Liberalizziamo la professione docente
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Liberalizziamo la professione docente
Liberalizziamo la professione docente P di Fabrizio Foschi Perdita di centralità della scuola Troppo numerosi, sottopagati, poco stimati dalla società, troppo anziani rispetto alle esigenze delle nuove generazioni. È questo il giudizio più diffuso sugli insegnanti del nostro Paese, un esercito di oltre ottocentomila persone, tra assunti in ruolo e precari, a cui è affidato il compito di trasmettere ai giovani le basi fondamentali del sapere. L’impietoso cliché non rende certo giustizia delle mille sfaccettature di una professione difficile e impegnativa, che si consacra di frequente, mediante la continua riflessione sull’esperienza dell’insegnamento delle discipline, alla crescita di quel gruppetto di alunni della classe che all’inizio di ogni giornata chiedono la ragione delle cose che stanno loro intorno. E tuttavia la figura dell’insegnante mostra segni di crisi, connessi in parte a motivi estrinseci, derivanti dalla debolezza del suo ruolo nella società, in parte a motivi soggettivi, legati alla demotivazione individuale. Lo sviluppo dei luoghi “informali” dell’apprendimento (i mezzi di comunicazione, in primo luogo Internet, l’uso parossistico dei telefoni cellulari, una certa industria del divertimento, le varie agenzie culturali esistenti sul territorio) ha sottratto alla scuola il primato sulla formazione degli output individuali. Ma proprio in questo contesto di apparente descolarizzazione della società, alla scuola si chiede di contare di più, di riguadagnare lo spazio perduto. Si chiede di trattenere i giovani dalla dispersione alla quale certe fasce meno protette sembrano condannate, si chiede di aiutare a trasformare le conoscenze informali in robuste competenze personali. I docenti della scuola italiana sono pari ai nuovi compiti che vengono disegnati? Tramontata, non da troppo tempo in verità, la figura del docente di gentiliana memoria, rappresentato dalla pedagogia neoidealistica come il centro dell’universo scolastico, dotato di un sapere assoluto, neutro, indifferente alla realtà delle persone, l’insegnante italiano è fotografato dalle indagini più recenti dell’Ocse come poco capace di adattarsi ai cambiamenti e quindi poco propenso ad aggiornarsi dopo la laurea e con i concorsi ormai sempre più lontani nel tempo. Preoccupano anche le scarse possibilità di ricambio: tra il 2006 e il 2016 andranno in pensione quattrocentomila docenti italiani e ci sarà bisogno di tutta una nuova leva, che dovrebbe tuttavia essere preparata: invece, sono molto pochi gli iscritti alle scuole di formazione per insegnanti. 75 Liberalizziamo la professione docente di Fabrizio Foschi Ai dati delle indagini internazionali, si affianca una sfiducia sempre più diffusa tra le famiglie e il mondo delle imprese riguardo alla capacità dei docenti italiani di fronte alle sfide dei tempi. Un disagio crescente Paradossalmente, nell’emergenza educativa che tutti riconoscono, l’insegnante appare come il perno più in crisi del sistema. Volendo fornire qualche tratto sociologico, si tratta del tipo di docente, di sesso prevalentemente femminile e assunto durante la grande espansione della scolarizzazione degli anni Sessanta e Settanta, che è ancora oggi il più diffuso nella scuola italiana ai suoi vari livelli. A tutto questo si aggiungono motivi di difficoltà personale relativi all’origine della vocazione all’insegnamento. Serpeggia da anni tra i docenti una sorta di demoralizzazione che raggiunge le sue punte più acute nel cosiddetto È soprattutto attraverso “burnout”, un vero disagio mentale sconosciuto per lo più all’opinione pubblica, che rende il docente chiuso in se stesgli insegnanti, risorsa più so, autoreferenziale, nemico di qualsiasi mutamento delle significativa della scuola, consuete dinamiche del lavoro scolastico. Una sintesi dramche sarà possibile matica di quanto veniamo dicendo si trova nella testimonianintrodurre dei za, una tra le tante, affidata a una recente ricerca sulla condizione dei docenti italiani: «Si guadagna poco, pochissimo, e miglioramenti nell’assetto la sensazione di perdita di ruolo sociale, di non essere più il del sistema di istruzione motore dello sviluppo del Paese, produce un transfert negatidi un Paese. vo agli studenti che sentono l’insegnante come una persona triste, rassegnata, che non ha nulla da comunicare, nessuna strada da indicare, spesso nemmeno capace, come si dice, di “tenere la classe”»1. A fronte di questo quadro, gli organismi internazionali si stanno muovendo, a riprova del fatto che l’esigenza di rimotivare i docenti non è solo un problema italiano, bensì di carattere mondiale. Per citare ancora l’Ocse, si può fare riferimento a una recente ricerca dal titolo Insegnamento: attrarre, sviluppare e trattenere gli insegnanti competenti, in cui dopo una premessa per affermare che la politica educativa è una delle priorità delle agende governative, si sostiene che è soprattutto attraverso gli insegnanti, risorsa più significativa della scuola, che sarà possibile introdurre dei miglioramenti nell’assetto del sistema di istruzione di un Paese. Bisognerebbe perciò, a giudizio dei ricercatori, rendere gli insegnanti più affezionati alla scuola e più competenti, attraverso una manovra convergente di tutte le istituzioni politiche e culturali interessate, imperniata su alcuni snodi strategici, quali l’incremento dell’attrattività 76 Liberalizziamo la professione docente di Fabrizio Foschi della carriera docente, l’innalzamento delle conoscenze e competenze degli insegnanti, la revisione delle procedure di reclutamento. Qualcosa si muove Fin qui le indagini degli esperti, orientate da metodi piuttosto asettici, non sempre capaci di andare al cuore del disagio di cui soffre la categoria e soprattutto propensi ad affogare nei numeri i segnali di novità che pure esistono. L’esperienza dell’associazione professionale Diesse (Didattica e Innovazione Scolastica), come quelle di tante altre forme associative che esprimono il desiderio degli insegnanti di aiutarsi nel proprio lavoro (disciplinare, culturale, istituzionale), dimostrano che nella scuola italiana c’è del fuoco che cova sotto la cenere. Ci sono insegnanti, in giro per l’Italia, che rischiano quotidianamente la propria libertà e la propria professionalità nel confronto con la libertà dei ragazzi, mettono in piedi corsi di formazione per sé e per i colleghi, instaurano rapporti con le istituzioni spesso addormentate, creano centri di recupero scolastico e di aiuto allo studio. È su queste innovazioni già in atto nel tessuto più profondo della realtà scolastica che occorre porre le basi per un rilancio della professione docente. La ripresa della funzione docente non può avvenire solo attraverso meccanismi che si prefiggono di premiare il merito lasciando in ombra la persona del docente e il senso più profondo della sua professione. Le analisi più acute e le terapie più aggiornate finiscono per essere totalmente inefficaci, se non si riparte dalla domanda sulla natura più profonda dell’insegnamento. La scuola nasce, infatti, per trasmettere una tradizione, una cultura, e ovviamente per consentire a chi apprende di vivere in un ambiente adatto a tale scopo. In questo senso il fulcro della trasmissione è la persona dell’insegnante, che, per la particolarissima modalità con cui l’essere umano apprende, è al contempo insegnante ed educatore. Insegnante di linguaggi disciplinari, che aprono continue domande sul senso della realtà insegnata, cui il docente stesso, anche il più disincantato, non può sottrarsi. Indichiamo, di questa possibile e in parte già presente ripresa dell’identità professionale, alcune fondamentali coordinate. Rinnovo dello stato giuridico Il tema è stato più volte al centro del dibattito politico in questi ultimi anni, anche in relazione all’applicazione della Legge 53/2003 (Riforma Moratti), ma la reazione dei sindacati è stata per lo più negativa e pregiudizialmente contraria all’attuazione di questo importante tassello della trasformazione della funzione docente. L’ultimo stato giuridico del docen- 77 Liberalizziamo la professione docente di Fabrizio Foschi te italiano risale ai “Decreti Delegati” di Se si realizzasse oltre trent’anni fa (Legge delega la liberalizzazione della n.477/1973 e relativo DPR n. 417/1974, professione docente, poi inserito nel Testo unico n. 297 del 1994), che contribuiscono, insieme alla la decisione circa identità Legge Quadro del Pubblico Impiego e ruolo sarebbe n.93/1983, ad appiattire la funzione ricollocata nelle mani docente sul livello impiegatizio, rompendo dell’insegnante stesso, il nesso con la docenza universitaria. Essendo quella degli insegnanti disegnata con indubbie ricadute come una funzione sociale più che come positive su una maggiore professione, ne consegue che, quando si coscienza dei compiti e rinnovano i contratti, i docenti rientrano disponibilità a sottoporsi nello stesso comparto del personale ausia forme di valutazione. liario e amministrativo, mentre per i dirigenti di istituto esiste un’area contrattuale separata. Di più, finiscono per essere materia di contrattazione sindacale anche aspetti di ampliamento della figura del docente, come il docente tutor, che ne dovrebbero rimanere esclusi. La fuoriuscita dalla logica statalistica, per cui il ruolo del docente consiste nell’assolvimento di un compito sociale, comporta uno stato giuridico nuovo che ridefinisca funzione, reclutamento, formazione iniziale e carriera dell’insegnante italiano. A proposito di quest’ultimo punto, si dovrà riconoscere l’inadeguatezza dell’unicità della funzione docente e prevedere un’articolazione della professione in relazione ai compiti che si assolvono nella scuola, soggetta a progressione economica nonché a valutazione dell’impegno professionale. Come si può ricavare da questi brevi spunti, se si realizzasse la liberalizzazione della professione docente, la decisione circa identità e ruolo sarebbe ricollocata nelle mani dell’insegnante stesso, con indubbie ricadute positive su una maggiore coscienza dei compiti e disponibilità a sottoporsi a forme di valutazione che, ben al di là dei tanto famigerati “concorsoni”, sarebbero giocate all’interno dell’ambito scolastico. Attuazione di una vera autonomia scolastica Il problema centrale della scuola oggi è come creare le condizioni per cui il complessivo percorso di studio che lo studente è chiamato a compiere (e non solo il singolo insegnamento proposto da ciascun insegnante) sia riconoscibile come risposta a interessi reali e forti dello studente, e si presenti quindi, almeno potenzialmente, come esperienza. Da questo punto di vista, l’autonomia rappresenta una grande risorsa e un’occasione che non può e non deve essere persa. Essa permette non solo di trovare e di usare strumenti, anche se ancora limitati, per intervenire in modo più efficace, ma soprattutto è in grado di orientare la cultu- 78 Liberalizziamo la professione docente di Fabrizio Foschi ra professionale degli operatori scolastici, in particolare degli insegnanti, verso un orizzonte più ampio e compiuto, che permetta loro di comprendere come la propria responsabilità professionale investa non solo l’esecuzione di un ruolo, ma anche il contesto in cui si è chiamati ad agire. La domanda chiave diventa quindi: che cosa vuol dire istituzioni scolastiche autonome? Esiste finalmente in Italia, dopo centocinquanta anni, la possibilità di pensare ogni singola scuola, statale e non, come una realtà dotata di soggettività giuridicamente configurata, chiamata ad agire secondo modelli organizzativi (almeno in parte) decisi dalle persone che in essa operano, per rendere effettiva la funzione che si chiama istruzione pubblica, dove pubblica non vuol dire statale, ma della comunità. Il quadro delineato deve essere attuato fino in fondo e gli insegnanti devono essere resi partecipi di questo processo dell’autonomia; devono essere aiutati a guardare al loro compito professionale, inserendo l’atto di insegnamento compiuto con i propri allievi nel contesto della scuola. Piena responsabilità del docente di coinvolgersi con la classe mediante piani di studio personalizzati Lo Stato italiano, intervenuto a un certo punto a riconoscere l’utilità di una scuola nazionale, sebbene abbia marcato con l’ambigua formulazione dell’art. 33 della Costituzione la sua preferenza per un sistema di istruzione neutro e centralistico, dal quale si fatica a uscire, ha sancito che la libertà di insegnamento è il perno della comunicazione dei contenuti disciplinari che avviene nell’istituzione scolastica («l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»). Un appello, quello alla libertà di insegnamento, che, nato come una concessione all’autonomia individuale del docente rispetto a un tessuto culturale prevalentemente cattolico, modificatosi il quadro dei riferimenti normativi, può essere ora uno spunto attorno al quale lavorare e ripartire. La libertà di insegnamento del docente dovrà misurarsi con l’esigenza degli alunni di apprendere in modo significativo, di essere valutati e anche certificati per le competenze che hanno espresso e non solo per le nozioni che hanno assimilato. La personalizzazione degli apprendimenti richiede un docente che sia partecipe dei processi di riforma della scuola italiana, messo nella condizione di disegnare insieme ai colleghi i percorsi didattici e formativi più utili per i propri ragazzi (pur nel rispetto di standard di apprendimento generali), sempre meno schiacciato dal ritorno a forme di pedagogia di Stato, sotto le cui vesti si possono nascondere gli appelli al ritorno alla realtà dopo l’inevitabile fermento dovuto alla introduzione di qualche elemento di riforma degli ordinamenti. Note e indicazioni bibliografiche 1 D. Chiesa, C.T. Zagrebelsky, La mia scuola, Einaudi, Torino 2005, p. 150. 79