in grado di soddisfare le
esigenze dell’attività in questione e una clientela esigente che
deve essere persuasa della superiorità del prodotto o servizio.
Al contrario, la scelta dell’opzione contrattuale richiede un
coinvolgimento
inferiore
di
risorse,
perché
queste
sono
suddivise tra i diversi partner contrattuali. Ma è l’esportazione
a costituire l’alternativa meno impegnativa da questo punto di
vista, in quanto molto spesso tale scelta nasce dalla presenza
di un surplus di produzione domestica dell’azienda e quindi
sarà necessaria una minima aggiunta di risorse per fornire un
mercato straniero.
◊ Flessibilità
L’ultima
tra
le
dimensioni
in
grado
di
influenzare
l’impostazione dell’attività d’azienda sul piano internazionale è
costituita dalla flessibilità che consiste nell’abilità di ingresso
sul mercato in tempi rapidi e con un costi relativamente bassi.
Di conseguenza, il mantenimento di un livello di flessibilità
adeguato al tipo di attività svolto e alle peculiari esigenze,
permette alle imprese di meglio adattarsi al modificarsi delle
circostante in maniera efficiente; risultato, questo, che può
essere facilmente ottenuto attraverso un impiego di risorse
non elevato e una struttura organizzativa meno formalizzata e
centralizzata.
In
questo
modo,
qualora
le
condizioni
economiche dovessero evolversi improvvisamente in senso
negativo, l’impresa potrebbe rapidamente ritirarsi dal mercato
o modificare il sistema con cui viene servito il mercato stesso.
30
La letteratura economica internazionale in materia ha rilevato
come le esportazioni costituiscano la modalità più flessibile,
l’investimento la meno adattabile alle circostanze ed infine la
forma contrattuale come la via di mezzo tra le due precedenti.
1.2.3 Corollario: variabili situazionali
Come
appena
corollario
definite,
alla
specificazione
numerose
ricerche
delle
hanno
dimensioni
rivelato
come
determinate variabili situazionali possano influire sul tipo di
insediamento
determinanti
scelto.
sono
Come
suddivisi
indicato
nella
in
grandi
due
tabella
gruppi:
1,
tali
fattori
specifici d’impresa (gruppo A) e fattori locativi (gruppo B), che
saranno qui di seguito esaminati:
A. I vantaggi specifici dell’azienda si ri feriscono al vantaggio
competitivo
paese
posseduto
straniero
differenziazione
“tacito”
e
nei
confronti
prendono
produttiva,
d’azienda,
nonché
la
delle
forma
della
dell’influenza
della
già
concorrenti
nel
capacità
di
del
know-how
maturata
esperienza
internazionale. Tale vantaggio competitivo deve compensare la
perfetta
conoscenza
consumatori,
del
contraddistinguono
del
nuovo
mercato,
sistema
legale
e
i
competitori
degli
del
dei
usi
paese
gusti
dei
sociali
che
ospitante.
L’impresa investitrice dovrà dunque emergere con tecnologie
all’avanguardia, notevoli capacità, economie di scala e fonti di
finanziamento il più possibile economiche. La differenziazione
produttiva costituisce variabile cruciale nel raggiungimento di
tale superiorità. Da sottolineare, inoltre, il ruolo giocato da
quell’insieme
di
know-how
non
rappresentata
dalle
disponibilità e conoscenze aziendali, bensì incorporata in
alcune procedure operative ed abitudini informali facenti parte
integrante delle peculiarità dell’impresa in questione. Tale
know-how viene identificato come “tacito” e risulta costoso ed
31
estremamente
difficile
da
trasferire
senza
un
contatto
personale ed un coinvolgimento diretto. Ecco perché costi e
difficoltà
possono
stimolare
l’utilizzo
dell’investimento,
quanto unica modalità in grado di facilitare il
in
trasferimento
intra-organizzativo del know-how “tacito” con il trasferimento
del capitale umano già operante nella rete aziendale.
A
sua
volta,
l’esperienza
internazionale
acquisita
dal
management e dall’impresa stessa avrà un ruolo fondamentale
nel computo dei costi e dell’incertezza derivante dall’ingresso
in un nuovo mercato. Generalmente, infatti, imprese con uno
scarso
background
di
esperienze
internazionali
tendono
spesso a sopravvalutare i rischi e costi e a sottoval utare i
possibili ritorni in termini di guadagno sui mercati esteri.
Saranno quindi portate ad optare per l’esportazione invece
della formula dell’investimento.
B. Tra i fattori locativi emergono come principali l’attrattività
del
mercato,
gli interventi governativi, la distanza socio-
culturale, nonché il rischio paese. Se si considera infatti il
“dove” in merito agli IDE , le imprese tenderanno a rivolgersi
verso quei paesi le cui condizioni competitive, della domanda,
di dinamicità del mercato sono valutate di livello tale da
incentivare
gli
IDE.
Su
tutto
ciò
influisce
l’intervento
governativo del paese ospitante che, attraverso particolari
politiche e regolamenti per gli investitori esteri, può favorire o
meno il movimento di capitali nel paese, l’ingresso delle merci
e di conseguenza gli IDE. Inoltre, l’opzione investimento sarà
preferita
qualora
i
costi
derivanti
dall’esportazione
siano
superiori oppure l’incertezza del mercato locale sia molto
elevata e rendano quindi preferibile la prima scelta.
I vantaggi dal punto di vista locativo sono altresì rappresentati
dalla vicinanza culturale, di usi e costumi tra il paese ospitante
32
e quello investitore; trattasi infatti di fattori che influenzano
molto la scelta della modalità di ingresso in un paese. Una
lontananza
l’opzione
socio-culturale
investimento,
avrà
visti
i
l’effetto
costi
di
troppo
scoraggiare
elevati
del
trasferimento di risorse umane e tecnologie su un mercato
radicalmente opposto.
Ultimo, anche se non in ordine di importanza, il rischio paese
che da solo contribuisce non poco ad una certa scelta; con
questo termine ci si riferisce all’instabilità creata da eventi
politici, sociali, economici che si rivelano destabilizzanti per il
paese ospitante e, di conseguenza, disincentivante la scelta di
investire nello stesso. In conseguenza di ciò, trovandosi
l’impresa ad operare con un paese ad alto rischio, si rivolgerà
quasi
sicuramente
alla
modalità
contrattuale
o
all’esportazione; l’investimento si rivelerebbe infatti troppo a
rischio rispetto alle altre due modalità, ad esempio per quanto
riguarda l’espropriazione degli assetti dell’azienda stessa.
1.3 Forme tecniche assunte dagli Investimenti Diretti Esteri
Prima di procedere, nel capitolo successivo, con l’analisi
dettagliata della situazione italiana in materia di investimenti
all’estero, del ruolo che la scelta di internazionalizzazione
della produzione occupa tra le priorità delle imprese e della
posizione ricoperta a livello europeo e mondiale in tale ambito,
è necessario esaminare quelle che sono le diverse forme
tecniche che gli IDE possono assumere. Oltre al tradizionale
investimento detto “greenfield”, che consiste nella costituzione
di un vero e proprio impianto produttivo all’estero, vi sono
numerose altre possibilità meritevoli di essere analizzate:
l’IDE potrà, infatti, prendere la forma di acquisizione di
un’impresa già avviata operante nel settore di attività svolto
33
dall’azienda acquirente nel paese d’origine. Il management
aziendale potrà ritenere invece più redditizio la rilevazione di
un’impresa in crisi, in via di privatizzazione oppure ancora la
costituzione di joint
ventures o la realizzazione di grandi
progetti di investimento attraverso il project financing. I fattori
che influenzano tale scel ta sono molteplici, come indicato nel
paragrafo precedente, e ricordando ad esempio il grado di
coinvolgimento diretto cercato dall’azienda, ecco che tra le
varie
tipologie
di
IDE
troviamo
anche
la
delega
della
produzione o la cessione di tecnologie. Tutte le possibilità
sopra elencate saranno esaminate singolarmente nei paragrafi
a seguire.
1.3.1 Acquisizione di un’impresa
Tale
forma
di
investimento
estero
si
riferisce
alla
possibilità di rilevare un’impresa già avviata in un mercato
straniero. I vantaggi che possono derivare da una decisione di
questo
tipo
sono
collegabili
soprattutto
allo
sfruttamento
dell’affermazione sul mercato già conseguita dall’azienda in
cessione e che quindi permette di conoscere in partenza la
situazione e le prospettive della domanda interna. Nonostante
i numerosi tentativi a livello internazionale di progressiva
eliminazione delle barriere e restrizioni varie all’ingresso di
investitori stranieri, scelte politiche e interessi nazionali verso
imprese
di
un
certo
interesse
possono
però
impedire
l’acquisizione da parte di un soggetto straniero.
Oggigiorno,
comunque,
nella
maggior
parte
dei
paesi
l’impedimento non è assoluto, bensì i limiti sono circoscritti a
casi particolari: ad esempio, la relegazione dell’investitore a
socio di minoranza ponendo un tetto massimo alla sua quota di
34
partecipazione
oppure
il
divieto
di
possedere
quote
di
riferimento in imprese la cui importanza è giudicata strategica
o di utilità sociale. Per quanto riguarda i Paesi industrializzati,
tra le attività generalmente più protette si trovano quelle
bancaria e assicurativa, nonché le imprese che producono
energia, elettricità, acqua, gas e le imprese di trasporto
pubblico. I Paesi in Via di Sviluppo, invece, tendono a
permettere
l’ingresso
di
operatori
economici
stranieri
solamente previa trattativa con le autorità locali.
L’acquisizione di un’impresa può anche rivolgersi verso
imprese
in
crisi
o
in
via
di
privatizzazione
e,
viste
le
caratteristiche particolari di tale tipo di investimento, meritano
un esame distinto:
◊ La decisione di acquisire un’azienda in crisi viene accolta
molto
spesso
con
una
certa
diffidenza
dai
Paesi
industrializzati benché, con le opportune ristrutturazioni e
dopo un certo lasso di tempo, tale decisione strategica
si
potrà rivelare un affare fruttuoso. Tuttavia, la prospettiva di
dover provvedere al risanamento dell’impresa nella sua
totalità
è
un
fattore
disincentivante
l’investimento
e
l’acquirente tenterà l’impresa solo se il potenziale sviluppo
dell’attività e il suo vantaggio competitivo sul mercato sono
previsti di portata molto superiore ai costi sostenuti.
◊ I Paesi dell’Europa dell’Est costituiscono attualmente una
destinazione piuttosto appetibile dal punto di vista degli IDE
ed è proprio in questi paesi che si sta conducendo una
colossale opera di privatizzazione attirando così investitori
da ogni parte del mondo e soprattutto dai paesi membri
dell’Unione
Europea.
Tra
35
i
numerosi
problemi
che
l’investitore si trova ad affrontare si rileva innanzitutto la
necessità di un cospicuo investimento per ammodernare gli
impianti esistenti e obsoleti: impegno, questo, che molto
spesso rientra tra le garanzie richieste dal paese ospitante
per concedere l’ingresso di operatori stranieri. Una delle
esigenze più immediate è anche la regolamentazione dei
rapporti, struttura e controllo all’interno dell’impresa rilevata
e, vista la carenza della normativa societaria di tali paesi, è
indispensabile
riservare
particolare
attenzione
alla
redazione dello statuto societario che dovrà quindi risultare
il più dettagliato possibile.
1.3.2 Costituzione di una società in un paese straniero
Qualora non vi siano impedimenti per la costituzione di una
società
a
totale
partecipazione
straniera,
il
management
aziendale potrà optare per l’insediamento in un mercato estero
di una propria società. Tale scelta permetterà una totale
libertà di decisione sulla gestione della società rispetto, per
esempio,
alla
formula
della
società
mista
anche
se,
a
differenza di quest’ultima, si potranno incontrare maggiori
difficoltà nel reperimento dei finanziamenti necessari all’avvio
dell’attività. La maggior parte degli aiuti finanziari sono infatti
destinati alle società miste, vi ste le maggiori garanzie di
copertura date dal coinvolgimento di una pluralità di aziende
nell’investimento.
Alla base della scelta di creare una società all’estero si
rilevano due motivazioni principali: innanzitutto, la possibilità
di produrre senza alcuna ingerenza da parte di un partner
straniero,
che
potrebbe
creare
36
qualche
difficoltà
nella
conciliazione di moduli e abitudini gestionali diversi tra loro.
Secondariamente,
l’eventuale
istituzione
di
una
società
finanziaria che abbia il compito di controllare le altre affiliate
di produzione situate all’estero potrebbe permettere alla casa
madre una adeguata e conveniente pianificazione fiscale
senza
per
questo
eludere
la
normativa
tributaria
internazionale. Di conseguenza, a seconda dell’ambito di
attività
dell’impresa
che
intende
internazionalizzarsi,
si
cercherà un paese di destinazione in cui tale attività gode di
trattamenti di favore.
Tra i settori che consentono di ottenere privilegi particolari
si trovano:
• le società off-shore, che possono essere sia di produzione
che finanziarie e che, essendo destinate all’esportazione,
vengono
in
genere
collocate
in
zone
franche
dove
le
condizioni fiscali sono sicuramente favorevoli;
• le
holding
che,
partecipazione
concentrandosi
finanziaria,
sono
esclusivamente
ammesse
a
sulla
numerose
esenzioni dalle imposte sui dividendi in numerosi paesi;
• le affiliate estere alle quali vengono spesso concesse
agevolazioni qualora svolgano attività anche commerciale, a
patto che siano destinate al mercato internazionale;
• le società non residenti, che vengono cioè istituite in un
determinato paese, ma che hanno sede in un altro paese
estero. Tali società sono soggette alle legislazione del
paese in cui hanno sede, ma di solito usufruiscono di
privilegi dal punto di vista fiscale.
37
In conclusione, affinché tale forma di IDE dia i migliori
risultati, si rendono indispensabili una serie di valutazioni sul
diritto applicabile nel paese straniero; se, infatti, il nostro
sistema comunitario è integrato e omogeneo da questo punto
di vista, diversa è la situazione nei paesi di recente sviluppo
dove la normativa può essere ancora frammentaria e poco
conoscibile.
1.3.3 Joint-venture
Una delle possibilità maggiormente utilizzate per investire
all’estero è rappresentata dalla ricerca di un partner locale per
avviare l’attività economica e col quale costituire, quindi, una
joint-venture. Tale scelta è anche incentivata dalle particolari
agevolazioni concesse alle joint-venture a capitale misto, dalla
migliore conoscenza del mercato di sbocco da parte del
partner
locale,
dal
minor
rischio
economico
connesso
all’iniziativa, nonché dalla maggiore forza che tale unione
esercita sulla concorrenza.
Tale operazione può essere effettuata attraverso l’utilizzo
di diverse formule: innanzitutto si può istituire una società di
capitali costituita dalle imprese partecipanti, oppure creare
una
partnership
Economico).
o
GEIE
Quest’ultima
(Gruppo
opzione
Europeo
è
però
di
Interesse
utilizzabile
solamente in ambito comunitario e risulta vantaggiosa per le
sole attività di ricerca e sviluppo, viste le numerose restrizioni
al settore industriale e la responsabilità illimitata dei soci.
Un’alternativa è data anche dalla formula del consorzio tra
imprese o dal sempl ice contratto di cooperazione che vede
ogni impresa impegnata esclusivamente per il raggiungimento
dell’obbligazione assunta.
38
La tabella 5 di seguito riportata, sottolinea quelli che sono i
tratti distintivi che differenziano una joint-venture da una
società controllata al 100% dalla casa madre (si veda a questo
proposito la pagina successiva).
Tabella 5: Comparazione tra una società controllata al 100%
ed una joint-venture.
Società controllata
Joint-venture
• Iniziativa indipendente
• Azione coordinata
• Finanziamento a propria
cura
• Numerose fonti di
finanziamento
• Soggetta a norme sulle
imprese estere
• Agevolata come impresa
locale (minor rischio
politico)
• Minore introduzione al
mercato locale
• Partner già introdotto sul
mercato locale
• Totale autonomia
decisionale
• Necessità di accordo e
possibilità di conflitti
• Assenza di contratti
collegati
• Contratti collegati (es.
know-how, fornitura...)
39
• Facilità di controllo
• Necessità di controllo
contabile e di gestione
Come si può notare dalla tabella, quando entra in gioco un
partner
già
operante
sul
mercato
locale,
sorgono
necessariamente nuovi problemi che non si evidenziano nel
caso
di
una
società
già
completamente
controllata.
In
particolare, incomprensioni tra i partner possono sorgere nella
definizione
degli
obiettivi
da
perseguire
o
della
politica
gestionale da condurre.
1.3.4 Project financing
Alcune operazioni di Investimento Diretto Estero richiedono
un massiccio apporto di capitale e tecnologie e, proprio per
questo motivo, difficilmente potrebbero essere affrontati da un
unico soggetto. Il ricorso al project financing permette di
coinvolgere più soggetti economici come, ad esempio, imprese
di progettazione, imprese produttive ed enti finanziatori. Tale
specifico strumento si rivolge a tutti quei contratti di appalto
e/o fornitura di impianti e fabbriche in vista dello svolgimento
di un’attività remunerativa che può spaziare dall’estrazione di
risorse naturali alla produzione di beni e servizi.
Proprio
richiesta
il
a
causa
principale
dell’ingente
soggetto
disponibilità
coinvolto
sarà
di
capitali
proprio
il
finanziatore, ma a suo vantaggio andrà il fatto che il prestito è
indirizzato al progetto di investimento in sé e non ad un
singolo soggetto appaltatore. Il finanziatore resta comunque
soggetto ad alcuni rischi, quali, ad esempio, la fattibilità
dell’opera e la redditività del progetto che possono non
condurre ai risultati sperati; al fine di ridurre al minimo tali
rischi, al contratto di project financing si possono aggiungere
40
ulteriori accordi e garanzie quali la garanzia di esecuzione
dell’opera o accordi tra il finanziatore, l’appaltatore e lo Stato
ospite. Quest’ultimo in particol are fa si che il contratto venga
definitivamente
assoggettato
alla
normativa
vigente
al
momento della stipula, per mettersi così al riparo da norme
successive e magari meno favorevoli all’investimento stesso. Il
tutto senza dimenticare la necessità di copertura dal rischio
politico
o
dalla
possibilità
di
espropriazione
e
nazionalizzazione dell’impianto avviato nel paese straniero,
che
molto
spesso
sottoposizione
di
viene
garantita
eventuali
dall’accordo
controversie
sulla
all’International
Center for Settlement of Investment Disputes (ICSID).
1.3.5 Altre
forme
di
investimento
diretto:
la
delega
della
produzione e la cessione di tecnologie
La delega della produzione è particolarmente utilizzata
qualora l’investitore non intenda costituire un’unità produttiva
all’estero e ricorra, quindi, all’acquisto di beni forniti da
imprese terze che produrranno in base al modello, disegni e
progetti forniti dall’acquirente. Il prodotto verrà poi completato
dall’impresa
acquirente
e
sul
mercato
apparirà
come
il
produttore ufficiale. Il contratto stipulato dalle due parti prende
il
nome
di
“Original
Equipment
Manufacturer”
(OEM).
Il
rapporto tra le due aziende consiste nella vendita dei prodotti
per un certo lasso di tempo, anche se le parti restano sempre
potenziali concorrenti e sarà quindi loro cura disciplinare il
rapporto in maniera completa e dettagliata.
Per quanto riguarda la cessione di tecnologie, si tratta di
una scelta generalmente correlata ad una joint-venture; la
tecnologia,
infatti,
necessita
di
41
una
protezione
maggiore
rispetto al brevetto in quanto non gode della stessa tutela
giuridica. Nel caso di un investimento all’estero, la tutela della
tecnologia va assumendo un ruolo primario specialmente nei
contratti di coproduzione con i Paesi dell’Est o i Paesi in Via di
Sviluppo, dove peraltro sta assumendo sempre più i connotati
di un’attività di consulenza. La tecnologia potrà quindi essere
oggetto di cessione, che implica il trasferimento definitivo del
know-how al soggetto straniero o di licenza e cioè di “affitto”
del know-how per un certo periodo di tempo.
L’analisi
condotta
in
questo
capitolo
e
definita
come
approccio “globale” agli IDE, spaziando dalla relazione tra
investimenti e commercio internazionale alle strategie alla
base della scel ta di insediamento su un nuovo mercato e
ancora
alle
forme
tecniche
assunte
dagli
investimenti,
costituisce il punto di partenza per procedere all’analisi del
caso Italia in materia di IDE, oggetto del prossimo capitolo.
42
CAPITOLO 2
LE PRINCIPALI TENDENZE
A LIVELLO MONDIALE
2.1 Evoluzione dei flussi di IDE per area geografica
A conclusione di un periodo ad andamento altalenante, il
1996
ha
rappresentato
un
anno
record
nel
flusso
di
Investimenti Diretti Esteri a livello mondiale. Questo significa
che
le
imprese
di
numerosi
paesi
del
mondo,
collocate
geograficamente in zone economiche dalle caratteristiche più
diverse,
hanno
espanso
ulteriormente
le
loro
operazioni
all’estero in concomitanza con la progressiva liberalizzazione
dei mercati mondiali. Gli investimenti in uscita hanno subito un
incremento intorno al 2% raggiungendo il valore di 374 mld
US$, mentre quelli in entrata si sono attestati a 349 mld US$
registrando un aumento del 10%. Nello stesso anno, flussi in
entrata in 54 paesi e in uscita da 20 paesi hanno stabilito
nuovi record; è stato così dimostrato che un paese con un
volume elevato di IDE in uscita rappresenta spesso anche una
meta molto richiesta da parte di investitori stranieri. Questo
perché
i
fattori
che
rendono
appetibile
un
paese
come
destinazione degli IDE sono strettamente collegati ai vantaggi
competitivi che spingono le imprese residenti in tale paese ad
espandere la produzione investendo all’estero. Comunque, il
rapporto tra Investimenti Diretti e la politica condotta a livello
nazionale nella valorizzazione dei vantaggi competitivi delle
proprie imprese verrà analizzato successivamente nel capitolo.
Il grafico 1 qui di seguito riportato evidenzia l’elenco dei
paesi, suddivisi per aree geografiche, che si collocano ai primi
posti nei flussi di IDE in uscita e in entrata:
47
Grafico 1: I 10 paesi principali negli IDE in uscita e in entrata,
per area geografic a, 1996.
Paesi sviluppati
(Mld US $)
Svezia
IDE in entrata
Paesi Bassi
Canada
Francia
Stati Uniti
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
90
100
Paesi in via di sviluppo
Canada
Colombia
IDE in uscita
Svizzera
Cile
IDE in entrata
Perù
Giappone
Argentina
Malaysia
Germania
Messico
Indonesia
Stati Uniti
Singapore
Brasile 0
10
20
30
40
50
60
70
80
(Mld US $)
Cina
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
45
50
Kuwait
Cile
IDE in uscita
Brasile
Tailandia
Malaysia
Cina
Taiwan
Rep. Corea
Singapore
Hong Kong
0
5
10
15
20
48
25
30
35
40
Europa centro - orientale
(Mln US $)
Lettonia
Slovacchia
Rep. Moldava
Bulgaria
Romania
Lituania
Albania
Lettonia
Ucraina
Ucraina
Polonia
Romania
Estonia
Rep. Ceca
Ungheria
Federaz. Russa
Rep. Ceca
Ungheria
Federaz. Russa
Polonia
00
IDE in uscita
IDE in entrata
501000 100
150
2000
200 3000
250
300
4000 350
400
5000
450 6000
500
Fonte: UNCTAD, tratto da: Unctad FDI/TNC database.
Il quadro delineato dal grafico sottolinea l’impossibilità di
un’unica spiegazione dei diversi andamenti e rende quindi
necessaria
un’analisi
delle
situazioni
singolarmente
considerate:
⇒ Paesi sviluppati: tale categoria ha registrato, per il 1996,
un totale di 295 mld US$ investiti all’estero e 208 mld US$
ricevuti da investitori stranieri 1. In particolare, gli Stati Uniti
si collocano in testa alla classifica per entrambi i tipi di
investimento che hanno raggiunto circa il valore di 85 mld
US$ cadauno; se si considerano solamente gli IDE in
entrata, l’anno in esame ha portato un incremento del 40%
ca. L’Unione Europea rappresenta da sola il 70% circa degli
investimenti destinati agli Stati Uniti, seguita a debita
1
S i t r a t t a d i u n i n c r e m e n t o di non poca rilevanza se si considerano i valori
rilevati per l’anno 1995: 291 e 205 mld US$ per gli IDE in uscita e in entrata
rispettivamente.
49
distanza dal Giappone che, nell’arco di un anno solamente
ha raddoppiato la sua quota passando dall’8% del 1995 al
16% del 1996. Tra le destinazioni principali degli IDE
statunitensi, i paesi sviluppati detengono il primato con il
66%, mentre la percentuale ricoperta dai PVS si attesta al
29%. All’interno della categoria in esame, “paesi sviluppati”,
Inghilterra,
Germania,
Francia
e
Giappone
seguono
a
notevole distanza dagli USA, mentre l’Italia si colloca solo al
decimo posto per quanto ri guarda gli IDE in uscita, mentre
non appare nella lista per gli investimenti in entrata.
⇒ Paesi in Via di Sviluppo: innanzitutto si rileva una forte
discrepanza tra il valore degli IDE in uscita e quelli in
entrata, con valori che volgono decisamente a favore di
questi ultimi. Nel 1996 sono stati rilevati investimenti per un
valore di 51 mld US$ in uscita e di 129 mld US$ in entrata:
dati,
questi,
che
rappresentano
comunque
un
certo
incremento rispetto agli anni precedenti. A livello mondiale,
la loro quota in uscita è salita al 15%, mentre in entrata è
salita al 37%. La Cina si colloca al primo posto tra i paesi
ospitanti, mentre Hong Kong è in testa alla classifica tra i
paesi investitori dell’area dei PVS.
Tra i PVS non rientranti nelle prime dieci posizioni del
grafico 1, particolare rilevanza assume la situazione di quelli
che
sono
all’interno
definibili
dei
PVS”
come
e
gli
“ultimi
che
sono
paesi
in
sviluppati
maggioranza
geograficamente collocati sul territorio africano 2. Tali paesi
2
Trattasi di 48 paesi, di cui 32 sono collocati nell’Africa sub-s a h a r i a n a . I
primi venti in ordine di importanza nella ricezione di flussi di IDE sono i
seguenti: Cambogia, Angola, Tanzania, Uganda, Lao, Myanmar, Yemen,
Zambia, Vanuato, Mozambico, Lesotho, Mali, Isole Solomon, Ciad, Malawi,
Liberia, Gambia, Madagascar, Bangladesh, Capo Verde, Maldive, Etiopia.
50
stanno
facendo
ogni
sforzo
per
attrarre
maggiori
investimenti come, ad esempio, cooperando con i territori
confinanti; a questo scopo è stato costituito il COMESA
(Common Market for Eastern and Southern Africa), un
mercato
comune
che
stimola
la
crescita
economica
attraverso gli investimenti, la produzione e il commercio tra i
20 paesi membri. Un altro esempio è rappresentato dalla
Zona Franca CFA dell’UEMOA (West African Economic and
Monetary Union) il cui ultimo membro ammesso è stata la
Guinea-Bissau
pianificati
nel
numerosi
Gennaio
progetti
1997.
che
Sono
stati
coinvolgono
inoltre
investitori
stranieri privati miranti al miglioramento delle infrastrutture
nei settori dei trasporti e telecomunicazioni. Da sottolineare
come un ostacolo all’attrazione di IDE in tali paesi è dovuta
alla
mancanza
di
informazione
sulle
opportunità
di
investimento offerte da queste economie in sviluppo.
⇒ Paesi Asiatici e America Latina: tale area ha raggiunto
livelli record negli IDE in entrata e alcuni paesi appartenenti
a tale area hanno superato, nel 1996, i record registrati
negli anni precedenti 3. I risultati ottenuti sono riferibili al
periodo
caratterizzato
da
una
congiuntura
economica
particolarmente favorevole che ha sostenuto e stimolato gli
investimenti effettuati dalle cd. “tigri asiatiche” soprattutto in
America Latina: questo prima della crisi generale che ha
contraddistinto i mercati asiatici nell’anno in corso!! Il
3
I paesi che hanno raggiunto livelli record di IDE in uscita sono: Cambogia,
Cina, India, Indonesia, Repubblica di Corea, Repubblica Democratica del Lao,
Malesia, Maldive, Pakistan, Singapore, Vietnam nel Sud, Est e Sud-est asiatico
e Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Paraguay e Perù nell’America
La t i n a .
51
grafico 2 indica il flusso di IDE in uscita dai paesi del Sud,
Est e Sud-est asiatico nel biennio 1995-1996:
Grafico 2: IDE in uscita dai paesi del Sud, Est e Sud-est
asiatico, 1995-1996 (in mld US $)
30
25
20
1995
15
1996
10
5
Ci
na
M
ale
sia
Ta
Re iwa
n
p.
Co
r
Si ea
ng
ap
Ho ore
ng
Ko
ng
In
d
Fil ia
ipp
i
Ind ne
on
es
Ta ia
ila
nd
ia
Pa
kis
t
Sr an
iL
an
ka
0
Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database.
Il volume di IDE in uscita da tale area ha registrato un
incremento del 10% ca. nel 1996 per un valore di 46 mld US$:
il primato va a Hong Kong, come precedentemente rilevato
trattando i Paesi in Via di Sviluppo. Ed è proprio questa nuova
propensione
principale
Australia
ad
investire
peculiarità
ed
America
all’estero
dell’area
Latina
in
che
esame:
costituiscono
rappresenta
Nord
le
la
America,
destinazioni
principali degli IDE, anche se l’Unione Europea sta diventando
un’attrattiva sempre più allettante
per internazionalizzare la
produzione. Negli ultimi anni, inoltre, le imprese locali hanno
usufruito dei numerosi vantaggi derivanti dal processo di
privatizzazione in corso nell’area dell’Europa Centro-orientale.
52
⇒ Paesi dell’Europa Centro -orientale: il flussi di IDE in
entrata in questa area geografica ha subito un calo nel 1996
attestandosi a 12 mld US$ rispetto ai 14 mld US$ dell’anno
precedente. Le ragioni a cui addebitare il peggioramento
della
situazione
transizione
ad
sono
un
innanzitutto
sistema
ricollegabili
economico
di
alla
mercato:
la
mancanza di una situazione economica stabile e di chiare
prospettive per il futuro può aver fuorviato gli investitori
stranieri inducendo ad una sopravvalutazione del potenziale
degli investimenti effettuati nell’area. I paesi che assorbono
il volume maggiore di IDE restano la Repubblica Ceca, la
Polonia
e
la
Federazione
Russa,
che
da
soli
hanno
rappresentato, nel 1996, il 68% del flusso totale indirizzato
a tale area. Gli investitori stranieri provengono per la
stragrande maggioranza dall’Europa Occidentale, seguita a
distanza
dagli
Stati
industrializzazione
Repubblica
di
e
Uniti
dell’Asia
Corea),
dalle
(tra
mentre
economie
queste
la
si
quota
di
nuova
distingue
detenuta
la
dal
Giappone resta ai margini. Il grafico 3 qui di seguito
riportato schematizza la situazione:
53
Grafico 3: I 20 paesi principali ricettori di IDE,1995-1996
(Mld di US $)
Polonia
Ungheria
Federaz. Russa
Rep. Ceca
Romania
Azerbaijan
Ucraina
Kazakistan
Croazia
Lettonia
Slovenia
Lituania
Slovacchia
Bulgaria
Estonia
Turkmenistan
1995
1996
Albania
Uzbekistan
Moldova
Georgia
0
1
2
Fonte: UNCTAD.
54
3
4
5
6
Nonostante gli IDE in entrata in tale area non rappresentino
ancora
un
volume
estremamente
elevato,
essi
hanno
contribuito in maniera consistente alla transizione; questo
soprattutto in alcune zone dove gli investitori stranieri hanno
introdotto una nuova cultura competitiva nel sistema locale e
hanno apportato benefici in materia di qualità dei prodotti,
diminuzione
dei
prezzi
e
l’orientamento
al
consumatore.
Trattasi, quindi, di interventi che hanno salvaguardato la
struttura produttiva già esistente da una sicura estinzione
causata dall’apertura alle importazioni dall’occidente.
2.2 Boom e recessione degli IDE negli ultimi vent’anni
Le diverse fasi di sviluppo che hanno caratterizzato gli
Investimenti
Diretti
Esteri
nell’ultimo
ventennio
hanno
permesso di evidenziare l’alternarsi di fasi di esplosione ad
altre di stagnazione e/o declino. Il grafico 4 e la tabella 1
evidenziano rispettivamente l’andamento degli IDE in entrata e
in uscita a livello mondiale e la quantificazione degli stessi nei
diversi periodi.
56
Grafico 4: IDE in entrata e uscita nel periodo 1970-1996 (mld
US$)
400
350
300
250
200
150
100
50
Totali in entrata
Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database
57
Totali in uscita
19
96
19
94
19
92
19
90
19
88
19
86
19
84
19
82
19
80
19
78
19
76
19
74
19
72
19
70
0
Tabella 1: Valore degli IDE in mld US$ nei periodo di boom e
recessione, 1994-1996
Anni
PAESI
PAESI IN VIA
SVILUPPATI
DI SVILUPPO
Entra
Uscita Entra
EUROPA
TOTALE
CENTRO –
PAESI
ORIENTALE
Uscita Entra
Uscita Entra
Uscita
Periodo boom (media annuale)
1979-81
36,8
55,8
16,3
1,3
0,02
0,01
53,2
57,1
1986-90
131,8
163,5
26,5
11,7
0,5
0,02
158,9
175,1
1995-96
207,0
293,0
112,5
49,2
13,3
0,5
332,9
342,8
Periodo di recessione (media annuale)
1975-77
14,6
27,3
6,5
0,4
0,003
0,01
21,1
27,8
1991-92
117,2
184,7
45,6
15,0
3,4
0,06
166,3
199,8
Fonte: UNCTAD
L’enorme sviluppo degli IDE avvenuto negli ultimi due anni
si differenzia, comunque, da quello che ha caratterizzato i
boom precedenti e che merita un’esame distinto:
1979-1981: tale breve periodo di ripresa arriva dopo un
momento di crisi molto grave causato dal secondo shock
petrolifero della seconda metà degli anni ’70 e il recupero sarà
merito dei maggiori paesi produttori di petrolio, che si sono
concentrati sul fronte in entrata. In questo periodo, infatti,
l’Arabia Saudita si collocherà al secondo posto dopo gli Stati
Uniti come paese ospitante; sul fronte degli IDE in uscita,
invece, il boom tocca paesi quali i Paesi Bassi , Regno Unito e
Stati Uniti . Da sottolineare come , in ogni caso, il volume
complessivo
di
IDE
contribuisse
per
un
solo
formazione del Prodotto Interno Lordo mondiale.
58
2%
alla
1986-1990: nel corso di questi quattro anni numerosi paesi
sono emersi come importanti fonti di investimenti, tra cui
spicca il Giappone dal lato degli IDE in uscita. I flussi
subiscono un’influenza su due fronti differenti: da un lato le
ancora esistenti pressioni protezionistiche e dall’altro i primi
accenni di un processo di liberalizzazione dei mercati e da una
rapida crescita dei PVS. Il boom che caratterizza il periodo è
però collegato quasi esclusivamente ai paesi sviluppati, che
accrescono notevolmente le rispettive quote.
1995-....: molte spiegazioni sono state date in merito al boom
cominciato tre anni fa e che sta tuttora proseguendo, ma
sembra che, nonostante molti paesi abbiano raggiunto livelli
record, il forte incremento sia attribuibile per la quasi totalità a
due paesi: Cina e Stati Uniti , che assorbono da soli quasi 1/3
del volume totale di IDE in entrata. A loro volta, Inghilterra e
Stati Uniti dominano nell’ambito degli IDE in uscita, che hanno
rappresentato
circa
il
40%
del
totale.
Analisi
condotte
recentemente hanno evidenziato che, prima del termine di
questa fase positiva, si potrebbe raggiungere una distribuzione
degli IDE più bilanciata: paesi come Francia, Germania e
numerosi PVS dal lato degli IDE in uscita e paesi dell’America
Latina dal lato degli investimenti in entrata stanno infatti
diventando
più
dinamici
sia
come
paesi
ospitanti
che
investitori.
2.2.1 Approfondimento sulle variazioni del volume di IDE
avvenute nei PVS
Il ruolo dei Paesi in Via di Sviluppo durante questi ultimi
decenni, ed in particolare durante le fasi di boom e recessione
analizzate nel paragrafo precedente, si è caratterizzato per un
59
andamento piuttosto vario e non sempre prevedibile. E’ quindi
indispensabile un approfondimento specifico per il loro caso.
La loro quota di IDE in entrata, considerata in rapporto al
totale mondiale, è cresciuta dai primi anni ’90 attestandosi ad
un +37% nel 1996; tale valore non supera però di molto quella
che era la quota esattamente dieci anni prima e cioè all’inizio
degli anni ’80. La principale differenza si ritrova comunque nel
fatto che, mentre il livello raggiunto nel decennio scorso era
da attribuirsi ai maggiori investimenti effettuati in alcuni paesi
produttori di petrolio, i risultati più recenti riflettono una serie
di maggiori e più equamente distribuiti vantaggi locativi.
L’andamento fin qui delineato è chiaramente evidenziato dal
grafico 5 a seguire:
60
Grafico 5: Quote percentuali dei PVS per: IDE in entrata,
esportazioni e importazioni, 1970-1996
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1970
1972
1974
1976
1978
1980
1982
1984
IDE in entrata
1986
1988
1990
Import
1992
1994
1996
Export
Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database
Durante i periodi di boom e recessione che precedettero, come
indicato nel grafico suesposto, la linea indicante la loro quota
di IDE in entrata non si è mossa sempre lungo la medesima
direzione. Ad esempio, il periodo di crisi tra il 1975-77 ha
causato un crollo dal 38% ca. a meno del 25%; il motivo
principale a cui attribuire tale andamento negativo è stato lo
spostamento degli investimenti effettuati dalle imprese verso i
paesi sviluppati, in quanto preferivano concentrare tutti i fondi
riservati agli IDE per sostenere le proprie affiliate fino al
termine
del
prevedibile
periodo
risposta
di
dei
crisi.
PVS
61
A
dimostrazione
alla
variabile
della
non
congiuntura
economica mondiale si colloca il boom che ha contraddistinto
gli anni tra il 1986 e il 1990 e che in tali paesi ha portato un
crollo negli IDE in entrata; gli investimenti riguardavano infatti
fusioni e acquisizioni effettuate da imprese stabilite nei PVS,
ma che erano diretti ai paesi sviluppati. Negli anni più recenti,
la recessione del biennio 1991-1993 ha visto, contrariamente
ad ogni aspettativa, un notevole innalzamento del numero di
IDE in entrata grazie alla forte spinta ad investire proveniente
dai paesi del Sud-est asiatico.
In conclusione, la composizione dei maggiori paesi ricettori
di IDE tra i PVS ha subito un radicale cambiamento nel corso
degli ultimi anni, mettendo in secondo piano i paesi produttori
di petrolio che per lungo tempo hanno detenuto il primato
ricevendo, tra la fine anni ’70 e i primi anni ’80, la metà degli
IDE in entrata e che attualmente non superano il livello di 1/5
sul volume globale.
2.3 La politica competitiva come elemento determinante
dell’investimento sui mercati internazionali
L’andamento degli IDE in entrata e uscita a livello mondiale
può
essere
circostanze
influenzato
ascrivibili
ad
da
numerosi
un
certo
avvenimenti
contesto
e
da
economico
internazionale e più o meno prevedibili; ci sono però fattori in
grado di modificare e migliorare le tendenze generali. A tal
proposito, il tema della competizione è in grado di assolvere
proprio a questo compito e merita un’analisi distinta.
L’obiettivo
principale
della
normativa
in
materia
di
competizione che tanto sviluppo sta avendo negli ultimi anni è
quello di garantire e promuovere la competizione stessa,
62
intesa come lo strumento in grado di assicurare l’efficiente
allocazione delle risorse (in termini di qualità, livello dei prezzi
e risposte adeguate alle esigenze dei consumatori) in una data
economia di mercato. Le norme sulla competizione regolano
generalmente
il
comportamento
delle
imprese
proibendo
l’assunzione di atteggiamenti e pratiche restrittive, come ad
esempio acquisizioni e abusi di posizione dominante 1 oppure
accordi orizzontali restrittivi o ancora relativi alla distribuzione
verticale 2. Inoltre, stanno entrando in vigore numerose nuove
leggi in materia competitiva che si occupano di alterazioni
della struttura del mercato attraverso un serrato controllo sulle
fusioni e acquisizioni e delle joint ventures che vuole evitare la
creazione di imprese dominanti il mercato, monopoli e anche
oligopoli.
2.3.1 Il rapporto tra IDE e normativa sulla competizione
Il
paragrafo
precedente
ha
evidenziato
quale
ampia
correlazione ci sia tra la progressiva liberalizzazione degli IDE
e la politica in materia di competizione: l’eliminazione delle
barriere
agli
investimenti,
l’istituzione
di
standard
di
trattamento adeguati per le imprese investitrici devono andare
di pari passo con l’adozione di misure che garantiscano
l’adeguato funzionamento dei mercati e, di conseguenza,
1
Tali norme non considerano il caso di assunzione di posizione dominante o di
possesso di un monopolio come contrari alla legge, bensì sono destinate
all’abuso di queste posizioni privilegiate.
2
Più precisamente, si usa differenziare tra “accordi orizzontali” ed “accordi
verticali”; i primi stanno ad indicare pratiche effettuate in concerto con altre
imprese in competizione, reale o potenziale, operanti sullo stesso mercato. I
secondi sono invece accordi stipulati tra i mprese attive in fasi diverse della
catena produttiva o distributiva (produttori, distributori, venditori all’ingrosso
etc.).
63
limitino
l’insorgenza
di
comportamenti
anticompetitivi.
Nel
momento in cui le autorità formulano le decisioni in materia
non deve essere dimenticato che le norme sulla competizione
non sostituiscono gli IDE o le politiche commerciali; trattasi
infatti di tre elementi interdipendenti nel comune scopo di
assicurare
il
corretto
funzionamento
del
mercato.
Tale
obiettivo non è comunque di facile raggiungimento, in quanto
molti paesi sono ancora piuttosto indietro nello sviluppo di
politiche appropriate.
Le leggi regolanti il sistema competitivo di una nazione si
applicano a tutte le imprese operanti sul territorio e che
forniscono un certo mercato attraverso un sistema di vendite
interno, importazioni, affiliate con sede all’estero o ancora
varie forme di IDE. Tali norme non fanno, almeno in principio,
distinzioni tra imprese nazionali o straniere o, tra queste
ultime, non applicano trattamenti discriminatori nei confronti
delle aziende provenienti da particolari regioni del mondo. In
sostanza, lo stato cerca di proteggere il mondo imprenditoriale
dagli effetti negativi che possono derivare da accordi tendenti
a sfavorire il commercio e gli investimenti come, ad esempio,
cartelli di market-allocation internazionale degli investimenti
tra imprese in competizione tra loro e che possono contenere
disposizioni circa l’assunzione di un impegno a non investi re in
certi mercati e comunque a non intralciarsi vicendevolmente. Il
caso appena delineato non è in effetti molto frequente; di
norma, infatti, il rapporto tra la normativa in materia di
competizione e gli IDE emerge in occasione dello stabilimento
di
un’impresa
affiliata
all’estero
tramite
una
fusione,
acquisizione o joint venture 3 di notevole entità.
3
Affinché la joint venture susciti l’interesse delle autorità nazionali
competenti in materia, deve trattarsi dell’assunzione di un’acquisizione di
64
Gli ultimi anni hanno vi sto un numero sempre maggiore di
paesi adottare normative tese al controllo delle operazioni di
acquisizione e, a questo proposito, è possibile identificare
quattro tipi diversi di normative adottate da alcuni paesi in
materia:
A. Innanzitutto,
fino
a
pochi
anni
fa
vigeva
una
regolamentazione delle sole società registrate sul territorio
nazionale; in Ungheria, per esempio, fino al 1997 è stata
condotta una revisione della normativa da parte dell’autorità
responsabile della competizione che ha coinvolto solamente
le fusioni e acquisizioni tra imprese registrate nel paese;
B. La crescente importanza del ruolo della partecipazione
straniera in operazioni di IDE quali fusioni e acquisizioni ha
reso indispensabile l’introduzione di norme specifiche al
caso di acquisizione di un’impresa locale da parte di una
concorrente estera. E’ evidente, infatti, la inarrestabile
crescita di partecipazioni di controllo assunte da investitori
stranieri su imprese strategiche per il sistema economico di
una nazione. Come esempio può essere riportato il Canada,
paese in cui, se
nei primi anni ’70 le imprese estere
coinvolte in fusioni o acquisizioni erano un terzo del totale,
negli anni ’90 hanno più che raddoppiato il numero di F&A
rispetto a quelle concluse tra le sole imprese locali. Anche
un paese dell’Europa centro-orientale quale l’Ungheria ha
modificato, nel 1997, la normativa sulle fusioni in questo
senso.
controllo
da
parte
dell’impresa
coinvolta.
Qualora
l’accordo
preveda
esclusivamente l’acquisto di una partecipazione azionaria maggiore senza
alcun tipo di potere di controllo sull’azienda partecipata, lo stato non entra nel
merito.
65
C. Considerando in maniera specifica gli IDE in uscita, ecco
che una regolamentazione delle acquisizioni effettuate da
un’impresa locale di una concorrente all’estero può essere
giustificato dai possibili effetti sul mercato interno. A questo
proposito, in Germania e Regno Unito sono stati rilevati
numerosi casi del genere.
D. Un altro tipo di regolamentazione che può essere applicata
riguarda le fusioni e acquisizioni tra imprese straniere; il
motivo principale può essere riconducibile alla presenza di
una delle imprese sul proprio territorio nazionale oppure ai
potenziali
potrebbe
effetti
avere
anticompetitivi
sui
consumatori.
che
A
tale
tal
investimento
proposito,
dati
elaborati dall’OCSE (1997), hanno rilevato che il 6% delle
F&A avvenute in Germania nel 1993 non coinvolgevano
imprese nazionali.
In
conclusione,
l’analisi
condotta
in
merito
al
rapporto
esistente tra IDE e la normativa competitiva ha evidenziato
come la maggior parte delle leggi in materia di competizione
abbiano due indirizzi principali: anti accordi restrittivi (ad es. i
cartelli)
e
anti
mo nopolizzazione
e
abusi
di
posizione
dominante. Trattasi quindi di stabilire regole chiare e precise a
monte e che coprano i possibili effetti anticompetitivi di tutte le
forme di IDE, vista l’elevata incertezza che caratterizzerebbe
un procedimento avviato a posteriori.
66
CAPITOLO 3
INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI:
IL CASO ITALIA
3.1 La posizione detenuta dall’Italia nella propensione agli
investimenti
Nei capitoli precedenti è stato realizzato un excursus
relativo alle diverse modalità tramite le quali l'impresa può
espandere la propria attività al di fuori dei confini nazionali
nonché un approfondimento delle tendenze mondiali in materia
di
IDE.
Tra
le
l'internazionalizzazione
Diretti
Esteri
sembra
varie
possibilità
produttiva
essere
tramite
quella
che
prospettate,
gli
Investimenti
meglio
esprime
l'orientamento di un'impresa o più in generale di un sistema
industriale che intende cimentarsi in un processo di crescita
multinazi onale
volto
ad
acquisire
una
presenza
stabile
nell'arena competitiva internazionale.
Il quadro che si delineava ancora intorno alla metà degli
anni
Ottanta
vedeva
un'internazionalizzazione
produttiva
dell'industria italiana decisamente modesta innanzi tutto in
rapporto all'investimento diretto estero entrante in Italia; con
tale terminologia si fa riferimento al numero delle imprese
industriali italiane partecipate dall'estero che all’epoca era due
volte
e
mezza
superiore
a
quello
delle
imprese
estere
industriali partecipate dall'Italia. Il ritardo era evidente proprio
nei confronti degli altri Paesi industrializzati, rispetto ai quali
l'Italia evidenziava un grado di internazionalizzazione attiva
significativamente inferiore. Tale dato si desume dal rapporto
tra
il
numero
partecipate
e
di
addetti
delle
l'occupazione
imprese
industriale
68
industriali
interna
al
estere
Paese
considerato. Da allora ha preso avvio una fase di sviluppo
multinazionale
che
ha
consentito
all'industria
italiana
di
raggiungere una proiezione verso i mercati internazionali più
consona
al
ruolo
che
il
nostro
Paese
ha
nel
contesto
economico mondiale. E’ solamente all'inizio degli anni novanta
gli IDE in uscita hanno per la prima volta raggiunto una
consistenza paragonabile a quella degli IDE in entrata. Da non
dimenticare, comunque, gli elementi congiunturali decisamente
sfavorevoli quali la svalutazione della lira e la recessione
interna che hanno caratterizzato l’economia italiana negli anni
più recenti hanno nettamente ridotto la spi nta propulsiva delle
imprese principali protagoniste negli anni ottanta e la crescita
multinazionale dell'industria italiana ha registrato un brusco
rallentamento.
Il grafico 1 qui di seguito riportato chiarifica il ruolo
italiano in materia di IDE in uscita in relazione agli altri paesi
sviluppati, mentre il grafico 2 considera la percentuale di
Prodotto Interno Lordo costituita dagli IDE stessi.
69
Grafico 1: Valore degli IDE in uscita provenienti dai paesi
industrializzati, 1995 e 1996 (in mld US$).
Stati Uniti
Regno Unito
Germania
Francia
Giappone
Paesi Bassi
Svizzera
Belgio e Lux
Canada
ITALIA
Norvegia
Svezia
Spagna
Danimarca
Finlandia
Austria
Australia
Portogallo
1996
Israele
1995
Sud Africa
Irlanda
Grecia
Islanda
Nuova Zelanda
0
20
40
Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database.
70
60
80
100
Grafico 2: Quota del PIL costituito dagli IDE, 1995 (%)
Nuova Zelanda
Belgio e Lux
Australia
Regno Unito
Paesi Bassi
Canada
Irlanda
Svizzera
Spagna
Grecia
Svezia
Norvegia
Danimarca
Francia
Austria
Sud Africa
Stati Uniti
Portogallo
IDE in Uscita
Germania
IDE in Entrata
Finlandia
Israele
ITALIA
Islanda
Giappone
0
10
20
Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database.
71
30
40
50
2.1.1
Andamento
degli
IDE
italiani
in
uscita
nel
quadro
dell’Unione Europea
Un’analisi distinta merita la posizione dell’Italia all’interno
dell’Unione Europea e, a questo proposito, è indispensabile
effettuare un esame incrociato che prenda in considerazione
l’evoluzione degli IDE in uscita nei diversi paesi. A tal
proposito, la seguente tabella 1 evidenzia come il nostro
paese si sia attestato nel 1996 al quinto posto (per un valore
di IDE pari a 5.870 ca. milioni di US$) dopo Regno Unito,
Germania, Francia, Belgio e Lussemburgo.
Tabella 1: IDE in uscita dai paesi membri della CE, 1985-1996
(in milioni di US$).
PAESE
85-90
D’ORIGINE
1992
1993
1994
1995
M.A.
Austria
Belgio
1991
597
e 3564
1996
Stime
1293
1872
1465
1203
1046
1410
6271 11407 4904
1371 11399
8983
975
1852
2236
1373
4162
2969
2510
Finlandia
1780
120
757
1401
4354
1678
3538
Francia
1427 23932 31269 2060 22801 18734 25186
Lux
Danimarca
9
Germania
5
1285 23720 19670 1528 16690 34890 28652
8
0
Grecia
-
-2
-44
29
-4
-6
6
Irlanda
340
195
215
220
438
820
493
ITALIA
3424
6928
6502
9271
5639
6925
5866
Paesi Bassi
8810 13576 14349 1225 17188 13250 19984
8
Portogallo
57
463
687
147
287
685
770
Regno Unito 2517 16310 18990 2552 28280 42360 53499
7
0
72
Spagna
1267
4442
2192
2652
3831
Svezia
7157
7262
419
1471
6596 10733
Totali UE
8028 10636 11052 9659 11283 14911 16037
5
2
1
6
3635
6
8
4629
4847
2
Fonte: UNCTAD, FDI/TNC database.
Da notare come il Regno Unito dimostri elevato dinamismo e
propensione
all’internazionalizzazione
con
un
costante
aumento degli investimenti in uscita a partire dal 1991, mentre
la Svezia, ad esempio, ha registrato un andamento molto più
instabile e altalenante che ha condotto ad un crollo degli IDE
in uscita da 10.733 mln US$ nel 1995 a poco più di 4.800
nell’anno successivo.
Considerata
come
un
corpus
unico,
l’Unione
Europea
continua a evidenziare comunque il più alto livello di IDE in
uscita e in entrata a livello mondiale. Gli anni novanta hanno
segnato
un
punto
di
svolta
anche
nella
struttura
degli
investimenti effettuati dall’Unione Europea; innanzitutto, il
livello di IDE in uscita sul piano intra-europeo ha raggiunto il
massimo livello nel 1992 arrivando a rappresentare più del
70% del totale, come evidenziato dal grafico 3 a seguire:
73
Grafico 3: Evoluzione percentuale degli IDE in entrata e uscita
nei confini dell’Unione Europea, a), 1985-1994
80
70
60
50
In Uscita
40
30
In Entrata
20
10
0
1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994
a) UE composta da 12 paesi membri.
Fonte: Eurostat, 1997.
Anche
la
posizione dei paesi non membri dell’UE come
destinazione
degli
investimenti
europei
è
notevolmente
migliorata dal 1992, anno in cui rappresentavano il 28% del
totale, al 1994, quando si sono attestati al 45%. I paesi
ospitanti più ricercati sono rappresentati dai Paesi in Via di
Sviluppo e dagli Stati Uniti, che nel 1994 hanno ricevuto il 13%
e il 10% del totale rispettivamente. Da sottolineare, infine,
come la stragrande maggioranza degli IDE in uscita e in
entrata a livello europeo nel triennio 1994-1996 hanno avuto la
forma di fusioni e acquisizioni effettuate preferibilmente oltre
confine; scelta, questa, che palesa le maggiori difficoltà
incontrate dagli investitori europei nell’acquisizione di imprese
esistenti (attraverso la formula del take over) all’interno
dell’Unione piuttosto che oltreoceano come negli Stati Uniti.
3.2
Le partecipazioni industriali italiane all’estero
L’esame della situazione italiana in materia di Investimenti
Diretti
all’Estero
non
può
prescindere
74
dall’analisi
delle
parteci pazioni industriali detenute sui mercati esteri, quale
esempio dell’evoluzione che nell’arco di un ventennio ha
radicalmente modificato e valorizzato il ricorso agli IDE da
parte non solo dalle grandi multinazionali, ma anche delle
Piccole e Medie Imprese.
La
situazione
partecipazioni
complessiva
detenute
da
del
soggetti
controllo
economici
e
delle
italiani
in
imprese estere specializzate, ad esempio, nei settori estrattivo
e manifatturiero per l’anno 1996 è indicata nella tabella 2 a
seguire:
Tabella 2: L’investimento diretto dell’industria italiana all’estero al
1° gennaio 1996.
Partecipazioni
Partecipaz.
di controllo
paritarie e
Totale
minoritarie
Investitori
N.
%
N.
%
N.
%
499
80,2
210
33,8
622
100,0
441
23,9
1842
100,0
italiani
Imprese estere partecipate
-
Imprese
(N.)
-
Addetti
(N.)
-
Fatturato
(Md. lire)
1401
39836
2
10924
2
76,1
19718
66,9
5
69,7
47599
33,1
30,3
59554
7
15684
1
Fonte: database Reprint, CNEL – R&P- Politecnico di Milano.
75
100,0
100,0
Da tale tabella si desume come gli investitori italiani che
detengono il controllo di almeno un’impresa industriale estera
sono 499, mentre le partecipazioni di minoranza si attestano a
quota 210 1.
Esemplificativa da un punto di vista più evolutivo, la
tabella 3 illustra la dinamica dell’evoluzione di lungo periodo
(1986-1996) delle partecipazioni come forma prescelta di IDE
da parte del mondo industriale italiano:
1
Facendo la somma tra il numero di investitori con partecipazioni di controllo
e di quelli con partecipazioni minoritarie, si nota come il totale risulti
superiore a quello indicato in 622 investitori italiani. Questo in quanto un
soggetto investitore può detenere partecipazioni di entrambe le tipologie di
investimento.
76
Tabella
3:
Evoluzione
delle
partecipazioni
all’estero
nel
periodo: 1° gennaio 1986 – 1° gennaio 1996.
Partecipazioni
Partecipazioni
paritarie e
di controllo
N.
minoritarie
Totale
partecipazioni
Indice
N.
Indice
N.
Indice
Investitori Esteri (N.)
- al 1.1.1986
166
100,0
130
100,0
263
100,0
- al 1.1.1988
189
113,9
122
93,8
271
103,0
- al 1.1.1990
220
132,5
141
108,5
309
117,5
- al 1.1.1992
301
181,3
156
120,0
394
149,8
- al 1.1.1994
418
251,8
196
150,8
546
207,6
- al 1.1.1996
499
300,6
210
161,5
622
236,5
N.
Indice
N.
Indice
N.
Indice
Imprese partecipate (N.)
- al 1.1.1986
425
100,0
246
100,0
671
100,0
- al 1.1.1988
565
132,9
246
100,0
811
120,9
- al 1.1.1990
744
175,1
289
117,5
1033
153,9
- al 1.1.1992
974
229,2
347
141,1
1321
196,9
- al 1.1.1994
1202
282,8
398
161,8
1600
238,5
- al 1.1.1996
1401
329,6
441
179,3
1842
274,5
14117
100,0
89430
100,0
23860
100,0
Addetti (N.)
- al 1.1.1986
1
- al 1.1.1988
23760
1
159,3
12110
7
5
77
135,4
35871
2
150,3
- al 1.1.1990
27705
185,7
15311
3
- al 1.1.1992
33715
226,0
230,9
54368
0
38053
255,1
267,1
19651
219,7
57705
241,8
3
19718
2
227,9
2
6
39836
180,3
2
20653
7
- al 1.1.1996
43017
9
2
- al 1.1.1994
171,2
220,5
59554
5
240,6
7
Fatturato (Md. di lire)
- al 1.1.1986
32182
100,0
10257
100,0
42439
100,0
- al 1.1.1988
42013
130,5
14441
140,8
56454
133,0
- al 1.1.1990
56340
175,1
21202
206,7
77542
182,7
- al 1.1.1992
74706
232,1
30727
299,6
10543
248,4
4
- al 1.1.1994
97474
302,9
40489
394,7
13796
325,1
3
- al 1.1.1996
10924
339,5
47599
464,1
15684
2
369,6
1
Fonte: CNEL.
Il periodo considerato ha costituito una tappa fondamentale
del
processo
di
espansione
internazionale
che
ha
caratterizzato l’industria italiana. Fino alla metà degli anni ’80,
infatti,
l’opzione
IDE
e
di
conseguenza
la
quantità
di
partecipazioni all’estero era alquanto modesta nel comparto
industriale rispetto ai livelli già raggiunti dagli altri paesi
europei. Da questo momento in poi si è registrato un vero e
proprio boom degli IDE nel comparto industriale italiano ,
grazie al quale l’orientamento internazionale delle imprese ha
raggiunto livelli più adatti al peso del nostro paese sui mercati
esteri.
Il
numero
delle
multinazionali
è
quindi
più
che
raddoppiato (da 263 a 622 unità = + 136,5%), come del resto
78
si è triplicato il numero di investitori che controllano almeno
un’attività (da 166 a 499).
Con
gli
anni
coinvolgimento
novanta
delle
si
concretizza
imprese
nei
il
progressivo
processi
di
internazionalizzazione produttiva; nonostante un’ottantina di
aziende escano dal club degli investitori in seguito alla
dismissione delle partecipazioni all’estero o per essere state
loro stesse oggetto di acquisizione, sono state circa 400 le
nuove adesioni, tra cui spicca un numero notevole di Piccole e
Medie Imprese 2. La tabella rileva altresì come, a partire dal
1993,
la
crescita
delle
multinazionali
italiane
e
la
loro
conseguente propensione ad investire all’estero abbia subito
un rallentamento, nonostante l’espansione produttiva non si
sia mai del tutto interrotta. Durante il biennio ‘94/’95, inoltre, il
numero delle nuove partecipazioni si attesta sui precedenti
livelli del 1993 intorno alle 200 l’anno e fortunatamente anche
il numero delle dismissioni subisce un rallentamento. Infine, il
confronto tra i tassi di crescita assunti dai diversi indicatori
rispetto alla tipologia dell’investimento (che si tratti, cioè, di
partecipazioni minoritarie o di controllo) mette in evidenza
l’evoluzione
qualitativa
avvenuta
tra
le
modalità
di
internazionalizzazione delle imprese.
3.2.1 I protagonisti: suddivisione degli IDE per dimensione
dell’investitore e regione d’origine
Uno
dei
tratti
distintivi
della
accresciuta
propensione
all’investimento delle nostre imprese è dato dal crescente
2
A tal proposito, è indispensabile sottolineare che il proliferare di nuove
iniziative
da
parte
delle
PMI
rende
alquanto
problematica
un’accurata
rilevazione di tutte le loro attività con l’estero. Di conseguenza, una sottostima
delle imprese che si rivolgono all’estero sarà inevitabile a causa delle microiniziative che sfuggono anche alle ricerche effettuate dai paesi ospitanti.
79
coinvolgimento
delle
Piccole
e
Medie
Imprese
(PMI)
nei
processi di internazionalizzazione della produzione. Il rilievo
che tale fenomeno va assumendo è di portata tale da rendere
necessario un approfondimento delle strategie adottate dalle
PMI, cui sarà dedicato il paragrafo 2. . .
La tabella 4 riportata nella pagina successiva schematizza,
a tal proposito, la ripartizione delle partecipazioni italiane
all’estero a seconda delle dimensioni dell’investitore.
80
Tabella
imprese
4:
Classificazione
industriali
delle
all’estero
partecipazioni
al
1°
gennaio
italiane
1996,
in
per
dimensione dell’investitore.
Case Madri
N.
Imprese
Addetti
Estere
Imprese
Partecipate
Partecipate
%
N.
%
N.
%
Partecipazioni di controllo
Fino a 49 addetti
93
18,7
103
7,4
14807
3,7
Da
50
a
99
85
17,1
113
8,1
8569
2,2
100
a
199
87
17,5
108
7,7
14069
3,5
200
a
499
100
20,1
169
12,1
23856
6,0
500
a
999
44
8,8
95
6,8
11381
2,9
Da 1000 a 1999
36
7,2
143
10,2
35897
9,0
29
5,8
132
9,4
28675
7,2
24
4,8
538
38,4
26114
65,6
addetti
Da
add.
Da
add.
Da
add.
add
Da 2000 a 4999
add
Oltre
4999
addetti
8
Totale
498
100,0
1401
100,0 39836 100,0
2
Partecipazioni minoritarie e paritarie
Fino a 49 addetti
42
19,9
42
9,5
4854
2,5
Da
50
a
99
26
12,3
32
7,3
2091
1,1
100
a
199
37
17,5
47
10,7
3604
1,8
200
a
499
48
22,7
72
16,3
8786
4,5
addetti
Da
add.
Da
add.
81
add.
Da
500
a
999
16
7,6
27
6,1
9068
4,6
Da 1000 a 1999
12
5,7
20
4,5
6303
3,2
12
5,7
15
3,4
6379
3,2
18
8,5
186
42,2
15610
79,2
add.
add
Da 2000 a 4999
add
Oltre
4999
addetti
0
Totale
211
100,0
441
100,0 19718 100,0
5
Totale partecipazioni
Fino a 49 addetti
129
20,7
145
7,9
19661
3,3
Da
50
a
99
105
16,9
145
7,9
10660
1,8
100
a
199
116
18,6
155
8,4
17633
3,0
200
a
499
128
20,6
241
13,1
32642
5,5
500
a
999
52
8,4
122
6,6
20449
3,4
Da 1000 a 1999
38
6,1
163
8,8
42200
7,1
29
4,7
147
8,0
35054
5,9
25
4,0
724
39,3
41724
70,1
addetti
Da
add.
Da
add.
Da
add.
add
Da 2000 a 4999
add
Oltre
4999
addetti
Totale
8
622
100,0
1842
100,0 59554 100,0
7
Fonte: CNEL- R&P- Politecnico di Milano.
82
Dalla tabella si rileva come, delle 622 multinazionali censite
nel 1996, 350 (corrispondente al 56,3% del totale) sono
imprese con un numero di dipendenti inferiore a 200, mentre
ben 478 (ovvero il 76,8%) contano meno di 500 addetti. Se ne
desume un aumento del peso dei gruppi di media taglia
internazionale, che vanno, cioè, da 500 a 4.999 addetti e che
nel 1995 hanno contribuito per il 45% del totale. Attualmente,
gli investitori in tale fascia dimensionale rappresentano circa
1/5
delle
multinazionali
ital iane
e
il
loro
apporto
all’internazionalizzazione produttiva si attesta intorno al 23,2%
delle imprese partecipate, al 16,2% dei relativi addetti e al
10,6% del fatturato. Naturalmente, il contributo complessivo
apportato
da
tali
aziende
alla
consistenza
globale
delle
partecipazioni estere sarà di impatto minore rispetto a quello
delle grandi multinazionali.
Per
quanto
riguarda
la
distribuzione
regionale
delle
multinazionali, la tabella 5 sotto riportata è esemplificativa
della ripartizione delle imprese partecipate per regione di
origine delle case madri.
83
Tabella
5:
Ripartizione
degli
investitori
italiani
con
partecipazioni in imprese all’estero al 1° gennaio 1996, per
regione di origine.
Case Madri
Italia
nord
-
Imprese
Addetti
Estere
Imprese
Partecipate
Partecipate
N.
%
N.
%
N.
%
285
46,8
731
54,0
16640
58,1
occident.
2
Valle d’Aosta
Piemonte
Lombardia
0
0,0
0
0,0
0
0,0
76
12,5
185
13,7
28035
9,8
198
32,5
535
39,5
13750
48,0
8
Liguria
11
1,8
11
0,8
859
0,3
213
35,0
442
32,7
78637
27,4
95
15,6
173
12,8
29755
10,4
–
12
2,0
12
0,9
577
0,2
Venezia
19
3,1
29
2,1
4288
1,5
–
87
14,3
228
16,9
44017
15,4
Italia centrale
74
12,2
129
9,5
32219
11,2
Toscana
26
4,3
54
4,0
20563
7,2
Umbria
6
1,0
7
0,5
560
0,2
Marche
20
3,3
35
2,6
7399
2,6
Lazio
22
3,6
33
2,4
3697
1,3
37
6,1
51
3,8
9343
3,3
Abruzzo
5
0,8
5
0,4
511
0,2
Molise
0
0,0
0
0,0
0
0,0
Italia
nord
-
orientale
Veneto
Trentino
Alto
Adige
Friuli
–
G.
Emilia
Romagna
Mezzogiorno
e
Isole
84
Campania
10
1,6
20
1,5
3572
1,2
Puglia
15
2,5
18
1,3
3962
1,4
Basilicata
1
0,2
1
0,1
300
0,1
Calabria
1
0,2
1
0,1
30
0,0
Sicilia
3
0,5
4
0,3
748
0,3
Sardegna
2
0,3
2
0,1
220
0,1
609
100,0
1353
Totale
100,0 28660 100,0
1
Gruppi
esclusi
5
479
30716
(a)
9
Sede
non
8
10
1777
622
1842
59554
identificata
Totale
7
a) Dal computo sono esclusi i gruppi Eni, Iri, Fiat, Cir e Compart
(Ferruzzi).
Fonte: CNEL.
Dall’analisi sono stati esclusi i cinque grandi gruppi industriali
italiani
(cfr.
a)),
in
quanto
risulta
complicato
attribuire
un’origine regionale specifica ai loro Investimenti Diretti,
trattandosi molto spesso di operazioni effettuate da subholding
domiciliate all’estero; il computo ha altresì escluso sette
soggetti investitori di cui non è stato possibile stabilire la
provenienza 3. Nel complesso, l’analisi regionale ha interessato
il 98,1% dei soggetti investitori totali (610 su un totale di 622):
3
Tra le multinazionali prese in esame al fine di costruire la tabella vi sono 49
investitori la cui identità non è nota, ma che sono stati ugualmente inseriti nel
computo in quanto erano note le caratteristiche delle imprese straniere
partecipate.
85
di
queste,
285
(46,8%)
provengono
dalle
regioni
nord-
occidentali ed in particolare Lombardia e Piemonte, 213 (35%)
dall’Italia
nord-orientale
(Veneto
ed
Emilia
Romagna
soprattutto), 74 (12,2%) dal centro del paese e solamente 37
(6,1%) dal meridione e isole. Si nota, quindi, come il club
degli
investitori
risulti
territorialmente
molto
concentrato
nell’Italia del nord. Il sud del paese resta notevolmente
arretrato rispetto alle aree più avanzate; si pensi che in
Basilicata, almeno secondo dati relativi al 1996, non vi è
alcuna impresa multinazionale e che il contributo della Puglia
deriva da delocalizzazioni produttive indirizzate verso l’Albania
nei comparti tessile e calzaturiero.
3.2.2 Localizzazione geografica e settore di attività delle
imprese partecipate
Ai fini della corretta valutazione delle tendenze prevalenti
nel mondo industriale italiano in materia di Investimenti Diretti
Esteri è necessario effettuare uno studio delle principali
caratteristiche strutturali delle imprese partecipate; analizzare,
cioè, quelle che sono la loro collocazione geografica di
destinazione e l’ambito di attività in cui operano. Da notare
come la creazione del Mercato Unico abbia rappresentato il
punto di partenza e lo stimolo necessari per l’ingresso in nuovi
mercati da parte di numerose imprese. Tutti i riferimenti a dati
e
tabelle
contenuti
in
tale
paragrafo
rimandano
all’APPENDICE A collocata al termine dell’opera.
La composizione settoriale delle partecipazioni detenute
all’estero è nettamente favorevole ai settori con forti economie
di scala che, da soli, assorbono il 67,2% dell’occupazione
delle imprese industriali partecipate all’estero. A sua volta,
l’incidenza dei settori tradizionali si attesta al 15,4%, mentre
86
quelli specialistici e ad alta intensità tecnologica giungono alle
quote più modeste del 9% e 8,4% rispettivamente. Prima di
procedere con l’analisi specifica delle destinazioni e per
settori di attività degli IDE dei comparti industriali italiani,
bisogna sottolineare che il biennio 1990-91 è stato testimone
di una prima, forte ondata di IDE verso i paesi dell’Europa
Orientale in seguito alle conseguenze della caduta del Muro di
Berlino e dal crollo dei regimi comunisti. Nei due anni a
seguire, 1992-93, la presenza italiana sui mercati dell’Europa
Occidentale subisce un calo del 5,5%, la cui causa è da
attribuirsi alle vistose diminuzioni registrate nei comparti
tradizionale
e
rispettivamente).
dell’alta
In
tecnologia
contrazione
(-32,3%
appaiono
e
altresì
27,3%
sia
la
presenza in Nord-America (-20,2%) e in America Latina (8,0%).
Al
contrario,
prosegue
l’escalation
dell’Europa
Orientale che attesterà tale area al secondo posto tra le
località di destinazione delle partecipazioni in termini di
addetti alle imprese partecipate.
Il breve quadro fin qui delineato rappresenta il punto di
partenza per lo studio degli IDE dal punto di vista delle:
a)articolazione geografica e b) settoriale:
a) Considerando l’evoluzione dei mercati di sbocco degli
Investimenti Diretti italiani, dati relativi al 1996 rilevano
come le partecipazioni industriali si siano orientate verso
un totale di 93 paesi del mondo 4. Con riferimento alla
tabella A.1 contenuta nell’APPENDICE A si nota come, a
4
Nonostante il numero dei paesi di destinazione sia rimasto sostanzialmente
invariato negli ultimi anni, l’insieme dei paesi ospitanti ha comunque subito
delle modificazioni: ad esempio, non vi sono più partecipazioni italiane a
CIPRO ed in MOLDAVIA, mentre due nuovi mercati si sono a g g i u n t i d a l
biennio 1994-95, quali MACEDONIA e GIORDANIA.
87
livello di macro-aree, le imprese partecipate con sede in
Europa Occidentale sono 854 e rappresentano il 46,4% del
totale, in Europa Orientale 307 (16,7%, inclusa l’intera exUnione Sovietica). Seguono, a debita distanza, l’America
Latina con 204 imprese (11,1% del totale) ed il Nord
America con il numero piuttosto esiguo di 175 aziende
partecipate. Le rimanenti aree del Pacifico, dell’Africa e dei
paesi asiatici, complessivamente intese, non superano il
16,4%
del
totale.
partecipazione
è
Dal
punto
importante
di
vista
rilevare
delle
le
forme
di
sostanziali
differenze a seconda delle aree di destinazione, come
evidenziato dal l a tabella A.2. Nelle zone di maggiore
tradizione insediativa sono le partecipazioni di controllo ad
avere la netta supremazia e vanno ad incidere per ben il
72,4% del totale per l’Europa Occidentale, 73,3% per il
Nord America e il 76,6% per l’America Latina. Inoltre, con il
miglioramento delle relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Est
europeo
e
la
progressiva
eliminazione
delle
barriere
imposte in precedenza dalle legislazioni locali, il numero di
partecipazioni di controllo ha subito un netto incremento
registrando nel biennio ‘94-‘95 l’ingresso di 97 nuovi
investitori nella realtà economica locale. Anche il numero di
addetti
è
così
salito
di
16.804
unità
(+21,2%).
Da
sottolineare come, in effetti, sia un numero ristretto di
paesi che continua a concentrare quote significative degli
IDE italiani: solamente dieci paesi coprono oltre i 2/3 del
totale
degli
addetti
nelle
imprese
all’estero.
Come
si
desume dalla stessa tabella, al 1° posto si colloca la
Francia che con i suoi 110 mila addetti rappresenta il
18,4% del totale, mentre altri paesi quali Brasile, Stati
Uniti, Germania, Spagna, Regno Unito, Polonia, India,
Ungheria e Cina seguono a distanza elevata. La Polonia,
88
ad esempio, continua ad essere una tra le mete preferite
dagli
investitori;
a
favorire
tal e
sviluppo
anche
gli
insediamenti di fornitori del gruppo Fiat secondo la logica
del follow the customer. Particolare la situazione della Cina
che in soli due anni è passata dal 26° al 10° posto, grazie
al numero degli addetti che si è praticamente quadruplicato
e al rinnovato interesse che gli investitori dimostrano nei
confronti di un paese sempre più ricettore di flussi di IDE
da ogni parte del mondo. E dall’Italia sono in corso di
preparazione numerose iniziative che potranno far salire
ulteriormente la posizione attualmente occupata dal paese.
Concludendo, la spiegazione dei dati riportati nella tabella A.2
quasi certamente ha sottostimato tutte quelle iniziative avviate
e/o realizzate negli anni più recenti dalle entità di dimensioni
inferiori costituite dalle PMI e da investitori individuali. Le loro
attività
sono
infatti
scarsamente
reclamizzate
e
possono
sfuggire a molteplici rilevazioni.
b)
L’approfondimento
dell’articolazione
settoriale
delle
partecipazioni industriali prenderà come spunto le tabelle
A.3 e A.4 contenute nell’APPENDICE A, le quali vogliono
evidenziare le tendenze evolutive di medio-lungo e breve
periodo per ambito di attività e numero di addetti all’estero.
Da notare come le due tabelle si distinguano nell’oggetto
dell’analisi: la prima analizza, infatti, le industrie estere a
controllo
italiano,
mentre
la
seconda
quelle
a
partecipazione, coprendo l’arco temporale tra il 1986 ed il
1996.
Entrambe le tabelle rivelano un incremento di enormi
proporzioni avvenuto negli ultimi dieci anni in tutti i settori
produttivi:
i
comparti
tradizionali
89
(alimentari,
tessile,
abbigliamento, industrie manifatturiere in generale etc.)
hanno fatto un salto nel numero di imprese controllate e
partecipate registrando un aumento del 292,9% e del
405,3%
rispettivamente.
partecipazioni,
in
Per
quanto
particolare,
esse
riguarda
si
le
concentrano
soprattutto nei settori con forti economie di scala (ad
esempio,
alimentari,
autoveicoli
e
chimica,
componentistica
per
lavorazione
auto
etc.),
metalli,
i
quali
comprendono oltre la metà delle imprese partecipate come
si rileva dalla tabella A.5: dati relativi al 1° gennaio 1996,
infatti, indicano che tali settori rappresentano il 52% del
totale con 957 imprese industriali estere. Al secondo posto
si collocano i settori tradizionali con il 26,1% per un totale
di 480 imprese, mentre i settori specialistici rappresentano
il 12,2% e quelli a elevata intensità tecnologia il 9,8%. Da
sottolineare come l’ultimo biennio abbia visto il comparto
tradizionale particolarmente dinamico in termini di aumento
del numero di addetti con un +20,3%, che diventa +70% se
si considera il solo settore cuoio e calzature. Per quanto
concerne il “sistema moda italiano”, l’ultimo quadriennio ha
evidenziato
uno
spostamento
delle
direttrici
di
investimento. Fino a pochi anni fa, infatti, gli IDE del
settore erano rivolti ai principali paesi europei (Francia e
Germania in particolare) e verso gli Stati Uniti 5, mentre
attualmente gli investitori cercano vantaggi soprattutto nel
rapporto efficienza-costo delle risorse umane localizzando,
di
conseguenza,
i
loro
investimenti
dei
processi
di
lavorazione in paesi quali l’Europa Orientale, Maghreb,
5
Alcuni esempi sono rappresentati dalle acquisizioni effettuate da Gft
(Beumler), Miroglio (Ulmia Steiger etc) e Marzotto (Hugo Boss e Joseph &
Feiss) in Germania.
90
India, Messico e Paesi in Via di Sviluppo in generale. Alla
base di tale scelta il vantaggio competitivo delle imprese
che sopportano un costo della manodopera notevolmente
inferiore
rispetto
a
quello
presente
nei
paesi
industrializzati.
3.3
Le “piccole multinazionali” negli IDE
Come accennato in precedenza, il ruolo delle Piccole e
Medie Imprese sta assumendo sempre più rilevanza nel mondo
economico globale che si va delineando; di conseguenza,
anche queste strutture di ridotte dimensioni e non dotate
dell’apparato
strutturale,
finanziario
e
organizzativo
delle
grandi multinazionali tentano in maniera molto decisa di
accaparrarsi
una
fetta
di
mercato
estero
attraverso
gli
Investimenti Diretti Esteri. Consci delle enormi possibilità di
sviluppo internazionale delle PMI italiane, le autorità nazionali
nonché quelle comunitarie si stanno adeguando alle loro
esigenze attraverso la costituzione di un vasto apparato
normativo in continua evoluzione.
Dal
punto
di
vista
geografico,
la
scelta
di
internazionalizzazione delle PMI trova grandi opportunità di
sviluppo nei paesi dell’Europa Orientale come risulta dalla
tabella A.6 collocata nell’APPENDICE A. In tale area, infatti,
hanno trovato collocamento il 31% delle imprese partecipate
da soggetti investitori provenienti da aziende con meno di 500
dipendenti e il 46,7% degli relativi addetti (le punte più elevate
in
Romania,
Russia,
Slovacchia,
Slovenia,
Ungheria).
Da
sottolineare il fatto che le 213 iniziative di IDE rilevate tra le
PMI rappresentano ben il 69,4% del totale delle partecipazioni
italiane localizzate in Europa Orientale. I flussi in uscita degli
IDE
realizzati
dalle
PMI
italiane
91
privilegiano
i
paesi
culturalmente e geograficamente più vicini, come Francia,
Portogallo
Spagna,
Svizzera,
mentre
piuttosto
limitate
le
attività condotte con i paesi dell’Europa settentrionale. La
tabella rivela che, comunque, le partecipazioni estere delle
PMI si rivolgono a tutte le aree geografiche mondiali; l’area del
Pacifico, ad esempio, rappresenta l’8,2% delle destinazioni
delle partecipazioni italiane e, all’interno di tale area, Cina,
Malesia, Singapore costituiscono mete privilegiate dai piccoli e
medi imprenditori.
Se si considera la ripartizione settoriale, le PMI, viste le
loro dimensioni, tendono a concentrarsi sui settori tradizionali
quali il tessile-abbigliamento, cuoio, pelletteria, calzature,
nonché
sui
settori
specialistici
ed
in
particolare
nelle
macchine/apparecchi meccanici e apparecchiature strumentali.
La tabella A.7 evidenzia tutto ciò sottolineando come le
attività tradizionali rappresentino il 35% delle partecipazioni
detenute all’estero dalle PMI e ben il 50% del totale di tale
forma di investimento diretto prescelta dall’industria italiana
complessivamente intesa. A loro volta, anche gli investimenti
nei settori specialistici da parte delle piccole e medie imprese
sono rappresentati dal 18,1% delle imprese partecipate; al
contrario, nell’alta tecnologia si sottolinea la presenza di
alcune “piccole multinazionali” piuttosto attive nell’ambito della
farmaceutica, derivati chimici e strumentazione. In questo
caso, le limitate dimensioni riflettono un’esigenza di efficienza
produttiva e si rivelano una scelta adatta alle richieste di
differenziazione
produttiva
e
alle
economie
di
caratterizzanti le principali richieste del mercato attuale.
92
scala
3.3.1 Le logiche alla base dell’Investimento Diretto Estero
delle PMI italiane
Il
crescente
coinvolgimento
delle
imprese
di
minori
dimensioni nell’attuale processo di internazionalizzazione della
produzione
rende
necessaria
un’analisi
delle
logiche
e
strategie perseguite dalle PMI nella loro incessante “crescita
multinazionale”. Studi recenti 6 hanno rilevato come vi siano
differenze sostanziali nell’approccio ai mercati esteri delle PMI
rispetto alle grandi multinazionali. E’ così stato possibile
selezionare alcune logiche settoriali più ricorrenti nel loro
processo di internazionalizzazione:
◊ Per quanto riguarda i settori tradizionali, le PMI ital iane
scelgono quale destinazione principale dei loro investimenti
l’Europa Orientale, come precedentemente evidenziato. Le
scelte strategiche del management aziendale si orientano
generalmente verso una determinata opzione a seconda
dell’attività
condotta
e
del
vantaggio
competitivo
in
possesso dell’impresa. Le situazioni più ricorrenti sono le
seguenti:
essi
considerando
acquistano
gli
rilevanza
investimenti
in
labour-seeking,
particolare
nel
comparto
produttivo del tessile-abbigliamento, calzature e pelletteria.
Tali settori sono infatti rinomati per ricercare mercati di
sbocco ad alta intensità di lavoro e che permettano quindi il
pagamento di salari reale inferiori a quelli occidentali, senza
per questo dover rinunciare ad un discreto livello qualitativo
delle risorse umane. Se invece l’obiettivo è di crearsi un
accesso privilegiato a materie prime e prodotti intermedi a
basso
6
costo,
l’investimento
verrà
identificato
come
Gli ultimi anni hanno visto un prolificare di indagini sulla base dei dati e
informazioni reperibili dalla banca dati Reprint, CNEL - R&P -Politecnico
(Milano).
93
resource-seeking (ad es. metalli, minerali non metalliferi
etc.). In casi come questo, la scelta tra IDE e relazioni di
mercato come subforniture, accordi contrattuali ed altro è
principalmente determinata dal trade-off tra le esigenze in
termini di qualità del prodotto e la flessibilità nella gestione
degli approvvigionamenti.
◊ I
settori
scale-intensive
si
contraddistinguono
per
IDE
effettuati dalle Piccole e Medie Imprese prevalentemente
market-seeking e le destinazioni favorite si concentrano
nell’area
dei
Investimenti
paesi
diretti
europei
sia
dell’est
che
di
stampo
market-seeking
all’estero
dell’ovest.
caratterizzano anche i settori specialistici della meccanica
strumentale, anche se in questo caso ci si trova in presenza
di partecipazioni localizzate geograficamente più lontano
fino a toccare l’Area del Pacifico e l’America Latina. Le
piccole
multinazionali
italiane
tendono
a
decentrare
in
questo ramo di attività in particolare le fasi di montaggio e
assemblaggio
a
seconda
delle
specificità
della
zona
prescelta e della possibilità di diminuire i costi di trasporto.
Una tale scelta di IDE non permette, però, la creazione di
una strategia aziendale di lunghe vedute ed un controllo
serrato in quanto l’impresa è legata da cessione di impianti
chiavi -i n-mano,
tecnologie
e
know-how
all’impresa
partecipata. Un certo numero di iniziative di investimento
market-seeking, effettuati sia nei paesi in via di sviluppo che
in quelli avanzati, caratterizza altresì i settori ad elevata
intensità tecnologica (farmaceutica, informatica, elettronica
etc.); in tale ambito, però, l’elemento che può fare la
differenza nella decisione del management aziendale è la
possibilità di accedere agli assets tecnologici dell’impresa
partecipata.
94
Come in precedenza sottolineato, numerose differenze negli
orientamenti
strategici
relativamente
agli
IDE
sono
state
rilevate nel corso di studi condotti sulle partecipazioni italiane
detenute nei paesi dell’Europa Occidentale e Orientale 7. Gli
IDE effettuati da imprese e/o gruppi di grandi dimensioni (i.e.
con più di 5.000 addetti) sono totalmente finalizzati alla
penetrazione del mercato locale, mentre la quota di iniziative
market-seeking scende al 40% del totale per quei soggetti
investitori con un numero di addetti inferiore a 500. La
maggioranza
degl i
investimenti
all’estero
effettuati
dalle
imprese di dimensioni minori mirano più che altro ad usufruire
di un vantaggio competitivo nelle attività labour intensive , a
mantenere un accesso di favore a materie prime e prodotti
intermedi a basso costo oppure ancora alla stipula di accordi
sulla
cessione
di
tecnologie,
impianti
e
know
how
ad
un’impresa locale.
Naturalmente, la piccola e media impresa dovrà sopportare
vincoli e difficoltà maggiori dal punto di vista finanziario e
manageriale soprattutto nel far fronte all’incertezza e rischi
collegati ad un’attività all’estero. Dovranno infatti essere
affrontate
numerose
situazioni
di
rischio
derivanti
dalla
mancanza di familiarità verso il contesto economico e culturale
locale,
nonché
previsioni
dalla
attendibili
sul
maggiore
difficoltà
possibile
nell’effettuare
andamento
e
sviluppo
dell’attività d’azienda. Tutti questi sono elementi che andranno
ad
influenzare
notevolmente
la
strategia
di
internazionalizzazione adottata dall’impresa in questione. Il
metodo migliore per cercare di ovviare alla elevata incertezza
è senza dubbio l’informazione; di conseguenza, si rendono
raccomandabili
conoscenza,
7
investimenti
anche
se
le
sistematici
PMI
in
saranno
nuove
sicuramente
A tal proposito cfr. Mariotti e Mutinelli (1994) e Piscitello (1996).
95
fonti
di
più
svantaggiate rispetto ai grandi gruppi multinazionali. Queste
ultime, infatti, anche in materia di assets conoscitivi sono in
genere favorite dalla presenza di numerose consociate estere,
attraverso le quali apprendono tutte le informazioni necessarie
allo sviluppo dell’attività all’estero e al migliore contatto con la
realtà locale. Al contrario, una media impresa-tipo sarà alla
sua prima esperienza internazionale e sarà consigliabile una
preventiva e approfondita analisi di fattibilità che permetta il
reperimento
del
maggior
numero
di informazioni possibili
sull’investimento in fieri, nonostante un tale processo richiede
l’impiego di ingenti mezzi finanziari.
Le considerazioni fin qui esposte portano le PMI ad
operare in condizioni di razionalità limitata nonché ad attuare
strategie di internazionalizzazione in cui la prudenza e la
minimizzazione del rischio diventano le priorità a discapito
degli IDE market seeking. Gli Investimenti Diretti Esteri miranti
alla conquista di una fetta del mercato straniero, infatti, oltre
alla del ocalizzazione della produzione, comportano altresì lo
sviluppo di adeguate reti distributive e di un supporto tecnico
all’avanguardia. Il metodo per ridurre al minimo i costi si trova
molto spesso nella scelta delle PMI di creare joint ventures od
assumere partecipazioni di minoranza in imprese straniere. La
condivisione dell’investimento con un partner estero permette
infatti
la
riduzione
del
coinvolgimento
finanziario
ed
un
prezioso punto di riferimento per il reperimento di informazioni
sul
mercato
local e
che
permetta
previsioni
attendibili
sull’andamento e le prospettive future della domanda nel
settore di attività.
In
conclusione,
la
creazione
di
adeguate
strutture,
istituzionali e non, a sostegno dell’internazionalizzazione delle
PMI è di cruciale importanza per un sistema industriale come il
96
nostro, caratterizzato dalla presenza di un vastissimo numero
di aziende di ridotte dimensioni e sofferente per un ritardo nel
processo
di
globalizzazione
rispetto
agli
altri
paesi
economicamente avanzati.
3.4
Principali
fonti
di
finanziamento
nazionali
e
comunitarie per gli IDE delle Piccole e Medie Imprese
Affinché gli IDE possano diventare uno strumento in grado
di
avvicinare
sempre
più
il
mondo
dei
piccoli
e
medi
imprenditori al mercato globale, si rendono indispensabili,
come spiegato nel precedente paragrafo, interventi normativi
finalizzati al sostegno dei settori che attraversano una difficile
fase di adattamento alle nuove esigenze di mercato. Si tratta
quindi di dare una precisa ed organica regolamentazione ad
una materia per altro molto vasta e nel presente lavoro si
intende rimarcare quelle che sono le iniziative principali
avviate nel corso degli ultimi anni dalle autorità nazionali e
comunitarie preposte.
Per quanto riguarda i provvedi menti a livello nazionale, le
principali leggi incentivanti gli IDE approvate dalle autorità
italiane sono le seguenti:
⇒ legge 394/81: si tratta di agevolazioni in favore delle PMI
esportatrici
comprese
quelle
agricole,
turistiche,
alberghiere, sia si ngole che riunite in consorzi e che siano
intenzionate a stabilirsi definitivamente sui mercati esteri.
Tale legge permette di coprire le spese necessarie alla
costituzione
e
finanziamento
di
strutture
per
la
commercializzazione dei prodotti italiani, nonché quelle
sostenute per effettuare studi di mercato, attività di training
e pubblicità;
97
⇒ legge
49/85:
promozione
di
investimenti
effettuati
da
cooperative che radunano lavoratori licenziate da aziende in
crisi e messi in cassa integrazione. Al finanziamento sono
ammesse le spese sostenute in vista dell’ammodernamento
dei mezzi di produzione e/o servizi tecnici, commerciali e
amministrativi; i costi derivanti dalla razi onalizzazione della
rete commerciale, ristrutturazione degli impianti, nonché per
l’acquisto di impianti nel settore della distribuzione, turismo
etc. Da tale possibilità sono escluse le spese sostenute
negli anni precedenti la presentazione della domanda;
⇒ legge 449/97: incentivi fiscali alle PMI commerciali e
turistiche che appartengono al settore del commercio e
anche le imprese turistiche iscritte al Registro delle Imprese
della provincia in cui è ubicata la sede principale. Tale
contributo prevede la concessione di una serie di “bonus”
fiscali da utilizzare in sede di versamento d’imposta. Le
spese ammessa sono quelle relative all’acquisto di beni
strumentali nuovi di fabbrica ed oggetto di ammortamento,
valido anche per gli acquisti di valore inferiore ad un milione
per i quali l’ammortamento non è necessario.
Oggetto
di
notevole
interesse
sono
i
programmi
di
finanziamento e promozione degli investimenti all’estero per le
PMI ideati nel quadro della Comunità Europea e dell’ormai
imminente
Mercato
Comune.
Qui
di
seguito
verranno
evidenziati i tratti distintivi delle tre iniziative principali in
ordine di creazione:
98
ECIP (European Community Investment Patners)
L’ECIP è uno strumento finanziario istituito nel 1988 dalla
Comunità Europea e dalla sua creazione sono state approvate
più di 1.500 azioni per un valore superiore a 173 milioni di
ECU (European Currency Unit). Il programma è gestito dalla
Commissione europea a Bruxelles, la quale usufruisce della
collaborazione di un’ampia cerchia di istituzioni finanziarie e
agenzie
di
parlando,
promozione
l’ECIP
offre
degli
investimenti.
cinque
facilities
Tecnicamente
(facilitazioni)
di
carattere tecnico e finanziario per il completamento delle
diverse fasi che conducono alla creazione di imprese miste nei
Paesi in Via di Sviluppo, Mediterraneo e Africa del Sud. I
beneficiari per eccellenza di tale programma sono le PMI, ma
le stesse grandi imprese si trovano nella possibilità di fare
richiesta e la loro domanda sarà approvata qualora venga
accertato che il progetto di investimento aumenterà lo sviluppo
del paese di destinazione. Singolarmente considerate, la
facility
1
(montante
massimo
100.000
ECU)
riguarda
l’identificazione del progetto dell’impresa mista e quindi dei
partner potenziali; la facility 2 (max 250.000 ECU) si occupa
dello studio di fattibilità o di un progetto pilota; la facility 3
(max 1 milione di ECU) identifica i finanziamenti necessari alla
copertura
del
fabbisogno
di
capitale;
la
facility
4
(max
250.000 ECU) tratta la formazione e l’assistenza tecnica.
Infine,
la
facility
1B
(max
200.000
ECU)
concerne
la
preparazione della privatizzazione o di altri progetti che
comunque riguardino infrastrutture private, servizi di pubblico
interesse o a favore dell’ambiente. Da sottolineare come i
beneficiari di quest’ultima facilitazione siano esclusivamente
governi oppure enti pubblici. Il finanziamento totale per ogni
singolo progetto non può superare il tetto di 1 milione di ECU.
99
JOP (Joint Venture Programme Phare-Tacis)
Il programma Jop è stato adottato nel 1991 con lo scopo di
promuovere nei paesi dell’Europa centrale e orientale la
costituzione di joint ventures tra le imprese locali e operatori
economici dell’Unione Europea. Dal 1994 tale forma di IDE
viene promosso anche nei paesi dell’ex-Unione Sovietica.
L’obiettivo principale è quello di sostenere la costituzione di
società
miste
durante
le
varie
fasi
di
sviluppo:
dalle
informazioni di base sui paesi esteri, al finanziamento di
attività di formazione professionale, all’assistenza tecnicogestionale. Trattasi di quattro diverse facility: 1) informazioni e
promozione, 2) studi di fattibilità, 3) partecipazione al capitale
delle joint venture, 4) formazione del personale, assistenza
tecnica e gestionale del personale locale. Le iniziative devono
riguardare esclusivamente la realizzazione di imprese miste
produttive;
commerciali
sono
pertanto
oppure
a
escluse
carattere
attività
puramente
speculativo,
quali
la
costruzione di immobili da destinarsi alla vendita.
JEV (Joint European Venture)
Il programma Jev è stato varato nel novembre 1997 con
l’intento di finanziare le joint venture 8 tra almeno due imprese
residenti nell’Unione Europea. Tale iniziativa colma una lacuna
particolarmente
sentita;
fino
a
questo
momento,
infatti,
Bruxelles aveva agevolato solamente la creazione di società
miste tra aziende europee e quelle dei paesi extracomunitari,
ma non offriva alcuno strumento affinchè le PMI europee
8
La promozione di imprese miste è da intendersi in senso lato, come qualsiasi
forma
di
collaborazione
tra
due
o
più
commerciale, dei servizi o dell’artigianato.
100
imprese
nei
settori
industriali,
potessero
interagire
tra
loro.
Il
programma
prevede
un
contributo massimo di 100.000 Ecu per ogni singolo progetto e
la concessione del finanziamento avviene in tre stadi: al
momento dell’approvazione viene concesso un anticipo pari al
50% dei costi per lo studio di fattibilità e l’avvio della joint
venture, fino a un massimo di 25.000 Ecu. Interessante
sottolineare come la somma erogata sia concessa a fondo
perduto qualora venga costituita la joint venture e come
altrimenti si trasformi in un finanziamento a tasso zero. La
seconda tranche, pari ancora al 50% dei costi, verrà fatta in
seguito
alla
presentazione
dei
documenti
giustificativi
necessari e, infine, una sovvenzione addizionale pari al 10%
dell’investimento e non superiore al 50.000 Ecu sarà versata
al momento dell’avvio dell’attività.
101
PARTE SECONDA
VERSO L’ACCORDO MULTILATERALE SUGLI
INVESTIMENTI
CAPITOLO 4
EVOLUZIONE DELLE REGOLE INTERNAZIONALI IN
MATERIA DI INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI
4.1 Il quadro giuridico iniziale
Durante tutto il 19° secolo fino alla metà del 20° gli unici
investimenti effettuati a livello internazionale consistevano in
forme
indirette
di
investimenti
di
portafoglio.
Gli
IDE
rivestivano un ruolo minoritario nell’economia mondiale; erano
principalmente legati ad attivi tà di reperimento di materie
prime
e,
di
conseguenza,
si
concentravano
in
regioni
geograficamente limitate.
E’ solo negli anni immediatamente successivi alla seconda
guerra mondiale che un numero sempre maggiore di paesi
hanno
compreso
l’importanza
e
i
vantaggi
a
livello
sia
nazionale che internazionale degli IDE. Nel trentennio che va
dagli anni ’40 all’inizio degli anni ’70, comunque, l’attitudine
generale restava orientata nel senso di una certa diffidenza
verso nuove forme di approccio ai mercati internazionali.
Una delle cause è da attribuirsi alla reazione dei paesi in
via di sviluppo al processo di decolonizzazione; il timore
dell’espropriazione delle proprie risorse da parte dei paesi excolonizzatori ha condotto i governi all’imposizione di severi
controlli e forti limitazioni all’ingresso di IDE. Le misure prese
dai PVS nel corso del trentennio assicuravano un costante
controllo nazionale sugli investimenti esteri.
Questa politica ha influenzato notevolmente anche l’attività
delle Nazioni Unite fino alla risoluzione 1803 (XVII) del 1962,
la quale ha riconosciuto il diritto di ogni paese sulle risorse
naturali presenti nel proprio territorio e la possibilità di
104
controllare e nazionalizzare gli investimenti effettuati nel
paese.
Il
passare
commercio
degli
anni
e
internazionale
la
costante
hanno
reso
evoluzione
del
indispensabile
la
creazione di un nuovo ordine economico internazionale e, di
conseguenza, un radicale cambiamento a livello strutturale dei
sistemi commerciale e finanziario mondiale.
A
prendere
l’iniziativa
a
livello
regionale
è
stata
l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
(OCSE)
attraverso
l’adozione
nel
1961
del
“Codice
di
liberalizzazione dei movimenti di capitale”; si trattava di uno
strumento
vincolante
che
incoraggiava
la
progressiva
liberalizzazione dei movimenti di capitale tra i vari paesi
disciplinando la maggior parte delle transazioni internazionali.
Al
Codice
del
1961
ha
fatto
seguito
nel
1976
la
“Dichiarazione sull’Investimento Internazionale e le Imprese
Multinazionali”; strumento, quest’ultimo, non vincolante per
dirimere la questione del trattamento nazionale delle imprese
sotto il controllo straniero, contenente anche tutta una serie di
principi direttivi indirizzati alle imprese
multinazionali. Tale
Dichiarazione è uno degli strumenti OCSE più conosciuti in
materia di investimenti esteri.
Rimasta
inalterata
dal
momento
della
sua
adozione,
la
Dichiarazione costituisce uno strumento in grado di rispondere
ai principali quesiti in materia di cooperazione internazionale e
investimenti:
◊ uno strumento sugli incentivi e gli ostacoli all’investimento
internazionale,
◊ uno strumento per evitare trattamenti discriminatori da parte
degli stati nei confronti delle multinazionali straniere,
◊ i principi relativi alla parità di trattamento delle imprese
sotto controllo straniero da parte dei paesi ospitanti.
105
4.2
La
disciplina
internazionale:
accordi
bilaterali,
regionali e multilaterali.
L’evoluzione
dell’economia
internazionale
verso
la
mondializzazione dei mercati ha fatto si che gli Investimenti
Esteri Diretti venissero riconosciuti uno strumento sempre più
indispensabile, tanto che un numero sempre maggiore di paesi
si stanno muovendo verso la liberalizzazione e promozione
degli IDE in entrata e in uscita, come testimonia la seguente
tabella:
Numero di paesi che
199
199
199
199
199
199
1
2
3
4
5
6
35
43
57
49
64
65
82
79
102
110
112
114
80
79
101
108
106
98
2
_
1
2
6
16
hanno introdotto
modifiche nel regime
sugli investimenti:
Numero di
cambiamenti:
di cui:
- verso una
maggiore
liberalizzazione
- verso un
controllo
centralizzato
Fonte: UNCTAD; World Investment Report 1996
106
Il quadro giuridico attuale vede la forte interazione tra la
legislazione nazionale e quella internazionale in materia di IDE
che,
insieme,
hanno
apportato
numerose
modifiche
alla
legislazione preesistente. La figura 1 qui di seguito indica i
principal i cambiamenti inseriti nelle leggi e regolamenti:
FIGURA 1: Modifiche a leggi e regolamenti sugli IDE, 1996 a)
(% indicate tra parentesi nella legenda)
Condizioni operative più liberali (25)
Minore controllo (4)
Incremento delle garanzie (4)
Regolamentazione della proprietà straniera più liberale (7)
Procedure di approvazione più elastiche (7)
Aumento delle iniziative promozionali (8)
Aumento del controllo (5)
Diminuzione degli incentivi (7)
Fonte: UNCTAD
Aumento degli incentivi (34)
a) Nel corso del 1996, sono state apportati 138 cambiamenti in
114 misure adottate da 65 paesi
Le misure prese a livello nazionale fissano regole dettagliate
in materia di creazione, stabilimento e attività delle imprese
controllate da capitale straniero.
107
Gli impegni contratti a livello internazionale si distinguono
a seconda del numero di paesi partecipanti
in: accordi bilaterali, regionali e multilaterali. Nessuno di
questi strumenti, però è stato creato per disciplinare gli IDE
nella
totalità
dei
loro
aspetti:
si
può
invece
parlare
dell’esistenza di un quadro giuridico internazionale dove ogni
accordo
vincola
i
paesi
firmatari
al
rispetto
di
norme
disciplinanti singoli aspetti dell’investimento. Qui di seguito
verrà approfondita l’analisi delle diverse forme di accordo in
materia di IDE:
4.2.1 Trattati Bilaterali sugli Investimenti (TBI)
A livello bilaterale, gli accordi vengono conclusi quasi
esclusivamente per la promozione e la protezione degli IDE e
prendono il nome di “Trattati Bilateral i sugli Investimenti”.
Nonostante questa forma di accordo sia stata creata più di
quaranta anni fa, essa non ha mai subito particolari modifiche
nella
sua
struttura.
I
trattati
usano
iniziare
con
una
dichiarazione sull’importanza e i benefici degli IDE ai fini dello
sviluppo
dell’economia
e
danno
inoltre
una
definizione
piuttosto ampia dell’investimento. Essi hanno il compito di
incoraggiare i governi a facilitare l’iter di ingresso nel paese
da parte di operatori stranieri, anche se in genere evitano di
fissare una regolamentazione del diritto di stabilimento che
viene lasciata alla normativa nazionale. 1 Negli ultimi anni il
numero di TBI è cresciuto enormemente: circa 2/3 dei 1.160
accordi conclusi fino al giugno 1996, sono stati raggiunti negli
anni ’90 (172 solo nel 1995) e hanno coinvolto 158 paesi. Se
1
I
TBI
specificano,
infatti,
che
ad
essere
protetti
dal
trattato
sono
esclusivamente gli investimenti che soddisfano i requisiti richiesti dalla
legislazione nazionale del paese ospitante o che sono stati comunque approvati
dall’autorità competente in materia.
108
inizialmente
sviluppate
i
e
trattati
paesi
in
venivano
transizione,
conclusi
tra
oggigiorno
economie
un
numero
sempre maggiore di accordi viene concluso con le economie in
transizione.
GRAFICO 1: Crescita dei Trattati Bilaterali sugli Investimenti,
1959 – 1996
1200
1000
800
Numero Totale di
TBI
600
TBI conclusi tra
Paesi OCSE
400
200
0
1960
1970
1980
1990
Fonte:World Investment Report 1996
Con particolare riferimento all’Italia, la tabella seguente indica
i Trattati Bilaterali sugli Investimenti conclusi dal nostro paese
nel periodo compreso tra GENNAIO 1994 e GIUGNO 1996:
109
Accordo tra
Italia e:
Congo
Data della
firma
17 marzo
Data di
entrata in
vigore
dell’accordo
- -
1994
Perù
Kazakistan
5 maggio
18 ottobre
1994
1995
22 settembre
- -
1994
Etiopia
23 dicembre
- -
1994
Turchia
23 marzo
- -
1995
Brasile
3 aprile 1995
- -
Ucraina
2 maggio
- -
1995
Bielorussia
25 luglio
- -
1995
India
1 novembre
- -
1995
Hong Kong
28 novembre
- -
1995
RepubblicaC
22 gennaio
eca
- -
1996
Fonte: UNCTAD, World Investment Report 1996
4.2.2 Accordi Regionali
A livello regionale, gli accordi sugli investimenti mirano
essenzialmente alla liberalizzazione degli Investimenti Esteri
Diretti dalle restrizioni all’ingresso e stabilimento nel territorio
e alla progressiva eliminazione di trattamenti discriminatori .
Recentemente, inoltre, vengono introdotte clausole relative
110
alla protezione degli investimenti stessi; si sta cercando di
riunire in un unico strumento un’ampia gamma di regole, che
includa
anche
la
regolamentazione
della
scelta
del
foro
competente in caso di controversie. La maggior parte degli
accordi
regionali
sono
legalmente
vincolanti
per
i
paesi
firmatari, anche se vi sono alcune eccezioni come per esempio
i principi base dell’APEC e le linee guida dell’OCSE.
Attraverso
un’analisi
più
dettagliata
di
questi
accordi
emerge immediatamente che essi contengono una definizione
del termine “investimento” che varia a seconda del contesto e
dello
scopo
dell’accordo.
Per
esempio,
gli
accordi
sugli
investimenti tra i paesi ASEAN, il NAFTA (North American
Free
Trade
Association)
e
il
Protocollo
sull’investimento
all’interno del MERCOSUR contengono definizioni piuttosto
ampie dell’investimento e molto simili a quelle contenute nei
Trattati Bilaterali.
A sua volta, anche il diritto di ingresso e stabilimento viene
garantito nel testo della maggior parte degli Accordi Regionali,
anche
se
poi
alcuni
paesi
firmatari
inseriscono
alcune
eccezioni alla libertà di stabilimento destinate ad alcuni tipi
particolari di industrie e attività commerciali. Le eccezioni
vengono inserite in “liste negative”, le quali sottolineano le
misure
prese
dal
paese
contrarie
ai
provvedimenti
di
liberalizzazione contenuti nel testo dell’accordo.
La
richiesta
effettuare
un
di
particolari
investimento
non
condizioni
operative
è
di
oggetto
per
particolare
attenzione in questo genere di accordi; un caso a parte può
essere considerato il NAFTA che in questo senso va oltre
qualsiasi
accordo
bilaterale
o
regionale
vietando
espressamente la necessità di particolari condizioni operative,
che gli investitori facciano o meno parte dell’Associazione.
111
Per
quanto
concerne
il
trattamento
e
la
protezione
dell’investitore dopo l’ingresso nel paese, la maggior parte
degli accordi regionali tratta approfonditamente l’argomento in
linea
con
la struttura seguita dai TBI. Il testo prevede
generalmente alcuni standard quali, per esempio, i principi
della nazione più favorita, del trattamento al pari di qualsiasi
investitore nazionale e del rispetto del diritto internazionale in
materia. Inoltre, nella maggioranza dei casi, si usa inserire
alcune clausole relative alla completa libertà di trasferimento
dei fondi e introiti collegati all’investimento nel paese d’origine
con poche eccezioni, ad es. in caso di bancarotta. Gli Accordi
Regionali stabiliscono le regolamentazione per il trasferimento
di tecnologie, la competizione internazionale, la protezione
ambientale, nonché alcuni standard di condotta per le imprese
transnazionali in relazione all’impiego o meno di manodopera
locale, alle condizioni lavorative ed anche alla possibilità di
accedere a informazioni concernenti l’attività d’azienda.
In conclusione è rilevante ricordare come i paesi membri
degli Accordi Regionali siano situati sul medesimo livello di
sviluppo e di vedute in relazione agl i Investimenti Diretti
Esteri, anche se spinti da interessi e necessità divergenti.
Alcuni gruppi di regioni hanno sviluppato un regime comune
per gli investimenti diretti o provenienti da paesi terzi: l’Unione
Europea, ad esempio, ha fissato una serie di principi volti alla
promozione degli IDE nei paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico)
in occasione della Convenzione Lomè IV. Numerosi accordi
sono inoltre conclusi con i paesi dell’Europa Centrale e con le
repubbliche
dell’ex-Unione
Sovietica;
questi
costituiscono
infatti i nuovi mercati verso cui si stanno orientando i piani di
investimento dei paesi europei e contengono numerosi rimandi
alla libertà di movimento dei capitali, al diritto di stabilimento e
112
ad una regolamentazione comune in materia di competizione
internazionale.
4.2.3 Strumenti multilaterali
Fino
a
poco
multilaterale
strettamente
stesso;
tempo
sugli
collegati
questi
fa
gli
accordi
Investimenti
a
accordi
singoli
si
stipulati
Esteri
aspetti
possono
a
Diretti
livello
erano
dell’investimento
quindi
facilmente
settorializzare a seconda dell’aspetto che intendono regolare
in:
◊ Servizi: gli IDE in questo settore sono regolati dal General
Agreement on Trade in Services (GATS), il quale definisce
alcuni principi generali che possono essere applicati a tutte
le
industrie
di
servizi.
Questi
principi
riguardano,
per
esempio, la trasparenza e il trattamento speciale secondo il
principio della nazione più favorita. Le condizioni di accesso
al mercato di un determinato paese e il relativo trattamento
nazionale dipendono dalle disposizioni, che possono essere
progressivamente ampliate attraverso successivi negoziati.
L’Accordo contiene inoltre numerose appendici che fissano
regole addizionali per particolari tipi di industrie;
◊ Requisiti di performance, sono trattati nell’Agreement on
Trade-related Investment Measures (TRIMs), che limita il
suo campo di analisi alle misure prese nei confronti di
investimenti effettuati nell’ambito del commercio di beni di
consumo;
◊ Diritti di proprietà intellettuale. Il lavoro più completo in
merito alla protezione della proprietà intellettuale a livello
multilaterale nel commercio e negli investimenti è contenuto
nell’Agreement
on
Trade-related
Aspects
of
Intellectual
Property Rights (TRIPS Agreement), il quale include altresì
norme sugli standard basilari per la protezione di specifiche
113
categorie di diritti, includendo anche la definizione della
sede per la discussione delle controversie;
◊ Copertura assicurativa per il rischio politico a favore di
investitori che si rivolgono ai mercati dei paesi in via di
sviluppo
è
garantita
Investment
facente
dalla
Guarantee
parte
del
presenza
Agency
gruppo
della
(MIGA),
Banca
Multilateral
organizzazione
Mondiale.
Condizione
basilare per la concessione di garanzie assicurative è la
certezza che l’investitore accetti la legislazione del paese
ospitante
e
che
queste
ultime
soddisfino
gli
standard
internazionali universalmente riconosciuti;
◊ La sede per la trattazione delle controversie tra investitori
privati
e
paesi
dell’International
ospitanti
Centre
on
viene
trattata
Settlement
all’interno
of
Investment
Disputes (ICSID), istituzione che fa parte del gruppo Banca
Mondiale e che negli ultimi anni ha visto un notevole
aumento dei paesi membri e delle cause trattate.
Un importante apporto alla disciplina sugli IDE è fornito dalle
“Guidelines on the Treatment of Foreign Direct Investment”
stilate dalla Banca Mondiale. Tali linee guida agli investimenti
si
basano
su
una
completa
analisi
degli
strumenti
a
disposizione delle imprese che vogliano affermare la loro
presenza in un particolare mercato; nonostante non siano
formalmente
vincolanti,
esse
rappresentano
uno
sforzo
considerevole per conciliare i problemi che i Paesi in Via di
Sviluppo incontrano nel confrontarsi con il costante aumento
del flusso di investimenti stranieri verso i loro paesi.
Lo studio di un fenomeno così complesso come gli IDE non
può
tralasciare il fatto che
l’evoluzione della disciplina
internazionale in materia non si compone solamente di Trattati
114
Bilaterali sugli Investimenti, Accordi Regionali e Multilaterali
stipulati dagli organi di governo dei diversi paesi, nonostante
la loro indiscussa importanza. Un notevole contributo proviene
infatti dalle regolamentazioni sugli investime nti elaborate da
istituzioni private, in particolare organizzazioni commerciali,
associazioni
professionali,
di
consumatori
e
da
qualsiasi
gruppo di interesse in questo ambito; a questo proposito,
l’APPENDICE
A
collocata
al
termine
dell’opera
contiene
l’el encazione completa degli strumenti internazionale relativi
agli IDE stipulati in un periodo compreso tra il 1948 ed il 1996
con l’esclusione dei TBI e delle Direttive dell’Unione Europea.
4.3 Presupposti per un ulteriore sviluppo normativo in
materia di IDE
La
futura
elaborazione
delle
regole
internazionali
in
materia di IDE deve necessariamente tenere conto delle
esperienze passate per poter ottenere risultati migliori e
costruttivi,
evitare
gli
errori
commessi
in
precedenza
ed
affrontare il sopraggiungere del XXI° secolo con i mezzi più
adeguati. Resta comunque complicato giungere a conclusioni
definitive in quanto un gran numero di strumenti attualmente a
disposizione,
in
particolare
quelli
relativi
al
processo
di
liberalizzazione, sono di recente istituzione e gli effetti reali
della loro applicazione non ancora chiari.
Sulla base dell’esperienza passata e in qualche caso
ancora attuale si possono comunque delineare alcuni punti
fermi utili per comprendere l’evoluzione più recente degli IDE
e gli sviluppi che seguiranno a breve:
◊ investimenti
e
commercio
sono
ormai
considerati
un
binomio inscindibile. Durante gli anni ’60, ad esempio, le
economie sviluppate si orientavano verso Trattati Bilaterali
115
sugli Investimenti molto specializzati che focalizzavano la
loro attenzione esclusivamente sugli investimenti. E’ stato
solamente dalla metà degli anni ’80 che, riconosciuto il
ruolo
delle
imprese
in
un
mercato
sempre
più
internazionale, si è affermata la necessità di trattare le
problematiche relative a commercio e IDE di pari passo
soprattutto a livello regionale (es. NAFTA) e multilaterale.
L’Uruguay Round del “Multilateral Trade Negotiations”
rappresenta il primo caso di inserimento degli IDE nel
quadro molto più ampio di analisi della rete commerciale
multilaterale, ma si sta comunque cercando di estendere
ed ampliare ulteriormente questa relazione fino a giungere
ad un approccio onnicomprensivo.
◊ l’importanza
del
graduale
e
costante
aumento
della
trasparenza e del monitoraggio negli investimenti esteri è
sottolineata in quasi tutti gli accordi, i quali mirano
innanzitutto alla progressiva eliminazione delle barriere
all’ingresso; risultato, questo, ottenuto con difficoltà se si
pensa, per esempio, al caso dell’Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in cui sono
trascorsi
ben
25
anni
dall’adozione
dei
Codici
sui
movimenti di capitale prima che fosse confermato il diritto
di
stabilimento.
Gli
strumenti
bilaterali,
regionali
e
multilaterali sono indispensabili anche per accrescere la
trasparenza dei regolamenti nazionali e il monitoraggio
delegato ad autorità neutrali ha reso i singoli paesi più
propensi
a
utilizzare
il
sistema
dell’arbitraggio
internazionale per dirimere eventuali controversie.
◊ il sempre maggiore riconoscimento del ruolo rivestito dagli
IDE nell’economia mondiale e la crescente attitudine dei
governi a condurre politiche economiche market-oriented
hanno portato alla convergenza degli interessi nazionali
116
con le più attuali problematiche internazionali. Questa
tendenza,
oggetto
di
numerosi
accordi
regionali
e
multilaterali, si rivela in particolare nei confronti delle
tematiche
relative
dell’investitore
all’ingresso
straniero
e
a
e
stabilimento
particolari
condizioni
operative richieste dal la nazione ospitante. I TBI, invece,
non approfondiscono molto questi aspetti lasciando piena
autonomia ai paesi a seconda delle singole priorità.
I progressi avvenuti negli ultimi cinquant’anni in materia
di Investimenti Diretti Esteri sono stati numerosi a tutti i
livelli e nella maggioranza dei paesi del mondo, anche se la
difficoltà
maggiore
resta
la
creazione
di
un
contesto
internazionale globale, coerente e completo che divenga il
punto di riferimento principale in materia. Molti paesi, infatti,
sono sempre stati più propensi ad assumersi impegni a
livello bilaterale o regionale piuttosto che multilaterale;
questo
significherebbe
infatti
un
coinvolgimento
troppo
ampio e assume quindi un aspetto molto vincolante.
Il continuo evolversi dei mercati internazionali verso la
mondializzazione dell’economia ha però portato, dalla metà
degli anni ’80, ad una maggiore presa di coscienza della
necessità di una concertazione a livello globale anche in
materia di investimenti; questo ha posto le fondamenta per la
discussione sui costi e benefici ed i successivi negoziati che
hanno
portato
a
parlare
di
AGREEMENT ON INVESTMENT.
117
M.A.I.:
MULTILATERAL
4.4 La progressiva liberalizzazione degli IDE: in attesa
dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti
Una politica “liberale” in materia di Investimenti Esteri
Diretti è una politica in cui vengono ridotti al minimo
indispensabile gli interventi dei pubblici poteri sotto forma di
leggi, regolamenti e pratiche di vario genere. In un regime
sostanzialmente liberale le imprese sono quindi libere di
prendere qualsivoglia decisione in merito alla penetrazione
in uno o più mercati esteri. A seconda delle strategie
aziendali, potranno scegliere tra:
⇒ la costituzione di un nuova impresa oppure di una società
partecipata da un’azienda locale;
⇒ l’apertura di una filiale registrata secondo la normativa
del paese ospitante, di un succursale (senza alcuna
registrazione);
⇒ l’acquisizione
di
una
quota
di
partecipazione
in
un’impresa straniera già esistente oppure l’acquisto totale
della stessa.
Condizione
basilare
è
che
all’imprenditore
straniero
venga garantito il medesimo trattamento riservato alle locali
imprese che svolgano la stessa attivi tà; non dovranno quindi
esistere procedure di esame preliminare da parte delle
autorità tese a scegliere tra diverse proposte di investimento
e
queste
ultime
soddisfacimento
non
di
potranno
esigenze
nemmeno
a
carattere
richiedere
il
prettamente
nazionale. L’apertura delle frontiere agli investitori esteri non
significa comunque la perdita di autorità delle istituzioni
politiche ed economiche: esse sono infatti sempre in dovere
di attuare politiche di tutela del consumatore, dell’ambiente,
del
sistema
finanziario
o
per
proteggere
nazionale qualora si rendano necessarie.
118
la
sicurezza
Anche all’interno di numerosi organismi internazionali si
sta
incitando
i
paesi
a
sostenere
questo
processo
di
liberalizzazione. Le risposte dei paesi non sono comunque
sempre immediate; all’interno dell’OCDE, per esempio, non
sono molti i paesi che si sono incamminati verso una
massiccia apertura o spinta verso nuovi mercati, anche se,
paragonati al passato, i risultati ottenuti negli ultimi decenni
sono stati sorprendenti.
Ma quali sono gli obiettivi che si pongono quei governi
che proseguono con strategie protezionistiche? Le ipotesi
sono molteplici: la protezione dell’impiego e della produzione
nazionale in particolare nelle zone con i maggiori problemi,
l’incoraggiamento delle esportazioni o la diminuzione delle
importazioni per assicurare l’equilibro della bilancia dei
pagamenti
o
ancora
si
vuole
favorire
il
trasferimento
all’interno del paese di tecnologie, know-how in materia di
direzione d’impresa e specializzazione dei lavoratori. In altri
casi le autorità possono porsi l’obiettivo di proteggere le
imprese nazionali dalla concorrenza straniera o do esercitare
il controllo sul mondo imprenditoriale interno per mantenere
la “sovranità nazionale”.
4.4.1Vantaggi e svantaggi di regole internazionali in materia
di liberalizzazione dei mercati.
Quando si parla di una sistematica regolamentazione a
livello internazionale in relazione agli IDE è necessario
innanzitutto distinguere tra paese investitore e ospitante. Pe r
quanto riguarda il paese d’origine dell’investimento, una
serie
di
regole
sono
necessarie
al
fine
di
preservare
l’accesso al mercato e garantire sicurezza giuridica alle
proprie attività internazionali. Numerosi saranno i vantaggi
119
anche per il paese ospi tante. In primo luogo risulterà più
facile l’adozione di politiche liberali anche a livello interno se
anche da parte di altri paesi c’è l’impegno a rispettare un
vicolo sovranazionale. Secondariamente, in un mondo dalla
concorrenza sempre più agguerrita, un paese che si sia già
impegnato formalmente a livello internazionale con politiche
liberali potrà evitare gli effetti distorsivi e peraltro molto
costosi
derivanti
dalla
concessione
di
sovvenzioni
ed
esenzioni fiscali per incentivare l’afflusso di investimenti. In
ultimo, ma non meno importante, gli impegni vincolanti tra
diversi
paesi
garantiscono
un
liberalismo
continuo,
indipendentemente da eventuali sconvolgimenti politici.
E’ importante sottolineare come l’evoluzione verso una
regolamentazione vincolante sul piano multilaterale degli
Investimenti Esteri Diretti creerebbe le condizioni ideali per
una
liberalizzazione
molto
maggiore
rispetto
a
quella
garantita dai Trattati Bilaterali sugli Investimenti e dagli
Accordi Regionali. Un vincolo di questo tipo garantirebbe a
tutti i paesi aderenti, indipendentemente dalle dimensioni e
dall’importanza
medesime
degli
regole.
stessi,
Inoltre,
le
l’obbligo
al
disposizioni
rispetto
delle
generalmente
presenti sul principio di reciprocità sarebbero inutili in
quanto un accordo multilaterale deve essere in grado di
garantire un equilibrio soddisfacente tutte le parti coinvolte.
4.4.2 Prime considerazioni sull’AMI.
Le regole relative agli IDE fissate dall’Organizzazione per
la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e che
sono contenute all’interno di tre documenti principali quali i
due Codici di Liberalizzazione (dei movimenti di capitali e
delle
operazioni
Trattamento
invisibili
nazionale,
correnti)
hanno
120
e
senza
lo
strumento
dubbio
sul
contribuito
enormemente allo sviluppo di una coscienza liberale negli
ultimi decenni. 2
Comunque, la consapevolezza delle lacune presenti in tali
documenti ha portato alla constatazione della necessità di un
accordo basato su nuovi principi e impegni tale da poter
affrontare la sfida della globalizzazione.
Di qui l’interesse verso un Accordo Multilaterale sugli
Investimenti (AMI) che stabilisca diritti e doveri concernenti
il trattamento da parte dei governi degli IDE in entrata e in
uscita, nonché disposizioni in materia di liberalizzazione e
protezione degli investimenti e una completa disciplina per la
soluzione delle controversie. Tale Accordo dovrà tenere
conto degli altri accordi già in vigore (ad es. convenzioni
fiscali,
sulla
proprietà
intellettuale
nonché
convenzioni
bilaterali sugli investimenti) e dell’insorgenza di eventuali
conflitti normativi.
Per fungere da reale strumento multilaterale, l’AMI dovrà
essere
aperto
ai
paesi
non
membri
dell’OCSE
e,
di
conseguenza, importanza decisiva avrà la definizione della
procedura di ammissione; l’opinione prevalente sottolinea la
necessità per i paesi terzi di soddisfare alcuni requisiti
minimi ritenuti essenziali per entrare a far parte dell’accordo.
Le motivazioni alla base del desiderio di paesi non membri
OCSE di aderire all’Accordo possono essere schematizzate
come segue: innanzi tutto, i paesi firmatari si attenderebbero
certamente un notevole aumento del flusso di investimenti
grazie ad un nuovo sistema di accesso ai mercati esteri ed
un sofisticato sistema di protezione degli investimenti e degli
2
La Dichiarazione del 1976 sugli investimenti internazionali e le imprese
multinazionali contiene lo Strumento relativo al Trattamento nazionale, i
P r i n c i p i d i r e t t i v i p e r l e m u l t i n a z i onali, procedure di consultazione in caso
dell’insorgenza
di
obbligazioni
contraddittorie
ostacoli e vantaggi all’investimento.
121
nonché
disposizioni
su
investitori.
A
questo
proposito,
infatti,
il
MAI
sarà
sicuramente più efficace dei numerosi trattati bilaterali in
quanto in grado di coprire tutte le fasi dell’investimento
(incluse le fasi di ingresso e stabilimento) e di garantire un
efficace sistema normativo per dirimere le controversie.
Secondariamente,
investimenti
prevista
l’Accordo
possibili
riguarderà
molto
superiore
una
gamma
rispetto
a
di
quella
dal sistema di Trattamento della Nazione più
Favorita del GATT
o da altri Trattati Bilaterali; il MAI
includerà infatti anche i settori manifatturiero, delle risorse
naturali,
nonché
dei
servizi.
In
ultima
analisi,
essere
firmatari del MAI darà diritto al paese in questione di
partecipazione con il medesimo status al “Parties’ Group”,
cioè
ai
lavori
dei
paesi
membri
OCSE
relativamente
all’Accordo.
Per quanto concerne la liberalizzazione, l’Accordo è
destinato a prevedere la disciplina del trattamento nazionale,
disposizioni relative alla non discriminazione (da applicarsi
nei confronti dei soli paesi firmatari), un meccanismo si
status quo (i.e. il divieto di formulare nuove restrizioni su
alcune voci facenti parte delle liste) e un meccanismo
contenente misure supplementari di liberalizzazione in vista
di una progressiva e totale soppressione di qualsivoglia
restrizione.
In
materia
di
protezione
degli
investimenti,
saranno
indispensabili norme generali e specifiche per le imprese
multinazionali e tutti gli investitori internazionali.
Tra
le
varie
proposte
avanzate
sulla
struttura
di
quest’Accordo, l’accento è sempre stato messo sulla messa
a punto di un corpo normativo molto solido; di conseguenza,
per risultare efficace, l’AMI potrà disciplinare questioni
relativamente “nuove” in merito agli IDE, come ad esempio
122
gli obblighi di risultato, i monopoli, le concessioni, le
privatizzazioni, le pratiche private nonché stimoli e ostacoli
degli investimenti. Il tutto senza però dimenticare un’analisi
dettagliata di specifici aspetti relativi alla politica della
concorrenza, del mercato del lavoro e dell’ambiente.
Altrettanto importante è stata la scelta del forum dove
svolgere i negoziati; sulla decisione notevole influenza è
esercitata
dall’Unione
Europea,
dai
suoi
paesi
membri,
nonché dagli Stati Uniti e dal Giappone. Da parte loro, i
paesi
europei
avrebbero
preferito
che
tutto
il
lavoro
avvenisse nell’ambito dell’OCSE, visto il loro ruolo di paesi
essenzialmente esportatori di capitali e con quindi tutto
l’interesse
al
mantenimento
della
loro
“competenza”
in
materia di negoziazione su questioni inerenti gli investimenti.
La
Commissione
Europea,
invece,
sembrava
preferire
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) come sede
dei negoziati. A loro volta, Stati Uniti e Giappone pendevano
per l’OCSE. Le considerazioni che devono portare alla scelta
del forum non possono comunque limitarsi a considerare le
preferenze dei diversi paesi, le quali tendono sicuramente a
privilegiare
gli
interessi
personali.
Una
questione
fondamentale è decidere la base sulla quale verranno prese
le decisioni: il consenso oppure la maggioranza? L’art.18 del
Codice sulle operazioni invisibili correnti prevede che il
Comitato
dei
movimenti
di
capitali
e
delle
transazioni
invisibili dell’OCSE adotti le decisioni secondo il criterio
della maggioranza. I membri non europei dell’OCSE, però,
con molta difficoltà accetterebbero di negoziare un accordo
di tale portata sulla base della maggioranza e non del
consenso. Non meno importante è la definizione del ruolo
dell’Unione Europea nei procedimenti di votazione ed in
particolare chi avrebbe diritto al voto: l’Unione globalmente
123
intesa oppure i singoli paesi membri e, in questo caso, che
ruolo andrebbe attribuito all’UE come corpo unico.
Riassumendo,
nonostante
vi
sia
una
generale
convergenza di pareri tra i membri OCSE sulla necessità e
fattibilità di un Accordo Multilaterale sugli Investimenti, le
questioni che potrebbero essere soggette a controversie
sono molteplici. In primo luogo, come già spiegato, le
questioni sulla scelta del forum di negoziazione, dello statuto
giuridico dell’Accordo e delle regole di votazione. Della
medesima importanza è la questione del trattamento delle
informazioni infranazionali all’interno di paesi federali quali
Stati Uniti, Australia e Canada nonché lo spinoso problema
della “sovranazionalità” con specifico riferimento all’UE.
124
CAPITOLO 5
L’ACCORDO MULTILATERALE
SUGLI INVESTIMENTI
5.1 Caratteristiche del nuovo strumento multilaterale in
materia di investimenti
Come ripetutamente accennato nel corso del presente
lavoro, la spettacolare crescita del flusso di Investimenti
Diretti
Esteri
registrata
nell’ultimo
decennio
è
stata
sicuramente favorita da politiche nazionali improntate alla
liberalizzazione ed una sempre più agguerrita concorrenza
tra i paesi nell’attirare investitori stranieri. A tutto ciò si è
affiancata
un’attività
legislativa
internazionale
mirante
a
creare un ambiente economico favorevole all’accoglienza di
tale forma di internazionalizzazione aziendale. Nonostante
l’esistenza di strumenti multilaterali creati già negli anni ’60
all’interno dell’OCSE e di cui si è parlato nel precedente
capitolo, i responsabili della politica sugli investimenti hanno
da tempo rilevato la necessità di uno strumento gl obale,
adatto
alle
nuove
e
mutevoli
esigenze
del
contesto
economico mondiale.
La scelta di dare all’OCDE il compito di stilare un accordo
di tale portata è da rimandare al fatto che tale organismo si è
sempre interessato a questioni inerenti gli investimenti, tanto
più che i paesi membri rappresentano i principali investitori e
ricettori di investimenti. Inoltre, la presenza di numerose
regolamentazioni antecedenti garantisce, in un certo qual
senso,
dall’approvazione
di
misure
discriminatorie
o
dall’introduzione di restrizioni o barriere al commercio. Anche
la
struttura
particolarmente
flessibile
129
dell’organizzazione
offre un quadro adatto alle varie fasi della negoziazione e
l’eventuale consultazione di esperti di altre discipline, quali
la fiscalità, le politiche della concorrenza etc. Da alcuni anni
sono in atto numerose trattative con paesi non membri che
avrebbero tutte le intenzioni di entrare a far parte di tale
organismo e un completo strumento di regolamentazione
degli
IDE
politica
potrebbe
condotta
essere
dai
molto utile
governi
nell’analisi
interessati
della
nonché
nell’andamento del processo di adesione.
5.1.1 I caratteri distintivi
Il nuovo e favorevole ambiente economico venuto a
delinearsi in materia di investimenti ha quindi permesso
l’ideazione di un strumento multilaterale come l’AMI, che
preveda:
∗ regole vincolanti in modo tale da assicurare condizioni
eque
di
concorrenza
internazionali
da
parte
per
le
imprese
nazionali
delle
autorità,
nonché
e
un
trattamento coerente degli Investimenti Diretti Esteri come
valido strumento di internazionalizzazione produttiva;
∗ un meccanismo efficace per garantire l’applicazione delle
obbligazioni tra le parti che stipulino un accordo ed
eventualmente tra l’investitore stesso e le autorità del
paese ospitante;
∗ norme di liberalizzazione e protezione degli investimenti
applicabili in tutti i paesi membri dell’OCSE e in grado di
influenzare e incoraggiare le riforme in materia nei paesi
non membri.
Un attento esame delle caratteristi che basilari di un tale
Accordo ha evidenziato come la semplice combinazione e
130
parziale rielaborazione degli elementi contenuti nei vari
accordi tra i paesi OCSE già esistenti non avrebbe risposto
alle esigenze ed alle aspettative dei membri. Questi ultimi ,
infatti, ricercano uno strumento multilaterale che apporti
sostanziali
novità
al
sistema
vigente.
In
particolare,
la
creazione di uno strumento-collage non permetterebbe di
avere
la
certezza
supplementari
di
dell’introduzione
di
liberalizzazione
provvedimenti
non
conterrebbe
innovazioni in materia di protezione degli investimenti e di
regolamento delle controversie rispetto alle disposizioni già
contenute
Inoltre,
negli
una
accordi
così
permetterebbe
la
bilaterali,
regionali
semplicistica
protezione
e
settoriali.
elaborazione
degli
non
interessi
delle
organizzazioni regionali di integrazione economica.
Di
conseguenza,
strumento
se
ne
multilaterale
comprendente
le
liberalizzazione,
norme
di
desume
che
di
portata
più
avanzate
protezione
degli
solamente
molto
uno
ampia
nell’ambito
investimenti
e
degli
e
che
assicuri un soddisfacente equilibrio tra le parti beneficerebbe
del sostegno politico necessario per la sua realizzazione.
Ecco che quindi gli elementi base per un accordo globale
possono essere sintetizzati come segue: innanzitutto obblighi
di liberalizzazione, che comprendono anche il trattamento
nazionale
applicato
prima
e
dopo
lo
stabilimento
eccezioni di portata molto limitata nonché
con
il dovere di non
discriminazione per il paese ospitante. Se condariamente,
obblighi di protezione degli investimenti, ivi comprese norme
di carattere sia generale che specifico sul trattamento degli
investitori
stranieri
e
disposizioni
sull’espropriazione,
indennizzo e trasferimento dei fondi. Punti di particolare
rilevanza sono infine l’approvazione di un meccanismo di
131
regolamento delle controversie e l’apertura alla firma ai paesi
non membri OCSE.
In conclusione, l’AMI renderebbe possibile il far fronte a
questioni
relative
alla
reciprocità
e
alla
progressi va
eliminazione di misure discriminatorie in maniera innovativa,
senza per altro negare l’importanza di idee e metodi nati in
altri
accordi
internazionali
indispensabili
come
punto
di
partenza per i nuovi sviluppi normativi.
5.2 Il contenuto dell’Accordo
Le negoziazioni sull’AMI sono entrate nell’ultima fase nel
settembre 1995 e, dopo una serie di dibattiti orientati alla
definizione della configurazione che tale Accordo andrà ad
assumere, sta finalmente emergendo il suo corpus in maniera
chiara e delineata nei suoi contorni principali, nonostante
alcune questioni restino ancora da chiarire. Ed è proprio sui
contenuti del nuovo strumento che si concentrerà l’analisi a
seguire:
5.2.1 Le definizioni
Di fondamentale importanza è innanzitutto la definizione
del termine investimento nel contesto dell’AMI, la quale è
stata oggetto di un esteso dibattito. Un rapido ed esteso
consenso è stato raggiunto sul fatto che l’AMI doveva
prevedere una singola e ampia definizione del termine
applicabile ad entrambe le fasi di pre e post-stabilimento in
un paese e che quindi andasse oltre la nozione tradizionale
di Investimento Diretto Estero (IDE) che lo indica come
l’insieme degli assetti tangibili e intangibili. Tale scelta è di
non poca rilevanza se si pensa che rende conciliabili due
132
esigenze contrastanti: infatti, se da un lato la definizione
dovrebbe essere tanto ampia da includere qualsiasi forma
rilevante di investimento 1, dall’altro lato essa non dovrebbe
comunque confondere semplici transazioni commerciali o
finanziarie
(ad
monetario
e
es.
le
operazioni
finanziario
e
che
effettuate
non
sui
mercati
possono
essere
considerate parte degli assetti reali di un investitore) con un
IDE.
Nonostante un accordo definitivo non sia ancora stato
raggiunto,
la
soluzione
maggiormente
accreditata
vuole
definire l’investimento con una lista aperta di tipologie di
assetti che possono essere ritenuti come tale ed una breve
lista chiusa di operazioni che non possono essere definiti
tali,
a
meno
che
lo
scopo
non
sia
la
protezione
dell’investimento stesso. Una possibile al ternativa è data
dalla presenza di un’unica lista cd. “positiva” e la possibilità
che vengano applicate delle riserve a livello di trattamento
nazionale
ad
eccezione
di
quelle
ritenute
di
stampo
protezionistico. Una scelta di questo genere renderebbe però
ciascuna parte aderente all’AMI troppo libera nella scelta
delle operazioni da escludere e non sarebbe più garantita la
stessa
trasparenza
della
prima
opzione
indicata.
Indipendentemente dalla decisione finale, la definizione di
“investimento” contenuta nell’AMI avrà una struttura simile
alla seguente:
1
Tra le forme rilevanti non troviamo solamente gli assetti intangibili come
ad
es.
la
proprietà
intellettuale,
ma
portafoglio acquisito dall’investitore.
133
anche
qualsiasi
investimento
di
“Ogni
genere
di
assetto
posseduto
o
controllato
dall’investitore e che può includere:
• un
impresa
struttura
(qualunque
prescelta
-
sia
la
forma
associazione,
giuridica
e
la
organizzazione,
filiale, joint-venture, corporation, partnership etc.privata o statale, a scopo di lucro o no-profit);
• azioni, stock o altre forme di partecipazione detenute
in un’azienda straniera;
• obbligazioni, prestiti ed altre forme di debito;
• contratti
di
concessione,
costruzione,
management,
produzione, divisione degli introiti;
• la
rivendicazione
di
moneta
o
prestazioni
che
possiedano un valore economico;
• diritti di proprietà intellettuale;
• diritti riferibili a norme o contratti quali concessioni,
licenze e permessi.”
A sua volta, la definizione di “investitore”,
“ (i) Una persona fisica che abbia la nazionalità oppure sia
residente
nel
paese
di
una
delle
parti
contraenti,
in
concordanza con la legge nazionale applicabile;
oppure: (ii) Una persona fisica o altra entità costituita o
organizzata secondo la legge di una delle parti contraenti,
abbia o meno scopo di lucro, sia privata o pubblica e
strutturata
come
joint
venture,
corporation,
proprietà singola, associazione o organizzazione,”
134
partnership,
ha acceso un vivace dibattito sulla legittimità o meno di
considerare
una
particolare
“branca
di
attività”
come
potenziale investitore, tenendo presente che, di norma, le
legislazioni nazionali non conferiscono (tranne in alcuni
ambiti dei servizi finanziari) loro la possibilità di agire in
maniera indipendente come tale.
5.2.2 La protezione degli investimenti
La
discussione
sulle
misura
di
protezione
degli
investimenti è seguita relativamente rapida e, già i primi mesi
del 1997 hanno visto la presenza di un ristretto numero di
questioni ancora mancanti di un consenso completo. Da
sottolineare come, comunque, non vi sia disaccordo su quelli
che sono i principi base del tema in esame. L’AMI prevederà
infatti un articolo fondame ntale che garantisca un equo
trattamento
nonché
piena
e
costante
protezione
all’investimento. Un articolo di particolare rilevanza è quello
che
stabilisce
la
completa
libertà
di
trasferimento
di
pagamenti legati all’operazione di IDE ed è proprio su questo
che alcuni paesi hanno sottolineato la presenza, nell’Accordo
stipulato in seno al Fondo Monetario Internazionale, della
possibilità
per
un
paese
di
restringere
la
libertà
di
trasferimento dei fondi in caso di crisi di Bilancia dei
Pagamenti. Norma, questa, in contrasto con quella contenuta
nell’AMI che, invece, riguarda il libero trasferimento di:
capitale iniziale e l’eventuale ammontare addizionale per il
mantenimento o la crescita dell’investimento, introiti, tutti i
pagamenti previsti dal contratto compreso un accordo di
affitto, incassi derivanti dalla vendita o liquidazione totale o
parziale dell’investimento stesso, pagamenti derivanti dal
regolamento di una controversia o di compensazione a
seguito di un’espropriazione, remunerazioni del personale
135
ingaggiato
all’estero
la
cui
attività
è
collegata
all’investimento.
5.2.3 Il trattamento riservato all’investimento
Il punto di svolta nella specificazione del trattamento a
livello nazionale riservato agli IDE si trova nel principio di
non discriminazione e l’AMI sancisce inoltre l’obbligo di
estensione
di
tale
trattamento
nonché
del
trattamento
secondo il principio della cd. nazione-più-favorita a:
“stabilimento,
mantenimento,
acquisizione,
utilizzo,
espansione,
godimento,
management,
vendita
e
altre
disposizioni di investimento”
Non si può dimenticare, comunque, che ogni paese è
interessato a preservare alcuni settori o attività economiche
dall’ingerenza di investitori stranieri, ad es. per motivi di
sicurezza nazionale. In sede di discussi one,
a questo
proposito, è stata proposta l’ammissione di riserve specifiche
per paese rappresentate, cioè, dalla identificazione da parte
di
ciascun
paese
degli
ambiti
di
attività
che
possono
diventare oggetto di restrizione. Tali riserve diventeranno
“obbligazioni permanenti”, nel senso che nessun altro tipo di
restrizione potrà essere approvata dal momento in cui l’AMI
sarà attivo a tutti gli effetti nella nazione in questione. L’idea
in questione ha però sollevato il dubbio sul modo in cui l’AMI
potrebbe
contribuire
alla
liberalizzazione
delle
politiche
condotte in materia di IDE; a questo proposito, durante il
meeting
del
dicembre
1996
il
Gruppo
Negoziatore
ha
concordato che ogni paese membro dovesse presentare entro
la fine del febbraio 1997 una lista iniziale di riserve tenendo
sempre presenti le obbligazioni stabilite dall’AMI. In questo
modo si creerebbero le fondamenta per una successiva
136
discussione inerente il migliore metodo per garantire un
livello di liberalizzazione appropriato.
Un accenno merita infine la questione fino a che punto la
sicurezza nazionale e/o l’ordine pubblico possono essere
considerati un concetto “autogiudicantesi”, nel senso che
l’eventuale invocazione di un’eccezione di questo genere
possa o meno essere risolta attraverso il procedimento di
regolamento delle controversie.
5.2.4 Discipline aggiuntive
Una particolarità dell’AMI si ritrova nel sempre più vivo
interessamento nei confronti di eventuali ostacoli agli IDE
non contemplati né dalla norma sul trattamento nazionale né
dal principio della Nazione più Favorita (NPF). In particolare,
sono state oggetto di esame alcune tematiche, quali:
• ingresso
e
soggiorno
temporanei
di
investitori
e
personale specifico;
• privatizzazione;
• monopoli ed imprese statali;
• incentivi agli investimenti;
• richiesta di particolari prestazioni agli investitori.
In particolare, per quanto riguarda l’ingresso e soggiorno
temporaneo in un paese, le imprese investitrici sono a favore
di una maggiore rapidità e semplificazione delle procedure
per l’ottenimento di visti o altre autorizzazioni a favore di
quel personale che risulti di fondamentale importanza per
l’attività in corso all’estero. Inoltre, l’AMI intende facilitare
l’ingresso
degli
investitori
stessi
(intesi
fisiche) coinvolti in iniziative di investimento.
137
come
persone
Molto spesso accade inoltre che i governi tendano ad
imporre agli investitori determinate richieste di prestazioni
miranti a garantire un certo beneficio economico alla nazione
ospitante
complessivamente
intesa.
Tali
richieste
interferiscono però con le decisioni prese dall’investitore
stesso e possono condurre a distorsioni del mercato. A tal
proposito,
mentre,
ad
esempio,
“l’Accordo
sulle
misure
collegate agli investimenti” dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio
(Agreement
on
Trade-related
Investment
Measures) concentra la sua attenzione esclusivamente sulle
richieste
di
prestazioni
riferibili
al
puro
e
semplice
commercio, l’AMI si focalizza su qualunque prestazione che
possa distorcere i flussi di investimenti ed in particolare mira
alla proibizione di richieste quali:
⇒ l’imposizione di una percentuale sui beni e/o servizi che
possono essere esportati;
⇒ l’obbligo che la fornitura dei beni prodotti o dei servizi
forniti al mercato sia a livello regionale che mondiale
provenga
esclusivamente
dal
territorio
della
parte
contraente;
⇒ l’accordare un trattamento preferenziale a beni e/o servizi
offerti nel paese ospitante;
⇒ la localizzazione della sede principale destinata a servire
un mercato specifico o mondiale in un paese contraente;
⇒ la richiesta di trasferimento di tecnologie, del processo
produttivo o di altri assets proprietari ad una persona fisica
o giuridica residente nel paese ospitante.
Un’altra nuova potenziale disciplina riguarderebbe gli
incentivi agli investimenti. Oggigiorno, infatti, la quasi totalità
dei paesi promuovono la pratica degli IDE attraverso diverse
138
forme di incentivi come, ad esempio, misure fiscali che
prevedono
particolari
esenzioni.
In
sede
di
discussione
dell’AMI una prima questione è sorta inerente il limite entro il
quale
determinate
misure
possono
essere
considerate
“incentivi”, in quanto è stato rilevato come in certi casi gli
effetti
di
incentivi
una
forte
possano
competizione
risultare
nella
negativi.
concessione
Consenso
è
di
stato
ottenuto comunque sulla necessità di rendere più trasparente
la loro introduzione; il primo elemento da considerare è
l’applicazione del principio del trattamento nazionale anche
agli
incentivi
stessi
discriminazione
in
positiva
modo
nei
tale
confronti
da
evitare
degli
una
investitori
stranieri. Inoltre, anche il principio della NPF contribuirebbe
all’eliminazione
di
disparità
di
trattamento
riservati
a
investitori di paesi diversi.
La negoziazione in vista di un Accordo di così ampia
portata non può prescindere dalla trattazione di argomenti di
grande attualità anche dal punto di vista degli investimenti
come
i
processi
di privatizzazione e trasformazione dei
monopoli e delle imprese che in molti paesi fino a pochi anni
fa erano sotto il controllo statale. Il proponimento sta nel far
si che al momento dell’offerta di vendita di tali imprese a
privati, entri automaticamente in vigore il principio di non
discriminazione; in questo modo, gli investitori stranieri
avranno la possibilità di acquisire assetti statali alla stregua
degli operatori economici interni. Il tutto fermo restando il
fatto che l’Accordo non potrà in alcun modo costringere alla
privatizzazione, che resta una decisione totalmente nelle
mani delle autorità. Un altro punto importante da sottolineare
sta nel fatto che l’AMI non interferisce nemmeno con l’istituto
del monopolio in presenza del quale non c’è spazi o per altri
139
investitori, siano essi interni o stranieri. Se le competenze
dell’Accordo non prevedono ingerenza in questo campo, non
si può nascondere il fatto che la presenza di uno o più
monopoli arreca notevole forza ad un mercato; nonostante un
accordo totale in materia non sia stato ancora raggiunto,
l’AMI norma il comportamento degli stessi in modo tale da
garantire
la
preservazione
del
principio
di
non
discriminazione.
5.2.5 Il regolamento delle controversie
La codifi cazione delle norme per il regolamento delle
controversie, che in numerosi accordi bilaterali e ad esempio
anche
all’interno
fondamentale
dell’OMC
importanza,
è
è
considerata
un
tema
un
quasi
punto
nuovo
di
per
l’OCSE 2. Proprio per questo motivo il meccanismo da inserire
nell’AMI
prende
a
modello
gli
accordi
bilaterali
sugli
investimenti e la stessa disciplina applicata all’OMC; il
tribunale ad hoc composto da tre membri avrebbe infatti la
possibilità di emettere dichiarazioni e/o raccomandazioni ad
un paese in merito all’adattamento di determinate procedure
in conformità all’AMI. La
differenza principale tra i due
metodi di disciplina - quello utilizzato dall’OMC e quello
stabilito con l’AMI - è che mentre il primo si limita alle
controversie che sorgono tra Stati diversi, l’AMI intende
disciplinari altresì i casi di arbitrato tra il Paese ospitante e
l’investitore stesso. Nel caso in cui sia l’investitore a far
avviare una procedura, avrà egli stesso la possibilità di
decidere a quale tipo di istituzione sottomettere la causa: ad
una corte o tribunale del paese ospitante oppure all’arbitrato
2
Un precedente si ritrova nell’Accor do sulla Costruzione delle Navi
(Shipbuilding Agreement), il quale non è però ancora entrato in vigore.
140
di
un
tribunale
internazi onale,
come
previsto
sia
dalla
Convenzione sul regolamento delle controversie tra Stati e
soggetti
stranieri
sull’arbitrato
(ICSID
della
Internazionale
Convention)
Commissione
delle
Nazioni
sul
Unite
che
dalla
Diritto
Regole
Commerciale
(UNCITRAL:
United
Nations Commission on International Trade Law). L’Accordo
deve anche definire e circoscrivere quelle che sono le forme
di risarcimento permesse: semplici dichiarazioni, pagamento
di una somma di denaro e qualunque altro tipo anche se non
esplicitamente indi cato, previo consenso di tutte le parti
coinvolte nella disputa.
Nonostante le linee essenziali della tematica in esame
siano piuttosto ben delineate, un consenso generale non è
ancora stato raggiunto nel trattamento di alcune particolari
argome ntazioni che mi accingo ad analizzare più in dettaglio
qui di seguito. Opinioni contrastanti riguardano, ad esempio,
il caso di una disputa sorta tra uno Stato e l’investitore ed in
particolare
la
questione
se
gli
arbitrati
nazionale
e
internazionale si escludano vicendevolmente o meno (nel
gergo
tipico
degli
investimenti
cd.
“biforcazione
nella
strada”). Un certo numero di paesi sono dell’idea che, nel
momento in cui l’investitore sceglie la via dell’arbitrato
nazionale, non possa più prendere in considerazione un’altra
possibilità;
altri
sostengono
invece
che
il
ricorso
alle
procedure internazionali sia possibile anche successivamente
alla scelta del giudizio nazionale.
Una tematica di particolare interesse e molto dibattuta in
sede di negoziazione ri guarda la regolamentazione delle
controversie
che
stabilimento
tra
possono
sorgere
l’investitore
ed
il
nella
paese
fase
di
ospitante.
preLa
questione dibattuta riguarda la possibilità o meno per un
141
investitore di citare in giudizio un potenziale paese ospitante
che gli precluda la possibilità di effettuare un investimento
sul proprio territorio. Molti paesi sono dell’idea che una tale
possibilità venga contemplata dall’AMI all’interno di quei
provvedimenti che stabiliscono un diritto per l’investitore
stesso. Altri sottolineano invece la competenza in tale ambito
delle sole autorità statali, in quanto la questione dello
stabilimento in un paese straniero è strettamente connessa
ad un diritto di sovranità sul territorio che mette l’investitore
in
posizione
di subordinazione alla volontà delle locali
autorità. Inoltre, è stato rilevato come una tale concessione
potrebbe recare pregiudizio al sistema di disciplina delle
controversie applicato all’interno della OMC, nonché alle
norme stabilite dal General Agreement on Trade in Services
(GATS).
5.2.6 Il sistema di tassazione stabilito dall’AMI
In qualsiasi accordo il cui tema principale siano gli
investimenti esteri, la trattazione e negoziazione del sistema
di tassazione applicabile riveste un ruolo di fondamentale
importanza e suscita un vivo interesse di tutte le parti
coinvolte. L’AMI deve, anche in questo ambito, essere in
grado
di
garantire
l’estensione
del
principio
di
non
discriminazione, nonostante il provvedimento non sia di facile
attuazione. Alcuni esperti fiscali hanno infatti notato come la
presenza di forti obbligazioni per i paesi aderenti all’AMI in
materia
di
trattamento
nazionale,
principio
di
non
discriminazione o trattamento specifico per la NPF potrebbe
creare situazioni conflittuali con le norme contenute in
numerosi accordi bilaterali che mirano alla protezione dalla
doppia tassazione. D’altro canto, il fatto che generalmente i
trattati bilaterali sulla tassazione degli IDE non contemplano
142
la possibilità di ricorso all’arbitrato come me ccanismo di
risoluzione delle controversie, è facile pensare che gli Stati
dimostrino maggiore interesse per le disposizioni contenute
nell’AMI e prediligano la sua applicazione. L’insieme di
questi fattori hanno portato alcuni esperti a proporre un
provvedimento
che
indichi
come
l’Accordo
non
applichi
misure fiscali. Un intenso dibattito si è sviluppato sul tema in
questione e ha condotto alla conclusione che l’AMI non
applicherà provvedimenti di carattere fiscale, tranne alcune
norme
a
garanzia
della
trasparenza
delle
fasi
dell’investimento e di eventuali espropriazioni.
5.2.7 Uno sguardo al futuro
L’inizio del 1996 ha visto il termine dello stadio di lavori
orientativo sulla struttura dell’Accordo e l’avviarsi all’ultimo
anno di negoziazioni prima della fase finale dell’effettiva
adozione dell’AMI, prevista per l’estate 1997. E’ proprio a
questo punto che i paesi devono attivarsi per rendere note
quelle che sono le riserve ed i provvedimenti specifici da loro
proposti per essere inseriti nel testo; a tal fine, entro il
febbraio 1997, dovevano essere presentate le liste e, prima
che si giunga alla firma dell’Accordo, è indispensabile un
consenso generale sull’effettivo raggiungimento di un’equa
considerazione di tutti gli interessi in gioco.
Nonostante
un
tale
consenso
sia
stato
raggiunto
relativamente al trattamento degli investimenti, numerose
differenze
di
vedute
sono
state
riscontrate
rispetto
a
particolari questioni, tra cui emergono le seguenti:
◊ la possibilità di aumentare la liberalizzazione nel campo
degli IDE da parte di determinate organizzazioni regionali
143
di
integrazione
economica
senza
che
i
provvedimenti
vengano estesi a tutti gli altri partners dell’AMI;
◊ alcuni paesi hanno espresso il desiderio di poter deviare
dagli
obblighi
stabiliti
dall’AMI
in
forza
di
particolari
caratteristiche culturali;
◊ infine,
alcuni
paesi
a
struttura
federale
potrebbero
incontrare difficoltà nel vincolare tutti i territori presenti
all’Accordo. Il problema potrebbe ulteriormente aggravarsi
in quei paesi in cui le regioni o stati federati sono dotati di
autonomia legislativa in materia di investimenti.
Da sottolineare come, nonostante la presenza di opinioni
contrastanti su alcune questioni rimaste aperte, i paesi
membri OCSE siano sempre rimasti determinati nella volontà
di raggiungimento dell’obiettivo stabilito.
Questa rassegna sui principali temi oggetto di trattazione
nell’Accordo ha volutamente evitato, fino a questo momento,
l’analisi di un argomento quale l’ammissione alla firma dello
stesso
di
paesi
non
membri
dell’Organizzazione.
La
complessità di tale tematica rende infatti necessario un
esame distinto che verrà condotto nel paragrafo a seguire, in
cui si focalizzerà l’attenzione su ruoli e possibilità della
comunità mondiale in relazione all’AMI.
5.3 L’AMI in una prospettiva mondiale
La corsa sempre più frenetica verso la globalizzazione dei
mercati non ha fatto altro che rafforzare la convinzione che
un accordo della portata dell’AMI non doveva limitarsi al
rafforzamento del processo di liberalizzazione all’interno
della zona di influenza dell’OCSE. Ed è proprio per questo
motivo che i paesi membri sono concordi sull’importanza di
144
considerare l’obiettivo da raggiungere in una prospettiva
mondiale.
genere
L’evoluzione
vede
tre
verso
una
conseguenze
dimensione
immediate:
di
questo
innanzitutto
permette di offrire un quadro dettagliato e giuridicamente
completo in materia di IDE, nonché di aumentare il loro
volume globale e concretizzare i vantaggi economici a favore
di tutte le parti.
Di conseguenza, molteplici saranno anche le ragioni per
cui l’OCSE non si oppone all’apertura alla firma dell’Accordo
da parte di paesi non membri e che per di più non hanno
partecipato alle negoziazioni:
◊ innanzitutto, il mercato economico mondiale al di fuori
della
zona
dell’OCSE
vede
la
presenza
sempre
più
numerosa di importatori ed esportatori netti di IDE e
addirittura di paesi che in breve tempo diventeranno
esportatori netti. Alcuni di questi sarebbero già pronti ad
aderire alle disposizioni fissate dall’AMI, se si considera il
regime già stabilito a livello nazi onale;
◊ a sostegno di quanto è stato appena detto il fatto che la
maggior
parte
di
questi
paesi
hanno
già
sottoscritto
Convenzioni bilaterali sugli investimenti e l’AMI potrebbe
apportare loro ulteriori benefici;
◊ infine,
l’Accordo
in
questione
darebbe
loro
anche
la
possibilità di negoziare direttamente i termini dell’adesione
nel quadro delle obbligazioni stabilite dallo stesso.
5.3.1 L’apertura dell’Accordo a paesi non membri OCSE
Come già sopra accennato, l’AMI sarà aperto anche alla
firma di paesi non membri OCSE visto che, tra l'altro,
l'Accordo stesso sarà uno trattato indipendente piuttosto che
uno strumento dell’Organizzazione. In questo modo, i molti
145
paesi interessati a questo tipo di accordo e desiderosi di
partecipare all’AMI avranno la possibilità di farlo in un
momento successivo. L’Atto Finale dovrà comunque essere
siglato esclusivamente dal Gruppo Negoziatore e un paese
esterno potrà accedere all’Accordo previa definizione dei
termini di partecipazione con i membri del “Parties Group”
(i.e. i paesi già aderenti).
L’adesione ad un Accordo quale l’AMI è sicuramente
appetibile da parte di numerosi paesi, in quanto sembra
garantire una normazione di livello superiore a qualsiasi altro
accordo in materia sia nel campo dell’accesso ad un mercato
straniero che nel trattamento riservato alle parti contraenti e
altresì nella protezione legale garantita. Il tutto supportato da
un sistema di regolamentazione delle controversie ampio e
innovativo. Inoltre, per quei paesi la cui quota di IDE in
uscita è piuttosto elevata, l’AMI rappresenta un’opportunità
ancora maggiore per lo stabilimento e la protezione legale di
tutte le forme di investimento nei paesi firmatari.
In sede di negoziazione è stato condotto un dibattimento
proprio in relazione al modo migliore per far partecipare i
paesi non membri OCSE ad un costruttivo e fruttuoso dialogo
in modo tale da renderli partecipi, anche se non da un punto
di vista attivo, all'avanzamento dei lavori. Sono quindi state
avanzate una serie di proposte, di cui le principali vengono
riportate qui di seguito:
Ø l'organizzazione di riunioni supplementari nel quadro di un
approfondimento
del
dialogo
con
le
più
dinamiche
economie non facenti parte dell'OCSE e mantenendo
inalterate le altre attività già condotte con paesi esterni;
Ø l’accettazione di loro contributi scritti;
146
Ø attività
di
cooperazione
con
altre
organizzazioni
intergovernative (ad es. l’OMC, la CNUCED etc.) con le
quali ci sono molte probabilità di instaurare rapporti nel
corso delle negoziazioni;
Ø il mantenimento di contatti informali supplementari tra i
paesi esterni e il Segretariato;
Ø inoltre, l’instaurazione di contatti bilaterali informali tra i
paesi membri e non.
Tra tutte le varie opzioni proposte in sede negoziale, il
Segretariato
dell’Organizzazione
ha
quindi
optato
per
l’organizzazione di numerosi meeting tenutisi a Parigi in
modo
tale
da
agevolare
l'uniforme
diffusione
delle
informazioni.
Un generale accordo è stato raggiunto su alcuni punti
fondamentali inerenti la formalizzazione dello status dei
paesi
esterni
interessati
a
sottoscrivere
l’AMI
ed
in
particolare: innanzitutto l’adesione deve essere preceduta
dall’approvazione
di
tutte
Secondariamente,
essa
dall’appartenenza
all’OCSE
le
è
e
del
infine,
parti
tutto
dato
contraenti.
indipendente
che
i
paesi
interessati devono assumersi tutte le obbligazioni che ne
derivano,
le
parti
già
aderenti
hanno
la
possibilità
di
procedere ad una specie di “esame” simile a quello utilizzato
per l’adesione ai Codici oppure all’OMC in modo tale da
determinare la misura in cui i candidati soddisfino tali
obblighi.
L’analisi fin qui condotta ha evidenziato l’importanza,
espressa non solo da un gran numero di paesi tra cui emerge
proprio
la
Comunità
Europea,
ma
anche
dal
mondo
imp renditoriale, di uno strumento in grado di affrontare le
147
sfide imposte dalla crescente competizione del mercato
globale.
L’AMI
è
stato
pensato
proprio
per
permettere
l’eliminazione di quei fattori di stampo protezionistico tuttora
esistenti tesi a discrimi nare l’ingresso e la permanenza di
investitori stranieri in un paese. Una conclusione positiva
della lunga opera di negoziazione realizzerebbe quindi un
sistema di norme internazionali sugli Investimenti Diretti
Esteri che, con l’apertura ai paesi non memb ri OCSE,
permetterebbe anche ai PVS un avanzamento nella quota di
IDE, nonostante il primato spetti ancora ai paesi membri
dell’Organizzazione con l’80% ca. del totale il uscita e il 65%
in entrata.
148
CAPITOLO 6
Evoluzioni dell’AMI:
un fallimento?
6.1 Introduzione
Se le premesse sulla creazione di uno strumento multilaterale
così ampio come l’AMI sembravano far presagire, in breve tempo,
uno stravolgimento nei rapporti commerciali internazionali, la cassa
di risonanza creatasi intorno all’Accordo ha dato esiti differenti.
I giorni 27 e 28 aprile 1998 dovevano infatti essere riservati alla
firma del testo dell’Accordo da parte dei paesi membri dell’OCSE,
dopo che la data era stata già rimandata di quasi un anno. Questo
fatto dovrebbe far riflettere i diversi governi sui motivi che stanno
dietro un tale blocco delle negoziazioni e sulle cause delle
difficoltà
politiche
che
sottendono
all’approccio
fino
ad
ora
utilizzato.
Le problematiche maggiori sono state scatenate da portatori di
interessi esterni all’OCSE che sono riusciti ad imporsi in modo tale
da mettere in discussione il lavoro fi no ad allora compiuto; in
particolare ci si riferisce ai Paesi in Via di Sviluppo, a numerose
Organizzazioni non Governative (ONG) e agli ambientalisti di
diversi paesi che, come i fatti di attualità ci dicono, stanno
diventando
un
gruppo
di
pressione
semp re
più
forte.
A
testimonianza dell’importanza che tali gruppi stanno assumendo
merita
sottolineare
un
fatto
accaduto
negli
ultimi
giorni
in
occasione del vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
tenutosi a Seattle: se lo scopo era quello di mettere alcuni punti
fermi tra le posizioni dei 132 paesi presenti nella regolamentazione
del commercio “globale”, nessun progresso è stato fatto. Il tutto a
149
causa delle anche violente proteste che gli ambientalisti hanno
condotto nel corso delle giornate del vertice, rendendo, tra l’altro,
Seattle una città blindata.
Nei paragrafi a seguire verrà fatto un breve excursus su quelle
che
sono
le
principali
tesi
e
argomentazioni
contro
alcuni
provvedimenti sanciti dall’Accordo, che hanno fino ad ora impedito
la conclusione dell’iter di approvazione, ma che forse potrebbero
essere
il
punto
di
partenza
per
una
futura
riapertura
delle
negoziazioni, magari in sede OMC. Ha sempre stupito, infatti, che
un accordo di tale rilevanza per il commercio internazionale non
fosse stato affidato ad un organismo, quale l’OMC appunto, che sin
dalla sua creazione nel 1995 è sempre stato considerato come il
culmine degli sforzi iniziati circa cinquant’anni fa con l’obiettivo di
stabilire un comune regime commerciale internazionale.
6.2 Implicazioni per i Paesi In Via di Sviluppo
Q u i di seguito verranno elencati i punti principali del testo dell’Accordo
che dovrebbero sicuramente essere modificati secondo quanto espresso dai
PVS:
v Debito Pubblico
Nelle diverse occasioni in cui è stato affrontato l’argomento, c’è sempre stato
accordo generale sul fatto che l’AMI non prevederà la trattazione della
rinegoziazione del debito pubblico dei PVS. E’ stata invece sottolineata da
questi ultimi la necessità della verifica e trattazi one del tema in questione da
esperti esterni all’Organizzazione.
v Termini sull’accesso dei PVS all’AMI
Visto e considerato che l’Accordo sarà aperto alla firma da parte dei PVS
intenzionati a farne parte, esso non dovrebbe essere siglato senza un
150
documento separato sulle implicazioni della sua applicazione sui PVS stessi.
Lo “Studio DFID” è un primo passo in tale direzione, anche se l’influenza di
tale strumento potrebbe essere ristretta da eventuali ritardi e lentezze nella
ricerca e nelle discussioni.
Un
ulteriore
delicata
questione
riguarda
l’inadeguatezza
di
numerose
disposizioni contenute nel testo dell’Accordo se comparate agli standard di
sviluppo attualmente raggiunti dai PVS. Sarebbe quindi necessario prevedere
la possibilità di siglare l’Accordo “settore per settore” , invece di siglare
l’intero accordo (come attualmente previsto dal testo dello stesso) e negoziare
le eccezioni, nel caso in cui si renda necessario, con il singolo paese.
v Eccezioni generali al trattamento nazionale
La formula dell’investimento diretto può dare un notevole contributo alla
diminuzione della povertà nei PVS, anche se tale processo non è automatico.
L’impatto che gli IDE possono avere dipende, infatti, soprattutto dalla qualità
d e l l ’ i n v e s t i m ento e dalla sua regolamentazione. L’AMI stabilisce che gli Stati
debbano trattare gli investitori stranieri come quelli nazionali, ma, nella realtà,
nessun tipo di investitore è uguale ad un altro, siano essi nazionali o stranieri.
I l c o n t r o l l o g o v e r n a t i v o può quindi rendersi necessario in un certo numero di
casi e non è conveniente scartare tale possibilità e priori. L’apertura agli
investitori stranieri non è poi detto che porti con sé effetti esclusivamente
positivi; paesi quali la Tanzania, l’Uganda e l o Zambia, ad esempio, stanno
premendo con forza sui governi affinché una nuova legislazione renda tali
paesi più aperti agli investitori stranieri. La firma di un accordo come l’AMI
consoliderebbe certamente questi movimenti, ma sorge subito la questione
delle lobby di potere che potrebbero concentrare al loro interno i vantaggi
derivanti dall’apertura commerciale.
v Eventuali richieste di prestazioni
Polemiche su questo tipo di provvedimento sono giunte da mole parti. La
soluzione proposta è di stampo diverso da quella prevista dal testo attuale;
l’Accordo dovrebbe infatti applicare la richiesta di determinate prestazioni
solamente al fine di prevenire l’espropriazione di eccessivi benefici e di
assicurare che la positività dell’investimento in termini di sviluppo per il paese
ospitante. Questo si rivelerebbe particolarmente importante per una costante
diminuzione dello “storico” sfruttamento condotto nei confronti dei PVS.
151
6.3 Clausole vincolanti in materia di lavoro
La sempre crescente mobilità di capitali sta esercitando una pressione
crescente sugli standard lavorativi, in quanto i governi sono in competizione
nell’attrarre investimenti stranieri. A riprova di tale fenomeno si possono
citare: l’aumento delle zone di libero scambio, la deregulation del mercato del
lavoro e l’allargamento a macchia d’olio del lavoro flessibile, che spesso
impediscono ai lavoratori di avere un lavoro fisso e a tempo pieno. Il tutto
nonostante da più parti si sia notata l’assenza di un vantaggio competitivo a
lungo termine nell’adozione di un tale sistema lavorativo.
L’AMI renderà tutto ciò ancora più forte attraverso la rimozione dei controlli
governativi sugli investimenti diretti senza che vengano al contempo rafforzati
gli standard in materia a livello nazionale e internazionale. Inoltre, l’Accordo
non
prevede
regole
vincolanti
in
tema
di
lavoro.
E’
stato
proposto
l’inserimento di una clausola di “non abbassamento degli standard”, ma il suo
effetto sarebbe praticamente irrilevante visto e considerato che essa sarebbe
subordinata all’accettazione dell’intonso testo dell’Accordo.
Al contrario,
l’accesso alla firma dell’Accordo dovrebbe presupporre la
preventiva accettazione delle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale
del Lavoro (OIL). Il tutto tenendo comunque in considerazione le opposizioni
dei PVS ad un condizionamento degli standard lavorativi.
6.4 L’AMI e la questione ambientale
Della
problematica
questione
ambientale
numerose
associazioni
ambientaliste si sono schierate totalmente contro la firma di tale Accordo.
Circa
600
organizzazioni
tra
ambientalisti,
femministe,
religiose,
dei
consumatori provenienti da più di 70 paesi stanno facendo valere le loro
opinioni bloccando così le negoziazioni. Sul fronte ambientalista emerge, per
il grande interesse dimostrato e la maggiore documentazione disponibile,
l’Associazione ambientalista “Friends of the earth” con sede a Londra.
6.4.1 Il quadro generale
I l raggiungimento di un accordo generale per l’approvazione dell’AMI è
supportato dalla maggior parte del mondo industriale mondiale e soprattutto
dalle imprese multinazionali, che hanno tutto l’interesse di espandere la
152
propria influenza. Tra queste ce ne sono alcune che di certo non brillano per
la loro attenzione al territorio: la Shell, ad esem pio, è stata non molto tempo
fa coinvolta in scandali sull’abuso dei diritti umani in Nigeria. La Texaco,
nonostante sia membro della Global Climate Coalition, ha una causa pendente
per mancato controllo dell’inquinamento nelle operazioni condotte in Ecuador.
Le implicazioni in materia ambientale dell’Accordo non vengono trattate in
profondità e gli eventuali danni causati dipenderebbero solamente dalle
circostanze e dal comportamento degli investitori; nulla garantisce, però, un
loro atteggiamento corretto e rispettoso dell’ecosistema. La liberalizzazione
ampiamente garantita nel testo renderebbe improbabile la possibilità di
qualsiasi provvedimento da parte dei governi nei confronti degli investitori.
Inoltre,
l’AMI
si
trova
potenzialmente
in
una
posizione
conflittuale
nei
confronti di numerosi Accordi Ambientali Multilaterali, quali ad esempio:
v I
provvedimenti
sanciti
nel
Protocollo
di
Kyoto
in
merito
ad
un
“Meccanismo di Sviluppo Pulito” (Clean Development Mechanism) e ad un
elenco di emissioni permesse;
v La regolamentazione all’accesso a risorse genetiche sotto l’egida della
Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity).
6.4.2 Comparazione tra il testo e le obiezioni
Q u i di seguito si procede con l ’indicazione delle componenti principali
dell’Accordo e la parallela disamina di come gli obiettivi di protezione
dell’ambiente vangano sottovalutati.
v Trattamento Nazionale
Nonostante alla formulazione sopra indicata si potrebbe aggiungere “diritti di
tutti,
responsabilità
di
nessuno”,
è
proprio
il
principio
del
Trattamento
Nazionale il punto cardine di tutto l’Accordo. Secondo tale principio, infatti, gli
investitori stranieri devono poter godere dei medesimi diritti, privilegi e
concessioni normalmente riservate alle imprese nazionali.
Uno statement di questo genere però proibirebbe, ad esempio:
-
l’approvazione di politiche mirate a favorire la manutenzione del territorio
o a regolamentare lo sfruttamento delle risorse naturali;
-
i sussidi a supporto dello sviluppo della comunità locale;
153
-
le procedure richieste ai cittadini per le licenze di pesca o raccolta funghi.
Sarebbe quindi necessario stabilire che l’utilizzo di determinate risorse
naturali sia preceduto dalla presa di impegno dell’interessato a garantire il
monitoraggio e manutenzione delle stesse.
v Diritti degli investitori
All’interno della sezione “Richieste di prestazioni”, l’AMI specifica tutta una
serie di misure che non possono essere imposte né su investitori nazionali né
su quelli stranieri.
Vista però la necessità di contenere e possibilmente ridurre il grado di
sfruttamento delle risorse naturali, al fine di non aggravare ulteriormente i già
seri danni causati al nostro ecosistema, l’Accordo dovrebbe impegnarsi a
lavorare
economie
su
fronti
locali
diversi.
(sempre
Ad
esempio,
magari
tramite
promuovendo
investitori
lo
sviluppo
stranieri)
o
delle
ancora
favorendo le imprese che utilizzano tecnologie il meno possibile dannose per
l’ambiente. A tutt’oggi, però, il testo dell’AMI non prevede niente di tutto ciò.
v Espropriazione
Sotto la dicitura di “protezione dell’investitore, l’AMI prevede che i governi:
“non esproprieranno o nazionalizzeranno direttamente o indirettamente un
investimento….né prenderanno alcuna misura con effetto equivalente.”
Dall’estratto della definizione sopra riportato se ne deduce che il divieto è
inteso in senso molto ampio e che nessun provvedimento restrittivo potrebbe
essere preso qualora si riscontrino evidenti infrazioni in materia ambientale.
In termini pratici, lo stato ospite non potrebbe, ad esempio, revocare o
modificare i termini delle esistenti licenze al fine di proteggere le riserve
marine, di flora e fauna oppure modificare le regolamentazioni sull’utilizzo del
terri torio che possano ridurre il valore della proprietà dell’investitore; per non
parlare delle richieste di utilizzo di tecniche estrattive non dannose per
l’ambiente che porterebbero ad un incremento dei costi di estrazione.
v Condizionamenti ambientali
154
Nell’ambito
delle
varie
discussioni
in
materia
ambientale,
i
negoziatori
dell’AMI hanno sempre evidenziato la presenza del seguente provvedimento:
“le Parti riconoscono che è del tutto inappropriato incoraggiare gli investimenti
abbassando il livello della salute pubblica, della sicurezza o degli standard
ambientali…”
Il testo di tale provvedimento è stato preso dal capitolo sugli investimenti
presente nel NAFTA, ma la sua severità è solamente apparente visto che, tra
l’altro, si colloca in un tipo di accordo che stimola e incita alla concorrenza e
alla competizione in materia di IDE.
E’ scandaloso come sia stata data la possibilità ai diversi governi di
prendere le misure necessarie per la protezione e la sicurezza degli interessi
essenziali del paese, ma nulla è stato previsto per garantire la sicurezza
dell’ecosistema che, tra le altre cose, interessa tutto il pianeta.
6.5 La posizione dell’Unione Europea
Anche a livello di istituzioni europee l’AMI ha creato un ampia cassa di
risonanza, mol to è stato detto e scritto in merito e il processo è ancora in
corso.
Nessuno ha mai negato l’importanza degli Investimenti Diretti Esteri come
fattore chiave per la crescita economica e il benessere di un paese, anche per
i Paesi in Via di Sviluppo. Ma le qualità di stabilizzazione e l’input dato da
quest ultimi allo sviluppo di un paese non possono nemmeno essere prese per
oro
colato,
soprattutto
in
un
periodo
come
questo
di
fine
millennio,
caratterizzato da una congiuntura estremamente mutevole e imprev e d i b i l e . L e
numerosi crisi finanziarie che hanno colpito, anche in modo grave, diversi
paesi negli ultimi anni ne sono sicuramente una prova.
La Commissione Europea ha recentemente sottolineato le innumerevoli
difficoltà
che
hanno
caratterizzato
i
ten t a t i v i
di
rimozione
dei
fattori
ostacolanti gli IDE. Questo al contrario di quanto è per esempio avvenuto nel
quadro del GATT, ovvero nell’abbassamento barriere commerciali tariffarie e
non.
In questo percorso, le negoziazioni tenutesi nell’OCSE per la realizzazione
dell’AMI sono state il primo reale tentativo di costruire una regolamentazione
155
comune intorno ad un tema per molti paesi così importante. L’iniziativa è
fallita soprattutto, secondo la stessa Commissione, a causa di una sostanziale
mancanza di trasparenza nella condotta delle trattative, la grave mancanza di
una pratica considerazione degli aspetti ambientali e molto probabilmente una
troppo ambiziosa definizione di
investimento. Nonostante tutto ciò, a livello
europeo si resta fermamente conv inti della necessità della creazione di un
insieme di regole base comuni per garantire una certa, seppur non totale,
omogeneità nel trattamento degli IDE.
6.5.1 Argomentazioni della Commissione Europea a favore di un accordo
multilaterale sugli investimenti
Le
motivazioni per cui agli albori del terzo millennio è necessario
giungere alla definizione di una serie di regole in materia di IDE sono
m o l t e p l i c i . Qui di seguito si darà spazio a quelli che sono i principali punti
fermi espressi dalla Commissione Europea.
Innanzitutto, l’eccessova numerosità di accordi bilaterali e regionali in materia
di investimenti ha creato un sovraccarico di norme spesso inconsistenti e che
spesso restano ineffettivie o non vincolanti. Inoltre, per quanto concerne i
PVS, essi costituiscono indubbiamente un’area sempre più allargata per gli
IDE, ma gli investimenti in entrata si concentrano poi solo in una minima parte
di essi. La maggior parte dei paesi più poveri resta così esclusa da tale
processo di sviluppo.
Un accordo multilaterale contribuirebbe certamente alla progressiva apertura
di tutte le economie agli IDE secondo il loro livello di sviluppo ed evitando
inoltre la confusione creatasi nel tentativo di governare la competizione tra
paesi attraverso un incrocio di troppi accordi diversi. Regole multilaterali
costituiscono altresì la logica conseguenza ed il seguito delle basi poste
dall’Organizzazione
Mondiale
del
Commercio
(OMC).
Certamente,
le
normative multilaterali non saranno sufficienti a garantire l’incremento di IDE,
ma comunque daranno una maggiore sicurezza al potenziale investitore che
quindi sarà più disposto a rischiare.
6.5.2 Obiettivi della Commissione per il New Trade Round
156
L’Unione Europea è sempre stata del parere che l’OMC fosse senza dubbio
il luogo ideale per negoziare un accordo del genere, in particolare, vista la
presenza, al suo interno, sia dei paesi sviluppati che di quelli in via di
s v i l uppo. Gli interessi di entrambi potrebbero quindi essere meglio presi in
considerazione.
Questo porterebbe ad un’opera non discriminatoria per nessuno, che possa
garantire una certa stabilità in materia, senza peraltro togliere ai singoli paesi
la possibilità regolare l’attività sul proprio territorio. In primis, dovrebbe
essere
garantita
la
massima
trasparenza
nelle
operazioni,
nonché
una
elementi
che
maggiore disponibilità dei diversi paesi.
La
posizione
dell’Unione
Europea
in
merito
ai
principali
dovrebbero essere trattati nelle nuove negoziazioni si struttura come segue.
Innanzitutto, per quanto riguarda l’accesso alle opportunità di investimento, la
negoziazione nel quadro OMC garantirebbe un bilanciamento ed un'equa
considerazione delle diverse situazioni. Un coerente sistema di protezione
degli IDE contribuirebbe inoltre all’eliminazione di trattamenti preferenziali
che distorcono l’andamento corretto del mercato. Un sistema di regole così ad
ampio raggio sarebbe anche in grado di assicurare un certo grado di beneficio
in termini di sviluppo economico sia per il paese investitore che per quello
ospitante, in un clima stabile e trasparente. In ultimo, ma non certo per
importanza, l’investitore deve sempre garantire uno standard minimo di
condotta dovunque si trovi ad operare, mettendo in luce il concetto di “good
corporate citizenship” di cui si è da qualche anno iniziato a parlare.
In conclusione, facendo riferimento alla domanda contenuta nel titolo del
capitolo, se evidente è stato il fallimento delle negoziazioni condotte in sede
OCSE, non è assolutamente detto che una loro riapertura in un ambito diverso
porti a risultati concreti. L’importante è assicurare la più trasparente e
coerente
condotta
delle
stesse
nella
maggiore
problematiche più scottanti di questo fine millennio.
157
considerazioni
delle
CONCLUSIONE
La crescita senza precedenti nel volume di investimenti che sta
interessando ormai da alcuni anni un gran numero di paesi e che si è
cercato di spiegare sia dal punto di vista delle cause che hanno portato
a tali cambiamenti che dall’analisi della presente situazione a livello
mondiale per macro-aree e, nel caso particolare, dell’Italia, non può
mancare di evidenziare quelle che sono l e tendenze prospettate per il
prossimo futuro.
Senza
inoltrarsi
in
previsioni
di
lungo
periodo
che
potrebbero essere troppo rischiose a causa dell’elevata
incertezza sugli eventi intercorrenti durante tale periodo,
possono invece essere evidenziate le prospettive di medio
periodo
che,
tra
l’altro,
d’informazione
per
il
costituiscono
management
preziose
aziendale
fonti
intento
a
preparare i piani di investimento che condurranno nel nuovo
millennio. A tale proposito, tra le motivazioni che spingono il
quadro
dirigente
di
un’azienda
ad
ampliare
la
propria
struttura all’estero, la possibilità di accedere ed assicurarsi
una fetta di mercato resta e resterà anche per i prossimi anni
l’elemento principale in grado di influenzare la scelta. Si
nota, quindi, che le dimensioni del mercato di sbocco e la
possibile crescita personale siano identificabili come le
priorità fondamentali, seguite poi dagli altri fattori collegati
all’ambiente economico più generale.
Per il periodo 1997-2001 1, proseguendo con le previsioni,
è attesa una rapida crescita della quantità di beni e servizi
1
A tal proposito, una ricerca è stata condotta dall’UNCTAD, in concerto con
Invest in France Mission e Arthur Andersen Consulting, attraverso tutta una
serie di interviste effettuate a numerosi managers di imprese transnazionali.
153
prodotti attraverso le filiali all’estero, anche se destinati al
consumo nello stesso mercato di provenienza. Inoltre, come
rilevato nei precedenti capitoli della presente opera, gli
imprenditori opteranno sempre più per gli investimenti diretti
sotto forma di fusioni, acquisizioni, joint venture e alleanze
strategiche.
In
particolare,
la
scelta
della
formula
joint
venture è facilmente spiegabile con la propensione alla
suddivisione dei costi e dei rischi connessi al fatto di trovarsi
comunque in un paese straniero e magari allo sviluppo di un
nuovo prodotto che richiede il coinvolgimento di personale
locale esperto e specializzato.
Per quanto riguarda la destinazione degli IDE, le mete
favorite e che qui ndi registreranno un aumento nel volume in
ingresso,
sembrano
essere
i
paesi
asiatici
seguiti
dall’America Latina e dall’Europa Centro-orientale, mentre i
valori relativi all’Europa Occidentale e del Nord America non
dovrebbero subire variazioni di rilievo.
Una
forte
propensione
all’internazionalizzazione
caratterizzerà anche l’organizzazione interna dell’impresa e
porterà con sé notevoli cambiamenti in quasi tutti i settori
operativi. Alla nuova mentalità non dovranno quindi adattarsi
e adeguarsi sol amente i vertici dei settori amministrativo,
commerciale, distributivo, post-vendita ecc., bensì anche tutti
coloro che operano nell’ambito della R&S, del reperimento
delle
materie
prime
e
della
produzione.
Questa
novità
sottolinea l’importanza, già evidenziata nell’introduzione al
presente lavoro, della preparazione della “dimensione umana
della globalizzazione”, in qualsiasi ambito e ad ogni livello.
Spostando l’attenzione sulle dimensioni delle imprese
investitrici che si immetteranno sul mercato mo ndiale nei
prossimi anni e sui settori che risulteranno avvantaggiati da
tale inarrestabile processo, bisogna sottolineare come l’IDE
154
resti positivamente correlato alla dimensione dell’azienda,
nonostante il fatto che anche le PMI continueranno ad
estendere
le
proprie
strutture
produttive.
Per
quanto
concerne i settori produttivi, invece, si prevede un forte
incremento
degli
infrastrutturale,
IDE
della
nei
settori
distribuzione
e
automobilistico,
dei
servizi
non
finanziari, mentre un certo rallentamento caratterizzerà i
servizi finanziari.
E’ comunque difficile fare un discorso generale e valido
per tutte le realtà industriali; le situazioni in cui si trovano le
diverse
imprese
sono
infatti
molto
diverse
tra
loro
ed
influenzano non poco tempi e scelte di internazionalizzazione
dell’attività. Ci sono, ad esempio, numerose industrie in cui
l’espansione all’estero è ancora limitata, nonostante siano
presenti
tutti
i
presupposti
necessari
all’ottenimento
di
risultati positivi. Altre realtà industriali, in particolare quella
manifatturiera,
hanno
già
raggiunto
un
tale
livello
di
internazionalizzazione che è difficile prevedere un ulteriore
massiccio incremento 2; non possono essere però dimenticate
quelle industrie in cui rimangono attivi alcuni ostacoli sotto
forma, ad esempio, di vincoli normativi oppure ancora i casi
di tentativi che hanno condotto a risultati estremamente
negativi,
tali
da
scoraggiare
uno
sviluppo
ulteriore
sui
mercati esteri. Con particolare riferimento alla presenza di
restrizioni normative in materia di IDE, gli anni a venire
dovranno portare con sé un serio impegno in vista sia
dell’entrata in vigore di quegli accordi ancora in fase di
discussione o approvazione che dell’ulteriore e incessante
approfondimento delle tematiche più controverse, in grado di
2
L’eccezione sembrano essere le imprese produttrici di automobili e beni di
consumo, per le quali si prevede un ulteriore incremento degli IDE.
155
favorire e stimolare una sempre più ampia risposta alla sfida
della globalizzazione.
156
APPENDICI
APPENDICE A
TABELLA A.1
A1. IMPRESE INDUSTRIALI ESTERE A PARTECIPAZIONE ITALIANA AL
1° GENNAIO 1996, PER AREA GEOGRAFICA
Partecipazioni
Partecipazioni
di controllo
paritarie e
Totale
minoritarie
N.
%
N.
%
N.
%
705
50,3
149
33,8
854
46,4
Austria
16
1,1
1
0,2
17
0,9
Belgio
26
1,9
3
0,7
29
1,6
229
16,3
51
11,6
280
15,2
Germania
87
6,2
18
4,1
105
5,7
Grecia
24
1,7
5
1,1
29
1,6
Paesi Bassi
17
1,2
4
0,9
21
1,1
Portogallo
39
2,8
8
1,8
47
2,6
Regno Unito
66
4,7
17
3,9
83
4,5
Spagna
137
9,8
34
7,7
171
9,3
Svizzera
32
2,3
5
1,1
37
2,0
228
16,3
79
17,9
307
16,7
11
0,8
3
0,7
14
0,8
0
0,0
2
0,5
2
0,1
Polonia
39
2,8
6
1,4
45
2,4
Repubblica Ceca
18
1,3
1
0,2
19
1,0
Romania
26
1,9
7
1,6
33
1,8
Russia
18
1,3
26
5,9
44
2,4
Slovacchia
15
1,1
3
0,7
18
1,0
Slovenia
10
0,7
5
1,1
15
0,8
Ungheria
59
4,2
12
2,7
71
3,9
143
10,2
32
7,3
175
9,5
21
1,5
8
1,8
29
1,6
Europa Occidentale
Francia
Europa Orientale
Albania
Yugoslavia
Nord America
Canada
158
Stati Uniti
122
8,7
24
5,4
146
7,9
America Latina
157
11,2
47
10,7
204
11,1
Argentina
25
1,8
9
2,0
34
1,8
Brasile
58
4,1
18
4,1
76
4,1
Messico
14
1,0
11
2,5
25
1,4
Venezuela
38
2,7
6
1,4
44
2,4
Area del Pacifico
62
4,4
57
12,9
119
6,5
Cina
20
1,4
29
6,6
49
2,7
Malesia
4
0,3
6
1,4
10
0,5
Singapore
4
0,3
2
0,5
6
0,3
Altri Paesi Asiatici
43
3,1
42
9,5
85
4,6
India
11
0,8
18
4,1
29
1,6
Turchia
25
1,8
13
2,9
38
2,1
Africa
63
4,5
35
7,9
98
5,3
Egitto
4
0,3
3
0,7
7
0,4
10
0,7
3
0,7
13
0,7
1401
100,0
441
100,0
1842
100,0
Marocco
Totale
Fonte: database Reprint, CNEL.
TABELLA A.2
NUOVE PARTECIPAZIONI ITALIANE IN IMPRESE
INDUSTRIALI ALL’ESTERO NEL BIENNIO 1994-95,
PER AREA GEOGRAFICA
159
Partecipazioni
Totale
di controllo
Impres
Addetti
e
N.
Europa Occidentale
110
Impres
Addetti
e
N.
1816
4
%
N.
N.
%
35,1
146
29017
36,6
Austria
1
4
0,0
1
4
0,0
Belgio
3
829
1,6
3
829
1,0
Francia
25
2385
4,6
43
8227
10,4
Germania
17
5351
10,4
23
7113
9,0
Grecia
1
3
0,0
2
9
0,0
Paesi Bassi
7
988
1,9
8
1988
2,5
Portogallo
9
536
1,0
12
1406
1,8
Regno Unito
16
4564
8,8
18
4864
6,1
Spagna
19
2313
4,5
24
3386
4,3
Svizzera
4
385
0,7
4
385
0,5
82
1265
24,5
97
16804
21,2
Europa Orientale
6
Albania
5
1428
2,8
6
1478
1,9
Yugoslavia
-
-
-
-
-
-
17
3386
6,5
18
3435
4,3
6
1673
3,2
6
1673
2,1
12
806
1,6
13
825
1,0
Russia
5
602
1,2
9
1061
1,3
Slovacchia
9
1424
2,8
11
4713
5,9
Slovenia
3
1000
1,9
4
1041
1,3
Ungheria
13
1013
2,0
14
1023
1,3
Nord America
19
4161
8,0
23
5976
7,5
2
155
0,3
4
1390
1,8
Polonia
Repubblica Ceca
Romania
Canada
160
Stati Uniti
17
4006
7,7
19
4586
5,8
America Latina
59
7709
14,9
72
9599
12,1
Argentina
9
1315
2,5
11
1355
1,7
Brasile
8
833
1,6
12
1653
2,1
Messico
5
634
1,2
10
1034
1,3
Venezuela
28
3901
7,5
29
4501
5,7
Area del Pacifico
27
7679
14,9
45
14038
17,7
Cina
18
7362
14,2
29
12212
15,4
Malesia
1
10
0,0
1
10
0,0
Singapore
1
10
0,0
2
60
0,1
Altri Paesi Asiatici
8
439
0,8
17
1949
2,5
India
3
114
0,2
6
814
1,0
Turchia
4
275
0,5
7
965
1,2
Africa
10
889
1,7
16
1881
2,4
Egitto
1
250
0,5
3
1100
1,4
Marocco
3
214
0,4
3
214
0,3
315
5169
100,0
416
Totale
79264 100,0
7
Fonte: database Reprint, CNEL.
TABELLA A.3
EVOLUZIONE SETTORIALE DEL NUMERO DI IMPRESE INDUSTRIALI
ESTERE A CONTROLLO ITALIANO NEL PERIODO 1° GENNAIO 1986 –
1° GENNAIO 1996,
PER SETTORE DI ATTIVITA’
161
Imprese al 1° gennaio
Variazioni %
1986
1994
1996
96-94
96-86
Settori tradizionali
99
309
389
25,9
292,9
Prodotti alimentari base
35
78
90
15,4
157,1
Tessile
22
56
65
16,1
195,5
Abbigliamento
18
62
75
21,0
316,7
Cuoio, pellett. e calzature
1
22
34
54,5
3300,0
Legno e prodotti in legno
9
24
31
29,2
244,4
Editoria e stampa
8
42
63
50,0
687,5
Ind. manifatt. Diverse
6
25
31
24,0
416,7
319
631
717
13,6
124,8
Prodotti aliment. Derivati
25
74
112
51,4
348,0
Bevande
24
19
17
-10,5
-29,2
Tabacco
0
0
0
n.s.
n.s.
Carta e cartotecnica
11
16
23
43,8
109,1
Petrolio e prod. energetici
29
26
25
-3 , 8
-13,8
Chimica di base
14
31
35
12,9
150,0
Saponi e cosmetici
5
7
7
0,0
40,0
Fibre sintetiche e artific.
5
5
3
-40,0
-40,0
Pneumatici / gomma
23
23
26
13,0
13,0
Prod. in materie plastiche
17
50
45
-10,0
164,7
7
12
16
33,3
128,6
15
80
86
7,5
473,3
31
56
58
3,6
87,1
Prodotti in metallo
12
58
66
13,8
450,0
Elettrodomestici
13
29
37
27,6
184,6
Fili e cavi isolati
23
21
21
0,0
-8 , 7
Compon. elettrica auto
23
34
32
-5 , 9
39,1
3
22
17
-22,7
466,7
Autoveicoli/moto/bici
12
20
22
10,0
83,3
Compon. meccanica auto
27
48
69
43,8
155,6
Settori specialistici
72
146
169
15,8
134,7
Macchine, app. meccanici
64
124
142
14,5
121,9
Elettromecc. strumentale
7
19
23
21,1
228,6
Settori con forti economie
di scala
Lavorazione del vetro
Estrazione e lavorazione
minerali non metalliferi
Estrazione e lavorazione
metalli e loro leghe
Altri prod. e comp. elettr.
162
Costruz. navali/ferrotranv
1
3
4
33,3
300,0
75
116
126
8,6
68,0
6
24
27
12,5
350,0
Farmaceutica
27
31
36
16,1
33,3
Inform., macchine ufficio
17
15
14
-6 , 7
-17,6
Elettronica e telecomunic.
8
13
13
0,0
62,5
Strum. e mecc. precisione
16
32
35
9,4
118,8
Aeromob. e veic. spaziali
1
1
1
0,0
0,0
565
1202
1401
16,6
148,0
Settori a elevata intensità
tecnologica
Derivati chimici
Totale
Fonte: database Reprint, CNEL.
TABELLA A.4
EVOLUZIONE DEL NUMERO DI IMPRESE INDUSTRIALI ESTERE A
PARTECIPAZIONE ITALIANA NEL PERIODO
1° GENNAIO 1986 – 1° GENNAIO 1996,
163
PER SETTORE DI ATTIVITA’
Imprese al 1° gennaio
Variazioni %
1986
1994
1996
96-94
96-86
Settori tradizionali
95
396
480
21,2
405,3
Prodotti alimentari base
11
89
100
12,4
809,1
Tessile
27
72
79
9,7
192,6
Abbigliamento
17
75
96
28,0
464,7
Cuoio, pellett. e calzature
13
38
49
28,9
276,9
Legno e prodotti in legno
11
28
37
32,1
236,4
3
55
73
32,7
2333,3
13
39
46
17,9
253,8
377
837
957
14,3
153,8
Prodotti aliment. derivati
28
88
129
46,6
360,7
Bevande
30
20
18
-10,0
-40,0
Tabacco
0
0
0
n.s.
n.s.
Carta e cartotecnica
12
20
26
30,0
116,7
Petrolio e prod. energetici
35
42
41
-2 , 4
17,1
Chimica di base
15
55
73
32,7
386,7
Saponi e cosmetici
4
10
8
-20,0
100,0
Fibre sintetiche e artific.
8
9
17
88,9
112,5
Pneumatici / gomma
23
26
29
11,5
26,1
Prod. in materie plastiche
25
69
66
-4 , 3
164,0
6
14
20
42,9
233,3
34
101
106
5,0
211,8
36
72
82
13,9
127,8
Prodotti in metallo
24
88
92
4,5
283,3
Elettrodomestici
11
34
43
26,5
290,9
Fili e cavi isolati
30
21
21
0,0
-30,0
Compon. elettrica auto
5
37
36
-2 , 7
620,0
Altri prod. e comp. elettr.
6
31
26
-16,1
333,3
Autoveicoli/moto/bici
20
35
40
14,3
100,0
Compon. meccanica auto
25
65
84
29,2
236,0
107
197
224
13,7
109,3
Editoria e stampa
Ind. manifatt. diverse
Settori con forti economie
di scala
Lavorazione del vetro
Estrazione e lavorazione
minerali non metalliferi
Estrazione e lavorazione
metalli e loro leghe
Settori specialistici
164
Macchine, app. meccanici
93
171
193
12,9
107,5
Elettromecc. strumentale
12
23
27
17,4
125,0
Costruz. navali/ferrotranv
2
3
4
33,3
100,0
92
170
181
6,5
96,7
Derivati chimici
12
33
38
15,2
216,7
Farmaceutica
29
36
40
11,1
37,9
Inform., macchine ufficio
20
23
22
-4 , 3
10,0
Elettronica e telecomunic.
13
33
32
-3 , 0
146,2
Strum. e mecc. precisione
18
43
47
9,3
161,1
Aeromob. e veic. spaziali
0
2
2
0,0
n.s.
671
1600
1842
15,1
174,5
Settori a elevata intensità
tecnologica
Totale
Fonte: database Reprint, CNEL.
TABELLA A.5
IMPRESE INDUSTRIALI ESTERE A PARTECIPAZIONE ITALIANA AL 1°
GENNAIO 1996,
165
PER SETTORE DI ATTIVITA’
Partecipaz
Partecipaz
di controllo
paritarie e
Totale
minorit.
N.
%
N.
N.
%
389
27,8
91
480
26,1
Prodotti alimentari base
90
6,4
10
100
5,4
Tessile
65
4,6
14
79
4,3
Abbigliamento
75
5,4
21
96
5,2
Cuoio, pellett. e calzature
34
2,4
15
49
2,7
Legno e prodotti in legno
31
2,2
6
37
2,0
Editoria e stampa
63
4,5
10
73
4,0
Ind. manifatt. diverse
31
2,2
15
46
2,5
717
51,2
240
957
52,0
112
8,0
17
129
7,0
Bevande
17
1,2
1
18
1,0
Tabacco
0
0,0
0
0
0,0
Carta e cartotecnica
23
1,6
3
26
1,4
Petrolio e prod. energetici
25
1,8
16
41
2,2
Chimica di base
35
2,5
38
73
4,0
Saponi e cosmetici
7
0,5
1
8
0,4
Fibre sintetiche e artific.
3
0,2
14
17
0,9
Pneumatici / gomma
26
1,9
3
29
1,6
Prod. in materie plastiche
45
3,2
21
66
3,6
Lavorazione del vetro
16
1,1
4
20
1,1
86
6,1
20
106
5,8
58
4,1
24
82
4,5
Prodotti in metallo
66
4,7
26
92
5,0
Elettrodomestici
37
2,6
6
43
2,3
Fili e cavi isolati
21
1,5
0
21
1,1
Compon. elettrica auto
32
2,3
4
36
2,0
Altri prod. e comp. elettr.
17
1,2
9
26
1,4
Autoveicoli/moto/bici
22
1,6
18
40
2,2
Settori tradizionali
Settori con forti economie
di scala
Prodotti aliment. derivati
Estrazione e lavorazione
minerali non metalliferi
Estrazione e lavorazione
metalli e loro leghe
166
Compon. meccanica auto
69
4,9
15
84
4,6
Settori specialistici
169
12,1
55
224
12,2
Macchine, app. meccanici
142
10,1
51
193
10,5
Elettromecc. strumentale
23
1,6
4
27
1,5
Costruz. navali/ferrotranv
4
0,3
0
4
0,2
126
9,0
55
181
9,8
Derivati chimici
27
1,9
11
38
2,1
Farmaceutica
36
2,6
4
40
2,2
Inform., macchine ufficio
14
1,0
8
22
1,2
Elettronica e telecomunic.
13
0,9
19
32
1,7
Strum. e mecc. precisione
35
2,5
12
47
2,6
Aeromob. e veic. spaziali
1
0,1
1
2
0,1
1401
100,0
441
1842
100,0
Settori a elevata intensità
tecnologica
Totale
Fonte: database Reprint, CNEL.
TABELLA A.6
RIPARTIZIONE GEOGRAFICA DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE DELLE
“PICCOLE MULTINAZIONALI” ITALIANE
167
AL 1° GENNAIO 1996
Imprese partecipate
Addetti
N.
%
(a)
N.
%
(a)
245
35,7
28,7
20306
25,2
8,1
Austria
3
0,4
17,6
111
0,1
3,4
Belgio
7
1,0
24,1
709
0,9
8,1
Francia
91
13,3
32,5
7832
9,7
7,1
Germania
25
3,6
23,8
2914
3,6
7,8
Grecia
6
0,9
20,7
133
0,2
2,9
Paesi Bassi
2
0,3
9,5
523
0,6
9,2
Portogallo
20
2,9
42,6
1473
1,8
26,4
Regno Unito
14
2,0
16,9
1379
1,7
4,4
Spagna
58
8,5
33,9
3671
4,6
10,5
Svizzera
13
1,9
35,1
1339
1,7
30,8
213
31,0
69,4
37672
46,7
38,6
11
1,6
78,6
2768
3,4
68,5
1
0,1
50,0
800
1,0
24,2
Polonia
23
3,4
51,1
3762
4,7
14,9
Repubblica Ceca
10
1,5
52,6
1210
1,5
19,9
Romania
30
4,4
90,9
12616
15,7
97,2
Russia
29
4,2
65,9
5656
7,0
53,1
Slovacchia
16
2,3
88,9
1809
2,2
31,2
Slovenia
11
1,6
73,3
555
0,7
16,1
Ungheria
43
6,3
60,6
3561
4,4
18,0
Nord America
53
7,7
30,3
2442
3,0
5,0
9
1,3
31,0
651
0,8
10,4
Stati Uniti
44
6,4
30,1
1791
2,2
4,2
America Latina
49
7,1
24,0
5068
6,3
5,0
Argentina
13
1,9
38,2
785
1,0
5,2
Brasile
19
2,8
25,0
2665
3,3
3,9
Messico
6
0,9
24,0
802
1,0
10,2
Venezuela
6
0,9
13,6
312
0,4
3,9
Area del Pacifico
56
8,2
47,1
8714
10,8
29,0
Cina
25
3,6
51,0
6914
8,6
42,3
Malesia
6
0,9
60,0
410
0,5
10,3
Singapore
2
0,3
33,3
140
0,2
4,4
Europa Occidentale
Europa Orientale
Albania
Yugoslavia
Canada
168
Altri Paesi Asiatici
31
4,5
36,5
2039
2,5
4,9
India
11
1,6
37,9
544
0,7
2,5
Turchia
13
1,9
34,2
809
1,0
5,7
Africa
39
5,7
39,8
4355
5,4
16,5
Egitto
0
0,0
0,0
0
0,0
0,0
Marocco
5
0,7
38,5
756
0,9
13,0
686
100,0
37,2
80596
100,0
13,5
Totale
a) Incidenza % sul totale delle partecipazioni estere dell’industria
italiana.
Fonte: database Reprint, CNEL.
TABELLA A.7
RIPARTIZIONE SETTORIALE DELLE PARTECIPAZIONI ESTERE DELLE
“PICCOLE MULTINAZIONALI” ITALIANE
AL 1° GENNAIO 1996
Imprese partecipate
N.
%
169
(a)
Addetti
N.
%
(a)
Settori tradizionali
240
35,0
50,0
38032
47,2
41,4
Prodotti alimentari base
28
4,1
28,0
3041
3,8
14,2
Tessile
43
6,3
54,4
5163
6,4
32,5
Abbigliamento
54
7,9
56,3
11720
14,5
48,8
Cuoio, pellett. e calzature
45
6,6
91,8
7937
9,8
89,7
Legno e prodotti in legno
33
4,8
89,2
5670
7,0
86,7
3
0,4
4,1
335
0,4
6,4
34
5,0
73,9
4166
5,2
42,2
255
37,2
26,6
21711
26,9
5,4
Prodotti aliment. derivati
19
2,8
14,7
1918
2,4
3,7
Bevande
10
1,5
55,6
319
0,4
33,4
Tabacco
0
0,0
-
0
0,0
-
12
1,7
46,2
960
1,2
5,5
0
0,0
0,0
0
0,0
0,0
20
2,9
27,4
1317
1,6
10,4
Saponi e cosmetici
5
0,7
62,5
784
1,0
13,6
Fibre sintetiche e artific.
2
0,3
11,8
105
0,1
1,3
Pneumatici / gomma
4
0,6
13,8
401
0,5
2,1
32
4,7
48,5
1191
1,5
20,5
8
1,2
40,0
993
1,2
20,3
31
4,5
29,2
2140
2,7
8,0
21
3,1
25,6
5989
7,4
15,3
55
8,0
59,8
3045
3,8
31,6
Elettrodomestici
4
0,6
9,3
116
0,1
0,6
Fili e cavi isolati
1
0,1
4,8
60
0,1
0,5
Compon. elettrica auto
1
0,1
2,8
25
0,0
0,1
12
1,7
46,2
398
0,5
11,7
4
0,6
10,0
778
1,0
0,8
14
2,0
16,7
1172
1,5
3,6
Settori specialistici
124
18,1
55,4
13887
17,2
25,9
Macchine, app. meccanici
115
16,8
59,6
13130
16,3
29,6
Elettromecc. strumentale
9
1,3
33,3
757
0,9
9,6
Costruz. navali/ferrotranv
0
0,0
0,0
0
0,0
0
Editoria e stampa
Ind. manifatt. diverse
Settori con forti economie
di scala
Carta e cartotecnica
Petrolio e prod. energetici
Chimica di base
Prod. in materie plastiche
Lavorazione del vetro
Estrazione e lavorazione
minerali non metalliferi
Estrazione e lavorazione
metalli e loro leghe
Prodotti in metallo
Altri prod. e comp. elettr.
Autoveicoli/moto/bici
Compon. meccanica auto
170
Settori a elevata intensità
67
9,8
37,0
6966
8,6
14,0
Derivati chimici
21
3,1
55,3
964
1,2
47,3
Farmaceutica
16
2,3
40,0
1351
1,7
20,5
Inform., macchine ufficio
4
0,6
18,2
101
0,1
1,4
Elettronica e telecomunic.
6
0,9
28,8
559
0,7
2,8
Strum. e mecc. precisione
20
2,9
42,6
3991
5,0
33,5
Aeromob. e veic. spaziali
0
0,0
0,0
0
0,0
0,0
686
100,0
37,2
80596
100,0
13,5
tecnologica
Totale
a) Incidenza % sul totale delle partecipazioni estere dell’industria
italiana.
Fonte: database Reprint, CNEL.
171
APPENDICE B
PRINCIPALI STRUMENTI INTERNAZIONALI RELATIVI AGLI IDE,
1948-1996
Anno di
ratifica del
trattato
1948
1948
1949
1957
1957
1958
1961
1961
Titolo
Organismo
Havana Charter
for an
International
Trade
Organisation
Draft Statuses
of the Arbitral
Tribunal for
Foreign
Investment and
of Foreign
Investment
Court
International
Code of Fair
Treatment for
Foreign
Investments
Treaty
Establishing the
European
Economic
Community
Agreement on
Arab Economic
Unity
Convention on
the Recognition
and
Enforcement of
Foreign Arbitral
awards
Code of
Liberalisation of
Capital
Movement
Code of
Liberalisation of
Current Invisible
Operations
International
Conference on
Trade and
Employment
multilaterale vincolante
non
ratificato
International
Law
Association
non
non
governativo vincolante
non
adottato
International
Chamber of
Commerce
non
non
governativo vincolante
adottato
European
Economic
Community
regionale
vincolante
adottato
vincolante
Agreement on regionale
Arab Economic
Unity
United Nations multilaterale vincolante
adottato
OECD
regionale
vincolante
adottato
OECD
regionale
vincolante
adottato
175
Livello
Forma
Status
adottato
1962
1963
1965
1965
1967
1967
1969
1970
UN General
Assembly
Resolution
1803 (XVII):
permanent
sovereignity
over natural
resources
Model tax
Convention on
Income and
Capital
Common
Convention on
Investments in
the States of
the Customs
and Economic
Union of
Central Africa
Convention on
the Settlement
of Investment
Disputes
between States
and Nationals
of other States
Revised
Recommendati
on of the
Council
concerning Cooperation
between
member
countries on
Anticompetitive
Practices
affecting
International
Trade
Draft
Convention on
the Protection
of Foreign
Property
Agreement on
Andean
Subregional
Integration
Agreement on
Investment and
Free Movement
of Arab Capital
among Arab
Countries
United Nations
multilaterale non
vincolante
adottato
OECD
Regionale
non
vincolante
adottato
Customs and
Economic
Union of
Central Africa
Regionale
vincolante
adottato
World Bank
multilaterale vincolante
adottato
OECD
regionale
non
vincolante
adottato
OECD
regionale
non
vincolante
non aperto
alla firma
Andean
Common
Market
regionale
vincolante
adottato
Arab Economic regionale
Unity
vincolante
adottato
176
1970
1971
1972
1972
1973
1973
1974
1974
Decision N.24
of the
Commission of
the Cartagena
Agreement
Convention
establishing the
Inter-Arab
Investment
Guarantee
Corporation
Joint
Convention on
the Freedom of
Movement of
persons and
the Right of
Establishment
in the Central
African
Customs and
Economic
Union
Guidelines for
International
Investments
Agreement on
the
Harmonisation
of Fiscal
Incentives to
Industry
Treaty
establishing the
Caribbean
Community
UN General
Assembly
Resolution
3201 (S-VI):
Declaration on
the
Establishment
of a New
International
Economic
Order and
Resolution
3202.
UN General
Assembly
Resolution
3281 (XXIX):
Charter of
Economic
Rights and
Duties of States
Andean
Subregional
Integration
Group
regionale
vincolante
adottato
Inter-Arab
Investment
Guarantee
Corporation
regionale
vincolante
SUPERSE
DED??
Central African
Customs and
Economic
Union
regionale
vincolante
adottato
International
Chamber of
Commerce
Caribbean
Community
non
non
governativo vincolante
adottato
regionale
vincolante
adottato
Caribbean
Community
regionale
vincolante
adottato
United Nations
multilaterale non
vincolante
adottato
United Nations
multilaterale non
vincolante
adottato
177
1975
1975
1975
1976
1976
1977
1977
1979
The
Multinational
Companies
Code in the
UDEAC
(Customs and
Economic
Union of
Central Africa)
Charter of
Trade Union
Demands for
the Legislative
Control of
Multinational
Companies
Internatonal
Chamber of
Commerce
Rules of
Conciliation
and Arbitration
Declaration on
International
Investment and
Multinational
Enterprises
Arbitration
Rules of the
United Nations
Commission on
Internatonal
Trade Law
ILO Tripartite
Declaration of
Principles
concerning
Multinational
Enterprises and
Social Policy
International
Chamber of
Commerce
Recommendati
on to combat
Extortion and
Bribery in
Business
Transactions
Draft
International
Agreement on
Illicit Payments
Customs and
Economic
Union of
Central Africa
regionale
vincolante
adottato
International
Confederation
of Free Trade
Unions
non
non
governativo vincolante
adottato
International
Chamber of
Commerce
non
non
governativo vincolante
adottato
OECD
regionale
adottato
United Nations
multilaterale (modello)
adottato
International
Labour Office
multilaterale non
vincolante
adottato
International
Chamber of
Commerce
non
non
governativo vincolante
adottato
United Nations
multilaterale Vincolante
adottato
178
vincolante/
non
vincolantei
1979
1980
1980
1980
1980
1981
1981
UN Model
Double
Taxation
Convention
between
Developed and
Developing
Countries
The set of
Multilaterally
Agreed
Equitable
Principles and
Rules for the
Control of
Restrictive
Business
Practices
Guidelines
governing the
Protection of
Privacy and
Transborder
Flows of
Personal Data
Unified
Agreement for
the Investment
of Arab Capital
in the Arab
States
Treaty
establishing the
Latin American
Integration
Association
Agreement on
Promotion,
Protection and
Guarantee of
Investments
among Member
States of the
Organisation of
the Islamic
Conference
Treaty for the
Establishment
of the
Preferential
Trade Area for
Eastern and
South African
States
United Nations
multilaterale (modello)
adottato
United Nations
multilaterale non
vincolante
adottato
OECD
regionale
non
vincolante
adottato
League of Arab regionale
States
vincolante
adottato
LAIA
regionale
vincolante
adottato
Islamic
Conference
regionale
vincolante
adottato
Preferential
Trade Area for
Eastern and
Southern
African States
regionale
vincolante
non più
attivo
179
1982
1983
1983
1985
1985
1985
1987
1987
1987
1989
Community
Investment
Code of the
Economic
Community of
the Great Lake
Countries
(CEPGL)
Draft United
Nations Code
of Conduct on
Transnational
Corporations
Treaty for the
Establishment
of the
Economic
Community of
the Central
African States
Draft
International
Code of
Conduct on the
Transfer of
Technology
Convention
establishing the
Multilateral
Investment
Guarantee
Agency
Declaration on
Transborder
Data Flows
Agreement for
the
Establishment
of a Regime for
CARICOM
Enterprises
Revised Basic
Agreement on
ASEAN
Industrial Joint
Ventures
Agreement
among the
ASEAN
countries for
the Promotion
and Protection
of Investments
Fourth ACPEEC
Convention of
Lomè
CEPGL
regionale
vincolante
adottato
United
Nations
multilaterale non
vincolante
non
adottato
Economic
regionale
Community of
the Central
African States
vincolante
adottato
United
Nations
multilaterale non
vincolante
non
adottato
World Bank
multilaterale Vincolante
adottato
OECD
regionale
non
vincolante
adottato
Caribbean
Common
Market
regionale
vincolante
adottato
ASEAN
regionale
vincolante
adottato
ASEAN
regionale
vincolante
adottato
ACP-EU
regionale
vincolante
adottato
180
1990
1991
1991
1991
1992
1992
Charter on a
Regime of
Multinational
Industrial
Enterprises
(MIEs) in the
preferential
trade area for
Eastern and
Southern
African States
Decision 291 of
the
Commission of
the Cartagena
Agreement :
Common Code
for the
Treatmet of
Foreign Capital
and on
Trademarks,
Patents,
Licences and
Royalties
Decision 292 of
the
Commission of
the Cartagena
Agreement:
Uniform Code
on Andean
Multinational
Enterprises
The Business
Charter for
Sustainable
Development:
Principles for
Environmental
Management
Guidelines on
the Treatment
of Foeign Direct
Investment
Articles of
Agreement of
the Islamic
Corporation for
the Insurance
of Investment
and Export
Credit
Preferential
regionale
Trade Area
for Eastern
and Southern
African States
vincolante
adottato
Andean
Subregional
Integration
Group
regionale
vincolante
adottato
Andean
Subregional
Integration
Group
regionale
vincolante
adottato
International
Chamber of
Commerce
non
non
governativo vincolante
adottato
World Bank
multilaterale non
vincolante
adottato
Islamic
Conference
regionale
adottato
181
vincolante
1992
1993
1994
1994
1994
1994
North American Canada,
Free Trade
Mexico and
Agreement
the United
States
Common
Treaty
esteblishing the Market for
Eastern and
Common
Southern
Market for
Africa
Eastern and
Southern
African
World Trade
Marrakesh
Organisation
Agreement
establishing the
World Trade
Organisation.
Annex 1A:
Multilateral
Agreements on
Trade in
Goods.
Agreement on
Trade related
Investment
Measures
World Trade
WTO Annex
Organisation
1B: Generla
Agreement on
Trade in
Services and
ministerial
Decisions
relating to the
General
Agreement on
Trade in
Services
WTO Annex
World Trade
1C: Agreement Organisation
on Trade
related Aspects
of Intellectual
Property Rights
Protocol of
MERCOSUR
Colonia for the
Reciprocal
Promotion and
Protection of
Investments in
the
MERCOSUR
(Intra-zonal)
182
regionale
vincolante
adottato
regionale
vincolante
adottato
Multilaterale vincolante
adottato
multilaterale Vincolante
adottato
multilaterale vincolante
adottato
regionale
adottato
vincolante
1994
1994
1994
1995
1995
Recommendati
on of the
Council on
Bribery in
International
Business
Transactions
Protocol on
Promotion and
Protection of
Investments
from States not
parties to
MERCOSUR
APEC Non
binding
Investment
Principles
Consumer
Charter for
Global
Business
Pacific Basin
Charter on
International
Investments
OECD
regionale
non
vincolante
adottato
MERCOSUR
regionale
vincolante
adottato
APEC
regionale
non
vincolante
adottato
Consumers
International
non
non
governativo vincolante
adottato
Pacific Basin
Economic
Council
non
non
governativo vincolante
adottato
Fonte: UNCTAD; World Investment Report 1996.
i
La Dichiarazione OCSE sull’Investimento Internazionale e le Imprese Multinazionali è un
documento politico supportato da vincolanti Decisioni del Consiglio, mentre le Linee Guida sulle
Multinazionali non sono vincolanti per i paesi membri.
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