precarizzazione e reddito di cittadinanza

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precarizzazione e reddito di cittadinanza
CSA Vittoria
PRECARIZZAZIONE E REDDITO DI CITTADINANZA
lunedì 29 novembre 1999
Interesse prioritario del capitale è la massima
riduzione dei costi, libera, incontrastata e incontrollata. Vediamo affiancare residui di fabbrica
"fordista" a rinnovate forme di schiavitù, fabbriche con processi
produttivi "integrati" e "just in
time"...
Nel dibattito sulle 35 ore a parità di salario, con
l'accordo siglato tra governo e RIF. COM. dopo la crisi di ottobre, si
inseriscono diversi e più complessi elementi per una valutazione politica
attenta e aggiornata .
Benchè non si possa che avallare e sostenere
qualsiasi proposta per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario,
vanno comunque fatte alcune considerazioni in merito.
Sicuramente
questa proposta nasce come prodotto di un'alchimia istituzionale per salvare la
faccia a Rifondazione Comunista e permettergli di rimanere all'interno della
maggioranza di governo con un escamotage che diventa poi discriminante
all'ultimo momento.
Dovrebbe
essere già di per sé, uno scontato e progressivo recupero salariale di una
produttività pro-capite cresciuta negli ultimi anni a ritmi esponenziali e in
questo senso è cosa già di fatto applicata da tempo in molte aziende.
Si
inserisce in un quadro economico di modificazione del modello produttivo
"fordista" tale da produrre la rottura di quel meccanismo
dell'economia di scala che creava il suo mercato grazie alla moltiplicazione
dei volumi produttivi (maggior numero di pezzi prodotti = minor costo del pezzo
= maggiore accessibilità = maggior numero di pezzi venduti) lavorando in una
situazione di mercato pressochè illimitato (boom economico) o comunque in forte
espansione…
Queste modificazioni epocali svuotano di fatto tale obiettivo da
quell'effetto straordinariamente dirompente che avrebbe avuto nella precedente
fase di univoca centralità della fabbrica, dove avrebbe rappresentato oltre che
un serio meccanismo per produrre occupazione, anche un significativo
innalzamento della qualità della vita, liberando tempo dalla schiavitù e
dall'alienazione del lavoro salariato.
Le ultime aperture al dialogo di Fossa, successive
alle fiammate di sbarramento poste dalla parte più retriva della Confindustria,
dimostrano chiaramente come il problema non sia tanto quello di disporre di un
identico salario per una minore quantità di ore lavorative (con chissà quali
sgravi fiscali per l'impresa) ma la possibilità di disarticolare,
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flessibilizzare e plasmare macchine, tempi, orari, e di conseguenza la stessa
vita di donne e uomini in base alle esigenze del mercato.
L'evoluzione
imprevedibile e incontrollata della ristrutturazione capitalista in senso
postfordista (o meglio ancora, nel senso di un tentativo di gestione della
crisi del modello fordista ) vede l'avanzare, nei processi produttivi, di
tecnologie informatiche e della microelettronica sempre più evolute mentre la
quantità di lavoro vivo per produrre la stessa quantità di merce decresce
sempre di più: a fronte di un aumento della domanda non corrisponde più un
incremento della occupazione.
La distruzione della grande concentrazione
produttiva e lo snellimento a tutti i livelli compresi i quadri intermedi (il
cosiddetto DOWN-SIZING) ha completamente sfigurato i concetti classici di
produzione, portando forti elementi di disgregazione nella classe lavoratrice.
Interesse prioritario del capitale è la massima
riduzione dei costi, che deve essere libera, incontrastata e incontrollata.
Vediamo infatti affiancare residui di fabbrica
"fordista" a rinnovate forme di schiavitù, fabbriche con processi
produttivi "integrati" e con schemi di produzione "just in
time"
(dalla catena di montaggio escono solo e soltanto i
pezzi che si è sicuri di vendere, come accade alla Fiat di Melfi), a un indotto
con rapporti terroristici di lavoro all'insegna della precarietà dell'esistenza
stessa; tutto serve per permettere accumulazione di profitto e competitività
nel mercato ormai globalizzato.
Possiamo elencare i principali fattori che si
modellano sulle attuali forme di produzione dell'economia capitalistica
globalizzata:
PRECARIZZAZIONE
E FLESSIBILIZZAZIONE: nel processo di precarizzazione del lavoro vi è stato il sostegno di
un'operazione politica così efficace e capillare ,da attribuire ai processi
produttivi, caratteristiche pesantemente involutive: lavoro nero, a ritenuta
d'acconto, contratti a tempo determinato, part-time, aree di crisi, salari
d'ingresso e riproposizione delle gabbie salariali, lavoro in affitto con
introduzione di agenzie di lavoro interinale (ulteriore forma di sfruttamento nello
sfruttamento).
Nella realtà milanese a fronte di un tasso di
disoccupazione inferiore rispetto alla media nazionale, il lavoro precario è
una delle condizioni più diffuse, con una percentuale (tra le nuove assunzioni)
di circa il 70% di contratti di lavoro "flessibili". Il pacchetto
Treu non è che l'esempio di legalizzazione della maggior flessibilità
possibile, come richiesto continuamente dal capitale, nel disprezzo di ogni
garanzia sociale, sia per le assunzioni che per la libertà di licenziamento (vedi
la proposta di legge del deputato di area ulivista De Benedetti, che prevede
l'abolizione della giusta causa da parte del lavoratore rendendo la decisione
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unilaterale da parte dell'azienda). I contratti di formazione e di
apprendistato (riguardanti i giovani dai 16 ai 24 anni), disgregano
ulteriormente i lavoratori, accentuandone le differenze superficiali e
nascondendo invece le identiche condizioni di sfruttamento cui sono tutti
sottoposti, abbattendo ogni forma di potere contrattuale di rivendicazione e di
capacità potenziale di conflitto, rendendoli meri oggetti di ricatto.
DELOCALIZZAZIONE:
la
flessibilità del capitale si va imponendo anche attraverso questo processo; la
liberazione dai vincoli dei confini nazionali, l'abbattimento del concetto di Stato-nazione
per travolgere ogni possibile ostacolo contrattuale o burocratico, la
possibilità di muovere liberamente capitali per investire là dove si contengono
i costi al massimo, dove il lavoro è più sfruttabile, costa poco ed è meno
regolamentato. Ad esempio: imprese che spostano la sede legale in Lussemburgo
per ottenere vantaggi fiscali, la produzione in Thailandia per il basso costo
del lavoro, lasciano qui l'infrastruttura complessiva dove più vicina è la
ricerca tecnologica (asservimento
delle università alle esigenze del capitale) e dove alti sono gli standard
delle comunicazioni.
In questo schema rientrano anche le aree di
produzione.
Ad esempio il nostro Nord-Est, il cui capitale viene
investito in produzioni orientate prevalentemente all'esportazione, facilitata
da una situazione monetaria che vede la lira mantenersi su bassi valori di
cambio.
Anche il fenomeno secessionista assume in queste
aree una particolare valenza economica con forme di ribellismo fiscale contro
uno stato che ha sempre mantenuto una funzione di controllo come elemento di
mediazione fra impresa e Stato sociale.
Il movimento secessionista del Nord-Est, al di là
dall'essere espressione di bassissimi istinti anti-sociali e razziali, può
essere stato direttamente o indirettamente ispirato o alimentato da potenti
settori del capitale tedesco al fine di portare quest'area produttiva sotto la
sfera d'influenza del marco (si veda il ruolo della Germania nella
frantumazione della ex Jugoslavia ed il condizionamento economico su Slovenia e
Croazia).
ESTERNALIZZAZIONE: La facoltà delle imprese di
affidare la produzione o parte di essa a piccole imprese appaltatrici,
micro-imprese ad alta densità di sfruttamento agganciate al ciclo della
sottofornitura, che si integrano all'organizzazione del lavoro dell'impresa
committente. Ne sono esempio le aziendine o cooperative del meridione che
producono capi firmati a bassissimo costo per il settore della moda, ma immessi
sul mercato a prezzi elevatissimi. Anche a Milano questo processo produttivo si
è molto sviluppato con la fine delle grandi fabbriche e con l'adattamento delle
nuove imprese agli schemi di produzione del post-fordismo.
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TEMPI DI
LAVORO E PRODUZIONE "JUST IN TIME": il "just in time" è un modello di
produzione temporanea sull'ordine specifico del prodotto in relazione alla
domanda. E' un modello produttivo adottato in particolare dalle imprese
esternalizzate a personale flessibilizzato. L'impresa produce solo ciò che è
certa di vendere nel momento della stipulazione del contratto, riducendo i
costi di una produzione continuativa e riuscendo così ad eliminare tutto
l'immagazzinaggio. Oggi è proprio la riprogrammazione degli orari il migliore
strumento per una sempre maggiore flessibilità e per la conseguente distruzione
di ogni diritto e delle protezioni sociali. Con la sempre più minacciosa
situazione occupazionale poi, nei lavoratori cresce sempre di più la tendenza
ad accettare la variabilità del tempo di lavoro. Ciò è dovuto però, anche alla
compressione dei salari. Le statistiche europee presentano una generale
diminuzione degli occupati a fronte di un'estensione del tempo di lavoro reale.
L'orario straordinario era da sempre utilizzato dalle imprese per fronteggiare
picchi di produzione "improvvisi" o "emergenziali" mentre
oggi ha assunto un carattere fisiologico. Si registra così un pauroso aumento
delle malattie professionali dovute allo stress, incidenti sul lavoro e morti
bianche. Si è chiesta addirittura la depenalizzazione per alcuni reati di
inadempienza da parte delle imprese responsabili della demolizione degli
apparati di sicurezza sul lavoro. Il part-time non è più una scelta di alcune
fasce di lavoratori che vi vedevano la possibilità di mediare fra reddito e
gestione del proprio tempo, ma un'imposizione delle aziende che vi ricorrono
come forza-lavoro stabilmente occupata o addirittura, in sostituzione ad essa.
Questi contratti poi, rispondono ad esigenze di flessibilità programmata con
una pressochè totale assenza di diritti e di protezione sociale per i
lavoratori. Il modello fordista prevedeva, al contrario, un'organizzazione del
lavoro monolitica, con orari di lavoro rigidamente bloccati e contrattualmente
fissati.
INDIVIDUALIZZAZIONE: è la tendenza da parte
delle imprese a stabilire un rapporto individuale con il lavoratore come nel
modello americano, sganciato dalla logica della contrattazione collettiva,
subordinandone completamente il rapporto dialettico. L'azienda tratta
individualmente orari di lavoro e corresponsione salariale legata solo alla
prestazione effettivamente erogata del servizio. Inoltre il lavoratore è
oggettivamente soggetto ad un elevatissimo livello di controllo sociale. Il
sistema produttivo cerca di "impostare" così una maggiore
partecipazione complessiva del lavoratore all'impresa, finalizzandola
all'ottimizzazione del livello di sfruttamento.
FINANZIARIZZAZIONE: gli enormi profitti che le
aziende hanno ottenuto negli ultimi 15 anni non sono stati più reinvestiti, se
non in minima parte nella ricerca tecnologica o per operazioni di sponsorizzazione
al fine di ottenere ritorni d'immagine. La stragrande maggioranza di questi
capitali è stata utilizzata per speculazioni finanziarie, per costituire il
capitale necessario alla creazione di società finanziarie di autosupporto o per
il finanziamento di altre imprese ad alti tassi d'interesse. Si veda come
questo fenomeno porti enormi flussi di capitale ad avvitarsi su sé stessi.
Nell' economia "globalizzata", il concetto stesso di Stato-Nazione è
ridotto alla pianificazione del più grosso supermercato mondiale. Tutto ciò
avviene mentre la disoccupazione viene considerata strutturale, con un tasso
dato ormai per fisiologico (che al Nord si aggira intorno al 12%).
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La
flessibilità del lavoro e le nuove forme organizzative da essa previste
modificano la composizione della classe, la frammentano agendo per
neutralizzare il conflitto.
Si assiste, in sintesi, alla vera e propria
alienazione del lavoratore dal processo produttivo, alla sua delocalizzazione,
alla disgregazione della classe lavoratrice in diverse tipologie di figure
produttive coesistenti sottoposte ad una selvaggia variabilità dei tempi di
lavoro e ad un controllo sociale schiacciante e repressivo, al progressivo
annientamento di ogni garanzia sociale. Il tutto supportato da una consolidata
sovrastruttura giuridica.
Presi in considerazione questi fattori emergenti, si
rende necessario pensare ad una proposta di riduzione d'orario che non
rappresenti una mera alchimia istituzionale o (come rischia di diventare) una
semplice rivendicazione salariale, svuotata del suo potenziale di rottura.
Alla luce delle valutazioni contenute nella
prima parte del documento è possibile ipotizzare un indirizzo di sviluppo della
società a capitalismo avanzato in 3 "categorie sociali" (stiamo
ovviamente prendendo in considerazione una tipologia di differenziazioni sociali riguardante il lavoro dipendente e/o
autonomo):
Una
parte, ristretta in termini percentuali, che è impiegata con mansioni ad alto
contenuto di specializzazione informatica e tecnologica e con alti livelli di
retribuzione. Ovviamente l'appartenenza a questa "categoria" implica
un'altissima carica di motivazione professionale, di adesione al proprio ruolo
e una interiorizzazione assoluta di valori d'impresa quali la "RAZIONALITA'
PRODUTTIVA" (questo strumento, questa tecnologia, questo prodotto servono?
SI! Allora vanno prodotti… Ma servono A CHI ? E a CHE COSA ?)
Una
parte più estesa, più direttamente addetta alla produzione, commercializzazione
e circolazione delle merci, (senza distinzione tra lavoratori dipendenti o
autonomi) che comprende e spazia dagli addetti alla gestione quotidiana dei
servizi al terziario, fino ad arrivare alla tipologia più bassa di mansioni e
retribuzioni, soggetta ad un livello di ricattabilità lavorativa inversamente
proporzionale alla qualifica professionale e all'interno della quale è
quantitativamente più elevato il numero di donne che per prime sono costrette a
pagare il prezzo dei processi di ristrutturazione.
Infine
un'altra parte, non preponderante in termini percentuali, ma fortemente
caratterizzante dal punto di vista della situazione sociale, disoccupati e
lavoratori "precari", in strettissima relazione con l'ultimo livello
della parte descritta al punto precedente, a causa della sua funzione di
spauracchio e di elemento di ricatto sociale che si espande e si contrae a
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seconda delle esigenze del mercato.
Tutto questo in un quadro complessivo di caduta
delle garanzie sociali, di flessibilizzazione del lavoro, supportato da una
campagna ideologica che assolutizza i valori d'impresa e l'assioma neoliberista
basato sul fatto che i posti di lavoro si creano abbassando i salari e rendendo
sempre più conveniente lo sfruttamento della mano d'opera riducendola quasi a
schiavitù (gabbie salariali - aree di crisi - salari d'ingresso - pacchetto
Treu - ecc…).
Se questi sono i presupposti, dobbiamo anche
avanzare delle riflessioni su battaglie sociali che si rapportino a questa
massa crescente di disoccupati, precari, sottoccupati e lavoratori "autonomi",
che attuano forme feroci di autosfruttamento per sopravvivere nel mercato come
figure sociali e lavorative sempre più diffuse.
La rivendicazione di un reddito di cittadinanza
pare essere una soluzione a questa domanda di ricomposizione, ma offre
sicuramente il fianco a numerose obiezioni:
E'
una rivendicazione che pur tenendo molto alto il tiro delle richieste
economiche (1.500.000 al mese ? E chi va più a lavorare ?!?) nel concreto, con
la contrattazione concertata tra padroni, governo e sindacati, passerebbe alla
fine come sussidio minimo di disoccupazione (vedi la questione delle 35 ore su
base settimanale o su base annuale o come concessione in cambio di una maggiore
flessibilità).
Pare
comunque essere solo una misura tampone e una pura rivendicazione economica
senza assumere un carattere complessivamente antagonista al modo di produzione
capitalistico perché:
§
dal
punto di vista e in linea della prospettiva di una trasformazione radicale
della stato di cose presenti, crea maggiori contraddizioni alla borghesia un
allargamento della base produttiva e una ricomposizione di classe sulla base di
una lotta per la piena occupazione o la creazione di isole territoriali a cui
viene garantito reddito e sopravvivenza ed esclusione dal conflitto generato dai
rapporti di produzione ?
In
che maniera questa soluzione può non ingenerare ancora maggiore confusione sul
concetto di "spazi liberati", "tempo liberato" e
sull'impiego di risorse umane su un terreno sostanzialmente
"compatibile" come quello del settore "NO PROFIT" (tanto
caro guarda caso alla fondazione Agnelli…)- infatti da questo punto di vista in
un colpo solo si darebbero risposte a problemi diversi:
§
Reddito
di cittadinanza e/o investimenti pubblici nel NO PROFIT equivarrebbero ad una
delegittimazione dello stato sociale con investimenti nel privato (sanità ed
assistenza).
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§
Indicando
false e aleatorie risposte alla disoccupazione giovanile e non.
§
Inventandosi
un livello elevatissimo di controllo sociale.
Come
può non sclerotizzare i luoghi di aggregazione sociale e di proposta culturale
come i nostri in una prospettiva di "fine" e per cui "riserva
indiana compatibile" e non al contrario di "mezzo per…"
Come
può questa prospettiva, entrando più in specifico nel merito dell'analisi
scientifica della storia (che si determina come prodotto non meccanico, ma
dialettico dello scontro fra le classi) non avanzare e proporre una teoria che
vede il conflitto prodursi in base a contraddizioni che si vengono a definire
in questa forma sovrastrutturale proprio perché slegate da un contesto di
ricomposizione complessiva ?!
_____________________________________
Nonostante queste valutazioni, la richiesta di un
reddito di cittadinanza apre la strada anche ad una serie di elementi positivi.
La
rivendicazione del reddito di cittadinanza può diventare parte di un fronte di
rivendicazioni sociali che può, su terreni finalmente concreti, riallineare
tutte le figure lavorative e non, espulse dalla produzione cosiddetta fordista
e non più comprese nella figura dell' "operaio-massa", al corpo
ancora percentualmente elevatissimo del lavoro dipendente.
Introduce
con forza dal punto di vista "culturale" e dell'immaginario
collettivo il concetto di diritti e quello dell'egualitarismo contro la
meritocrazia liberista che lega il concetto di "colpa" a quello della
disoccupazione.
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La
rivendicazione forte di un reddito di cittadinanza con un "pacchetto"
allargato di servizi gratuiti (trasporti, sanità, servizi di consulenza,
ecc…,), per i costi elevatissimi di una manovra economica del genere, porrebbe
in luce il problema oggettivo di una redistribuzione del reddito, con una
possibile deflagrante rottura della pace sociale e caricandosi così di una
valenza più politica e meno rivendicativa e sicuramente di meno facile
soluzione per la borghesia.
_____________________________________
Per concludere, questo documento rappresenta lo
sforzo di mettere nero su bianco il dibattito avvenuto nella commissione
sportello lavoro allargatosi poi a tutto il collettivo per poi ritornare per un
ulteriore sforzo di sintesi all'interno della commissione. Crediamo che, pur
con tutti i suoi limiti, sia stato uno sforzo positivo e che sia andato nella
giusta direzione in due aspetti:
1.
Cerca
di fornire con uno sforzo di sintesi, maggiori strumenti di analisi e di
elaborazione per fare sedimentare in termini di conoscenza collettiva tutte le
valutazioni emerse nell'ultimo anno di lavoro politico.
2.
Pone
sul piano dell'analisi teorica e dell'iniziativa un ventaglio di opzioni per
una pratica politica di massa che su ambiti specifici, scomposti e
parcellizzati come il lavoro dipendente, precarizzato, autonomo e sulla
disoccupazione sia in grado di provare a esprimere una strategia di
ricomposizione di un fronte di classi subalterne sul terreno concreto di una
lotta per diritti e garanzie sociali.
Rilanciamo, pur con tutte le contraddizioni queste
due battaglie come espressione del diritto di ogni individuo di vivere
dignitosamente e di liberare la propria esistenza dalla coercizione del lavoro
salariato.
Che queste battaglie siano l'occasione per
sperimentare sul territorio nuovi percorsi di lotta, punti di riferimento e
luoghi di ricomposizione e di capacità di conflitto.
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Soltanto arricchite da questi contenuti saranno in
grado di mantenere una valenza realmente antagonista e non solo di ribellismo
sociale.
Soltanto concependo questa lotta come costruzione di
momenti unificanti di tutti i settori subalterni avrà significato e
potenzialità antagonista, per incanalare poi, in ogni minuto di tempo liberato,
le nostre energie per la ricostituzione e dell'identità di classe.
Ed è proprio su questo aspetto della ricomposizione
politica sul terreno della lotta per obiettivi paralleli e unificanti che si
gioca la possibilità di incidere realmente all'interno delle contraddizioni del
modo di produzione capitalistico per un cambiamento radicale dell'esistente.
Sulla capacità di riaffermare il nostro ruolo
rispetto a queste strategie di ricomposizione, si gioca la valenza non
idealistica e velleitaria, ma ideale e concretamente antagonista di ogni tipo
di battaglia anche minimale o vertenziale che noi potremo costruire.
Battaglie sulle morti bianche, sulla mafia delle
assunzioni alle poste, sul verde, su problemi specifici o su grandi questioni
ideali, ecc…
Consci del fatto che le battaglie per l'aggregazione
sociale senza cultura della politica sono oggi diventate terreno di
integrazione e di pacificazione sociale, dobbiamo sviluppare un'intelligenza
collettiva che ci sappia far agire a tutto campo.
E' necessario elevare qualitativamente l'aspetto
dell'aggregazione sociale con una sollecitazione continua di spunti di
riflessione, fare proposte culturali come espressione dal basso di una esigenza
e di un diritto alla comunicazione al di fuori della quotidiana mercificazione
anche dei rapporti interpersonali riannodando questi elementi al filo rosso
delle battaglie antisessiste, antifasciste, antirazziste, che portiamo avanti
quotidianamente e che la nostra carica radicale deve rendere deflagranti.
C.S.A.
VITTORIA
Per una
società senza classi e senza padroni
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