La torre di Babele e la confusione delle lingue

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La torre di Babele e la confusione delle lingue
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La torre di Babele e la
confusione delle lingue
La storia raccontata nel cap. 11 del Genesi dà una spiegazione
della diversità dei popoli e delle lingue. Questa diversità è qui interpretata
come il castigo per una colpa collettiva che, come quella dei progenitori,
è, ancora una volta, una colpa di superbia.
D
opo la storia del diluvio e della
famiglia di Noè scampata al cataclisma, dopo la racconto dell’alleanza che JHWH sigilla con il suo arco
sopra le nubi, il Genesi presenta (fine del
cap. 9) la maledizione di Cam e (nel cap.
10) una «tavola dei popoli»?
Questa «tavola dei popoli» riassume le
cognizioni che si potevano avere in Israele nei secoli VIII-VII a.C., con l’affermazione dell’unità della specie umana divisa
in gruppi a partire da un ceppo comune.
Così la dispersione dei popoli viene interpretata come compimento della benedizione di Gen 9,1 : «Dio benedisse Noè
e i suoi figli e disse loro: Siate fecondi e
moltiplicatevi e riempite la terra».
Il racconto jahvista della torre di
Babele (11, 1-9) dà invece una risonanza
meno favorevole. Tale racconto, di tipo
«eziologico», vuole spiegare la causa delle
diversità che ci sono nel mondo.
Nasce da domande come: «Perché ci
sono tante lingue nel mondo». Quando ti
trovi all’estero e non riesci a comunicare
e provi il disagio di una lingua incomprensibile, capisci come sarebbe bello se
tutti parlassero una stessa lingua e vivi
questa molteplicità delle lingue come una
maledizione.. Per gli antichi che abitavano in un mondo «chiuso», questa diversità era uno scandalo: se tutti gli uomini
discendono da una stessa coppia originaria, come spiegare la diversità degli
idiomi? Ebbene, il racconto assicura che
la dispersione degli uomini e le differenze delle lingue dipende dal castigo che
l’uomo, con il suo empio orgoglio, si è
meritato.
E c’è ancora un’altra domanda che
sta sotto questo racconto: «Come fare, se
si è in tanti, a capirsi e ad andare d’accordo?». Non c’è forse il pericolo di due
estremi: quello del totalitarismo dove uno
impone la sua lingua a tutti; e quello della confusione in cui tutti parlano la loro
lingua senza capirsi?
Ebbene, il nostro racconto della torre
di Babele, racconto tanto conosciuto che
è diventato proverbiale, vuole rispondere,
alla sua maniera, a queste domande.
Perché gli
uomini non
si comprendono e le loro
lingue sono
differenti?
Il retrotrerra storico
Il testo, pur intendendo trasmettere
solo un linguaggio religioso, rispecchia
però alcuni aspetti della città e della
cultura babilonese in cui i deportati di
Israele hanno scoperto: la diversità delle
lingue parlate dai molti prigionieri della
potenza imperialista di Babilonia; l’uso
dei mattoni per costruire gli edifici e le
città; la presenza di torri piramidali a
gradini (ziggurat) sulla cui sommità si
trovava un tempio consacrato a Marduk,
il dio di Babilonia.
In questa alta torre a piani- ce n’erano molte in Mesopotamia - costruita
come simbolo della montagna sacra e
come luogo di incontro con la divinità, lo
jahvista vi vede l’impresa di un orgoglio
insensato.
Il tema della torre si combina con
quello della città: è una condanna della
civiltà urbana in quanto «prometeica». Si
ricordi che, secondo 4, 17, il primo costruttore di città è Caino e la città continuerà ad essere abitata dalla discendenza
del fratricida.
LA BIBBIA - 51
Dal libro della Genesi
capitolo 9, 18-28
Noè e i suoi figli
I figli di Noè che uscirono dall’arca furono Sem, Cam e Iafet;
Cam è il padre di Canaan. 19 Questi tre sono i figli di Noè e da
questi fu popolata tutta la terra.
20
Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una
vigna. 21 Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto
all’interno della sua tenda. 22 Cam, padre di Canaan, vide il
padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano
fuori. 23 Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero
tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il
padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il
padre scoperto.
24
Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli
aveva fatto il figlio minore; 25 allora disse:
«Sia maledetto Canaan!
Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!».
26
Disse poi:
«Benedetto il Signore, Dio di Sem,
Canaan sia suo schiavo!
27
Dio dilati Iafet e questi dimori nelle tende di Sem,
Canaan sia suo schiavo!».
28
Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. L’intera
vita di Noè fu di novecentocinquanta anni, poi morì.
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capitolo 10, 1-32 (passi)
La terra popolata
Questa è la discendenza dei figli di Noè: Sem, Cam e Iafet, ai
quali nacquero figli dopo il diluvio.
2
I figli di Iafet: Gomer, Magog, Madai, Iavan, Tubal, Mesech e
Tiras.
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I figli di Gomer: A’skenaz, Rifat e Togarma.
4
I figli di Iavan: Elisa, Tarsis, quelli di Cipro e quelli di Rodi.
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Da costoro derivarono le nazioni disperse per le isole nei loro
territori, ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro
famiglie, nelle loro nazioni.
6
I figli di Cam: Etiopia, Egitto, Put e Canaan. […]
20
Questi furono i figli di Cam secondo le loro famiglie e le
loro lingue, nei loro territori e nei loro popoli.
21
Anche a Sem, padre di tutti i figli di Eber, fratello maggiore
di Jafet, nacque una discendenza.
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52 - LA BIBBIA
I FIGLI DI NOè
I primi due vv. sono l’introduzione
Jahvista alla tavola dei popoli del
cap. 10, della stessa fonte. I nomi e
l’ordine dei figli di Noè, Sem, Cam,
Iafet, sono costanti nella tradizione.
Sia maledetto CAM
Noè è colui che pianta per primo una vigna ed è anche colui che
sperimenta l’ebbrezza che nasce dal
frutto della vite. Mentre giaceva
ubriaco, Cam (v. 22) vede il padre
scoperto nella tenda e a causa di ciò
viene maledetto (v.25).
Le benedizioni e le maledizioni
dei patriarchi – di cui qui abbiamo il
primo esempio – sono parole efficaci
che, rivolte a un capostipite, si realizzeranno nei suoi discendenti: così
qui, la razza di Cam sarà sottomessa
a Sem, antenato di Abramo e di tutti
gli Israeliti, e a Iafet i cui discendenti
si estenderanno a spese di Sem.
Molti Padri della Chiesa hanno
visto qui l’annunzio dell’ingresso dei
gentili (Iafet) nella comunità cristiana che ha avuto origine dagli Ebrei
(Sem).
La terra popolata
Sotto la forma di un quadro genealogico, il capitolo 10 (proposto qui
solo a tratti!) presenta una «tavola
dei popoli» raggruppati secondo i
rapporti storici e geografici che avevano al tempo dei re d’Israele. Così i
figli di Iafet popolano l’Asia Minore
e le isole del Mediterraneo; i figli di
Cam i paesi del sud: Egitto, Etiopia,
Arabia; e Canaan è unito a loro in ricordo della dominazione egiziana di
questo paese. Tra questi due gruppi
sono i figli di Sem: elamiti, assiri,
aramei e gli antenati degli ebrei.
Il quadro presentato da questo
capitolo 10 e di fonte sacerdotale
(P), salvo alcuni versetti.
Attraverso questa tavola dei popoli che presenta la maniera in cui il
mondo è stato ripopolato dopo il diluvio a partire dai figli di Noè, il testo afferma due verità che agli occhi
dell’autore biblico erano fondamentali; la prima è l’unità della specie
I figli di Sem: Elam, Assur, Arpacsad, Lud e Aram. […]
Questi furono i figli di Sem secondo le loro famiglie e le loro
lingue, territori, secondo i loro popoli.
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Queste furono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro generazioni, nei loro popoli. Da costoro si dispersero le nazioni
sulla terra dopo il diluvio.
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capitolo 11, 1-9
umana che ha un ceppo comune da
cui nascono i vari gruppi. La seconda
è che la dispersione dei figli di Noè
sulla terra è un compimento della
benedizione di Dio sull’uomo. La
storia di Babele darà a quest’ultimo
fatto una risonanza meno favorevole, quasi a ricordare che, nella storia
del mondo concorrono sia la potenza di Dio che la malizia degli uomini,
due aspetti complementari.
La torre di Babele
Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. 2 Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel
paese di Sennaar e vi si stabilirono.
3
Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da
cemento. 4 Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una
torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non
disperderci su tutta la terra».
5
Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini
stavano costruendo.
6
Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti
una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto
avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.
7
Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non
comprendano più l’uno la lingua dell’altro».
8
Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di
costruire la città.
9
Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la
lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la
terra.
1
Babele
Il v. 9 assicura che sono due i
motivi per cui la torre è chiamata
Babele: per la confusione delle lingue e per la successiva dispersione
su tutta la terra.
Nella lingua dei Sumeri, la
parola Babele significa «porta del
dio». Lo ziggurat con il tempio che
si trovava alla sua sommità è come
una porta aperta verso il cielo, per
comunicare con gli dei. L’autore
sacro usa un termine ebraico che
ha un suono simile a quello della
parola sumera Babele , un termine con la radice bll, che significa
«confondere» per esprimere un
messaggio religioso di condanna
dell’idolatria e dell’orgoglio degli
uomini.
La divisione degli uomini così,
appare realizzata a causa del loro
orgoglio e delle discordie interne.
La torre di Babele, serviva,
naturalmente, per illustrare alcuni
momenti della storia e della spiritualità di Israele. I figli d’Israele
avevano conosciuto, nella loro storia tormentata, molte oppressioni
e deportazioni; soprattutto da
parte dell’orgogliosa Babilonia terribile macchina totalitaria - che
nella sua volontà espansionistica
aveva cercato instancabilmente
di unificare il mondo sotto il suo
dominio e di imporre la sua lingua.
Israele ne aveva assaggiato la prepotenza a più riprese: dall’epoca
del re Hammurabi (ca 1500 a.C.)
fino alla distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor
(587 a.C.) e alla successiva deportazione a Babilonia. I deportati
LA TORRE
L’orizzonte geografico in cui si
colloca il racconto del capitolo 11
è la pianura di Sennaar, ad oriente,
cioè la pianura dove sorge Babilonia.
Il v. 4: «Venite, costruiamoci una
torre…», mostra che la tradizione si
è riferita alle rovine di una di queste
alte torri a piani che si costruivano in
Mesopotamia, come luoghi di culto,
in sostituzione di quelle «montagne
sacre» che, in tutte le civiltà antiche,
sono nello stesso tempo la porta per
accedere al cielo e luogo di scambio
con la divinità. Ora però, qui, risalta
l’orgoglio insensato dell’uomo che
vuole giungere fino a Dio con le sue
forze.
si sarebbero ricordati per sempre
della città immensa e magnifica,
delle sue costruzioni impressionanti, dei templi immensi, delle torri a
più piani.
Erano il simbolo, per Israele,
della dittatura prepotente e del
totalitarismo.
Di quella esperienza Israele fa
una rilettura teologica: Dio ferma
il progetto di Babele e non tanto
perché ha paura per se stesso, ma
perché ha cura degli uomini, per
mettere in guardia contro tutte le
tentazioni di uniformità e quella
catastrofe che è l’intolleranza e
la violenza di chi vuole imporre la
sua lingua, la sua volontà, la sua
cultura sugli altri. La torre si erge
contro tutte le tentazioni di uniformità. In questo senso anch’essa
è una benedizione.
LA BIBBIA - 53
di Pentecoste. Restaurazione dell’unità
perduta a Babele ma nel rispetto delle
diversità. In quel giorno:
«Apparvero lingue come di fuoco che si
dividevano e si posarono su ciascuno
di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in
altre lingue come lo Spirito dava loro il
potere d’esprimersi. Si trovavano allora
in Gerusalemme Giudei osservanti di
ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e
rimase sbigottita perché ciascuno li
sentiva parlare la propria lingua. Erano
stupefatti e fuori di sé per lo stupore
dicevano: «Costoro che parlano non
sono forse tutti Galilei? E com’è che
li sentiamo ciascuno parlare la nostra
lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della
Giudea, della Cappadocia, del Ponto e
dell’Asia, della Frigia e della Panfilia,
dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei
e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo
annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». Tutti erano stupiti e
perplessi, chiedendosi l’un l’altro: «Che
significa questo?». (At 2, 3-12)
Nella foto qui sopra: l’uomo biblico, pensando
a Babele, si immaginava qualcosa di simile a
questo ziggurat che si trova oggi nel territorio
dell’Iraq.
L’anti-Babele
NELLA TRADIZIONE BIBLICA
E SPIRITUALE CRISTIANA
A
bbiamo chiuso la parte esegetica
affermando che Babele, in realtà,
si è trasformata in una benedizione. In che senso? Nel senso che a partire
da Babele, la diversità dei popoli e delle
culture fa la ricchezza dell’umanità agli
occhi di Dio.
Lo abbiamo capito appieno in un episodio che è l’anti-Babele e che ci è raccontato dal libro degli Atti: la nascita della
Chiesa - segno della città di Dio - con
la discesa dello Spirito Santo nel giorno
54 - LA BIBBIA
Tutti coloro che provenivano da ogni
parte del mondo sentivano «nelle loro lingue», parlare delle meraviglie di Dio. Così
lo Spirito restaura l’unità degli uomini
nel rispetto delle differenze e delle ricchezze reciproche che l’orgoglio di Babele
aveva distrutto.
Ecco dunque l’attualità del discorso di
Babele. Attualità per la Chiesa, comunità cristiana chiamata proprio in questo
tempo ad una nuova Pentecoste per ridire
il suo messaggio in tutti i linguaggi e le
culture. Questa è la sfida che ci è lanciata
davanti dalla forza dello Spirito di Dio:
nella Babele di oggi si può ancora costruire la città di Dio e insieme la città degli
uomini impegnandosi a costruire unità
ma nel rispetto delle diversità e senza cedere alla tentazione della semplificazione
violenta.