Qui - Castelluccio Inferiore
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Qui - Castelluccio Inferiore
COMUNE DI CASTELLUCCIO INFERIORE Le feste 18 e 19 marzo 24 e 25 marzo 31 maggio e 1° giugno 26 luglio Festa di San Giuseppe: sera del 18 Accensione dei falò (“fucarazz”) nei rioni principali del paese, con sagra gastronomica; il 19 fiera di San Giuseppe e sagra della trippa. Il 24 sera accensione dei falò, come il 18 marzo, e il 25 mattino fiera dedicata alla SS.Annunziata. Festa della Betata Vergine Addolorata, con solenni celebrazioni a cui segue una processione per le vie del paese. La festa commemora il miracoloso evento verificatosi a Castelluccio Inferiore il 1° giugno 1896, quando un violento nubifragio si abbattè sul paese. Un gruppo di pellegrini provenienti da Papasidero, per assistere a Castelluccio Superiore al funerale della Beata Maria Angelica Mastroti, morta qualche giorno prima in concetto di santità, per ripararsi cercò rifugio nella chiesa di San Nicola di Mira. Essi, mentre erano in preghiera davanti alla bellissima ed espressiva statua dell’Addolorata, videro che questa muoveva gli occhi. Il miracolo fu confermato dalle autorità ecclesiastiche,e da allora ogni anno si onora tale ricorrenza. festa di S. Anna con processione religiosa, he muove appunto dalla chiesetta a lei intitolata, nell’omonimo rione. 27 luglio fiera (autorizzata fin dal 1805) e festa della Madonna della Neve nella località omonima. Terza domenica di settembre Dicembre da circa un decennio processione religiosa della Beata Vergine Addolorata. festa religiosa di S. Nicola di Mira, patrono del paese. si svolge il carnevale castelluccese con cortei e carri provenienti anche da comuni limitrofi. La manifestazione dura tre giorni. • CENNI STORICI ED ELEMENTI DI INTERESSE LE ORIGINI Le opinioni sulle origini sono diverse, ma i risultati degli scavi archeologici confermano una genesi molto antica. Un tentativo di ricostrure una storia di Castelluccio, fu compiuto da G.Arcieri con la sua sintetica Monografia, inserita nell’opera del Cirelli “Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato”, dedicata al Re Ferdinando II - 1853 - vol.V - : ”Ambo i Castellucci hanno dovuto avere una medesima origine; quando non si sa. Sono due le opinioni; o che abbian dovuto sorgere dalla distruzione dell’antica Tebe Lucana, o fondati da un certo Lucio, antico Capitano Lucano, che la tradizione vuole quivi perito. Si cita Plinio, l.3 cap.II, ma costui altro non dice che la Tebe, colonia sibaritica, era perita fin dà tempi di Catone; si citano Sigonio e tra gli altri scrittori De Lauro, ma costoro neppur nulla accertano di positivo………… (Tebe Lucana) … era impiantata nel piano or detto Campanella, tra il Castelluccio Inferiore e Laino. Idrograficamente giaceva nel centro del bacino del Lao o Mercuri, tra questo fiume, e l’altro S.Giovanni. Essendo pianura seminatoriale, perciò le sue monete rappresentano un bue….” e conferma il ritrovamento di “moltissime anticaglie quivi rinvenute attestanti che in questo luogo sia esistita detta celebre città, ad onta della contraria opinione del Barrio e del Ferraro, …….basta dire che esistono tuttavia i ruderi”, ma alla fine conclude: “Nell’oscurità dunque in cui giacciono le antiche cose, diciamo che verosimilmente il castello ed il paese furon costruiti nel Medio Evo…………. Il paese fu unito sotto una sola signoria, sotto una sola amministrazione, e sotto un’identica direzione spirituale: ma non potevan rimanere uniti. Dal 1502 cominciò la divisione, che fu compiuta interamente nel 1813…….” Secondo lo storico Antonini, dai notevoli reperti rinvenuti in località Campanella e S. Gada, verso Laino Borgo, il paese ebbe origine da Tebe Lucana. Della stessa idea è lo storico napoletano Lorenzo Giustiniani, che scrive: "Finalmente debbo avvisare, che nel territorio di questa terra si sono ritrovati molti idoletti, vasi, e di antichissima struttura, medaglie, sepolcri e specialmente nel luogo dove si dice la Croce, in Pietrasasso, e Fornace, segni tutti di esservi stata nell'antichità qualche popolazione distinta, e forse quella appunto di Tebe Lucana". Il Giutiniani, però, a un certo punto sorvola sull’origine antica del paese, e nel suo “Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli – 1797 - sulla nascita del paese e e sul nome, conclude così: “Evvi tradizione, che dal suo fondatore chiamato Lucio, il quale fondò anche un castello con quattro torri, chiamossi dapprima Castello di Lucio, indi per abbreviamento Castelluccio”. Ovviamente questa soluzione è molto fantasiosa,il nome del luogo è molto diffuso e sicuramente si riferisce a Castelluccio Superiore, che per la posizione e struttura urbanistica era un luogo fortificato, con due porte di accesso di cui ancora oggi si ricordano i nomi: Porta Roma e Porta Castello. Dalla fine del Settecento ai primi del Novecento, vi furono numerosi scavi clandestini nella conca di Castelluccio, che rivelarono un patrimonio ricchissimo di oggetti e reperti, dispersi poi tra i musei d’Europa e d’America, se non addirittura distrutti. Il barone austriaco Von Koller, saccheggiò parecchie tombe nell’area di Campanella. I risultati furono, tra l’altro, la scoperta della bellissima hydria a figure rosse, e il vaso comunente noto come “olla di Castelluccio”,oggi entrambi in un museo di Berlino. La cosidetta “olla di Castellucio” è un vaso attribuito al V secolo a.C. e che riporta un’iscrizione in lettere dell’alfabeto acheo, con una frase che sembra dedicatoria e di carattere pubblico. Questi due ritrovamenti hanno suscitato un enorme interesse, a livello internazionale. La questione sulle origini di Castelluccio, è stata sempre un ideale della tradizione colta.Gli storici si sono dibattutti sull’identificazione di Tebe Lucana, della quale in realtà ancora non si conosce nulla, e già ai tempi di Catone ne rimaneva a stento il ricordo. Castelluccio ha avuto sicuramente origine dalla Nerulum romana, a sua volta riscostruita dalle rovine della Nerulum lucana. Il fenomeno dello spopolamento delle aree a valle, dovuto alle incursioni dei barbari e poi dei Saraceni, oltre che all’impaludamento, ha fatto sì che si creasse un insediamento a monte, che ha dato origine a Castelluccio (Superiore). In un secondo momento si è avuta una seconda espansione verso i due promontori che portano a valle, e quindi un nuovo abitato che ha dato poi origine a Castelluccio Inferiore. I due centri abitati vengono identificati con un solo nome: “Castelluccio” e il territorio circostante, oggi Valle del Mercure, è stato sempre indicato come “Conca di Castelluccio”. Archeologia, arte e storia alle sorgenti del Lao: “Nerulum fu un antica città fondata dai Lucani attorno al VI secolo a.C. menzionata da Livio, oggi tra Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore. Fu distrutta dal console Lucio Emilio Barbula nel 317 a.C. e in seguito ricostruita. Posta lungo la via Popilia (da Capua a Reggio) ed all'incrocio con l'altra via romana Herculea (Venosa-Grumentum-Nerulum), la città ha vissuto un periodo molto ricco, soprattutto dal punto di vista culturale, essendo venuta in contatto con molte popolazioni. Un'altra traccia della sua esistenza si trova nello scritto Antonini Itinerarium, da cui si apprende che era situata sulla strada tra Capua e Rhegium moderna (Reggio Calabria), la quale si incrociava con un'altra strada che andava da Venusia (Venosa) a Potentia moderna (Potenza) e Grumentum (Grumento Nova) verso le frontiere del Bruttium. I nomi e le distanze in questa parte dello scritto sono troppo rovinate e confuse per essere decifrate correttamente: l'Antonini Itinerarium colloca Nerulum 22.5 km (o secondo un altro passaggio 25 km) a nord di Muranum (Morano Calabro). Quindi secondo queste indicazioni, Nerulum, dovrebbe essere situata in prossimità di Rotonda (altra ipotesi), presso le sorgenti del fiume Lao.” Negli anni ’80 furono attuate, dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata e diretti dalla d.ssa Paola Bottini del Centro Operativo di Maratea, importanti campagne di scavo nel territorio di Castelluccio Inferiore e Superiore. A Castelluccio Inferiore furono trovati notevoli corredi funerari negli scavi di Madonna della Neve, Campo Sportivo, Campanella, Guarancio e Pietrasasso. Ma lo scavo più rilevante è stato quello di Vigna della Corte, nella primavera del 1983. L’area archeologica individuata è posta a valle dell’ex S.S. 19, all’ingresso occidentale dell’abitato, proprio nell’ambito del casale di Vigna della Corte, un tempo appartenente al marchese. Lo scavo ha portato alla luce 12 ambienti, un vano porticato, un cortile pavimentato in cocciopesto, impianti igienici e una fornace. Numerose tessere in calcare bianco e pasta vitrea azzurra dimostrano che la costruzione aveva anche pavimenti in mosaico. Nei colori delle pareti prevaleva il rosso con inserimenti in tarsie marmoree. Quanto è emerso, fa pensare a una villa rustica, ma trovandosi quasi sul tracciato della via Popilia, non è da escludere che l’insediamento abbia rivestito la duplice funzionedi villa-mansio (stazione di sosta). Vennero alla luce materiali di varie epoche, di età repubblicana e di età imperiale, fino al IV secolo d.C. Oltre ad una quindicina di monete, alcune indecifrabili, e una moneta di Cartagine risalente alla II Guerra Punica, fu trovato un bellissimo bronzetto a busto di Sileno con elementi ageminati in argento, che pare facesse parte di un lussuoso letto, databile tra il II e il I secolo a.C. Tutti i pezzi sono oggi visibili nel museo archeologico di Rivello. L’individuazione di questo insediamento a Castelluccio Inferiore, la cui vita va dall’Età Repubblicana al IV secolo d.C., porta il paese all’identificazione con la “Nerulum romana”, che era in stretto rapporto con la via Popilia, continuando a comparire come stazione viaria nelle opere geografiche dell’Alto Medioevo, tra cui la Tabula Peutingeriana. l ritrovamenti avvalorano il pensiero degli storici, che in passato si sono occupati della questione, anche se ne hanno identificato la città con Tebe Lucana. Applique in bronzo a busto di Sileno Castelluccio Inferiore, campo sportivo-coppa ionica sporadica Lebes gamico da “Guarancio” lato A (sin.) e lato B Hydria antica –(museo di berlino) Frammenti di affreschi Monete di Vigna della Corte IL MEDIOEVO Dopo la caduta dell’Impero Romano si ebbero le prime invasioni barbariche, ed i re ostrogoti istituirono la giurisdizione del “corrector Lucanie et Brittiorum”. Seguirono i Longobardi, e contemporaneamente le incursioni dei Saraceni, che in alcuni casi si trasformarono in insediamenti stabili. A queste realtà si aggiunseo gli insediamenti bizantini, prima lungo le coste, poi nell’interno, e quindi nella Valle del Mercure. Cominciò così il fenomeno del Monachesimo Greco, questo periodo va dal dal X all’ XI secolo, con la fondazione dell’Eparchia del Mercurion, che corrisponde fondamentalmente alla Conca di Castelluccio. Il Monachesimo Greco è importante, sia dal punto di vista religioso che culturale. L’area in considerazione, per la sua conformazione geografica e la sua ricchezza di grotte naturali, ben si adattava alle aspirazioni dei monaci greci, che vi potevano esercitare il loro rigore ascetico. In questo periodo, che durò circa un secolo, si ebbero la fondazione di vari conventi e luoghi di culto, alcuni dei quali sopravvissuti ancora oggi. Le figure di maggior spicco furono S.Nilo e S. Saba. DALLA DOMINAZIONE NORMANNA AL SETTECENTO Il Monachesimo Basiliano finì con la dominazione normanna, che in opposizione all’impero di Bisanzio, fece ritornare il territorio al rito latino. I Normanni, con l’imperatore di Federico II di Svevia, divisero il territorio dell’Italia Meridionale in contee e ducati, e in una suddivisione aministrativa in “giustizierati”. Castelluccio, quindi, entrò a far parte della Contea di Lauria, sotto il potere del Grande Ammiraglio Ruggero (da un documento del 1275 [o 76], Ruggero di Lauria era ancora Signore di Castellucio). Attraverso la sua discendenza (secondo il Caterini dopo il 1310) e con il matrimonio di Ilaria di Lauria, il feudo di Castelluccio passa alla potente famiglia Sanseverino. Si susseguirono gli esponenti di questa famiglia, e nel 1462 Barnaba Sanseverino prese possesso di Castelluccio. Qui, il 7 giugno del 1464, sposò la cugina Luigia Sanseverino. Nel 1485, lo vediamo gravemente compromesso nella Congiura dei Baroni contro il Re Ferrante D’Aragona. Questa autorevole famiglia si suddivise in due rami, quello dei Principi di Salerno e quello dei Principi di Bisignano, ma attraverso i matrimoni, che avvenivano quasi sempre tra di loro, spesso i due rami si intrecciavano, per cui i feudi passavano or ad uno or all’altro. Nei primi del Cinquecento, attraverso il matrimonio di Antonia Sanseverino dei Principi di Salerno, con Giovambattista Cicinelli-Napolitano, il feudo di Castelluccio passò al figlio Galeazzo. Infine, per un passaggio non noto, subentrò, nel 1550 circa, il barone Giovannantonio Palmieri, e Castelluccio venne aggregato a Latronico. Il paese viene nominato, infine, nella stipula degli “Statuti di Laino”, che Venceslao Sanseverino qui firmò nel 1551, ma forse la sua famiglia non ne era più feudataria.Nella seconda metà del XVI secolo, il barone Palmieri morì senza eredi. Il feudo fu di nuovo requisito dalla Regia Camera Feudale, che nel 1570 lo vendette a Camillo Pescara Di Diano, con il titolo di Barone. Il dominio comprendeva, oltre a Castelluccio Inferiore e Superiore, anche Agromonte. Subentrò quindi quest’altra nobile importante famiglia del Regno di Napoli. Gli storici ci informano che, proveniente dal Piemonte, si trasferì nell’Italia Meridionale nel XIV secolo. I suoi esponenti ebbero numerosi feudi, in Campania, Basilicata e Calabria, e importanti cariche civili ed ecclesiastiche. Dai baroni di Mottafollone e San Lorenzo del Vallo, in Calabria, si dipartirono le due grandi casate: Marchesi di Castelluccio e Duchi di Saracena. Con l’acquisizione del feudo di Castelluccio, il Barone Pescara Di Diano, al contrario dei predecessori, si trasferì stabilmente nel nuovo possedimento, e suo figlio Cesare, nel 1620, ottenne dal Re FiIippo III di Spagna, il titolo di Marchese di Castelluccio. DALL’OTTOCENTO AD OGGI I Pescara dominarono fino alla legge eversiva della feudalità, emanata da Giuseppe Bonaparte–Re di Napoli- nel 1806. In questo periodo, in cui i già noti episodi particolarmente sanguinosi interessarono il territorio, il paese subi l’occupazione militare francese. I soldati invasero principalmente il Convento dei Padri Minori Osservanti e il Palazzo Marchesale. Durante il Decennio Francese–1806/1815–con Giuseppe Bonaparte, e poi Gioacchino Murat, i due nuclei di Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, uniti da una sola università (l’allora Comune), si scissero definitivamente in due comuni. La divisione ecclesiastica era già avvenuta molto tempo prima, in seguito ai contrasti tra i due cleri. Quindi, dopo l’abolizione della feudalità e degli enti ecclesiastici, ed il passaggio delle terre da feudali a demaniali, si provvide alla divisione del territorio dei due nuovi comuni. A tale scopo, fu nominato un commissario ripartitoree le operazioni si conclusero nel 1813. Durante il periodo napoleonico, dopo che i Francesi ebbero conquistato il territorio della Valle del Mercure con il sacco di Lauria e la Battaglia di Campotenese, siverificarono i primi fenomeni di brigantaggio. La particolare conformazione del territorio, che prima aveva favorito il Monachesimo Basiliano, in questo periodo (come poi anche immediatamente dopol’Unità d’Italia), permise il nascondiglio dei briganti. Tristemente nota era la banda del Galdo, e tra il 1808 ed il 1809, si rese protagonista di azioni criminose. Gaetano Arcieri:”I briganti due volte entrarono nel paese, e fu ventura che non si soggiacque a grave castigo per parte dè vincitori”. Dopo la Restaurazione Borbonica, il Re Ferdinando II, compì due viaggi che lo portarono in questa zona, il primo subito dopo la feroce repressione dei Moti Cilentani del 1828, e l’altro nel 1852, quando, accompagnato da due suoi figli, pernottò a Castelluccio Inferiore nel convento dei Padri Minori Osservanti, il 30 settembre. De Cesare - La fine di un Regno:”Sulla fine di settembre del 1852, il re volle dare agli esercizi autunnali d’istruzione per l’esercito un’importanza maggiore del consueto, e ordinò che una colonna mobile, formata da due divisioni con otto squadroni di cavalleria, e venti pezzi di artiglieria, partisse alla volta delle Calabrie. Il movimento delle truppe ebbe luogo nei giorni 23, 24, 25 e 26 settembre, concentrandosi tutta la colonna nei dintorni di Lagonegro. Il Re s’imbarcò la sera del 27 settembre a Napoli sul Fulminante, insieme col principe ereditario, che contava quindici anni, e al conte di Trapani….. La sera di quel giorno il Re dormì a Torraca, facendo la prima tappa da da Sapri a Torraca, a piedi per mancanza di strade. Alloggiò nel castello del marchese di Poppano, Don Biagio Palamolla… Fu quella la sola eccezione che Ferdinando fece al suo proposito di non accettare a nessun patto, ospitalià da privati….alla Taverna del Fortino trovò una berlina di corte, e in essa entrò a Lagonegro alle 4 pomeridiane del 29. A Lagonegro alloggiò alla sottointendenza; a Castelluccio dai Minori Osservanti…..” - Gaetano Arcieri:”….Il Sovrano in occasione del suo passaggio per colà nel 1852 largiva ducati 700, per lo restauro di essa (la porta della chiesa), e vuolsi memorare che nel Cenobio stesso volle albergare col Principe erede del trono e con un suo fratello. I cenobiti han voluto tramandare ai posteri questo singolare avvenimento con apposite iscrizioni sulle pareti delle stanze occupate dagli Augusti Ospiti…..” Nel 1860, Garibaldi fece un trionfale ingresso a Rotonda il 2 settembre: vari comuni insorsero contro i Borboni, ma poiché nel territorio di Castelluccio vi erano acquartierate le truppe borboniche, il Generale, su consiglio e aiuto di Don Bonaventura De Rinaldisdi Rotonda, le aggirò dirigendosi verso Nord-Ovest. Raggiunse Tortora e da Castrocucco arrivò a Sapri. Dopo l’Unità d’Italia il fenomeno del brigantaggio si acuisce, e come dice il Guida “fu uno spaventoso e doloroso fenomeno sociale, economico e politico, nato da condizioni di estrema sperequazione tra le classi di cittadini, a danno soprattutto del ceto contadino, che, in condizioni di estrema povertà e oppressione, vede spesso nel brigante la figura stessa della giustizia”. Si ritiene che l’atto di nascita del brigantaggio in Basilicata, siano stati i tumulti scoppiati durante il Plebiscito del 2 ottobre 1860, così come avvennero a Castelluccio Superiore. Prima si conoscevano solo pochi gruppi di briganti, ma dal 1861 in poi il Lagonegrese cominciò a vivere un periodo molto tormentato. Fu solo verso il 1880 che il fenomeno fu quasi definitivamente debellato. Verso la fine dell’Ottocento, in conseguenza dei radicali cambiamenti politici e sociali, interi nuclei familiari, da tutti i paesi del Lagonegrese, cominciarono ad espatriare verso le Americhe. Il periodo cruciale va dal 1880 alla I Guerra Mondiale. Nel 1902 si ebbe l’introduzione dell’energia elettrica, e importanti miglioramenti nelle comunicazioni, con il progressivo adeguamento della rete stradale, e la realizzazione del tratto della ferrovia Lagonegro-Castrovillari. Castelluccio Inferiore è felicemente dotato di opere artistiche di un certo rilievo. Tra i suoi beni, prevalentemente ecclesiastici, spiccano particolarmente le opere in stile barocco, tanto che il paese è stato definito “cittadella del barocco”. Questa particolarità è dovuta alla circostanza che i feudatari Pescara Di Diano, al contrario dei signori dei paesi limitrofi, a cominciare dal secolo XVII, hanno dimorato stabilmente nel paese pur continuando a mantenere stretti contatti culturali con Napoli, che hanno creato una fitta rete di conoscenze artistiche, estese anche alle altre classi sociali. Un AVVENIMENTO STRAORDINARIO avvenuto in Castelluccio Inferiore, nel 1482, è stato il passaggio di San Francesco di Paola, che vi compì il miracolo del vino. Gaetano Arcieri: “Nel Castelluccio Inferiore accadde il miracolo di San Francesco di Paola, mentovato dagli agiografi della vita di lui. Il Santo, proveniente di Rotonda e dirigendosi a Napoli, chiedeva un sorso di vino ad una donna. Costei rispondeva dolcemente che il suo carratello era da pochi dì vuoto, poiché erasene consumato il liquido, e che perciò trovavasi aperto: ma il santo avventore con maggior dolcezza insisteva, che pur andasse a vedere, perlochè facilmente vi si troverebbe qualche poco di vino. Meravigliata, e mossa da cotesta insistenza, colei ubbidinete e docile, andò a visitare la piccola botte, e con sua grande sorpresa, trovò la botte chiusa e piena……….” Padre Isidoro Toscano, in una biografia del santo calabrese edita a Napoli da Altomare, nel 1860: “Passato Campo Tenese, giunsero senza torcere il cammino ad una terricciuola nomata Castelluccio, in cui limosinando, chiesero ad un cittadino la zucchetta di vino; quegli cortesemente rispose non averne, perché di già la sua botte era vota da molti giorni. Volendo il Santo premiare il gentil tratto di quel buon uomo nel compatire a’ Servi di Dio, gli disse: Per carità, fratello andate alla vostra botte, chè ancora non vi manca del vino. Sentendo colui entro il suo cuore viva confidenzanelle parole del Santo, andò alla botte, e ritrovatala piena, restò immobile per lo stupore, e pubblicò il miracolo a tutti i cittadini, che per maraviglia accorsero a vederlo, assaggiando quel dolcissimo nettare di Paradiso. E conosciuta vieppiù la santità di Francesco, con molte cortesie sé stessi ed ogno loro avere affettuosamente gli esibirono.” Il 9 settembre 1998 alle ore 13.28 si è registrato un evento sismico di Magnitudo 5,6 Richter con epicentro nei comuni di Castelluccio Inferiore e Superiore. Registrate numerose lesioni ai muri portanti ed ai tetti delle abitazioni, con crolli di cornicioni e tegole, che hanno indotto l'inagibilità di alcune di esse con sgombero degli occupanti. Gravemente danneggiati il palazzo comunale, il campanile e la Chiesa Madre. Quest'ultima, è stata riaperta al culto il 6 dicembre 2012, dopo 13 anni di ristrutturazione. Patrimonio architettonico (religioso, civile e rurale) e artistico: Immagine della Chiesa Madre Di notevole pregio è la chiesa madre, intitolata a Nicola di Mira, patrono del paese, il cui culto proveniente dall’Oriente, e sviluppatosi in particolare nell’Italia Meridionale, diffuso dai monaci basiliani, era molto consolidato nei paesi della Valle del Mercure e del Lagonegrese. Non è nota l’epoca precisa della sua fondazione, ma si intuisce che risalga al Medio Evo e presumibilmente intorno alla metà del XIII sec. L’Arcieri scrive che nell’oratorio adiacente la sacrestia si rilevava l’anno 1286, ma di questa testimonianza non vi è più traccia. Tuttavia la sua struttura originaria conferma tale affermazione e il suddetto oratorio ha la volta a botte “affrescata con motivi classicistici”, databile al XIV sec. In seguito all’incremento della popolazione, ebbe un primo ampliamento nei secc. XV e XVI, infatti nel primitivo pavimento si leggeva un tempo la data 1575, quindi l’anno in cui si iniziarono i lavori. Un’ ulteriore e definitiva estensione la interessò verso a metà del Seicento, in cui assunse l’assetto e le proporzioni attuali. Oggi è un vasto edificio sacro a croce latina ed a tre navate. Alla scarna e lineare decorazione originaria, si sovrappose una ricca ornamentazione in stucchi, in stile barocco. L’abbellimento interno, iniziato nella seconda metà del sec.XVII, si protrasse poi per tutto il secolo seguente, ovviamente in modo non sempre unitario e in relazione al gusto del momento, tuttavia le varie fasi decorative si fondono armonicamente in tutto l’ambiente.Varcata la soglia, ci si introduce nella bussola della controporta, sul cui soffitto ligneo vi sono i dipinti eseguiti dal pittore Angelo Galtieri da Mormanno nel 1735: “San Michele Arcangelo”, “L’Annunciazione della Vergine” e “La Sacra Famiglia”. Sopra la bussola è la cantoria con l’organo (purtroppo ormai monco), in legno intagliato e dorato, del 1779. La navata centrale, oltre alla decorazione in stucchi, eseguita come si è detto in più riprese, presenta il meraviglioso ciclo di affreschi, realizzato dal già ricordato Angelo Galtieri, dal 1731 al 1737, come confermato dall’autore stesso sui dipinti e come si deduce dai registri dei pagamenti. Nell’ordine superiore, tra le finestre, sono illustrati gli episodi più salienti dell’Antico Testamento. Nell’ordine inferiore, nei pennacchi degli archi della navata, i soggetti degli affreschi riguardano il Nuovo Testamento. Purtroppo non c’è rispondenza tra le pareti e la volta, che fu abbattuta negli anni Cinquanta del Novecento, perché ritenuta fatiscente, causando la perdita, oltre che degli stucchi, anche dei tre grandi affreschi ovali, che Genesio Galtieri, forse figlio di Angelo (o comunque suo congiunto), dipinse nel 1792. Ma il recente restauro ha creato un ottimo collegamento tra la volta e le pareti laterali inserendo nuovi elementi decorativi, che redono l’insieme armonico. L’altare maggiore è un commesso marmoreo di grande effetto e di grande pregio, la cui realizzazione abbraccia un lungo periodo di tempo che va dal 1740 fino al 1766. Il lavoro fu terminato e posto in opera dal maestro “marmoraro” napoletano Arcangelo Staffetta, che si avvalse anche di collaboratori sul posto. Il marmo venne lavorato anche a Castelluccio Superiore, centro più vicino alla cava di marmo di “alabastro cotogno”, che era stata scoperta nel 1744 in località “Difesa”, ed èquello prevalentemente usato nella realizzazione del pregevole manufatto, unito al diaspro di Sicilia, al giallo di Siena, al bianco di Carrara, al verde antico e al nero di Calabria. Davanti all’altare maggiore era la bellissima balaustra scolpita nel pregiato marmo locale (che Gaetano Arcieri definiva “nostro marmo cittadino” e “marmorea pietra melata, che riceve la politura e riesce di bell’effetto”). Dopo il restauro della chiesa, la balaustra è stata divisa e posta all’ingresso dei due cappelloni laterali. L’opera, là dove si trovava era il compimento della decorazione barocca dell’edificio sacro, perchè inserita in un contesto storico-artistico e filologico inscindibile, in cui ogni elemento, decorativo o di culto, “dialogava” con l’altro e l’insieme era di grande fascino e armonia. La balaustra è un importante lavoro del Settecento Napoletano, formata da plinti divisori di grande robustezza che presentano al centro un riquadro inciso e ribadito ai lati da un motivo scolpito a gigli cadenti. Il traforo è molto elegante, formato da vòlute marmoree che inquadrano uno scudo sormontato da elementi ‘rocaille’ a conchiglia. Di disegno molto originale, si inserisce nella corrente creata a Napoli, da Domenico Antonio Vaccaro. Il disegno e il cartone vennero realizzati da Arcangelo Staffetta nel 1762, ma il lavoro si protrasse per molto tempo, ed in seguito, nel compimento e nella posa in opera, avvenuta nel 1787, subentrò Gaetano Varriale, altro maestro “marmoraro”, proveniente da Napoli. Altro notevole manufatto in marmo, realizzato dallo Staffetta nel 1764, è l’acquasantiera, situata nel primo pilastro a destra. Nelle spaziose navate laterali, o navatelle, sono disposti tre altari per ogni lato, su cui sono montate tele del Settecento. La più importante è quella della Madonna del Rosario, firmata da Antonio Ferri e datata 1747. Nei bracci delle navate laterali vi sono due grandi cappelle con cupole. Quella a destra era intitolata a San Carlo Borromeo, di patronato della famiglia marchesale, la cui fondazione risale al 1620. Sull’altare era l’ interessante scultura in legno, del Seicento, del San Carlo giovinetto, oggi in restauro, e sostituita da una statua in legno, di San Giuseppe. Qui è esposto anche l’imponente ed espressivo crocifisso del Seicento, restaurato di recente. Il cappellone a sinistra è denominato del Purgatorio o del Redentore, dedicato al Cristo Risorto. Nella nicchia è la bella scultura in legno, acquistata a Napoli, del 1769. Ai lati vi sono due grandi tele illustranti, una “L’Ultima Cena” e l’altra “La Sacra Lavanda”, di Giulio dell’Oca, del 1687. Alle pareti laterali della cappella, sotto le tele, vi erano montati gli stalli in legno di noce di un piccolo coro, probabilmente del Seicento, che confermano come la cappella fosse luogo di riunione della Confraternita del SS. Sacramento, che gestiva i beni della chiesa. Dietro l’altare maggiore è l’abside, con il coro in legno di noce lavorato a intaglio. Inserite nella ricca decorazione delle pareti vi sono due tele molto grandi, di cui non è noto l’autore, dipinte tra la finedelSeicento e l’inizio del Settecento: “Leone X che ferma Attila” e “La liberazione del fanciullo Deodato”. Della prima anche l’Arcieri osserva che l’autore si ispira al bassorilievo di Alessandro Algardi, nella Basilica di San Pietro a Roma, eseguito tra il 1646 e il 1653. Nella nicchia dell’abside vi è una pregevole scultura di San Nicola con il piccolo Deodato. Sopra le due tele, là dove le decorazioni in stucco diventano ancora più ridondanti, circoscritti da ghirlande di fiori e frutti, vi sono i due busti dei committenti di tale lavoro, terminato nel 1689 ed aperto al pubblico nel 1690. La tradizione vuole che si tratti del Marchese di Castelluccio e di sua moglie, ed attraverso studi araldici è stato possibile definire l’esatta identità dei due personaggi. Gli stucchi del coro, oggi oggetto di studio, sono di pregevole fattura e realizzati sicuraramente da un artista-decoratore proveniente da Napoli, nell’ultimo quarto del Seicento, non estraneo alla cultura diffusa da Dionisio Lazzari e Domenico Antonio Vaccaro. Dal coro, attraverso una porta in noce scolpito, si accede alla sacrestia. In questo vasto ambiente, vi sono, allineati lungo le pareti gli splendidi armadi intarsiati in legni pregiati, del 1775. Qui erano custoditi i preziosi parati (GaetanoArcieri: “Nulla diciamo delle magnifiche pianete, omerali, piviali etc”), di cui la chiesa era ed è copiosamente provvista, le suppellettili in argento, i registri parrocchiali, le bolle e lepergamene antiche.“I paramenti sacri delle chiese di Castelluccio provenivano dai laboratori di Napoli e della provincia, che dal Seicento sino all’Ottocento erano molto attivi e attestavano una valida struttura corporativa. Ricordiamo alcuni esempi emblematici, tra cui la pianeta in seta bianca ricamata in fili d’oro e serici policromi, di gusto tardo-barocco: nella parte anteriore fogliami, fiori e due pappagalli tra vòlute e foglie dorate; sul retro, analoghi elementi decorativi con uccelli inquadrano la targa raffigurante ‘l’apparizione delle Vergine a San Bruno’, un gallone in oro con motivi a zig-zag la contorna. Probabilmente eseguita tra gli ultimi decenni del ‘600 e i primi anni del ‘700, si inserisce nell’ambito della vasta produzione delle botteghe napoletane che desumevano i temi ornamentali dalle decorazioni marmoree o dai paliotti in scagliola”. Come si è già accennato, la chiesa è fornita di preziosa argenteria, tra le altre suppellettili, numerosi sono i calici ed il più antico è datato 1640. L’Arcieri ci informa che questo notevole patrimonio, durante l’occupazione militare francese del 1806/1807, grazie alla sollecitudine di un parroco, fu accortamente nascosto dentro una sepoltura della chiesa e così si salvò dal saccheggio. G.Arcieri: “La chiesa oltracciò è provveduta di un prezioso tesoro di argenti e di suppellettili sacre. Merita particolar menzione una mirabile sfera di argento riccamente cesellata, del peso di rotoli 5, e dell’altezza di palmi 3, a contorni di oro, sostenuta da una statuetta argentea rappresentante S. Chiara che posa sopra un globo indorato….Ha un prezioso ostensorio con reliquie di San Niccolò…La croce nelle processioni è pure di argento, del peso di circa rot.10, vagamente cesellata, con S.Nicola in rilievo alla base. Distinguonsi per pregio tre argentei calici, oltre di altri sette con la sola coppa di tal metallo. Una grande pila con l’aspersorio, la pace col piattino, e quest’ultimo segna l’emblema della famiglia Marchesale, la quale fu larga di doni alla Chiesa. Di argento ancora, ed indorati nel didentro sono due ciborii; di argento due vasettini per l’olio Santo, e di argento in ultimo un bell’incensiere con la navetta, le carte di gloria, e una grande lampada. Rimarchevole altresì per bellezza è un messale vellutato con ricchi bordi e figure di argento.” La lampada di cui parla l’Arcieri è un capolavoro di argenteria napoletana del tardo Seicento, che ancora oggi si può ammirare nella chiesa; un esemplare come questo è custodito nel Tesoro di San Gennaro, nel Duomo di Napoli. Il manufatto riporta nelle decorazioni, incise: una Madonna con Bambino, lo stemma del Comune di Castelluccio costituito dalle due torri, lo stemma dei feudatari, la dedica di un esponente della famiglia Pescara e l’anno 1693. Di grande interesse è il fonte battesimale “in pietra calcarea, di gusto cinquecentesco con il leoncino stiloforo ispirato a modelli gotici”. Oggi è possibile ammirarlo integralmente, sia per la sua attuale collocazione che per essere stato liberato del cappello ligneo. La facciata, sicuramente realizzata alla fine dell’Ottocento/inizi del Novecento, era un “pasticcio” in stile umbertino, che l’attuale restauro ha alleggerito togliendo alcuni orpelli che la rendevano poco armoniosa, e riportando alla luce l’antico portale in pietra del ‘700 che era stato impropriamente ricoperto da intonaco, sovrastato da un arco in tufo e da un lucernario, un tempo murato. Dello stesso periodo, come attesta l’iscrizione “1891” scolpita a numeri romani, è il sagrato, con i gradini in pietra. Convento dei Padri Minori Osservanti e chiesa di Santa Maria delle Grazie. Immagine del Convento S. Antonio – sede Comunale - (APT Basilicata) L’intero monumentale complesso (con la chiesa annessa) è detto popolarmente di Sant’Antonio. Fu fondato nel 1573, e sottoposto alla regola dei Frati Minori Osservanti. Il vescovo di Cassano, Giovambattista Serbelloni, concesse l’assenso per la sua edificazione, assenso che fu ratificato da un’autorizzazione pontificia del 1579. Il 5 gennaio 1581, con il breve Pius Christi Fidelium, assunse la denominazione di Santa Maria delle Grazie, e dopo qualche anno quello della Natività della Vergine. Era dotato di una ricca bibblioteca, ma durante l’occupazione francese del 1806-7, il convento fu saccheggiato e la bibblioteca distrutta. I frati furono cacciati ed ospitati nelle case del paese e nel 1807 fu soppresso. Fu riaperto nel 1817, durante la Restaurazione Borbonica, ma dopo l’Unità d’Italia, nel 1866, fu definitivamente chiuso e la struttura divenne proprietà comunale ed adibita ad uso pubblico, tra cui caserma dei carabinieri, mentre la chiesa rimase proprietà ecclesiastica. Infine fu definitivamente abbandonato ed ebbe gravi danni strutturali con il terremoto del 23 novembre 1980. Dopo il restauro è diventato sede del Comune. Il recupero della struttura è stato troppo invasivo e ne ha quasi stravolto l’originale fisionomia. L’edificio si sviluppa intorno al chiostro quadrangolare, costituito da un duplice ordine di arcate su pilastri, gli ambienti al piano terreno erano di uso comune, al primo piano vi erano le celle e l’appartamento del priore. Quello che un tempo era il refettorio, ampio salone a piano terra con volta a botte lunettata, oggi è la sala consiliare. Sulla parete di fondo, un affresco illustra “L’ultima cena”, in basso due cartigli con iscrizioni latine commemorano importanti riunioni del capitolo. Il restauro del dipinto fu terminato proprio il 9 settembre 1998. Nel 2004, l’Associazione Neoborbonica di Lauria, in ricordo della visita del Re Ferdinando II di Borbone, ha voluto apporre nel chiostro una lapide, in sostituzione delle perdute iscrizione che frati fecero nel 1852. La chiesa è a navata unica, con pareti scandite da nicchie alternate a lesene, vi si dispongono cinque altari per ogni lato, con ricca decorazione in stucchi, eseguita nei primi del Settecento. Sugli altari sono disposte eleganti tele, alternate a sculture lignee di pregio. Spiccano per importanza, la tela della Madonna del Rosario, del pittore Felice Vitale da Maratea, databile alla fine del Cinquecento/inizi del Seicento, una Circoincisione del Sei/Settecento, e la bellissima composizione attribuita a un seguace del Solimena, illustrante una Madonna con Bambino e S.Caterina d’Alessandria. Tra le sculture lignee, interessante è il crocifisso del Cinquecento, con il perizoma in foglia d’oro. Altre tele notevoli rivestono le pareti del coro, ma l’opera di maggior pregio è la statua in legno scolpito, nell’abside, dietro l’altare maggiore, la Madonna delle Grazie, che risale alla 2^ metà del Cinquecento, sicuramente di un artista napoletano di un certo rilievo. L’importante scultura in legno policromo con tracce di dorature nelle vesti, oggetto di un accurato restauro, fa parte di un trittico formato anche da due tele. Sulla volta del coro, un grande affresco incorniciato di stucchi, mostra una Natività della Vergine. Chiesa dell’Annunziata Chiesa dell'Annunziata con la caratteristica cuspide del campanile ricoperta da piastrelle di ceramica colorata, che ricorda i caratteri tipici delle costruzioni bizantine (sec. XVII). (usarla come didascalia) La chiesa della SS.Annunziata è nel centro del paese, di fronte la chiesa madre. La notizia più antica che si ha finora sulla chiesa, risale al 1595. La tradizione vuole che essa sia sorta come piccola cappella, che fu ampliata poi a cominciare dal 1660. L’edificio sacro è composto da una sola navata, con coro, ed altari laterali decorati in stucco, come la volta. Sugli altari erano poste tele e statue del Sei e del Settecento, alcune in restauro. Sono da evidenziare, come opere di pregio, un crocifisso ligneo, una bellissima scultura in legno di Santa Lucia, del Settecento, e la bussola della controporta, con la cantoria e l’organo, realizzato nel 1683. L’organo è un notevole lavoro in legno intagliato e dipinto di vari colori. Le ante della controporta, che furono compiute insieme alla cantoria nel 1797, come enuncia un’iscrizione sulla cimasa, e che un sapiente restauro eseguito nel 2012 ha restituito agli antichi colori, mostrano otto dipinti su tavola. I dipinti illustrano, oltre a vasi fioriti, un’Annunciazione, S.Biagio – protettore della Diocesi di Cassano -e S.Nicola – protettore del paese. Gli sportelli dell’organo sono costituiti da quattro tele, due ripetono il tema dell’Annunciazione. Ma la particolarità della chiesa, legata alla leggenda sulla sua fondazione, è la scultura sull’altare maggiore. La statua è in muratura, ed è una Madonna con Bambino di colore bruno che la tradizione popolare vuole che poggi su un tronco d’albero, forse un ontano. GaetanoArcieri: “Sussiste pia tradizione, cioè che nella osteria sita in prossimità della precitata cappella pervennero degli Schiavoni, i quali trasportavano la statua suddetta per venderla nelle Calabrie. Si trattennero colà per rifocillarsi, poggiandola sul tronco medesimo dell’averno. Allorchè riprender la vollero per continuare il viaggio, essa addivenne grave, e fu impossibile l’amuoverla. La popolazione accorse al prodigio. La statua si fece rimanere, e diessi tantosto di piglio alla fabbrica di piccola cappella, che poscia col girar dè lustri addivenne, com’è ora, decentissima”. Sempre l’Arcieri “l’effigie è simile a quella della Schiavonia in Calabria”. Chiesa della Madonna della Neve continua dicendo che Poco distante dal centro abitato di Castelluccio Inferiore, nella località omonima, sorge la chiesa della Madonna della Neve, alla sommità di un pendio boscato dominante la valle del Mercure ed in una splendida posizione panoramica. Fanno da sfondo in lontananza i monti del Pollino e si scorgono i centri abitati di Viggianello, Rotonda, Laino Borgo, Laino Castello e Mormanno, in un suggestivo scenario. Il luogo di culto fa parte del patrimonio delle chiese montane dell’Appennino Lucano, strettamente legate alle tradizioni religiose locali del culto della Vergine e associate a feste rurali e fiere pastorali, come ve ne sono altri esempi in Lucania e nell’ambito del Parco del Pollino. Le fonti tramandano che all’origine si trattava di una piccola chiesa in una località molto più distante e resa inaccessibile nel periodo invernale, cioè sul dorso della collina sporgente il bacino della Pescara, anticamente detta “la Innantilaria”. Per questo motivo si pensò di spostare la chiesa dove si trova attualmente, ricostruendola e salvando il solo blocco dell’altare maggiore, che racchiude tutt’ora l’affresco, databile alla prima metà del Cinquecento, della Madonna con Bambino. Non si conosce dunque l’epoca precisa della sua fondazione, ma si apprende che le furono concessi, privilegi ed indulgenze da Papa Benedetto XIII nel 1727. La costruzione si presenta con una linea architettonica sobria, al suo fianco si sviluppa un edificio pluriuso, che un tempo era la casa dell’oblato, che permanentemente vi risiedeva. A fianco a questo si eleva il campanile cuspidato, a pianta ottagonale, e la fontana, con fondale trabeato e a tre paraste. Seguono due file contrapposte di piccoli ambienti voltati a botte, che erano usati dagli ambulanti durante la fiera estiva. L’interno è ad un’unica aula rettangolare, con grande volta a botte lunettata, e presenta, oltre all’altare maggiore, due graziosi altari laterali ben decorati con stucchi policromi, su cui sono montate bellissime tele del Settecento. Rappresentano “L’Annunciazione” e “L’Arcangelo Raffaele e Tobiolo”, su una di queste si scorge la firma del pittore – Antonio Galanti – e la dedica del committente – Giuseppe D’Ambrosio. Un’altra tela è posta sull’altare maggiore e illustra una Madonna con Bambino, ma nasconde l’affresco. Tra gli arredi lignei, vi è il coro in noce intagliato, e la bussola della controporta con le ante dipinte, su cui è la cantoria con l’organo finemente intagliato e vivacemente dipinto a tempera. Il pregevole manufatto reca la data 1794, ed è molto simile a quello della chiesa dell’Annunziata.L’insieme risulta di grande bellezza ed eleganza. Il monumentale complesso è stato interessato da notevoli dissesti ed è stato oggetto di consistenti interventi di consolidamento e restauro, conclusi con la sistemazione dell’area esterna, ripristinando la gradinata d’accesso e gli ambienti voltati ancora esistenti. In quella che prima era l’abitazione del religioso, è stato allestito di recente il Museo della Civiltà Contadina. Le altre strutture religiose presenti nel paese sono, nel centro abitato, le cappelle di: S. Anna, S.Giuseppe, gentilizia di palazzo Aiello, S.Tommaso (in periferia) – fuori dal centro abitato: S.Francesco di Paola (con affreschi di Angelo Galtieri), S.M.Maddalena, S.Maria della Consolazione o del Latte ( fondata nel 1642, con statua in marmo bianco, del Seicento), Madonna dei Sette Dolori nel Casale di Vigna della Corte (con tela di un Compianto sulCristo Morto, del Settecento). Palazzi Palazzo Marchesale E’ un vasto edificio posto nel centro del paese e di fianco alla chiesa madre. I passaggi di proprietà e i cambi di destinazioni d’uso, subentrati ai mutamenti storici avvenuti nel tempo, ne fanno oggi un agglomerato di case, che lo rendono poco riconoscibile. La struttura originaria risaliva sicuramente al periodo dei Sanseverino, nel Quattrocento. Con l’avvento dei feudatari Pescara Di Diano e la scelta di questi ultimi di vivere nel paese, a iniziare dalla fine del Cinquecento/inizi del Seicento,fu notevolmente ingrandito e trasformato fino ad assumere l’immagine stessa del potere feudale. La struttura si estendeva intorno ad una ampia corte, in cui vi era una sontuosa gradinata formata da due scale, di stile tipicamente catalano, e vi si affacciavano armoniosi loggiati. I feudatari provvidero alla decorazione ed all’abbellimento interno, per cui si susseguivano grandi sale e saloni (“… Ampie le sale, belle le stanze”...). La più celebrata era la sala di S.Onofrio, così descritta da Gaetano Arcieri: ”Rimarchevole per ampiezza, per ornati, e dipinti storici tratti da Tito Livio sulle magnifiche gesta dei Romani era la così detta sala di S.Onofrio, poiché ad essa adiacente era la cappella a questo santo dedicata,…”. Sono sopravvissute alle spoliazioni e agli stravolgimenti che sono seguiti nel corso del tempo, alcune sale interne, abbellite con stucchi della stessa mano di quelli del coro di San Nicola, e della stessa epoca, poiché medesima è anche la committenza. Gli stucchi fanno da cornice ad affreschi illustranti scene dell’Antico Testamento, dei primi del Settecento. E’ rimasto, della struttura originaria, l’androne dell’ingresso, con la volta affrescata ad illustrare le insegne dei fondatori del ramo Pescara dei Marchesi di Castelluccio, con l’antico portone, di recente recuperato. Altri palazzi storici del paese sono: Aiello (sec. XVIII), De Biase (sec. XIX), Scutari (sec. XIX), Roberti (casa natale del giurista Sante Roberti – sec.XVIII, con bellissimo cortile e loggiati), Roberti di via Roma civico 218 (sec.XIX), Salerno di via Int.Taranto (sec.XVIII), Salerno (casa natale del giurista Giovanni Salerno, sec.XVIII), Taranto (sec. XVIII), Arcieri (sec. XVII), De Robertis (sec.XVIII), Mairota (sec.XIX), Pagani (sec.XIX). Seguono i bei palazzetti di via Roma, tra cui Ruggiero, Guarino ecc., e le case palazziate dei cosidetti “americani”, che formavano un rione nato tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. I portali di questi palazzi, scolpiti in pietra e in marmo bianco, gareggiano tra loro per bellezza ed eleganza: conchiglie, vòlute, nastri, fiocchi, nappine, gigli cadenti. Le sale di palazzo Arcieri erano decorate con soffitti in legno dipinto, del Settecento. Ma oggi ne sopravvive uno solo ed illustra un’allegoria della scienza nelle vesti di Minerva, con ai lati altri simboli delle varie discipline della conoscenza e del sapere, tra cui la giustizia, perchè gli esponenti della famiglia erano prevalentemente magistrati e giuristi. Una strada caratteristica è via Intendente Taranto, un tempo “via della Cavallerizza”, che con i suoi sopportici attraversa, quasi in linea retta, gran parte del centro più antico. Vi si affacciavano le case più vetuste e tra queste, palazzo Pinto: un arco a sesto acuto (asimmetrico per via dei gradini interni) e sovrastato da una loggia, è un cavalcavia che funge da elemento di collegamento tra una vecchia torre scalaria e il resto della casa. E’ una parte del centro storico ancora intatta e per questo molto affascinante.