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n° 329 - marzo 2007 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Il Simbolismo, “Spleen e Ideale” Una grande mostra segue il percorso di un movimento che segnò profondamente arti figurative, letteratura e musica tra Ottocento e Novecento aprendo la strada alle avanguardie La Natura è un tempio dove viventi colonne lasciano / qualche volta uscir confuse parole; l’uomo vi passa / attraverso foreste di simboli che l’osservano con sguardi / familiari. Ch. Baudelaire - Corrispondenze (da Spleen e Ideale, in: I Fiori del Male) Nel 1891 Stephane Mallarmé, il più noto dei poeti simbolisti, definiva i principi fondamentali di un movimento artistico e letterario che alla fine del XIX secolo si era ormai affermato in tutta Europa: «Nominare un oggetto è sopprimere tre quarti del godimento della poesia, che è costituita dalla felicità di indovinare poco a poco: suggerire, ecco il sogno. È l’uso perfetto di questo mistero che costituisce il simbolo». All’espressione pittorica della poetica del Simbolismo. Da Moreau a Gauguin a Klimt, Ferrara Arte dedica una grande rassegna, organizzata in collaborazione con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, che si tiene dal 15 febbraio al 20 maggio presso il palazzo dei Diamanti di Ferrara, e si trasferirà nelle sale della Galleria romana dal 7 giugno al 16 settembre. Oltre cento opere, ordinate secondo un criterio cronologico e tematico, ripercorrono lo sviluppo della poetica simbolista illustrando i soggetti che maggiormente fornirono al movimento fonti di ispirazione: la vita e la morte, lo scorrere del tempo, il sogno e il mistero che lo accompagna, i grandi miti. Il percorso espositivo è aperto dagli artisti che a metà degli anni Sessanta dell’Ottocento mirarono ad esprimere sensi e significati reconditi attraverso simboli e raffinate allusioni, e che del simbolismo furono i precursori, da Gustave Moreau a Puvis de Chavannes, fino ai Preraffaelliti inglesi; i loro quadri, ispirati a personaggi e miti della letteratura e della musica, sarebbero divenuti in seguito veri e propri archetipi di temi e motivi prediletti dal simbolismo, come la Salomè di Moreau. Ammirato dai maggiori intellettuali di fine secolo, da Proust a Huysmans, Gustave Moreau fu un artista colto, dedito allo studio degli antichi maestri, rielaborandone la lezione in un linguaggio figurativo elegante e personalissimo. Con le sue opere Moreau impose non soltanto uno stile pittorico caratterizzato da personaggi di una bellezza distante e inaccessibile, ma decretò il successo di soggetti di derivazione letteraria destinati a diventare modelli ricorrenti nella pittura simbolista. La predilezione dell’artista per la tecnica dell’acquerello - che gli consentiva di accentuare l’aura preziosamente evanescente e onirica in cui immergeva le scene rappresentate - tocca una delle sue massime espressioni ne L’apparizione, che si ispira alla vicenda biblica di Salomè, assurta in Moreau a figurasimbolo delle funeste influenze del fascino femminile, in un inestricabile intreccio di eros e thanatos. Inviata da Moreau al Salon parigino del 1876 insieme a un dipinto a olio con la danza di Salomè davanti a Erode, l’opera divenne subito celebre e fu largamente diffusa in numerose riproduzioni; a questo tema Gustave Flaubert dedicò un racconto, Erodiade, pubblicato l’anno successivo. Accomunato a Moreau dalla formazione accademica e dalla tendenza antinaturalistica, Pierre Puvis de Chavannes realizzò quadri improntati da una classicità rivisitata in chiave moderna, caratterizzata da equilibrio della composizione ed essenzialità delle forme, con una tavolozza che prediligeva toni sommessi e colori tenui. Un’at- Gustave Moreau: L’apparizione - Parigi, Musée d’Orsay Edward Burne-Jones: La principessa addormentata Dublin, City Gallery The Hugh Lane pag. 2 mosfera poetica ed onirica, accentuata dalla gamma cromatica di colori spenti e gessosi e dalla ieratica gestualità dei personaggi, pervade Fanciulle in riva al mare, opera che ebbe una vasta eco presso i contemporanei e costituì un punto di riferimento per le generazioni successive, da Seurat a Gauguin a Van Gogh, fino a Matisse e Picasso. Lo scrittore simbolista Gustave Kahn, nel 1888 ne dava un’interpretazione che trovò molto seguito, secondo la quale il dipinto raffigura la stessa donna in tre diverse posizioni: «E quest’arte pittorica, che mostra così, per l’eternità, questi tre istanti dello stesso essere, trasmette l’idea che questo attimo è eterno». In area germanica Arnold Böcklin è la personalità maggiormente rappresentativa del movimento simbolista: definito da Kandinsky «l’esploratore dell’immateriale», Munch riconobbe in lui «la fiamma sacra» che alimentò la propria pittura; il rifiuto di Böcklin nei confronti del naturalismo si richiamava a un ritorno all’antica, mitica, stagione in cui l’uomo viveva a contatto con una natura magicamente animata. In opere quali Villa sul mare e Sera di primavera l’atmosfera sospesa fuori dal tempo e dallo spazio domina un paesaggio che deve «suggerire i moti dell’anima», come scriveva l’autore, e si colloca nella dimensione del mito. In Inghilterra i Preraffaelliti rifiutarono i temi della realtà contemporanea per immergersi in epoche e mondi lontani, rivisitati sull’onda di una fantasticheria letteraria. Le sensuali icone femminili di Dante Gabriel Rossetti na- scono dalle suggestioni della poesia dantesca e anticipano il mito della femme fatale di fine secolo: Beata Beatrix, che ha per protagonista la Beatrice dantesca (chiaramente identificata dalla presenza sullo sfondo della figura del poeta e della sagoma del fiorentino Ponte Vecchio), rappresenta il prototipo e il simbolo di quella che D’Annunzio definì la “gelida virgo preraffaellita”; Edward Burne-Jones, le cui opere vennero esposte ai Salons parigini, influenzò le giovani generazioni francesi con i soggetti tratti da epici mondi passati - interpretazioni di leggende cavalleresche e antiche fiabe, come nella Principessa addormentata, realizzate in uno stile che si ispira dichiaratamente allo studio del Rinascimento italiano. Alla metà degli anni Ottanta la crisi del realismo, la diffusione delle dottrine teosofiche e la ripresa delle estetiche romantiche del primo Ottocento, offrirono terreno fertile per l’affermazione delle poetiche simboliste anche nelle arti figurative oltre che nella poesia - dove il modello era rappresentato da Les Fleurs du Mal di Charles Baudelaire, prototipo del moderno “artista maledetto” - e in musica, con Richard Wagner, profeta dell’opera d’arte totale, mentre Claude Debussy componeva L’après-midi d’un faune, ispirato al poema di Mallarmé, e il dramma lirico Pelléas et Mélisande, tratto da Maeterlinck. Attraverso le esposizioni d’arte e l’intensa attività delle numerose riviste, l’estetica simbolista raggiunse la sua massima diffusione alla fine del secolo, improntando l’espressione arti- Gustav Klimt: Le tre età della donna - Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna stica in tutta Europa e preparando il terreno alla nascita di alcuni fra i più rivoluzionari movimenti del nuovo secolo, dal futurismo all’espressionismo, fino al surrealismo. Una sezione della mostra è riservata ad una straordinaria selezione di opere su carta che documenta l’importanza di questo genere in ambito simbolista, almeno fino all’inizio del Novecento: protagonista principale è Odilon Redon, artista di passaggio tra la generazione dei precursori e quella più giovane, attiva a partire dalla metà degli anni Ottanta, autore di raffinati disegni e straordinari album di litografie, ispirati a Poe e a Flaubert, che traducono in segno grafico l’interpretazione fantastica della realtà nei testi di questi grandi scrittori, creando visioni oniriche, spesso angosciose, cariche di sim- pag. 3 boli e riferimenti a mondi ultraterreni che sembrano preludere alle immagini surreali di Salvador Dalì. Al suo fianco figurano Aubrey Beardsley, le cui rielaborazioni grafiche annunciano le forme dell’Art nouveau, e Edvard Munch, che spicca tra gli artisti dell’area nordica e mitteleuropea: abbandonato lo stile naturalista degli esordi, Munch trasformò ben presto la rappresentazione in espressione del proprio mondo interiore e delle proprie emozioni. L’incontro con la pittura di Gauguin, a forte valenza simbolica, lo spinse verso una sintesi formale realizzata attraverso la linea sinuosa e avvolgente e i colori esasperati che caratterizzano la sua produzione negli anni della maturità, con una evoluzione in senso espressionistico. Il percorso di Paul Gauguin alla ricerca di uno stile proprio, di quella “sintesi” che trovava anche in elementi della tradizione figurativa bretone - esperienza condivisa con il gruppo dei Nabis - giunse infine a compimento nella formulazione di un lessico personale di linee e colori, che costituiva un simbolismo pittorico completamente nuovo: i viaggi alla Martinica e in Polinesia esercitarono sotto questo profilo una profonda influenza sull’artista, che elaborò un linguaggio colto e raffinato, ricco di rimandi sia a modelli della tradizione occidentale, sia a culture figurative proprie di altri continenti, precorrendo in tal modo i tempi e anticipando alcune tendenze delle avanguardie. Durante gli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo, nelle principali capitali eu- ropee nacquero molte associazioni di artisti alternative a quelle accademiche: in dichiarata polemica con i Salons ufficiali, il loro scopo era organizzare mostre a carattere internazionale che accogliessero, senza pregiudizi, opere d’arte moderna di ogni stile e scuola, favorendo in tal modo la circolazione e la diffusione delle diverse tendenze del simbolismo in ogni parte del continente: dalla Francia al Belgio, alla Germania, fino ai paesi scandinavi e dell’est Europa. L’ultima parte dell’esposizione ferrarese è dedicata al perdurare dell’estetica simbolista, nelle sue diverse declinazioni, oltre la soglia del Novecento. Con il nuovo secolo, infatti, i temi prediletti dall’immaginario simbolista continuarono ad ispirare la produzione di artisti che, per esprimere concetti astratti e rendere sensazioni, sperimentarono tecniche pittoriche di grande complessità e originalità. In Italia, il simbolismo di ascendenza letteraria e filosofica che impronta le opere di Giuseppe Pellizza da Volpedo e Gaetano Previati fu caratterizzato dalla nascita di uno stile e di una tecnica del tutto peculiari, che si espressero nel divisionismo. Contemporaneo del neo-impressionismo francese, di cui fu caposcuola Seurat, il divisionismo se ne differenzia profondamente: all’atteggiamento di rigorosa scientificità che impronta la pittura neo-impressionista, per la quale il soggetto scelto rimane secondario privilegiando gli aspetti formali, corrisponde nel divisionismo un frazionamento luminoso delle su- Arnold Böcklin: Villa sul mare - Francoforte, Städelsches Kunstinstitut perfici basato piuttosto sulla sensibilità individuale, coerentemente con una concezione “letteraria” della pittura. Sia che si tratti di opere di contenuto sociale, sia che gli intenti siano espressamente simbolici, il quadro costituisce sempre la traduzione figurativa del concetto che sottintende, e non la diretta ripresa di un brano di realtà; il titolo ha spesso un necessario carattere esplicativo, e anche per questa ragione si può parlare di elementi “letterari”, la cui presenza nell’arte divisionista è particolarmente importante. Nello Specchio della vita (E ciò che l’una fa, l’altre fanno), titolo che Pellizza da Volpedo trasse da una citazione dantesca, e nelle allegorie di Giovanni Segantini quali L’amore alla fonte della vita e La vanità (La fonte del male), la valenza fortemente concettuale della scelta dei soggetti si unisce ad una tecnica pittorica di grande virtuosismo. Il divisionismo aprì la via ad un nuovo modo di intendere i rapporti fra uomo e mondo, che avrebbe portato in pochi anni alle avanguardie storiche, in primis al futu- pag. 4 Giuseppe Pellizza da Volpedo: Lo specchio della vita (E ciò che l’una fa, e l’altre fanno) - Torino, GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea rismo, che affrontava una problematica moderna dell’esistere: non a caso, i padri fondatori della pittura futurista provenivano tutti dall’esperienza del divisionismo, a cominciare da Giacomo Balla. A partire dal 1898, con le mostre della Secessione, l’Austria conosce un’importante stagione artistica che troverà in Gustav Klimt il suo massimo rappresentante, maestro e creatore di quel linguaggio stilistico prezioso e ornamentale che caratterizzerà un’epoca. Klimt è autore di opere di un estetismo raffinato, in cui il linearismo e la ricercatezza delle decorazioni si fondono con elementi figurativi di grande realismo. Le tre età della donna, una delle opere più rappresentative del suo “periodo aureo”, esemplifica al meglio l’estetica simbolista di area mitteleuropea, sia dal punto di vista stilistico che del sog- getto - l’incedere impietoso del tempo davanti al miracolo della vita. I volti sono resi con grande naturalismo, mentre le forme dei corpi vengono trasfigurate in un movimento sinuoso, accentuato dagli elementi decorativi che le racchiudono, con i quali le figure umane si integrano ed armonizzano fino a fondersi in una fantasmagoria di fiori e piccole tessere multicolori, apparendo completamente trasfigurate nella bidimensionalità di una frammentazione caleidoscopica. L’aura rossastra a macchie nere che circonda la donna anziana, impietosamente rappresentata nel decadimento dell’età, sembra allargarsi a coprire la figura della giovane madre, che si trova così stretta fra la vecchiaia incombente e lo sfondo astratto - caratterizzato da un’alta fascia nera e da una serie di campiture plumbee rigate da sottili cascate di piccole gocce. Dipinto nel 1905, Le tre età affronta ancora una volta il tema dell’eterno succedersi del ciclo della vita a cui Klimt aveva dedicato Speranza I e II, entrambi raffiguranti una donna incinta incalzata da minacciosi richiami alla morte. Fondendo gli apporti dei movimenti del suo tempo in uno stile unico e inconfondibile, l’opera di Klimt - che avrebbe vinto la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale d’Arte di Roma nel 1911 - ha finito per costituire la sigla di tutta un’epoca, che raggiunge qui il proprio apice e il momento conclusivo: appena due anni dopo, con Le demoiselles d’Avignon di Picasso, il cubismo irrompeva sulla scena dell’arte aprendo la via alla grande avventura delle avanguardie del Novecento. donata brugioni