Trieste e il suo waterfront fra storia e futuro: problemi e

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Trieste e il suo waterfront fra storia e futuro: problemi e
Trieste e il suo waterfront fra storia e futuro:
problemi e prospettive
Gabriella Pultrone
Dipartimento AACM - Università Mediterranea di Reggio Calabria
Via Melissari - Reggio Cal.
[email protected]
Abstract
Il concetto di waterfront, pur recente e dalle molteplici declinazioni, è indubbiamente
legato al fatto di essere il laboratorio privilegiato dei processi storici di trasformazione
urbana delle città-porto. Ad esso viene attribuito il ruolo di risorsa e patrimonio da
valorizzare in un’epoca in cui alla crescente competitività tra territori si affianca una
diffusa attenzione verso i temi legati alla sostenibilità economica, sociale ed ambientale
di programmi, piani, progetti.
Il caso di Trieste, porto/porta mediterranea della Mitteleuropa dal XVIII agli inizi del
XX secolo, è proposto come caso emblematico attraverso il quale evidenziare aspetti
critici e potenzialità di una città che, dopo fasi alterne di sviluppo e declino, è alla
ricerca di una nuova centralità nel contesto euromediterraneo.
Alla luce dei profondi mutamenti riguardanti l’organizzazione dei porti e la loro
integrazione nel contesto urbano e territoriale, questo ambito sensibile di
intensificazione di flussi - organismo mutevole che interagisce con la staticità del
patrimonio storico e con le valenze paesaggistico-ambientali - si configura come
opportunità per sperimentare relazioni innovative e promuovere una nuova qualità
urbana, in grado di rivitalizzare le identità locali contro i rischi dell’omologazione.
Key Words: identità, porto, pianificazione, qualità urbana, Trieste, waterfront
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Report
1. Waterfront contemporanei per una nuova attrattività urbana
Il concetto di waterfront, pur recente e dalle molteplici declinazioni, è indubbiamente legato al
fatto di essere il “laboratorio privilegiato” dei processi storici di trasformazione urbana delle
città-porto. Ad esso viene attribuito il ruolo di risorsa e patrimonio da valorizzare in un’epoca
in cui alla crescente competitività tra territori si affianca un diffusa attenzione verso i temi legati
alla sostenibilità economica, sociale ed ambientale di programmi, piani, progetti.
L’acqua è considerata da sempre un elemento positivo di qualità urbana ad elevata capacità
attrattiva di flussi e funzioni; il confine città-acqua (mare, fiume o lago che sia) non si connota
solo come limes, semplice interfaccia, ma costituisce un’area urbana espansa, permeabile, di
ampiezza variabile in funzione delle molteplici relazioni che si stabiliscono tra le attività già
esistenti o di progetto, esaltando le specifiche potenzialità della superficie liquida e di quella
solida antropizzata.
L’ambito urbano-portuale, in particolare, è luogo di frontiera, area altamente sensibile dove
sperimentare forme di innovazione che scaturiscano anche da una profonda riflessione
riguardante il delicato rapporto, spesso conflittuale, tra differenti livelli territoriali e istituzionali,
tra gli statuti giuridici che lo governano, tra i diversi interessi coinvolti, tra le attività urbane e
quelle portuali, all’interno di una comune strategia che non può essere disgiunta dal fattore
tempo, dalla disponibilità delle risorse, dalle modalità di coordinamento dei soggetti attivi,
pubblici e privati. Come è noto, la disponibilità di vaste aree dismesse a stretto contatto con il
tessuto urbano trae origine dal ciclo di innovazioni avviato negli ultimi decenni del secolo
scorso, quando la struttura portuale abbandona il porto storico alla ricerca di fondali più
profondi e spazi da destinare alle navi di maggiori dimensioni, alle operazioni di stoccaggio e di
movimentazione merci. La città ha la possibilità di disporre e trasformare in tessuto urbano
queste grandi aree - di elevato valore fondiario per la posizione di centrale e perché affacciate
sul mare, comprendenti al loro interno immobili di grande valore storico-architettonico da
tempo inutilizzati e degradati - che acquistano (o hanno la possibilità di acquistare) una
rinnovata vitalità grazie alla dinamiche di rinnovamento spaziale e mutamento funzionale, e alla
concentrazione di energie che le rendono protagoniste di una feconda stagione progettuale
(Bruttomesso, 2006; Giovinazzi, 2008; Moretti, 2008).
Il “porto storico” diviene, così, catalizzatore di eventi culturali e turistici di un’area urbana che,
interagendo con il mare, stimola attività tradizionali e nuove. I processi di recupero e
valorizzazione che lo riguardano avvengono molto spesso in funzione delle esigenze di
riqualificazione e riposizionamento delle città nella concorrenza internazionale, secondo le
nuove regole della competitività urbana, non più centrata sulla produzione, sulle infrastrutture o
sul commercio, ma orientata ad altre istanze quali l’acquisizione di eventi e visitatori nell’arena
mondiale. Proprio ai Mega Eventi sono legate le maggiori occasioni di riposizionamento,
visibilità, sviluppo economico, turistico e culturale, rigenerazione urbana che, nelle città poste
sull’acqua, favoriscono la piena valorizzazione del waterfront (limitandoci al solo contesto
europeo, fin troppo noti sono i casi di Genova, Barcellona, Lisbona, Atene, Valencia). Dai
progetti realizzati e in corso, in via di definizione o discussione che propongono una grande
varietà di modelli e declinazioni, si evince che l’efficacia dei grandi eventi nel perseguire
obiettivi di riqualificazione e di creazione di nuove attrattività urbane dipende dalla loro
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collocazione all’interno di un’attenta strategia di pianificazione, sorretta da processi partecipativi
e dalla veicolazione di una comunicazione appropriata (Guala, 2007).
Dall’osservazione su vasta scala delle esperienze condotte a livello internazionale emergono
differenti profili di waterfront secondo una tendenza che segna il passaggio dal modello
“puntuale” a quello “lineare” per giungere, nei casi più evoluti, a quello “a ragnatela”. Se nel
primo caso le ristrutturazioni urbane che rimodellano il loro tessuto e le infrastrutture danno
vivibilità e immagine all’intera città in cui il focus dell’intervento è individuabile in un solo punto
(il “porto vecchio”), nel secondo caso i “waterfront lineari” si estendono lungo fasce costiere,
dando vita ad un unico sistema integrato, con dimensione variabile dall’ambito urbano a quello
più vasto, fino ad includere interi cluster territoriali, in cui la continuità sistemica è realizzata
attraverso assetti relazionali e funzionali che prescindono dalla continuità urbana. L’ulteriore
evoluzione, il modello “a ragnatela”, è costituito da cellule operative disposte a “cerchio
d’acqua” e collegate da sinapsi strutturali che configurano un sistema organico. In ogni caso,
l’evoluzione del waterfront contemporaneo si delinea nella sua tensione verso un modello di
sistema integrato costiero, moltiplicatore di energie economiche e sociali, entità bifronte,
tessuto in fieri, in continua trasformazione con momenti di accelerazione e di stasi (Greco,
2009).
La sensibilità verso le problematiche legate alla sostenibilità ambientale, economica e sociale,
unita alle esigenze, apparentemente contrastanti, di innovazione e di valorizzazione dell’identità
storica della città, è alla base di documenti che propongono i principi ricorrenti per uno
sviluppo sostenibile dei waterfront urbani, sintetizzando la densità delle problematiche finora
esposte e, al tempo stesso, proiettandosi verso una dimensione propositiva progettuale a tutto
tondo. In particolare, il Centro Città d’Acqua, in collaborazione con la società Wasserstadt
GmbH di Berlino, propone dieci princìpi, approvati in occasione della EXPO 2000 World
Exhibition tenutasi a Berlino nel 2000: garantire la qualità dell’acqua e dell’ambiente; i
waterfront sono parte del tessuto urbano esistente; l’identità storica dà carattere al luogo; dare
priorità al mix delle funzioni; l’accesso pubblico è un requisito irrinunciabile; i progetti sostenuti
da partnership pubblico-private procedono più rapidamente; partecipazione pubblica come
elemento di sostenibilità; il recupero dei waterfront richiede progetti a lungo termine; la
rivitalizzazione è un processo continuo; i waterfront traggono beneficio dagli scambi culturali
internazionali (Moretti, 2008; Giovinazzi e Moretti, 2009). Degno di nota anche il manifesto
elaborato all’interno dell’ “Officina del porto di Palermo” e articolato in sette princìpi: identità;
sostenibilità economica, potenzialità; dinamicità; interazione; multisettorialità; perturbazione
generatrice di tensione positiva della popolazione coinvolta (Carta, 2006).
In conclusione, nuovi fermenti, tensioni e aspettative si affollano nelle città portuali che
intendono porsi sullo scenario internazionale attraversi la valorizzazione di risorse urbane
suscettibili di nuove qualità urbane. Dai noti casi paradigmatici emergono alcune lezioni
indispensabili nei processi di rigenerazione dei waterfront, quali il modello di utilizzo del
territorio, la necessità dell’accesso al pubblico, il rapporto con l’intero contesto urbano,
prevedendo elementi che potrebbero dare continuità storica al luogo e ad articolare nuove
funzioni con il passato.
2. Trieste e il porto: alle origini di un rapporto complesso
Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, Trieste, porta mediterranea della Mitteleuropa dal
XVIII agli inizi del XX secolo, è proposta come caso emblematico attraverso il quale
ripercorrere brevemente la complessità delle relazioni che la legano storicamente al suo porto,
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al fine di evidenziare aspetti criticità, potenzialità e prospettive di una città che, dopo fasi
alterne di sviluppo e declino, è alla ricerca di una nuova centralità nel contesto
euromediterraneo (Pultrone, 2004). L’interesse per la città da parte di chi scrive scaturisce da
un’attività di ricerca quasi decennale tesa a leggere le sue vicende urbanistiche secondo un
prospettiva che individua nel porto l’elemento chiave delle trasformazioni urbane e a ribadire la
necessità di promuovere per essa un ruolo rinnovato, adeguato sia alla necessità di far fronte
alle nuove sfide contemporanee di competitività tra territori, sia alle esigenze ormai
irrinunciabili di qualità urbana e ambientale, innovazione e partecipazione (Pultrone, 2009).
Come molte città mediterranee, la storia di Trieste è indissolubilmente legata a quella del suo
porto, principale fattori di sviluppo della città e all’origine di profonde trasformazioni tanto
nell’organizzazione spaziale che nella gestione delle diverse attività. Se le relazioni città-porto
avvengono secondo dinamiche simili, ogni luogo è poi contraddistinto da una specifica identità,
espressione di peculiarità geografiche, storiche, culturali e socio-economiche. Nel nostro caso,
l’ascesa del porto di Trieste risale alla prima metà del XVIII secolo (1719), quando l’imperatore
Carlo VI d’Austria emana la Patente imperiale del Portofranco per le città di Trieste e Fiume,
concedendo franchigie ad uomini e merci che godono della protezione imperiale, purché non in
conflitto con cittadini e beni dello stato. I vantaggi offerti attraggono numerosi gruppi etnicoreligiosi, parte attiva di un processo che trasformerà il piccolo borgo alto-adriatico in città
cosmopolita a servizio di un vasto retroterra danubiano-balcanico e proiettata nei circuiti
commerciali internazionali, in antagonismo con la Repubblica di Venezia ormai in declino
(Pultrone, 2007). Il “fronte mare” costituisce pertanto il luogo privilegiato delle trasformazioni
che portano all’ampliamento delle strutture portuali e all’espansione urbana, tuttora leggibile
nell’impianto dei tre borghi pianificati (Teresiano, Giuseppino e Franceschino), accostati all’originario
centro storico di impianto medievale (Città Vecchia). Per l’intero XIX secolo città e porto
vivono un rapporto simbiotico di integrazione e compenetrazione fisica e funzionale,
nonostante le continue trasformazioni a cui è sottoposto il profilo costiero per adeguare le
attrezzature esistenti alle crescenti esigenze economico-commerciali e, pur nelle alterne vicende
storico-politiche a carattere internazionale, Trieste continua a fungere da ponte di collegamento
tra Mitteleuropea e Mediterraneo. All’indomani del primo conflitto mondiale, dopo
l’annessione all’Italia, il rapporto fra Trieste e il suo storico entroterra viene amputato e la
storica “centralità” diviene “marginalità” in un territorio ormai periferico. La rottura della
relazione simbiotica fra città e porto si verifica dopo il secondo conflitto mondiale a causa delle
innovazioni introdotte nel settore dei trasporti marittimi, che richiedono spazi sempre più ampi,
reperiti nella zona sud della città; le attrezzature del Porto Vecchio, divenute inidonee alle nuove
esigenze, sono quasi completamente abbandonate.
Gli attuali orientamenti e direttive dell’UE, i mutamenti dell’assetto geopolitico dell’ultimo
ventennio in un’Europa allargata ed Est, gli effetti dell’economia globale costituiscono le
condizioni favorevoli affinché Trieste possa acquisire una nuova centralità nel contesto
euromediterraneo quale gateway di un sistema territoriale più ampio, all’interno del quale il
waterfront si può configurare opportunità per promuovere una nuova qualità urbana e
rivitalizzare le identità locali contro i rischi dell’omologazione.
3. La città agli inizi del XXI secolo tra aspirazioni e occasioni perdute
Agli inizi del XXI per Trieste, non più ai margini del blocco occidentale, si prefigura la
possibilità di rinnovare il suo ruolo strategico all’interno dei nuovi mercati, soprattutto verso i
paesi dell’Europa centro-orientale.; la strategia dei Corridoi europei rappresenta una favorevole
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opportunità per una città in posizione privilegiata rispetto alla rete dei Corridoi Adriatico e
danubiano e, in senso trasversale, dei Corridoi V ed VIII (Pultrone, 2009). Questa visione
emerge anche nei programmi, piani e progetti che animano le politiche urbane: il Prusst,
approvato (1999); il Piano strategico proiettato sull’orizzonte 2010 (2001); il PIC URBAN
riguardante Cittavecchia; il Concorso per la riqualificazione delle Rive (2001); le diverse proposte per il
recupero del Porto Vecchio fino al Masterplan elaborato da Systematica SpA con la supervisione di
Norman Foster &Partner (2006) che individua il quadro delle plausibili trasformazioni
realizzabili nel breve, medio e lungo periodo, considerando Porto Vecchio sia come “parte del
porto” che come “segmento centrale del waterfront urbano”; la candidatura all’EXPO 2008
(2004), in concorrenza con Salonicco e Saragozza che, come è noto, sarà la sede prescelta; la
previsione di un grandioso Parco del Mare, concepito come un mega-complesso costituito anche
da musei, strutture ricettive, ricreative e commerciali a ridosso delle Rive (Bradaschia, 2003; Di
Biagi, 2004; Marin, 2006; De Carli, 2007).
Ad un primo sguardo la città sembra pervasa da fermenti vitali, orientati a proiettarsi verso
nuovi scenari, ma lo scorrere inesorabile del fattore tempo, in assenza di concrete attuazioni,
mette in luce difficoltà, criticità e rallentamenti in itinere: l’accantonamento del Piano Strategico da
parte dell’amministrazione comunale subentrata a quella che lo aveva proposto nel 2001; i
progetti vincitori del Concorso per la riqualificazione delle Rive rimasti a lungo sulla carta e, più in
generale, la lentezza nell’attuazione delle trasformazioni pianificate rischiano di vanificare le
migliori intenzioni per trasformare un’importante occasione di rigenerazione dell’intero
territorio triestino in occasione perduta e fare di Trieste la “grande assente” tra le best practice di
rigenerazione dei waterfront diffuse a livello internazionale (Bruttomesso, 2006).
Figura 1. Il profilo costiero di Trieste è l’esito di continue trasformazioni dettate dall’esigenza di ampliare le strutture
portuali, il waterfront contemporaneo è un ambito complesso dove poter sperimentare relazioni innovative tra città e porto
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4. Nuove prospettive per una città-porto proiettata al futuro
Esclusa dal Mega Evento, EXPO 2008, Trieste guarda al futuro e si proietta verso l’EXPO
2015, mettendo a disposizione dell’evento che avrà luogo a Milano le proprie eccellenze
culturali, artistiche e turistico-ricettive, con particolare riferimento al traffico crocieristico e di
collegamento marittimo con i Paesi del Mediterraneo e dell’Estremo Oriente, valorizzando la
sua collocazione geografica di ponte verso l’Est.
Nella stessa direzione si muove la costituzione nel 2009 dell’associazione volontaria “Napa North Adriatic Port Association” tra i presidenti dei porti di Koper, Ravenna, Trieste e
Venezia (aperta all’adesione del porto di Rijeka) con lo scopo di promuovere iniziative in vari
settori: collegamenti, marittimi e terrestri verso la nuova Europa allargata ad Est; servizi
crocieristici e passeggeri; protezione dell'ambiente e qualità; sicurezza; formazione; servizi di
information technology. Anche la recente adozione del nuovo Piano regolatore portuale (2009),
in un clima di ritrovata intesa tra istituzioni, Autorità Portuale e Amministrazione Comunale,
mondo imprenditoriale e sindacale, dopo lunghi anni di conflittualità e disorganizzazione, è uno
strumento imprescindibile per lo sviluppo del porto e per la soluzione delle problematiche
legate all’assetto urbano-portuale (Giovinazzi, 2008).
Il profilo costiero sui cui si affaccia la città può diventare spazio di connessione entro cui far
scorrere, a velocità distinte e con esigenze differenziate, flussi materiali dei traffici di servizio al
porto, di attraversamento urbano, attività urbane e portuali fra loro compatibili, ma anche reti
immateriali che esaltano le relazioni del nodo portuale con le reti globali. Le Rive e il Porto
Vecchio costituiscono ancora un’occasione straordinaria, ambiti dove concentrare energie vitali
per l’elaborazione di progetti generatori di forme urbane e relazioni innovative, con la duplice
funzione di “portali delle armature infrastrutturali planetarie e declinazioni feconde delle città
creative”; dove gli spazi di connessione e gli innesti tra città e porto sono spazi di interazione e
integrazione di nuove centralità urbane (Carta, 2006); dove l’area critica di contatto-conflitto
può trasformarsi in area dinamica di dialogo e cooperazione, in grado di evolversi e valorizzare
la propria identità (Di Venosa, 2005).
In definitiva, il paesaggio “artificiale” del waterfront triestino può assumere nuove qualità
mediante strategie di riqualificazione compatibili con la conservazione degli impianti storici si
candidano a divenire risorse per nuove forme di attrattività urbana. Assimilabile ad organismo
vivente inserito in un sistema più vasto in continua trasformazione, al cui interno convivono
interessi, dinamiche e velocità differenti, esso non è solamente “luogo fisico”, ma “processo
continuo” che va dall’idea, al progetto, alla realizzazione, alla gestione, alla possibilità di
adeguamento al mutare delle esigenze. Pertanto, ogni intervento urbanistico o architettonico
deve essere inserito nel quadro evolutivo dei modelli economici e di governance del sistema
waterfront, a sua volta sub-sistema di un più ampio sistema urbano e territoriale di riferimento.
E, più in generale, il tema “waterfront” deve essere parte integrante di un piano di sviluppo,
all’interno del quale un ruolo importante spetta senza dubbio alla pianificazione strategica e agli
strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica nell’affrontare le molteplici
problematiche legata alla complessa relazione tra città e porto, attraverso l’elaborazione di piani
e progetti che diano coerenza alle politiche frammentarie di trasformazione del territorio.
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www.porto.trieste.it
www.retecivica.trieste.it
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