6 Gn 9,18-28 Noè scoperto

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6 Gn 9,18-28 Noè scoperto
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Azione Cattolica - Parrocchia Corpus Domini
Ora di ascolto – 11 marzo 2016
“APPARIRA’ L’ARCO SULLE NUBI,
RICORDERO’ LA MIA ALLEANZA” (Gn 9,14-15)
-l’arcobaleno della misericordia-
La tua parola sradica, abbatte;
pietra, semente, campo, città!
Genesi 9,18-28
918I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il
padre di Canaan. 19Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta
la terra.
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Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna.
Avendo bevuto il vino, si ubriacò e si denudò all'interno della sua tenda.
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Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa
ai due fratelli che stavano fuori. 23Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo
misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del
loro padre; avendo tenuto la faccia rivolta indietro, non videro la nudità del
loro padre.
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Quando Noè si fu risvegliato dall'ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il
figlio minore; 25allora disse:
"Sia maledetto Canaan!
Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!".
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E aggiunse:
"Benedetto il Signore, Dio di Sem,
Canaan sia suo schiavo!
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Dio dilati Iafet ed egli dimori nelle tende di Sem,
Canaan sia suo schiavo!".
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Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. 29L'intera vita di Noè
fu di novecentocinquanta anni; poi morì.
Un improvviso “interno familiare”
L’introduzione di questo aneddoto nella trama dell’intera narrazione ci
sorprende; configura infatti una cesura sia come stile letterario (da vicende di
portata universale si passa a un episodio ristretto nei confini familiari) che come
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contenuto (emergono temi molto specifici assenti nel racconto fino ad ora). E’
una sorpresa che appena dopo scompare perché con l’inizio del capitolo seguente
l’opera letteraria riprende il suo tono epico e solenne. Una domanda sorge
dunque spontanea: quale è il senso di questo “interno familiare”, di questo
improvviso “zoom”?
Se una continuità va cercata con le scene che precedono, occorre risalire a
monte della saga di Noè e collegarsi con il racconto della relazione deteriorata
tra fratelli (Gn 4,1-16: Caino e Abele); qui la relazione segnata da problematicità
è quella dei fratelli (Sem, Cam e Iafet) nei confronti di loro padre. La scena che
viene descritta è una sorta di delitto/castigo.
Ma per scoprire il senso di questa breve e colorita inserzione occorre prima
ripercorrerla nei particolari.
Coltivazione e sfruttamento consumistico
Dopo due versetti che fanno da cerniera con l’intero racconto (vv. 18-19)
collegandosi con la famiglia già formatasi prima dell’evento del diluvio (5,32),
viene messo in rilievo è il contesto in cui la scena si colloca, (vv. 20-21).
E’ un vero e proprio “principio”: Noè è il primo coltivatore della storia
dell’umanità, continuatore diretto dell’opera di piantagione compiuta da Dio
nella prima creazione (cf 2,8). Nella sua iniziativa di agricoltore sono racchiuse
tante cose: il legame con la terra da cui l’umanità ha avuto origine e di cui è
plasmata, la scoperta della sua fecondità e della preziosità del lavoro, il gusto
per la bontà/bellezza di ciò che la terra e la lavorazione umana possono produrre
(il vino). Nell’esito di questa scena-fondatrice è rappresentato anche il perdurare
dell’ambiguità umana nel suo rapportarsi ai doni della creazione; la gioia e il
gusto vengono infatti sopraffatti dall’eccesso e dalla perdita di dignità.
L’immagine di Noè che giace nudo e scoperto all’interno della sua tenda ha una
portata simbolica particolare: il padre-giusto è ora sotto gli occhi dei figli anche
nella sua fragilità e debolezza. In poche righe è descritta l’inaugurazione
dell’esperienza della coltivazione, dunque la grandezza dell’opera umana che si
allea con la natura valorizzando le sue potenzialità e godendone, e la perdita da
parte dell’umanità dei confini a riguardo dello sfruttamento di tale alleanza fino
a giungere a una ebbrezza che stordisce e imbruttisce. La parabola dello
sfruttamento consumistico della creazione e della conseguente paralisi della
libertà è già tutta descritta.
Comunicazione e mercificazione della dignità
La scena sopra tracciata è il contesto in cui si colloca un secondo quadro di
azione i cui protagonisti sono i figli nel loro rapporto con il padre, del quale
hanno scoperto la fragilità/nudità. Tale scoperta è occasione di atteggiamenti
assai differenti, tratteggiati in modo semplice ed espressivo.
Per Cam la visione della nudità del padre è notizia da raccontare agli altri
fratelli che ancora non la conoscono, da rendere pubblica subito, senza
preoccuparsi anzitutto di custodire/coprire la fragilità di cui è divenuto
testimone. La comunicazione fatta a Sem e Iafet non è a tutela del padre, per
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chiedere collaborazione nell’aiutarlo o per interrogarsi sulle cause di tale caduta
al fine di prevenirla. Nemmeno ha l’obiettivo di mettere al sicuro altri da un
eventuale pericolo, cosa che renderebbe comprensibile il passaggio immediato di
informazioni. Ha piuttosto il tono della mercificazione (oggi si direbbe dello
“scoop”), della chiacchera, dell’esercizio di un potere che si fonda sulla
strumentalizzazione della debolezza. E tutto questo nei confronti di proprio
padre e di un padre del cui coraggio e della cui importanza il racconto rende
ampiamente ragione! Dunque se pare senza pudore il giacere nudo di Noè, più
spudorato ancora appare il comportamento di Cam. Anche in questo caso, come
già appena sopra a riguardo dello sfruttamento consumistico della terra, è
delineata una parabola attualissima, quella della mercificazione della vita privata
messa in atto dai mezzi di comunicazione.
Il comportamento di Sem e di Iafet è invece carico di rispetto. L’obiettivo
del loro agire è proteggere la vulnerabilità di loro padre; ne è simbolo il mantello
che prendono con sé per coprirlo. Il loro scegliere di non voler vedere,
camminando a ritroso e volgendo lo sguardo altrove, è carico di tenerezza;
vestono la nudità indegna di loro padre con la dignità discreta del loro stile di
relazione. Si coinvolgono nella vicenda, in modo molto attivo, da vicino,
ricostruendo ciò che è venuto meno o che rischia di andare perduto.
L’origine di ogni schiavitù
La vicenda si chiude con parole di giudizio, da leggere secondo il senso che
tale genere letterario ha in Genesi 1-11: descrivono la gravità di una situazione
così come è stata configurata da scelte distorte. Sono parole che intendono
chiamare per nome, con chiarezza e senza mezzi termini, il guaio prodotto e i
suoi effetti. Al riguardo l’indicazione è molto forte: “Sia maledetto Canaan!
Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli” (9,25). Tutto ciò che nella storia
dell’umanità ha la forma della “schiavitù” va ricondotto alla mercificazione della
debolezza altrui sintetizzata e simbolizzata nel comportamento di Cam.
Ora che abbiamo ripercorso il breve e intenso racconto nei suoi particolari
possiamo porci nuovamente la domanda iniziale: quale è il suo senso nel quadro
complessivo del racconto di Noè e del diluvio?
La risposta a questa domanda non è facile, ma alcune luci si possono
cogliere.
L’episodio, anzitutto, “ridimensiona” la figura di Noè, collocandola dentro le
fragilità e debolezze di tutti. Ridimensiona anche la figura dei figli di Noè,
ricordando così che il mistero racchiuso nella vita umana è sempre esposto a
fraintendimenti e superficialità. Questi “ridimensionamenti” posti dopo il
racconto della scelta da parte di Dio di confermare in vita Noè e i suoi
discendenti hanno l’effetto di mettere in guardia il lettore dal senso di
onnipotenza che può albergare nel cuore di chiunque si ritiene “giusto” davanti a
Dio.
I temi, inoltre, che emergono nel racconto sono molto concreti: abuso dei
prodotti della terra, uso distorto della comunicazione fino ad offendere la dignità
di chi mostra debolezze ed errori. Emerge da questi contenuti l’esperienza
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vissuta di un popolo che riflette sulla sua storia e sulle deformazioni che in essa
possono farsi largo.
Centrale è, inoltre, la questione che prenderà forma anche in un
comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”. Come è facile – sembra dire il
testo – venir meno al rispetto di quel mistero che è racchiuso nella relazione
fondante con chi ci ha messo al mondo!
--------------203. Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico
compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte
dal vortice degli acquisti e delle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il
riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico. Accade ciò che già segnalava
Romano Guardini: l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme
consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle
macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo
sia ragionevole e giusto». Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi
finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che
possiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il
potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità postmoderna
non ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e
questa mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per
scarsi e rachitici fini.
204. La situazione attuale del mondo «provoca un senso di precarietà e di
insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo». Quando le
persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono
la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da
comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che
qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste
nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a
predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in cui
non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla possibilità
di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi
derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita consumistico,
soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto
violenza e distruzione reciproca.
205. Eppure, non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi
fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e
rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga
loro imposto. Sono capaci di guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il
proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Non
esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e
alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal
profondo dei nostri cuori. Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non
dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle.
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