Tragedia della gasiera MecNavi Venti anni dopo si muore an…

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Tragedia della gasiera MecNavi Venti anni dopo si muore an…
Tragedia della gasiera MecNavi Venti anni dopo si
muore ancora
«Ci sono quattro morti al giorno»
Vent´anni. Vent´anni passati inutilmente. Nel 1987 c´erano gli stessi morti sul lavoro che nel 2007.
Solo che vent´anni fa facevano notizia, mentre ora ne servono almeno 4 tutti insieme perché se ne
parli sui giornali. Il 13 marzo del 1987 nei cantieri navali del Porto di Ravenna si verificò uno dei più
tragici incidenti sul lavoro della storia recente del Paese: 13 operai morirono asfissiati nella pancia
della
nave
gasiera
"Elisabetta
Montanari",
di
proprietà
della
Mecnavi.
L'inchiesta giudiziaria non portò a una vera giustizia. A distanza di vent'anni è questo il paradosso
che secondo il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, la tragedia della Mcnavi consegna alla storia.
«Quell'incidente - ha dichiarato Epifani al convegno con cui Cgil, Cisl e Uil hanno commemorato
l´evento - segna lo spartiacque tra il prima e il dopo. Quella tragedia fu specchio anche
dell'odissea giudiziaria: non ci fu vera giustizia, poche le pene, risarcimenti tardivi, e in Corte
costituzionale fu ricusata la partecipazione dei sindacati come parte civile».
Davanti al ministro del Lavoro Cesare Damiano e al presidente della Regione Emilia-Romagna
Vasco Errani, oltre a Epifani anche i segretari generali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi
Angeletti, hanno ricordato l´evento e analizzato cosa è cambiato finora. «Allora come oggi - ha
aggiunto poi il segretario della Cgil - si ricerca un guadagno facile a scapito della sicurezza». «Nel
1987 morivano 1.500 persone all'anno – ha detto Bonanni dal palco - e oggi ne muoiono quasi lo
stesso numero, c'erano un milione feriti, e ci sono ancora». «Quell'accadimento crudo e violento
somiglia tantissimo a tanti altri che succedono ogni giorno – ha ricordato Bonanni - troppe imprese
che come allora producono lavoro nero, imprese spregiudicate che vogliono arricchire i guadagni a
discapito della sicurezza, che pongono al centro non gli uomini ma i fatturati e gli ordinativi».
A
Ravenna,
quel
13
marzo
Quella nave, ferma per lavori al cantiere Mecnavi a Ravenna, si trasformò in una trappola per i 13
operai: un incendio divampato nella stiva li colse di sorpresa mentre stavano lavorando in cunicoli
alti appena una novantina di centimetri, nei quali si potevano muovere solo strisciando. L'allarme
scattò verso le 9, l'ultima salma fu estratta poco dopo le 14. I componenti della squadra al lavoro
nella stiva della nave morirono per asfissia. Non ci fu scampo per Antonio Sansovini, Onofrio
Piegari (il più giovane del gruppo), Marco Gaudenzi, Domenico Lapollo e Alessandro Centioni, tutti
di Bertinoro (Forlì-Cesena); Massimo Romeo (al primo giorno di lavoro), Paolo Seconi e Gianni
Cortini, di Ravenna; Marcello Cacciatori, di Forlì; Massimo Foschi, di Cervia; l' egiziano Mohamed
Mosad, che viveva a Marina di Ravenna e voleva tornare al Cairo con un pò di risparmi; Filippo
Argnani, di Porto Corsini; Vincenzo Padua, ormai prossimo alla pensione, residente nel ravennate.
L'incendio divampò dopo che la fiamma ossidrica usata per tagliare le lamiere diede fuoco a olio
combustibile fuoriuscito da una condotta attraverso alcuni bulloni che erano stati svitati. Le fiamme
intaccarono il rivestimento in poliuretano di una delle grandi bombole per il gas e la stiva fu invasa
da un denso e acre fumo che asfissiò gli operai, senza via di scampo e senza sistema antincendio.
«Non si può stare dieci ore in quei cunicoli dove possono camminare i topi», commentò l' allora
arcivescovo di Ravenna, Ersilio Tonini, celebrando i funerali delle vittime. Parole - aggiunse - «che
devono essere dette perchè gli uomini non possono essere ridotti a topi».
Il processo cominciò tre anni dopo la strage: in primo grado i fratelli Enzo e Fabio Arienti,
proprietari della Mecnavi, furono condannati a 7 anni e mezzo (in tutto le condanne furono nove).
Due anni dopo in appello le condanne diventarono 13, ma la Cassazione estromise i sindacati
come parte civile e dispose un nuovo processo di secondo grado. Nel '94 gli Arienti furono
condannati a 5 anni di reclusione. Ma pochi mesi dopo la Suprema Corte, ormai alla vigilia della
prescrizione, rifece i conti e condannò gli Arienti a 4 anni e a pene inferiori due dirigenti.
La
situazione
attuale
Ma qualcosa si mosse. «Un anno dopo quella tragedia in Parlamento la Commissione guidata da
Luciano Lama iniziò l'iter che ha portato alla 626, la prima legislazione organica sul lavoro, che
arriva oggi fino al testo unico», ha sottolineato Epifani. Ma, a vent´anni dalla tragedia, il testo unico
non è ancora legge. «Chiediamo al Governo di dare un segno di lotta, e di più attenzione a questo.
Il testo unico è un buon testo - ha concluso il segretario della Cisl - ma deve essere ancora
modellato sulla quotidianità del rapporto fra lavoratori e imprenditori», ma ribadendo anche che
«un Paese in cui ancora muoiono 1.250 persone all'anno sul lavoro, ci sono 4 morti al giorno e un
milione
di
feriti,
non
è
un
Paese
civile».
«Il governo si è impegnato per una lotta molto forte contro il lavoro nero, contro la precarietà», è la
risposta del ministro Damiano, che ha aggiunto: «ad esempio nel solo settore dell'edilizia abbiamo
sospeso 600 aziende con lavoratori al nero e portato alla luce 50mila lavoratori in sei mesi, prima
sconosciuti».
Non tutti però sono d´accordo su questo punto. Anche la Slai Cobas ha ricordato la tragedia della
MecNavi con un presidio davanti ai cancelli di Enichem e Marcegaglia. «Non è più tempo di
celebrazioni per cambiare le condizioni di sicurezza dei lavoratori nelle fabbriche e nei luoghi di
lavoro in generale – ricorda il Cobas -. Gli omicidi bianchi e gli infortuni sul lavoro rivelano cifre da
bollettini di guerra mentre, in parallelo, i padroni vantano profitti da capogiro grazie al lavoro
precario, sottopagato e senza diritti, violano la 626 e dai processi escono impuniti. Ma quando i
lavoratori sollevano questi problemi non trovano mai i confederali pronti ad intervenire». «I portuali
e gli operai di Ravenna questo lo sanno bene - affermano i Cobas - e non occorre andare molto
indietro nel tempo per accorgersi che la lotta per la sicurezza deve diventare centrale nelle
trattative assieme al salario: al Porto un semirimorchio ha ucciso Luca Vertullo l'1 settembre dello
scorso anno, un giovane in 'affittò al suo primo giorno di lavoro. In ottobre 9 operai delle ditte di
manutenzione dell' Enichem hanno rischiato di rimanere bruciati vivi. Solo nel 2006 gli omicidi
bianchi in provincia sono stati 14, mentre gli infortuni vengono sempre meno denunciati. E non c'è
padrone che abbia pagato con un'ora sola di galera per questo!».