Disoccupazione, la fotografia del Cnel: un giovane su

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Disoccupazione, la fotografia del Cnel: un giovane su
2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO
ARGOMENTO: I giovani e la crisi.
DOCUMENTI
Disoccupazione, la fotografia del Cnel: un giovane su quattro non studia e non lavora
La crisi economica che attanaglia il Paese non è solo dati economici e statistiche allarmanti. La
difficoltà contingente, infatti, sta avendo un effetto collaterale non di poco conto: condiziona i
comportamenti delle persone. E’ questa la fotografia scattata dal Cnel (Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro) nel suo rapporto annuale sul mercato dell’occupazione, le cui
performance interne sono ancora condizionate in maniera determinante dalla recessione. Tradotto:
domanda di lavoro in continuo mutamento, italiani che si adattano alla congiuntura cambiando il
loro stile di vita. Come? Il Cnel disegna un quadro allarmante. E’ aumentata la partecipazione al
mercato del lavoro, che però è andata ad alimentare la disoccupazione, soprattutto nel
Mezzogiorno: più componenti della famiglia si attivano per compensare i redditi in deterioramento.
Tuttavia le crescenti difficoltà sui bilanci frenano i giovani nel proseguire gli studi e la mancanza di
lavoro e di formazione impoveriscono il capitale umano già accumulato. Il morale della favola è un
dato preoccupante: un giovane su quattro non studia né lavora. Ciononostante, a fronte della
contrazione della domanda (dovuta alla crisi economica e all’aumento della pressione fiscale), il
Rapporto quest’anno registra un aumento significativo della forza lavoro, conseguenza della
perdita del potere d’acquisto delle famiglie e della diminuzione dei salari reali. Il fenomeno, già
avviato nel 2012, vede un generale incremento del tasso di attività che coinvolge tutte le fasce d’età.
Cresce la partecipazione degli over 55, soprattutto per effetto delle riforme pensionistiche, con le
inevitabili ripercussioni sul turn over del circuito produttivo: quasi 277mila persone in più rispetto
al 2011, dei quali la maggior parte occupati (+ 6,8% rispetto al 2011). Cresce anche il tasso di
disoccupazione “matura” (dal 3,5 al 4,9%), nella quale rientrano gli “esodati“.
L’offerta di lavoro da parte delle donne è in aumento, sia rispetto agli anni passati che nei confronti
della componente maschile: le donne “attive” sono ora più del 42% delle forze lavoro (40,5% nel
2007); e soprattutto sono aumentate le “occupate”: il tasso di occupazione femminile è salito al
41.6% dal 39.7% del 2007, con una crescita dell’1.2% rispetto al 2011, pari a 109 mila occupate in
più. Tuttavia continua a persistere il fenomeno della segmentazione di genere, che caratterizza
ampiamente il nostro mercato del lavoro: le professioni in cui si concentra la presenza femminile
sono poche e poco qualificate.
In aumento il tasso di attività dei giovani (15-29 anni), nonostante rappresentino meno del 7% degli
attivi, laddove i “maturi” (over 55) sono ormai più del 12%. Non si arresta il fenomeno dei Neet
(“not in employment, education or training”): la quota di ragazzi che non hanno un’occupazione e al
tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23,9% della popolazione giovanile, con
punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno. Più attivi sul mercato, ma più disoccupati o
sottoinquadrati rispetto ai livelli di istruzione conseguiti, i giovani confermano ancora una volta il
vuoto che esiste tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro ed il progressivo
incremento del fenomeno dell’over-education. I giovani sono inoltre più frequentemente working
poor, lavoratori a basso salario, che accettano condizioni lavorative, che li espongono al rischio di
indigenza, pur di entrare nel circuito produttivo. Peraltro, la maggiore disponibilità a prestazioni
saltuarie e non inquadrate ha determinato la crescita del lavoro nero in tutto il Paese.
L’attuale recessione ha cambiato la morfologia del mercato del lavoro anche dal punto di vista delle
caratteristiche contrattuali. Cresce, infatti, il numero dei part-time involontari (lavoratori che non
hanno trovato un impiego a tempo pieno pur desiderandolo), ma soprattutto dei precari: quasi 3
milioni di persone, tra dipendenti a tempo determinato e parasubordinati, circa il 12.6%
dell’occupazione complessiva. In particolare, il rischio di precarietà per i giovani è aumentato di
circa 6 punti percentuali dal 2007. I dati suggeriscono un aumento del numero di italiani che
scelgono di andare a lavorare all’estero, a fronte di una simmetrica diminuzione dei flussi in
ingresso di lavoratori immigrati
Tutto ciò si registra in misura più intensa al Sud Italia, che, avendo maggiormente risentito delle
difficoltà della domanda interna, espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Anche la
crescita della partecipazione al mercato del lavoro è stata più marcata nelle regioni del
Mezzogiorno: in buona misura si è però trattato di un passaggio dall’inattività alla disoccupazione,
data la debolezza della domanda. L’incremento della popolazione attiva si è sostanzialmente
tradotto in una significativa espansione dell’area della difficoltà occupazionale: se, oltre ai
disoccupati, si considerano anche gli inattivi disponibili a lavorare, coloro che non ricercano
attivamente e i sottoccupati (cassaintegrati e occupati a tempo parziale involontari), tale area di
disagio è aumentata di circa due milioni di persone in un anno. Si tratta di uno spreco di risorse
ingente, sostiene il Cnel, di un progressivo impoverimento del capitale umano, che rischia di
generare conseguenze sociali allarmanti, soprattutto perché le più colpite sono le nuove
generazioni.
L’Italia si trova fra i Paesi dell’area euro che nel corso degli ultimi anni hanno mostrato una buona
capacità di resistenza del mercato del lavoro alla crisi: la riduzione delle ore lavorate per occupato,
così come la stessa flessione della produttività del lavoro, ha contribuito a contenere l’entità delle
perdite occupazionali. Ciononostante, se l’economia italiana non si riporterà su un sentiero di
crescita sarà molto difficile, afferma il Cnel, una inversione di tendenza rispetto all’attuale crisi. Nel
Rapporto si stima che per riportare il tasso di disoccupazione all’8% entro il 2020, il tasso di
crescita del Pil dovrà superare il 2% all’anno negli anni a venire. A rendere più complessa la sfida
sono i vincoli della finanza pubblica, che limitano le risorse per le politiche del lavoro (l’Italia è
fra i Paesi che meno spendono per le politiche attive), e l’eccessivo carico fiscale che grava sul
lavoro e sull’impresa.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/01/disoccupazione-fotografia-del-cnel-giovane-su-quattronon-studia-e-non-lavora/729225/ 10 ottobre 2013
Crisi, record di giovani che non studiano e non lavorano. Due famiglie su 3 tagliano sul cibo
Sei milioni di persone sono senza lavoro e vorrebbero trovare un'occupazione. Lo segnala l'Istat nel
Rapporto annuale 2013. «Se si sommano le forze di lavoro potenziali» - 3milioni e 86mila persone
disposte a lavorare anche se non cercano oppure alla ricerca di un lavoro ma non immediatamente
disponibili e inclusi tra gli inattivi - «ai disoccupati, il numero di persone potenzialmente
impiegabili nel processo produttivo si avvicina ai 6 milioni di individui». Secondo l'Istat, «tra le
forze di lavoro potenziali é aumentata la quota di quanti dichiarano come motivazione della
mancata ricerca lo scoraggiamento: non si cerca più un lavoro perché si ritiene di non poterlo
trovare e, anche in questo caso, il fenomeno interessa soprattutto le donne, in particolare il
Mezzogiorno».
La crisi ha cambiato il mondo del lavoro La crisi ha profondamente cambiato il mondo del lavoro,
hanno spiegato gli esperti Istat: raddoppiando il part-time involontario e abbattendo il lavoro
standard; colpendo l'occupazione maschile, specie gli immigrati (marocchini e albanesi) e
aumentando (seppur moderatamente) l'occupazione femminile; penalizzando il lavoro qualificato a
vantaggio di quello non qualificato e lasciando sul mercato gli ultracinquantenni a spese dei
giovani. In generale, nel 2012 l'occupazione é diminuita dello 0,3% su anno, pari a 69mila unità in
meno, e del 2,2%, pari a 506 mila unità, dal 2008, anno d'inizio della crisi. Disoccupazione in
aumento La disoccupazione è aumentata del 30,2%, pari a 636mila unità, oltre un milione in più dal
2008: quasi la metà dei nuovi disoccupati del 2012 ha tra i 30 e i 49 anni e, inoltre, un disoccupato
su due lo é da almeno un anno. Le persone in cerca di occupazione da almeno 12 mesi, spiega
l'Istat, sono aumentate dal 2008 di 675mila unità e nel 2012
Diminuito del 4,8% il potete d'acquisto delle famiglie «Il potere d'acquisto delle famiglie è
diminuito del 4,8%. Si tratta di una caduta di intensità eccezionale che giunge dopo un quadriennio
caratterizzato da un continuo declino», si legge nel rapporto annuale dell'Istat. «A questo andamento
hanno contribuito soprattutto la forte riduzione del reddito da attività imprenditoriale e
l'inasprimento del prelievo fiscale». Capitolo spesa Le famiglie italiane che, tra il 2011 e il 2012,
hanno ridotto la qualità o la quantità degli alimentari acquistati, è aumentata dal 53,6% al 62,3% e
nel Mezzogiorno arriva a superare il 70%. Si tratta, si legge nel rapporto Istat, soprattutto di
famiglie che diminuiscono la quantità (34,9% nel Nord e 44,1% nel Mezzogiorno), ma una
percentuale non trascurabile, e in deciso aumento, è anche quella di chi, oltre a diminuire la
quantità, riduce anche la qualità dei prodotti acquistati.
Il Sole 24 Ore - leggi su http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-22/istat-milioni-personesenza-112505.shtml
«Il lavoro che si riesce a ottenere con un titolo di studio elevato non sempre corrisponde al percorso
formativo intrapreso. La coerenza tra il titolo posseduto e quello richiesto per lavorare è, seppur in
lieve misura, più elevata tra i laureati in corsi lunghi piuttosto che tra quanti hanno concluso corsi di
durata triennale. Infatti, i laureati in corsi lunghi dichiarano di svolgere un lavoro per il quale era
richiesto il titolo posseduto nel 69% dei casi mentre tra i laureati triennali tale percentuale scende al
65,8%. D’altra parte a valutare la formazione universitaria effettivamente necessaria all’attività
lavorativa svolta è circa il 69% dei laureati sia dei corsi lunghi sia di quelli triennali. Una completa
coerenza tra titolo posseduto e lavoro svolto – la laurea, cioè, come requisito di accesso ed effettiva
utilizzazione delle competenze acquisite per lo svolgimento dell’attività lavorativa – è dichiarata
solo dal 58,1% dei laureati nei corsi lunghi e dal 56,1% dei laureati triennali. All’opposto,
affermano di essere inquadrati in posizioni che non richiedono la laurea sotto il profilo né formale,
né sostanziale il 20% dei laureati in corsi lunghi e il 21,4% di quelli triennali.»
ISTAT – Università e lavoro: orientarsi con la statistica http://www.istat.it/it/files/2011/03/seconda_parte.pdf
«Che storia, e che vita incredibile, quella di Steve Jobs. […] Mollò gli studi pagati dai genitori
adottivi al college di Portland, in Oregon, dopo pochissimi mesi di frequenza. Se ne partì per un
viaggio in India, tornò, e si mise a frequentare soltanto le lezioni che gli interessavano. Ovvero,
pensate un po’, i corsi di calligrafia. […] Era fuori dagli standard in ogni dettaglio, dalla scelta di
presentare personalmente i suoi prodotti da palchi teatrali, al look ultra minimal, con i suoi jeans e i
suoi girocollo neri alla Jean Paul Sartre. “Il vostro tempo è limitato - disse l’inventore dell’iPod,
l’iPhone e l’iPad agli studenti di Stanford nel 2005 -. Non buttatelo vivendo la vita di qualcun altro.
Non lasciatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere con i risultati dei pensieri degli altri. E
non lasciate che il rumore delle opinioni degli altri affoghi la vostra voce interiore. Abbiate il
coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno già cosa voi
volete davvero diventare. Tutto il resto è secondario”. »
Giovanna FAVRO, Steve Jobs, un folle geniale, “La Stampa” - 6/10/2011
Video del discorso di Steve Jobs ai laureati di Stanford:
http://www.youtube.com/watch?v=IZDsm-cvnn8