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Mensile in lingua italiana Aprile 2008 Numero 60 - Anno 6 o .gr www.eureka.gr BUFALE E BROGLI Mozzar ella alla diossina? Una bufala, ma ci hanno descritto come “inquinatori” alimentari. E così, nei giorni in cui Sarkozy e Brown lucidavano gli ottoni del loro orgoglio nazionale, l’Italia stava combattendo la sua battaglia per le sue mozzarelle: sono una delle ormai rare “eccellenze” da esportazione. L’allarme è rientrato, ma il danno era fatto. Prima la “monnezza”, adesso la diossina. Come sia potuto arrivare un paese, che pure in tempi non lontani ha occupato con onore il quinto (vent’anni fa superanno la stessa Inghilterra) o il sesto posto al mondo per innovazione, sviluppo e quel che una volta si usava chiamare progresso, a identificarsi con le sorti di un suo formaggio, anche se uno dei più globalmente famosi e apprezzati, è difficile dirlo. La Francia, per dire, che ha egualmente una industria e una produzione casearia raffinata e gustosa, non s’identifica certo con il camembert. Né l’Inghilterra con il cheddar cheese. Tom Muller è un giornalista tosto del “New Yorker”. Ha condotto una documentata inchiesta sull’olio extravergine d’oliva, che tra poche settimane si tradurrà in un libro d’accusa. Muller ha scoperto, facendo nomi e cognomi, come trafficanti d’olio “made in Italy” con sede a Barletta, in Puglia, smerciassero sulla Quinta strada mercanzia adulterata. Insomma una truffa colossale. E l’ennesima demolizione del “made in Italy”: Muller racconta del traffico del finto extravergine con il piglio di un infiltrato tra i produttori di coca in Colombia. Eppur e, venendo al nocciolo, un candidato “estero” ha proposto che la nostra dieta mediterranea diventi patrimonio dell’Unesco. È una dei tanti punti di programmi elettorali dei nostri futuri rappresentanti. Un altro pezzo forte è la difesa della ristorazione italiana nel mondo. Ma quale ristorazione, se all’origine non sappiamo garantire la genuinità dei prodotti? E poi ancora la funzione degli Istituti di Cultura senza però spiegare come poi dovrebbero “effettivamente” funzionare. Tranne casi sporadici, i nostri candidati non hanno le idee chiare, anche perché non sanno bene neanche loro cosa possono fare per gli italiani all’estero. Ma neanche i partiti: è stato messo come capolista un candidato di una formazione che si è dichiarata contro il voto degli italiani all’estero. In questi giorni sono arrivate le schede, ma non hanno fatto in tempo ad essere imbucate che già si parla di “brogli” e di “compravendita” delle schede, si conosce anche il prezzo: 5 Euro per una preferenza che aiuta ad aprire le porte del “paradiso romano”. Al punto che un candidato ha ammesso che i risultati della circoscrizione Europa potrebbero essere falsati ed ha chiesto degli “osservatori” europei itineranti tra i quartieri e i bar frequentati da italiani, come si trattasse di elezioni in un Paese a basso tasso di democrazia. A questo punto perché stupirsi se, capaci di esportare anche “bufale”, a breve potremmo importare altre “bufale”? Entrambe sono prodotti “inquinati” da una “furbizia” che ci danneggia, prima come italiani all’estero e poi italiani. e-mail: [email protected] Un convegno sulle opere d’arte rubate In Italia In Grecia La cultura ellenica e il Vangelo. Gli europei debbono «riscoprire il tesoro inestimabile di valori che hanno ereditato dalla saggezza integrale della cultura greca e del Vangelo», e una ottima occasione per questo è l’Anno paolino che i cristiani di tutte le confessioni celebrano quest'anno nel bimillenario della nascita di san Paolo. Lo ha detto il Papa nel discorso all’ambasciatore ellenico Miltiadis Hiskakis, ricevuto per la presentazione delle credenziali. Al neodiplomatico, papa Ratzinger ha raccomandato anche «gli sforzi della Grecia per promuovere pace e riconciliazione, specialmente nel bacino del Mediterraneo». L’impegno di Atene per «attenuare le tensioni e dissipare le nubi del sospetto che a lungo hanno osteggiato l’armoniosa coesistenza nella regione - ha detto il Papa senza esplicitare esempi in proposito - aiuteranno uno spirito di buona volontà tra gli individui e le nazioni». Se l’Anno paolino fungerà da «catalizzatore» per una «riflessione sulla storia dell’Europa», pensa Benedetto XVI, ciò metterà in luce «il vibrante scambio tra cultura greca e cristianesimo», che ha permesso «alla prima di essere trasformata dall’insegnamento cristiano e al secondo di essere arricchito dalla lingua e dalla filosofia greca». Ampia parte del discorso papale è stata dedicata inoltre a una carrellata sul miglioramento delle relazioni tra cattolici e chiesa ortodossa greca, a partire dal 2000 e dal viaggio di Giovanni Paolo II ad Atene. Benedetto XVI ha ricordato inoltre l’opera ecumenica dell’arcivescovo Cristodulos recentemente scomparso e le relazioni «fraterne e di pace» già stabilite con il successore di questi, Ieronymos. Quanto guadagnano? Antonella Rebuzzi, residente in Russia e più ricca tra la pattuglia dei senatori “stranieri”, con un reddito di 276 mila euro. Per quanto riguarda gli altri, per avere un quadro della situazione patrimoniale occorrerebbe conoscere anche i redditi e le proprietà detenuti nei paesi di residenza, cosa che però non è possibile. E così, al secondo posto tra i più ricchi dell’estero c’è Roberto Turano, del Pd, eletto in America settentrionale, con 91.753 euro, davanti a Nino Randazzo, proveniente dal collegio Asia-Africa-Oceania, che ha dichiarato 87.272 euro. Seguono Claudio Micheloni (eletto in Europa), con 84.813 euro, “el senador” argentino Luigi Pallaro, con 84.724 euro ed Edoardo Pollastri, eletto anch’esso in America latina, con 84.014 euro. Nella speciale classifica riservati ai dodici deputati designati dagli italiani residenti all’estero quello che conquista il primato dei redditi è di gran lunga Giuseppe Angeli, eletto per il centrodestra. Il suo imponibile per il 2006 è infatti di ben 734.182 euro; ed è la somma dei compensi derivanti dall'indennità parlamentare e dagli oltre tre milioni di pesos dichiarati in Argentina. Lo segue Gino Bucchino (Unione) con 162.659 euro di reddito; anche qui frutto della somma fra stipendio da deputato e redditi stranieri (124.994 dollari canadesi). Bucchino comunque è a capo di un gruppone di “inseguitori” che si colloca tutto al di sopra dei 100mila euro complessivi. C’è infatti Narducci (146.847 euro, comprensivi di circa 62mila franchi svizzeri), Arnold Cassola (128.373), Gianni Farina (119.408, inclusi 55mila franchi svizzeri), Mariza Bafile (Unione) che di euro ne dichiara 112.106, Antonio Razzi con i suoi 104.698 euro dovuti oltre che alla “paga” del Parlamento anche a circa 32mila franchi svizzeri e c’è Salvatore Ferrigno che, aggiungendo all’indennità 25.361 dollari Usa, arriva a 100mila euro e spiccioli. Per Guglielmo Picchi, Marco Fedi, Massimo Romagnoli e Ricardo Antonio Merlo redditi invece quasi collimanti con lo stipendio da deputato. Il primo di loro arriva infatti a 93.792 euro, il secondo somma al compenso istituzionale di 84.1282 euro solo 2.770 dollari australiani, mentre gli ultimi due dichiarano di avere in pratica come unica fonte di reddito quello che gli passa Palazzo Montecitorio. Donne e mafia. In concomitanza con le manifestazione tenutasi a Bari per la ricorrenza della XIII Giornata in memoria delle vittime di mafia, anche ad Atene il gruppo italiano “Parole di Donne” ha voluto fare la sua parte, per ricordare, con una bellissima rappresentazione teatrale, le vittime della mafia. L’opera messa in scena presso il centro Culturale e teatrale BIOS di Atene, con la sapiente regia di Xarula Sabataku si intitolava Donne e mafia, liberamente ispirato ai libri Le ribelli di Nando dalla Chiesa e Gomorra di Roberto Saviano. Sono state interpretate magistralmente Felicia Impastato, Michela Buscemi, Francesca Serio, le Donne di Gomorra, Saveria Antiochia, Rita Atria e Rita Borsellino. Affollatissimo il teatro con molti spettatori anche in piedi, sia italiani che greci, che hanno applaudito commossamente tutte le brave interpreti. Caos-polis. «La città greca continua a presentare anche i sintomi di una crisi urbanistica di lunga data e dai molteplici aspetti, che presumibilmente si acutizzerà se non vengono adottate misure immediate: contrasti per gli usi del terreno, estensioni irragionevoli prive di urbanizzazione, alterazione dei tessuti storici, scatenarsi dell'edificazione abusiva, disfunzioni del traffico, spazio pubblico privo di interesse, degrado estetico, rumore, inquinamento, smaltimento dei rifiuti soltanto per citare i sintomi più rilevanti. La crisi è aggravata dal mancato rispetto, drammatico in determinati casi, dei requisiti della politica ambientale dell'UE, per la cui configurazione il nostro paese partecipa a pari diritto in seno agli organi comunitari». Questa analisi è estratta dall’introduzione scritta da Stavros Tsetsis, urbanista, dal libro Un futuro per la città ellenica, recentemente presentato ad Atene presso gli uffici del Parlamento Europeo. La Dante in cucina. In ricorrenza della Pasqua cattolica, la “Dante Alighieri” ha organizzato una riuscita “Festa culinaria”. Gli promotori hanno giustamente pensato - per dare un tono di originalità e di simpatia, invece della solita “cena sociale” - di organizzare una gara di cucina a base di piatti regionali, preparati da un massimo di venti concorrenti. La festa culinaria ha avuto un ottimo successo. Il primo premio è stato vinto dalla signora Maria Canale con il “casatiello”, il tipico dolce napoletano. Hanno partecipato 75 persone di cui 15 hanno concorso alla gara di cucina con varie specialità regionali fra primi, secondi e dolci. Una trentina di premi minori sono stati estratti fra tutti i presenti. I cinque cerchi in manette. Siamo nell’area sacra di Olimpia, poco prima che davanti all’antico tempo di Era, portata dall’attrice Maria Nafpliotu travestita da antica vestale, la fiaccola venga accesa con la rifrazione solare dando il via a Pechino 2008. Sul palco è la volta di Liu Qi, presidente del comitato organizzatore dei Giochi cinesi. Le sue parole? «La fiamma olimpica irradierà luce e felicità, pace, amicizia e speranza...». Alle sue spalle ir rompe un manifestante, un attivista di “Reporters senza frontiere”. Viene bloccato dalla polizia. Ma per pochi attimi riesce a mostrare al mondo la sua protesta. L’uomo sventola una bandiera con i cinque cerchi a forma di manette. “Reporters senza Frontiere”, che contesta l’assegnazione delle Olimpiadi alla Cina in nome della violazione dei diritti umani e della democrazia negata, ha fatto sapere che l’uomo ed altri due fermati dalle forze dell’ordine sono suoi rappresentanti. La protesta avrà raggiunto anche la Cina? Niente affatto: la televisione di stato cinese che trasmetteva la cerimonia, ha trasmesso la cerimonia in leggera differita. Il canale ha fatto così in tempo ad epurare le immagini della «sgradevole» manifestazione. Ma non è finita qui. Iniziata la marcia, la fiaccola è stata “arrestata” da un gruppo di attivisti proTibet: sdraiati per terra hanno impedito all’atleta di proseguire. sekeri, 2 L’Ambasciatore Gianpaolo Scarante, accompagnato dall’Addetto per la Difesa, Generale Roberto Quattrociocchi, è stato ricevuto dal Ministro alla Difesa Evanghelos Meimarakis. Nell’incontro, svoltosi in un clima aperto e costruttivo, è stato esaminato lo stato delle relazioni bilaterali nel settore della difesa e le potenzialità di un approfondimento della collaborazione sia tra le rispettive Forze Armate che tra le industrie del settore. A seguito del recente documentario (La guerra sporca di Mussolini trasmesso da “History Channel” in italiano) sull’eccidio commesso nel febbraio 1943 dall’esercito italiano nel villaggio di Domenikon, l’Ambasciatore Scarante ha avuto un colloquio telefonico con Athanassios Missios, Sindaco della città della Tessaglia. Nel colloquio è stata evocata la tragedia che costò la vita a 150 greci inermi ed il Sindaco, per la prima volta, ha invitato personalmente l’Ambasciatore a presenziare alla prossima commemorazione della strage. L’Ambasciatore, apprezzando l’invito, ha assicurato la sua partecipazione. Il Professor Francesco Buranelli, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni culturali ha tenuto al Megaron Musikis una conferenza sui Musei Vaticani. L’Ambasciatore Scarante, che ha partecipato all’evento, ha successivamente accompagnato il Professore Buranelli in una visita al nuovo Museo dell’Acropoli di prossima apertura. Il 10 Aprile si svolgerà presso l’Ambasciata il primo incontro dell’anno tra istituzioni ed operatori economici italiani in Grecia. L’occasione è diretta a presentare il progetto di “Festival Italiano 2008”, fissato nella prima settimana di giugno. Verranno esaminati gli aspetti organizzativi del principale evento promozionale dell’anno, diretto a favorire il “Made in Italy” attraverso iniziative di carattere commerciale e culturale. Grazie anche ad un articolato allineamento degli schedari consolari con le AIRE dei vari comuni, gli Uffici consolari dell’Ambasciata hanno condotto un’impegnativa opera conclusasi in questi giorni con la spedizione tramite l’ELTA di 7727 plichi elettorali destinati ai connazionali votanti in Grecia. I plichi, una volta restituiti (entro il 10 aprile, alle ore 16) verranno accompagnati a Roma dove un apposito ufficio provvederà allo spoglio delle schede della “Circoscrizione Estero”. Comites: acefalo, bicefalo, macrocefalo Ormai stiamo assistendo ad un feroce “accanimento terapeutico” sul Comites, forse perché qualcuno si illude che possa ancora uscire dal coma o forse perché a qualcun’altro spiacerebbe perdere il titolo di “consigliere”, consapevole che, se mai si ripresenterà alle prossime elezioni, riceverà una sonora legnata. Comunque prendiamo atto che il comitato degli italiani non funziona più. Qualcuno potrebbe anche aggiungere: non ha mai funzionato. Giusta precisazione. Sono trascorsi quattro anni dal suo insediamento, ma ancora oggi - nonostante il lavoro di mediazione delle autorità che hanno cercato in tutti i modi di convincere i consiglieri a trovare una linea di compromesso su cui collaborare - la funzione e la presenza di questo Comites si dimostra essere del tutto “metafisica”, perché è un organo acefalo (non si raggiunge mai un accordo), bicefalo (sei consiglieri contro altri sei) e macrocefalo perché qualcuno, all’atto della sua costituzione, ha maldestramente usato il forcipe. Ancora oggi si sta perdendo tempo per decidere se alcuni consiglieri “azzurri” devono essere dichiarati “decaduti”, per sapere se mai verrà approvato lo statuto, per sapere se alcune situazioni logistiche (la sede) e amministrative (la segretaria) sono “legali” o no. (continua a pagina 4) AMBASCIATA D’ITALIA Comunicato Elezioni 2008 Lunedì 24 marzo la Cancelleria Consolare ha completato l'invio di tutti i plichi elettorali. Il plico contiene: un foglio informativo che spiega come votare, il certificato elettorale, la scheda elettorale (due per chi ha compiuto 25 anni votando anche per il Senato), una busta bianca, una busta già affrancata recante l’indirizzo dell’Ufficio consolare, le liste dei candidati. Si prega di seguire le istruzioni e di spedire le schede elettorali utilizzando la busta già affrancata, in modo che arrivi alla Cancelleria Consolare entro - e non oltre - le ore 16,00 del 10 aprile. L’elettore che, alla data del 30 marzo, non ha ancora ricevuto, può rivolgersi alla Cancelleria Consolare per verificare la propria posizione elettorale e chiedere eventualmente un duplicato. PER QUALSIASI ULTERIORE INFORMAZIONE: 210.9538188 interno 189. [email protected] Ci sono due piani e due vite... Desideri ascendere e non ti accorgi che il Cielo dimora dentro. Acceleri gaio, ma al primo ostacolo rifuggi nelle caverne della scellerata incertezza. Dipingi con colori altrui i muri della prigione dello Spirito.. Non vedi che il Giardino festeggia l’arrivo di fiori diversi? Forse, per questo, è meno Giardino? Non vedi il Fuoco che trasmuta ogni cosa? Ciò che è dentro, sarà anche domani, se solo volessi averne coscenza... Ci sono due piani e due vite.. Apri gli occhi, sotterra la paura e l’alto e il basso combaceranno. C’è un Piano e una Vita. Infine. Restituite i marmi «Il patrimonio culturale di una nazione è parte inseparabile della sua identità e solido punto di riferimento nell’evoluzione dei popoli»: con queste parole Michalis Liapis, ministro ellenico della Cultura, lunedì 17 marzo ha aperto i lavori del primo convegno mondiale, chiusosi il 18 marzo, dedicato al ritorno dei beni culturali nei Paesi di provenienza, organizzato dal ministero ellenico della Cultura di concerto con l’UNESCO, che ha visto la partecipazione di consulenti legali, di museologi e di specialisti del settore riunitisi ad Atene con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su una questione che oltre alla Grecia e ai marmi del Partenone, riguarda molte altre opere d’arte divenute, nel passato ma anche oggi, altrettanti oggetti di desideri inconfessabili che i governi non sempre si dedicano con zelo a contrastare. A questo proposito sono impressionanti i dati forniti nel suo intervento da Yorgos Anastassòpulos, ambasciatore di Grecia presso l’UNESCO e presidente della 34.a Conferenza Generale dell’organismo. Secondo i dati ufficiali delle Nazioni Unite, infatti, il giro d’affari mondiale prodotto dal commercio di opere d’arte ammonta a sessanta miliardi di dollari, con un aumento del cinquanta per cento negli ultimi dieci anni, buona parte dei quali riguardano beni culturali trafugati, mentre i Paesi africani nel loro complesso hanno smesso di essere proprietari del 95% del loro patrimonio culturale. Un vero e proprio saccheggio a cui i Paesi aderenti all'UNESCO hanno deciso di porre rimedio firmando nel 1970 la convenzione sul ritorno dei beni culturali nei Paesi d’origine. Tra questi figurano anche Paesi come il Giappone, la Svizzera, la Danimarca, il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Germania ecc., tradizionalmente refrattarie al problema della restituzione. Il convegno si è svolto nell’anfiteatro del nuovo museo dell’Acropoli e com’è ovvio qualsiasi riferimento è assolutamente voluto. Infatti il completamento dell’opera dell’architetto svizzero Tschumi sottrae alla controparte britannica quella che era l’argomentazione più forte nei confronti della richiesta greca di riottenere i marmi trafugati da Elgin duecento anni orsono, ossia quella della conservazione ottimale dei manufatti. E non a caso nel suo discorso di apertura il ministro Liapis, accennando alla rigorosa legislazione greca in materia di protezione del patrimonio culturale, ha fatto notare che il nuovo museo dell'Acropoli costituisce lo spazio ideale in cui esporre i rilievi del Partenone nel loro ambiente storico e naturale. Al ministro Liapis ha fatto eco Christiane Tytgat, già sovrintendente dei Regi musei di arte e storia di Bruxelles, durante la sua relazione: «Basta dare un’occhiata intorno per capire a chi appartengono davvero i marmi del Partenone». Una delle relazioni più interessanti del convegno è stata quella di Giorgio Croci, docente di problemi strutturali dei monumenti e dell’edilizia storica presso la Sapienza di Roma, di Tullio Scovazzi, docente di diritto internazionale presso l’Università Bocconi di Milano, e di Jara Haile Mariam, direttore generale dell’organismo per la ricerca e la conservazione del patrimonio culturale di Etiopia. I tre relatori hanno esposto la cronistoria del trasporto a Roma e della restituzione (nel 2004) all’Etiopia del celebre obelisco di Axum, trafugato nel 1937 dall’Italia. Secondo Croci «questa vicenda, conclusasi con cinquantasette anni di ritardo, costituisce un esempio straordinario dell’evoluzione dei principi legali internazionali concernenti la salvaguardia del patrimonio culturale di Paesi terzi». Scovazzi invece ha ricordato che l’Italia, oltre a quelle di trasporto, ha sostenuto anche le spese di restauro e di ricollocazione di questo monumento sacro, per un totale di quattro milioni di dollari, dimostrando così fattivamente la volontà di ripristinare i buoni rapporti tra i due governi. Dal canto suo Francoise Rivier, assistente del direttore generale della cultura dell’UNESCO, ha parlato del pericolo corso dai beni culturali in Paesi che si trovano in stato di guerra ricordando soprattutto i casi dell’Iraq e dell’Afghanistan, e annunciando un grande incontro su questo tema che si svolgerà nella Repubblica Coreana alla fine del 2008. «Restituire un’opera d’arte al suo legittimo proprietario è indice di generosità, di rispetto per l’identità dell’altro, e segna l’inizio di una nuova stagione, governata da nuovi principi», ha fatto notare Elena Korka, direttrice del Dipartimento delle antichità preistoriche e classiche presso il ministero ellenico della Cultura, chiudendo il primo convegno di una serie che ne prevede altri sei. Che il conto alla rovescia per il ritorno in Grecia dei marmi del Partenone sia cominciato?. Maurizio De Rosa 2 Aprile 2008 I conti in tasca ai giovani precari per necessità 1000 euro al mese: vivere alla grande Alzi la mano chi conosce il significato della parola precario. O meglio, alzi la mano chi davvero conosce il significato della parola precario. Ammettiamolo: chi non abbia figli o parenti in tali condizioni o chi non sia quel figlio o quel parente sulla “precarietà” ha le idee piuttosto confuse. Per chiarirle apriamo il vocabolario. Il classico Zingarelli in un’ottimistica edizione anni Ottanta recita: “Temporaneo, incerto, provvisorio. Detto di lavoratore, specialmente dipendente di amministrazioni pubbliche, assunto con contratto a termine e quindi privo di garanzie per il futuro”. Quanto tempo è passato e quanti precari, invece, sono ancora lì da quella definizione. Andiamo per gradi. Di “temporaneo” e “provvisorio” il lavoro precario, ormai, non ha davvero nulla. A meno che non si accetti di estendere la durata del “provvisorio” oltre il minimo dei dieci anni. Anche di “incerto” è rimasto poco. Il precario ha la certezza assoluta che sarà dura arrivare alla fine del mese, che non potrà fare progetti per lungo tempo, che un eventuale matrimonio o famiglia sarebbe più che altro un'associazione di mutuo soccorso, e che la fine del tunnel è quanto mai lontana e difficile perfino da immaginare. Insomma, il precariato è la metafora della vita: si sa quando si inizia ma non si sa quando e come si smetterà, che sia per pensionamento, decesso o, quella che sembra la più remota delle possibilità, assunzione. La lista delle correzioni è ancora lunga, perché il precariato diffuso nel settore pubblico, ormai è costante pure del privato e mette d’accordo destra e sinistra nel prendere in giro le nuove generazioni. Per quanto riguarda le garanzie del futuro, beh, sarebbe già consolante sapere di averne uno, visto che il precario vive alla giornata, sapendo che è vero che “domani è un altro giorno”, ma che questo non necessariamente è un dato positivo. La parola “precario”, usata e abusata fino a farne quasi un intercalare, non ha significato concreto. Perché il concetto non si spiega a parole tutt’al più con un’ondata di ansia ma con i numeri. Se è vero ed è vero che il precario è ossessionato dai conti da pagare, forse l’unico modo di comprenderlo è fare quei conti. Detto fatto. Il precario attenzione, quello di “fascia alta” guadagna nella migliore delle ipotesi, mille euro al mese. Lordi. A fronte di una preparazione, in molti casi, d’eccellenza. È sottopagato. E, spesso, sottoimpiegato. Si presta a lavori più umili di quelli ai quali in teoria potrebbe aspirare. E a perderci, oltre alla sua qualità della vita, è la società. È come se uno andasse a cena dallo chef Heinz Beck e chiedesse un uovo sodo. Di certo, sarà fatto meglio di tutte le uova sode che abbia mangiato fino ad allora, ma vuoi mettere le prelibatezze che avrebbe potuto provare? Al precario questo non importa. Se hai bisogno di soldi, la prima cosa che vendi sono i tuoi sogni. È indubbio. Dicevamo: mille euro lordi sono circa 750 euro netti. Con questa cifra, non vorremo mica parlare di mutuo? Con una rata di 505 euro al mese, superiore al limite previsto, potrebbe avere un mutuo di 70mila euro a vent’anni. Ma non riuscirebbe a comprarci neanche il box per la macchina che comunque non potrebbe permettersi. Meglio cercare casa in affitto. Roma, però, è cara. Cerca che ti ricerca, troviamo un’offerta accettabile: 500 euro al mese. La “casa” è di ben quindici metri quadri. Praticamente, stanza e bagno, Come quando viveva a casa con mamma e papà, con l’unico vantaggio di un accesso indipendente. Essere indipendenti, però, significa anche pagarsi le spese: acqua, luce, gas, riscaldamento, rifiuti, condominio, televisione e telefono, per un totale di almeno 144 euro al mese. Con i restanti 106 euro ci si può concedere qualche piccolo “lusso”, ossia i trasporti - macchina, motorino o tessera dei mezzi pubblici e il cellulare, perché se il lavoro è “a chiamata” bisogna essere sempre reperibili. Ovviamente, bisogna mangiare. E stare bene. Guai a farsi venire tosse o raffreddore: giorni di lavoro non pagati e medicine da acquistare. D’altronde, si sa, “quando c’è la salute c’è tutto”. O quasi. Di detto in detto, si arriva alla soluzione: “mal comune mezzo gaudio”. I precari sono tanti e, quindi, possono condividere la loro precarietà. Come una grande famiglia. Basta dividere affitto e spese. Eccolo, il “paradiso” è fotocopiato su uno dei tanti annunci per studenti e studentesse: appartamento di 60 metri quadri all’Appio, da dividere con due persone, affitto a persona 350 euro al mese. In nero. Tolte le spese che, grazie alla ripartizione con i coinquilini scendono di qualche euro - rimangono 241 euro per “godersi” la vita. E, chi lo sa, magari concedersi l’”extra” di una telefonata a mamma e papà per sapere se si può tornare a casa. Quella vera. Perché, a conti fatti, la vita da figlio è decisamente più decorosa. Valeria Arnaldi Viaggio virtuale sui siti dei candidati della circoscrizione Europa. Tra loro anche Emanuele Filiberto di Savoia Italiani “di ter ra, di mare e d’aria” all’urne! E mentre si apre il sipario, i plichi delle circoscrizioni estere volano in patria a recare le preferenze di quegli italiani che neppure all’estero hanno trovato pace, in questa ridicola, e per fortuna breve, campagna elettorale. Saranno anche stavolta determinanti le coscienziose scelte dei cervelli fuggiti, degli emigranti express, degli operai d’oltralpe? L’idea che rivestissero un ruolo decisivo nell’assegnazione delle ambite poltrone, conforta in patria gli indecisi, i disillusi che scelgono “il meno peggio” o il non-voto, perché secondo loro, gli italiani al’'estero hanno una visione politica del paese natio più chiara, scevra dal bombardamento mediatico quotidiano, di un’Italia quasi sempre battuta nel paragone con il paese ospitante, che ha saputo, invece, impiegarne intraprendenza e capacità. E mentre in Italia si condanna la censura delle tv cinesi sulle proteste nella cerimonia inaugurale delle Olimpiadi, fuori dalla penisola si sottolinea la condizione della politica “Made in Italy”, ormai allo sbando, dopo gli scossoni del libro sulla “casta” e del “V-day” di Grillo, potenti tsunami abbattutisi sui “tronisti” (leggi deputati) più pagati d'Europa, tutto ciò senza che gli italiani, ignari quanto i cinesi, ne sappiano nulla. Sottovalutati al loro esordio elettorale, gli italiani all’estero ora sono corteggiati da tutte le forze politiche che, con certosina puntualità, avviano un epistolare, e spesso univoco, rapporto con gli eventuali elettori. «Caro amico, cara amica» ti scrivo, così ti distraggo un po’, e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò, esordiscono i candidati del Pdl, inguaribili romantici dal facile abbraccio affettuoso. «La sinistra ha messo in ginocchio l’Italia» ci informa Berlusconi, e sono in molti a immaginare quale sia la posizione prediletta, invece, dall’ex premier! «Adesso una Italia nuova. Si può fare» dice Veltroni, «vuoi prendere o lasciare» aggiungerebbe Branduardi, e mentre il pullman del Pd varca i confini territoriali, milioni di lettere giungono nelle case degli aventi diritto al voto esordendo «Gentile Uguccione, ci siamo. Siamo arrivati…» che, insieme alla cacofonia introduttiva, s’accompagnano a minacciosi bollettini postali per un “contributo” alla tournee. Ce lo restituirete, poi, quando il vostro partito riceverà il rimborso da parte dello Stato? Stanchi delle migliaia di facce e promesse invariate da decenni, navigando sui siti dei candidati all’estero, una folata di vento fresco pervade i sensi. Tra Camera e Senato, sono circa 150 i nomi in corsa per la circoscrizione Europa. Nomi che, se pronunciati nelle tv e radio italiane, suscitano la reazione di chi, desolato, non sa: “spallucce”. Sono loro i veri volti nuovi della politica italiana, sconosciuti ai più. Non proprio tutti, però, come Emanuele Filiberto di Savoia, nipote dell’ultimo re d'Italia, graziato dalla condizione di esiliato in cui versava dalla nascita, ha creato la lista “Valori e Futuro” che, si augura, farà dimenticare agli italiani “viltà e passato” del parentado. In viag gio nell’universo europeo del Pd, Franco Narducci ci tiene a dire «mi fido di te», e come potrebbe non farlo, amici di vecchia data come siete! Sul suo sito, Laura Garavini assicura «idee nuove e esperienza preziosa» accompagnate dal monito «mafia? Nein danke!» e sottolinea: «Non c’è niente di più falso del binomio italianimafia», infatti non si possono tralasciare ndrangheta, camorra o le forme di prevaricazione che rendono famosi nel mondo i politici italiani come nepotismo, raccomandazioni o concussione. Ci rincuora Simona Milio che vuole più meritocrazia, innovazione, spazio alle donne e poi «education, education, education», che si «In traduce istruzione in italiano, e non un agguato alla maleducazione de no' artri, fortunatamente salva. Ovvio il sostegno alle imprese italiane all’estero, mentre quelle in loco soffocano. Aggiunge infine la Milio «perché contattare ricercatori inglesi, quando si può contattare un italiano in Inghilterra?». Insomma, la legge del nemo propheta in patria è ancora valida, per chi si fosse illuso. Beatrice Biagini sorprende tutti: «In Europa da europei, non da italiani all’estero»; non avrà sbagliato tornata elettorale?, mentre Anna Pompei Ruedeberg prova ad ammaliare l’universo maschile: «Per un vero cambiamento: uomo vota donna!». Italia dei Valori non delude con Antonio Razzi, «un operaio alla Camera, semplicemente al vostro servizio», contattatelo per eventuali sfondamenti delle poltrone o rubinetti che gocciolano. Anche nel Pdl, Nicola di Girolamo la butta sul professionale mettendo «la mia esperienza al tuo servizio». Candidata all’Oscar come miglior attrice Antonella Rebuzzi, con lo slogan «per essere protagonisti in Europa», mentre gareggia per quello alla regia, Andrea Verde, produttore in passato di film hard. Punta sulla chiaroveggenza Aldo di Biagio «per il futuro degli italiani in Europa», mentre a conferma del proprio impegno con la Chiesa cattolica, l’Udc candida personaggi con cognomi che lanciano messaggi al divino, come a voler chiedere il miracolo d’un seggio: ecco, dunque, Sangregorio, De Santis e Ognissanti, in lista insieme a tal Rosario Cambiano che spiega come avviene la “vendita” delle schede elettorali all’estero, quotate circa 5 euro l’una, il prezzo di una vaschetta di fragole fuori stagione. Egli sostiene che qualche fortunato (e non delinquente o truffatore) con qualche centinaio di migliaio di euro in più, può permettersi il lusso (o il crimine?) di comprare le buste elettorali per cercare di essere eletto. Contro la monocromia, la Sinistra arcobaleno dice «abbiamo colorato il mondo», con un programma focalizzato su casa, lavoro, diritti, ambiente, laicità e libera informazione, mentre il candidato Arnold Cassola fa venire la pelle d’oca con: «Italiani all’estero. Il valore aggiunto dell’Italia». Sarà per loro che paghiamo l’Iva? Il partito socialista per gli italiani all’estero promette «un’Italia sociale, responsabile, giusta e governabile» e il candidato Giuseppe de Bortoli confessa che «i diritti sono di tutti o non sono diritti», mentre dei doveri, in campagna elettorale, non parla nessuno. In linea di massima, i programmi seguono direzioni parallele, se uno schieramento aggiunge un punto, l’altro è pronto a rilanciare, così, senza grossi contrasti o ideologie di partito, gli obiettivi generali puntano al miglioramento dei servizi per i connazionali al’'estero, solidarietà e sussidiarietà, promozione culturale, mentre i candidati collocati verso destra promettono di impegnarsi su favoritismi agli italiani all’estero rispetto a quelli residenti in patria come, ad esempio, usufruire dell’assistenza sanitaria gratuita in Italia per più di tre mesi, oppure abolire le tasse per la seconda casa in Italia, anche se uno può permettersele. Prima che il sipario su questo breve viaggio virtuale si chiuda, ultima tappa è la lista “L’altra Sicilia per il sud”, con il candidato Francesco Paolo Catania che esorta: «Dai voce a chi gli è stata sempre negata» e poi aggiunge: «Sugnu sicilianu e mi ni vantu, chiù dugnu chiù sugnu». Chissà che, sulla scia di questa euforica dichiarazione, qualche candidato non faccia propria, portandola oltre confine, anche la promessa più allettante per tutti gli amanti della villosità: «Chiù P.I.L. Pe’ tutti!». Marina Greco Critiche alla traduzione in italiano delle poesie del famoso poeta ellenico ad opera della Professoressa Minucci Kavafis: sono arrivati i barbari Pubblichiamo con qualche piccolo aggiustamento uno stralcio dell’articolo di Massimo Peri, professore ordinario di lingua e letteratura neogreca all’Università di Padova, “Diritti d’autore. A proposito delle ultime traduzioni italiane di Kavafis”, in Poetiche, 9/2, 07. A prima vista la traduzione di Kavafis che ci offre la professoressa Paola Maria Minucci (Poesie d’amore e della memoria, Newton Compton 2006) si presenta come un lavoro serio, ma basta leggerla con qualche attenzione per accorgersi che si tratta di un’impressione superficiale. Vistosi fraintendimenti, grossolane forzature, trasandatezza linguistica, clamorosa incompetenza filologica rendono la lettura una via crucis (persino la trascrizione dei nomi propri e la punteggiatura seguono criteri oscuri, contraddittori o stravaganti). Ecco un brevissimo campionario. Paola Maria Minucci, professore associato di lingua e letteratura neogreca all’Università di Roma “La Sapienza”, ci traduce epitelus con “infine” anziché “finalmente!” (p. 31); “falliti” con “fallaci” (p. 53); “lusso pacchiano” con “volgare lussuria” (p. 69); akres meses, “grosso modo” diventa “una alla fine, un’altra a metà” (p. 215); “data l’indifferenza della scelta” diventa “per lo spregio della scelta” (p. 245); Minucci confonde “profondi” con “colti” (p. 151); ignora che epochì non significa solo “e- poca” ma anche “èra” (p. 141) e sembra persino ignorare il significato dell’espressione me logu tu, “con Sua Signoria”, che traduce… “a chiare lettere”. (p. 253). Minucci è capace di “distrarsi” fino al punto da scrivere: “affetti dei miei, affetti/dei morti di così poco conto” (p. 129). Il greco è chiarissimo perché recita letteralmente: “sentimenti di persone morte così poco tenuti in conto”, cioè “sentimenti di persone morte che sono stati stimati (onorati, amati, capiti) così poco”. Minucci è capace di scrivere: “Casa, locali, quartiere /che vedo e dove cammino, da anni e anni./ Ti ho creato nella gioia e nel dolore” (p. 241). Chi è questo “tu” (“Ti ho creato”)? Da dove salta fuori? Per capire l’equivoco basta dare un’occhiata al greco, dove il “tu” si riferisce a perivallon, “ambiente”, termine omesso in traduzione. In verità i guai di questa traduzione non sono tanto i fraintendimenti del greco, il problema più acuto è che Minucci traduce un poeta dottissimo come Kavafis ignorando le norme elementari dell’italiano. Minucci usa tranquillamente il gerundio senza soggetto (p. es. p. 113); scrive “saresti” invece di “sarai stato” (p. 141); scrive “se era” invece di “se fosse” (p. 147); viola senza ragione la concordanza del numero: “ben presto il duro lavoro,/e una vita di stenti e di stravizi, lo rovinò (anziché rovinarono; p. 235); “I loro bei volti, la l’a- straordinaria giovinezza/l’amore dei sensi che li legava/si accese, più vivo e intenso” (anziché si accesero, p. 219); scrive “per parte di madre Antiochia [=Antiochide]” (p. 79) dove l’italiano richiederebbe “per parte della madre Antiochide”; scrive “partì lontano” invece di “andò lontano”(p. 209); scrive “fuggiva a tremende notti insonni”, invece di “sfuggiva a” (p. 251). Insomma l’italiano di Minucci frana sovente verso strutture substandard, viola senza motivo le categorie linguistiche provocando falle del senso, genera sconcerto senza peraltro generare quel “nuovo verso”, quella “diversa musica” di cui parla Ceronetti. E tutto ciò traducendo un poeta dotato di altissima preoccupazione formale come Kavafis, il quale non si sogna nemmeno lontanamente di violare la consecutio, di usare un gerundio pendens, di disattendere una concordanza. Qui insomma non è più questione di tradurre bene o male, di privilegiare i significati o i significanti, di belle infedeltà o di brutte fedeltà, qui è questione d’italiano standard. La traduzione ha un patto di lettura. Esso prescrive come condizione minima e indispensabile che si conoscano le norme della lingua d’uso. Il traduttore può avere un’insufficiente conoscenza della lingua di partenza ma deve dominare con sicurezza la lingua di arrivo, altrimenti si espone al biasimo del consorzio civile come chi viola le norme del galateo mangiando la pastasciutta con le mani. Certo, c’è una zona del tradurre che è insindacabile, perché la traduzione di poesia è una forma di “ri-creazione”. In certo senso, pertanto, il traduttore è libero di fare quasi tutto. Può ignorare la lingua di partenza e accontentarsi di tradurre traduzioni; può sdegnare troppo pedestri (e laboriose) preoccupazioni filologiche, come fa Ceronetti; può abolire il piano metrico e iconico del testo come fa Yourcenar (che traduce Kavafis in prosa); può sacrificare il senso sull’altare della rima, come fa (a dire il vero piuttosto brutalmente) Franco; può inseguire il miraggio di una mimesi totale come fa Pontani ovvero può fraintendere (con gloria o con ignominia a seconda dei casi) il cosiddetto originale. Tuttavia chi traduce non può scrivere una lingua incomprensibile o claudicante che sgretola il senso e contraddice il buonsenso. Di fronte a traduzioni del genere non servono naturalmente i moralismi, non serve rimpiangere la sensibilità, la dottrina, il rigore e l’umiltà con cui lavoravano maestri come Pontani. C’è solo da prendere atto della realtà. Il guaio - diceva Kavafis - è che aspettiamo, aspettiamo, ma i barbari non arrivano mai. Si sbagliava. Non c’è più niente da aspettare. I barbari sono ar rivati. Massimo Peri Premio a Irene L’Ambasciatore Gianpaolo Scarante, e il presidente della giuria, Aldo Milesi, hanno annunciato l’assegnazione del “Premio Roma” per la cultura 2008 a Irene Papa. Per l’occasione pubblichiamo alcuni stralci di una sua intervista rilasciata ad Angelo Saracini per “Il foglio italiano”. Ha superato gli ottant’anni, ma continua a dimostrarne venti di meno, grazie alla sua freschezza di idee e all’entusiasmo da ragazzina. Ha lavorato con i migliori registi e scenografi di tutto il mondo, è stata Medea ed Elettra, ha aperto scuole ovunque. Ed è, in altri termini, fuori del tempo, nella zona atemporale cui appartengono persone del suo livello umano ed artistico. Quando si parla di felicità, è veramente categorica e bruscamente ti chiede se conosci qualche mortale felice. Afferma di considerarsi una vecchia signora che si sente bambina e per di più tiene a sottolineare che è completamente priva della saggezza degli anziani, («sono una vecchia bambina», dice). Nota dolente, afferma di non avere avuto dalla madre patria quell’appoggio e riconoscenza che invece ha avuto all’estero, soprattutto in Italia, per realizzare il sogno di tutta la sua vita in Grecia. Questo sogno consisteva nel poter lasciare alla Grecia una scuola di teatro a livello universitario. Una scuola che manca nel panorama teatrale greco. Sembra un paradosso, come usa dire spesso lei stessa, che la Grecia, culla del teatro, non sia mai riuscita a darsi una struttura pedagogica teatrale di alto livello, una vera Scuola d’arte teatrale, e ad unire all’insegna dell’arte drammatica di Euripide l’animo comune dei popoli del Mediterraneo. «Molto presto smetterò di recitare - confessa - voglio dedicarmi ai giovani, all’insegnamento. Ma in modo speciale, risvegliando coscienze e vocazioni, non imponendo un credo personale». Nel 1994, ad Atene, Irene ha creato un’associazione dal nome “Centro Arti Applicate per lo Spettacolo e l’Audizione”. Dopo infinite peripezie burocratiche, ma grazie soprattutto all’aiuto di una caparbia direttrice del demanio, al quale appartiene l’immobile, nel 1988 riesce ad ottenere la concessione in affitto della ex fabbrica Sanis, accollandosi quasi tutte le spese per la ristrutturazione. Come direttrice onoraria, si prodiga subito nell’opera di recupero di nove enormi sale in un edificio di pietra nel cuore di Atene, nella via che porta al Pireo, struttura battezzata col termine di Scuola: era un ex magazzino statale da cui si sono ricavati tre teatri e sale da ballo e locali per laboratori pratici di musica, di scenografia. «A questo progetto ho dato l’anima, il cuore. Sogno un centro dove chi ha raccolto esperienze illustri offra il proprio bagaglio a chi vuole sapere, attingere, ascoltare, vedere. Liberamente e costruttivamente. Come in un alveare». Qualche anno fa, il Rettore dell’Università di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agrò, le ha conferito la laurea “honoris causa” in lettere, per i suoi straordinari meriti artistici ma anche, usando le parole del Rettore, «per l’eccezionale impegno da lei profuso nella ideazione e nella direzione artistica delle Scuole d’Arte di Atene, Roma e Sagunto». 3 Aprile 2008 Lettera al direttore a proposito di un libro di Marco Travaglio sul giornalismo italiano Una ricerca che racconta la vita della comunità ellenica a Livorno nel 700 e 800 La scomparsa dei fatti Il fiorino, il grano e i greci SCIOPERI E DIVORZI Sì, cer to il diritto di sciopero è un diritto sacrosanto e inalienabile di qualsiasi lavoratore, ma non per questo non si può tentare di sorriderci, se non proprio di riderci sopra a questo diritto, non fosse altro che per sopportare meglio le conseguenze che di solito gli scioperi comportano per tutti. L’occasione me la forniscono i lavoratori della DEH che in questi giorni ne stanno combinando più di Carlo in Francia pur di farsi notare, di far notare il loro disappunto su ventilate privatizzazioni e più concrete modifiche del loro regime pensionistico. Ma non tutti i mali vengono per nuocere si potrebbe dire perché ricordo, per esempio, che qualche anno fa lo sciopero dei finanzieri ave-va bloccato l’uscita della benzina dalle raffinerie con la conseguenza che la circolazione in questa caotica megalopoli a poco a poco era migliorata notevolmente perché oltre alla diminuzione delle auto in giro, visto il numero di quelle che erano rimaste a secco, anche quelle che continuavano ad andare lo facevano ad andatura risparmiosa, evitando brusche accelerate e improvvise fermate. Ma parliamo di energia elettrica. Se la sua sospensione ti becca mentre sei in ascensore ti tocca rimanerci chiuso dentro fino al ripristino dell’erogazione e mai una volta che ti capiti di rimanerci chiuso con quella tua prosperosa coinquilina e che la stessa ti proponga di trascorrere piacevolmente il tempo della comune segregazione! Il vantag gio della faccenda è che dopo la prima esperienza, personale o di seconda mano, decidi di fare a piedi i tre o quattro piani che non facevi più da anni; certo le prime volte arrivi, malgrado tutte le soste, col fiatone, se tutto va bene, ma dopo un po' ti accorgi degli effetti positivi della ginnastica. Ma non ci sono solo vantag gi, perché se stai cucinando, poiché tutto va a corrente, se sei fortunato ti tocca mangiare gli spaghetti un po’ più al dente di quanto non desideri, se sei sfortunato devi buttare via tutto e arrangiarti con quello che trovi in frigo nella speranza che non sia tutto andato a male a causa della precedente lunga interruzione. E i semafori? Già, anche quelli se manca l’elettricità smettono di lavorare e questo autorizza tutti quanti ad assumere comportamenti il cui certo risultato è il blocco universale visto che ciascuno ritiene suo diritto quello di incastrare la sua auto con le altre in base al noto principio del mal comune mezzo gaudio: non posso più muovermi io? E allora bloccati anche tu! Ma la tragedia la si sfiora quando l’interruzione avviene di sera. Ma avete presente che cosa significa trovarsi improvvisamente a tu per tu con il proprio partner nella tremolante luce delle candele che proiettano inquietanti ombre sulle pareti e il televisore muto? Sì, in teoria sembra una situazione ideale per darsi da fare, e non escludo che qualcuno, tanti spero, ne approfitti per recuperare il tempo perduto, ma quando così non è il rischio che il rimpianto di quello che era e che adesso non è più si trasformi in una resa dei conti: c’è tutto e il merito o la colpa, a seconda dei punti di vista, dell’imprevisto aumento delle nascite controbilanciato da un altrettanto imprevisto aumento dei divorzi che le statistiche registreranno a fine anno agli scioperanti sarà da attribuire. Alfonso Lamartina Egregio Direttore, mi rivolgo a te in quanto fai parte di quella categoria che oggi chiamiamo ancora giornalisti; e mi rivolgo a te ponendo un quesito: dov’è finito il vero giornalismo da qualche anno a questa parte, quello obiettivo, quello imparziale che dovrebbe raccontare i fatti, soprattutto quelli politici, con una lucidità ed analisi non propriamente schierata? Basta leggere certi quotidiani, guardare la tv, ascoltare i vari telegiornali ed assistere a varie tribune elettorali, che il grande cantautore Franco Battiato definiva “demenziali”, per capire come la quasi interezza dei giornalisti è sfacciatamente di parte e nasconde la verità dei fatti perché nato “servo”, perché non può tradire la linea editoriale del suo editore o semplicemente perché poi la gente capisce tutto. Og gigiorno non tutti purtroppo hanno la fortuna di usare internet o leggere dei libri per approfondire certi argomenti, e così bisogna accontentarsi di fatti e misfatti che giornali e tv ci fanno fagocitare smussati di tutto quanto possa urtare il potente di turno, infarcendoli di commenti bipartisan per rispettare la cosiddetta par condicio, che non scontenta i politici ma tiene all’oscuro di quanto succede l’ignaro cittadino. Incuriosito dall’argomento, sono incappato in un libro intitolato La scomparsa dei fatti (Il Saggiatore) di Marco Travaglio, che molti accusano essere giornalista di sinistra ed anti berlusconiano, ma che invece ha la sola colpa di riportare le notizie come esse realmente stanno e per di più ben documentate. Apriti cielo! Da Mani Pulite alla guerra in Iraq, da Calcio- poli a Vallettopoli, nel libro ci viene fornito un inquietante e sconsolato ritratto del giornalismo italiano, troppo spesso complice dei politici e troppo spesso bugiardo verso i lettori o gli spettatori. E così scopriamo che sono due anni che ci sentiamo dire che un ex sette volte presidente del Consiglio è stato pienamente assolto dall’accusa di avere avuto rapporti con la mafia quando invece è stato dichiarato colpevole ma prescritto per decorrenza dei termini; giornalisti della “statura” di Giuliano Ferrara, ex ministro di un precedente governo e fondatore di un “interessante” partito oggi, che si scopre essere stato sul libro paga della CIA come informatore ma nessuno ne sa nulla; il giornalista di “Libero”, Renato Farina, meglio noto come agente Betulla, al soldo del Sismi per diffondere notizie false a danno di politici avversari. E via di seguito: Belpietro, il Iannuzzi pluricondannato, Giordano, direttore de “Il Giornale” che sta facendo rigirare nella tomba persino il fondatore di quel quotidiano Montanelli a suon di bufale. Ci rimane Milena Gabanelli, con le sue inchieste su “Report” e qualche volta Santoro, che si ostinano a mostrare pezzi di realtà nudi e crudi, accompagnati dall'ostilità dell'intera classe, o forse meglio casta, politica. Ma purtroppo non basta. E allora caro Direttore, ti rigiro la domanda: dove è finita la tradizione portata avanti dallo stesso Montanelli e da Biagi per citare due esempi? Ho l’impressione che il giornalismo sia praticamente morto in Italia, e che se invece di mettersi a fare gli scoop da “eva tremila” un po’ di gente si mettesse a fare seriamente il proprio lavoro ci guadagnerebbe tutto il Paese. Marco Della Puppa Caro Marco, non si possono fare esempi diacronici, citando Montanelli e Biagi quali esempi di un giornalismo ormai scomparso. Del primo vorrei citare una sua celebre frase: «La sconfitta è il blasone dell’anima nobile». E forse per questo che cominciò col mettersi nei guai quando, pur essendo fascista, giovane inviato in Spagna descrisse una battaglia come era effettivamente andata e non come avrebbe amato raccontarla il regime. Il risultato fu che finì ad insegnare italiano in Estonia. In esilio, cioè. Col bel risultato di sentirsi poi chiamare fascista, per lunghi decenni, da tutta la stampa di sinistra. Mi chiedi dove sia finito il ver o giornalismo. La risposta è sotto i nostri occhi: su internet. Il giornalismo svincolato da interessi extra-giornalistici, di battaglia, di denuncia ha trovato sfogo sui blogs. La prova? Il numero di utenti (lettori) che ogni giorno si collega al famoso sito di Beppe Grillo. Questo, sia chiaro, non vuole essere un elogio alla linea editoriale del blog, bensì la banale constatazione che la sete di notizie, non filtrate, ha trovato il suo spazio. E con quello di Grillo, migliaia di altri siti ci raccontano una realtà diversa da quella che leggiamo su certa stampa, quella stampa, sottolinei tu, che riesce a far scomparire i fatti. Concorderai con me che il giornalismo è lo specchio di una società (noi possiamo confermare questo assioma in quanto abbiamo il privilegio di fare dei paragoni). E la nostra stampa non fa altro che riproporre gli italici difetti: familismo, clientelismo, nepotismo e lottizzazione. Siamo anche l’unico paese che ha instaurato l’ordine dei giornalisti. Che cosa significa? Che se non hai agganci non vieni assunto, quindi niente diciotto mesi di “praticantato” indispensabili per l’esame di ammissione all’ordine. È una selezione sociale e politica che ha limitato la libertà di stampa. Dal 1453 con la caduta di Costantinopoli i greci avranno uno stato nazionale se non dopo quattro secoli. Inizialmente la «turcocrazia» reciderà quasi completamente le relazioni fra il mondo greco e il resto d'Europa. Ma, con l’estromissione dei mercanti genovesi e veneziani dal Mar Nero e con la stabilizzazione del dominio ottomano nei Balcani, si assiste ad un’ascesa dei mercanti greci non solo nei commerci dentro l’impero ottomano ma anche esternamente, verso l’Ucraina e la Russia e nel Mediterraneo verso Venezia, Trieste, Livorno, Napoli, Marsiglia. In queste ed in altre città nasceranno per questi rapporti commerciali importanti comunità elleniche. Comunità che avranno per fulcro una dinamica ed intraprendente borghesia commerciale, ma che saranno autonome in tutte i loro aspetti sociali, con le loro chiese, le loro scuole tenute da religiosi dediti a diffondere l’ellenismo ed i principi dell’ortodossia, i loro cimiteri e i loro ospedali. La vita culturale e sociale di queste comunità, che facevano da ponte fra due mondi, era molto vivace, non certo paragonabile con la vita che svolgevano gran parte dei greci sotto il giogo ottomano. Per questa ragione non è da ritenersi un caso che proprio in una di queste comunità, quella di Odessa, ha avuto origine la Filikì Eterìa, la società segreta che fu da detonatore della rivolta del 1821. I suoi fondatori Skufàs, Tsakàlof e Xànthos provenivano proprio da quel mondo commerciale nel quale non avevano avuto fortuna, ma che aveva permesso loro di essere in contatto con i più avanzati movimenti politici e culturali europei. Un altro por to a svolgere un ruolo importante per le comunità elleniche della diaspora fu Livorno, dal 1500 porto principale della Toscana dei Medici. Questa, già presente dalla seconda metà del '500 quando era sostanzialmente composta da marinai originari dei domini veneziani, si sviluppò all’inizio del ‘700 tanto da segnare la storia della città. Dèspina Vlàmi è una ricercatrice ateniese che dopo essersi laureata in Scienze Politiche all’Università di Atene ha proseguito i suoi studi a Firenze e a Londra. Attualmente collabora con alcuni periodici e con il quotidiano “Kathimerinì”. Si è interessata della storia delle comunità della diaspora e ha pubblicato un lavoro sulla comunità ellenica di Livorno dal titolo, Il fiorino, il grano e le vie del giardino. Mercanti greci a Livorno 1750-1868, edizioni Themèlio, Atene. Il testo, oltre cinquecento pagine, è un dettagliato studio della vita della comunità ellenica della città toscana nel suo periodo di massimo splendore che si chiuse qualche anno dopo la nascita dell'Italia unita quando a Livorno fu abolito il porto franco e perse quei privilegi che avevano fatto la sua fortuna. L’importanza della comunità ellenica fu ufficializzata nel 1757 con un decreto del Granduca di Toscana che concesse fra l’altro la libertà di edificazione di un luogo di culto ortodosso. Precedentemente erano autorizzate solamente chiese greche di rito cattolico. Studiando i traffici portuali gestiti dalla comunità ellenica, e analizzando il periodo 17701789, la Vlàmi scopre che circa il 12% dei traffici fra Smirne e l’Europa passavano da tre porti italiani : Genova, Livorno e Messina. Livorno fra questi tre aveva in alcuni annate una grande importanza: ad esempio nel 1776 gestiva il 10% delle esportazioni della città dell’Asia Minore verso l’Europa. Ma i dati, che nel libro sono espressi in numerose tabelle, nascondono anche elementi che apparentemente l’aridità dei numeri non dovrebbe mostrare. Veniamo così a sapere che fra le elenco delle merci esportate nel 1797 verso Salonicco ci sono anche 5000 dozzine di fez, prodotti a Prato città toscana con una tradizione nell’industria tessile che affonda le sue radici nel Medio Evo. È singolare scoprire gli ortodossissimi mercanti greci di Livorno impegnati nel commercio di un copricapo simbolo emblematico dei mussulmani ottomani, un simbolo così forte che la repubblica di Ataturk si preoccupò di proibirne l’uso per affermare anche in questo modo il suo laicismo. Il libro studia non solo i commerci ed i traffici ma la vita della comunità nel suo complesso, il suo rapporto con la città dove si era insediata e dove vivevano altre comunità straniere, gli armeni, gli ebrei sefarditi, gli olandesi. Importante fu il ruolo delle grandi famiglie come i Maurocordato e i Rodocanacchi, che hanno lasciato due grandi ville situate ai margini della città. Con la crescita ed il consolidamento della comunità aumentarono anche le sue esigenze, oltre la chiesa fu aperto un cimitero ortodosso, fu fondata una scuola e dal 1796 nell’Ospedale della Misericordia fu aperto un padiglione ellenico. La comunità mantenne sempre, e non solo per ovvie ragioni commerciali, i rapporti con la madrepatria, e come tutte le comunità elleniche della diaspora ma finanziò e sostenne la rivolta antiturca del 1821 che portò all'indipendena della Grecia. Un lavoro, quello di Dèspina Vlàmi, che descrivendo i rapporti con i nostri vicini nemmeno nel periodo del più buio dominio ottomano, ed è per questa ragione che è un lavoro apprezzabile. Mauro Faroldi «Greci più bravi a letto!» Opsis: le note di De Andrè Da una recente ricerca della “Online Publisher Association” risulta che circa il 73% degli intervistati si collega ad internet dal proprio ufficio e navighi durante le ore di lavoro. Le mete preferite sono i grandi portali dell’informazione, che si sono trasformati nel tempo in scatoloni dai contenuti che spaziano dalla grande finanza al gossip più bieco. Se una volta l’uso di internet in ufficio era collegato alla necessità di reperire informazioni utili in tempo reale, oggi la stragrande maggioranza dei navigatori perde semplicemente tempo a sbirciare sulla rete ogni volta che si accende un feed, una sorta di allarme che scatta all'arrivo di notizie fresche. Le grandi aziende multinazionali hanno raffinato i sistemi di filtro, in passato quasi esclusivamente relegati a bloccare l’accesso a siti dai contenuti osceni, ma gli sforzi sono stati vanificati da una flessione generalizzata nella qualità dell’informazione sui portali più gettonati e da un’eccessiva indulgenza nell’accostare notizie importanti e di portata globale ad immagini e commenti pruriginosi. I due più frequentati siti italiani dell’informazione non si sono sottratti a questo inesorabile processo. L’uso di materiale fotografico più o meno esplicito e di messaggi ad alto impatto emotivo è indubbiamente il modo più efficace per attirare un maggior numero di navigatori, aumentando la quota di mer- cato e quindi gli introiti pubblicitari. Proprio pochi giorni fa è improvvisamente apparsa sulla home page di Repubblica.it una notizia allarmante circa un sondaggio condotto dalla Durex, noto produttore di profilattici, che ha coinvolto 26mila persone in rete e sulla base del quale i greci risultano essere i più soddisfatti sia per frequenza che per durata delle prestazioni. «Greci più bravi a letto, italiani quinti» recita il titolo-sentenza dell’articolo. Già di per sé la notizia amena, impaginata accanto a quelle di nuovi terribili casi di cronaca nera e alle foto di una sempre raggiante Hillary Clinton, è fuori contesto. Ma è solo soffermandosi sui commenti dei lettori che si denota la pluralità di vedute e la varietà del bacino d’utenza. C’è chi laconicamente rivela quante ore “dura” un suo cugino italiano. Altri, paternalisticamente, danno buoni consigli: «Basta prendere un cucchiaio d’olio extravergine e si arriva a dieci senza difficoltà». Qualcuno (e probabilmente anche noi) è molto più severo: «Notizia di importanza e rilevanza cosmica. Voglio fare anch’io il giornalista, e guadagnare soldi con queste boiate». Il commento dell’utente Ciccio Bello, che poi si scopre vivere in Grecia, è poi il meno diplomatico in assoluto: «Immagino chi possa rispondere a un intervista del genere... sono primi in classifica quelli che l’hanno sparata più grossa! Vivo in Grecia da 5 anni e il maschio locale tipo assomiglia più al Verdone di “Troppo Forte” che a Rocco Siffredi!». Internet sembra purtroppo aver ridato voce a chi giornalista o lettore aveva rinunciato in passato a divulgare notizie inutili e a diffondere idee strampalate. La realtà si è tramutata in reality, e le relazioni umane sono state incanalate in blogs e forums privi di censura ed al di fuori di ogni regola, se non altro di buon gusto. E come in un g rande reality i lettori possono assegnare un voto alla notizia, anche se poi non si capisce perché mai gli argomenti meno votati e più frivoli siano riproposti nel tempo più degli altri. Probabilmente quello che conta è la quantità di click sulla testata e non la bontà dei contenuti. Vogliamo comunque dare un consiglio al simpatico utente Ciccio Bello: nonostante e per ragioni diverse è molto probabile che Carlo Verdone e Rocco Siffredi siano poco conosciuti sulla piazza ellenica, continua pure a mantenere l’anonimato, perché in caso di necessità qui si è in pochi e anche male organizG.C. zati. Opsis: dal g reco antico, visione, punto di vista. Dall’italiano contemporaneo, progetto musicale nobile e ambizioso. Sei i protagonisti, guidati da Francesco Longo, di Galatina, provincia di Lecce, ma da anni residente ad Atene che ha avuto l’idea, quasi la necessità di tradurre Fabrizio De Andrè in greco. Arduo il compito, soprattutto perché non è certo un autore come tanti altri, De Andrè, che annovera un posto di tutto rispetto nello scenario tanto musicale quanto letterario italiano, con quella urgenza e necessità di musica e parole che va di pari passo con l'urgenza di operatività e di azione sociale. È anche merito del supporto morale e dell’entusiasta carica che ha trasmesso loro l'ormai non più console d’Italia, Fabrizio Lobasso, anch’egli virtuoso musicista, se questa idea, all’inizio proibitivo sogno, si è poi trasformata in realtà. E così, con tutte le difficoltà che si possono facilmente immaginare, canzoni indimenticabili come “Amico fragile”, “Creuza de ma”, “La bomba in testa”, “Nella mia ora di libertà”, “Sogno n.2”, “La canzone del padre”, “Un malato di cuore”, “Khorakhanè”, “Sidun”, “Canzone per l’estate” e la “Cattiva Strada” si possono finalmente ascoltare e capire in lingua greca. Appar tenente alla numerosa comunità italo-ellenica di Atene, Francesco Longo desiderava che i suoi tre figli, cresciuti in Grecia con una lingua diversa dalla sua, avessero l’opportunità di capire appieno il significato del pensiero sociale di De Andrè, scrupoloso osservatore degli eventi che negli ultimi quarant’anni hanno caratterizzato i cambiamenti sociopolitici dell’Italia.Tra gli intenti nobili del progetto che più stanno a cuore al gruppo, vi è soprattutto la sensibilizzazione nei confronti del disagio mentale, della schizofrenia e della depressione e a questo impegno è legato anche il loro esordio, lo scorso ottobre, presso il teatro “Dionisios Aeropagitos” al termine di un convegno internazionale sulla schizofrenia. E mentre si lavora alacremente alla produzione discografica, Dori Ghezzi e la fondazione De Andrè collaborano moralmente all’iniziativa, gratificando il 4 progetto con il proprio patrocinio. Il progetto musicale “Opsis”, insieme al fondatore Francesco Longo, voce e buzuki, vede protagonisti anche Emanuele Coluccia, virtuoso del sax, Francesco Congedo contrabbassista, Pasquale D’Intino, medico e appassionato chitarrista, anch’egli residente ad Atene, Flavio Giannandrea, percussionista e Francolino Viva, liuto e chitarra, tutti salentini che, non tralasciando di esprimere ognuno la propria sensibilità musicale, in una chiave musicale che rispetta le partiture originali. M.G. Aprile 2008 Unico rappresentante della Chiesa Cattolica lancia un appello per la biblioteca Dopo quattro anni di inerzia si chiede ai consiglieri un gesto di responsabilità Luca, francescano a Rodi Comites: dimettetevi! «Abbiamo bisogno di libri di teologia, di catechesi, di testi che riflettano su la spiritualità e sulla liturgia della messa. Soprattutto abbiamo bisogno di Bibbie e di Vangeli». Padre Luca, francescano dei frati minori, diciassette anni passati a Gerusalemme, da appena due nell’isola di Rodi, è l’unico rappresentante della Chiesa cattolica sull’isola. Nato in Inghilterra, padre Luca non manca di pragmatismo anglosassone. Quest’anno ha un progetto che intende realizzare: riempire gli scaffali della grande biblioteca che ha allestito nei locali della sua curia. «Ci aiuterà la provvidenza» dice, ma intanto si dà da fare perché la notizia circoli. Li accetta in qualsiasi lingua, in italiano sono ancora più preziosi, perché molti cattolici dell’isola (circa tremila) ancora lo parlano, i più anziani l’hanno imparato a scuola - quando il Dodecanneso diventò colonia italiana - i giovani spesso per aver studiato in Italia, soprattutto all’Università. Poi d'estate arrivano i turisti, molti dall’Italia. Padre Luca si occupa da solo delle cinque parrocchie dell’isola: Santa Maria della Vittoria, la principale all’interno della città fortificata, San Francesco, Sant'Anna, il Sacro Cuore e la chiesina cattolica del cimitero. «Dico messa almeno una volta alla settimana in ognuna delle chiese dellisola. Adesso tocca a me mantenere vivo il culto cattolico e la presenza francescana sull’isola di Rodi. I francescani sono arrivati qui 700 anni fa». Il primo convento di frati a Rodi risalirebbe al XIV° o addirittura al XIII° secolo. Ancora testimonianza che i frati erano già a Rodi prima del 1300, il racconto di Pachymero, uno storico ellenico vissuto tra 1242-1310, che usa per la prima volta la parola “frerii”, senza altre specificazioni, il che fa pensare a frati minori, narrando che Michele Paleologo, imperatore di Costantinopoli, inviò come ambasciatori al Papa, il vescovo di Crotone e due nunzi, “frerii” appunto, di cui uno proveniva da Rodi. Bisogna, però, arrivare alla Bolla papale del 1309 per conoscere il nome di un francescano arrivato nell’isola: fra Pietro. Un frate francese, non di nobili o ricche origini, che poi fu Patriarca a Gerusalemme e infine cardinale a Roma. La Bolla di Papa Clemente V°, del 6 febbraio 1309, ingiunge al gran maestro degli Spedalieri, Fulco de Villaret, di prestare ogni assistenza al suo legato fra Pietro e di trasportare lui e il suo seguito sulle navi dell’ordine cavalleresco. Il frate è nominato legato apostolico in Oriente e il Papa gli concede di condurre con sé quanti frati minori e predicatori voglia con «la facoltà più ampia sul conferimento di benefici e dispense nell’ufficio della sua legazione ed ogni sorta di onori e privilegi». Og gi frate Luca scherza, svelando che lui, tutto solo, ricopre anche l’antica carica di arcivescovo di Rodi. Una carica che risale proprio al 1300, quando il clero latino nell’isola era molto più numeroso. Il titolo ufficiale allora dell’arcivescovo latino di Rodi era quello di archiepiscopus colossensis (dal Colosso di Rodi) mentre l’arcivescovo dei greci ortodossi si chiamava, semplicemente, rhodiensis. Il primo arcivescovo dell’area metropolita di Rodi è fra Bernardo, eletto alla carica il 13 novembre del 1324. L’archeologo medioevalista Giuseppe Gerola ai primi del 1900 rintracciò la lapide sepolcrale di fra Bernardo nel pavimento della sezione femminile di un bag no turc o di una mo schea di Ro di, da cui si evinceva che Bernardo era stato vescovo di Cos (isola vicina) e apparteneva all’ordine dei frati minori. Tra il 1482 e il 1484, periodo durante il quale padre Francesco Suriano soggiorna a Rodi, i due conventi che possedevano i frati, regalati ai francescani dal gran maestro dei cavalieri ospedalieri Giacomo da Milly nel 1457, erano andati pressoché distrutti. Il convento fuori città era stato raso al suolo dall’assedio dei turchi del 1480 mentre quello all'interno era stato danneggiato dal terremoto del 1482. Il gran maestro D’Abusson aveva però dato inizio ai lavori di una nuova chiesa con annesso convento per ricompensare i frati del loro aiuto durante l’assedio dei turchi. La chiesa fu chiamata, infatti, Santa Maria della Vittoria, in ricordo della vittoria contro i turchi del 1480, ma non è la stessa che si può vedere oggi a Rodi, perché fu distrutta dagli ottomani quando conquistarono Rodi nel 1522. Sconfitta che lascerà l’isola fino al 1912, quando fu conquistata dagli italiani, sotto il dominio dei mussulmani. Da quel momento non esiste alcun documento che attesti una presenza francescana sull'isola fino al 14 ottobre 1719, anno in cui la Sacra Congregazione di Propaganda Fide riuscì a far arrivare nell’isola due francescani con il permesso del sultano Ahmad III°. I padri Benedetto Saijer della provincia di San Salvatore in Ungheria e Basilio da Perpoli della provincia di Roma arrivarono sull’isola nel 1720 e «vi trovarono - riporta padre Ciro Ortolani nel suo Costantinopoli e i francescani del 1930 - 44 cristiani e abitarono un fabbricato avente una piccola e sacra cappella in vicinanza del mare ad occidente della città» Elisabetta Galeffi L’Osservatore Romano Delta: la nuova filosofia Lancia (Continua da pagina 1) Data la cronica situazione di stallo, il Comites non ha più alcuna ragione di continuare a far spendere inutilmente soldi (sarebbe comunque interessante conoscere l’ammontare della somma a disposizione del comitato) allo Stato Italiano perché ha perso rappresentatività, autorevolezza e credibilità. È arrivato il momento di prenderne atto. D’altra parte questo Comites aveva il destino già segnato fin dalla sua costituzione: un sostanziale pareggio tra le due liste: sei consiglieri contro sei consiglieri, un capolista - con il maggior numero di preferenze, 673, che si era presentato come l’uomo “al servizio della comunità” - per nulla intenzionato però a lavorare in favore della comunità stessa, ma determinato ad usare quei voti per ottenere il lasciapassare per i palazzi romani, l’altro capolista che non ha accettato che venisse applicato l’articolo riguardante l’elezione del presidente e si è impuntato a non mollare la presidenza per una questione di “anzianità”, un altro ancora, pochi giorni la sua nomina, distribuiva carte da visita con stampata la sua carica. Alla fine di una lungo tira e molla, i sei consiglieri “azzurri” hanno espresso un presidente, appartenente all’altra lista, che però non ha mai goduto della loro fiducia. Perché un presidente andava espresso, pena lo scioglimento. Tanto basta. Ma spesso ci si dimentica che questo Comites è nato con un “vizio di sostanza” che ne ha bloccato ogni possibilità di funzione. Per tutti questi anni è circolata la voce che le elezioni si fossero svolte nonostante “irregolarità” nella raccolte delle firme: era il segreto di Pulcinella. Per cui ritorniamo a quattro anni fa, al tempo della presentazione delle due liste partecipanti. E analizziamo la tabella qui a fianco. Di norma è la somma che fa il totale, tuttavia nella tabella a fianco che riporta il computo delle firme raccolte da “Azzurri nel Mondo” per avere il diritto a presentare una sua lista alle elezioni Comites, questa regola non è stata applicata. La somma fa 96, ma il totale fa 104. Come è possibile? È possibile se si applica la matematica “creativa”, o nello specifico, “politica”: la lista “Azzurri nel Mondo” doveva partecipare alle elezioni, a qualunque costo. Seguiamo la tabella. Firme raccolte: 118, da controllare 52, il che significa che le altre 66 sono valide (è bene ricordarsi di questo numero). Dalle 52 vengono sottratte 2 più 3 più 8, per cui il totale delle firme valide è 39, come correttamente riportato in tabella. A questo punto le firme valide (66+39) dovrebbero essere 105. Tuttavia la tabella scrive 113, specificando che il numero corrisponde al «totale delle firme apposte regolar mente…». Perché aggiungere otto firme che in precedenza erano state sottratte perché «non è possibile verificare» la loro autenticità?. Ancora dalla tabella: da queste 113 vengono sottratte altre 9 firme, totale: 104 firme. Ma il risultato corretto sarebbe stato 96 firme valide: 105 (66 più 39) meno 9. Ma con 96 firme valide Massimo Romagnoli di “Azzurri nel Mondo” non avrebbe potuto presentare la sua lista. Si può sor volare sul fatto che due firme fossero false, sorvolare sulla procedura seguita - si legge dal verbale: «Il Console riferisce di aver interpretato il messaggio ministeriale come una autorizzazione a non invalidare le firme apposte Totale firme apposte Totale firme da controllare Firme cancellate perché contraffatte Firme cancellate perché non apposte in presenza di coll. Cons. Onorario Totale firme che non è possibile verificare Totale firme controllate e giudicate valide Totale firme apposte regolarmente da controllare con i Comuni Firme cancellate perché apposte a) da conn. non iscritti AIRE b) da conn. assenti nell’anagrafe consolare Totale firme sicuramente valide 118 52 2 3 8 39 113 7 2 104 regolarmente su fogli contenenti fir me apposte irregolarmente» (ma gli ar ticoli del c.p.c. 479 e 483 sono espliciti al riguardo) - ma il vulnus di irregolarità resta e ha creato un precedente di conflittualità. È importante sottolineare che si era messo fine alle “indagini” sulla autenticità di alcune firme presentate da “Azzurri nel Mondo” per il bene della comunità: «Al fine di non rischiare - si legge nel verbale - di privare la comunità della possibilità di scegliere tra almeno due liste i propri rappresentanti, di dare un senso a tutto il processo elettorale… ». In buona sostanza è stato il senso di responsabilità e di rispetto verso la comunità a cancellare l’irregolarità del processo elettorale? È stata presa una decisione per il “bene della comunità”, o per gli interessi specifici di “Azzurri nel Mondo”? E di quale “senso”, se non quello di riammettere una lista che aveva barato nella raccolta delle firme? Quindi il tutto si è svolto a “norma di legge”? Gli eventi successivi hanno fornito numerose risposte e svelato le diverse strategie individuali. Ad esempio, il capolista di AnM doveva a tutti i costi partecipare alle elezioni Comites del 2004: era il suo biglietto da visita per il partito, in vista della sua strategia che lo avrebbe portato a Montecitorio. Senza elezione, niente presidenza Comites, niente nomina a consigliere CGIE, e dunque niente candidatura al Parlamento nel 2006. Per queste ragione che, si dice, che le pressioni affinchè la lista di AnM venisse riammessa sono state fortissime e sono state esercitate usando appoggi politici romani di una certo peso. Da una breve cronistoria che andava resa pubblica alla proposta: dimissioni di tutti i consiglieri, inclusi i supplenti. Ma dimissioni confermate da tutti, al di là di ogni ragionevole ripensamento. Sarebbe un gesto apprezzato dalla comunità e sarebbe una dichiarazione di rispetto per coloro che hanno espresso il loro voto. D’altra parte, la logica democratica impone ad un organismo rappresentativo, incapace di decidere e di agire, il dovere di sciogliersi. In caso di dubbi e ripensamenti, preghiamo i consiglieri di leggere il primo comma dell’articolo 2 della legge istitutiva dei Comites : «Il comitato promuove - in collaborazione con l’autorità consolare ed enti, associazioni e comitati operanti nell’ambito della circoscrizione - idonee iniziative nelle materie attinenti alla vita sociale e culturale, all'assistenza sociale e scolastica, alla formazione professionale, alla ricreazione, allo sport ed al tempo libero della comunità italiana residente nella circoscrizione». Ma il comitato fino ad oggi che cosa ha «promosso»? ** Notizie dalle Aziende www.fiat.gr Enelco. Il gestore della rete elettrica greca ha assegnato ufficialmente ad Enel il contratto per la costruzione di un impianto a ciclo combinato nell’area di Livadia, nella Grecia centrale, a nord ovest di Atene. Ad aggiudicarsi la gara è stata la controllata ellenica di Enel, Enelco. La centrale, che sarà alimentata a gas naturale, avrà una potenza di 447 megawatt. L’elettricità prodotta sarà venduta sul mercato ellenico. Enel detiene il 75% di Enelco, mentre il restante 25% del capitale fa capo a Prometheus Gas, a sua volta è partecipato al 50% della russa Gazprom e al 50% della società ellenica Copelouzos Group. Enel è già attiva in Grecia in particolare nel settore dell’eolico. Nel maggio scorso ha firmato un accordo per l’acquisto di impianti eolici per una potenza complessiva di 127 MW, di cui 84 MW già in funzione, il resto in costruzione. Il consorzio Enelco sta considerando ulteriori possibilità di investimento in Grecia, che riguarderebbero la realizzazione di due centrali per un totale di 800 MW, della costruzione di nuovi impianti a lignite e alla distribuzione di gas naturale ad Atene. Enelco, che ha già due licenze per impianti a ciclo combinato in Grecia, a Viotia nel centro e ad Evros nel Nord-Est, guarda anche al settore delle rinnovabili, in particolare all’energia eolica. La gara vinta da Enelco ha fatto seguito alla dichiarazione del regolatore ellenico del mercato elettrico, circa la necessità del sistema di quel Paese di disporre di una nuova centrale da 400 MW all’anno per soddisfare la sempre crescente domanda di energia del mercato ellenico, che ha un tasso di crescita della domanda di energia elettrica superiore alla media europea. La Grecia, ha precisato il gestore della rete elettrica ellenica, ha bisogno di 3.000 MW di nuova capacità proveniente da impianti che dovrebbe essere costruiti entro il 2012 ed l’Enel ha programmato nel Paese investimenti per circa un miliardo di euro da realizzare entro lo stesso periodo. L’operazione risponde alla strategia di crescita di Enel nel Sud-Est Europa. Enel è già presente con suoi investimenti in Romania e Bulgaria e punta ad entrare in Turchia dove sono in atto privatizzazioni nel settore elettrico. Enel, in cooperazione con Prometheus Gas, intende affermarsi come un importante player nel mercato greco in via di liberalizzazione, ed avrà inoltre la possibilità di esportare energia verso l’Italia utilizzando le interconnessioni esistenti. Aprilia. Presentati, in occasione del Salone della Motocicletta, dal marchio del Gruppo Piaggio, alcuni nuovi modelli: Borsoduro, una ipermotard, SX 125 una motard, e la RX 125 una enduro. Ha creato molto interesse il prototipo futuristico di design FV 1200 che monta un nuovo motore bicilindrico raffreddato ad acqua di 1200 c.c. Accanto a questi modelli, il marchio ha presentato tutta la sua attuale gamma, tra cui la Shiver e la Mana. I nuovi modelli, spiega Manolo Lanaro, saranno disponibili per il mercato ellenico a maggio. Stalle e stelle In un quartiere ateniese con fabbriche abbandonate e dismesse, accanto alla ex centrale del gas, da diversi anni ritrasformata in parco culturale del Comune di Atene (Tecnopolis), in via Pireos, tra pochi mesi sorgerà un nuovo tempio della Musica. Sono stati necessari dieci anni per l’approvazione di questo progetto, il quale, data l’eccezionalità del luogo, è stato anche pubblicato in tutte le sue parti progettuali su due edizioni delle Gazzette Ufficiali del Governo. Le principali complicazioni risalgono ad un edificio in pietra del 1800 di notevole importanza storica e vincolato dal Ministero dei Beni Culturali, che si trovava all’interno della superficie in questione. Li si trovava la Scuderia reale (stavlos) che ospitava le carrozze e i cavalli di Ottone, primo re di Grecia. Era rimasto in disuso, poi, per molti anni, agli inizi del 900 e fino al 1999 venne utilizzato come filanda. Il nuovo complesso architettonico sarà composto di due edifici: le vecchie stalle con struttura in pietra e copertura a capriata e teg ole, e uno nuovo di zecca, che al suo interno ospiterà un Auditorium. Un connubio tra antico e moderno che riesce anche ad equilibrare un tessuto edilizio circostante che negli ultimi anni aveva portato al degrado urbanistico di uno dei più vecchi quartieri di Atene denominato GAZI. Le due architetture appunto ospiteranno eventi culturali e artistici di notevole livello nazionale ma anche internazionale con predilezione per il settore musicale. Nello specifico: al piano terra la hall principale di 650mq per 500 persone con un palcoscenico profondo 9 metri e altezza 16 metri fino il proscenio. Su tre livelli intorno alla scena sono previsti i camerini e i servizi annessi. Nella parte opposta al palcoscenico si trovano scale, ascensori per i piani che portano a due gallerie con superficie totale di 660 mq con capacità di accogliere circa 440 persone. Al terzo livello ci sarà un collegamento con una terrazza sulla quale trionferà uno dei più bei ristorante della capitale con vista verso l’Acropoli e il Partenone. La g rande sala adibita ad auditorium sarà la parte più “emblematica” di quest’edificio con i suoi volumi chiusi, tagliati lateralmente e sul fronte principale di via Pireos, da quattro piloni metallici che al piano del marciapiede sorreggono dei portici associati ad una dinamica maglia strutturale a vista che, si solleva sulla strada, e conclude nella copertura inclinata, sorretta da travi in traliccio. L’articolazione spaziale interna dell’Auditorium nella sua volumetria interna permette adattamenti scenici e funzionali in maniera da soddisfare qualsiasi esigenza artistico-musicale. Raffaello Saracini Progettista .gr Aut. Trib. Torino, n.5362 del 10.03.2000 Mensile in lingua italiana Chiuso in tipografia il 31 Marzo 2008 Editore (Εκδότης): Maurizio De Rosa Direttore(∆ιευθυντής): Sergio Coggiola Sede: Arrianu 25, 11635 Atene Tel: +30.210.7248240 In redazione: Valeria Arnaldi, Maurizio De Rosa, Mauro Faroldi, Luca Focardi, Vincenzo Greco, Federico Nicolaci Redazione romana: Salvatore Viglia Via Veneto 108 - Cell: 338.3693774 Impaginazione: Maria Tsantila Tipografia (Τυπογραφείο): Pillar A.E. - Pertsemli 26 Virona 16231 - Atene Gli articoli esprimono opinioni personali e non riflettono necessariamente il pensiero della direzione del mensile