bebe non sarebbe com`è senza il suo team
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bebe non sarebbe com`è senza il suo team
N°41 · 2016 FC · IL MONDO PARALIMPICO LA DEDICA AI TECNICI Bebe Vio in mezzo ai suoi “meccanici”. Da sinistra: Luca Dalmastri, Fabio Zucchini, Claudio Gruppioni, Paolo Landini. Con dedica: «Grazie per avermi dato una mano... anzi due. E non parliamo delle gambe...». LA SQUADRA BEBE NON SAREBBE COM’È SENZA IL SUO TEAM La famiglia, i tecnici ortopedici e la Onlus Art4sport, nata per aiutare altri a seguire le sue orme: il mondo della campionessa di Elisa Chiari S carpe blu elettrico, plateau, tacco vertiginoso, abito azzurro smanicato, trucco e ovviamente sorriso. Bebe Vio in passerella è andata così. Ma non da sola. Perché Bebe è unica, ma non sarebbe com’è senza una famiglia che, invece di ripeterle una litania di “non puoi” l’ha incoraggiata a sfidare i suoi limiti, potendole offrire il supporto umano ed economico necessario. E non sarebbe la prima fioret- 60 tista al mondo a tirare senza mano se una squadra di tecnici ortopedici non avesse studiato il suo fioretto senza precedenti: «Il nostro compito», spiega Claudio Gruppioni, tecnico ortopedico dell’équipe di Arte Ortopedica Srl, l’azienda di Budrio (Bologna) che ha studiato tra le altre la protesi speciale di Bebe Vio, «è cercare di soddisfare anche i bisogni particolari delle persone amputate che si rivolgono a noi: una mano che possa suonare una tastiera per esempio, o appunto la protesi di Bebe per tirare di fioretto in carrozzina. Sono tutte cose che si devono inventare, a partire dalle conoscenze consolidate, dialogando con le persone: con Bebe, che è un vulcano, ogni tanto bisogna dire “non si può” perché altrimenti non si ferma mai. Per molte donne abbiamo fatto protesi speciali per portare i tacchi, ma nessuna li aveva chiesti alti quanto i suoi». Nel caso del fioretto di Bebe, non si sarebbe potuto innestare l’arma su una protesi standard, era necessario studiare qualcosa di assolutamente nuovo. E trovare una strada per fargli rispettare le regole: «Abbiamo dovuto fare anche delle misurazioni particolari, per far sì che il fioretto di Bebe, dalla spalla alla punta, protesi compresa, non superasse l’allungo massimo che avrebbe il braccio di Bebe con il fioretto impugnato se la mano ci fosse. Per metterla in condizioni di gareggiare alla pari con le altre. E poi era importante studiarla in modo che potesse indossare il suo fioretto da sola, senza ricorrere ogni volta all’aiuto di qualcuno». L’autonomia essenziale nella vita a certe condizioni è una sfida quotidiana, non solo nello sport: «Basti pensare», spiega Teresa Grandis, la mamma di Bebe, che a volte negli alberghi attrezzati per disabili «il bagno ha lo specchio troppo alto e la doccia ha il rubinetto a manopola: Bebe che non può andare in doccia con le mani dovrebbe girarla con la forza del pensiero... Non è scarsa sensibilità, a volte è mancanza di corrette informazioni». E anche lo sport per molti è un desiderio frustrato dai costi (per le protesi speciali si parla di migliaia di euro), per questo Bebe e la famiglia composta dal fratello Nico, dalla sorellina Sole, da papà Ruggero e mamma Teresa ha fondato l’associazione Onlus Art4sport: «Il suo scopo è aiutare bambini e ragazzi amputati a fare sport fornendo protesi, attrezzature e tutto ciò di cui hanno bisogno per praticare un’attività sportiva e che spesso diventa inaccessibile alle famiglie e alle società sportive per i costi. Al momento ne fanno parte 18 ragazzi che formano l’Art4sport team e praticano le discipline più varie: scherma in carrozzina, canoa, tiro con l’arco, basket in carrozzina, calcio amputati, nuoto, wushu, equitazione, atletica...». Perché si può perdere quasi tutto e conquistare il mondo, ma non da soli e non senza una squadra.