Il_Capocomico
Transcript
Il_Capocomico
Il Capocomico – adattamento di “Il direttore del teatro” di Friedrich Dürrenmatt A Manuela, che ha ispirato questo delirio A dimostrazione della inesorabile immutabilità dei comportamenti umani e della grandezza di un autore che ha saputo ben descrivere queste dinamiche, ripropongo un racconto di Friedrich Dürrenmatt, ritoccato in pochissimi passaggi. Per il testo originale si veda “Il direttore del teatro” di Friedrich Dürrenmatt, in “Racconti” traduzione di Umberto Gandini, ed. Feltrinelli. Il capocomico L'uomo al quale la città doveva soccombere aveva già aperto un blog quando non gli facevamo ancora caso. Lo notammo solo quando cominciò a dare nell'occhio con un comportamento che ci parve ridicolo, tanto è vero che in quei tempi ci si burlava parecchio di lui: eppure, quando divenimmo attenti, era da un pezzo il più letto e cliccato dell’intera blogosfera. Non ridevamo di lui come si ride di persone buffe per ingenuità o arguzia, bensì come a volte si ride di cose sconce. Tuttavia è difficile dire cosa ci inducesse a ridere nei primi tempi della sua comparsa, tanto più che in seguito lo trattammo non solo con rispetto servile - e questo ci era ancora comprensibile, quale segno di timore - ma anche con franca ammirazione. Singolare era soprattutto il suo aspetto. Era riccioluto e con la barba ormai brizzolata. Un poco grassottello, tanto che emanava da lui un che di viscido. Si muoveva come un folletto, con saltelli rumorosi la cui velocità variava senza criterio. Aveva una voce acuta e stridula. Però è incerto quando presagimmo per la prima volta in lui la possibilità del male. Forse avvenne quando cominciò a dire Vaffanculo! a tutti. Forse: poiché occorre considerare che certi mutamenti che avvengono genericamente in campo estetico non sono messi ancora in relazione col male quando richiamano per la prima volta la nostra attenzione: pensavamo allora a una mancanza di gusto piuttosto, oppure ridevamo della sua supposta stupidità. Quei primi spettacoli a metà tra il comizio e lo sketch non avevano ancora, comunque, il significato di quelle che dovevano diventar famose in seguito, eppure contenevano già elementi rivelatori del suo piano. Singolare era, per esempio, una tendenza alla scurrilità che caratterizzava già in quel primo periodo i suoi show, e c'era già anche la banalizzazione delle soluzioni complesse che si è più tardi tanto accentuata. Non erano dettagli prevaricanti, eppure s'infittivano gli indizi di un preciso disegno, che noi intuivamo senza però poterlo valutare. Lo si poteva paragonare a un ragno che si accingesse a tessere una rete enorme, e che tuttavia, nel farlo, procedesse secondo un apparente disordine, ed era forse proprio questo disordine, a sua volta, che ci induceva a ridere di lui. Ovviamente col tempo ci fu chiaro che mirava a poco a poco impercettibilmente a emergere, e dopo la sua vittoria nella città del prosciutto se ne accorsero tutti. Abusando della Rete, cominciò ad ammaliare i suoi seguaci proprio dove nessuno sospettava l'esistenza d'un pericolo. Io comunque divenni consapevole di questo pericolo solo quando i mutamenti ebbero raggiunto un grado che tradì l'intento segreto del suo operato: come in una partita a scacchi, comprendemmo la mossa che ci annientò solo quando era già stata fatta,troppo tardi. Ci siamo poi chiesti spesso cosa induceva la gente ad accorrere ai suoi spettacoli. Dovemmo confessarci che era difficile dare risposta a questa domanda. Pensammo a un 1 Il Capocomico – adattamento di “Il direttore del teatro” di Friedrich Dürrenmatt istinto malefico che coarta gli uomini a cercare i propri carnefici, per abbandonarsi al loro arbitrio, perché con quei cambiamenti tendeva a minare la libertà facendola apparire impossibile, al punto che la sua oratoria costituiva un'aggressione sfrontata al senso stesso della ragionevolezza. Notevole era anche il modo in cui procedeva col linguaggio, del quale eliminava gli elementi che differenziano i diversi soggetti politici a lui avversi, fino a falsarne le proposte e a ridurle alla cadenza uniforme, snervante dello stantuffare dei pistoni. I suoi supporter replicavano a pappagallo ogni delirio del loro guru, agivano come marionette, ma la forza motrice che determinava il loro agire non si manteneva nell'ombra, era anzi essa stessa a mostrarsi più di ogni altra cosa, come una violenza insensata, tanto che pareva di avere davanti un meccanismo in cui si creasse una sostanza che doveva necessariamente distruggere il mondo. Occorre menzionare a questo punto anche il modo in cui utilizzava il web, che non gli serviva per diffondere le proprie idee e comunicare, bensì per rivelare le incongruenze degli altri, soprassedendo sulle proprie, e ciò gli valse la definizione di maestro della politica 2.0; mediante espedienti evitava di apparire in tv, ma riuscendo ad esserci comunque. Usava solo il blog e cacciava chiunque non accettasse i suoi dictat. L'effetto più diabolico consisteva però nel conferire impercettibilmente a ogni post un senso diverso, e le proposte cominciarono a confondersi fra di loro, nel senso che speculava su ogni tragedia, e diventava sempre più populista. Sentivamo parlare spesso, allora, anche delle proteste di quegli infelici che erano smaniosi di migliorare la loro sorte mediante il ricorso alla violenza verbale sui social network eppure erano sempre ancora pochi quelli che prestavano fede al sospetto che fosse da ricercare in lui l'origine propulsiva di quegli episodi. Di fatto tuttavia il blog gli servì, fin dall'inizio, solo come strumento per raggiungere quel potere che formalmente rifiutava. Ciò che ci impedì in quel periodo di comprendere meglio il senso di quegli avvenimenti fu la circostanza che cominciò a profilarsi in termini sempre più inquietanti, per chi avesse saputo vedere, e cioè la vicenda della vecchia classe politica. La sua sorte era singolarmente connessa con quella della città, e lui tentò di distruggerla. Quando tuttavia le sue intenzioni divennero evidenti, la sua posizione nella nostra città era così salda ormai che poté compiersi il destino crudele della vecchia classe politica, un destino che doveva risultare fatale a tutti e nemmeno coloro che avevano intuito la natura dell'opera di corruzione ebbero il potere d'impedirlo. Fu sconfitta perché disprezzava il potere impersonato dal Capocomico. Non aveva addosso tutta quell’attenzione prima che egli irrompesse sulla scena politica, tuttavia aveva una posizione incontestata, pur di minor rilevanza rispetto ad altri poteri, e poteva esercitare la propria attività senza quelle concessioni che altri, più ambiziosi e più importanti (il potere economico, l’informazione), dovevano fare al pubblico: ed è anche significativo che egli si sia servito di questa circostanza per distruggerli. Cioè sia riuscito a provocare la rovina di una classe politica approfittando di una sua virtù. La vecchia classe politica non si era sottomessa alle sue disposizioni. Non badava ai cambiamenti che avvenivano, tanto da distinguersi sempre di più dal paese reale. E fu proprio questa constatazione però a riempirmi di preoccupazione, perché saltava all'occhio che lui non faceva nulla per costringerla ad assoggettarsi alle sue disposizioni. Fu un piano suo. A quanto si diceva, in una sola circostanza, tra i primissimi post del suo blog, le aveva fatto un'osservazione sul suo essere “Casta”; non sono però mai riuscito a sapere qualcosa di 2 Il Capocomico – adattamento di “Il direttore del teatro” di Friedrich Dürrenmatt più preciso su questa disputa. Da quella volta comunque la lasciò in pace e furono altri a scriverne. Anzi lasciò che assumesse una posizione di sempre maggiore spicco, tanto che col tempo quella classe politica acquisì ruoli di sempre maggior rilievo nella società pur non essendo a volte all'altezza di questi compiti. Ci insospettì proprio questo suo modo di procedere, perché così la politica e la “gente” si contrapposero al punto da far apparire inevitabile uno scontro, tanto più pericoloso quanto più tardi si fosse verificato. C'erano anche chiari sintomi che la posizione della classe politica cominciava decisamente a cambiare. Se prima il suo modo di agire era stato acclamato dal pubblico e acriticamente lodato da tutti, cominciarono a questo punto a uscire libri di successo e trasmissioni televisive che tendevano a rimproverarla ed editoriali che l’accusavano di non essere all'altezza, e ad attribuire al popolo una rara pazienza (ed umanità) nel lasciarla ancora in quella posizione di preminenza. Poiché veniva attaccata proprio per il suo attenersi alle leggi della politica classica, a difenderla furono coloro che avevano capito i suoi veri difetti, una sciagurata lotta che purtroppo la rafforzò nella decisione di non allontanarsi spontaneamente dalla scena politica: in questo modo, forse, i singoli avrebbero ancora potuto salvarsi anche se non così per la nostra città. Il colpo di grazia fu dato dal fenomeno penoso per i politici, che si verificò nel pubblico; cominciò a ridere di lei, da principio con discrezione, poi apertamente, anche durante le conferenze stampa; un effetto che lui naturalmente aveva esattamente calcolato e cercava di accentuare sempre di più. Noi eravamo costernati e impotenti. Non avevamo previsto l'impiego dell'arma crudele della comicità involontaria. Anche se continuavano a fare politica, era comunque certo che se ne accorgevano, come del resto, suppongo, furono prima di noi consapevoli dell'ineluttabilità della loro rovina. In quell'epoca fu portata a termine una riforma istituzionale di cui s'era già a lungo parlato nella nostra città, attesa da tutti con grande curiosità: la cosiddetta e-democracy. E vero, molti hanno già discusso su questa innovazione, tuttavia a questo punto, prima di prendere posizione anch'io, debbo far notare che ancora oggi non saprei spiegare come ci si è arrivati se non fosse emerso un sospetto che non mi sento di accantonare. Allora però non potevamo ancora prestar fede alla diceria che metteva l’e-democracy in relazione con quei consulenti senza scrupoli per l’immagine web, che da sempre miravano solo ad aumentare senza limiti le loro ricchezze, cogliendo le opportunità offerte dal mercato (si misero perfino a vendere i Kindle dal blog del Capocomico!); mercato contro il quale erano dirette le sollevazioni, da lui, a sua volta, fomentate. Comunque sia, l’e-democracy, che oggi si vorrebbe accantonare, equivaleva a una bestemmia. Sarebbe tuttavia difficile parlare di questa innovazione, mostruosa mescolanza di forme e stili, senza riconoscerle una certa grandiosità. Il principio ispiratore era in teoria condivisibile, ma il risultato era il caos, anzi il governo di Uno Solo, il Webmaster. E tutto questo ci era prospettato con evidenza e impudicizia smodate, senza abbellimento alcuno, con siti internet spesso d'una grandezza smisurata, e poi però anche brutti come cancelli di prigione. Il portale pareva realizzato da goffe mani di nerds, blocchi di App senza senso cui erano affidate pesanti funzioni senza scopo, eppure questa era solo apparenza, perché tutto in quei portali per la Democrazia a 5 Stelle era calcolato in funzione di effetti precisi, che miravano a violentare l'individuo e ad assoggettarlo alla legge del mero arbitrio: giudici popolari estratti a sorte per processare la Casta, 3 Il Capocomico – adattamento di “Il direttore del teatro” di Friedrich Dürrenmatt obbligo dell’uso della Rete per qualsiasi attività pubblica (telelavoro, tele apprendimento, telesoccorso…). Così, per esempio, in contrasto con quei siti così sofisticati, c'erano singole proposte che erano state artigianalmente elaborate con una minuzia tale che si vantava la loro precisione al decimillesimo di millimetro. Ancora più spaventoso era il funzionamento della vita pubblica. Si rifaceva alla polis greca, però la sua forma diventava poi insensata a causa della sovrastruttura tecnologica, tanto che non pareva d'accostarsi alla Democrazia, ma ad una convention allo Yerba Buena Center di San Francisco. E si giunse così alla catastrofe. Attendemmo in quella circostanza la conferenza in preda a una muta tensione. Stavamo seduti ognuno connesso da casa, pallidi, e fissavamo lo schermo da cui avrebbero parlato i politici che si sarebbero confrontati alle successive elezioni, schermo su cui era raffigurato il Tricolore con al centro una “@” sovrastata da cinque stelle, come una farsa irridente voluta dal Capocomico: e accettammo anche questo, non come un sacrilegio, ma come arte. Poi cominciò la conferenza. Più tardi si sostenne che quel rivolgimento era stato opera di forze scatenate dalla strada, però in quella circostanza erano seduti in sala proprio quei signori della nostra città i quali più degli altri si vantavano della loro intelligenza e della loro cultura (editorialisti, conduttori tv, blogstar), applaudivano nel Capocomico il più grande artista e rivoluzionario mai apparso sulla scena politica, trovavano spiritoso il suo cinismo e non capivano quanto presto quell'individuo si sarebbe apprestato a irrompere fuori dall'ambito artistico che ammiravano in lui, verso settori del tutto estranei allo spettacolo; si aggiunga che, in occasione dell'apertura del nuovo portale, prima ancora dell'inizio della rappresentazione, gli fu anche consegnato dal Capo dello Stato, fra le vibranti acclamazioni della festosa assemblea, il premio de Toqueville. Non ricordo più quale dovesse essere il tema della conferenza, il federalismo o il finanziamento ai partiti, tuttavia, appena si levò il sipario con il Tricolore, ci apparve qualcosa che vanificò la domanda prima ancora di esser formulata: quel che avvenne a questo punto sotto i nostri occhi, interrotto spesso dall'applauso entusiasta del governo, della buona società e dell'élite universitaria non aveva più nulla in comune con la politica come l’avevamo conosciuta fin lì. Una violenza terribile si servì dei presenti come di un vortice che travolge alberi e case per poi abbandonarli sul terreno. Le voci non avevano suono umano, sembrava che a parlare fossero delle ombre, e poi però, repentinamente e senza un momento di raccordo, il tono saliva fino ad assomigliare ai tamburi scatenati di tribù selvagge. Questo accadeva perché noi stavamo seduti davanti allo schermo non come esseri umani, ma come dei. Potevamo digitare ogni nostro commento, esprimere virtualmente le nostre emozioni. Comparivano in tempo reale sullo schermo e i Comici, gli adepti del Capocomico, le facevano proprie. Ci beavamo d'una tragedia che era in realtà la nostra. Poi però apparvero i politici, e non li vidi mai tanto sprovveduti, e nemmeno così puri come in quegli attimi che precedettero la loro caduta. Se sul momento il pubblico da casa e in sala proruppe in una risata quando apparvero sullo schermo - il loro ingresso era stato tanto accuratamente calcolato da dover provocare l'effetto d'una battuta oscena -, ben presto la risata si tramutò in furore. La vecchia classe politica apparve come uno scellerato con la presunzione di contrapporsi a un potere che tutto stritola, sì, ma perdona anche ogni peccato e solleva da ogni 4 Il Capocomico – adattamento di “Il direttore del teatro” di Friedrich Dürrenmatt responsabilità, e compresi che questa era la vera ragione con cui la folla era stata indotta a vivere perennemente connessa, rinunciare alla libertà e ad arrendersi al male, perché colpa ed espiazione esistono soltanto nella libertà. Cominciò a parlare, e la sua voce fu per loro come un oltraggio alle leggi crudeli in cui l'uomo crede quando vuole elevarsi al rango d'un dio, abrogando il bene e il male. Capii l'intenzione del Capocomico e seppi a quel punto che si era prefisso di eliminare non i politici, ma la Politica, davanti agli occhi di tutti e coll'approvazione di tutti. Il suo piano era perfetto. Aveva spalancato un abisso, e la folla vi si precipitò, avida di sangue, per invocare sempre nuovi delitti, poiché solo in tal modo si perviene a quello stato di sconsiderato delirio che consente di non perdersi nel torpore d'una sconfinata disperazione. La Politica stava come una criminale in mezzo a individui che si mutavano in belve. Vidi che esistono momenti spaventosi in cui avviene un rivolgimento mortale per effetto del quale l'innocente deve apparire colpevole alla folla. E così la nostra città fu pronta a prendere parte al delitto che equivaleva all'incontenibile trionfo del male. Dal soffitto calò un megaschermo e a casa si aggrapparono ansiosi al mouse. I politici furono tratti in arresto e appena questo avvenne, il pubblico esplose in applausi e acclamazioni senza fine. Quando poi le catene cinsero i politici, sollevandoli un poco da terra, gli spettatori si rotolarono dal ridere. Il Capocomico a questo punto chiese “Popolo della Rete, votiamo! Grande Infrastruttura Ferroviaria” e tutti da casa cliccarono la risposta e poco dopo – in tempo reale – questa apparve sul megaschermo a caratteri cubitali “NON MI PIACE!”. “Termovalorizzatore”, “NON MI PIACE!”. “Cura Di Bella contro il cancro”, “MI PIACE!”. “Prevenire i terremoti”, “MI PIACE!”. “Cittadinanza a chiunque nasca in Italia”, “NON MI PIACE!”. Le domande e le risposte si susseguivano ad una velocità alienante, tutti da casa votavano cliccando come ossessi. Andammo avanti per minuti che mi apparvero interminabili, fino a quando il Capocomico non fece la Domanda che a quel punto ognuno si era già fatto da sé: “Una città senza politici”. La risposta si trasmise con la velocità del pensiero e s'intensificò all'infinito, continuamente ripreso e passato di tastiera in tastiera, finché fu un grido solo: mi piace! e fra il clamore della folla furono portati via in ceppi. E come la gente si precipitò fuori dalle proprie case, ammassandosi, calpestandosi, a lunghe catene agitate per le strade contorte, io mi disconnessi dal portale che continuava a trasmettere quelle immagini, lasciai la città in cui sfavillavano già le vivide bandiere della rivoluzione e dove le persone si avventavano l'una sull'altra come bestie, attorniate dai "suoi" scherani e, al delinearsi del nuovo giorno, schiacciate dal "suo" ordine. 5