introduzione - Le Reviviscenze di Andrea Romanazzi

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introduzione - Le Reviviscenze di Andrea Romanazzi
INTRODUZIONE
Mal d’Africa, temibile malattia che compisce tutti coloro che passano un certo periodo di
tempo in uno dei più affascinante e, allo stesso tempo drammatico, continente della nostra
cara Terra. Un continente di contraddizioni, di povertà assoluta e allo stesso modo di
individui che ancora oggi “vivono”la divinità come difficilmente accade in altri luoghi.
Per il viaggiatore l’Africa strega il cuore e l’animo, fa sentire quelle antiche vibrazioni,
quei fremiti del divino oggi persi dalla maggior parte di noi.
Mal d’Africa dunque, che t porta e riporta a tornare. Da qui l’esigenza del tutto personale
di studiare quello di cui mi occupo da svariati saggi, le tradizioni pagane e la stregoneria
in questo affascinante continente.
L’operazione non è agevole, la lontananza, per quanto minimizzata dalla mia cara Puglia
che estende le propaggini dell’Italia verso tale terra è solo una delle difficoltà.
Se non altro per una città che per circa tre decenni, nel IX secolo d.C., è stata
sede di un Emirato berbero. Ovviamente parliamo di Bari e del legame di
parentela che collega i vicoli tortuosi del suo centro storico a quelli dei suq
delle città di cultura araba
Si aggiunge poi la difficoltà di definire cosa significa realmente “stregoneria” in Africa,
termine che racchiude spesso pratiche e credenze tra loro eterogenee benché legate al
mondo del numinoso.
Il continente africano poi, pur nella sua compattezza geografica, è in realtà separato da
barriere naturali, una tra tutte il deserto del Sahara. Il suo nome, ”Sah’ra” lo troviamo per
la prima volta nei testi del geografo arabo Ibn-el-Hakem, e significa “vuoto”.
Quest’area in realtà interessa ben undici stati Egitto, Tunisia, Libia, Marocco, Algeria,
Mauritania, Mali, Ciad, e Sudan.
Il paesaggio di tali aree è fortemente differente, allo stesso modo in cui variano tradizioni,
conoscenze e culture dei popoli che lo dimorano. Si passa dal Serir, il deserto costituito da
pietraglie e ciotoli,
alll’Hammada, il deserto roccioso, costituito dalle antiche lave
eruttate, e il più conosciuto deserto sabbioso o Erg.
E’ questo temibile deserto, con la sua torrida sabbia, vedremo dimora di djinn e antiche
entità, che ragionevolmente la suddivide in africa a Nord e Sud del Sahara.
E’ questa suddivisione, in qualche modo legata ad una “ecologia sociale” che abbiamo
voluto utilizzare come itinerario di ricerca del nostro studio.
Anche queste due aree però non possono esser considerate omogenee, vi sono cacciatori
ed agricoltori, popolazioni di bassa ed alta statura, dai colori della pelle differenti, dalle
culture differenti, soprattutto dai linguaggi eterogenei, che rende sicuramente difficile uno
studio globale dell’area.
Un’altra difficoltà per colui che si avvicina allo studio della stregoneria e magia africana è
la mancanza di una vera e propria Letteratura. Avendo studiato in più saggi la stregoneria
italiana, ho avuto la possibilità di intervistare direttamente le magare che ancora dimorano
nel Belpaese, ma ho avuto anche la possibilità di consultare vecchie ricerche etnoantropologiche svolte da curiosi studiosi autoctoni che già nell’800 erano attenti alle
proprie tradizioni.
In Africa invece esistono in genere solo tradizioni orali o al massimo studi di stranieri che,
come ben posiamo immaginare, possono non aver interpretato bene i rituali descritti o li
possono aver studiati con superficialità relegandoli nell’ambito della superstizione. Super
Est, sopravvive.
Detto questo, quello che a noi preme investigare non è la magia dei “colonizzatori”, ma
l’antica magia naturale, quella che deriva e nasce da popoli che da sempre hanno vissuto
nella Natura, non come “oggetto” nel suo interno, ma quale intimo componente del
mondo che lo circonda e di cui fa parte integrante.
5. La stregoneria nel’Africa nord Sahariana
Con il termine “Nord sahariana” indicheremo un’area geografica ben più estesa di quella
che normalmente si intende, dalla Mauritania all’Egitto. Questa fascia che potremmo
definire sahariana, è infatti fortemente accomunata da popolazioni con etnie e gruppi in
comune anche e soprattutto nelle tradizioni magiche.
Una di queste popolazioni è quella dei Tuareg, una popolazione africana nomade che
abita l’area del continente che va dal Mali alla Tunisia. Il nome, di origine araba, è in
realtà postumo, si preferiscono chiamare Kel tamahaq, cioè coloro che parlano la lingua
tamahaq.
Se la religione ufficiale è quella islamica, in realtà, come ho potuto esser testimone
direttamente dai miei viaggi, essa è permeata dagli antichi residui dei culti animisti. Tutto
questo traspare dai miti e dalle usanze di ogni giorno.
Non si hanno notizie molto precise riguardo l’origine di tale popolo, e i miti di
fondazione variano spesso da clan a clan. In tutti i casi, comunque, progenitore della
“famiglia” o clan è una donna, e da questa credenza che trarrebbe origine la tradizione
matrilineare del clan ma non patriarcale. Le donne inoltre possiedono numerosi privilegi,
girano con il volto scoperto e sono le depositarie della cultura, in particolare della scrittura
e dell’educazione ed istruzione dei figli.
Una delle tradizioni più famose è quella di Tin Hinan la capostipite dei tuareg del Nord o
Kel Ahaggar, letteralmente “Quella delle Tende". Tin Hinan sarebbe stata una nobile
donna musulmana, origine che già però ci fa intravedere un rimareggiamento del mito
secondo la religione dominante, che, giunta nella regione dell'Ahaggar dal Marocco,
incontrò un popolo primitivo ed ancora idolatra, quello dei Isebeten, i predecessori,
appunto, dei Tuareg. Partendo da questa base comune, ci sono numerose varianti del mito.
La donna, insieme alla sua ancella Takama, avrebbe generato i clan “nobili”, come i Kel
Ghela, il gruppo più nobile discendente direttamente da Kella, figlia o nipote di Tin
Hinan, che avrebbe sposato l’arabo Sidi ag Mohammed Elkhir.
Al di là della trasformazione del mito avvenuta in funzione dell’Islam, elementi
importanti da sottolineare sono la figura femminile, che riporta ai culti matriarcali e
patrilineari dei culti pagani e il tema della tenda.
La donna diviene metaforicamente tenda del clan, colei che “contiene” la tribù. A questo
proposito sembra utile soffermarsi sulla tradizione magica della tenda e del chiodo,
espressione, della sacra unione del femminile e del maschile che assicura, con la sua
androginia sacra, la salvezza del clan. Era infatti il chiodo infisso nel suolo sacro e la
tenda a garantire la stabilità della nomade dimora. I primi chiodi-amuleti li ritroviamo in
Egitto e a Caldea, realizzati in terracotta al fine di essere collocati nei muri o nelle
fondamenta di un edificio per proteggerlo, successivamente il chiodo fu ampiamente
utilizzato dagli Etruschi, i quali lo adoperavano contro i geni malvagi, come
testimonierebbero i chiodi infissi negli insediamenti etruschi di Bolsena e, in particolare,
nel tempio della dea Noria o in quello di Fortuna ad Anzio.
Tornando ai Tuareg, essi divennero a breve i dominatori delle lande sahariane, vivendo di
commerci ed allevamento di dromedari. I Tuareg mantengono molti aspetti linguistici e
culturali originari delle popolazioni berbere che popolano il Nordafrica dalla notte dei
tempi. Hanno inoltre mantenuto l'uso della scrittura tradizionale tifinagh, che discende da
quella delle antiche iscrizioni libiche.
La popolazione però autoctona
più antica è però senza altro quella dei Berberi o
Imazighen, "uomini liberi".Il termine berbero deriverebbe dal francese berbère, che
probabilmente deriva dalla parola greco-romana barbaro. Essi sono anche il ceppo più
diffuso in Algeria, Marocco e Tunisia, ma sono presenti anche in Libia e in Egitto.
Possiamo definirli la popolazione autoctona più antica del Nord Africa anche grazie ai
ritrovamenti archeologici risalenti al I 20000 a.C. che riportano alla fisionomia berbera.
Furono successivamente noti con il nome di ṯḥnw, popolazione retta dal famoso "Re
Scorpione" intorno al 3000 a.C., dagli egizi, e successivamente si espansero anche nelle
dinastie imperiali faraoniche intorno al 1000 a.C. Successivamente Erodoto parla del fiero
popolo dei Libi, dei i Numidi abitanti dell’Algeria, e i Mauri abitanti dell’area dell’attuale
Marocco. E’ solo intorno al III secolo a.C. che si cominciano ad avere notizie di Stati
berberi, come i regni di Numidia e di Mauretania. Con l’avvento della dominazione
romana la cultura berbera entrò in contatto con le tradizioni romane e con il cristianesimo
primitivo dando vita anche a santi cristiani come San Vittore o Santa Monica.
Successivamente subirono le invasioni dei barbari di Genserico e degli arabi.
Una caratteristica fisica che sembra caratterizzare i Berberi fin 1200 a.C. è la tra le
popolazioni berbere fosse depigmentazione, che ritroviamo anche nelle pitture rupestri del
Tassili, spesso interpretate come prova della venuta degli extraterrestri sulla terra.
Ecco così che in particolare berberi dell' Atlante in Marocco hanno occhi azzurri e capelli
rossi. A causa di questa differenza di carnagione con altre popolazioni africane essi
vengono associati agli arbabi che, in realtà, come abbiamo visto, ebbero contatti con tale
popolo solo nel recente passato. Ciò nonostante i governi dei paesi del Nordafrica, li
descrivono come arabi e la lingua berbera non è riconosciuta nella costituzione di quasi
nessun paese del Maghreb.
5.1 Lo stregone nord-sahariano: Marabutto e Guaritore
Nell’area nord sahariana, quella più direttamente influenzata dalle tradizioni arabe, lo
stregone assume aspetti fortemente differenti. La figura più importante è quella del
Marabutto o Wali, il vero e proprio intermediario tra gli dei e l’uomo. Una volta defunto
egli viene seppellito in un santuario di forma cubica detto Kubba ed è qui che si recano i
pellegrini alla ricerca della guarigione.
La figura del Marabutto non è dissimile a quella del nostro Santo, tanto è vero che
effettivamente queste figure trovano riscontro sacro nella religione Islamica che li
definisce proprio come tali.
La santità nella cultura islamica è in realtà poco conosciuta qui in Occidente.
Etimologicamente la radice araba per “Santo” è ‫( س د ق‬QDS), che però è legata
unicamente a Dio.
“Egli è Dio, oltre a lui non c’è nessun altro, è il Sovrano, il Santo, la (sorgente della)
pace” (Corano 59, 23; 62,1).
La santità umana, invece è legata alla parola wali, cioè “benefattore, protettore”. Come
nel caso del Cristianesimo, il santo diviene intermediario tra dio e l’uomo, espressione di
un pantheon pagano naturale mai dimenticato dal gentile.
Oltre questi troviamo poi i buhala o "folli" la cui vicinanza a dio li a resi pazzi, ancora i i
nujaba, o saggi, coloro la cui intelligenza è completa, e infine i awtad .
Non esiste un riconoscimento ufficiale dei santi islamici ma nella tradizione popolare
forte è il culto di questi uomini.
La letteratura agiografica divide i santi in due categorie, quelli che acquistano fama da
miracoli compiuti attraverso la forza magica donata loro da Dio, la Baraqa, oppure coloro
che hanno discendenze “nobiliari”.
Spesso sono discendenti diretti di Muhammad, di uomini sacri per clan o tribù o di
maestri spirituali.
Così per gli sciiti i santi più venerati sono Alì e i suoi due figli Husayn e Hasan. Altro
importante santo della città di Touba in Senegal è Ahmad Bamba, fondatore del
Moloudismo.
Questi uomini sacri vengono così sepolti in mausolei che rendono sacra la città. In realtà
già in passato questi siti erano sacri, legati ad antichi culti di fonti o alberi. Come è
avvenuto in Europa con il Cristianesimo, anche kl’Islam ha cercato di contenere i culti
pagani assorbendoli attraverso operazioni di sincretismo religioso. Questi luoghi sacri
vengono denominati khalua e corrispondono normalmente al luogo ove il Santo si era
ritirato durante la sua vita per pregare. E’ qui che dunque si recando i pellegrini per
chiedere grazie attraverso sacrifici di animali che agirebbero come transfert del male o
per trovare protezione dai ginn. All'interno di tali santuari è sempre presente un fornelletto
detto kanun per le sacre fumigazioni tra cui quella di bkhur1 una mescola composta da
sette elementi: chebba (allume), jaui (benzoino), luhan (incenso), kesbur (coriandolo), ud
el qomari (aloè), amhar (ambra) e kafor ( canfora).
Ecco così che importante ruolo hanno i santi dell’Islam popolare come ad esempio Sidi
Abdelqader Dilani, protettore dei poveri e dei viandanti. La tomba si trova a Bagdad, e
noto soprattutto in Magreb.
Sidi Muhammad ben Aissa è il patrono della bellissima città di Issawa che, come ho
potuto appurare direttamente, è fortemente legata al questo Marabutto che assicurava il
denaro ai poveri. Tra le tante leggende sul suo conto si narra quella di un povero che, gli
chiese del pane ma il santo, non avendo nulla da dargli, gli disse che avrebbe potuto
magiare qualunque prima cosa che gli sarebbe capitata tra le mani senza danno. L’uomo
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M. Akhmisse, Midicina, Magia e Mistero in Marocco, MIR, 2003
trovò una vipera e se ne cibò subito senza conseguenze e la tradizione vuole che ancora
oggi gli abitanti di issawa possano magiare vipere e scorpioni senza pericolo.
Un altro importante santo come riferito dallo scrittore Akhmisse2 è Sidi Ali Bukhlef di
Fèz, moltissimi sono i pellegrini che passano intere notti presso il suo mausoleo in attesa
di avere la visione del
santo vestito di un barracano rosso che ne garantirebbe la
guarigione.
Ancora a Fèz troviamo la sepoltura di Sidi Ahmed el Bernussi, a cui i pazienti affetti da
malattie incurabili vanno ad accendere delle candele o ad appendervi dei pezzetti di stoffa
dai colori vìvaci3. Sempre nell’area di Fèz è sepolto Mulay Hushta, il "santo folle" che
salvò la tribù di Fishtala dalla siccità e quindi dispensatore di pioggia nonché protettore
della musica e dei canti. Tutti coloro che vogliano addentrarsi nelle arti musicali passano
qualche notte tra le mura del mausoleo ove è sepolto per ottenere la sua benedizione.
Se Fèz è un centro sacro importante, non può essere paragonato alla bellissima Marrakesh.
Qui troviamo sepolti i famosi Sette Santi di Marrakesh, detti i Sabaatu Rijal, soggetti di un
pellegrinaggio per i mausolei che porta i credenti a trascorrere il venerdì sulla tomba di
Oidi ben Sliman, il sabato a Sidi Abdelaziz, la domenica a Sidi el Ghezuani, il lunedì a
Sidi Essoheyli, il martedì a Sidi Yussef ben Ali, il mercoledì a Sidi el Ayad e il giovedì a
Sidi bel Abbès4. I pellegrini strofinano sulla parte del corpo malata un po' di terra e
depongono come offerta del denaro in un tronco vicino.
A Marrakesh troviamo anche sante femminili come Lalla Zohra ben el Kush. Figlia di un
importante capo religioso, doveva il suo potere alla figlia che aveva il dono di essere
sparviero di notte e donna di giorno. La tomba della santa presenta una fortissima
affluenza di donne che vengono a implorarla per diventare feconde.
Sempre a Marrakesh troviamo I Rabbì Cohen,
santi ebrei ai quali i fedeli sterili
sacrificano animali quali montoni o galli nelle vasche sacre ove poi vi immergono con i
piedi coperti di pasta dì farina. Saranno fertili solo se le tartarughe presenti in tali vasche
si avvicineranno per mangiare la pasta.
Ancora tra i più annoverati troviamo Sidi Abdesslam al Asmar la cui tomba si trova in una
moschea a Zliten ed è importante luogo di pellegrinaggio del paese. Ancora Sidi Mansur,
Sidi Amur, Sidi Abdessalam, Sidi Mussa e Baba Tungari.
Oltre ai santi, proprio come avviene in Europa ed in Italia, esiste la figura del fattucchiero/
guaritore, non dissimile da quello che ritroviamo nell’Italia meridionale.
Il guaritore o fkih, è legato ad uno spirito guida che gli dona appunto i poteri.
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M. Akhmisse, Midicina, Magia e Mistero in Marocco, MIR, 2003
M. Akhmisse, Midicina, Magia e Mistero in Marocco, MIR, 2003
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M. Akhmisse, Midicina, Magia e Mistero in Marocco, MIR, 2003
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Per ottenere tale legame l’uomo deve isolarsi dal resto del mondo per 101 giorni e cibarsi
solo di datteri, pane d’orzo e latte. L’ultimo giorno di ritiro si guarderà allo specchio
illuminata dalla fioca luce di una candela e lì vedrà l’immagine del suo khdim. I guaritori
sono diffusissimi in tutto il Marocco, si trovano soprattutto nella famosa piazza di Djemaa
el- Fna a Marrakesh. Fondamentalmente questi si occupano di confezionare talismani
amorosi per donne e difficilmente si lasciano avvicinar5e da uomini, tanto che, per poter
fare domande e far confezionare dei talismani, ho dovuto mandare in avanscoperta il
gentil sesso.
Ecco così che tra i vari talismani e pergamene, troviamo ad esempio la ricetta della “pasta
dell’infedeltà”. E’ appunto della massa impastata con acqua di sette pozzi e lasciata
riposare per altri sette giorni in un cimitero. Posta sul tragitto della coppia assicurerebbe la
separazione. Ci sono però rimedi non solo per separare ma anche per assicurarsi la fedeltà
del marito. La sposa mette due aghi, uno a nord e uno a sud della camera da letto ed infila
la punta di uno degli aghi, spalmato con la stessa pasta suddetta, nella cruna dell'altro,
pronunciando queste parole “Come questo ago può uscire o entrare nella cruna solo se lo
voglio io, voglio che il tale diventi impotente”.
In altri casi i fkih guariscono anche da possessioni demoniache dei ginn. Si tratta di veri e
propri rituali di esorcismo che vedremo in seguito. I guaritore, con un corano, un
copricapo fez in lana bianca e un coltello senza manico, accolgono il malato in una stanza
addobbata per l’occasione. Normalmente è presente un tessuto bianco sul quale è
disegnata una stella a cinque punte nella quale si trovano scritte le lettere alif, sad, mim e
dal6. Con il pugnale, in un rituale che ricorda molto da vicino quelli europei di magia
cerimoniale, traccia un gran cerchio all’interno del quale egli sarà protetto da questi
demoni. Dopo una lunga meditazione e preghiera ecco il rituale. E’ straordinariamente
simile a quelli presenti nella stregoneria italiana e che ho descritto precisamente nel mio
precedente lavoro La Stregoneria in Italia. Il sistema è quello di prendere un recipiente,
sotterrato per sette giorni nella terra vicina ad un mausoleo di un marabutto, colmo
d’acqua, versarvi alcune gocce d’olio e verificarne la dispersione nel liquido. Tali gocce
vengono fatte cadere dal mignolo del malato precedentemente immerso nel sacro olio
conservato per sette giorni presso un sacro mausoleo. Ovviamente gli elementi utilizzati
devono avere caratteristiche specifiche proprio come accadeva in Italia ove l’acqua era
rigorosamente di fonte, mentre l’olio doveva provenire da una lampada sacra o da un
lumino a stoppino acceso.
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M. Akhmisse, Midicina, Magia e Mistero in Marocco, MIR, 2003
M. Akhmisse, Midicina, Magia e Mistero in Marocco, MIR, 2003
E’ una incredibile similitudine che non posso attribuire a coincidenza. Le influenze araba
sono state molto forti nell’Italia meridionale ma non saprei dire chi fu ad influenzare per
primo gli altri.
Altro interessante metodo di guarigione praticato è l’incantesimo attraverso lo zafferano.
Il termine che deriva dall'arabo za farān e che significa giallo. Nei souk e nei mercati di
spezie è presente ogni dove, tipica della cucina nord africana, anche a causa delle sue virtù
afrodisiache anche a causa del suo sbocciare primaverile e quindi simbolo di rinascita, già
note e descritte ad esempio da Plinio, come la capacità di d’incrementare l’attività
sessuale dei maschi e accrescere il desiderio delle donne. Questa pianta è molto usata
nella magia araba e, quindi, mutuata in molti paesi del nord Africa come il Marocco o
l’Egitto.
Viene fatta bollire acqua e zafferano, successivamente questo liquido giallo veniva
utilizzato per delle abluzioni della parte malata. Il male passava così nello zafferano che
concentra in sé il potere della Terra e da questo nell’acqua che poi veniva “consegnata”
alla Terra nuovamente versandola eliminando in tal modo la malattia.
Per concludere la carrellata su questi soggetti magici, non possiamo escludere la figura
della levatrice o mammana. Le kabla, questo il nome arabo, sono le vere e proprie
ostetriche del popolo, coloro che assistono alla partoriente negli istanti prossimi alla
nascita.
La loro attività è al limite tra l’ostetricia e la magia, ricordandoci ancora una volta
pratiche del tutto simili a quelle presenti nella stregoneria italiana. Soprattutto in aree
purtroppo degradate come quelle africane, la nascita di un nuovo nato è vista con
particolare entusiasmo. Infatti sebbene un’abbondante figliolanza rendesse necessari
moltissimi sforzi per il suo mantenimento, il nuovo arrivato sarebbe stato d’aiuto ai
genitori nel momento della loro vecchiaia e per questo era considerato simbolo della
grazia divina che dona all’uomo la felicità di una nuova vita. L’evento però nascondeva
molte insidie fin dal concepimento, da qui la proliferazione di rituali magico-apotropaici
per allontanare ogni maleficio. La gravidanza era del resto considerato uno dei momenti
in cui la donna era particolarmente predisposta, ma anche esposta, alla magia.
Ecco così che viene ad esempio appeso sull’uscio la testa di un gallo per evitare l’ingresso
dei ginn. Ancora una volta è straordinaria la coincidenza protettiva dell’animale che
ritroviamo nella tradizione italica ove le levatrici riportavano in vita i bimbi nati morti in
vita uccidendo un gallo e ponendo il suo becco nell’ano del neonato7.
Per proteggerlo poi dai successivi malefici ecco che nella culla o sulla porta della stanza la
kabla poneva un coltello la tradizione del “coltello della strega”, una difesa per le
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A. Romanazzi, La stregoneria in Italia, Venexia Editrice
puerpere che rischiavano di cader vittime di malefici, in modo che la strega che avesse
tentato di entrare sarebbe rimasta infilzata dalla terribile lama.
5.2 Il linguaggio delle divinità: Musica e vibrazione
Descritte, seppur sommariamente, le figure magiche che andremo ad incontrare in questo
nostro viaggio nella stregoneria del nord africa, non possiamo non occuparci subito della
musica e della danza.
Parlando ancora di similitudini, ecco che troviamo in africa dei rituali di possessione
molto simili a quelli del Tarantismo dell’Italia Meridionale le cui origini sono proprio
mediorientali come ho ben descritto nel mio lavoro Il Ritorno del Dio che Balla.
Come abbiamo già detto la magia nasce come arte “imitativa” della natura, volontà
dell’uomo di “imbrigliare e possedere” parte di quella energia del divino e del mana che
pervade tutte le cose.
E’ espressione di quell’incantesimo naturale che circonda l’uomo e in cui luce, musica,
colori e profumi diventano ingredienti indispensabili per provocare e acutizzare
sensazioni e desideri che vengono poi plasmati dall’uomo in bracciali, collane, danze,
anelli.
Tutto quello che egli crea e che adopera ha una origine magica.
Forse una prima espressione magica e la ripetizione del suono naturale, l’imitare il fruscio
del vento per generalo, il rumore della pioggia scrosciante per propiziarla, o ancora il
verso dell’animale per acquisirne le sue capacità.
Magia dunque come musica, come ritroveremo nelle danze e nei canti sacri, espressione
umana dei suoni naturali che attraversano i deserti e le savane, ma magia anche come arte,
raffigurazione di scenari ed azioni che non hanno altra funzione che riproporre il potente
incanto naturale.
Combarieux afferma che è nella musica l’origine della magia e non di meno è nella
vibrazione che è racchiusa l’intima essenza della magia in ogni sua forma, tradizione e
cultura.
In realtà non è facile capire cosa sia nato effettivamente prima, se il suono naturale abbia
generato l’azione, se sia stato il crepitio del fuoco a divenire incantesimo per allontanare
gli animali, o l’azione di accensione a generare la vibrazione magica.
In Africa non esiste espressione magica senza canto o musica, e da qui gli strumenti
musicali che divengono potenti attrezzi sacri.
Questi non sono oggetti comuni ma sono forgiati dalle potenze naturali alle quali l’antico
si ispira e dalle quali provengono quelle vibrazioni magiche cha rendono sacro il suono
mutandolo in vibrazione mistica.
Sono così spesso realizzati con zucche, corna, pelli, conchiglie e che si trasformano così
in “strumenti ritmici”, quali sonagli, pendagli, bracciali, conchiglie, fino alle ossa degli
animali, tutto ha una origine rituale. Essa è imitazione naturale ma anche idea-azione il
cui unico centrum è l’uomo, il magister e il mago esso stesso espressione del divino.
Tra gli strumenti magico coereutici troviamo il sonaglio il cui movimento vibratorio
esprime la pulsazione ritmica della natura richiamando, quasi come un richiamo naturale,
spiriti ed animali alleati, antenati e antiche divinità.
Esempi di sonagli sono lo shekere, realizzato da una zucca, svuotata e lasciata essiccare
per poi esser rivestita da una rete cui sono annodate spesso conchigliette o semini o i
caxixi, tipico dell’area del Ghana e l’'hosho diffuso tra gli Shona dello Zimbabwe
composto da una piccola zucca dai semi della hota.
Curioso strumento africano è il Mbira, considerato dai musicisti come “il dono dello
spirito” costituito da una tavoletta cava che ha funzioni di cassa armonica e da lamelle in
metallo. Famosi son ad esempio i Mbira del Gabon caratterizzati da figure mitiche che
verrebbero evocate dal suono stesso dello strumento.
La musica in questo caso avrebbe il duplice compito di evocare e celebrare la divinità in
essa stessa incarnata.
Questo sono gli oggetti di potenza dello stregone africano, gli strumenti attraverso cui la
vibrazione diviene lingua e con la quale egli può finalmente comunicare con il linguaggio
divino trasumanando dalle sue mortali carni.
Vibrazione e dunque tamburo, come il Bendir tipico del Nordafrica e che ripropone il
tamburello del tarantismo di cui abbiamo già abbondantemente parlato in un altro nostro
saggio8 dagli incredibili risvolti sacri. Il tamburo è costituito da un telaio in legno di forma
circolare o ellittica e da una o due membrane di origine animale.
Questo strumento diviene così centrum del sacro, con la sua forma tonda raffigurante il
cosmo e il suo centro che poi coincide con la posizione del tamburo che diviene, quando
suonato, omphalos del mondo conosciuto, delimitato dalla cornice che invece è il fiume
oceano, la vibrazione acquatica e trasparente vitale che non solo lo circonda ma lo
protegge. Il tamburo inoltre diviene esso stesso divinità androgina che “parla con la sua
pelle o membrana l’elemento maschile, ma CHE proviene da un animale femmina, E il
telaio è simbolicamente femminile ma deriva dall’elemento vegetazionale maschile.
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Romanazzi, il ritorno del dio che balla
E’ l’idea del’androgino che traspare ad esempio nella tradizione Dogon, per i quali gli otto
progenitori primordiali avevano entrambi i sessi e potevano riprodursi da soli, e del resto i
bambini nascono ancora oggi con questo ricordo dell’androginia e infatti con entrambi i
sessi salvo poi far sviluppare quello predominante.
La vibrazione che deriva dalla percussione della “pelle del dio” che, con questa sua morte
dona il potere della vibrazione all’uomo e la sua ascesa mistica. Ecco così che il Bendir
veniva utilizzato nelle cerimonie sacre dhikr, dei dervisci ruotanti, estasi natura poi offerta
al nome di Allah ma che simboleggia il ritorno delle creature ad una liberazione naturale
dell’antico mondo sacro. Stessa cosa dicasi per il più conosciuto djembe, uno degli
strumenti africano più antichi, datato 3000 a.c. e tipico del Mali, Burkina Faso, Senegal. Il
tamburo, però, per divenire strumento magico, come tutti gli strumenti, deve esser reso
“vivo”, gli deve esser conferita la “parola” attraverso rituali che variano da etnia ad etnia,
spesso ruolo fondamentale ha l’acqua, fonte di vita. Altra caratteristica del tamburo è la
rappresentazione di una figura umana, è il “padrone del tamburo” lo spirito che lo abita e
lo rende vivo, la parte divina che in esso si manifesta. Spesso sulla membrana sono
presenti dei disegni, il centro del tamburo è quasi sempre identificato da una forma di
croce, Possono essere monocromi o policromi, normalmente rosso e nero.
Musica e vibrazione, la vibrazione diviene così parola, le vibrazioni musicali comunicano
con il sovrassensibile umano e non solo con i suoi comuni sensi.
Il suono dello strumento diviene così il battito pulsante del dio e il ritmo che lo mette in
sintonia con l’uomo. ’ da questa magia che prende origine il termine “incanto” o
“incantare”, il canto “interiore e magico che facilità la comunione con il divino. chi
governa dunque la vibrazione può fare con il suo strumento o con il suo canto un
incantesimo, egli crea, ordina, evoca, gestisce.
E’ dunque il tema del mistico suono, della musica che si fa parola e dunque canto e
scongiuro, prolegomeno di quella che sarà poi la “formula magica”.
5.3 Rituali di possessione
Da queste tradizioni religiose derivano fin qui accennate deriveranno i rituali di
possessione che per semplicità potremmo definire in Rituali di Possessione di tipo
Sciamanico o di Possessione Demoniaca,
fenomeni che si sviluppano spesso
parallelamente nella stessa personalità religiosa e non facilmente distinguibili all’interno
di uno stesso culto/religione. Se nel primo caso
si ha quasi una "démarche
ascensionnelle", un "viaggio verso dio" dell'anima del sacerdote/sciamano che in questo
modo incontra quegli spiriti che gli suggeriranno l’insegnamento/richiesta auspicato, nel
secondo caso è Il “malato” che diviene giumenta del dio che la incarna. Il Di Nola
definisce la possessione come una particolare condizione personale o collettiva che si
presenta come occupazione dello spirito o della presenza vitale individuale da parte di
realtà estranee, rappresentate come potenze impersonali o personali. E’ il tema
dell’esser-agito-da che da luogo ad un rituale che poi a sua volta può esser di tipo
esorcistico o adorcistico a seconda dell’origine del demone/entità.
In realtà, durante le cerimonie e rituali afro, data anche la forte commistione tra la varie
culture, non è facile individuare ove inizia l’una o finisce l’altra.
Il rituale è caratterizzato dallo stato di trance di un sacerdote o pagè unico medium in
grado di parlare/incarnare le divinità, che possono essere spiriti di antenati, animali,
demoni o semplicemente passati pagè, attraverso uno stato di transe indotto da tabacco,
alcool, in particolare la tafìa, una acquavite di zucchero di canna, e danze. Durante la
possessione non mancano gli animali totemici delle divinità, e così spesso si assiste ad un
fitto dialogo tra il sacerdote e lo spirito dell’animale.
Tutti i rituali sono caratterizzati dunque da uno stato alterato di coscienza che pervade il
sacerdote o il fedele: la Trance, l'arrivo, nel caso della possessione sciamanica, o la
partenza, in quella demoniaca, dello spirito. Questo stato alterato di coscienza può essere
generato, a seconda delle culture e tradizioni, attraverso il ritmo ossessivo ripetitivo,
espresso sotto forma di parole, musiche o preghiere. Ecco così che in tutti i rituali afro
importante è la presenza dell’orchestra “sacra, costituita dagli atabaques, i tamburi sacri,
il cui suono ha un ritmo che dipende dall’orishas richiesto, la maraca, in realtà un vero e
proprio feticcio, infatti si crede che il suo suono siano le parole dello spirito in essa
rinchiuso e l’agogo, due campanelle di ferro percosse con una bacchetta in metallo. Così è
la musica che, nella sua ripetizione, trasforma il suono i vibrazione che pervade l’ossesso
rendendolo partecipe a quel divino che è strettamente connesso con il suono.
Alla musica si associa così la danza, in un movimento oscillatorio ipnogeno che
caratterizza queste movenze. E’ l’espressione di un andamento claudicante, una
asimmetria deambulatoria che altro non è che espressione della danza per il dio. Del resto
se l’uomo è caratterizzato da una statura bipede ed eretta, ecco che ciò che va oltre le
caratteristiche umane, la zoppia o la deformità, diventa un esperienza oltre i limiti umani.
Dunque lo sciamano che voleva raggiungere l’estasi con il divino ecco che deve
riproporre il tema dell’asimmetria nei propri movimenti per giungere al cospetto con il
Dio Danzante. E’ il movimento dunque il trait union che permette la congiunzione tra il
mondo degli dei e quello degli uomini.
Lo stesso dicasi per l’arte. Il nome Eket, il primo mago della storia, significherebbe
“colui che crea le immagini” e che è in grado di trasformare una parola in qualcosa di
materiale.
Non è facile dire come e quando sia nata l’”arte”, quale sia stato l’impulso primordiale
che ha spinto l’uomo a rappresentar qualcosa. Unica certezza è che le prime immagini e
raffigurazioni dall’Antico furono i dipinti parietali presenti in numerose grotte europee
che descrivevano, a volte con dovizia di particolari, scene di caccia, cavalli, bisonti,
elefanti ed altri animali in procinto di esser uccisi dal cacciatore che sta per scagliare la
freccia contro di loro.
In realtà queste scene ben lungi da essere semplici raffigurazioni, sono espressione di una
magia primitiva che rientra a pieno titolo nelle credenze feticiste e religiose dell’uomo
antico.
Queste scene, infatti, altro non sarebbero che espressione del maleficio che doveva colpire
l’animale ed assicurare al contempo una buona caccia. Ecco così che gli antichi avevano
trovato, grazie alle credenze nella magia della caccia, una giustificazione sociale per
sviluppare una nuova ed oscura attività: l’Arte.
Essi furono così al contempo, artisti e maghi, dipingevano per amore dell’arte, ma anche
perché la selvaggina si moltiplicasse, perché la caccia fosse favorevole, ma anche per
illustrare avvenimenti alle future generazioni. E’ forse questa la vera origine dell’Arte, e
non il viceversa, è nella magia che alberga la sua più antica alcova.
5.3.1 Rituali di possessione afro-tunisina: Lo stembalì
Nel Nord Africa espressione di questa magia è lo stembali, un culto afro-tunisino che
deriverebbe da un mitico Bilal, schiavo nero del Profeta Maometto.
Appare già da questa nascita la sovrapposizione sincretica tra arcaici culti dei nomadi
magrebini anmimistici e il successivo Islam.
Dopo la formulazione del quesito il sacerdote inizia ad entrare in uno stato alterato di
coscienza anche accentuato dal suono del liuto fino a quando non si svilupperà un filo
diretto con l’entità che possiede così il corpo facendolo ad esempio danzare o al contrario
svenire.
Si effettua così un sacrificio di animale, normalmente pollame o caprini, per arrivare
all’azione magica più propriamente detta.
Il maestro di cerimonie è detto Malem che guida il gruppo di sacerdoti-musicanti “armati”
del g’mbri, un liuto a tre corde, tipico dell’area tunisina ma di derivazione del Mali.
I sacerdoti del culto sono chiamati arif o arifat, se donne, dai poteri medianici che porta
così loro a dialogare con le divinità.
Le divinità sono richiamate dal maestro di musica recitandone i nomi mentre vengono
bruciate erbe ed incensi. Tutti i musici partecipanti indossano vesti rituali del colore
legato alle entità che si vogliono richiamare, ad esempio il bianco per i santi, il nero o il
rosso a seconda delle antiche divinità.
Anche qui appare manifesto inserimento delle influenze islamiche che si sono ben inserite
nel pantheon locale.
L’invocazione ai santi è la tipica espressione dello Stembali islamico, ma accanto a queste
esistono numerose entità “nere”, gli spiriti bori, della “gente delle foreste” o dei nomadi
berberi del deserto.
Spiriti neri sudanesi, santi dell’islam maghrebino e divinità autoctone berbere diventano
così protagonisti delle pratiche magico religiose tunisine permettendo la risoluzione dei
problemi del fedele, cure a vari malanni, protezione dai demoni, allontanamento di
malocchio e fatture, attraverso la possessione di sacerdoti per poi ottenere amuleti e
talismani.
Rituali non ancora dimenticati e facilmente ritrovabili nella città di Tunisi ove io stesso ho
assistito ad una seduta tenuta da una donna berbera che successivamente mi ha mostrato
anche una serie di amuleti che indossava per poter meglio stabilire una comunicazione
con il sacro.
5.3.2 La Derdeba Marocchina
Rituale di possessione piuttosto simile è quello dei ghnauna marocchini, la derdeba. In
realtà questa tradizione deriva dalle forti influenze maghrebine di etnia Bambara e quindi
è diffusa anche in altre aree come la Nigeria, il Sudan, il Senegal e soprattutto il Mali, di
cui ci occuperemo in seguito.
Spesso, in forma purtroppo troppo “turistica” è mostrato nella famosa piazza Djemaa elFna di Marrakech ove gruppi di neri di esibiscono in danze più o meno spettacolari.
In realtà i veri ghnauna, o musici, si possono trovare tra i vicoli meno turistici dei souk dei
paesi marocchini, come mi è capitato tra i vicoli di Marrakesh o soprattutto di Essawira.
Il rituale è suddiviso formalmente in tre parti, l’aada, il momento del sacrificio, il kouyou,
una fase di pausa e infine il mlouk, il rituale di possessione vero e proprio.
Durante la prima fase si crea una processione con in testa l’animale da sacrificare, tutto al
suono dei tamburi in pelle di capra, i tbal e dei crotali o qarqaba. Per quanto riguarda
quest’ultimi si tratta di piattini generalmente di ferro, forgiato o grezzo di varia
circonferenza e spessore, ricordano le castagnette o nacchere tipiche delle danze della
tarantella del sud Italia.
La musica a percussione è accompagnata da un canto, il laafou, che è intesa come vera e
propria invocazione alle divinità.
Tutto il rituale non sembra granchè differente da quelli che ho visto svolgersi in alcuni
paesini del Sud Italia legati al fenomeno del tarantismo9.
Il vero è proprio rito è però la fase della possessione o mlouk. Vengono accesi incensi di
differenti profumi. E’ in questa fase che vengono poi richiamati i melk, gli spiriti
possessori. Ufficialmente la danza è dedicata ad un “santo islamico”, uno dei tanti citati
precedentemente.
In realtà gli spiriti possessori non possono essere solo santi o rijal Allah, ma anche spiriti
dalle chiare origini animistiche. Troviamo così ad esempio Sidi Moussa, il protettore dei
marinai e signore delle acque, elemento rappresentato, durante il rito, da una bacinella
d’acqua attorno a cui si svolgono le danze, caratterizzate a loro volta da gestualità che
ricordano il remare.
C’è poi Sidi Hammou, il djinn dei mattatoi, antica trasposizione di una divinità fenicia e
assetato del sangue degli animali rappresentato dai foulars rossi che caratterizzano le vesti
dei danzatori.
Sono questi gli esempi di quelle che potremmo definire divinità dei neri alogeni.
Non mancano i djinn femmine, alcune, in similitudine ai santi, sono credute essere le
figlie di Maometto, ma anche in questo caso esistono ricordi di antiche divinità femminili
mai scomparse. Un esempio è Lala Mira è lo spirito dei viaggiatori, pericolosissima
durante il crepuscolo, ora della giornata durante la quale preferisce impossessarsi degli
incauti viandanti.
Rimanendo in tema femminile, ruolo fondamentale ha la sacerdotessa, talaa, lei è la
veggente, ed è solo tramite lei che i melk parlano e solo con lei possono legare con gli
spiriti.
Siam di fronte ad un rituale di possessione, una cerimonia nel corso della quali gli adepti
incarnano entità sovrannaturali. E’ in questo momento che avviene la discesa di un
demone/genio nel corpo della sacerdotessa.
Ovviamente l’essere talaa richiede enormi sacrifici, in particolare lei deve fare una serie
di riti e sacrifici pena la perdita dei suoi poteri di chiaroveggenza.
9
Romanazzi, Il ritorno del dio che balla
5.4. Amuletistica Nord Sahariana
Come in ogni altra tradizione magica, non si può non soffermare sull’amuletistica senza
però commettere facili omissioni data le vastità dell’argomento. Ci soffermeremo così su i
più comuni strumenti magici in uso nell’africa del nord. Vi è una forte differenza tra gli
amuleti, da amoliri, e cioè “allontanare”, e i talismani, da telesma, cioè “oggetto
consacrato”.
L’amuleto è un oggetto sacro di per sé, legato alle idee animiste e feticista che pervadono
la religione africana, mentre il talismano è invece un oggetto creato dal Magus che gli
trasmette le proprietà specifiche. È quindi un oggetto “evoluto”, composto artificialmente
da chi ha già una coscienza magica, spesso elemento grafico e solo a volte realizzato con
metalli preziosi e simboli provenienti dalle successive religioni monoteiste che si sono
avvicendate in africa.
I talismani derivano soprattutto da una influenza araba e basati quasi esclusivamente
sull’utilizzo di quadrati magici o pezzetti di Corano tenuti in sacchetti di pelle.
La parola infatti, al di là del discorso vibrazionale descritto, è anche lata ad un timore
magico che nasce dalla non comprensibilità iniziale della lingua araba, del tutto differente
da quelle autoctone e che doveva suggerire all’Antico africano un sensazione magica.
Allo stesso modo potere magico era dato alla “parola scritta”, così si usava e in realtà si
usa ancora bere dell’acqua nella quale si è disciolto l’inchiostro con il quale ad esempio
era stato scritto un versetto di Corano su un pezzetto di carta messo appunto a bagno in
acqua.
Questi sono esempi che appaiono decisamente successivi alla religione primordiale
africana, molto interessante è invece soffermarsi sull’amuletistica, così diffusa nella
medicina e nella credenza popolare.
Questi infatti sono elementi importanti per la protezione dell’individuo e del suo clan,
delle abitazioni e di ogni momento di passaggio dell’esistenza umana, in particolare
l’infanzia, anche legata ad una purtroppo alta mortalità dei bambini in quelle regioni.
In generale potremmo suddividere gli amuleti a seconda delle loro funzioni, utili ad
allontanare la manifestazione di particolari fenomeni naturali e a proteggere persone, cose
o animali ed in particolare dai temibili ginn, e demoni del deserto, amuleti dalla virtù
preventiva e curativa di alcune malattie, amuleti protettivi contro i malefici indotti da
streghe, demoni o altre entità nefaste ed amuleti utilizzati per favorire e propiziare la sorte
in generale. Questa suddivisione è in realtà un tentativo di semplificazione, infatti si
potrebbe ulteriormente suddividere gli amuleti a seconda che le loro virtù e quindi oggetti
che non sono amuleti per loro natura, ma lo sono diventati per contatto con altri oggetti
sacri e ne hanno acquisito le stesse virtù. Le origini profilattiche possono basarsi su
differenti tecniche. Una di queste è la magia delle punte, che sfrutta chiodi, frecce, punte,
ossa, corna, essa fungeva da mezzo di protezione. Esempio potrebbero essere le corna di
animali quali le antilopi o i denti di leone o coccodrillo, ritenuti potenti afrodisiaci. Questi
amuleti sono legati anche alla magia organica e animale, assorbendone anche
caratteristiche e poteri. Possono anche non avere origine naturale, ma modellati a forma di
animali. Questo metodo di basava sul concetto della similarità per cui, per esempio, per
scongiurare le deficienze dell’organo sessuale maschile e assicurarne la prolificità,
all’uomo si facevano mangiare i testicoli di lepre o coniglio. Nasce un altro assioma
magico, quello del “così-come”. L’idea alla base è che le cose materiali possano interagire
anche a distanza, in virtù di una forza attrattiva che permette al simile di attrarre il simile.
Da qui l’idea del potere dell’animale e la forza dell’amuleto. Ma non c’è solo questo.
Infatti si evolve anche il principio del contatto: “qualsiasi cosa entri in contatto con una
persona rimarrà legato a lei per sempre”, e che “qualsiasi azione venga operata su quel
qualcosa influenza anche la persona a essa legata”.
In generale gli amuleti africani sono composti dai più eterogenei elementi, ossa, peli e
denti di animali, cortecce di albero, conchiglie e altro. Alcuni devono essere portati al
collo o legati a fianchi, altri racchiusi in sacchetti, zucche cave o corni di osso.
Interessante è soffermarsi sul potere delle conchiglie. Moltissimi sono gli amuleti
realizzati con conchiglie o i feticci che ne sono ornate. La conchiglia, già come oggetto
derivante dal mare, e quindi dalle acque, è simbolo femminile. Inoltre il suono che esse
producono accostandole all’orecchio ha sempre meravigliato l’antico che ne ha visto un
oggetto sacro attraverso cui ascoltare la voce degli spiriti.
In particolare numerosi sono gli amuleti realizzati con le cypraee, ritenute utili per
allontanare il male e il malocchio, soprattutto nella protezione dei bambini e delle
gestanti. Forse tale idea nasce dall’aspetto di tale conchiglia che ricorda le forme vulvari,
in opposizione alla sterilità che veniva collegata al male, e che potevano venire appese
tranquillamente al collo senza cadere in immagini fortemente sessuali dato che tale
oggetto era presente in natura. Venivano anche utilizzate per promuovere la fertilità e il
desiderio, la voglia di lussuria. Per alcuni10 essa darebbe anche il nome alla “porcellana”,
termine che deriverebbe dal latino “porcella” ed indicante l’organo sessuale femminile.
Altro tipo di valve utilizzate sono poi quelle di Pectunculus, spesso già trovate forate in
natura, dalla valva liscia, oppure quelle di Cardium tuberculatum, dalla conchiglia a righe
ziglinate.
10
Leland, Gypsy sorcery and fotune telling, London, 1891
Le conchiglie in Africa sono anche importante oggetto di divinazione. In particolare in
Egitto, qui le rhagarin gettavano le conchiglie per trarre i pronostici. Il Leland11 ci
racconta che “…Oltre la porta che, quando fu aperta, diede questa visione, vi era un
antico ed oscuro passaggio ad arco lungo trenta iarde, che si apriva sulla strada
polverosa ed abbagliante dove i cammelli, con i loro conducenti, ed Ì carrettieri urlanti
(sais) ed i ragazzi-scimmia ed i venditori che gridavano facevano il solito baccano
orientale. Ma nel passaggio ad arco, nel suo angolo più oscuro, sedeva in silenzio ed
immobile, disegno vivente, una donna scura e graziosa di trent'anni, che era senza velo.
Davanti a lei, sul pavimento dell'arcata, aveva un quadrato di stoffa ed alcune conchiglie.
Talvolta un' Egiziano della classe più bassa si fermava e si teneva una seria
consultazione. Ella era una veggente che prediceva il futuro, e dalla posizione che
assumevano le conchiglie quando venivano lanciate ella prediceva cosa sarebbe
accaduto. Quindi vi era una solenne conferenza ed una premurosa carezza sulla barba, se
si trattava di un uomo, quindi il solito pagamento all'oracolo e la partenza…”.
Come nelle tradizioni magiche italiane, anche in Africa un ruolo molto importante lo
hanno gli amuleti, indossati sotto forma di pendagli o avvolti in panni o ancor meglio
cuciti in sacchetti di pelle di capra, come i famosi kitabe. Il kitabe è una borsetta di pelle
conciata (quasi sempre bovini, ma qualunque animale va bene... anche serpenti!), in
genere cucita su tutti i lati: le preghiere sono sigillate all'interno, e perciò non visibili,
contenenti preghiere cristiane copte scritte in lingua Ge'ez , l'aramaico religioso dei Copti
su rotolo in cartapecora. Il kitabe viene (ma soprattutto veniva) indossato a mo' di collana,
come portafortuna, per tutta la vita, e ciascuno viene scritto espressamente per chi lo
indosserà: era frequente rinvenirne soprattutto in Etiopia orientale, avvicinandosi alla
Somalia, islamica, dalla quale fu ripresa la tradizione di portare indosso una preghiera.
Spesso, come mi è stato mostrato da una anziana donna berbera, si usava portare al collo
ciondolo raffiguranti animali benaugurati quali il Cammello, come talismano simboleggia
l’amico paziente, simbolo di benevolenza e simpatia o ancora il Cavallo del Nilo, o
ippopotamo, simboleggiava la dea Ta-Urt, custode della sapienza divina e della ragione
umana.
Ancora tra gli animali troviamo la testa del corvo che posta sulla porta della stanza
proteggerebbe gli ammalati ivi ricoverati. Sempre tra gli uccelli la testa dell’upupa veniva
posta al collo dei bambini per proteggerli dai malefici, usanza molto antica che
deriverebbe dalla tradizione di usare il sangue di tale animale per confezionare i talismani.
11
Leland, Antichi rimedi, Elfi Edizioni, Bologna 2005
Non possiamo poi non nominare il famoso kalao, l’uccello della fertilità, caratterizzato
dal lungo becco che scende fino al corpo e che raffigurerebbe l’elemento priapico,
laddove il corpo bombato si ricollegherebbe al ventre gravido della donna.
Tra gli animali di terra troviamo poi il riccio con la pelle protetta da un numero
imprecisato di aculei. Se il bambino ne avrà come amuleto la mascella di tale animale sarà
sempre protetto poiché il ginn dovrà necessariamente contare prima il numero degli aculei
che si trovavano sulla pelle dell’animale prima di attaccare il bimbo.
L’amuleto però più diffuso, appeso anche sugli usci delle case è la Coda di pesce. Questo
amuleto è diffuso in tutto il bacino del mediterraneo. I pescatori dell’Isola d’Elba
l’attaccavano alla prua delle navi, una coda seccata di delfino per assicurare il buon
viaggio.
Essa proteggerebbe dalle sventure. Stessa funzione avrebbe la pinna di squalo o la coda di
tonno, questa più diffusa appunto nel nord africa. Questa non è più un amuleto per le navi
ma per le dimore domestiche contro il malocchio. Per svolgere la sua finzione la coda del
pesce deve essere però rivolta verso su. Il suo potere sarebbe rinforzato se viene aggiunta
una mano di Fatima in latta.
Ed ecco così apparire il più famoso amuleto nord africano. Se si guarda con attenzione le
fatiscenti costruzioni berbere presenti nelle lande sahariane, soprattutto oltre l’Atlante
marocchino, eco che si noterà facilmente, sulle murature in terra o gesso, delle “impronte”
di mani dai colori sgargianti.
Questi simboli protettivi sono fortemente diffusi in tutto il territorio sahariano e riportano
ad un altro amuleto di origine preislamica che ancora una volta la religione monoteista ha
legato a sé chiamandola mano di Fatima. Nota anche come Khamsa, ovvero “cinque”
numero che riporta direttamente ai cinque pilastri della fede islamici. Per la tradizione
popolare, però, tale simbolo, oggi utilizzato per indicare gli spazi adibiti alle donne,
rappresenta un simbolo di protezione e rimedio infallibile contro il gli influssi negativi in
genere. Questa infatti corrisponderebbe alla mano di Fatima figlia di Maometto. La
leggenda narra che mentre preparava la cena, avrebbe assistito al ritorno del marito con
una concubina e, distratta da questo accadimento, per errore mise la mano nell'acqua
bollente, senza farsi nulla.
In realtà questo simbolo è ben più antico dell’Islam stesso e deriverebbe dalle
contaminazioni egizie e dal culto dei morti Il culto dei morti è da sempre elemento
principale di tutte le culture sacre africane e presente in molti aspetti folkloristici
tradizioni ancora attuali. E’ qui che la simbologia della mano affonda le proprie radici,
rituale del culto del dio defunto legato alla lamentazione funebre arabo-palestinese. Non
e’ dunque un caso che la simbologia della mano aperta con le 5 dita visibili caratterizzi le
aree influenzate dagli egizi prima e dagli arabi poi. Ecco così che nelle raffigurazioni del
libro dei morti egizio le donne che piangono il defunto si pongono in una posizione
predefinita: un solo braccio è portato verso il capo mentre l’altro si distende avanti con il
palmo della mano rovesciato. Gesto che poi ha assunto una valenza di magico-protettiva.
Spesso vi è posto al centro un altro simbolo dalle remote origini, l’occhio di Allah,
facilmente reperibile anche in vetro sulle le moltissime bancarelle dei souk.
Rappresenterebbe l’occhio vigile di Dio che protegge e preserva.
In realtà l’amuleto a forma di occhio è di antiche origini, talismani a due occhi,
raffiguranti quello di Iside ed Osiride, li troviamo in Egitto, divenuti poi spesso ex voto e
adornatori di luoghi sacri. In realtà una affascinante spiegazione è data da uno studio di
Vlora12 che ci indica questi due occhi come metafora degli avvicendamenti cosmici ed in
particolare della vicinanza, ogni 180 anni vaghi,
delle vicine Venere e Sirio, che
sorgerebbero entrambe durante il crepuscolo mattutino ed osservabili, proprio come due
"occhi" luminosi, che annunciano la prossima vittoria di Ra, il sole, sulle fredde ombre
della notte, per una trentina di giorni di seguito13.
Citando solamente il famoso occhio di gallo indiano o il bellocchio o occhio di gatto che
preserva il bambino dall’angina, possiamo trovare ancora vicini antenati nell’occhio di
Osiride, in terracotta verde, che veniva messo nel cadavere durante l’imbalsamazione per
custodire e guidare l’anima e proteggerla dalle stregonerie. Forse però il più famoso e non
culturalmente distante è occhio di Horus, simbolo solare . La tradizione vuole che l'occhio
fosse stato perso da Horus durante la sua lotta per vendicare il padre Osiride contro Seth.
Questo conflitto è forse il tema più antico ed importante dell’Antico Egitto. La storia
raccontata non è facilmente leggibile in un insieme coerente, ma molteplici sono le
variazioni, spesso confuse e contradditorie.
Il racconto riferisce le vicende relative alla lotta tra Horus e Seth. Seth strappa l'occhio
sinistro ad Horus che strappa al suo avversario le gonadi. Horo recupera l'occhio rubato
che gli viene ricomposto da Thot, il dio della magia. Diviene così simbolo di vittoria e di
protezione dalle malvagità impersonificate da Seth.
Alcuni studiosi14 hanno individuato nel mito una allegoria dei fenomeni celesti ed in
particolare del ciclo di Venere.
Tra gli amuleti tipici del corno d’Africa troviamo invece il telsum, uno degli ornamenti
che le donne etiopiche più frequentemente indossano, una collana di grani in lega di
argento, di forma triangolare, con un angolo acuto oppure arrotondato, alternati. Al di là
dell'estetica, notevole è l'influenza mistica, amuletica, benedicente e protettiva del telsum:
12 N. Vlora, L' ultima notte della Fenice. La cosmologia nell'antico Egitto di Vlora Nedim R. - Adda - 1998.
13
N. Vlora, L' ultima notte della Fenice. La cosmologia nell'antico Egitto di Vlora Nedim R. - Adda - 1998.
14
N. Vlora, L' ultima notte della Fenice. La cosmologia nell'antico Egitto di Vlora Nedim R. - Adda - 1998.
tutte queste componenti contribuiscono a farne un oggetto inseparabile, da indossare
sempre sulla persona.
Importante feticcio/amuleto nella società Ashanti, popolazione del Ghana, è l'AKUA'BA
o bambola della fertilità. Siccome fra quella gente la mortalità infantile è piuttosto
elevata,viene utilizzato spesso come amuleto per favorire gravidanze,assicurare parti
senza complicazioni e far nascere bambini belli e sani.
E’ caratterizzata da un viso piatto e tondo per la donna che desidera un maschio, quadrato
se invece si vuole una femmina. Su tutto il corpo, poi, sono presenti curiosi intagli e fregi
decorativi legati a tradizioni simboliche non sempre note.
Queste bambole venivano così portate sempre a stretto contatto con le donne gravide che
le trattavano come veri e propri bambini.
Aveva anche il ruolo attivo nella maternità e la donna che vuole concepire lo adorna con
collane ed orecchini,lo porta a letto con se. Il viso è composto da un disco piatto,
leggermente reclinato, che sormonta un corpo cilindrico, provvisto di corte braccia.
Le bambine le portavano sulla schiena, legate con un pezzo di stoffa, imitando il modo in
cui le loro madri portavano i neonati.
INTRODUZIONE ....................................................................................................................................... 1
1. I fondamenti dell’Antica Religione Africana ................................Errore. Il segnalibro non è definito.
1.1 Il sacro concetto di Nommo o Parola ..........................................Errore. Il segnalibro non è definito.
1.2 Animismo, feticismo, totemismo e antiche divinità....................Errore. Il segnalibro non è definito.
1.3 Il concetto di tabù: al cospetto del Signore degli animali ...........Errore. Il segnalibro non è definito.
2. L’uomo, l’anima e il culto degli antenati ......................................Errore. Il segnalibro non è definito.
3. I luoghi di culto e i sacerdoti: la figura del mago africano............Errore. Il segnalibro non è definito.
4. La maschera nei rituali africani .....................................................Errore. Il segnalibro non è definito.
4. La costruzione della casa e i suoi rituali........................................Errore. Il segnalibro non è definito.
4.2 Arte divinatoria e ordalia.............................................................Errore. Il segnalibro non è definito.
4.3 Magia e tabù nei riti di passaggio................................................Errore. Il segnalibro non è definito.
5. La stregoneria nel’Africa nord Sahariana................................................................................................ 2
5.1 Lo stregone nord-sahariano: Marabutto e Guaritore ............................................................................. 5
5.2 Il linguaggio delle divinità: Musica e vibrazione ................................................................................ 10
5.3 Rituali di possessione .......................................................................................................................... 12
5.3.1 Rituali di possessione afro-tunisina: Lo stembalì............................................................................. 14
5.3.2 La Derdeba Marocchina ................................................................................................................... 15
5.4. Amuletistica Nord Sahariana.............................................................................................................. 17
6. La stregoneria nell’Africa sud Sahariana ......................................Errore. Il segnalibro non è definito.
Il Chiodo nella stregoneria e nell’etnografia africana .......................Errore. Il segnalibro non è definito.
6.1 L’arte della Mandinga: stregoneria in Senegal, Gambia e Burkina Faso... Errore. Il segnalibro non è
definito.
6.2 La possessione rituale del Ndop ..................................................Errore. Il segnalibro non è definito.
6.3 Mali: Il popolo dei Dogon ...........................................................Errore. Il segnalibro non è definito.
7. Bibliografia....................................................................................Errore. Il segnalibro non è definito.