Alla ricerca di Lei

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Alla ricerca di Lei
Alla ricerca di Lei
Prologo
Porto Tolle, Venerdì 17 Giugno 1931
Cara Lei,
Papà è sempre nel suo studio a scrivere, esce solo per vedere se sto bene.
Tutto è sulle spalle di Milo: lui mi vuole veramente bene. So che soffre per molte cose, anche se non lo fa vedere. Lui e papà
non si parlano.
L’altra notte Vi ho sognata, non vedo l’ora di incontrarVi!
Valentina
ALLA RICERCA DI LEI
Milo non rimase in casa: corse verso la riva del grande fiume, dove le acque stagnavano in un lago morto; la gamba pesava e la
palude era più torbida, più insidiosa. Gli alberi si muovevano al soffio del vento e le fronde del vecchio salice dell’isolotto,
frusciando, producevano il familiare suono dell’infanzia di Milo, che ora gli sembrava tanto inquietante. “Valentina è là, da
qualche parte”, pensava.
La cercava disperato con lo sguardo: poteva essere sull’altra sponda, oppure sull’isolotto degli Aironi. No, là non c’era, secche e
mulinelli non permettevano di raggiungere nessuno di quei luoghi. Come era potuta sparire così, come un fantasma nella
nebbia? Poi.. il lampo di un pensiero attraversò la mente del ragazzo: no, non può essere… Dove sei, Valentina, dove sei?
Milo rientrò in casa. Si sentiva vuoto, il pavimento legnoso e grezzo gli sembrava una tela di ragno viscida e instabile, pronta a
lacerarsi per farlo scivolare nel nulla.
Si lasciò cadere sul letto. Intorno, il vuoto. Volse lo sguardo alla finestra: gli parve che un’ombra lo fissasse, raccolta in un velo
di nebbia. Chiuse forte gli occhi e, quando li riaprì, l’ombra era scomparsa. Milo s'alzò di scatto dal letto e si diresse verso la
camera di Valentina, spinto da una forza misteriosa dentro di lui.
La stanza della ragazza si trovava nel sottotetto. Era grande, però molto buia, l’unica fonte di luce naturale era un varco
apertosi tra l’albero che si intersecava alla casa e la parete. Sotto quella quercia c'era il letto di Valentina: un materasso
circolare coperto da cuscini. Dai rami dell’albero pendevano lanterne ricavate da vecchi barattoli di vetro, creando un effetto di
protezione sul letto. La parete perpendicolare alla porta era composta da un’unica, grande, libreria: c’erano libri, quaderni, vasi
di fiori e delle teche dove erano fissati con spilli i corpicini morti di farfalle variopinte.
Sulla parete opposta vide il tavolino traballante e la vecchia sedia a dondolo, su cui era appoggiata una coperta di lana. Sul lato
della porta c'era un grande guardaroba di abete profumato. Il piccolo e strano mondo di Valentina, che papà proteggeva e
venerava.
Milo si accorse che, sul tavolino, mancavano gli oggetti personali della sorella: il diario, l’astuccino e la sua coperta. Mancavano
anche alcuni vestiti. Sembrava che Valentina si fosse preparata per partire, in effetti ricordava che, quel pomeriggio, il suo zaino
era più voluminoso del solito.
Milo attraversò la stanza e si sedette sul letto, su cui erano sparpagliati diversi fogli del diario di Valentina. Erano tutte lettere
mai spedite, indirizzate a una certa Lei. La ragazza le parlava e si confidava come con un’amica: chi era, Lei?
Il ragazzo preparò frettolosamente uno zaino e, dopo un profondo respiro, varcò l’uscio di casa, addentrandosi nella foresta.
-Sono tornato a casa, sfinito. La stavano cercando, ma non l’avrebbero trovata: la palude è troppo insidiosa per chi non è di qui.
Avevo intenzione di scriverle di questo, subito, forse “Lei” l’aveva “sentita”, “sapeva” dove fosse la mia Valentina...
Dopo essermi levato il cappotto, sono andato nello studio, chiamando Milo, ma non rispondeva. L’ho cercato nella sua stanza.
Niente. Sono salito in camera della mia Valentina, sperando che lui fosse lì. Mi sbagliavo. Sul letto, c’erano molte lettere. Erano
scritte a ... Non era possibile. Le scriveva ed era andata a cercarla. E Milo con lei.La foresta era umida. Milo faceva fatica a muoversi, soprattutto per via della gamba. Perché a lui? La sua vita era sotto una
cattiva stella: la madre morta, la gamba secca, il padre estraneo, la sorella scomparsa.
Il ragazzo era immerso nei pensieri, quando la rivide: l’ombra era ricomparsa accanto a un albero, aveva occhi luminosi che lo
fissavano, come a dirgli “Seguimi!”. Milo si bloccò: cos’era? Cosa fare? Nascondersi? Scappare? Lo avrebbe trovato. Era
sicuramente qualcosa di malvagio.
Il ragazzo si mosse lentamente, proseguendo sul cammino. L’ombra lo guardò in un modo malinconico e poi sparì nella
sterpaglia, lungo il lato destro del bivio che divideva in due il sentiero: passandogli vicino, la nebbia che circondava la figura
investì Milo, come una fredda raffica di vento: fu allora che il ragazzo udì una voce che gli sembrò di conoscere e scorse un viso
familiare, simile a quello di alcune foto che il padre proibiva ai gemelli di prendere, anche se loro forzavano la serratura del
baule e fantasticavano sull’identità della donna delle foto e fingevano che fosse quella, la loro madre sconosciuta.
La foschia e l’ombra svanirono. Milo prese la via indicatagli dalla figura. Valentina è alla fine di questo sentiero, si diceva il
ragazzo. Che strano, però! Stava camminando bene, senza impicci! La gamba non gli dava fastidio, funzionava! Milo, in estasi,
si mise a fare ciò che avrebbe sempre voluto: corse, più veloce del vento, liberandosi dal peso che lo opprimeva da sempre.
Si fermò solo quando vide una casa. Insolito. Una casa lì, da quando? Non era ricca, grande o colorata. Era più piccola della
loro, ma era molto bella. Forse era per la tinta verde oliva dei muri, o per la piccola veranda con le lanterne, o per le finestre
decorate con tende di raso violetto. Milo voleva raggiungerla, ma l'isolotto dove si trovava non aveva ponti e l’unica barca era
sulla riva opposta, probabilmente per essere usata dagli inquilini.
Il ragazzo si tuffò, il richiamo di quella casa era troppo forte e intenso. L’acqua era limpida, diversamente dal resto della palude.
Era facile nuotarci. Milo attraversò lo stagno agevolmente e si diresse verso l’entrata dell’abitazione. Si sedette su una seggiola
nella veranda, per riposarsi. Dall'interno, udì provenire una voce soave, la stessa della figura ombrosa: il cuore ebbe un fremito,
la vista si offuscò.
Si ritrovò altrove, seduto nel soggiorno di casa. Lui e la sorella erano piccoli e lei piangeva, raggomitolata sul tappeto. Il padre
urlava. Non era arrabbiato, era disperato. Una donna entrò nel salotto. Fece una carezza ai gemelli, prese delle valigie
appoggiate sul divano e uscì dalla casa correndo. Poco dopo arrivò il padre, ma la donna era ormai troppo lontana. L’uomo
prese in braccio Valentina, lasciando il bimbo a terra, solo, abbandonato: il bimbo sentì la sua piccola gamba irrigidirsi per
sempre, come un legno secco.
Milo si risvegliò, a terra, nella veranda: la donna della visione e sua sorella lo guardavano divertite. Si toccò la gamba: era
davvero guarita.
Valentina accompagnò Milo nella casa e lo fece sedere su un divano di pelle color tabacco. La donna si era accomodata su una
poltrona di fronte a lui. Indossava un vestito verde fondo di bottiglia lungo fino ai piedi, scalzi. I suoi capelli erano castani, come
quelli dei gemelli. Gli occhi erano del colore della palude, verdi e profondi come l’acqua che circondava la sua casa. Guardava
Milo amorevolmente, quasi come una madre.
Valentina tornò con un vassoio colmo di biscotti, probabilmente fatti in casa. La ragazza si sedette accanto al gemello e
cominciò a sgranocchiare un biscotto, alquanto a disagio. La donna prese da mangiare e, contemplando i gemelli, disse che
ormai mancava solo Ludovico. Milo distolse lo sguardo dal topino che stava fissando e squadrò la donna. Esisteva un solo
uomo nella palude, con quel nome: “Papà...” e nessuno lo chiamava così, da tempo. Passarono alcuni momenti di silenzio, di
sguardi e il vassoio, poco a poco, si svuotò.
Dopo un sordo cigolio entrò nella casetta il padre, sollevato. Si sedette accanto ai gemelli e cominciò a parlare : “Lei è vostra
madre, figli miei”. Valentina sorrise, mentre Milo cercò di alzarsi dal divano, furioso, confuso, ma il padre lo bloccò, “Ascolta”, gli
disse: non era nervoso, come al solito, ma calmo, gentile. Il ragazzo obbedì.
“Mi sono allontanata da voi quando avevate solo un anno. So che vi sembrerà strano, assurdo, ma io sono una maga. Per
questo me ne andai. Avevo paura dei miei poteri, della mia diversità. Avevo paura di me stessa. Avrei potuto farvi del male. Vi
amavo troppo, mi allontanai per proteggervi, per difendervi da quella cattiva madre che sarei potuta diventare. Ma vi “vedevo”,
Valentina veniva a farmi visita nei sogni, ci parlavamo e mi scriveva... ed è riuscita a trovarmi.”
Non disse altro. Fu il padre a parlare:
“Perdonami, Milo. Non sono stato un vero padre per tutto questo tempo. Cercavo di proteggere te e, soprattutto, Valentina, che
vedevo così sensibile, così simile alla Mamma (ogni tanto la “sentivo”)... Mi sono reso conto di aver sbagliato. E ti chiedo scusa,
Milo, per averti lasciato solo”.
Milo fece per parlare, ma non riuscì a dir nulla. Parlò per lui sua sorella:
“Vi perdoniamo, tutti e due. La nostra diversità, mia, di Milo, della mamma, non deve dividerci, anzi deve unirci e renderci più
forti. Le nostre differenze sono il cuore di questa famiglia. Non dobbiamo scoraggiarci. Cosa hanno le altre famiglie, che noi non
abbiamo? Noi abbiamo una casa, l’amore e il calore di chi ci vuole bene.
Noi possiamo essere una famiglia, diversa, ma unica e vera.”
Epilogo
Porto Tolle, 13 ottobre 1931
Cara Lei, cara Mamma,
ora posso finalmente dirlo! Sono diversa e mi piace! Nessuno lo aveva mai capito. Ma è importante. E’ necessario conoscere la
propria identità, i propri valori e i difetti, le proprie somiglianze e le diversità.
Ho capito che queste non servono a allontanarci, esse ci aiutano a comprendere e a capire che non bisogna avere paura,
essere diffidente o disprezzare chi non ci somiglia, ma apprezzarlo ancora di più
La tua Valentina
Le tue immagini
L'isolotto degli Aironi
La stanza di Valentina
La casa misteriosa