Qui - Castelluccio Inferiore

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Qui - Castelluccio Inferiore
COMUNE DI
CASTELLUCCIO INFERIORE
Le feste
18 e 19 marzo
24 e 25 marzo
31 maggio e 1° giugno
26 luglio
Festa di San Giuseppe: sera del 18 Accensione dei falò (“fucarazz”) nei rioni
principali del paese, con sagra gastronomica; il 19 fiera di San Giuseppe e
sagra della trippa.
Il 24 sera accensione dei falò, come il 18 marzo, e il 25 mattino fiera dedicata
alla SS.Annunziata.
Festa della Betata Vergine Addolorata, con solenni celebrazioni a cui
segue una processione per le vie del paese. La festa commemora il
miracoloso evento verificatosi a Castelluccio Inferiore il 1° giugno 1896,
quando un violento nubifragio si abbattè sul paese. Un gruppo di
pellegrini provenienti da Papasidero, per assistere a Castelluccio
Superiore al funerale della Beata Maria Angelica Mastroti, morta
qualche giorno prima in concetto di santità, per ripararsi cercò rifugio
nella chiesa di San Nicola di Mira. Essi, mentre erano in preghiera
davanti alla bellissima ed espressiva statua dell’Addolorata, videro che
questa muoveva gli occhi. Il miracolo fu confermato dalle autorità
ecclesiastiche,e da allora ogni anno si onora tale ricorrenza.
festa di S. Anna con processione religiosa, he muove appunto dalla chiesetta
a lei intitolata, nell’omonimo rione.
27 luglio
fiera (autorizzata fin dal 1805) e festa della Madonna della Neve nella località
omonima.
Terza domenica di settembre
Dicembre
da circa un decennio
processione religiosa della Beata Vergine Addolorata.
festa religiosa di S. Nicola di Mira, patrono del paese.
si svolge il carnevale castelluccese con cortei e carri provenienti anche da
comuni limitrofi. La manifestazione dura tre giorni.
•
CENNI STORICI ED ELEMENTI DI INTERESSE
LE ORIGINI
Le opinioni sulle origini sono diverse, ma i risultati degli scavi archeologici confermano una
genesi molto antica.
Un tentativo di ricostrure una storia di Castelluccio, fu compiuto da G.Arcieri con la sua
sintetica Monografia, inserita nell’opera del Cirelli “Il Regno delle Due Sicilie descritto ed
illustrato”, dedicata al Re Ferdinando II - 1853 - vol.V - : ”Ambo i Castellucci hanno dovuto
avere una medesima origine; quando non si sa. Sono due le opinioni; o che abbian dovuto
sorgere dalla distruzione dell’antica Tebe Lucana, o fondati da un certo Lucio, antico Capitano
Lucano, che la tradizione vuole quivi perito. Si cita Plinio, l.3 cap.II, ma costui altro non dice
che la Tebe, colonia
sibaritica, era perita fin dà tempi di Catone; si citano Sigonio e tra gli altri scrittori De Lauro,
ma costoro neppur nulla accertano di positivo………… (Tebe Lucana) … era impiantata nel
piano or detto Campanella, tra il Castelluccio Inferiore e Laino. Idrograficamente giaceva nel
centro del bacino del Lao o Mercuri, tra questo fiume, e l’altro S.Giovanni. Essendo pianura
seminatoriale, perciò le sue monete rappresentano un bue….”
e conferma il ritrovamento
di
“moltissime anticaglie quivi rinvenute attestanti che in questo luogo sia esistita detta
celebre città, ad onta della contraria opinione del Barrio e del Ferraro, …….basta dire che
esistono tuttavia i ruderi”, ma alla fine conclude: “Nell’oscurità dunque in cui giacciono le
antiche cose, diciamo che verosimilmente il castello ed il paese furon costruiti nel Medio
Evo…………. Il paese fu unito sotto una sola signoria, sotto una sola amministrazione, e sotto
un’identica direzione spirituale: ma non potevan rimanere uniti. Dal 1502 cominciò la
divisione, che fu compiuta interamente nel 1813…….”
Secondo lo storico Antonini, dai notevoli reperti rinvenuti in località Campanella e S. Gada,
verso Laino Borgo, il paese ebbe origine da Tebe Lucana. Della stessa idea è lo storico
napoletano Lorenzo Giustiniani, che scrive: "Finalmente debbo avvisare, che nel territorio di
questa terra si sono ritrovati molti idoletti, vasi, e di antichissima struttura, medaglie, sepolcri
e specialmente nel luogo dove si dice la Croce, in Pietrasasso, e Fornace, segni tutti di esservi
stata nell'antichità qualche popolazione distinta, e forse quella appunto di Tebe Lucana". Il
Giutiniani, però, a un certo punto sorvola sull’origine antica del paese, e nel suo “Dizionario
Geografico Ragionato del Regno di Napoli – 1797 - sulla nascita del paese e e sul nome,
conclude così: “Evvi tradizione, che dal suo fondatore chiamato Lucio, il quale fondò anche un
castello con quattro torri, chiamossi dapprima Castello di Lucio, indi per abbreviamento
Castelluccio”.
Ovviamente questa soluzione è molto fantasiosa,il nome del luogo è molto diffuso e
sicuramente si riferisce a Castelluccio Superiore, che per la posizione e struttura urbanistica
era un luogo fortificato, con due porte di accesso di cui ancora oggi si ricordano i nomi:
Porta Roma e Porta Castello.
Dalla fine del Settecento ai primi del Novecento, vi furono numerosi scavi clandestini nella
conca di Castelluccio, che rivelarono un patrimonio ricchissimo di oggetti e reperti,
dispersi poi tra i musei d’Europa e d’America, se non addirittura distrutti. Il barone
austriaco Von Koller, saccheggiò parecchie tombe nell’area di Campanella. I risultati furono,
tra l’altro, la scoperta della bellissima hydria a figure rosse, e il vaso comunente noto come
“olla di Castelluccio”,oggi entrambi in un museo di Berlino. La cosidetta “olla di Castellucio”
è un vaso attribuito al V secolo a.C. e che riporta un’iscrizione in lettere dell’alfabeto acheo,
con una frase che sembra dedicatoria e di carattere pubblico. Questi due ritrovamenti
hanno suscitato un enorme interesse, a livello internazionale.
La questione sulle origini di Castelluccio, è stata sempre un ideale della tradizione colta.Gli
storici si sono dibattutti sull’identificazione di Tebe Lucana, della quale in realtà ancora non
si conosce nulla, e già ai tempi di Catone ne rimaneva a stento il ricordo. Castelluccio ha
avuto sicuramente origine dalla Nerulum romana, a sua volta riscostruita dalle rovine della
Nerulum lucana. Il fenomeno dello spopolamento delle aree a valle, dovuto alle incursioni
dei barbari e poi dei Saraceni, oltre che all’impaludamento, ha fatto sì che si creasse un
insediamento a monte, che ha dato origine a Castelluccio (Superiore). In un secondo
momento si è avuta una seconda espansione verso i due promontori che portano a valle, e
quindi un nuovo abitato che ha dato poi origine a Castelluccio Inferiore. I due centri abitati
vengono identificati con un solo nome: “Castelluccio” e il territorio circostante, oggi Valle
del Mercure, è stato sempre indicato come “Conca di Castelluccio”.
Archeologia, arte e storia alle sorgenti del Lao:
“Nerulum fu un antica città fondata dai Lucani attorno al VI secolo a.C. menzionata da Livio,
oggi tra Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore. Fu distrutta dal console Lucio Emilio
Barbula nel 317 a.C. e in seguito ricostruita. Posta lungo la via Popilia (da Capua a Reggio) ed
all'incrocio con l'altra via romana Herculea (Venosa-Grumentum-Nerulum), la città ha
vissuto un periodo molto ricco, soprattutto dal punto di vista culturale, essendo venuta in
contatto con molte popolazioni. Un'altra traccia della sua esistenza si trova nello scritto
Antonini Itinerarium, da cui si apprende che era situata sulla strada tra Capua e Rhegium
moderna (Reggio Calabria), la quale si incrociava con un'altra strada che andava da Venusia
(Venosa) a Potentia moderna (Potenza) e Grumentum (Grumento Nova) verso le frontiere del
Bruttium. I nomi e le distanze in questa parte dello scritto sono troppo rovinate e confuse per
essere decifrate correttamente: l'Antonini Itinerarium colloca Nerulum 22.5 km (o secondo un
altro passaggio 25 km) a nord di Muranum (Morano Calabro). Quindi secondo queste
indicazioni, Nerulum, dovrebbe essere situata in prossimità di Rotonda (altra ipotesi), presso
le sorgenti del fiume Lao.”
Negli anni ’80 furono attuate, dalla
Soprintendenza Archeologica della Basilicata e diretti dalla d.ssa Paola Bottini del Centro
Operativo di Maratea, importanti campagne di scavo nel territorio di Castelluccio Inferiore
e Superiore. A Castelluccio Inferiore furono trovati notevoli corredi funerari negli scavi di
Madonna della Neve, Campo Sportivo, Campanella, Guarancio e Pietrasasso. Ma lo scavo più
rilevante è stato quello di Vigna della Corte, nella primavera del 1983. L’area archeologica
individuata è posta a valle dell’ex S.S. 19, all’ingresso occidentale dell’abitato, proprio
nell’ambito del casale di Vigna della Corte, un tempo appartenente al marchese. Lo scavo ha
portato alla luce 12 ambienti, un vano porticato, un cortile pavimentato in cocciopesto,
impianti igienici e una fornace. Numerose tessere in calcare bianco e pasta vitrea azzurra
dimostrano che la costruzione aveva anche pavimenti in mosaico. Nei colori delle pareti
prevaleva il rosso con inserimenti in tarsie marmoree. Quanto è emerso, fa pensare a una
villa rustica, ma trovandosi quasi sul tracciato della via Popilia, non è da escludere che
l’insediamento abbia rivestito la duplice funzionedi villa-mansio (stazione di sosta). Vennero
alla luce materiali di varie epoche, di età repubblicana e di età imperiale, fino al IV secolo
d.C. Oltre ad una quindicina di monete, alcune indecifrabili, e una moneta di Cartagine
risalente alla II Guerra Punica, fu trovato un bellissimo bronzetto a busto di Sileno con
elementi ageminati in argento, che pare facesse parte di un lussuoso letto, databile tra il II e
il I secolo a.C. Tutti i pezzi sono oggi visibili nel museo archeologico di Rivello.
L’individuazione di questo insediamento a Castelluccio Inferiore, la cui vita va dall’Età
Repubblicana al IV secolo d.C., porta il paese all’identificazione con la “Nerulum romana”,
che era in stretto rapporto con la via Popilia, continuando a comparire come stazione viaria
nelle opere geografiche dell’Alto Medioevo, tra cui la Tabula Peutingeriana. l ritrovamenti
avvalorano il pensiero degli storici, che in passato si sono occupati della questione, anche
se ne hanno identificato la città con Tebe Lucana.
Applique in bronzo a busto di Sileno
Castelluccio Inferiore, campo sportivo-coppa ionica sporadica
Lebes gamico da “Guarancio” lato A (sin.) e lato B
Hydria antica –(museo di berlino)
Frammenti di affreschi
Monete di Vigna della Corte
IL MEDIOEVO
Dopo la caduta dell’Impero Romano si ebbero le prime invasioni barbariche, ed i re ostrogoti
istituirono la giurisdizione del “corrector Lucanie et Brittiorum”. Seguirono i Longobardi, e
contemporaneamente le incursioni dei Saraceni, che in alcuni casi si trasformarono in
insediamenti stabili. A queste realtà si aggiunseo gli insediamenti bizantini, prima lungo le
coste, poi nell’interno, e quindi nella Valle del Mercure. Cominciò così il fenomeno del
Monachesimo Greco, questo periodo va dal dal X all’ XI secolo, con la fondazione
dell’Eparchia del Mercurion, che corrisponde fondamentalmente alla Conca di Castelluccio.
Il Monachesimo Greco è importante, sia dal punto di vista religioso che culturale. L’area in
considerazione, per la sua conformazione geografica e la sua ricchezza di grotte naturali,
ben si adattava alle aspirazioni dei monaci greci, che vi potevano esercitare il loro rigore
ascetico. In questo periodo, che durò circa un secolo, si ebbero la fondazione di vari
conventi e luoghi di culto, alcuni dei quali sopravvissuti ancora oggi. Le figure di maggior
spicco furono S.Nilo e S. Saba.
DALLA DOMINAZIONE NORMANNA AL SETTECENTO
Il Monachesimo Basiliano finì con la dominazione normanna, che in opposizione all’impero
di Bisanzio, fece ritornare il territorio al rito latino. I Normanni, con l’imperatore di
Federico II di Svevia, divisero il territorio dell’Italia Meridionale in contee e ducati, e in
una suddivisione aministrativa in “giustizierati”. Castelluccio, quindi, entrò a far parte
della Contea di Lauria, sotto il potere del Grande Ammiraglio Ruggero (da un documento
del 1275 [o 76], Ruggero di Lauria era ancora Signore di Castellucio). Attraverso la sua
discendenza (secondo il Caterini dopo il 1310) e con il matrimonio di Ilaria di Lauria, il
feudo di Castelluccio passa alla potente famiglia Sanseverino. Si susseguirono gli esponenti
di questa famiglia, e nel 1462 Barnaba Sanseverino prese possesso di Castelluccio. Qui, il 7
giugno del 1464, sposò la cugina Luigia Sanseverino. Nel 1485, lo vediamo gravemente
compromesso nella Congiura dei Baroni contro il Re Ferrante D’Aragona.
Questa autorevole famiglia si suddivise in due rami, quello dei Principi di Salerno e quello
dei Principi di Bisignano, ma attraverso i matrimoni, che avvenivano quasi sempre tra di
loro, spesso i due rami si intrecciavano, per cui i feudi passavano or ad uno or all’altro. Nei
primi del Cinquecento, attraverso il matrimonio di Antonia Sanseverino dei Principi di
Salerno, con Giovambattista Cicinelli-Napolitano, il feudo di Castelluccio passò al figlio
Galeazzo. Infine, per un passaggio non noto, subentrò, nel 1550 circa, il barone
Giovannantonio Palmieri, e Castelluccio venne aggregato a Latronico.
Il paese viene nominato, infine, nella stipula degli “Statuti di Laino”, che Venceslao
Sanseverino qui firmò nel 1551, ma forse la sua famiglia non ne era più feudataria.Nella
seconda metà del XVI secolo, il barone Palmieri morì senza eredi. Il feudo fu di nuovo
requisito dalla Regia Camera Feudale, che nel 1570 lo vendette a Camillo Pescara Di Diano,
con il titolo di Barone. Il dominio comprendeva, oltre a Castelluccio Inferiore e Superiore,
anche Agromonte. Subentrò quindi quest’altra nobile importante famiglia del Regno di
Napoli. Gli storici ci informano che,
proveniente dal Piemonte, si trasferì nell’Italia
Meridionale nel XIV secolo. I suoi esponenti ebbero numerosi feudi, in Campania, Basilicata
e Calabria, e importanti cariche civili ed ecclesiastiche. Dai baroni di Mottafollone e San
Lorenzo del Vallo, in Calabria, si dipartirono le due grandi casate: Marchesi di Castelluccio
e Duchi di Saracena. Con l’acquisizione del feudo di Castelluccio, il Barone Pescara Di
Diano, al contrario dei predecessori, si trasferì stabilmente nel nuovo possedimento, e suo
figlio Cesare, nel 1620, ottenne dal Re FiIippo III di Spagna, il titolo di Marchese di
Castelluccio.
DALL’OTTOCENTO AD OGGI
I Pescara dominarono fino alla legge eversiva della feudalità, emanata da Giuseppe
Bonaparte–Re di Napoli- nel 1806. In questo periodo, in cui i già noti episodi
particolarmente sanguinosi interessarono il territorio, il paese subi l’occupazione militare
francese. I soldati invasero principalmente il Convento dei Padri Minori Osservanti e il
Palazzo Marchesale. Durante il Decennio Francese–1806/1815–con Giuseppe Bonaparte, e
poi Gioacchino Murat, i due nuclei di Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, uniti
da una sola università (l’allora Comune), si scissero definitivamente in due comuni. La
divisione ecclesiastica era già avvenuta molto tempo prima, in seguito ai contrasti tra i due
cleri. Quindi, dopo l’abolizione della feudalità e degli enti ecclesiastici, ed il passaggio delle
terre da feudali a demaniali, si provvide alla divisione del territorio dei due nuovi comuni. A
tale scopo, fu nominato un commissario ripartitoree le operazioni si conclusero nel 1813.
Durante il periodo napoleonico, dopo che i Francesi ebbero conquistato il territorio della
Valle del Mercure con il sacco di Lauria e la Battaglia di Campotenese, siverificarono i primi
fenomeni di brigantaggio. La particolare conformazione del territorio, che prima aveva
favorito il Monachesimo Basiliano, in questo periodo (come poi anche immediatamente
dopol’Unità d’Italia), permise il nascondiglio dei briganti. Tristemente nota era la banda del
Galdo, e tra il 1808 ed il 1809, si rese protagonista di azioni criminose. Gaetano Arcieri:”I
briganti due volte entrarono nel paese, e fu ventura che non si soggiacque a grave castigo per
parte dè vincitori”.
Dopo la Restaurazione Borbonica, il Re Ferdinando II, compì due viaggi che lo portarono in
questa zona, il primo subito dopo la feroce repressione dei Moti Cilentani del 1828, e l’altro
nel 1852, quando, accompagnato da due suoi figli, pernottò a Castelluccio Inferiore nel
convento dei Padri Minori Osservanti, il 30 settembre. De Cesare - La fine di un Regno:”Sulla
fine di settembre del 1852, il re volle dare agli esercizi autunnali d’istruzione per l’esercito
un’importanza maggiore del consueto, e ordinò che una colonna mobile, formata da due
divisioni con otto squadroni di cavalleria, e venti pezzi di artiglieria, partisse alla volta delle
Calabrie. Il movimento delle truppe ebbe luogo nei giorni 23, 24, 25 e 26 settembre,
concentrandosi tutta la colonna nei dintorni di Lagonegro. Il Re s’imbarcò la sera del 27
settembre a Napoli sul Fulminante, insieme col principe ereditario, che contava quindici
anni, e al conte di Trapani….. La sera di quel giorno il Re dormì a Torraca, facendo la prima
tappa da da Sapri a Torraca, a piedi per mancanza di strade. Alloggiò nel castello del
marchese di Poppano, Don Biagio Palamolla… Fu quella la sola eccezione che Ferdinando
fece al suo proposito di non accettare a nessun patto, ospitalià da privati….alla Taverna del
Fortino trovò una berlina di corte, e in essa entrò a Lagonegro alle 4 pomeridiane del 29. A
Lagonegro alloggiò alla sottointendenza; a Castelluccio dai Minori Osservanti…..” - Gaetano
Arcieri:”….Il Sovrano in occasione del suo passaggio per colà nel 1852 largiva ducati 700, per
lo restauro di essa (la porta della chiesa), e vuolsi memorare che nel Cenobio stesso volle
albergare col Principe erede del trono e con un suo fratello. I cenobiti han voluto
tramandare ai posteri questo singolare avvenimento con apposite iscrizioni sulle pareti delle
stanze occupate dagli Augusti Ospiti…..”
Nel 1860, Garibaldi fece un trionfale ingresso a Rotonda il 2 settembre: vari comuni insorsero
contro i Borboni, ma poiché nel territorio di Castelluccio vi erano acquartierate le truppe
borboniche, il Generale, su consiglio e aiuto di Don Bonaventura De Rinaldisdi Rotonda, le
aggirò dirigendosi verso Nord-Ovest. Raggiunse Tortora e da Castrocucco arrivò a Sapri.
Dopo l’Unità d’Italia il fenomeno del brigantaggio si acuisce, e come dice il Guida “fu uno
spaventoso e doloroso fenomeno sociale, economico e politico, nato da condizioni di estrema
sperequazione tra le classi di cittadini, a danno soprattutto del ceto contadino, che, in
condizioni di estrema povertà e oppressione, vede spesso nel brigante la figura stessa della
giustizia”. Si ritiene che l’atto di nascita del brigantaggio in Basilicata, siano stati i tumulti
scoppiati durante il Plebiscito del 2 ottobre 1860, così come avvennero a Castelluccio
Superiore. Prima si conoscevano solo pochi gruppi di briganti, ma dal 1861 in poi il
Lagonegrese cominciò a vivere un periodo molto tormentato. Fu solo verso il 1880 che il
fenomeno fu quasi definitivamente debellato.
Verso la fine dell’Ottocento, in conseguenza dei radicali cambiamenti politici e sociali,
interi nuclei familiari, da tutti i paesi del Lagonegrese, cominciarono ad espatriare verso le
Americhe. Il periodo cruciale va dal 1880 alla I Guerra Mondiale.
Nel 1902 si ebbe l’introduzione dell’energia elettrica, e importanti miglioramenti nelle
comunicazioni, con il progressivo adeguamento della rete stradale, e la realizzazione del
tratto della ferrovia Lagonegro-Castrovillari.
Castelluccio Inferiore è felicemente dotato di opere artistiche di un certo rilievo. Tra i suoi
beni, prevalentemente ecclesiastici, spiccano particolarmente le opere in stile barocco, tanto
che il paese è stato definito “cittadella del barocco”. Questa particolarità è dovuta alla
circostanza che i feudatari Pescara Di Diano, al contrario dei signori dei paesi limitrofi, a
cominciare dal secolo XVII, hanno dimorato stabilmente nel paese pur continuando a
mantenere stretti contatti culturali con Napoli, che hanno creato una fitta rete di
conoscenze artistiche, estese anche alle altre classi sociali.
Un AVVENIMENTO STRAORDINARIO avvenuto in Castelluccio Inferiore, nel 1482, è stato
il passaggio di San Francesco di Paola, che vi compì il miracolo del vino.
Gaetano Arcieri:
“Nel Castelluccio Inferiore accadde il miracolo di San Francesco di Paola, mentovato dagli
agiografi della vita di lui. Il Santo, proveniente di Rotonda e dirigendosi a Napoli, chiedeva un
sorso di vino ad una donna. Costei rispondeva dolcemente che il suo carratello era da pochi dì
vuoto, poiché erasene consumato il liquido, e che perciò trovavasi aperto: ma il santo
avventore con maggior dolcezza insisteva, che pur andasse a vedere, perlochè facilmente vi si
troverebbe qualche poco di vino. Meravigliata, e mossa da cotesta insistenza, colei ubbidinete
e docile, andò a visitare la piccola botte, e con sua grande sorpresa, trovò la botte chiusa e
piena……….”
Padre Isidoro Toscano, in una biografia del santo calabrese edita a Napoli da Altomare, nel
1860:
“Passato Campo Tenese, giunsero senza torcere il cammino ad una terricciuola nomata
Castelluccio, in cui limosinando, chiesero ad un cittadino la zucchetta di vino; quegli
cortesemente rispose non averne, perché di già la sua botte era vota da molti giorni. Volendo il
Santo premiare il gentil tratto di quel buon uomo nel compatire a’ Servi di Dio, gli disse: Per
carità, fratello andate alla vostra botte, chè ancora non vi manca del vino. Sentendo colui
entro il suo cuore viva confidenzanelle parole del Santo, andò alla botte, e ritrovatala piena,
restò immobile per lo stupore, e pubblicò il miracolo a tutti i cittadini, che per maraviglia
accorsero a vederlo, assaggiando quel dolcissimo nettare di Paradiso. E conosciuta vieppiù la
santità di Francesco, con molte cortesie sé stessi ed ogno loro avere affettuosamente gli
esibirono.”
Il 9 settembre 1998 alle ore 13.28 si è registrato un evento sismico di Magnitudo 5,6 Richter
con epicentro nei comuni di Castelluccio Inferiore e Superiore. Registrate numerose lesioni
ai muri portanti ed ai tetti delle abitazioni, con crolli di cornicioni e tegole, che hanno
indotto l'inagibilità di alcune di esse con sgombero degli occupanti.
Gravemente danneggiati il palazzo comunale, il campanile e la Chiesa Madre. Quest'ultima,
è stata riaperta al culto il 6 dicembre 2012, dopo 13 anni di ristrutturazione.
Patrimonio architettonico (religioso, civile e rurale) e artistico:
Immagine della Chiesa Madre
Di notevole pregio è la chiesa madre, intitolata a Nicola di Mira, patrono del paese, il cui
culto proveniente dall’Oriente, e sviluppatosi in particolare nell’Italia Meridionale, diffuso
dai monaci basiliani, era molto consolidato nei paesi della Valle del Mercure e del
Lagonegrese. Non è nota l’epoca precisa della sua fondazione, ma si intuisce che risalga al
Medio Evo e presumibilmente intorno alla metà del XIII sec. L’Arcieri scrive che
nell’oratorio adiacente la sacrestia si rilevava l’anno 1286, ma di questa testimonianza non vi
è più traccia. Tuttavia la sua struttura originaria conferma tale affermazione e il suddetto
oratorio ha la volta a botte “affrescata con motivi classicistici”, databile al XIV sec. In
seguito all’incremento della popolazione, ebbe un primo ampliamento nei secc. XV e XVI,
infatti nel primitivo pavimento si leggeva un tempo la data 1575, quindi l’anno in cui si
iniziarono i lavori. Un’ ulteriore e definitiva estensione la interessò verso a metà del
Seicento, in cui assunse l’assetto e le proporzioni attuali. Oggi è un vasto edificio sacro a
croce latina ed a tre navate. Alla scarna e lineare decorazione originaria, si sovrappose una
ricca ornamentazione in stucchi, in stile barocco. L’abbellimento interno, iniziato nella
seconda metà del sec.XVII, si protrasse poi per tutto il secolo seguente, ovviamente in modo
non sempre unitario e in relazione al gusto del momento, tuttavia le varie fasi decorative si
fondono armonicamente in tutto l’ambiente.Varcata la soglia, ci si introduce nella bussola
della controporta, sul cui soffitto ligneo vi sono i dipinti eseguiti dal pittore Angelo Galtieri
da Mormanno nel 1735: “San Michele Arcangelo”, “L’Annunciazione della Vergine” e “La
Sacra Famiglia”. Sopra la bussola è la cantoria con l’organo (purtroppo ormai monco), in
legno intagliato e dorato, del 1779. La navata centrale, oltre alla decorazione in stucchi,
eseguita come si è detto in più riprese, presenta il meraviglioso ciclo di affreschi, realizzato
dal già ricordato Angelo Galtieri, dal 1731 al 1737, come confermato dall’autore stesso sui
dipinti e come si deduce dai registri dei pagamenti. Nell’ordine superiore, tra le finestre,
sono illustrati gli episodi più salienti dell’Antico Testamento. Nell’ordine inferiore, nei
pennacchi degli archi della navata, i soggetti degli affreschi riguardano il Nuovo Testamento.
Purtroppo non c’è rispondenza tra le pareti e la volta, che fu abbattuta negli anni Cinquanta
del Novecento, perché ritenuta fatiscente, causando la perdita, oltre che degli stucchi, anche
dei tre grandi affreschi ovali, che Genesio Galtieri, forse figlio di Angelo (o comunque suo
congiunto), dipinse nel 1792. Ma il recente restauro ha creato un ottimo collegamento tra la
volta e le pareti laterali inserendo nuovi elementi decorativi, che redono l’insieme armonico.
L’altare maggiore è un commesso marmoreo di grande effetto e di grande pregio, la cui
realizzazione abbraccia un lungo periodo di tempo che va dal 1740 fino al 1766. Il lavoro fu
terminato e posto in opera dal maestro “marmoraro” napoletano Arcangelo Staffetta, che si
avvalse anche di collaboratori sul posto. Il marmo venne lavorato anche a Castelluccio
Superiore, centro più vicino alla cava di marmo di “alabastro cotogno”, che era stata
scoperta nel 1744 in località “Difesa”, ed èquello prevalentemente usato nella realizzazione
del pregevole manufatto, unito al diaspro di Sicilia, al giallo di Siena, al bianco di Carrara, al
verde antico e al nero di Calabria. Davanti all’altare maggiore era la bellissima balaustra
scolpita nel pregiato marmo locale (che Gaetano Arcieri definiva “nostro marmo cittadino”
e “marmorea pietra melata, che riceve la politura e riesce di bell’effetto”). Dopo il restauro
della chiesa, la balaustra è stata divisa e posta all’ingresso dei due cappelloni laterali.
L’opera, là dove si trovava era il compimento della decorazione barocca dell’edificio sacro,
perchè inserita in un contesto storico-artistico e filologico inscindibile, in cui ogni elemento,
decorativo o di culto, “dialogava” con l’altro e l’insieme era di grande fascino e armonia. La
balaustra è un importante lavoro del Settecento Napoletano, formata da plinti divisori di
grande robustezza che presentano al centro un riquadro inciso e ribadito ai lati da un
motivo scolpito a gigli cadenti. Il traforo è molto elegante, formato da vòlute marmoree che
inquadrano uno scudo sormontato da elementi ‘rocaille’ a conchiglia. Di disegno molto
originale, si inserisce nella corrente creata a Napoli, da Domenico Antonio Vaccaro. Il
disegno e il cartone vennero realizzati da Arcangelo Staffetta nel 1762, ma il lavoro si
protrasse per molto tempo, ed in seguito, nel compimento e nella posa in opera, avvenuta
nel 1787, subentrò Gaetano Varriale, altro maestro “marmoraro”, proveniente da Napoli.
Altro notevole manufatto in marmo, realizzato dallo Staffetta nel 1764, è l’acquasantiera,
situata nel primo pilastro a destra. Nelle spaziose navate laterali, o navatelle, sono disposti
tre altari per ogni lato, su cui sono montate tele del Settecento. La più importante è quella
della Madonna del Rosario, firmata da Antonio Ferri e datata 1747. Nei bracci delle navate
laterali vi sono due grandi cappelle con cupole. Quella a destra era intitolata a San Carlo
Borromeo, di patronato della famiglia marchesale, la cui fondazione risale al 1620. Sull’altare
era l’ interessante scultura in legno, del Seicento, del San Carlo giovinetto, oggi in restauro,
e sostituita da una statua in legno, di San Giuseppe. Qui è esposto anche l’imponente ed
espressivo crocifisso del Seicento, restaurato di recente. Il cappellone a sinistra è
denominato del Purgatorio o del Redentore, dedicato al Cristo Risorto. Nella nicchia è la
bella scultura in legno, acquistata a Napoli, del 1769. Ai lati vi sono due grandi tele
illustranti, una “L’Ultima Cena” e l’altra “La Sacra Lavanda”, di Giulio dell’Oca, del 1687. Alle
pareti laterali della cappella, sotto le tele, vi erano montati gli stalli in legno di noce di un
piccolo coro, probabilmente del Seicento, che confermano come la cappella fosse luogo di
riunione della Confraternita del SS. Sacramento, che gestiva i beni della chiesa. Dietro
l’altare maggiore è l’abside, con il coro in legno di noce lavorato a intaglio. Inserite nella
ricca decorazione delle pareti vi sono due tele molto grandi, di cui non è noto l’autore,
dipinte tra la finedelSeicento e l’inizio del Settecento: “Leone X che ferma Attila” e “La
liberazione del fanciullo Deodato”. Della prima anche l’Arcieri osserva che l’autore si ispira
al bassorilievo di Alessandro Algardi, nella Basilica di San Pietro a Roma, eseguito tra il 1646
e il 1653. Nella nicchia dell’abside vi è una pregevole scultura di San Nicola con il piccolo
Deodato. Sopra le due tele, là dove le decorazioni in stucco diventano ancora più ridondanti,
circoscritti da ghirlande di fiori e frutti, vi sono i due busti dei committenti di tale lavoro,
terminato nel 1689 ed aperto al pubblico nel 1690. La tradizione vuole che si tratti del
Marchese di Castelluccio e di sua moglie, ed attraverso studi araldici è stato possibile
definire l’esatta identità dei due personaggi. Gli stucchi del coro, oggi oggetto di studio, sono
di pregevole fattura e realizzati sicuraramente da un artista-decoratore proveniente da
Napoli, nell’ultimo quarto del Seicento, non estraneo alla cultura diffusa da Dionisio Lazzari
e Domenico Antonio Vaccaro. Dal coro, attraverso una porta in noce scolpito, si accede
alla sacrestia. In questo vasto ambiente, vi sono, allineati lungo le pareti gli splendidi armadi
intarsiati in legni pregiati, del 1775. Qui erano custoditi i preziosi parati (GaetanoArcieri:
“Nulla diciamo delle magnifiche pianete, omerali, piviali etc”), di cui la chiesa era ed è
copiosamente provvista, le suppellettili in argento, i registri parrocchiali, le bolle e
lepergamene antiche.“I paramenti sacri delle chiese di Castelluccio provenivano dai
laboratori di Napoli e della provincia, che dal Seicento sino all’Ottocento erano molto attivi
e attestavano una valida struttura corporativa. Ricordiamo alcuni esempi emblematici, tra
cui la pianeta in seta bianca ricamata in fili d’oro e serici policromi, di gusto tardo-barocco:
nella parte anteriore fogliami, fiori e due pappagalli tra vòlute e foglie dorate; sul retro,
analoghi elementi decorativi con uccelli inquadrano la targa raffigurante ‘l’apparizione delle
Vergine a San Bruno’, un gallone in oro con motivi a zig-zag la contorna. Probabilmente
eseguita tra gli ultimi decenni del ‘600 e i primi anni del ‘700, si inserisce nell’ambito della
vasta produzione delle botteghe napoletane che desumevano i temi ornamentali dalle
decorazioni marmoree o dai paliotti in scagliola”.
Come si è già accennato, la chiesa è fornita di preziosa argenteria, tra le altre suppellettili,
numerosi sono i calici ed il più antico è datato 1640. L’Arcieri ci informa che questo notevole
patrimonio, durante l’occupazione militare francese del 1806/1807, grazie alla sollecitudine
di un parroco, fu accortamente nascosto dentro una sepoltura della chiesa e così si salvò dal
saccheggio. G.Arcieri: “La chiesa oltracciò è provveduta di un prezioso tesoro di argenti e di
suppellettili sacre. Merita particolar menzione una mirabile sfera di argento riccamente
cesellata, del peso di rotoli 5, e dell’altezza di palmi 3, a contorni di oro, sostenuta da una
statuetta argentea rappresentante S. Chiara che posa sopra un globo indorato….Ha un
prezioso ostensorio con reliquie di San Niccolò…La croce nelle processioni è pure di argento,
del peso di circa rot.10, vagamente cesellata, con S.Nicola in rilievo alla base. Distinguonsi
per pregio tre argentei calici, oltre di altri sette con la sola coppa di tal metallo. Una grande
pila con l’aspersorio, la pace col piattino, e quest’ultimo segna l’emblema della famiglia
Marchesale, la quale fu larga di doni alla Chiesa. Di argento ancora, ed indorati nel didentro
sono due ciborii; di argento due vasettini per l’olio Santo, e di argento in ultimo un
bell’incensiere con la navetta, le carte di gloria, e una grande lampada. Rimarchevole altresì
per bellezza è un messale vellutato con ricchi bordi e figure di argento.”
La lampada di cui parla l’Arcieri è un capolavoro di argenteria napoletana del tardo Seicento,
che ancora oggi si può ammirare nella chiesa; un esemplare come questo è custodito nel
Tesoro di San Gennaro, nel Duomo di Napoli. Il manufatto riporta nelle decorazioni, incise:
una Madonna con Bambino, lo stemma del Comune di Castelluccio costituito dalle due
torri, lo stemma dei feudatari, la dedica di un esponente della famiglia Pescara e l’anno
1693. Di grande interesse è il fonte battesimale “in pietra calcarea, di gusto cinquecentesco
con il leoncino stiloforo ispirato a modelli gotici”.
Oggi è possibile ammirarlo
integralmente, sia per la sua attuale collocazione che per essere stato liberato del cappello
ligneo. La facciata, sicuramente realizzata alla fine dell’Ottocento/inizi del Novecento, era
un “pasticcio” in stile umbertino, che l’attuale restauro ha alleggerito togliendo alcuni orpelli
che la rendevano poco armoniosa, e riportando alla luce l’antico portale in pietra del ‘700
che era stato impropriamente ricoperto da intonaco, sovrastato da un arco in tufo e da un
lucernario, un tempo murato. Dello stesso periodo, come attesta l’iscrizione “1891” scolpita a
numeri romani, è il sagrato, con i gradini in pietra.
Convento dei Padri Minori Osservanti e chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Immagine del Convento S. Antonio – sede Comunale - (APT Basilicata)
L’intero monumentale complesso (con la chiesa annessa) è detto popolarmente di
Sant’Antonio. Fu fondato nel 1573, e sottoposto alla regola dei Frati Minori Osservanti. Il
vescovo di Cassano, Giovambattista Serbelloni, concesse l’assenso per la sua edificazione,
assenso che fu ratificato da un’autorizzazione pontificia del 1579. Il 5 gennaio 1581, con
il breve Pius Christi Fidelium, assunse la denominazione di Santa Maria delle Grazie, e dopo
qualche anno quello della Natività della Vergine. Era dotato di una ricca bibblioteca, ma
durante l’occupazione francese del 1806-7, il convento fu saccheggiato e la bibblioteca
distrutta. I frati furono cacciati ed ospitati nelle case del paese e nel 1807 fu soppresso. Fu
riaperto nel 1817, durante la Restaurazione Borbonica, ma dopo l’Unità d’Italia, nel 1866, fu
definitivamente chiuso e la struttura divenne proprietà comunale ed adibita ad uso
pubblico, tra cui caserma dei carabinieri, mentre la chiesa rimase proprietà ecclesiastica.
Infine fu definitivamente abbandonato ed ebbe gravi danni strutturali con il terremoto del
23 novembre 1980. Dopo il restauro è diventato sede del Comune. Il recupero della struttura
è stato troppo invasivo e ne ha quasi stravolto l’originale fisionomia. L’edificio si sviluppa
intorno al chiostro quadrangolare, costituito da un duplice ordine di arcate su pilastri, gli
ambienti al piano terreno erano di uso comune, al primo piano vi erano le celle e
l’appartamento del priore. Quello che un tempo era il refettorio, ampio salone a piano terra
con volta a botte lunettata, oggi è la sala consiliare. Sulla parete di fondo, un affresco illustra
“L’ultima cena”, in basso due cartigli con iscrizioni latine commemorano importanti riunioni
del capitolo. Il restauro del dipinto fu terminato proprio il 9 settembre 1998.
Nel 2004, l’Associazione Neoborbonica di Lauria, in ricordo della visita del Re Ferdinando II
di Borbone, ha voluto apporre nel chiostro una lapide, in sostituzione delle perdute
iscrizione che frati fecero nel 1852.
La chiesa è a navata unica, con pareti scandite da nicchie
alternate a lesene, vi si dispongono cinque altari per ogni lato, con ricca decorazione in
stucchi, eseguita nei primi del Settecento. Sugli altari sono disposte eleganti tele, alternate a
sculture lignee di pregio. Spiccano per importanza, la tela della Madonna del Rosario, del
pittore Felice Vitale da Maratea, databile alla fine del Cinquecento/inizi del Seicento, una
Circoincisione del Sei/Settecento, e la bellissima composizione attribuita a un seguace del
Solimena, illustrante una Madonna con Bambino e S.Caterina d’Alessandria. Tra le sculture
lignee, interessante è il crocifisso del Cinquecento, con il perizoma in foglia d’oro. Altre tele
notevoli rivestono le pareti del coro, ma l’opera di maggior pregio è la statua in legno
scolpito, nell’abside, dietro l’altare maggiore, la Madonna delle Grazie, che risale alla 2^
metà del Cinquecento, sicuramente di un artista napoletano di un certo rilievo.
L’importante scultura in legno policromo con tracce di dorature nelle vesti, oggetto di un
accurato restauro, fa parte di un trittico formato anche da due tele. Sulla volta del coro, un
grande affresco incorniciato di stucchi, mostra una Natività della Vergine.
Chiesa dell’Annunziata
Chiesa dell'Annunziata con la caratteristica cuspide del campanile ricoperta da
piastrelle di ceramica colorata, che ricorda i caratteri tipici delle costruzioni bizantine (sec. XVII). (usarla come didascalia)
La chiesa della SS.Annunziata è nel centro del paese, di fronte la chiesa madre. La notizia
più antica che si ha finora sulla chiesa, risale al 1595. La tradizione vuole che essa sia sorta
come piccola cappella, che fu ampliata poi a cominciare dal 1660. L’edificio sacro è
composto da una sola navata, con coro, ed altari laterali decorati in stucco, come la volta.
Sugli altari erano poste tele e statue del Sei e del Settecento, alcune in restauro. Sono da
evidenziare, come opere di pregio, un crocifisso ligneo, una bellissima scultura in legno di
Santa Lucia, del Settecento, e la bussola della controporta, con la cantoria e l’organo,
realizzato nel 1683. L’organo è un notevole lavoro in legno intagliato e dipinto di vari
colori. Le ante della controporta, che furono compiute insieme alla cantoria nel 1797, come
enuncia un’iscrizione sulla cimasa, e che un sapiente restauro eseguito nel 2012 ha restituito
agli antichi colori, mostrano otto dipinti su tavola. I dipinti illustrano, oltre a vasi fioriti,
un’Annunciazione, S.Biagio – protettore della Diocesi di Cassano -e S.Nicola – protettore del
paese. Gli sportelli dell’organo sono costituiti da quattro tele, due ripetono il tema
dell’Annunciazione. Ma la particolarità della chiesa, legata alla leggenda sulla sua
fondazione, è la scultura sull’altare maggiore. La statua è in muratura, ed è una Madonna
con Bambino di colore bruno che la tradizione popolare vuole che poggi su un tronco
d’albero, forse un ontano. GaetanoArcieri: “Sussiste pia tradizione, cioè che nella osteria sita
in prossimità della precitata cappella pervennero degli Schiavoni, i quali trasportavano la
statua suddetta per venderla nelle Calabrie. Si trattennero colà per rifocillarsi, poggiandola sul
tronco medesimo dell’averno. Allorchè riprender la vollero per continuare il viaggio, essa
addivenne grave, e fu impossibile l’amuoverla. La popolazione accorse al prodigio. La statua si
fece rimanere, e diessi tantosto di piglio alla fabbrica di piccola cappella, che poscia col girar
dè lustri addivenne, com’è ora, decentissima”. Sempre l’Arcieri
“l’effigie è simile a quella della Schiavonia in Calabria”.
Chiesa della Madonna della Neve
continua dicendo che
Poco distante dal centro abitato di Castelluccio Inferiore, nella località omonima, sorge la
chiesa della Madonna della Neve, alla sommità di un pendio boscato dominante la valle del
Mercure ed in una splendida posizione panoramica. Fanno da sfondo in lontananza i monti
del Pollino e si scorgono i centri abitati di Viggianello, Rotonda, Laino Borgo, Laino Castello
e Mormanno, in un suggestivo scenario. Il luogo di culto fa parte del patrimonio delle
chiese montane dell’Appennino Lucano, strettamente legate alle tradizioni religiose locali
del culto della Vergine e associate a feste
rurali e fiere pastorali, come ve ne sono altri esempi in Lucania e
nell’ambito del Parco del Pollino. Le fonti tramandano che all’origine si trattava di una
piccola chiesa in una località molto più distante e resa inaccessibile nel periodo invernale,
cioè sul dorso della collina sporgente il bacino della Pescara, anticamente detta “la
Innantilaria”. Per questo motivo si pensò di spostare la chiesa dove si trova attualmente,
ricostruendola e salvando il solo blocco dell’altare maggiore, che racchiude tutt’ora
l’affresco, databile alla prima metà del Cinquecento, della Madonna con Bambino. Non si
conosce dunque l’epoca precisa della sua fondazione, ma si apprende che le furono
concessi, privilegi ed indulgenze da Papa Benedetto XIII nel 1727.
La costruzione si presenta con una linea architettonica sobria, al suo fianco si sviluppa un
edificio pluriuso, che un tempo era la casa dell’oblato, che permanentemente vi risiedeva.
A fianco a questo si eleva il campanile cuspidato, a pianta ottagonale, e la fontana, con
fondale trabeato e a tre paraste. Seguono due file contrapposte di piccoli ambienti voltati a
botte, che erano usati dagli ambulanti durante la fiera estiva. L’interno è ad un’unica aula
rettangolare, con grande volta a botte lunettata, e presenta, oltre all’altare maggiore, due
graziosi altari laterali ben decorati con stucchi policromi, su cui sono montate bellissime tele
del Settecento. Rappresentano “L’Annunciazione” e “L’Arcangelo Raffaele e Tobiolo”, su una
di queste si scorge la firma del pittore – Antonio Galanti – e la dedica del committente –
Giuseppe D’Ambrosio. Un’altra tela è posta sull’altare maggiore e illustra una Madonna con
Bambino, ma nasconde l’affresco. Tra gli arredi lignei, vi è il coro in noce intagliato, e la
bussola della controporta con le ante dipinte, su cui è la cantoria con l’organo finemente
intagliato e vivacemente dipinto a tempera. Il pregevole manufatto reca la data 1794, ed è
molto simile a quello della chiesa dell’Annunziata.L’insieme risulta di grande bellezza ed
eleganza.
Il monumentale complesso è stato interessato da notevoli dissesti ed è stato oggetto di
consistenti interventi di consolidamento e restauro, conclusi con la sistemazione dell’area
esterna, ripristinando la gradinata d’accesso e gli ambienti voltati ancora esistenti.
In quella che prima era l’abitazione del religioso, è stato allestito di recente il Museo della
Civiltà Contadina.
Le altre strutture religiose presenti nel paese sono, nel centro abitato, le cappelle di: S.
Anna, S.Giuseppe, gentilizia di palazzo Aiello, S.Tommaso (in periferia) – fuori dal centro
abitato: S.Francesco di Paola (con affreschi di Angelo Galtieri), S.M.Maddalena, S.Maria
della Consolazione o del Latte ( fondata nel 1642, con statua in marmo bianco, del
Seicento), Madonna dei Sette Dolori nel Casale di Vigna della Corte (con tela di un
Compianto sulCristo Morto, del Settecento).
Palazzi
Palazzo Marchesale
E’ un vasto edificio posto nel centro del paese e di fianco alla chiesa madre. I passaggi di
proprietà e i cambi di destinazioni d’uso, subentrati ai mutamenti storici avvenuti nel
tempo, ne fanno oggi un agglomerato di case, che lo rendono poco riconoscibile. La
struttura originaria risaliva sicuramente al periodo dei Sanseverino, nel Quattrocento. Con
l’avvento dei feudatari Pescara Di Diano e la scelta di questi ultimi di vivere nel paese, a
iniziare dalla fine del Cinquecento/inizi del Seicento,fu notevolmente ingrandito e
trasformato fino ad assumere l’immagine stessa del potere feudale. La struttura si estendeva
intorno ad una ampia corte, in cui vi era una sontuosa gradinata formata da due scale, di
stile tipicamente catalano, e vi si affacciavano armoniosi loggiati. I feudatari provvidero alla
decorazione ed all’abbellimento interno, per cui si susseguivano grandi sale e saloni (“…
Ampie le sale, belle le stanze”...). La più celebrata era la sala di S.Onofrio, così descritta da
Gaetano Arcieri: ”Rimarchevole per ampiezza, per ornati, e dipinti storici tratti da Tito Livio
sulle magnifiche gesta dei Romani era la così detta sala di S.Onofrio, poiché ad essa
adiacente era la cappella a questo santo dedicata,…”. Sono sopravvissute alle spoliazioni e
agli stravolgimenti che sono seguiti nel corso del tempo, alcune sale interne, abbellite con
stucchi della stessa mano di quelli del coro di San Nicola, e della stessa epoca, poiché
medesima è anche la committenza. Gli stucchi fanno da cornice ad affreschi illustranti scene
dell’Antico Testamento, dei primi del Settecento. E’ rimasto, della struttura originaria,
l’androne dell’ingresso, con la volta affrescata ad illustrare le insegne dei fondatori del
ramo Pescara dei Marchesi di Castelluccio, con l’antico portone, di recente recuperato.
Altri palazzi storici del paese sono: Aiello (sec. XVIII), De Biase (sec. XIX), Scutari (sec. XIX),
Roberti (casa natale del giurista Sante Roberti – sec.XVIII, con bellissimo cortile e loggiati),
Roberti di via Roma civico 218 (sec.XIX), Salerno di via Int.Taranto (sec.XVIII), Salerno (casa
natale del giurista Giovanni Salerno, sec.XVIII), Taranto (sec. XVIII), Arcieri (sec. XVII), De
Robertis (sec.XVIII), Mairota (sec.XIX), Pagani (sec.XIX).
Seguono i bei palazzetti di via Roma, tra cui Ruggiero, Guarino ecc., e le case palazziate dei
cosidetti “americani”, che formavano un rione nato tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del
Novecento. I portali di questi palazzi, scolpiti in pietra e in marmo bianco, gareggiano tra
loro per bellezza ed eleganza: conchiglie, vòlute, nastri, fiocchi, nappine, gigli cadenti.
Le sale di palazzo Arcieri erano decorate con soffitti in legno dipinto, del Settecento. Ma
oggi ne sopravvive uno solo ed illustra un’allegoria della scienza nelle vesti di Minerva, con
ai lati altri simboli delle varie discipline della conoscenza e del sapere, tra cui la giustizia,
perchè gli esponenti della famiglia erano prevalentemente magistrati e giuristi.
Una strada caratteristica è via Intendente Taranto, un tempo “via della Cavallerizza”, che
con i suoi sopportici attraversa, quasi in linea retta, gran parte del centro più antico. Vi si
affacciavano le case più vetuste e tra queste, palazzo Pinto: un arco a sesto acuto
(asimmetrico per via dei gradini interni) e sovrastato da una loggia, è un cavalcavia che
funge da elemento di collegamento tra una vecchia torre scalaria e il resto della casa. E’ una
parte del centro storico ancora intatta e per questo molto affascinante.