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Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 16 gennaio 1997
Repubblica francese contro Commissione delle Comunità europee
Comunicazione della Commissione - Mercato interno - Fondi pensione
Causa C-57/95
raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-01627
Conclusioni dell avvocato generale
1 Con il presente ricorso la Repubblica francese chiede l'annullamento, ai sensi dell'art. 173, primo comma, del
Trattato, di un atto adottato dalla Commissione e denominato «Comunicazione relativa alla libertà di gestione e
di investimento dei fondi detenuti dagli enti di previdenza» (1) (nel prosieguo: la «comunicazione»).
La comunicazione, è bene dirlo sin d'ora, nelle sue linee essenziali è molto simile alla proposta di direttiva del
Consiglio relativa alla libertà di gestione e di investimento dei fondi detenuti dagli enti di previdenza (2), proposta
presentata dalla Commissione al Consiglio il 21 ottobre 1991 (3). Tale proposta, a causa del perdurante dissenso
di taluni Stati membri sui suoi contenuti, è stata ritirata dalla Commissione nel dicembre 1994 (4). Più
precisamente, la stessa Commissione comunicava agli Stati membri, con lettera del 21 dicembre 1994, la sua
decisione di ritirare la proposta di direttiva, omettendo tuttavia di indicare che già il 17 dicembre era stata
pubblicata, nella serie C della Gazzetta ufficiale, la comunicazione controversa.
2 La comunicazione contiene una prima parte, «Introduzione e considerazioni generali», in cui è evidenziata, da
un lato, la crescente importanza dei fondi pensione, in quanto fonte di capitali da investire, per l'economia
dell'Unione europea (punti 1.1. e 1.2.); dall'altro, l'esigenza che tali fondi siano soggetti alle norme sulla libera
circolazione, in modo che «i singoli possano beneficiare delle migliori condizioni di rischio e di redditività ottenibili
se i gestori dei fondi pensione hanno la libertà di investire nel modo più conveniente possibile in tutta l'Unione
sulla base di sani principi commerciali e prudenziali» (punto 1.3.).
Nella stessa parte, la Commissione, dopo aver ricordato che la comunicazione fa seguito al ritiro della proposta di
direttiva, precisa che essa costituisce una risposta alla necessità di chiarire quanto prima «le proprie intenzioni
sia agli operatori economici che agli Stati membri per quanto riguarda l'interpretazione dei principi fondamentali
del Trattato in ordine alla libera prestazione dei servizi, alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei
capitali in tema di fondi pensione» (punto 1.5.). In tale prospettiva, la comunicazione «contiene orientamenti in
ordine al tipo di restrizioni che possono essere imposte dagli Stati membri per motivi prudenziali, sempreché le
restrizioni stesse possano essere considerate compatibili con i principi del Trattato. Essa stabilisce inoltre un
certo numero di principi prudenziali in materia di investimenti che dovrebbero essere applicati da tutti gli enti di
previdenza» (punto 1.8.).
3 La seconda parte della comunicazione, intitolata «Interpretazione specifica», contiene anzitutto una serie di
definizioni, volte a chiarire cosa debba intendersi per «ente di previdenza», «prestazioni previdenziali», «impresa
partecipante», «organismo partecipante», «imprese figlie» e «imprese collegate». In particolare, va qui
sottolineato che le definizioni di ente di previdenza e di prestazione previdenziale sono così ampie da
ricomprendere anche gli enti di previdenza sociale obbligatoria, che tuttavia sono espressamente esclusi dal
campo di applicazione della comunicazione (punto 2.1.).
La comunicazione, infatti, non si applica agli enti di previdenza sociale obbligatoria inclusi negli elenchi di cui
all'allegato 2 del regolamento (CEE) n. 574/72 (5), né agli enti finanziari per taluni tipi di attività da essi svolte e
che sono disciplinate da direttive comunitarie già adottate (6) (punto 2.2.).
4 Il punto 2.3. della comunicazione, dedicato alla «Gestione degli investimenti e servizi di custodia», prevede
anzitutto la libertà degli enti di previdenza di scegliere liberamente, per la gestione dei loro investimenti ovvero
per la custodia e l'amministrazione delle attività di cui si tratta (7), tra i soggetti debitamente autorizzati a tal
fine: gestori esterni stabiliti in altri Stati membri ovvero enti creditizi o imprese d'investimento stabiliti in altri
Stati membri (punti 2.3.1. e 2.3.2.). E' previsto inoltre che le autorità di vigilanza responsabili dell'ente di
previdenza siano effettivamente in grado di esercitare il loro dovere di vigilanza; dunque anche qualora l'ente
stesso non possa o non voglia fornire le informazioni richiestegli per motivi ragionevoli ovvero rifiuti di adottare
provvedimenti rispetto alle attività che esulano dalla giurisdizione immediata dell'autorità di vigilanza. Ai fini della
vigilanza prudenziale dell'ente è pertanto richiesto agli Stati membri di far sì che tutti i prestatori di servizi
interessati siano obbligati, a termini di contratto, a fornire tutte le informazioni necessarie all'autorità di vigilanza
dell'ente (punto 2.3.3.).
Va qui sottolineato che, per il raggiungimento degli obiettivi indicati al punto 2.3.3., è considerato auspicabile
«che ciascuno Stato membro designi un'unica autorità competente avente la responsabilità della cooperazione
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con le autorità competenti degli altri Stati membri» e che «la Commissione invierà agli Stati membri un elenco
delle autorità designate (...) che le sono state notificate dagli Stati membri» (punto 2.3.4.).
5 Il punto 2.4., dedicato alla «Libertà di investimento delle attività», anzitutto elenca i principi ai quali è
opportuno che gli enti di previdenza stabiliti in uno Stato membro si conformino nell'investire tutte le attività da
essi detenute a copertura dei pagamenti futuri di prestazioni previdenziali. Tali principi possono essere così
sintetizzati: a) gli attivi devono essere investite nell'interesse degli affiliati e dei beneficiari, tenendo conto dei
requisiti di sicurezza, qualità, liquidità e redditività del portafoglio dell'ente di previdenza nel suo complesso; b)
stessi attivi devono essere sufficientemente diversificate per evitare forti concentrazioni di rischio; c) gli
investimenti in imprese partecipanti, collegate o figlie devono essere limitati ad un livello prudenziale. Eventuali
assicurazioni contro il rischio di insolvenza ovvero eventuali garanzie dello Stato possono essere prese in
considerazione nell'applicazione di tali principi (punto 2.4.1.).
Sono poi elencati, al punto 2.4.2., i casi in cui gli Stati membri possono escludere dal campo di applicazione del
punto 2.4.1. gli attivi investiti nell'impresa partecipante o in una o più imprese collegate. In particolare, non è qui
superfluo ricordare che possono essere esclusi gli investimenti effettuati prima dell'adozione della comunicazione.
In ogni caso, è richiesto agli Stati membri di impegnarsi ad esaminare periodicamente i casi esclusi.
6 Sempre in tema di libertà di investimento degli attivi, al punto 2.4.3. è previsto che «gli Stati membri devono
astenersi dall'imporre agli enti di previdenza di investire o non investire in particolari categorie di attività o di
localizzare le loro attività in un determinato Stato membro se non per motivi prudenziali debitamente
giustificati». Le restrizioni eventualmente imposte per motivi prudenziali devono inoltre essere proporzionate agli
obiettivi legittimamente perseguiti. E' altresì previsto, relativamente al tasso di congruenza, che «in un primo
tempo gli Stati membri non devono in nessun caso imporre agli enti di previdenza di detenere più del 60% delle
loro attività in valuta congruente, tenuto conto dell'effetto degli strumenti di copertura valutaria detenuti
dall'ente stesso; un tale requisito non potrebbe infatti, di regola, essere giustificato per motivi prudenziali» (8). Il
successivo punto 2.4.4. stabilisce poi che «gli Stati membri devono astenersi dall'assoggettare le decisioni di un
ente [previdenziale] o del suo gestore in materia di investimenti a qualsiasi obbligo di approvazione preliminare o
notifica sistematica».
Infine, la comunicazione contiene delle «osservazioni finali» così redatte: «La Commissione ritiene importante
che gli enti di previdenza siano in grado di beneficiare appieno delle libertà sancite dal Trattato. La Commissione
si assicurerà che qualsiasi restrizione vigente negli Stati membri sia pienamente motivata dalle ragioni
prudenziali o di altro genere con le quali tali restrizioni vengono giustificate e sia proporzionata agli obiettivi
perseguiti» (punto 3.).
7 Secondo il governo francese, la comunicazione introdurrebbe obblighi nuovi, in particolare per quanto riguarda
il tasso di congruenza. Essa andrebbe pertanto annullata a causa dell'incompetenza della Commissione, nonché
in ragione dell'assenza di base giuridica e della violazione del principio della certezza del diritto.
La Commissione chiede invece che il ricorso sia dichiarato irricevibile, in quanto l'atto impugnato, come
dimostrerebbe l'esame del suo contenuto, non introdurrebbe alcun obbligo nuovo rispetto a quelli già previsti dal
Trattato. In altre parole, la comunicazione si limiterebbe, ad avviso della Commissione, a fornire l'interpretazione
dei principi fondamentali fissati dal Trattato in ordine alla libera prestazione dei servizi, alla libertà di stabilimento
e alla libera circolazione dei capitali, relativamente alla gestione e agli investimenti dei fondi pensione.
Sulla ricevibilità
8 L'eccezione di irricevibilità della Commissione si fonda sul fatto che la comunicazione in questione sarebbe un
atto non vincolante e dunque non impugnabile ai sensi dell'art. 173, primo comma, che, come noto, abilita la
Corte ad esercitare un controllo di legittimità solo sugli atti «che non siano raccomandazioni o pareri», vale a dire
solo sugli atti vincolanti. Un atto qualificato come «comunicazione» non dovrebbe pertanto, in quanto in principio
atto non vincolante, essere impugnabile dinanzi alla Corte.
La giurisprudenza della Corte in materia è tuttavia nel senso che, ai fini dell'ammissibilità del controllo
giurisdizionale, appare poco rilevante la forma con cui l'atto si presenta esternamente, mentre vanno verificati gli
effetti e il contenuto dell'atto medesimo.
9 Più in particolare, riguardo alla nozione di atti impugnabili ai sensi dell'art. 173, primo comma, la Corte ha
precisato sin dalla sentenza AETS (9) che l'azione di annullamento deve potersi esperire contro «qualsiasi
provvedimento adottato dalle istituzioni (indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma) che miri a
produrre effetti giuridici». Un tale approccio è stato poi confermato in tre sentenze, tutte originate da ricorsi della
Francia diretti ad ottenere l'annullamento di atti atipici: delle «istruzioni interne» (10), un «codice di condotta»
(11) ed infine una «comunicazione aiuti» (12). La Corte ha infatti considerato impugnabili tali atti, precisamente
perché - a dispetto della loro denominazione e della forma assunta - si trattava di atti che introducevano nuovi
obblighi e dunque miranti a produrre effetti giuridici nei confronti dei loro destinatari: e ciò senza che fossero
state rispettate, per la loro adozione, le procedure previste dal Trattato a tal fine.
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10 Nel caso di specie siamo confrontati ad un atto qualificato come comunicazione, privo di indicazione della
base giuridica, che non reca la firma di alcun commissario e che non è stato notificato agli Stati membri. E
tuttavia esso è stato adottato collegialmente dalla Commissione e pubblicato nella serie C della Gazzetta ufficiale.
A ciò si aggiunga che l'atto in questione è essenzialmente identico alla proposta di direttiva presentata al
Consiglio dalla Commissione e che quest'ultima ha ritirato in ragione della «situazione di stallo creatasi nei
negoziati con gli Stati membri in sede di Consiglio» (punto 1.4.). Pur non rientrando la comunicazione nella
categoria degli atti tipici, le sue modalità di redazione e di pubblicità, in particolare le circostanze della sua
adozione, sono tali da rendere quantomeno sospetto l'intento di vincolare i destinatari, dunque gli Stati membri
e, per tale via, gli operatori del settore.
11 Ciò premesso, ed in conformità alla già ricordata giurisprudenza della Corte in materia, si rivela pertanto
indispensabile un esame del contenuto dell'atto, onde verificare se esso contenga obblighi giuridici nuovi e
vincolanti per i destinatari. Ne consegue che la valutazione della fondatezza dell'eccezione di irricevibilità deve
essere esaminata unitamente alle questioni di merito sollevate dalla controversia.
Nel merito
12 Come già accennato, a sostegno del suo ricorso la Repubblica francese, al cui fianco è intervenuto il Regno di
Spagna, invoca tre mezzi: l'incompetenza della Commissione, la violazione dell'art. 190 del Trattato, in ragione
dell'assenza di base giuridica; infine, la violazione del principio della certezza del diritto. Inoltre, sia il governo
francese che il governo spagnolo mettono in discussione la validità dell'atto controverso a causa della disparità di
trattamento che si verrebbe a creare tra titolari di fondi pensione e titolari di polizze di assicurazione sulla vita
(13).
Per quanto riguarda l'incompetenza della Commissione, la Repubblica francese fa valere che la comunicazione è,
in sostanza, una direttiva mascherata, una copia della proposta di direttiva, proposta fondata sugli articoli 57, n.
2, e 66 del Trattato. Atteso che l'art. 57, n. 2 - norma che prescrive la procedura da seguire per l'adozione delle
direttive intese al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati
membri relative all'accesso alle attività non salariate e all'esercizio di queste - richiede che il Consiglio deliberi
all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo ovvero in conformità alla procedura di cui all'art. 189
B, ne conseguirebbe che l'atto controverso avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio ovvero dal Consiglio e
dal Parlamento, ma non certo dalla Commissione.
13 Quest'ultima sostiene, per contro, che l'analisi del contenuto della comunicazione dimostrerebbe che essa
altro non è - e comunque tale vuole essere nelle sue intenzioni - che una mera interpretazione dei principi
fondamentali del Trattato relativi alla libera circolazione rispetto al settore dei fondi pensione. Per avallare siffatta
tesi, la stessa Commissione aggiunge poi che, siccome le norme sulla libera prestazione dei servizi, sullo
stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali sono norme provviste di effetto diretto, con ogni evidenza la
comunicazione, come del resto la stessa proposta di direttiva, non può che essere (solo) dichiarativa.
Insomma, ad avviso della Commissione, la comunicazione non conterrebbe affatto nuovi obblighi per i suoi
destinatari, limitandosi invece ad esplicitare gli obblighi già incombenti agli Stati membri in virtù delle disposizioni
del Trattato qui rilevanti. L'esame del contenuto della comunicazione confermerebbe dunque che si tratta di un
atto non impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato e che pertanto il ricorso dovrebbe essere dichiarato
irricevibile. E' precisamente in base a tali considerazioni che la Commissione, del resto, non ha neppure
esaminato i mezzi fatti valere dal governo francese nel merito.
14 Al riguardo, dirò subito che concordo con la Commissione, sia pure per motivi diversi, nel ritenere che, al fine
di statuire sul presente ricorso, è invero sufficiente esaminare se la comunicazione imponga o no nuovi obblighi.
Tenuto conto della giurisprudenza della Corte in materia di atti atipici, va da sé che la comunicazione, qualora
imponga nuovi obblighi per i suoi destinatari, andrebbe comunque annullata, indipendentemente dai vizi fatti
valere.
Come si ricorderà, infatti, allorché le «istruzioni interne» ed il «codice di condotta» sono stati annullati per
incompetenza della Commissione, la sentenza sulla «comunicazione aiuti» ha reso evidente che un atto atipico
che introduca nuovi obblighi ben può (o meglio deve) essere annullato anche in presenza di vizi solo di forma, in
particolare in nome della certezza del diritto. In quest'ultima sentenza, lo ricordo, la Corte ha infatti sottolineato
che «la legislazione comunitaria dev'essere chiara e la sua applicazione prevedibile per tutti gli interessati. Tale
esigenza di certezza del diritto fa sì che qualsiasi atto che miri a produrre degli effetti giuridici debba trarre la
propria forza vincolante da una disposizione di diritto comunitario che dev'essere espressamente indicata comme
base giuridica e che prescrive la forma giuridica di cui l'atto dev'essere rivestito» (14).
15 La statuizione appena riportata evidenzia che un atto comunitario, sia pure atipico, nella misura in cui
introduce nuovi obblighi nei confronti dei suoi destinatari e dunque mira a produrre effetti giuridici, deve
rispettare non solo le necessarie procedure previste per la sua adozione ma anche i requisiti di forma essenziali.
Pertanto, anche qualora, come nel caso della comunicazione aiuti, la Commissione abbia la competenza ad
adottare un atto normativo e non abbia violato alcuna norma procedurale, l'atto va comunque annullato per
violazione delle forme essenziali; e ciò a garanzia della certezza del diritto.
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In tali condizioni, resterebbe da chiedersi se l'assenza di un minimo di forme essenziali non possa essere
considerata tale da far ritenere l'atto di cui si tratta, indipendentemente dall'esito della verifica in concreto del
suo contenuto, comunque inidoneo a produrre effetti giuridici, con la conseguenza che il ricorso diretto ad
ottenerne l'annullamento dovrebbe essere dichiarato irricevibile, precisamente perché gli eventuali obblighi
derivanti da tale atto sarebbero in ogni caso inopponibili agli amministrati ed agli Stati membri. La Corte, cui ho
suggerito di rispondere preliminarmente ad un tale quesito già nelle conclusioni relative alle «istruzioni interne»
(15), ha tuttavia confermato, sia pure indirettamente, che il criterio formale è del tutto irrilevante e che,
pertanto, occorre comunque procedere alla qualificazione dell'atto sulla base del suo contenuto.
16 Tutto ciò premesso, passo ad esaminare se la comunicazione si limiti ad esplicitare gli obblighi derivanti per
gli Stati membri dalle norme del Trattato qui rilevanti oppure se ponga obblighi nuovi rispetto a tali norme. Ancor
prima, non è superfluo verificare se le disposizioni della comunicazione siano formulate in termini imperativi
oppure esprimano il parere della Commissione in argomento, raccomandando agli Stati membri una determinata
linea di condotta.
Al riguardo, deve riconoscersi che la formulazione linguistica della comunicazione non è univoca. Se è vero che vi
sono espressioni che si limitano a considerare «opportuno» ovvero «auspicabile» un certo comportamento da
parte degli Stati membri, non mancano tuttavia espressioni molto più forti, come ad esempio «gli Stati membri
devono astenersi» oppure «gli Stati membri non devono in alcun caso».
17 L'impressione è che l'operazione di maquillage della proposta di direttiva in comunicazione non sia,
volontariamente o per distrazione, riuscita al meglio. In particolare, non credo possa nutrirsi alcun dubbio sul
fatto che la fissazione del tasso di congruenza (punto 2.4.3.), che costituisce uno dei punti di maggiore contrasto
tra le parti, sia formulata in termini di obbligo e non certo di auspicio. Lo stesso è a dirsi per quanto riguarda i
casi che possono essere esclusi dal campo di applicazione della comunicazione (punto 2.4.2.) e il divieto di
sottoporre le decisioni di investimento a obblighi di approvazione preliminare o notifica sistematica (punto
2.4.4.).
Va da sé, tuttavia, che la formulazione di tali punti in termini vincolanti non è affatto decisiva, anzi. Essa sarebbe
addirittura irrilevante ove si pervenisse alla conclusione che la comunicazione è semplicemente dichiarativa. E',
questa, la tesi della Commissione, secondo cui l'effetto diretto di cui sono provviste le norme sulla libera
prestazione dei servizi, sullo stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali implicherebbe che gli obblighi
contenuti nella comunicazione discendono direttamente dal Trattato, sicché la stessa comunicazione, come del
resto la proposta di direttiva, non aggiungerebbe alcun nuovo obbligo in capo agli Stati membri.
18 Una tale tesi mi sembra invero semplicistica, potendosi quantomeno obiettare che tutti gli obblighi derivanti
dal diritto comunitario discendono dal Trattato. L'effetto diretto delle norme in questione, che certo non è qui in
discussione, comporta invero che gli Stati membri non possono imporre restrizioni ingiustificate alle libertà di cui
si tratta. E' fin troppo evidente, in tale ottica, che gli enti di previdenza devono poter scegliere liberamente i
gestori e/o gli organismi deputati a gestire i loro investimenti ovvero le attività di custodia; ed è altrettanto
evidente che, ove ciò non avvenga, sarà la Corte, eventualmente adita, a decidere se le restrizioni di cui si tratta
siano giustificate oppure integrino una violazione delle norme del Trattato in questione.
Ciò non significa, tuttavia, che eventuali misure di coordinamento o di armonizzazione che mirino anche solo a
facilitare l'esercizio della libertà in questione siano non più necessarie (16), né che esse possano essere adottate
senza rispettare le procedure all'uopo previste. L'adozione di misure di armonizzazione, è appena il caso di
sottolinearlo, non è peraltro priva di conseguenze: in presenza di tali misure, infatti, gli Stati membri non
possono più invocare le eccezioni espressamente previste dal Trattato in materia ovvero motivi di interesse
generale per giustificare le eventuali restrizioni imposte, per quanto qui rileva, alla gestione e alle attività di
investimento degli enti di previdenza.
19 Orbene, l'imposizione di taluni principi prudenziali (punto 2.4.1.) e ancor più la fissazione del tasso di
congruenza al 60% indubbiamente costituiscono misure, sia pur minime, di armonizzazione e che, in quanto tali,
avrebbero richiesto l'adozione di un atto normativo.
La difesa della Commissione sul punto non è peraltro priva di contraddizioni. Se, come da essa sostenuto, la
comunicazione e la proposta di direttiva fossero meramente dichiarative, l'ovvia conseguenza dovrebbe essere
che gli Stati membri sarebbero tenuti a conformarsi ai comportamenti in esse indicati. Non si capisce pertanto
perché la stessa istituzione sia così preoccupata di dimostrare che già la formulazione linguistica della
comunicazione è tale da far escludere che si sia in presenza di un atto obbligatorio e sottolinei con insistenza che
la straordinaria somiglianza della comunicazione con la proposta di direttiva è dovuta a motivi di coerenza. In
realtà, la stessa Commissione riconosce che la comunicazione è tutt'altro che dichiarativa: e lo fa ricordando che
sta per uscire un libro verde in materia, su cui gli stessi Stati membri sono invitati ad esprimere il proprio parere;
nonché precisando che la fissazione del tasso di congruenza al 60% non si deduce affatto dal Trattato, bensì
costituisce un suo punto di vista, non necessariamente corretto.
20 Insomma, la comunicazione indubbiamente non è solo dichiarativa, né mi sembra possa essere qualificata,
come pure sostenuto dalla Commissione, come una mera comunicazione interpretativa. E' ben vero che la
Commissione utilizza con notevole frequenza comunicazioni aventi forma e contenuti diversi, tanto da aver dato
luogo a qualche tentativo di classificazione dei differenti tipi (17); è altresì vero che, come la stessa prassi
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dimostra, le comunicazioni interpretative sono volte a far conoscere agli Stati e agli operatori i diritti e gli obblighi
ad essi derivanti dal diritto comunitario, in particolare alla luce degli sviluppi giurisprudenziali registratisi nel
settore di cui si tratta (18).
Orbene, non ritengo sia questo il caso che ci occupa. La Commissione non si è infatti limitata a chiarire, come
invece da essa preteso, quale sia la corretta applicazione di taluni principi fondamentali del Trattato rispetto al
settore dei fondi pensione, ma è andata ben oltre. Lo dimostra, ad esempio, la circostanza, sia pure ritenuta
auspicabile, che gli Stati membri designino un'unica autorità di vigilanza e che effettuino la relativa notifica alla
Commissione, la quale, a sua volta, invierà agli Stati un elenco delle autorità designate (punto 2.3.4.). Lo
dimostra la contestata fissazione del tasso di congruenza al 60% (punto 2.4.3.); ed ancora, lo dimostra il divieto
assoluto di assoggettare le decisioni degli enti di previdenza relative agli investimenti a qualsiasi obbligo di
approvazione preliminare (punto 2.4.4.). Infine, la stessa circostanza che gli Stati membri possono escludere dal
campo di applicazione della comunicazione gli investimenti effettuati prima dell'adozione della stessa (punto
2.4.2.) ben dimostra che detta comunicazione ha e vuole avere degli effetti giuridici.
21 Prima di trarre le fin troppo ovvie conseguenze derivanti dalla conclusione cui sono pervenuto, ritengo
necessario dare conto, invero molto sinteticamente, di due ulteriori rilievi svolti dalla Commissione. Quest'ultima
ha infatti sostenuto, da un lato, che l'atto controverso, a differenza degli atti atipici annullati in precedenza dalla
Corte, non è destinato a completare alcun altro atto normativo vincolante ed è anzi il frutto di un "aborto" di un
atto normativo (19); dall'altro, che lo stesso atto non è stato notificato agli Stati membri e non è ad essi
ufficialmente indirizzato.
Sul primo rilievo basti qui osservare che sarebbe assurdo anche solo immaginare che unicamente atti «atipici»
recanti modalità di applicazione o comunque destinati ad integrare altri atti di diritto derivato siano suscettibili di
annullamento e non anche atti «atipici» che traggano la loro forza vincolante direttamente dal Trattato. Quanto
alla non notifica agli Stati membri, se è ben vero che la stessa Corte ne ha evidenziato l'importanza nella
sentenza sulla «comunicazione aiuti» (20), è altresì vero che dalla stessa giurisprudenza, come ben dimostra il
caso delle «istruzioni interne», risulta che non si tratta affatto di un elemento decisivo (21).
22 Tutto ciò considerato, si deve constatare che la comunicazione sui fondi pensioni costituisce un atto che mira
a produrre effetti giuridici propri. Tale constatazione, tenuto conto di quanto già precisato in precedenza (22), è
sufficiente a far ritenere che la comunicazione deve essere annullata.
Senza che sia necessario soffermarsi ulteriormente sui mezzi dedotti dal governo francese, basti infatti qui
ricordare che essa non è stata adottata secondo la procedura richiesta dagli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato, su
cui era fondata la proposta di direttiva poi ritirata; ed è comunque priva di quelle forme essenziali da cui risulti in
modo chiaro ed inequivocabile che si tratta di un atto vincolante per i suoi destinatari.
23 Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco pertanto alla Corte di accogliere il ricorso e di
condannare la Commissione alle spese di procedura.
(1) - GU 1994, C 360, pag. 7.
(2) - GU 1991, C 312, pag. 3.
(3) - Una seconda proposta, modificata, è stata poi presentata al Consiglio il 26 maggio 1993 (GU 1993, C 171,
pag. 13). La modifica non è tuttavia sostanziale, atteso che la seconda proposta si limita a rendere esplicito, già
nel titolo, che essa riguarda unicamente gli enti di previdenza integrativa (complementare) e non anche gli enti
di previdenza sociale obbligatoria.
(4) - Sul punto, la Commissione ha sottolineato, nella stessa comunicazione, che la decisione di ritirare la
proposta di direttiva nasce dal suo rifiuto «di rendere il testo accettabile per la maggioranza degli Stati membri
apportandovi talune modifiche che avrebbero rischiato di snaturare completamente il senso della direttiva
compromettendone gli obiettivi, con la conseguenza di legittimare anziché rimuovere le barriere alla prestazione
dei servizi e alla libertà d'investimento» (punto 1.4.).
(5) - Regolamento del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento
(CEE) n. 1408/71 relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari
che si spostano all'interno della Comunità (GU L 74, pag. 1).
(6) - Il riferimento è alle seguenti direttive del Consiglio: direttiva 85/611/CEE, del 20 dicembre 1985,
concernente il coordinamento delle disposizioni legislative regolamentari ed amministrative in materia di taluni
organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (GU L 375, pag. 3); direttiva 89/646/CEE, del 15 dicembre
1989, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti
l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE (GU L 386,
pag. 1); direttiva 92/49/CEE, del 18 giugno 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative riguardanti l'assicurazione diretta diversa dall'assicurazione sulla vita e che modifica le direttive
73/239/CEE e 88/357/CEE (GU L 228, pag. 1); direttiva 92/96/CEE, del 10 novembre 1992, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l'assicurazione sulla vita e che modifica le
direttive 79/267/CEE e 90/619/CEE (GU L 360, pag. 1); direttiva 93/22/CEE, del 10 maggio 1993, relativa ai
servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari (GU L 141, pag. 27).
(7) - Più precisamente, come specificato nella stessa comunicazione, si tratta delle attività di cui al punto 12
dell'allegato della direttiva 89/646/CEE o al punto C.1 dell'allegato della direttiva 93/22/CEE.
(8) - Il corsivo è mio.
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(9) - Sentenza 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 263, punto 42).
(10) - Sentenza 9 ottobre 1990, causa C-366/88, Francia/Commissione (Racc. pag. I-3571, punto 8).
(11) - Sentenza 13 novembre 1991, causa C-303/90, Francia/Commissione (Racc. pag. I-5315, punto 8).
(12) - Sentenza 16 giugno 1993, causa C-325/91, Francia/Commissione (Racc. pag. I-3283, punto 9).
(13) - E ciò essenzialmente perché il tasso di congruenza, fissato al 60% per gli enti di previdenza, è invece
fissato all'80% relativamente al settore assicurativo.
(14) - Sentenza 16 giugno 1993 (citata alla nota 12), punto 26; il corsivo è mio.
(15) - L'esigenza di rispondere ad un tale quesito era dettata dalla convinzione che, se è ben vero che la scelta
della forma non può mutare la natura dell'atto, è altrettanto vero che l'assenza di taluni requisiti formali, in
particolare di quelle forme che consentono di identificarre un atto come vincolante, avrebbe come conseguenza
che, anche qualora un esame del suo contenuto ne rivelasse la vocazione a produrre effetti giuridici, essi
sarebbero in ogni caso inopponibili ai terzi. Si tratterebbe, in sostanza, di atti comunque privi di effetti giuridici
nei confronti degli amministrati e degli Stati membri; e ciò indipendentemente dal fatto che la Commissione sia
abilitata o meno, nel settore considerato, ad emanare atti vincolanti.
(16) - Al riguardo, è appena il caso di ricordare quanto affermato dalla stessa Corte nel sancire l'effetto diretto
dell'art. 52 del Trattato, e cioè che le direttive in questione «non hanno tuttavia perduto ogni interesse, in quanto
conservano un campo di applicazione importante nel settore delle misure dirette a favorire ed a facilitare
l'effettivo esercizio del diritto di libero stabilimento» (sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners, Racc. pag.
631, punto 29/31).
(17) - Oltre a quelle interpretative ed a quelle informative, queste ultime destinate in particolare ad alimentare il
dialogo tra istituzioni su temi e materie in cui si prefigura l'adozione di veri e propri atti normativi [v., ad
esempio, la comunicazione concernente la legislazione comunitaria sui prodotti alimentari (COM (85) 603 def.)
dell'8 novembre 1985], notevole rilievo rivestono le comunicazioni c.d. decisorie, relative a settori in cui la
Commissione dispone di un potere discrezionale. E' quanto avviene in materia di concorrenza: basti pensare, ad
esempio, alla comunicazione del 3 settembre 1986 relativa ad accordi di importanza minore che non sono
contemplati dall'art. 85, n. 1 (GU C 231, pag. 2), o anche alla comunicazione sulla valutazione delle imprese
comuni aventi natura di cooperazione ai sensi dell'art. 85 del Trattato CEE (GU C 43 del 16 febbraio 1993, pag.
2); nonché in materia di aiuti di Stato. Rispetto a quest'ultimo settore, ricordo, ad esempio, la comunicazione sul
metodo di applicazione dell'art. 92, n. 3, lett. a) e c), agli aiuti regionali (GU C 212 del 12 agosto 1988, pag. 3),
nonché la comunicazione sulla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato all'industria automobilistica (GU C 123
del 18 maggio 1989, pag. 3). Sul valore di tali comunicazioni v. sentenza 24 febbraio 1987, causa 310/85, Deufil
(Racc. pag. 901, punto 22), in cui la Corte ha affermato che la comunicazione contiene «regole indicative le quali
definiscono le linee di condotta che la Commissione intende seguire e che essa chiede agli Stati membri di
rispettare»; nonché la sentenza 16 giugno 1993, citata alla nota 12, in cui la Corte ha invece annullato la
comunicazione aiuti su cui si controverteva in quanto, lungi dal contenere regole meramente indicative, creava
nuovi obblighi a carico degli Stati membri e, per tale via, delle imprese interessate.
(18) - V., tra le altre, la comunicazione sulle conseguenze della sentenza emessa il 20 febbraio 1979 nella causa
120/78, «Cassis de Dijon» (GU C 256 del 3 ottobre 1980, pag. 2), e la comunicazione interpretativa concernente
la libera circolazione dei servizi (GU C 334 del 9 dicembre 1993, pag. 3).
(19) - Sul punto ricordo peraltro che anche le «istruzioni interne», pure dirette a completare un atto normativo di
diritto derivato, sono state adottate allorché una proposta di regolamento, avente un contenuto abbastanza
simile, era davanti al Consiglio.
(20) - Peraltro, in tale sentenza, la Corte, per confutare l'argomentazione della Commissione secondo cui la
comunicazione in questione sarebbe stata in realtà una circolare indirizzata ai suoi stessi servizi, ha evidenziato
che essa «è rivolta esplicitamente agli Stati membri ed è stata a questi notificata» (sentenza 16 giugno 1993,
citata alla nota 12, punto 29).
(21) - Ed infatti, è appena il caso di rilevarlo, le istruzioni interne non erano affatto (quantomeno non
apertamente) rivolte agli Stati membri, tantomeno erano state ad essi notificate.
(22) - In proposito v. supra, punti 12, 14 e 15.
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