Ricorsi collettivi per il sistema pensionistico retributivo. Il

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Ricorsi collettivi per il sistema pensionistico retributivo. Il
Ricorsi collettivi per il sistema pensionistico retributivo. Il Giornale dei Militari: "restare a guardia delle pe
Giovedì 08 Aprile 2010 12:41
Roma, 8 apr - Pubblichiamo un interessante articolo estratto dal "Nuovo Giornale dei Militari"
dal titolo "Il buco delle pensioni, la previdenza complementare… i ricorsi al TAR" nel quale
gli autori analizzano, si legge nell'articolo, le "fantasiose interpretazioni giudiziarie di certi
esperti del diritto (fallimentare)".
Diverse organizzazioni, in questi ultimi due anni, hanno avviato ricorsi collettivi finalizzati ad
ottenere che il trattamento pensionistico obbligatorio di Forze Armate e Forze di Polizia, venga
calcolato con il sistema retributivo, in attesa che sia dato concreto avvio alla previdenza
complementare, proponendo altresì azioni volte a sollevare davanti alla Corte Costituzionale il
giudizio di illegittimità della c.d. riforma Dini, sotto il profilo, da quanto si deduce, della
irragionevolezza e della violazione dell’art. 38 Cost., laddove si sancisce l’immediato passaggio
al sistema contributivo (per il personale avente al 1° gennaio 1996 una anzianità contributiva
inferiore ai 18 anni) per il quale non è “decollata” la previdenza complementare. Migliaia
sembrerebbero i ricorsi a cui hanno aderito appartenenti alle ffpp e ffaa; ricorsi depositati presso
il Tribunale Amministrativo.
Secondo i proponenti – a sostegno della iniziativa, vi sarebbero degli atti istituzionali che
riconoscono “ … L’illogicità e la sostanziale incoerenza del sistema di tutela previdenziale … “
attualmente vigente rispetto ai militari, quindi la necessità che vi sia una “…modifica della
normativa primaria…”. Gli atti istituzionali a cui ci riferisce sarebbero sostanzialmente alcune
“osservazioni” del Direttore Generale del ministero del lavoro , in relazione ad una
interrogazione parlamentare proposta sul problema previdenziale dei militari ed una lettera
scritta dal Ministro della Difesa al ministro del lavoro. Si fa riferimento anche ad alcune recenti
pronunce dei tribunali amministrativi che – a detta degli organizzatori dei ricorsi –
confermerebbero l’impostazione e le ragioni del ricorso organizzato (?).
E’ bene precisare che Il 14 dicembre 2009 è stata depositata la sentenza del Tar Lazio nr.
12874/2009 del 18 novembre 2009, relativa ad un ricorso collettivo avverso il mancato avvio
della previdenza complementare ed il mantenimento del sistema retributivo, presentato da circa
590 appartenenti all’Arma dei carabinieri. Detto ricorso è stato dichiarato inammissibile per
difetto di giurisdizione del giudice adito in quanto, secondo i giudici amministrativi, questione
spettante alla Corte dei Conti, “giudice delle pensioni”.
E il caso di segnalare in proposito che Il difetto di giurisdizione e la competenza esclusiva della
Corte dei Conti, erano argomentazioni a sostegno delle perplessita’ espresse da più parti, ivi
comprese le maggiori organizzazioni sindacali della Polizia, circa l’esperibilita’ del ricorso
stesso.
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Anche il Cocer Esercito in un recente commento è “tornato” sulla questione affermando che: “Il
giudice amministrativo ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto non è stato dimostrato
che il trattamento pensionistico con il sistema contributivo sia effettivamente inferiore a quello
calcolato con il sistema retributivo e che, comunque, la misura della pensione è materia della
Corte dei Conti e non del TAR. Né sono stati contestati i contributi versati all’Inpdap. E
comunque, quand’anche si volesse dare ragione ai ricorrenti, afferma il Giudice, in materia di
mancato decollo dei fondi pensione, i ricorrenti avrebbero dovuto usare lo strumento del “ricorso
avverso il silenzio dell’amministrazione (art. 2 legge n. 205 del 2000).”
Per il Cocer Esercito, quindi, la strada del ricorsi si è rivelata una disfatta clamorosa. In effetti
non si comprende l’esultanza degli organizzatori dei vari ricorsi i quali affermano che la
sentenza del TAR rafforzerebbe le loro tesi. Singolare deduzione, visto che il tribunale
amministrativo, occupandosi per altro di ALTRUI ricorso non è entrato nel merito dello stesso
dichiarandone solo l‘inammissibilità per difetto di competenza. Non è la prima volta d’altro canto
che le fantasiose interpretazioni giudiziarie di certi esperti del diritto (fallimentare) siano poi
state frustrate da atti definitivi della magistratura; ad ogni buon conto si tratta solo di... restare a
guardia delle penne degli inconsapevoli polli.
Occorre sottolineare inoltre che, anche nella (altamente improbabile) ipotesi che si riuscisse a
sottoporre la questione al giudizio della Corte Costituzionale e ad ottenere una pronuncia di
incostituzionalità, non si perverrebbe automaticamente all’applicazione del sistema retributivo
ma sarebbe comunque necessario un intervento specifico del legislatore.
Legittimo allora chiedersi perché non si è scelta un’altra strada.. meno “onerosa” per il
personale. Ad esempio iniziative come quella del sindacato di polizia SILP cgil, che ha
predisposto una petizione popolare per l’immediato avvio della previdenza complementare, che
sta raccogliendo migliaia di adesioni a costo zero. Infatti, pur condivendo le motivazioni dei
ricorsi, per il sindacato di polizia: “ la strada legale appare impraticabile e destinata ad un esito
negativo mentre altre sono le vie da intraprendere in quanto l’unica soluzione che potrebbe
mettere la parola definitiva è quella legislativa”.
Non manca anche chi, come la FICIESSE e L’ASSODIPRO, nutrono dubbi sui ricorsi collettivi
avviati che, sostengono le associazioni, “a differenza di altre iniziative legali, puntano ad un
irrealistico ritorno, anche soltanto di una parte del personale del pubblico impiego (Forze
Armate e Forze di Polizia), al sistema retributivo, in un momento in cui permane, come e forse
ancor più che tredici anni fa, l’esigenza di “stabilizzare” il sistema pensionistico pubblico e,
oltretutto, è ormai pacifico, nella giurisprudenza costituzionale, che non esiste un “diritto al
regime previdenziale” previgente”.
L’Associazione FICIESSE ribadisce “il fermo convincimento che le ragioni di chi insorge in via
giudiziale contro la riforma avviata dalla legge c.d. Dini e dalle successive disposizioni
normative collegate, pur poggiando su un dato di fatto (e di diritto) incontestabile – cioè, che il
passaggio dal sistema retributivo al contributivo avrebbe dovuto accompagnarsi alla
trasformazione del TFS in TFR ed alla attivazione, accanto al primo pilastro (il trattamento
pensionistico a carico della assicurazione generale obbligatoria), anche del secondo pilastro (i
trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico, erogati da fondi
pensione, ad adesione volontaria, di carattere collettivo o di categoria), onde mantenere un
adeguato livello di copertura previdenziale –, assai improbabilmente possano portare ad un
risultato, essendo il problema di cui si discorre fortemente “politico” ed essendo, oltretutto,
difficilmente immaginabile un utile strumento legale tramite il quale sollevare la questione”.
Ebbene, quest’azione “politica” è il motivo dei due ricorsi “pilota” al Tar del Lazio, della Ficiesse,
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affinché il giudice adito obblighi le Amministrazioni ad avviare immediatamente la negoziazione
/ concertazione necessaria per poter pervenire al risultato della trasformazione del TFS in TFR
e all’avvio della previdenza complementare anche per il personale delle Forze di Polizia e delle
Forze Armate.
Analoghi dubbi sono stati espressi chiaramente dallo studio legale della Associazione
Solidarietà Diritto e Progresso che in una nota – riportata anche sul nostro Giornale, afferma
che: la Corte Costituzionale ha già avuto modo di valutare e di evidenziare il ruolo ed il rilievo
della previdenza complementare (affermando che “la previdenza complementare (integrativa o
aggiuntiva del trattamento erogato dall’assicurazione generale obbligatoria) si colloca nell’alveo
dell’art. 38 Cost.,secondo comma, secondo la scelta legislativa di istituire un collegamento
funzionale tra la prima e la previdenza obbligatoria, quale momento essenziale della
complessiva riforma della materia, al fine di assicurare funzionalità ed equilibrio all’intero
sistema pensionistico”: cfr. sentenza n.393/2000 e ordinanza n.319/2001); è vero anche, però,
che il Giudice delle leggi ha già rilevato e chiarito pure che la legge n.335/1995 si inserisce in
un “processo riformatore”, rinveniente “ragionevole giustificazione nella necessità di influire
sull’andamento tendenziale della spesa previdenziale, al fine di stabilizzare il rapporto tra la
stessa ed il prodotto interno lordo” (cfr. ordinanza n.319/2001).
“Sicché, afferma lo studio legale di ASSODIPRO, appare, a dir poco, irrealistico immaginare
che sia possibile un ritorno, anche solo di una parte del personale del pubblico impiego, al
sistema retributivo. Nella più rosea delle ipotesi – e sempre che, naturalmente, il Giudice di
merito ritenga di sottoporre la questione alla Corte Costituzionale –, si può pensare, invece, che
quest’ultima potrebbe pronunciare una sentenza additiva di principio o una sentenza monito,
ossia una di quelle sentenze che rigettano la questione proposta, indicando al legislatore i profili
di criticità individuati e invitandolo ad attivarsi per rimuoverli”. La strada che può avere
successo, quindi, non è quella giudiziaria, ma quella dell’attivazione delle rappresentanze delle
categorie interessate (sindacati di polizia e rappresentanza militari) al fine di ottenere finalmente
l’emanazione dei regolamenti attuativi della previdenza complementare. Occorre infine non
sottovalutare il vincolo di bilancio, su cui lo Stato ha competenza esclusiva (art. 117 Cost.).
Precedenti sentenze della stessa Corte stabiliscono l’inesistenza di diritti acquisiti sul sistema
pensionistico ed al non automatico adeguamento del trattamento di quiescenza agli stipendi,
fatto comunque salvo il diritto minimo di garanzia delle esigenze di protezione della persona
(Ord. 202/2006, Sent. 30/2004 e Sent. 457/1998).
Ovviamente, chiunque è libero di tentare il riconoscimento di diritti in via giurisdizionale,
formandosi un proprio convincimento sulla fondatezza dell’assunto posto alla base e
considerando soggettivamente, tra l’altro, se deve pagare per farlo. Altra politica, assai
discutibile è poi quella di fare ricorsi che non saranno accolti per ottenere in futuro un
indennizzo per ritardo degli organi giudiziari (L. 89/2001). Infine, vi sono sono circa tre milioni di
lavoratori della pubblica amministrazione che, come i militari non hanno ancora la previdenza
integrativa. La previdenza complementare è partita solo per ristrettissimi ambiti. Un’altra ragione
per ritenere inverosimile una sentenza che rischia di aprire un contenzioso insostenibile per le
casse dello Stato.
Appare infine discutibile che alcuni promotori dei ricorsi siano o siano stati anche delegati
sindacali o della rappresentanza. Il loro compito non dovrebbe essere quello di appoggiare la
linea ufficiale di negoziazione con la controparte (governo) e premere sul Parlamento, affinchè con una misura di legge - sia data quanto prima attuazione alla previdenza complementare? E
su questo mobilitare il personale rappresentato? La commistione di interessi che in tal modo si
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è concretizzata, nel superiore interesse del personale è questione che meriterebbe una
approfondita indagine dell’autorità militare, così come una risoluta determinazione delle
Rappresentanze
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