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Le voci della scienza
MICHAEL BONGIORNO
17 settembre 2008
Trascrizione dell’intervista
NOTE TECNICHE E CRITERI DI TRASCRIZIONE
Questo documento scritto è una derivazione del documento originale, che è da considerarsi la registrazione
audiovisiva conservata presso gli archivi del Museo su supporto MiniDV in formato SD PAL 720x576.
Esso ha unicamente lo scopo di indicizzare e rendere fruibile il contenuto del documento audiovisivo originale.
La trascrizione è letterale; eventuali discordanze da una trascrizione verbatim sono introdotte allo scopo di
favorire la leggibilità.
I principali criteri di realizzazione sono:
inserimento di punteggiatura;
eliminazione di parole incomplete e interiezioni ridondanti;
redazione del testo delle domande;
codici di tempo inseriti all’inizio di ciascuna risposta (approssimati al secondo e riferiti al timecode
impostato sul filmato originale).
Intervista raccolta il 17 settembre 2008 a Milano, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia
“Leonardo da Vinci”, a cura di Simona Casonato e Massimo Temporelli. Trascrizione di Simona Casonato.
Si può presentare ai visitatori del Museo?
[48:20, nastro 1]1 Mi chiamo Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, senza la U, come ho
detto nel mio libro La versione di Mike che è uscito di recente. E ho proprio detto così:
Michael Nicholas Salvatore Bon-gior-no, senza la U. Ecco. Oggi racconteremo un po’ la storia
della mia vita, e parleremo della televisione. Ci vorrebbero delle giornate intiere per parlarne,
però è tutto raccontato qua. Se avete premura, prendete il libro.
Il suo personaggio ha una grande importanza per la storia della televisione
italiana. Lei come si considera?
[49:10] Mah, io sono il personaggio che è arrivato al momento giusto, quando stava per
nascere la televisione ed ho avuto forse, direi, un colpo di fortuna. Io lavoravo in America…
la mia storia è molto lunga, naturalmente. Se cominciassi proprio dall’inizio staremmo qui
fino a domani. Comunque: io sono nato in America, poi sono venuto in Italia che ero
piccolino, perché papà e mamma si separarono, quindi io ho fatto i miei studi a Torino.Poi
sono entrato nella Resistenza, sono stato arrestato durante una missione sul confine
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Il timecode dei due nastri successivi di cui si compone la registrazione è stato impostato dall’operatore senza azzerare un
timecode precedente. Il tempo indicato corrisponde in realtà all’inizio del nastro 1.
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Trascrizione dell’intervista a Michael Bongiorno
svizzero. Allora mi hanno messo a S. Vittore a Milano, sono stato in carcere sessantanove
giorni di isolamento completo, sesto raggio, cella 89. E poi mi hanno mandato in vari campi
di concentramento e di sterminio. E per fortuna – perché io ero nato in America e avevo
anche documenti americani – gli americani si misero d'accordo con i tedeschi per uno
scambio di prigionieri. E allora io sono uscito dal campo di Spittal [Spittal an der Drau, in
Austria, n.d.r.] dove mi tenevano ormai da alcuni mesi, mi hanno caricato su un treno della
Croce Rossa nel febbraio del 1945, alcuni mesi prima che finisse la guerra, mi hanno portato
a Marsiglia, mi hanno caricato su una nave scambio e mi hanno portato negli Stati Uniti.
E che cosa è successo? Ecco perché io dico: forse è un aiuto che mi ha voluto dare Dio.
Grazie a tutta questa avventura, queste traversie, tutto questo male, tutto questo dolore che
avevo vissuto, è nata la mia carriera.
Perché quando sono arrivato a New York mi chiesero di raccontare ai microfoni della radio, e
soprattutto della Voce dell’America che trasmetteva tutti i giorni i programmi per l’Italia a
onde corte le mie vicissitudini di Milano e di S. Vittore. E allora ho cominciato e si sono
accorti che me la cavavo bene! Quindi la mia professione è nata grazie a questa terribile
avventura che io ho vissuto, altrimenti io non avrei mai pensato di fare il presentatore. Avevo
cominciato quando ero a Torino ed ero un ragazzo giovane a fare il giornalista, perché
lavoravo come galoppino alla Stampa di Torino. Sapete cos’è il galoppino? Il galoppino è il
giovane di bottega che viene inviato per raccogliere le formazioni delle squadre, gli arrivi
delle corse ciclistiche… insomma, tutte quelle cose che i giornalisti patentati non amano fare.
Quindi io mi sono fatto un po’ le ossa anche lì. Quindi avevo anche una base giornalistica.
Però ripeto ancora una volta che quando io ero in cella a s. Vittore, pregavo Dio e dicevo:
Dio aiutami perché qui oramai non ho più speranze. Ero stato condannato a morte – eh, è
proprio così, non sto esagerando. È tutto raccontato nel mio libro, provato con tutti i
documenti, quindi io non ho inventato niente.
Ebbene, vuol dire che Dio a un certo punto, dopo che io ho sofferto tanto, ha deciso di darmi
una mano. Ed ecco che iniziò così la mia carriera.
Lei è stato protagonista della prima giornata di televisione in Italia. Se la ricorda?
[52:17] Beh dunque: innanzitutto dobbiamo dire perché, la prima giornata della televisione.
Allora, a un certo punto – siccome io lavoravo negli Stati Uniti e facevo questi programmi che
vi ho descritto – la mia emittente di New York mi mandò in Italia. Mancavo ormai da dieci
anni, da quando mi avevano scambiato. E mi dissero: tu devi andare in Italia a fare una serie
di documentari sulla ricostruzione dell'Italia.
Allora siccome già mentre io ero a New York facevo delle piccole corrispondenze per la RAI,
mi aveva dato questo incarico Vittorio Veltroni, il padre di Walter Veltroni, che era il direttore
del Giornale Radio. Allora quando sono arrivato in Italia sono andato a trovarlo. E lui mi ha
detto: guarda Mike che sono contento che tu sei arrivato perché noi stiamo preparandoci per
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fare la televisione. Dobbiamo inaugurare la televisione. E visto che tu hai già un po’ di
esperienza, l’hai fatta in America, forse tu potresti essere molto prezioso per noi.
E io dissi: va bene, sono a disposizione. Starò qua per un anno però poi io devo ritornare
negli Stati Uniti. Allora Veltroni mi disse: guarda nel frattempo vorrei che tu facessi un
programma, perché serve anche a noi tecnicamente, perché abbiamo bisogno di fare delle
registrazioni con le apparecchiature nuove, che ancora non conosciamo. Dovresti fare un
programma, a Roma, che chiameremo Arrivi e partenze. In questo programma io raccontavo
tutta la dolce vita di Roma, perché stiamo parlando del 1953-54. E intervistavo tutti i
personaggi VIP che passavano da Roma e questa trasmissione andava in onda tutte le
domeniche sera. Quindi il primo vero programma che è stato fatto in televisione è Arrivi e
partenze. Nel frattempo, siccome la Rai si era già preparata ed era giunto il momento di
inaugurare ufficialmente la televisione, mi dissero: guarda bisogna che tu proponi qualcosa
che possa funzionare alla grande per interessare gli italiani.
Pensate che allora c'erano si e no cinque, diecimila apparecchi televisivi venduti, in Italia. E
allora dissi : guardate, c’è un quiz In America – perché io sempre specializzato nei quiz
anche quando ero negli Stati Uniti – che va molto forte: “la domanda da sessantaquattro
mila dollari”, The Sixty-Four Thousand Dollar Question Program, si chiamava. Aveva un
ascolto enorme negli Stati Uniti. Dico: perché non facciamo un programma similare anche in
Italia? Mi dissero: mah, è molto difficile fare un programma così, In Italia non ci crederanno,
penseranno che facciamo degli inghippi. Comunque, andiamo a New York a vedere. E allora
il direttore della televisione, Pugliese [Sergio, n.d.r.], famoso come biografo, andò a New
York tornò dopo una settimana e disse: Mike avevi ragione noi dobbiamo fare un programma
così, un programma che chiameremo Lascia o raddoppia. Partiremo con una piccola cifra –
mi pare era duemila, duemila lire, sì – e arriveremo fino a cinque milioni e mezzo. Oggi
sembrerebbe una barzelletta, cinque milioni e mezzo, ma cinque milioni e mezzo nel 1956-57
era una cifra enorme. Ti potevi comprare un appartamento costruire una casetta in
campagna.
E fu così che allora noi abbiamo dato il via ufficiale alla televisione, prima con un programma
esplicativo, e poi con Lascia o raddoppia, che è durato quattro anni, mi pare che ho fatto
qualcosa come centoventi puntate. E successe l’ira di Dio in Italia. Già io mi ero fatto un
nome con i lavori che avevo fatto dagli Stati Uniti, e poi con Arrivi e partenze. E poi nel
frattempo lavoravo anche alla radio, facevo dei programmi per la Radio RAI.
Bah, devo dire che questo Lascia o raddoppia rivoluzionò tutta l'Italia; perché innanzitutto
gli italiani non avevano mai sentito parlare di un quiz che dava dei premi così alti; perché
allora c’era un quiz che facevano alla RAI, che presentava il presentatore Silvio Gigli, che
dava come premi delle cravatte, pensate. Invece noi davamo dei milioni, e quindi tutti
impazzirono, e ci fu un grande boom anche per acquistare dei televisori.
Allora dovete sapere che il giovedì sera l'Italia si fermava. Anche in Parlamento
sospendevano le riunioni. E nei bar, nei ristoranti, nei teatri si ammassavano migliaia di
persone perché volevano vedere Lascia o raddoppia. Quelli che non avevano ancora la
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televisione… pensate che in montagna scendevano giù a valle, facevano chilometri – non
sono storie, sono tutte cose vere che sono accadute – per andare giù nel paesino dove c’era
la televisione e vedere Lascia o raddoppia.
E logicamente la mia vita divenne una cosa, direi, praticamente… impossibile! Non potevo
più circolare per le strade. Va bene che avevo già una certa notorietà, ma come quella non
l’avevo ancora raggiunta. Quindi fu con Lascia o raddoppia che io ho iniziato la mia carriera
alla grande. Possiamo dire che Lascia o raddoppia è il programma al quale la televisione
deve il suo inizio. Io non sono pienamente d’accordo, però, perché dopo Lascia o raddoppia
ho fatto molti altri programmi, altri quiz. E ho fatto quello che io considero il più bel
programma di quiz, non solo della storia televisiva, ma che io ho mai fatto, e cioè il
Rischiatutto. Di fatti ancora oggi ne parlano, e anzi si parla di rifare il Rischiatutto perché
ebbe un tale successo, pensate, che ce l’ hanno anche copiato in parecchi paesi in Europa.
Anzi sono andato io stesso a organizzare il Rischiatutto. È andato avanti per anni e anni.
Peccato che poi l'hanno sospeso. Perché, pensate, in Germania dove lo hanno copiato, è
andato avanti vent’anni. Pensate. Da noi invece ogni quattro cinque anni si cambiava
programma. E la RAI secondo me fece un errore, sospese il Rischiatutto. Ho fatto poi altri
programmi altrettanto interessanti, altrettanto belli, ma non come il Rischiatutto.
Lei ha inventato in Italia il mestiere di conduttore televisivo. Un bravo
presentatore quali doti deve possedere?
[58:30] Ma io vi devo dire quello che so per quanto riguarda me, cioè il mio metro… Eh! voi
dovete sapere, ve l’ho appena detto, che non avrei mai pensato di fare questo mestiere, è
un caso. Perché dovevo raccontare le sofferenze, le vicissitudini, tutto quello che avevo visto
durante la prigione a S. Vittore, durante i campi di concentramento. E quindi io, con grande
faccia tosta, cominciai a parlare senza avere una base ai microfoni.
Oggigiorno la maggior parte di quelli che vogliono fare il presentatore – a parte il fatto che si
presentano con fior di lauree, e poi raccontano: io ho fatto questo ho fatto quell’altro – però
non hanno una base, un'esperienza, perché per fare questo mestiere bisogna avere
esperienza col pubblico, con la massa. Devi sapere come è fatta la gente con la quale parli,
perché è inutile che tu parli un italiano forbito se tanto poi non ti capiscono, è inutile che gli
racconti delle cose che per la grande massa sono troppo distanti dalla sua mentalità.
Ecco, forse io devo dire che, siccome io non ho fatto grandi studi, ero praticamente allo
stesso livello e quindi, inconsciamente, ho fatto sempre quello che il pubblico voleva. Anche
per un'altra ragione: quando sono venuto in Italia e che feci i documentari sulla ricostruzione
dell’Italia, ho viaggiato dal Nord al Sud. Soprattutto nel Sud. E quindi avevo imparato a
conoscere perfettamente tutta l'Italia: soprattutto i paesini piccoli, dove viveva la gente
ingenua, i contadini, la gente che non aveva grande educazione. Ecco io avevo fatto tutti i
miei documentari per New York in questi paesi, quindi quando io parlavo ai microfoni della
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televisione italiana, vedevo quelle stesse persone che avevo incontrato durante i miei giri per
l’Italia, quindi sapevo come dovevo parlare.
Invece al giorno d’oggi, la maggior parte di quelli che vogliono fare il presentatore salvo
rare eccezioni, arrivano e dicono: io voglio fare il presentatore. Sì, ma che esperienze hai?
No non ho esperienza, però so parlare. Non basta! Ci vuole una base, bisogna conoscere che
cosa vuole la gente, bisogna vivere in mezzo alla gente per dare alla gente quello che vuole.
Abbiamo i nomi dei concorrenti di Lascia o Raddoppia di una puntata che noi
esporremo in video dentro al museo. Erano Giovanni Distasi, che parlava di calcio,
Giulio Prezioso che parlava della storia dell’Italia e il signor Gibellino che parlava
sempre di calcio. Poi c’era il signor Ugo Teschi che parlava di cinema.
[59:00] Si, non sono sicuro che questa sia stata la prima. Potrebbe darsi che non sia stata la
prima. Signori miei, sono passati troppi anni. Sono passati più di cinquant’anni. Mai più avrei
pensato allora di essere ancora qui a parlare di Lascia o Raddoppia. E non ho deciso di
smettere, eh, andrò avanti ancora per un bel po’!
Devo fare tante trasmissioni… Comunque, volevo dirvi com’è nato questo Lascia o raddoppia.
Allora, come vi ho detto, il direttore della televisione è andato in America, l’ha visto, è
tornato e ha detto dobbiamo dare questo programma: lo chiameremo Lascia o raddoppia.
Allora, era il 19 novembre, 19 novembre 1954, e decisero di fare la prima puntata al Teatro
della Fiera, che adesso purtroppo hanno demolito perché stanno rifacendo tutto. Anzi, sono
andato lì, visto che io facevo Lascia o raddoppia gliel’avevo inaugurato io e mi hanno
regalato anche un mattone come ricordo di quello studio dove io ho lanciato la televisione, e
lo tengo lì come una cosa sacra, nel mio studio.
Allora, come dicevo, la prima sera che ho fatto questa prima puntata esplicativa di Lascia o
raddoppia il teatro era deserto: perché allora c'era anche una specie di… invidia. Non voglio
usare la parola “odio”, ma la stampa non amava la televisione, perché la televisione, avevano
capito, avrebbe fatto concorrenza per cui non era venuto nessuno. Ero solo nello studio a
raccontare come avrebbe funzionato Lascia o raddoppia. Ovviamente quando è finito il
programma ero molto giù di morale e sono uscito dallo studio – mi ricordo che allora andavo
e venivo perché lavoravo molto anche a Roma, e andai al mio albergo, l’albergo Cavalieri qui
a Milano. Però strada facendo, nella macchina che mi portava, vedevo dei capannelli di
persone davanti ai bar. E dicevo fra di me: chissà di cosa stanno parlando, deve essere
successo qualcosa. Invece poi mi spiegarono che quelle persone che erano nei bar dove
c’era la televisione mi avevano visto raccontare quello che sarebbe stato Lascia o raddoppia.
E tutti erano colpiti da questo programma che avrebbe dato la possibilità di vincere milioni su
milioni. Allora che cosa successe? Che nel corso della settimana tutti ne parlavano, quelli che
erano riusciti a vedere questa puntata che avevo fatto e la settimana dopo i giornali furono
obbligati a venire ad assistere al programma. Tanto è vero che abbiamo dovuto costruire una
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tribuna per lo meno cinquanta, sessanta giornalisti sono venuti pensate, e ci sarà stato altri
quaranta, cinquanta fotografi. E questa prima puntata, che è una puntata storica, io non so
se la RAI ce l’ha ancora, fu quella con la quale abbiamo lanciato un programma storico, un
programma irripetibile, per quell'epoca naturalmente, perché io dopo ho fatto dei programmi
che hanno avuto un ascolto anche superiore.
Perché allora la televisione stava appena cominciando. C'erano i televisori nei bar, la gente
arrivava lì magari con la sedia nei paesini in montagna in campagna, le vecchiette arrivavano
lì con la sedia, ordinavano un'aranciata, si guardavano la trasmissione e poi andavano a
casa. Invece, piano piano, facendo questo Lascia o raddoppia si spargeva la voce che era un
programma molto interessante e ci fu il grande boom di vendite dei televisori. Tant’è vero
che, siccome allora non facevano ancora i televisori in Italia, salvo poche eccezioni i televisori
venivano importate dall'America. E in America dissero: ma cosa sta succedendo in Italia, che
tutti adesso stanno ordinando i televisori? E scopersero che questo Mike Bongiorno
presentava un programma, e che oltretutto era questo Mike Bongiorno era cittadino
americano perché era nato in America. Allora mandarono il rappresentante di quelli della
televisione in America e mi diedero un trofeo. Tradussero dall’inglese “for having sold
television to the Italians”, che ha un significato molto buono – tradotto, scrissero: “per aver
venduto la televisione agli italiani”! E ho ancora questo trofeo che tengo perché è stato il
primo trofeo, il primo premio che ho avuto nella mia carriera televisiva.
Secondo lei, rispetto alla vita quotidiana degli italiani, tutti questi anni di
televisione che trasformazioni hanno prodotto?
[66:37] Beh allora dobbiamo dire questo. E questo è riconosciuto anche dai sapientoni che la
televisione in Italia quando è nata è servita molto a modernizzare il paese. Per due ragioni:
primo, perché soprattutto nel Sud dell’Italia non sapevano niente del Nord dell’Italia. E io
facevo queste trasmissioni dove facevamo vedere anche le immagini. La RAI stessa faceva
vedere le grandi città italiane, eccetera.
E poi naturalmente noi parlavamo un italiano corretto. Mentre lei deve sapere che a
quell’epoca, e questo è riconosciuto e descritto dagli esperti, da Napoli in giù si parlava solo
il dialetto. Nelle case parlavano in dialetto, tant’è vero che io ho avuto anche un
riconoscimento, pensi, dall'Accademia della Crusca, dove hanno scritto… Anzi io ho dovuto
discutere col direttore dell’Accademia della Crusca, perché adesso – ho detto – adesso state
esagerando. Perché mi hanno dato un trofeo dove dice: "a Mike Bongiorno, che ha insegnato
l'italiano agli italiani". Pensate che io faccio ancora gli errori coi congiuntivi… Ho detto: ma lei
non può dire che io ho insegnato l’italiano! Nooo – dice – noi lo sappiamo, perché grazie a
lei, soprattutto al Sud, hanno incominciato a parlare in italiano, quindi lei è uno che è servito
moltissimo per insegnare la lingua italiana in Italia. Allora che cosa è successo? Che la
televisione ha unito questa Italia, che era divisa in due. Perché allora da pochi anni era finita
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la guerra, ecco, l'Italia arrivava fino a Roma, a malapena Roma, va bene, e poi c'era proprio
un… una divisione netta da Roma in giù. Non parliamo, più scendevi verso il sud, quando
arrivavi in Calabria, in Sicilia o… era un altro mondo. E quindi dobbiamo dire che la
televisione ha insegnato agli italiani che cosa era l'Italia, a quelli del Nord a capire che cosa
era il Sud, e al Sud a capire che cosa era il Nord. Quindi la televisione è stata una cosa
molto, molto importante.
Inizialmente abbiamo fatto veramente dei bellissimi programmi. Ancora oggi li trasmettono
con repliche alla RAI e quando li vedo dico: perbacco come eravamo bravi, e faccio un
paragone con i programmi come sono oggi. Perché voi dovete sapere, questo è il mio
parere, ma anche dei critici, che secondo me la televisione che si fa adesso vale ben poco.
Non ci sono i bei programmi come si facevano una volta; purtroppo, non vanno bene.
Però che cosa è successo? La rottura è avvenuta quando è nata la televisione commerciale.
Allora, adesso vi racconto com’è nata questa televisione commerciale. Naturalmente dopo
Lascia o raddoppia io ho fatto parecchi altri programmi. Ho fatto il rischiatutto, ho fatto tanti
bei programmi , ho fatto scommettiamo il cavallino Michele c’era allora, hai capito… tutti i
programmi che siccome c’era un solo canale televisivo – pensate io ogni giovedì, che è
sempre stata la mia giornata televisiva, avevo ventiquattro, venticinque milioni, ripeto,
venticinque milioni, di ascoltatori! Ma noi ce li sogniamo questi! Oggi quando fai quattro,
cinque milioni c'è da leccarsi le dita. Io tutti i giovedì avevo ventiquattro, venticinque milioni
di ascoltatori.
Allora un bel giorno ricevo una telefonata, dall’altra parte c’era un signore che mi parla e mi
dice: senta io avrei una mezza intenzione di fare la televisione commerciale, la televisione
indipendente, perché ormai la RAI è superata bisogna fare delle cose nuove, e avrei bisogno
di qualcuno che conosce bene questo mezzo. Siccome so che lei ha cominciato a lavorare in
America, io vorrei che lei collaborasse con me. Io dissi: va bene, incontriamoci, mi racconterà
che cosa intende fare. Come si chiama lei? E allora lui mi disse: io mi chiamo Silvio
Berlusconi. Ok grazie. Naturalmente chiesi poi informazioni in giro e dissi: mi ha chiamato
un certo Silvio Berlusconi che vorrebbe fare la televisione commerciale, la televisione privata
in Italia. Sapete chi è? Ah, sì, è uno che costruisce dei palazzi a Milano, adesso sta
costruendo Milano Due. Mai più immaginava la carriera che avrebbe fatto. Va be’. Allora
fissai questo appuntamento, come vi ho detto, con Berlusconi e ci siamo trovati in un
ristorante nella zona di S. Babila. Beh, vi devo dire che dopo mezz'ora che ero a tavola con
lui, fra me e me dicevo: ma quest’uomo è un fenomeno. Perché quest’uomo aveva le idee
così chiare anche per quello che riguardava la televisione, la vita in Italia, quello che si
doveva fare, che io dicevo: ma questo qua se fosse nato in America diventerebbe presidente
degli Stati Uniti. Eh! Non è diventato presidente degli Stati Uniti però è diventato il nostro
primo ministro in Italia. E quindi ha fatto veramente un carrierone.
Rimasi veramente colpito. Allora Berlusconi mi disse: dobbiamo cominciare senza farlo
sapere alla RAI a mettere in piedi quella che sarà la televisione privata. Era il 1977, pensate
sono passati molti anni da allora. E quindi io dissi: va bene, incontriamoci tutti i giorni. Dopo
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che avevo lavorato in RAI soprattutto alla sera andavo a Milano Due, che in quel periodo era
in costruzione. Berlusconi stava costruendo Milano Due. Facevamo mezzanotte, l’una per
impostare quella che avrebbe dovuto essere stata la televisione commerciale. Finalmente un
bel giorno Berlusconi mi dice – siamo arrivati al 1980, erano passati due o tre anni – caro
Mike è arrivato il momento dobbiamo lanciare ufficialmente la televisione in Italia, il che
significa devi lasciare la RAI. E io dissi: beh, lasciare la RAI… guardi che lei mi sta chiedendo
una cosa molto delicata, perché va bene che guadagno due lire – perché la televisione
approfittava del fatto che era un monopolio non ci pagava, ci dava due lire, era una
vergogna, va bene? però era sempre qualcosa per sopravvivere. Lei se mi vuole, se vuole
che io lavoro per lei, eh mi deve dare uno stipendio superiore a quello che io prendo. Allora
lui fece un po’ di calcoli, perché lui ha sempre un librettino dove fa i calcoli, poi mi guardò e
mi disse – premetto che io in RAI fino a quell’anno guadagnavo sui eh… sui venticinque…
venticinque trenta milioni, che allora era ridicolo, soprattutto per chi aveva la notorietà che
noi che lavoravamo in televisione – gli attori cinematografici guadagnavano centinaia di
milioni. Ma quando noi chiedevamo un aumento alla RAI dicevano: guarda che c’è la fila
dietro quella porta che aspetta di prendere il tuo posto. E quindi quello era il mio stipendio di
quel momento. Sapete cosa mi disse Berlusconi? Quando ci penso mi tremano ancora le
gambe. Dice: ti bastano 600 milioni? Dissi: Cooome? Seicento milioni… Dissi: ma come,
seicento milioni? Per quanti anni? Nooo, non per tanti anni, per un anno. Per un anno? Sì!
Perché ti daremo noi un bello stipendio e poi arriveranno gli sponsor, e gli sponsor fanno dei
grandi investimenti. Anzi devi dire ai tuoi colleghi, alla RAI, di venire qui da noi perché
abbiamo bisogno di altri presentatori, di personaggi. Allora mi misi al telefono, chiamati tutti.
Nessuno ci credeva: nooo, non è possibile che daranno quegli stipendi. E invece era proprio
vero. E qui dobbiamo dire che Berlusconi, a parte il fatto di che ha avuto questa grande idea
di fare la televisione commerciale… Devo dire che Berlusconi è un uomo guarda sempre al
futuro. Lui già adesso sta pensando chissà a cosa, cosa vuole inventare, perché una ne
pensa, o una ne fa e cento ne pensa
Allora che cosa è successo? Arrivarono Pippo Baudo, Corrado, la Carrà, Vianello, la Mondaini:
tutti venivano a lavorare da noi perché prendevano quegli stipendi. Devo dire però, che
l'unico veramente preparato per fare la pubblicità in televisione ero io, perché avevo
imparato il mestiere in America. Tant’è vero che parecchi di questi non dettero il risultato che
si sperava e dovettero tornare alla RAI. Comunque, abbiamo subito cominciato con dei
grossissimi programmi. Davamo dei premi molto importanti: centinaia di milioni, davo, altro
che i 5 milioni e mezzo di Lascia o raddoppia perché Berlusconi che era molto intelligente
capiva che facendo parlare della sua televisione avrebbe fatto un grande successo, che gli
sarebbe servito anche per altre ragioni, pensate che avevo concorrenti che arrivavano a
vincere quattrocento, cinquecento, seicento milioni. Sono arrivato addirittura un miliardo, che
non era mai successo. Tutti i giornali ne parlavano.
Ecco. Chi mi sta facendo l’intervista in questo momento queste cose non le sa, perché
probabilmente era ancora nella culla e quindi non sa che cosa è successo veramente in quel
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periodo. Va bene. Allora feci tutta una serie di programmi uno dopo l’altro – premetto che
quando decisi di passare definitivamente a Berlusconi, andai alla RAI e dissi: guardate che io
ho questa offerta, sta per nascere la televisione commerciale. Si misero e ridere, li vedo
ancora. Perché erano – io non so… erano… io mi chiedo: ma è possibile che non capiscono,
non capivano che il mondo camminava, non ci credevano. Erano convinti che c’era solo la
RAI, e che la RAI era un monopolio, e che non poteva venire nessuno a fare la concorrenza.
Ma noo, ma cosa vai a lavorare con Berlusconi… Anche loro mi dissero: quello è un
palazzinaro, farà dei bei palazzi e basta. Sì, dissi io, altroché dei palazzi, costruirà dei
grattacieli vedrete. E di fatti sappiamo quello che ha fatto. E poi si verificò anche quello che
io avevo pensato quando l’avevo visto la prima volta, che fra me e me dicevo: ma questo
può essere un trascinatore delle folle, questo può fare anche una gran carriera politica. E
sappiamo quello che ha fatto.
L’evoluzione tecnologica della televisione come ha cambiato il modo di fare
televisione e il suo mestiere?
[21:00, nastro 2] 2 Intanto ricordiamoci che io sono stato il primo ad andare davanti alle
telecamere e quindi si parla del 1953-54, mammamia adesso che ci penso sono sessant’anni.
Ah! Eh, ma io ho tanti di quegli anni che voi mai più immaginate, anche se mi dicono che ho
sedici anni meno della mia vera età. Tutti gli anni io faccio il check-up completo e ancora
l’altro giorno l’ho fatto e mi hanno detto: complimenti lei ha sedici anni in meno della sua
età. Ho detto: ok grazie spero di vivere a lungo. Pensate che mia mamma è vissuta fino a
novantanove anni. Hai capito. Quindi io ne ho ancora degli anni da vivere.
Allora, quando io ho cominciato, eh ci penso, c'è da ridere. Perché è come quando c’erano le
prime automobili degli anni Venti, perché le telecamere erano dei cassoni grandi, enormi.
E per spostarli c'erano due carrellisti che spingevano col tecnico: poi siccome le televisione
era una cosa particolare, una cosa eccelsa, tutti in camice bianco, che quando entravi nello
studio sembrava di entrare in una farmacia. Hai capito… E col passare degli anni queste, le
telecamere, diventavano sempre più piccole; e poi naturalmente anche i sistemi per
registrare, perché adesso si regista con un enorme facilità. Adesso si registra su dei dischetti
piccoli, si fa in fretta. C'erano pizze enormi per registrare le nostre trasmissioni. Purtroppo la
RAI non ha conservato queste prime registrazioni, io dovrei tirare le orecchie a quelli che
erano i responsabili di allora, se sono ancora vivi. Perché purtroppo molti programmi
importanti degli anni Cinquanta e primi anni Sessanta non ci sono più. Io ho chiesto alcune
puntate del mio Lascia o raddoppia , e anche di altre cose: ah, ci dispiace, non c’è più. Sa,
abbiamo demolito gli archivi… E io mi dicevo: com’è possibile? Come si fa a demolire delle
cose che sono importantissime? Però purtroppo la RAI era così. E quindi ci sono poche cose
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V. nota 1 a pag. 1
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da poter far vedere di allora.
Allora, come dicevo, gli apparecchi diventavano sempre più semplici. Pensate che io andavo
in giro – soprattutto anche prima di venire in Italia, quando ho cominciato a fare i miei viaggi
per fare le interviste, per raccontare com’era l’Italia della ricostruzione ho usato anche questi
apparecchi – pensate che il registratore era una scatola così, immaginate una scatola per le
scarpe, ecco, grande come una scatola di scarpe e c'era dentro un nastrino piccolo e poi una
molla, e si caricava dando parecchi giri di manovella. Però durava per sette, otto minuti, non
più di dieci; quindi bisognava ricordarsi che ogni tanto bisognava fermarsi per caricare. Tanto
è vero che io ricordo ancora con dispiacere che qualche volta mi è successo – quando in
America andavo in giro a fare delle interviste, addirittura intervistai Eisenhower pensate – e
mi ero dimenticato che dovevo caricare, mi trovai solo con mezza intervista, pensate, fu un
dramma. Nessuno l’ha saputo, altrimenti mi avrebbero licenziato. E usavo anche
quell’apparecchio lì, in Italia, inizialmente. Però poi naturalmente sono arrivati altri
apparecchi. Oggi abbiamo dei sistemi fantastici, l’Italia è all’avanguardia anche in quel campo
e qui non abbiamo niente da invidiare a nessun altro. Abbiamo da invidiare un po’ i
programmi perché purtroppo i nostri programmi valgono poco. Io penso che dovremmo
prendere esempio dai programmi culturali che fanno in Inghilterra per esempio. Fanno dei
bellissimi programmi, dei documentari straordinari. Io penso che L'Italia dovrebbe puntare
soprattutto su programmi televisivi fatti coi documentari. Perché per esempio, adesso
possiamo ricordare, oggi abbiamo SKY in Italia che tra l’altro è il grande concorrente della
RAI e di Mediaset. Beh, SKY trasmette dei documentari straordinari, di una bellezza
incredibile, tanto è vero che io oggigiorno seguo soltanto i telegiornali e i documentari. Ecco.
Queste sono le cose. Oppure i grandi avvenimenti, le partite di calcio, che so io… ma il
grande varietà come una volta ormi è superato, e io non so se avremo la possibilità di
tornare ancora a quel tipo di programma. Quindi ricordatevi, voi che mi seguite in questo
momento, c'è tanto da imparare attraverso i documentari, perché coi documentari
impariamo come è fatto il mondo.
Le chiediamo una piccola cortesia. Ha voglia di pronunciare la sua tipica
esclamazione per i visitatori del museo?
[25:30] Dunque allora mi chiedete in questo momento di dire il mio famoso motto. Però io
penso che sia molto interessante sapere anche come è nato. Molti diranno: come gli è
venuto in mente di dire “allegria”. E io vi racconto una cosa che fu molto imbarazzante per
me. Dunque, sto facendo il Rischiatutto in quel periodo e al pomeriggio del giovedì facevamo
un piccolo incontro con i tecnici, e poi si andava in onda dal vivo, per un certo periodo anche
registrato, alla sera. Allora scesi le scale per andare giù nello studio e quando entrai nello
studio c’era silenzio generale. Una cinquantina fra tecnici dirigenti e tutti arrabbiati, così, che
guardavano per terra perché in quel momento avevano appena finito di fare una discussione
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Trascrizione dell’intervista a Michael Bongiorno
terribile su certe cose che volevano fare, non volevano fare. Ma io non sapevo niente di
questo, e quando entrai vedendo tutta la gente così mi venne spontaneo: gridai
“allegriaaa!”, come per dire: oh! su con la vita! Fu la parola più sbagliata da dirsi in quel
momento, ma fu così sbagliata che ruppe l’incantesimo e tutti di colpo si misero a ridere,
perché era il momento più sbagliato per dire “allegria”.
Allora, dopo quel momento, pensai: ma questa è una parola molto importante, che io devo
usare anche in tutte le mie trasmissioni. Di fatto, tutto dove vado, mi presento sempre
dicendo “allegria”. Le malelingue per un certo periodo per prendermi in giro quando arrivavo
gridavano: “allergia!”, dicevano – hai capito. Pensate che i miei figli si vergognavano di dire
che erano figli di Mike Bongiorno perché li prendevano in giro. Gli dicevano tu sei figlio di
quello che dice “allergia”; invece io dico sempre “allegria” e quando mi presento in pubblico,
il pubblico è lì che attende con ansia. E come dico “allegria” , tutti che gridano “allegria” e
applaudono. Per cui, anche in questo momento, per voi che siate qua in questo momento, in
questo fantastico museo, voglio dire signori miei: allegriaaa!
Grazie mille…
Basta!
Basta, direi che siamo a posto.
Vi manderò il conto.
Ah, ah! Grazie perché ci ha regalato qualcosa di molto prezioso per il museo.
Eh, ci sarebbe da parlare per delle giornate!
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