GIORGETTI-BALDI_Espressività della velocità di lettura in giovani

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GIORGETTI-BALDI_Espressività della velocità di lettura in giovani
ESPRESSIVITÀ DELLA VELOCITÀ DI LETTURA IN GIOVANI ADULTI: EFFETTI DI ALCUNE
VARIABILI PSICOLINGUISTICHE
Marisa Giorgetti1, Pier Luigi Baldi2
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2
Servizio Clinico Spaee – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Abstract
Il contributo intende indagare la velocità di lettura di un campione di normolettori adulti di lingua
italiana, in funzione di stimoli con valore lessicale (parole) e stimoli senza valore lessicale (non
parole), entrambi pareggiaie per lunghezza. Inoltre per le sole parole la lunghezza (corte 4–5
lettere; lunghe 8–10 lettere) è stata incrociata con la frequenza d’uso (alto e basso numero di
occorrenze nel corpus VELI della lingua italiana). Per le liste di stimoli aventi queste caratteristiche,
in letteratura sono disponibili dati normativi per soggetti di scolarità compresa tra la prima
elementare e la terza classe della scuola secondaria di primo grado (Zoccolotti, De Luca, Di
Filippo, Judica & Spinelli, 2005 , 2005a).
In questo lavoro di ricerca, gli effetti delle variabili precedentemente descritte sono stati studiati su
un campione di 50 soggetti universitari (di età compresa tra i 21 e i 23 anni), al fine di verificare
quale o quali combinazioni risultano essere maggiormente influenti sui tempi di lettura. Il disegno
sperimentale utilizzato per l’analisi statistica è un disegno a misure ripetute ad effetti fissi.
Parole chiave:
- Italian good readers, Reading speed, Frequency effect, Length effect, Lexicality effect
- Normolettori italiani adulti, rapidità di lettura, effetti di frequenza, lunghezza e lessicalizzazione
Introduzione
Un dato rilevante che si riscontra nel panorama formativo italiano è la presenza di studenti
con dislessia, iscritti ai corsi universitari di varie Facoltà degli Atenei del territorio
nazionale. Queste iscrizioni sono segno, da una parte, dell’innalzamento del livello di
scolarizzazione e, dall’altro, del lavoro di sensibilizzazione condotto a favore dei bambini
diagnosticati “dislessici”, negli ordini di scuola che precedono l’Università che possono
così raggiungere un livello formativo superiore all’obbligo scolastico.
Recentemente la Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati per la Disabilità
(CNUDD) ha incluso la dislessia tra i temi sui quali porre particolare attenzione negli
Atenei. A tal fine i “servizi per studenti disabili” si stanno attivando per accogliere e
garantire il diritto allo studio a utenti con DSA, che mostrano specifiche e persistenti
inefficienze nelle abilità di lettura e scrittura. Competenze, queste, che sono strumentali ad
un adeguato percorso formativo che inevitabilmente richiede agli studenti con DSA
prestazioni in linea con gli obiettivi professionalizzanti del percorso di studi prescelto.
Un aspetto non trascurabile è la richiesta, da parte degli organi universitari preposti, agli
studenti interessati di esibire una certificazione diagnostica recente e aggiornata, che
definisca il profilo prestazionale in lettura, scrittura e comprensione. Tale questione solleva
problemi di non poco conto relativamente alle modalità e agli strumenti diagnostici
standardizzati disponibili per tale fascia d’età.
I DSA sono considerati anomalie a base neurobiologica che permangono per tutto l’arco
della vita (Kemp, Parrila & Kirby, 2009). Le varie manifestazioni del disturbo, dall’infanzia
all’età adulta, sono in funzione della sua severità; maggiore è la gravità, più essa persiste
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nel tempo e più significativo è il peso delle alterazioni neurobiologiche. Questo dato si
evidenzia sia nelle ricerche internazionali (Hatcher, Snowling & Griffiths, 2002), sia in
alcuni studi italiani (Lami, Palmieri, Solimando & Pizzoli, 2008; Tressoldi, 1996). Più
precisamente sembra che il disturbo dislessico non si compensi mai pienamente anche
nelle forme di minor gravità, anche se i percorsi evolutivi mostrano miglioramenti più
evidenti per i soggetti dislessici medio–lievi, rispetto ai soggetti con dislessia severa
(inferiori a - 3 deviazioni standard). Pur nella varietà dei quadri clinici, per i soggetti con
dislessia evolutiva, un nodo cruciale per i ricercatori è definire come cambino i disturbi di
lettura, scrittura e calcolo dopo la terza media e come evolvano i meccanismi di
compensazione dopo anni di sforzi fatti nella scuola dell’obbligo. Gli studi longitudinali,
pochi per il momento, hanno lo scopo di identificare le funzioni che rimangono deficitarie
nel corso dello sviluppo. Il termine “compensato” non deve indurre a pensare che il
problema sia risolto, ma sta ad indicare che le modificazioni nella rapidità di lettura e la
sua accuratezza evolvono anche per chi presenta una dislessia evolutiva.
Per rispondere alla necessità di comprendere e descrivere le difficoltà di lettura (in rapidità
e accuratezza) dei giovani adulti, l’esigenza che si pone è duplice:
 disporre di dati normativi riferibili alla popolazione degli studenti universitari
normolettori;
 raccogliere le evidenze prestazionali per la letto–scrittura in studi longitudinali per
avere i trend evolutivi della disabilità in campioni di ragazzi oltre la scuola secondaria
di primo grado.
Per la lingua italiana è disponibile uno studio (Stella & Tintoni, 2007) che va ad individuare
i valori normativi di riferimento per la popolazione delle scuole secondarie di secondo
grado, utilizzando liste di parole e liste di non-parole (batteria Sartori, Job & Tressoldi,
1995). Lo scopo finale di questo studio è ottenere i criteri diagnostici di riferimento per il
disturbo di lettura, allungando la scala di riferimento prima d’ora disponibile fino al terzo
anno della scuola secondaria di primo grado. Per la rapidità di lettura degli studenti
universitari è invece possibile riferirsi alle norme pubblicate da Judica e De Luca (2005).
Questi dati si riferiscono alla lettura di due brani disponibili gratuitamente sul sito
dell’Ospedale Santa Lucia di Roma. Infine recentemente è stato pubblicato (Martino,
Pappalardo, Re, Tressoldi, Lucangeli & Cornoldi, 2011) un contributo alla
standardizzazione di una batteria per la valutazione della dislessia nell’adulto, messa a
punto dall’Università di Padova.
Il presente lavoro vuole essere un apporto ai dati già disponibili per ampliare il trend
evolutivo del profilo di lettura di giovani adulti in funzioni di liste di parole e non-parole che
si caratterizzano per specifiche variabili psicolinguistiche. Più precisamente sono state
utilizzate le liste messe a punto da Zoccolotti, De Luca, Di Filippo, Judica e Spinelli
(2005)1 che prevedono stimoli con valore lessicale (parole) e stimoli senza valore lessicale
(non-parole), entrambi pareggiati per lunghezza. Inoltre, per le sole parole, la lunghezza
(corte 4–5 lettere; lunghe 8–10 lettere) è stata incrociata con la frequenza d’uso (alto e
basso numero di occorrenze nel corpus VELI della lingua italiana, 1989).
Materiale
Le caratteristiche degli stimoli somministrati consentono di controllare tre variabili
psicolinguistiche:
la lessicalità, la frequenza d’uso e la lunghezza.
 La lessicalità distingue la procedura segmentale (o sublessicale) che si fonda
sull’applicazione di regole di corrispondenza ortografico–fonologica dalla procedura
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Per queste liste sono disponibili dati normativi solamente per soggetti di scolarità compresa tra la prima
elementare e la terza classe delle scuole secondarie di primo grado.
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“diretta” accedendo a esplicite conoscenze lessicali. La prima procedura è quella
utilizzata per leggere parole poco frequenti o non-parole.
 La frequenza d’uso esprime il numero di occorrenze di una parola in un corpus di
linguaggio relativamente ampio. Questa misura offre una stima della frequenza con cui
un individuo ha ascoltato o letto una determinata parola e di conseguenza del grado
di rappresentazione che questa ha a livello dei lessici fonologici ed ortografici.
 La lunghezza delle parole, ovvero il numero delle lettere che compongono una parola,
incide sulla rapidità di decodifica a motivo dell’ampiezza della saccade dell’occhio. Per
l’italiano, i dati suggeriscono un effetto della lunghezza, piccolo ma attendibile, anche
nel lettore adulto (Barca, Burani & Arduino, 2002; Bates, Burani, D’Amico & Barca,
2001).
Altre variabili psicolinguistiche che la letteratura ha messo in evidenza per la lingua italiana
sono le regole contestuali, il vicinato ortografico e l’età d’acquisizione.
Qui di seguito è riportato uno schema per rendere conto delle caratteristiche delle liste e
della loro sequenza, rispettata anche nel momento della somministrazione.
Da notare che per consentire un riscaldamento da parte del soggetto sono previste delle
liste da leggere sia per le non-parole che per le parole. Tali liste con funzione filler
ovviamente non rientrano nel conteggio dei tempi di lettura.
Prova
Non
Prova
Parole
parole
Non Parole
prelimina
prelimina
ri
corte lunghe
ri
15
30
30
15
tempi
tempi
errori
errori
Parole
ALTA frequenza d’uso
corte
30
tempi
errori
lunghe
30
tempi
errori
Parole
BASSA frequenza d’uso
corte
30
tempi
errori
lunghe
30
tempi
errori
Obiettivi
1.
Rilevare per liste di stimoli, bilanciate per frequenza, lessicalità e lunghezza, i tempi
e gli errori su un campione di giovani adulti.
2.
Confrontare la prestazione di lettura di questo campione di soggetti universitari con
quella ottenuta sul campione di studenti della scuola secondaria di primo grado al fine di
verificare il trend evolutivo.
3.
Analizzare il ruolo e il peso delle variabili indipendenti che caratterizzano il campione
degli stimoli. Si può infatti ipotizzare che i soggetti con normali capacità di lettura siano
influenzati dalla lunghezza dello stimolo solo nel caso di stimoli senza valore lessicale
come già rilevato in letteratura (De Luca, Borrelli, Judica, Spinelli & Zoccolotti, 2002).
Campione
Gli effetti delle variabili precedentemente descritte sono stati osservati su un campione di
50 soggetti universitari di genere femminile (40 pari all’80%) e di genere maschile (10 pari
al 20%) di età compresa tra i 21 e i 23 anni (età media 22,52) frequentanti per il 46% il
terzo anno di vari corsi di laurea. I criteri di inclusione, al fine di avere garanzie che si
trattasse effettivamente di un campione di normolettori, sono stati:
• i punteggi ottenuti alla prova “analogie” del test WAIS (≥ di 8)
• un punteggio adeguato ai cut-off della scala di autovalutazione ADCL (Revised
Adult Dyslexia Checklist di Vinegrad, 1994)
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• un punteggio non inferiore a –1,5 d.s. nella prova di velocità di lettura al brano
“funghi” (Judica & De Luca, 2005).
Nessun soggetto ha riportato, in sede di colloquio, difficoltà particolari nell’acquisizione
della letto-scrittura.
Procedura
Le liste sono state somministrate seguendo l’ordine proposto dalle norme relative al
materiale in uso. Sulla prestazione di ciascun soggetto sono stati rilevati un punteggio di
rapidità, dato dal tempo complessivo (espresso in secondi) impiegato per leggere ogni
lista composta da trenta stimoli, e un punteggio di correttezza, dato dal numero di errori
commessi nella lettura di ogni set di liste; si assegna 1 punto per ogni item letto in modo
errato e 1 punto nel caso di correzioni spontanee (autocorrezioni).
Risultati2 e conclusioni
Per rispondere al primo obiettivo sono state applicate statistiche descrittive sui tempi di
lettura ottenuti dai soggetti per ciascuna lista. In particolare, dall’esame dei risultati si
osserva che le stringhe verbali corte sono quelle lette con maggior rapidità
indipendentemente dai livelli della variabile frequenza e dall’essere parole o non-parole.
Tempi decisamente più elevati rispetto alla restante tipologia di liste si riscontrano per le
non-parole lunghe. Interessante sarà valutare se l’impatto della lunghezza dello stimolo si
evidenzi maggiormente nel caso di parole a bassa frequenza o nel caso di non-parole,
cioè di stimoli per i quali non esiste un corrispettivo nel lessico ortografico.
L’andamento delle prestazioni per gli errori mostra una percentuale molto bassa – pari o
inferiore all’1% – di correzioni o autocorrezioni. Solo nel caso delle non parole lunghe tale
percentuale tende a salire, ma senza superare la percentuale dell’1,8%.
In merito al secondo obiettivo che ci siamo posti, i dati ottenuti con gli universitari sono
stati confrontati con le prestazioni conseguite dal campione dei ragazzi di terza classe
della scuola secondaria di primo grado. I grafici mostrano un profilo perfettamente analogo
per le due fasce d’età, per ciascuna lista di parole. Nello specifico, sono gli studenti
universitari ad ottenere tempi di lettura inferiori, mostrando una differenza nella fluidità di
lettura che tuttavia non si ha modo di verificare se statisticamente inferiore rispetto al
campione dei ragazzi di terza media (v. fig.1).
Per quanto riguarda l’accuratezza di lettura (v. fig.2), si rileva che, pur mantenendosi per
entrambi i campioni su valori minimi, questa aumenta e si stabilizza considerevolmente
per tutte le liste, per i soli studenti universitari.
Figura 1 – Il grafico riporta i tempi per ciascuna delle liste di parole (in ascissa) e le
prestazioni ottenute in tempi/sillaba (in ordinata) per i due campioni di soggetti:
universitari e studenti di terza della scuola secondaria di primo grado.
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I risultati dettagliati, relativi alle medie per i tempi e ai percentili per gli errori, sono in corso di pubblicazione.
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Figura 2 – Il grafico riporta gli errori (in ordinata) per ciascuna lista di parole (in
ascissa), per i due campioni di soggetti: universitari e studenti di terza della scuola
secondaria di primo grado.
Infine, per analizzare il ruolo e il peso delle variabili psicolinguistiche che caratterizzano le
liste di stimoli, si è proceduto ad applicare un’analisi della varianza parametrica
multivariata a effetti fissi.
I dati mostrano un ruolo specifico della lunghezza delle parole, della frequenza d’uso nello
spiegare porzioni ampie di varianza, considerando il modello d’analisi complessivamente
preso (v. fig.3). Si riscontrano oltre ai suddetti effetti principali anche effetti di interazione.
L’influenza specifica delle variabili indipendenti (lunghezza–lessicalità–frequenza) e le loro
interazioni sono state analizzate attraverso i t test per campioni appaiati. Rispetto alla
numerosità di tutti i possibili confronti a coppie, si procede a rilevare unicamente quelli che
a nostro parere sono di maggior rilievo. Di conseguenza una prima riflessione sta
nell’evidenziare che i tempi di lettura per le non-parole lunghe differiscono
significativamente rispetto ai tempi ottenuti per tutte le altre liste. Questo dato, per altro
atteso, assume una sua rilevanza se lo si considera alla luce di altre relazioni. Una di
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queste è data dall’interazione tra lunghezza e lessicalità (non-parole corte) e lunghezza e
frequenza (parole lunghe ad alta frequenza): i tempi di lettura non differiscono
significativamente; si tratta di una controprova che il soggetto utilizza per queste ultime la
via diretta di lettura, che risulta maggiormente rapida anche se l’articolazione fonologica è
di fatto inferiore per le stringhe corte di lettere.
La modalità diretta di lettura pare essere confermata anche dalla significatività che si
riscontra tra parole di pari lunghezza (nello specifico parole lunghe) ad alta e bassa
frequenza. Questo dato sottolinea il ruolo centrale per i normolettori della via diretta, che
rimane sensibile alla maggior o minor familiarità con la stringa di lettere. L’accesso diretto
al lessico potrebbe essere il fattore critico (a differenza dei soggetti con DE) per lettori
senza dislessia evolutiva (DE).
Figura 3 – Rappresentazioni dei valori medi ottenuti dalle liste di parole
congiuntamente considerate.
In sintesi, dai dati fin qui riportati si può dire che globalmente la rapidità di lettura decresce
per la lettura di parole, a scapito delle parole lunghe e decresce sensibilmente per le nonparole soprattutto se lunghe. I confronti con le prestazioni ottenute per la fascia d’età dei
ragazzi di terza media, disponibili in letteratura, mostrano che globalmente gli universitari
hanno prestazioni migliori e minore è l’incidenza della frequenza d’uso delle parole a
riprova che un magazzino lessicale favorisce e migliora i tempi di lettura.
Per quanto concerne l’accuratezza, si osserva un sensibile miglioramento in funzione
dell’età: gli studenti sono molto accurati indipendentemente dalla frequenza e dalla
lunghezza. Percentuali minime di errori si riscontrano per le non-parole a condizione che
queste siano lunghe. Ciò è una riconferma che la lunghezza ha un effetto piccolo, ma
attendibile, anche per il lettore adulto (Barca, Burani & Arduino, 2002; Bates, Burani,
D’Amico & Barca, 2001). Questi due rilievi consentono di dire che la capacità di
decodificare il testo, misurata in termini di velocità e di accuratezza, continua a svilupparsi
nel tempo anche oltre il terzo anno della secondaria di primo grado.
Ci si augura di poter applicare le medesime liste di stimoli con studenti universitari
caratterizzati da dislessia evolutiva, al fine di individuare i profili di prestazione in funzione
delle variabili psicolinguistiche prese in esame e di poter operare dei confronti con il
campione degli studenti senza DE.
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