Untitled - M.G.L. Valentini

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Untitled - M.G.L. Valentini
Monica M.G.L. Valentini
La spada bianca
DELLA STESSA AUTRICE:
Cristalli
La spada bianca
Il condottiero
Il richiamo del silenzio
Principe delle tenebre
Agemina
L’ombra della ginestra
Come convivere con uno sport sconosciuto
Roma vista da me
E il mondo non fu più lo stesso…
ISBN 978-1-4092-8791-9
© 1986 MGL VALENTINI
Tutti i diritti riservati
Copertina: MGL Valentini
Grafica: Marco Licio Fabi
Contatta l’autrice
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In questo secondo, l'uomo, che Dio aveva creato a
propria immagine e somiglianza, aveva compiuto,
con l'aiuto della scienza, il primo tentativo per
annientare se stesso.
Il tentativo era riuscito.
“Il gran sole di Hiroshima"
A mio figlio
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i svegliai di soprassalto in piena notte, consapevole che quanto
avevo sognato non era frutto di una fantasia sfrenata, bensì la realtà, una
cruda e amara realtà. Tutto il mio vecchio corpo era freddo, come se
avessi dormito un sonno eterno, eppure non mi meravigliai: del resto la
vita e la morte per me erano due entità inscindibili che mi
accompagnavano, e mi accompagnano tuttora, da tempo immemorabile.
Mi alzai dal giaciglio a rilento, presi il logoro mantello appoggiato su
una sedia e lo indossai sopra i pantaloni e la camicia, anch'essi ridotti
all'osso, forse più di me. Lo sguardo mi cadde sulla spada, una bellissima
e antichissima Katana, poggiata a terra accanto alla parete: sapevo fin
troppo bene che dove stavo andando non mi sarebbe servita e la lasciai
lì.
Mi avvolsi nel mantello, coprii la testa col cappuccio e mi affrettai a
uscire dalla catapecchia che mi ospitava già da molti anni, inoltrandomi
nella notte fredda. Il cielo stellato, anche se opaco, mi indicò la via in
mezzo al deserto e con il mio grave passo iniziai a camminare senza più
la baldanza e lo spirito di un giovane.
Mi stavo dirigendo incontro a qualcosa che avrebbe mutato la mia
esistenza e ne ero consapevole. Non era sesto senso, tanto meno una
qualsiasi reazione emotiva a farmelo sapere, bensì la mia perfetta
conoscenza del passato e del futuro, così come conoscevo, e conosco, i
segreti della vita e della morte.
Era scritto da tempo immemore che questo giorno sarebbe arrivato ed
io non potevo fare nient’altro che accettare l'ineluttabile.
Mentre proseguivo nel cammino mi guardai un attimo intorno e
all'evanescente chiarore stellare vidi solo deserto e solitudine. La qual
cosa mi era fin troppo familiare in quanto, da anni, avevo scelto di vivere
isolato, da eremita e i pochi sopravvissuti al disastro non sapevano
neppure che esistessi. O meglio: erano certi che fossi morto, dato che
avevo da un pezzo superato il secolo di vita.
Era quasi l'alba quando, infine, giunsi sul posto.
La scena che mi si presentò agli occhi era identica alla visione: il
furgone era stato dato alle fiamme e lo scheletro annerito fumava ancora,
alzando una colonna nera verso il cielo terso. Mi avvicinai e gettai
un'occhiata all'interno e le ossa, o quello che restava, sparse sul posto di
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guida mi confermarono che l'uomo era stato dato alle fiamme insieme al
furgone. Con un sospiro distolsi lo sguardo e scrutai intorno.
Un fiumiciattolo scorreva lì vicino, quasi seccato dal perenne calore
del sole, e mi avvicinai osservando sconsolato il corpo sfigurato e
mutilato di colei che nella visione mi era apparsa bellissima. L'acqua
scorreva tra i suoi lunghi capelli e li faceva brillare come diamanti alla
luce dell'aurora, mentre il braccio teso testimoniava che fino all'ultimo
aveva cercato di proteggere qualcuno. Al suo fianco, lungo la sponda,
giaceva riverso il corpo dell’altro ragazzo, poco più di un bambino e con
sollecitudine mi diressi verso di lui. Mi inginocchiai e delicatamente lo
rigirai, gli sollevai la testa scansandogli i capelli dal volto esangue,
timoroso di essere giunto in ritardo e al mio tocco le sue labbra pallide
tremarono appena, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
Con delicatezza lo presi in braccio, ignorando volutamente la ferita
che gli squarciava in due il torace e dalla quale continuava a fluire
sangue e mi accinsi a tornare sui miei passi, ben sapendo che l'altro
bambino non l'avrei trovato.
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Ricordo perfettamente che per un attimo il ragazzo morì; sentii la sua
anima lasciarlo in silenzio, discretamente, pronta a tradirlo quando più
aveva bisogno di lei, portandosi con sé i pochi anni di vita vissuta. A
dispetto della mia esperienza, sapevo di non poter fare nulla: dovevo solo
attendere.
Rimasi immobile al suo capezzale, con gli occhi chiusi e una mano
posata sulla ferita che avevo ricucito e che avrebbe lasciato una brutta
cicatrice a perpetuo ricordo. Il suo cuore ancora giovane era fermo, ma
sapevo con certezza che il suo cervello e il suo corpo erano vivi e che
invocavano a gran voce il ritorno alla vita.
Mentre ero lì in attesa che la sua anima tornasse, vidi il suo passato,
così chiaro e limpido che mi parve di viverlo in prima persona.
All'inizio tutto era buio e non riuscivo a respirare, mentre mi dondolavo
e mi rigiravo in un liquido sconosciuto che mi faceva sentire protetto.
Provavo la sensazione di fluttuare in un universo scuro, senza luci e,
nonostante il buio, non avevo paura. Capii che mi trovavo nell'utero
materno e mi godetti quegli attimi privi di peso, dove mi muovevo con
estrema facilità. Solo quando fu il momento di nascere qualcosa mi
attanagliò lo stomaco, mentre venivo spinto dentro un cunicolo troppo
stretto per la mia struttura fisica e sentii un dolore lancinante nell'attimo
stesso in cui vidi la luce per la prima volta.
Ma se quella volta fu solo una sensazione, ricordo perfettamente il
dolore che ho provato tutte le volte che sono venuto al mondo. Questa,
però, è un’altra storia.
Vidi il ragazzo crescere robusto e sereno, circondato dall'affetto dei
genitori e protetto dalla cattiveria umana dalla solidarietà degli abitanti del
suo villaggio. Provai la sua stessa gioia quando, a sei anni, nacque il
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fratellino, che lui vedeva come un esserino grinzoso e niente affatto
attraente. La sua famiglia si dedicava alla coltivazione di un piccolo
pezzo di terra insieme a tutti gli abitanti del villaggio e lui, quando non
doveva badare al fratellino, aiutava volentieri nella semina o nel raccolto,
contribuendo, nel suo piccolo, al benessere della comunità. Fin quando
un giorno il Re non aveva deciso di occupare l'intero villaggio per farne
una sua residenza, confiscando la terra e rendendo schiavi gli abitanti.
Per questo motivo la sua famiglia, nel marasma che si era creato, era
fuggita; ma l'esercito del Re, che era lì proprio per loro, li aveva raggiunti
e aveva ucciso i genitori senza pietà e ferito a morte il ragazzo,
credendolo morto, e portandosi via il piccolo.
La storia, ora, era al presente ma, ciò nonostante, continuai a vedere
il ragazzo crescere con un vecchio che gli faceva da maestro per
renderlo perfetto. Il suo futuro non fu più un segreto per me e quello che
vidi mi fece soffrire oltremodo.
Riaprii gli occhi e seppi che il ragazzo era di nuovo vivo: la sua anima
era tornata, rimandata indietro dai disegni di Kamido.
Allora mi alzai dalla sedia, presi una ciotola piena d'acqua e con una
salvietta gli inumidii il volto pallido e gelido.
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isi la pentola sul fuoco per cucinare il pugno di legumi che erano
rimasti e vidi Zephyr con la spada in mano. La guardava con adorazione
e rispetto, quasi fosse stata una sacra reliquia e la cosa mi divertì. Non
era la prima volta che si interessava a quell'arma: già in precedenza
l'avevo sorpreso mentre la prendeva in mano per studiarne le rifiniture e il
filo, ma non gli avevo mai detto niente, perché sapevo fin troppo bene
cosa lo attraesse di quell'esemplare unico. Rimproverarlo non sarebbe
valso a nulla, poiché tutte le volte era stato così: inconsciamente amava
e venerava quell'arma.
-Sensei,- chiese all'improvviso, continuando a esaminare l’arma, -un
giorno mi insegnerete ad usarla?-A cosa ti servirebbe?Distolse lo sguardo e mi fissò a lungo con quegli occhi penetranti e
misteriosi e rispose:
-Non so. C'è molta gente cattiva e mi piacerebbe sapermi difendere.Annuii vagamente e risposi:
-Vedremo. Sei ancora troppo giovane e prima del braccio, occorre
sviluppare la mente.Parve riflettere a lungo sulla mia risposta elusiva e questo mi lasciò
libero di studiarlo con attenzione. Aveva nove anni e ne era già trascorso
uno da quando l'avevo preso con me salvandogli la vita, eppure
sembrava più adulto, indubbiamente più maturo di un suo coetaneo.
Il volto efebico era dolce e attraente, atto a dissimulare il suo carattere
coriaceo e inflessibile; i suoi occhi dal taglio grande e dalle lunghe ciglia
erano di un verde chiaro che rasentava l'azzurro e a volte la loro
espressione risultava ineffabile. Aveva bellissimi capelli voluminosi e
lunghi che, di tanto in tanto, mi prendevo la briga di tagliuzzare, di colore
tra il candido e l'azzurro.
Nonostante l'aspetto infantile, ero sicuro che da grande sarebbe
diventato più attraente, se non altro per confermare la sua provenienza.
-Sensei, voi quanti anni avete?Sorrisi divertito a quella domanda, consapevole di apparirgli come una
reliquia.
-Imparerai, caro Zephyr, che non è il passare delle stagioni a far
invecchiare un uomo. Posso avere cento, duecento anni e nello spirito
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conservarmi fanciullo. A volte l'apparenza può trarre in inganno, non
dimenticarlo.Mi scrutò attentamente con quei suoi taglienti occhi verdi ed io mi
sentii sezionare centimetro per centimetro. Era un buon inizio: doveva
assolutamente imparare a valutare la persona che aveva davanti, in
modo da non ricevere in futuro sorprese letali.
-Avrò molte cose da imparare prima di essere pronto, vero?Annuii e mi dedicai nuovamente ai legumi. Non gli chiesi cosa
intendesse con essere pronto; era il suo Karma andare alla ricerca del
fratello, una ricerca che sarebbe durata negli anni a seguire, una ricerca
che lui neppure sapeva di compiere.
-Parlatemi di voi, sensei.- mi invitò posando la spada e sedendosi a terra
anziché sulla sedia.
Stavo per rimproverarlo, ma mi fermai in tempo: a cosa sarebbe
valso? La maggior parte degli uomini, i meno abbienti, non aveva più
sedie e tutti sedevano tranquillamente per terra; solo io avevo ricercato
quella comodità per non far soffrire le mie ossa.
-Hai qualche domanda in particolare?-Be’ ... Perché vivete solo e lontano da qualsiasi villaggio?-Per risponderti dovrei narrarti la storia della mia vita e so già a priori che
non gradiresti ascoltare un racconto lungo e tedioso. Ti dirò
semplicemente che se ho scelto di isolarmi è stato esclusivamente per
poter meglio sviluppare l'arte tramandatami dal maestro.-Arte? Anche voi avete avuto un sensei?- domandò senza riuscire a
mascherare la sorpresa.
-E lui, a sua volta, ne ebbe uno, e così via fino a risalire ai primordi della
vita. Maestri che si sono scelti un allievo per istruirlo alla sacra Via Divina,
affinché potesse egli stesso, un giorno, diventare maestro e tramandare
la Via Divina a un nuovo allievo.-Voi siete l'ultimo.- constatò con semplicità.
-Per il momento.Mi fissò un secondo, quindi chinò appena la testa e annuì con gravità,
come un uomo maturo.
-Io sono il vostro allievo, vero?Non risposi perché anche questa, sebbene posta sotto forma di
domanda, era una pura e semplice constatazione. Mi limitai a guardarlo
di sfuggita negli occhi, quindi riposi nuovamente attenzione alla cena.
Mi divertiva la foga che metteva quel cucciolo nel voler imparare e
capire e ripensai a quando anch’io ero stato giovane, inesperto, insicuro,
ma con tanta voglia di arricchirmi moralmente e fisicamente.
-Cos’è l’arte della Via Divina?-Attendi una risposta precisa, suppongo; non posso dartela. E capirai da
solo perché. Per ora sappi che secoli fa mi chiamarono stregone, mago,
druido, ma la Via Divina non è niente di tutto questo: è lo studio delle
potenzialità del corpo.-
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Sapevo che mi stava scrutando, anche se gli davo le spalle e sapevo
che, inconsciamente, non avrebbe fatto caso ai secoli ai quali avevo
volutamente alluso.
-Allora non avete niente da insegnarmi: conosco già il mio corpo.Sorrisi condiscendente alla sua albagia e gli feci notare:
-Del tuo corpo conosci solo i limiti.Mi voltai per captare la sua occhiata fulminante e sentii il suo giovane
orgoglio sanguinare di rabbia, come pugnalato a tradimento.
-Indubbiamente hai ancora molte cose da imparare,- continuai, -e di
sicuro non ti basterà una sola vita. Ma farò in modo da colmare il vuoto
che c’è in te.~
So che il momento del mio passaggio sta degradando all’orizzonte
come il sole al tramonto e so anche cosa mi aspetta prima che mi sia
concesso di unirmi al Vento Divino; ciò nondimeno non ho timore.
Da quando sono nato ho sempre avuto in mano il corso della mia vita
e la conoscenza non ha mai bloccato le mie azioni. Eppure, come capita
tutte le volte che giungo al termine, se ripenso a Zephyr ho nostalgia.
Non dovrei, perché a causa sua io terminerò, così come io misi fine al
mio maestro, ma quel legame che per anni ci ha tenuto uniti non si può
cancellare facilmente.
All’inizio ero solo io a vivere la sua vita; col passare del tempo,
imparando, lui stesso entrò nella mia e diventammo una persona sola,
come io lo divenni con il mio maestro e lo diventerò di nuovo. Ma questo
accadde molti anni dopo: per il momento Zephyr era ancora piccolo e
vivevamo isolati dal resto del mondo, in quella catapecchia di due stanze
che pomposamente chiamavo casa. Intorno a noi imperversavano
crudeltà e barbarie, sentimenti che, nonostante la distruzione, l’uomo non
era stato ancora in grado di estirpare dal suo essere. Sapevo che prima o
poi ci saremmo imbattuti in quel mondo sanguinario e privo di scrupoli,
tuttavia facevo di tutto per ritardare quell’inevitabile giorno, cercando di
insegnare a Zephyr parte della forza di Kamido.
-Perché devo imparare a essere paziente?-È una conditio sine qua non. È il primo passo da compiere per
guadagnare la perfezione.-State perdendo tempo, sensei: non diventerò mai paziente. Il sangue
che scorre nelle mie vene mi spinge a vendicare la mia famiglia distrutta,
il villaggio raso al suolo e la gente trucidata senza nessuna pietà. No,concluse con una smorfia, -non imparerò mai ad avere pazienza se la
mia mente ricorda quel giorno.Sebbene gelide parole gli uscivano dalla bocca, il tono era pacato,
quasi sereno e questo non mi colse di sorpresa. Il suo autocontrollo era
sempre stato notevole rispetto al mio quando avevo la sua stessa età e
sapevo che quel pregio gli sarebbe stato utile per apprendere più
alacremente.
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-So cosa provi; posso sentirlo insieme a te. Ma ti assicuro che non è con
l’istinto, con l’irrazionalità che risolverai qualcosa. Solo la pazienza ti
renderà forte e invulnerabile.-Siete un uomo saggio, sensei e indubbiamente avete acquisito molta
esperienza nella vita; però non credo possiate comprendere il mio stato
d’animo.- mi liquidò con un vago gesto della mano.
-Ecco il primo limite del tuo corpo: non credere. Il secondo è non avere
pazienza.-Credere in cosa?Sorrisi appena rispondendo:
-Nel potere della mente.Ricordo ancora che l’espressione attonita dipinta sul suo bel volto mi
diede fastidio. Il suo pensiero non era ancora in sintonia con il mio e avrei
dovuto lottare molto affinché esso si aprisse alla verità.
Ma col trascorrere degli anni l’allievo avrebbe superato il maestro,
l’avrebbe annientato per poi, un giorno, essere distrutto a sua volta dal
proprio allievo. Zephyr ancora non lo sapeva eppure io vivevo già il futuro,
vivevo già la mia morte e tuttavia continuavo a vedere il futuro del mio
allievo diventato maestro.
~
Passava la maggior parte del tempo meditando, concentrandosi per
acquisire quella pazienza che gli mancava ed io, in segreto, ammiravo la
sua tenacia. Era questa una delle cose che lo distingueva da me: voleva
imparare tutto e subito ed io l'assecondavo entro i limiti concessi; in
fondo, anche quello era un comportamento che palesava la sua
impazienza. Nonostante questo piccolo neo, che col tempo sarebbe
sparito completamente, non potevo desiderare allievo migliore.
Un giorno lo raggiunsi sulle rocce che costeggiavano il rigagnolo dal
quale prelevavamo l'acqua e che scorreva placido accanto alla
catapecchia e rimasi a osservarlo a lungo, mentre i caldi raggi del sole
davano maggior risalto alle sue lunghe ciocche cerulee.
Stava meditando e non lo disturbai. Mi sedetti sopra una roccia e
attesi, contemplando il desolato scenario che si stendeva a perdita
d'occhio. Tutto l'intero pianeta ormai era deserto e rovine, macerie e
polvere già da più di trent'anni, sotto il sole che bruciava tutto e tutti con il
suo calore inesauribile. Ma avrebbe continuato a esserlo ancora per poco
e quando tornerò so già che non sarà più così, grazie a Zephyr e al suo
amico.
-Perché proprio io?- chiese all'improvviso.
Stava ancora in profonda concentrazione, eppure aveva avvertito la
mia silente e discreta presenza.
-Ci sono persone,- risposi sommessamente, -a cui è dato odiare, altre
amare. Ci sono persone a cui è dato intuire, altre capire. Vi sono persone,
tu ed io, a cui è dato capire e conoscere.-Siete certo che sia proprio io quella persona?- domandò scettico.
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-Lo so, il Karma pure. Tu me lo dimostri giorno dopo giorno.Rimase in silenzio e con la mente penetrai nella sua, condividendone
le sensazioni e le emozioni. Vidi ciò che egli vedeva e rimasi incantato di
fronte all'infinito paesaggio di ghiacci che affiorava dal suo subconscio.
Armonia e poesia, pace e serenità erano le note dominanti che
riempivano il cuore, creando sfumature sottili di sensazioni. E lì, sul
ghiaccio bianco-azzurro, mi vidi come in realtà ero: un vecchio con la sua
lunga barba bianca, le guance infossate, gli occhi eburnei circondati da
rughe stanche e profonde, i capelli lunghi e candidi quasi sempre
nascosti dall'enorme cappuccio; il mantello che mi ricopriva fino ai piedi,
celava il corpo emaciato ma ancora pieno di vitalità. Sarei potuto
sembrare un fantasma, tale era il mio aspetto, a tutt'oggi deteriorato
ulteriormente, ma la luce che illuminava i miei occhi socchiusi dalle
pesanti palpebre rivelava la forza che cercavo di occultare.
Anche Zephyr mi vide e sentii il suo corpo vibrare di incredulità.
"Siete proprio voi, sensei? Nella mia mente?” pensò esterrefatto.
"Ti meraviglia questo?”
"Noi... Noi stiamo comunicando!”
"È la prima volta che lo facciamo e questa è una conferma ulteriore: sei
tu la persona giusta. Altrimenti non mi avresti neppure visto. La tua
sensibilità è ancora debole, ma col tempo e con l'esercizio si consoliderà
e quel giorno diventeremo una persona sola.”
L'attonimento e lo sforzo gli fecero perdere la concentrazione e si
risvegliò sbattendo le palpebre, fissandomi come si può guardare per la
prima volta qualcosa di meraviglioso, di inafferrabile e di inesplicabile.
Sapevo esattamente quello che provava, senza dover penetrare nei suoi
pensieri: era la medesima sensazione di sbalordimento e di impotenza
provata a mio tempo.
Il rito continuava a ripetersi, instancabile e misterioso: le identiche
emozioni, perplessità e curiosità.
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- arlatemi della distruzione, sensei. Voglio capire.-Capire cosa? L’efferatezza e la stoltezza degli uomini? Allora non c'è
bisogno che ti racconti quello che è avvenuto: puoi benissimo
comprendere la stupidità anche dando una sola occhiata intorno a te.Mi guardò a lungo, intensamente, prima di spiegare:
-Non ho conosciuto il mondo che c'era prima e i miei genitori non hanno
avuto il tempo di raccontarmelo. Volete farlo voi?Avrei potuto rifiutare?
Con un sorriso malinconico sedetti su una roccia a poca distanza dal
rigagnolo e mi accarezzai distrattamente la folta barba candida.
-Esistevano i fiori. Ricordo ancora i prati ricoperti di margherite bianche e
gialle, di tulipani, di violette... Non esiste più niente; tutto è stato distrutto
in pochi attimi. Ci sono voluti miliardi di anni per far crescere un fiore e
una manciata di secondi per annientarlo.Rimasi un attimo in silenzio per fargli comprendere l'enormità delle
azioni dell'uomo, quindi continuai col mio tono pacato:
-Prova a immaginare una distesa infinita di colori: giallo, rosso, viola,
azzurro, rosa, immersa in varie tonalità di verde. Ecco: i fiori hanno colori
e profumi, proprio come dovrebbe essere la vita.Esitai un attimo, consapevole che la nostalgia stava per sopraffarmi e
Zephyr se ne accorse.
-Esistevano solo i fiori?-No.- sospirai. -La terra era popolata da una miriade di animali; un'infinità
di specie. Milioni di anni fa erano loro i dominatori e l'equilibrio naturale
era splendido e perfetto. Nel corso dei millenni gli animali si sono
modificati, evoluti, fino a partorire l'ultimo di una razza a sé. Più
intelligente dei suoi progenitori, non ha esitato a imporre la propria forza
per dominare sugli altri e già molto prima della distruzione la fauna era
diminuita. Addirittura alcune specie si erano già estinte.Mi studiò attentamente, come se stesse riflettendo sulle mie parole,
quindi disse:
-L'ultimo animale è l'uomo, vero?Non ci fu bisogno di risposta: Zephyr comprese lo stesso.
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Si alzò dalla roccia e si avvicinò al fiumiciattolo, osservando l'acqua
scorrere placida con un suono sommesso e melodioso che ci teneva
compagnia a tutte le ore del giorno e della notte.
-Nessuno può vincere sulla natura.- sussurrò meditabondo.
Io rimasi in attesa sapendo, ancor prima di vederlo, che un uomo si
stava avvicinando con andatura stanca. Scrutai l'orizzonte oltre il sole
che stava tramontando e che allungava sempre più le nostre ombre
scheletriche, pensando a cosa offrire al viandante. Perché sapevo che si
sarebbe fermato, come sapevo bene che il cibo scarseggiava ovunque.
Oltre a legumi, patate e frumento, il resto se lo potevano permettere solo
i potenti del momento, i quali non esitavano a mettere a ferro e fuoco un
villaggio per accaparrarsi un sorso d'acqua o un pezzo di carne. Io, nel
mio piccolo, ero riuscito, grazie all’acqua del rio, a coltivare un fazzoletto
di orto, dove riuscivo a far nascere un po’ di verdura e qualche arancia.
Zephyr fu scosso da un brivido improvviso e si voltò a guardarmi
restringendo i suoi occhi verdi, da gatto.
-Io… Ho avuto la strana sensazione che qualcuno si stesse avvicinando.sussurrò come se aspettasse una conferma.
Annuii lentamente e mi alzai, scrollando il vecchio mantello
impolverato.
-Chi è?- domandò incuriosito.
-Questo proprio non lo so. Ce lo dirà lui.-Non lo sapete? Ma come: non avete detto di conoscere il futuro?commentò impertinente.
Trattenni la collera dinanzi a quell’osservazione e risposi piccato:
-Sì, è così. Tuttavia il futuro lo si può conoscere a grandi linee, non nei
particolari.Lui chinò appena la cerulea testa e congiunse le mani stringendole
forte. Avvertii la sua mortificazione e il suo imbarazzo e anche se non si
scusò, lo perdonai per quella mancanza di rispetto dettata dalla
giovinezza.
A fatica feci muovere le mie giunture arrugginite ed entrai in casa,
controllando subito il cibo a disposizione e preparando un tegame pieno
d’acqua. Misi il tutto sul caminetto e mi preparai ad accendere il fuoco
che, oltre a cucinare, ci avrebbe riscaldato durante le nottate gelide e
attesi che Zephyr mi raggiungesse per preparare la misera tavola.
Quando entrò con aria affranta, mi concentrai sul tegame, girando i
fagioli con un pezzo di legno che avevo modellato a cucchiaio e lo sentii
sospirare.
-Qualcosa non va?- domandai senza voltarmi.
-No. Cioè… Non so. All’improvviso mi sento nervoso…-Non ce n’è motivo.- mentii.
-Sensei, voi… Voi siete sempre così calmo e distaccato…-Può servire a qualcosa farsi trascinare dai sentimenti?Lui non rispose ed io sorrisi tra me e me.
Imparava in fretta nonostante la sua giovane età ed io non potevo che
esserne fiero.
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L’uomo giunse circa due ore dopo il tramonto, impolverato e stanco e
noi gli offrimmo la dovuta ospitalità.
Non capitava spesso che qualcuno si spingesse fino alla mia umile e
isolata dimora e i pochi che arrivavano erano sempre di passaggio; si
fermavano per la notte o per mettere qualcosa sotto i denti e ripartivano
alla ricerca di un villaggio dove piantare radici o all’inseguimento
disperato di qualcuno.
In genere erano uomini o donne semplici, vestiti di stracci come me e
Zephyr, affamati, magri, con l’aria vaga e spossata; l’ospite appena
giunto, invece, nonostante la stanchezza, possedeva un corpo robusto,
da atleta, aveva modi raffinati e qualcosa nello sguardo che rasentava la
crudeltà. I suoi indumenti, sotto il provvidenziale strato di polvere, erano
ben curati e nuovi e Zephyr rimase a lungo a osservarlo, mostrando
palesi segni di ammirazione.
Riuniti tutti e tre intorno al tavolo a consumare la cena, io osservavo in
silenzio il comportamento del mio allievo e del nuovo arrivato. Pareva che
entrambi si studiassero come potenziali nemici, pronti a parare un
immaginario colpo dell’avversario.
-Dove è diretto?- gli chiesi.
-Non ho una meta precisa. Vago alla ricerca di un villaggio dove poter
vivere tranquillamente fino al termine dei miei giorni.Quella risposta suonò pesantemente falsa alle mie orecchie e mi
accorsi che la stessa sensazione percepì Zephyr.
-Vuole ancora un po’ di legumi, Christian?- domandai posandogli
sfacciatamente una mano sulla spalla.
A quel tocco si volse di scatto verso di me con uno sguardo carico di
disprezzo e di ribrezzo ed io sorrisi amabilmente, percependo la sua
freddezza e la sua notevole forza fisica.
Davanti ai miei occhi bianchi apparve l’immagine di un ragazzo alto,
muscoloso e feroce dentro la divisa blu notte dei soldati del Re e scoprii
subito cosa cercava…
Una bambina si staccò da due adulti, probabilmente i genitori, e corse
a braccia aperte verso il soldato, sorridendo felice. Lui la prese in braccio
e scherzò raccontandole qualcosa di divertente, prima di voltarsi a
salutare i genitori…
La stanza era illuminata solo dalle torce, che irradiavano tutto intorno
una luce tetra e gelida. Al centro di essa due ragazzi si fronteggiavano
con odio, sotto gli occhi attenti di una decina di anziani nella classica
divisa blu con la fascia rossa stretta in vita. Le due sciabole brillavano di
luce riflessa, riverberando un sinistro baluginio e all’attacco di uno, l’altro,
Christian, rispose con freddezza di nervi, parando e spaccando in due il
ventre dell’avversario…
-Non mi avete detto il vostro nome.La sua voce sibilante mi riportò al presente e risposi:
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-Un nome si dimentica facilmente.-Vi siete scordato il vostro?Fissai i suoi occhi grigi dall’aria strafottente, il suo cranio rapato a zero,
il suo volto ovale bellissimo e replicai:
-No, affatto, anche se ormai sono trascorsi molti anni dall’ultima volta che
l’ho udito pronunciare. Può servire a qualcosa conoscerlo?-Dovrò pur chiamarvi in qualche modo per sdebitarmi dell’ospitalità.-Non occorre.La mia riluttanza lo innervosì, lo sentii in tutto il suo essere irrigidito,
ma non si lasciò sopraffare dal sentimento. Abbozzò un gelido sorriso e
cambiò discorso, girandosi a guardare il mio allievo:
-Zephyr è vostro nipote?-Zephyr è un figlio.-Da molto abitate insieme?-Quanto basta per divenire tale.-Siete molto restio a parlare, vedo. Strano che io susciti tale diffidenza: in
fondo sono solo un semplice viandante che domani toglierà il disturbo e
che gradirebbe fare un minimo di conversazione. Oppure accogliete così
tutti i vostri ospiti, in modo scorbutico e scortese?Fu la reazione di Zephyr a meravigliarmi, non la mancanza di rispetto
e l’arroganza dell’uomo.
-Come si permette?- sbottò alzandosi in piedi e picchiando i pugni sul
tavolo, gli occhi che mandavano scintille. -Lei non ha alcun diritto di
rivolgersi in simili termini a chi la ospita.-Per essere solo un cucciolo sei anche troppo insolente.-Lei… Lei è…-Non credo sia la cosa più saggia rovinare questa splendida serata.intervenni con autorità. -Non capita spesso di ricevere visite ed io e
Zephyr siamo contenti di averla qui con noi a dividere la nostra dimora e
il nostro poco cibo. Seppelliamo tutte le velleità e godiamoci la tanto
attesa frescura della sera dopo il caldo soffocante del giorno.Christian approvò la mia proposta, ma Zephyr, dopo avermi lanciato
un’occhiata fulminante, afferrò la spada e uscì con rabbia dalla casa.
Sapevo cosa provava, lo sentivo: poco prima l’avevo redarguito per
essermi mancato di rispetto e ora aveva assistito al mio immediato
perdono a uno che aveva fatto il suo medesimo errore. Per il momento si
sentiva frustrato, incompreso e irato verso me e il mondo intero, ma
sapevo che un giorno avrebbe capito quel mio comportamento che ora gli
appariva iniquo.
Con indolenza mi accinsi a sparecchiare la tavola, sotto lo sguardo
indagatore di Christian e provai sollievo sapendo che Zephyr non era
presente.
-Voi mi incuriosite.-Non è il primo a dirmelo.-Sì, mi incuriosite.- continuò con circospezione. -All’apparenza sembrate
molto anziano, e probabilmente lo siete; eppure a guardarvi bene si
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scopre che, sotto quel mantello e quegli abiti malridotti, avete un fisico
notevole per l’età che mostrate.-In gioventù, molto prima della distruzione, ho praticato molti sport a
livello agonistico.- risposi portando via i piatti.
-Sì, può darsi.Rimase un attimo pensieroso, quasi stesse valutando la situazione;
quindi, sporgendosi sul tavolo, esordì con quella domanda:
-Avete mai sentito parlare dei Cavalieri Kamido?-Qualche volta, sì. Ma ritengo sia pura leggenda.Ecco: aveva fatto il primo passo verso l’autodistruzione; ero costretto
a uccidere per non essere ucciso, in quanto la mia opera con Zephyr era
ancora ai primordi. Non potevo permettermi di decedere, tanto meno far
morire il mio allievo.
-Personalmente non credo sia così.- continuò lui con sicurezza. -Ho
sentito dire che questi Cavalieri sono invincibili, quasi dei semidei. A loro
niente è impossibile: conoscono passato e futuro, sono abili combattenti,
sanno penetrare nella mente degli uomini e sembra siano a conoscenza
del segreto della rinascita.Con un sorriso sornione portai le ultime posate nella bacinella piena
d’acqua e tornai a sedermi con spossatezza, osservando:
-Lei sa molte cose su questi Cavalieri. È uno di loro?-No, non lo sono. Però conosco qualcuno che è informato su molte cose
e che mi ha erudito.-E lei li sta cercando?-Sarebbe meglio usare il singolare. Esiste sempre e solo un Cavaliere
Kamido che tramanda il suo sapere a un discepolo che a sua volta
prenderà il posto del maestro, il sensei.Esitò alquanto, guardandomi dritto negli occhi ed io sostenni il suo
sguardo penetrante con serenità, come se la cosa non mi toccasse.
-Vada avanti: è una storia decisamente affascinante.- lo invitai.
Si raddrizzò e si lasciò andare contro lo schienale della sedia con aria
che rasentava la strafottenza, mettendo una mano dentro la cinta rossa.
-Se anche conoscessi tutto su questi Cavalieri, non sarebbe che una
milionesima parte di ciò che essi conoscono. Posso solo aggiungere che
la loro arma preferita è la Spada Bianca; ma nessuno è mai riuscito a
scoprire cosa realmente sia.Alzai le spalle con indifferenza e risposi:
-È una spada, l’ha detto lei.Sogghignò appena, rispondendo:
-Non è così facile. È un segreto che si tramandano maestro e allievo.-E lei crede davvero in tutto questo? Via, è troppo fantastico per essere
vero.Christian rimase in silenzio, studiandomi con attenzione, forse
nell’attesa di un gesto, di una parola che potesse tradirmi.
In quell’attimo mi apparve chiaro quello che stava succedendo: il Re,
così ambizioso e potente, sentiva che l’attuale ultimo Cavaliere gli
minacciava il trono che aveva usurpato al momento delle esplosioni
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nucleari. Quell’essere disumano e spietato, che dopo la distruzione
aveva avuto la possibilità di formarsi un esercito per dominare l’intero
pianeta, iniziava a capire che il suo assoluto e incontrastato dominio
sarebbe stato continuamente minacciato se io fossi rimasto in vita e
avessi avuto il tempo di insegnare al mio allievo.
E Zephyr entrò proprio in quel momento, con la spada in mano,
mentre Christian affermava:
-I Cavalieri Kamido non sono una leggenda.Sentii la perplessità nel mio allievo, mentre si arrestava osservando
l’uomo con aria interrogativa.
-I Cavalieri Kamido?- ripeté.
Christian lo squadrò con sufficienza, quindi si alzò e si stiracchiò le
lunghe gambe muscolose.
-Sei ancora troppo piccolo per capire, insetto.L’orgoglio di Zephyr si indispettì e lo sentii fremere di rabbia. Vidi la
spada dondolare tetramente nelle sue mani sottili e l’anticipai dicendo:
-È giunta l’ora di ritirarsi, Zephyr.Per un attimo parve non avermi udito, mentre continuava a
fronteggiarsi con Christian, titubante nell’usare o meno l’arma; infine mi
guardò e forse percepì la mia agitazione, perché si calmò dicendo:
-Sì, sensei.Non dovetti guardare la faccia di Christian per rendermi conto che
aveva sussultato e sospirai tristemente.
Mai, durante tutti i secoli di storia, avevamo dovuto nasconderci: gli
uomini ci avevano sempre considerato uguali a loro, non conoscevano la
verità e noi ci eravamo inseriti alla perfezione, vivendo accanto a loro
senza nessun nemico, a parte i Bushi. Ma i tempi erano mutati: vivevamo
in un’Era tragica, dove solo la forza e la crudeltà avevano il sopravvento
e comandavano incontrastate.
Ora, per la prima volta nella nostra storia, i millenari Cavalieri Kamido
sarebbero stati chiamati a mostrare la loro potenza leggendaria per far
tornare la pace e la serenità.
~
-Non suona strano anche a voi che Zephyr vi abbia chiamato sensei
proprio mentre parlavamo dei Cavalieri?- chiese Christian caustico una
volta rimasti soli.
-A volte il bianco sembra nero e viceversa.Sogghignò fissandomi negli occhi. Di certo doveva sentirsi molto
sicuro di sé data la sua sfrontatezza e ciò contribuì ad aumentare il mio
divertimento… Se di divertimento si può parlare.
Si avvicinò al camino e osservò a lungo il legno incandescente che si
dilettava a proiettare ombre lugubri sul suo volto ancora giovane. Notai
che giocherellava con l’elsa della propria spada, infilata nella cintura
rossa, quasi con indifferenza, ma sapevo che gli prudevano le mani.
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Se all’inizio mi era bastato toccarlo per vedere il suo passato
superficialmente, ora proiettai la mia mente nella sua per scoprire le sue
intenzioni e quelle del Re e subito mi si gelò il sangue: mi ero tradito.
Christian si voltò lentamente e mi fissò dall’alto in basso con i suoi
gelidi occhi grigi. Sogghignando trionfante mi comunicò:
“Sì, vecchio. Come vedi anch’io riesco a penetrare nella mente altrui.”
Di sicuro impallidii, in quanto per la prima volta in tutte le mie vite mi
trovavo di fronte a un Bushi.
Annuii appena, uscendo dalla sua mente e osservai con tono pacato:
-Purtroppo la radice non è stata estirpata del tutto e continua a partorire i
suoi frutti marci.-Non è insultandomi che migliorerai la situazione.- rispose senza più
ombra di rispetto.
-Se credi di riuscire a uccidermi, ti sbagli. A differenza dei Bushi, noi
Cavalieri vediamo più chiaramente nel futuro ed io so di avere ancora vita
lunga.-Cazzate. Come puoi pensare che non sia in grado di ucciderti? Sono
giovane e più agile di te e per anni mi sono allenato solo a questo scopo.
Mi è stato ordinato di eliminarti: non hai possibilità, vecchio.-Noto con sommo dispiacere che non avete perso l’arroganza che vi
distingueva.-E tu, come i tuoi predecessori, non hai ancora capito che l’enorme
potere concessoci lo possiamo sfruttare meglio se lo impieghiamo a
comandare. Guarda la differenza, vecchio: noi siamo potenti e voi, da
mille che eravate, siete rimasti in uno.-Già. Io sono solo con il mio allievo e voi vi siete moltiplicati come la
gramigna.Lo vidi sogghignare con aria strafottente prima di sibilare:
-È il destino dei più forti, dei migliori.-Migliori?- lo beffeggiai.
Stava per attaccarmi, lo sapevo ed ero pronto a difendermi, quando
vidi Zephyr davanti alla porta della sua stanzetta. Aveva gli occhi sbarrati
per l’orrore, a testimonianza che aveva udito tutto, e il corpo tremante nel
ricordo di quello che aveva dovuto subire la sua famiglia.
Con un balzo agile e fulmineo, Christian approfittò della situazione e
l’afferrò, portandoselo davanti a mo’ di scudo. Vedere quel gigante
nascondersi dietro il corpicino esile del mio allievo mi fece sorridere, ma
per un attimo vidi il terrore dipingersi sul volto del mio allievo e temetti per
la sua incolumità.
-Colpisci, vecchio!- mi incitò con sibilante sarcasmo. -Se questo è il tuo
allievo, saprà difendersi.-E tu saresti il più forte? Il migliore?- replicai con disprezzo. -Sei solo un
vile, soldato. Ti nascondi dietro un bambino per celare la paura.Trattenendo Zephyr con una mano, con l’altra estrasse la spada e la
portò alla gola del ragazzo senza nessuno scrupolo.
Fu allora che, senza saperlo, Zephyr mi aiutò: da terrorizzato e
tremante, sentii il suo corpo reagire, farsi di granito e la sua mente
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raffreddarsi per pensare lucidamente. Il suo istinto di sopravvivenza stava
vincendo sulla paura ed io agii senza esitare.
Alzai una mano nel momento esatto in cui Zephyr chinava di lato la
testa accucciandosi repentinamente per sfuggire alla lama, mentre
l’energia invisibile che emanavo dal mio corpo colpiva la fronte di
Christian con una violenza tale che lo vidi vacillare. Zephyr svicolò come
un’anguilla e corse subito a prendere la spada, mentre io vedevo
Christian sorreggersi al camino per non cadere, nel tentativo di
recuperare l’equilibrio sotto l’invisibile forza che lo aveva travolto. Con la
mano libera si tenne la fronte, stringendo i denti per il dolore, e sorrisi
quando mi accorsi che, in un disperato tentativo di salvarsi, cercava di
penetrare nella mia mente per bloccare la mia energia: ormai mi ero
barricato e non gli avrei lasciato la minima possibilità. Ma se lui non poté
entrare nella mia mente, io penetrai nella sua e lo costrinsi a rivivere a
ritroso la sua vita.
Nello sforzo di resistermi, si accasciò contro la parete accanto al
camino, sudando abbondantemente, stringendo pugni e denti; a dispetto
dei suoi tentativi io non mollai. Gli feci rivivere l’attimo della sua nascita e
urlò di dolore dimenando la spada a mezz’aria, come se avesse voluto
liberarsi da una morsa invisibile.
Piegai le labbra in un sorriso freddo e feci qualche passo avanti,
mentre Zephyr tratteneva il respiro, timoroso per la mia incolumità.
-Mai sottovalutare il tuo avversario, Christian: l’errore può costarti la vita.mormorai.
Sollevò gli occhi iniettati di sangue e fece uno scatto improvviso
contro di me. Alzai una mano e lui venne scaraventato contro la parete
senza che lo sfiorassi. Con la mente continuai a riportarlo indietro e
quando si ritrovò nel buio totale iniziò a urlare di paura e dolore.
-La… Spada Bianca…- balbettò.
Feci qualche altro passo avanti, lo guardai un attimo e portai due dita
alla base del suo naso. Colpii con precisione, senza esitare e quando
ritirai la mano Christian aveva gli occhi spalancati e quasi fuori delle
orbite.
Compresi che era morto e sospirai tristemente: la lotta era iniziata in
quel momento e sapevo che sarebbe durata a lungo.
22
4
-
Vorrei capire, sensei.-
Distolsi l’attenzione dal cielo azzurro scuro e mi sedetti pigramente su
una roccia, socchiudendo gli occhi stanchi. Sì; in fondo era meglio che
sapesse.
-Domanda pure.-Voi… voi vi siete difeso in modo… Come avete fatto?-Esperienza acquisita con gli anni.- risposi vago.
Zephyr aprì la bocca, ma la richiuse quando si rese conto, dalla mia
espressione, che su quell’argomento non avrei aggiunto altro. Allora
sbirciò il rio scorrere placido e domandò:
-Christian voleva ucciderci. Perché?Inspirai profondamente e ponderai bene le parole prima di chiedere:
-È difficile rispondere. Se tu ne avessi la possibilità, uccideresti il Re?-Sì!- esclamò d’impeto.
-Perché?-È un tiranno. Domina con il terrore e senza un briciolo di umanità.Annuii lentamente pensieroso e mi accarezzai la barba.
-E se tu fossi il Re e vedessi qualcuno che stesse tentando di usurparti il
trono?Non rispose subito perché capì che volevo una risposta sincera.
-Probabilmente… Be’, sì. Lo farei uccidere.-Vedi, Zephyr, questa non è altro che la spirale di violenza nella quale
l’uomo ha sempre vissuto e dalla quale non uscirà mai. Noi due siamo
venuti a trovarci nel centro di questa spirale e ieri sera è iniziata la lotta. Il
Re vuole le nostre teste perché ci considera una minaccia e noi vogliamo
la sua vita perché è un tiranno.-Non stiamo minacciando nessuno.- mormorò incredulo.
-Apparentemente no. Ma il solo fatto che io appartenga alla sacra Via
Divina mi fa reputare un pericolo serio. Per i potentati. Perché avere il
potere nelle mani è il sogno di tutti.Meditò un attimo sulle mie parole, quindi si avvicinò al rigagnolo e
osservò le pietre brillare adamantine sotto i raggi solari. Si chinò e
affondò la mano dalle dita lunghe nell’acqua, più e più volte, ritirandola
fuori ogni volta chiusa a pugno e vuota.
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-Il potere…- mormorò meditabondo. -È inafferrabile come queste
iridescenze emanate dai sassi. Ho provato a catturarle… Per un attimo,
ma solo per un attimo, ho creduto di riuscirci e stavo per esultarne; poi mi
sono reso conto che il pugno non racchiudeva altro che aria.Si voltò a guardarmi, con le sopracciglia aggrottate, continuando:
-Se il potere è capace di dare solo un fugace attimo di gioia a chi crede di
possederlo, perché l’uomo uccide per ottenerlo?-È una storia vecchia come l’universo. È prerogativa umana cercare di
dominare su tutto e su tutti e il potere offre questa effimera speranza. Per
un brevissimo attimo.Rimase perplesso a lungo, quindi mi rivolse la domanda… quella
domanda:
-E noi?Non c’era bisogno che aggiungesse altro: sapevo cosa chiedeva.
Sospirai appena e osservai la landa desolata e desertica che si stendeva
davanti ai miei occhi diafani, immersa in un perenne silenzio. Misi il
cappuccio sulla testa per ripararmi dal sole e spiegai:
-L’uomo ha sempre combattuto per ottenere il potere, disseminando la
storia di cadaveri barbaramente mutilati, di stragi e di stermini, di odio e
di violenza. Non si è mai fatto scrupoli pur di afferrare la leggenda e
questo eccidio non avrà mai fine, nonostante la distruzione. E quello che
ti ho promesso è il potere. Quello stesso potere che ha condotto l’uomo
all’autodistruzione. Hai paura, Zephyr?Mi studiò a lungo con quei suoi occhi profondi e perspicaci e ammirai
il suo portamento fiero e deciso.
-No, non ho paura.- rispose pacato. -Il potere che avete promesso di
tramandarmi ha qualcosa di diverso da quello che insegue l’uomo.Sorrisi soddisfatto, perché aveva intuito.
-È così, hai ragione. Esistono due differenze fondamentali tra noi e gli
uomini. Questi hanno cercato il potere con la violenza per dominare sugli
altri; noi lo usiamo per aiutare l’umanità.-È questo il compito che dovrò svolgere?Annuii con aria grave e tornai a osservare il cielo.
-Riesci a comprendere l’altra differenza?Alla mia domanda seguì il silenzio ed io, con estrema facilità, entrai
nella sua mente per carpirne i dilemmi. Stava pensando alle immense
distese desertiche che da anni, ormai, caratterizzavano la terra e
dominavano sotto la forte luce del sole. Da quando la radioattività aveva
gremito l’atmosfera terrestre, le stagioni erano state spazzate via come
per incanto e ogni giorno il sole bruciava come un’estate perenne. Solo al
tramonto l’aria si raffreddava ed era il momento migliore della giornata; la
notte, invece, bisognava accendere il fuoco se non si voleva morire
congelati. Difficilmente pioveva e quando ciò avveniva era preferibile
rintanarsi in luoghi sicuri perché la crosta terrestre veniva bombardata da
acqua radioattiva.
Mentre osservavo con lui quel paesaggio angoscioso, mi rattristai
pensando a tutti quei bambini che, nati dopo la distruzione, non
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avrebbero avuto la possibilità di vedere la terra come era una volta.
Sarebbero nati, cresciuti e morti in un deserto infido e crudele, ben
diverso dal deserto di un tempo che pullulava di vita.
All’improvviso il paesaggio mutò e mi ritrovai a fissare una distesa di
ghiacci immacolati. Non pensai mai a come Zephyr, nato dopo la
distruzione, conoscesse la neve e il ghiaccio. Sapevo cosa significasse
quel paesaggio, meglio di lui stesso che lo immaginava. Almeno per il
momento.
-No, non puoi ancora comprendere l’altra differenza.- affermai
osservando una piccola nuvola bianca.
-Dovrò comprendere da solo, vero?-Sì.Rimase un secondo in silenzio, quindi chiese:
-Cos’è la Spada Bianca?-Prima di comprendere questo, devi conoscere la verità.-Quale verità?Inspirai a lungo e abbassai gli occhi per guardarlo. Si era seduto al
mio fianco, in trepidante attesa ed io, spinto da un’improvvisa tenerezza,
gli scompigliai i capelli affettuosamente.
-La sacra arte di Kamido ha avuto inizio molti millenni fa, prima ancora
che l’uomo nascesse. Ai primordi molti Cavalieri diffondevano l’arte per
portare la pace tra i popoli dell’universo.Iniziai a raccontare con tono pacato, per fargli comprendere nel
migliore dei modi quello che avrebbe dovuto apprendere, mentre la mia
mente tornava indietro nel tempo, valicando generazioni e generazioni,
fino a giungere alla soglia dei secoli. Kamido è una disciplina severa,
rigida, che chiede molto ai propri allievi e ricompensa in ugual misura. È
l’essenza della vita, la fonte dalla quale scaturisce la forza ed io, insieme
ad altri 999, ero l’eletto, il degno di continuare la discendenza.
Eravamo stati scelti da mille diversi punti dell’universo, destinati a
portare ordine, giustizia e serenità. Eravamo i mille Cavalieri del Potere;
niente ci era sconosciuto e nulla ci era impossibile. Nelle nostre mani
giaceva inerme il destino del creato ed eravamo noi, dèi immortali, a
comandare con giustizia. Ma con l’avvento dell’uomo tutto l’equilibrio, che
fino allora aveva dominato, si era sgretolato. Molti Cavalieri, contaminati
dall’avidità, dal rancore e dall’odio del genere umano, avevano preso
coscienza fin troppo bene del potere che possedevano e che potevano
usare. La ribellione si era protratta nei secoli e i Cavalieri traditori si erano
mescolati agli uomini, non più con lo scopo di aiutarli nel bene, bensì per
istigarli gli uni contro gli altri, facendo comprendere loro quanto fosse
importante avere il potere nelle mani per dominare.
A poco a poco la sacra arte di Kamido si era scissa in due: i Cavalieri,
fedeli alla disciplina, e i Bushi, ribelli e traditori.
Tuttavia il Potere non aveva permesso a questi ultimi di avere il
sopravvento. Nel corso dei secoli i Bushi si erano moltiplicati, mentre dei
mille cavalieri che erano esistiti all’inizio ne erano rimasti solo due a
servire Kamido. E laddove questi avevano mantenuto il Potere, i Bushi
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avevano perso molto dell’arte appresa e ben presto non erano stati più in
grado di rinascere. Allora avevano iniziato a tramandarsi l’arte di padre in
figlio, fino a giungere ai nostri giorni con la stessa forza che avevano i
loro padri ma non con lo stesso potere.
Rivissi con nostalgia quel racconto succinto che feci a Zephyr,
rimpiangendo i mille Cavalieri. Non dissi altro per non sconvolgere la sua
mente ancora giovane e impreparata, ma sapevo che col tempo avrebbe
ricordato tutto. Non potevo svelargli che lui era stato il mio maestro e che
io, a mia volta, lo fui di lui nel passato e così via, fino ai primordi. Avrebbe
ricordato da solo le sue vite precedenti, soprattutto la distesa di ghiacci
dove, nella sua ultima vita, era morto per mano mia. Eppure non avrebbe
provato rancore, come io ora non lo provo per lui.
So di certo che Kamido sopravvivrà grazie a noi due, che continuiamo
a servire devotamente, benché i Bushi ora abbiano affinato e
perfezionato il loro potere, comprendendo fino in fondo il pericolo che io e
Zephyr rappresentiamo per la loro sopravvivenza.
La lunga catena di vite stava per fare una svolta: ora Kamido ci
ordinava di estirpare il male.
~
Ricordo nitidamente l'espressione stupita e rapita di Zephyr al termine
del racconto. Lo paragonai a un cucciolo che apriva per la prima volta gli
occhi sul mondo. Era talmente buffo che sorrisi.
-Mille Cavalieri...- ripeté quasi a se stesso. -Ne sono rimasti due e uno
siete voi. Sarei io il secondo?-Ti insegnerò tutto quello che ancora non sai.Lo guardai a lungo ripensando a come, durante i secoli, io e lui
avevamo affinato l'arte, rendendola quasi perfetta, proprio come i Bushi.
Entrambi, durante la maturità, avevamo migliorato il nostro corpo,
avevamo acquisito più potere, ritrasmettendocelo durante la gioventù,
alternandoci come maestro e allievo.
Era, ed è, la nostra meta quella di progredire fino alla perfezione,
affinché un giorno fossimo ricondotti a quell'angolo di universo dal quale
siamo stati avulsi, per essere guardiani della vita e della morte e per
poter vivere in eterno sotto l'ala protettrice del Potere.
-Così Christian era un Bushi.La sua osservazione mi riportò al presente e mi alzai scuotendo il
mantello.
-Sì. Forse era un diretto discendente di un Cavaliere Kamido, oppure
qualcuno l'ha erudito.-Come l'avete scoperto?-Ad esser sinceri è stato lui a smascherarmi per primo, cogliendomi di
sorpresa.Scrollai le spalle continuando:
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-Questo non ha più importanza ora. Quello che conta è che la lotta è
iniziata: il Re ci vuole morti e sono sicuro che incontreremo molti
Christian da oggi in poi.-Sapremo difenderci.- asserì con fermezza, senza abbandonare la
pacata indifferenza che lo rendeva unico. -Noi abbiamo la Spada
Bianca.Sorrisi divertito e dissi:
-Un giorno capirai da solo cosa sia la Spada Bianca.- e quel giorno
segnerà l'inizio della mia fine in questa vita, pensai senza rammarico.
-Sì, capirò. Ma... C'è qualcosa che mi sfugge, lo sento. Sensei, voi avete
detto che i Bushi attuali sono i discendenti dei vecchi Cavalieri che si
sono ribellati. E voi? Voi pure dovete essere un discendente.-No. Io sono immortale.-Immortale?- ripeté sgranando i suoi magnifici occhi.
-Sì, qualcosa di molto simile.Mi fissò guardingo, con diffidenza.
-Anche l'altro Cavaliere?-Sì.Rimase meditabondo a lungo, poi notò:
-Io dovrei essere il vostro allievo, quindi diventare un Cavaliere. Ma io
non sono immortale.-Per ora può sembrarti così. Hai fiducia in me?-Sì, sensei.-Allora smetti di fare domande e preparati.- ordinai con una certa durezza.
Lui inarcò le sopracciglia cerulee senza capire e si alzò titubante.
-Prepararmi?- ripeté.
Mi avviai verso casa, immaginando già i chilometri che avremmo
percorso nel deserto immenso che era diventato il pianeta e risposi:
-Qui non stiamo più al sicuro.Anche senza vederlo, sapevo che Zephyr si era voltato a osservare il
mucchietto di sabbia e sassi che ricopriva il corpo senza vita del nostro
ospite.
-Christian...- mormorò ed io annuii distrattamente senza neppure girarmi.
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L
'arrivo di Christian segnò l'inizio del nostro girovagare tra lande
desolate e assolate, tra macerie dove un tempo sorgevano maestose
metropoli, tra resti di uomini e macchine, tra villaggi costruiti da un pugno
di uomini animato dalle migliori intenzioni, tra miseria, violenza, tra
speranza e disperazione, tra amore e odio.
L'umanità sembrava tornata ai primordi: non esisteva più nessuna
comodità; anzi, c’era penuria di tutto. Ci si vestiva di stracci e si
mangiava quello che capitava; le armi erano tornate quelle di una volta e
non esisteva più niente di esplosivo. Una sola cosa differenziava gli
uomini attuali dai primitivi: questi ultimi non avevano l'intelligenza e il
sapere dei primi.
Quel giorno di trent'anni prima l'umanità si era svegliata al sorgere del
sole per intraprendere l'inizio di un nuovo giorno, ignara di quanto stava
per accadere. Ricordo perfettamente il panico all'annuncio di imminenti
esplosioni nucleari. Ero già preparato all'evento, avendolo previsto in
anticipo, ma non potetti fare nulla di fronte alla follia generale. Nessuno
prestò orecchio ai miei moniti. Il cielo si oscurò all'improvviso, emettendo
un urlo disperato, quasi un guaito moribondo, un'eco al dolore e alla
disperazione che sarebbero seguiti. Una sentenza di morte fluttuava
nell'aria come una spada di Damocle. I rifugi erano stracolmi di gente che
urlava, gridava, piangeva, pregava, si disperava, mentre veniva spinta,
pressata e calpestata da coloro che ancora erano fuori allo scoperto e
che volevano entrare per salvarsi. Una nuova follia si stava aggiungendo
a quella che già sfrecciava in cielo e che puntava letale e inesorabile
sull'obiettivo.
Vidi disperazione e terrore dipinti sui volti di coloro che le
mastodontiche porte dei rifugi antiatomici lasciavano fuori, in balia della
fine e per la prima volta in tutte le mie vite mi sentii inutile. Inutile e
costretto mio malgrado a salvarmi se volevo perpetuare il ciclo vitale dei
Cavalieri.
Rinchiuso in uno dei tanti rifugi, emarginato dal gruppo dei conviventi,
osservai con gli occhi della mente quello che stava accadendo in
superficie. Incessanti reazioni a catena violentarono la terra, sconvolsero
i mari e le pianure, i deserti e le montagne; in una frazione di secondo
tutta la crosta fu avvolta da fiamme, nubi, vapori incandescenti, venti
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impetuosi, in un susseguirsi tremendo di colori scarlatti, gialli, viola, neri,
mentre immense colonne di aria e fuoco risucchiavano ogni cosa senza
pietà.
La mia mente vide la distruzione in ogni angolo della terra e quelle
scene disumane mi rimasero impresse nel pensiero come stampate col
fuoco e ancora oggi le rivedo nitide e vivide come allora, provando le
medesime emozioni.
Per alcuni anni restammo chiusi nei rifugi, imparando a conoscere
l'isolamento, la frustrazione, la rabbia di una convivenza coatta, il disagio
e la paura, e molti impazzirono.
Durante il nostro peregrinare, Zephyr mi chiedeva spesso del mondo
di prima ed io gli parlavo della bellezza della natura, del canto melodioso
degli uccelli, del roboante suono del mare, dell'infinito silenzio dei monti,
del gorgoglio dei fiumi; gli parlavo di tante cose, anche se sapevo che un
giorno avrebbe ricordato da solo. A me quei ricordi servivano per
dimenticare l'orrore che solo io avevo visto e potevo raccontare.
Girovagammo per molto tempo, passando di villaggio in villaggio
accettando l'ospitalità che ci veniva offerta, lasciando credere di essere
viaggiatori erranti, aiutando, nel possibile, chi ne aveva bisogno e intanto
continuavo a erudire il mio allievo sui segreti di tutte le arti marziali. Gli
insegnai a usare ogni tipo di arma, sia per difesa che per offesa,
ricevendo in cambio lo zelo che metteva nell’apprendere ed eccellere in
quella materia.
Per il momento dovevamo sfuggire ai Bushi, ma non perché ne avessi
timore: paventavo solo di perdere Zephyr, e se a lui fosse accaduto
qualcosa i Cavalieri Kamido avrebbero ricevuto un brusco arresto,
rischiando l'estinzione. Dovevo quindi proteggerlo affinché la ruota delle
rinascite continuasse in perpetuo.
Il periodo che stavamo vivendo era buio e triste e il mio compito era
arduo e faticoso come mai prima di allora; ma non avrei esitato, non mi
sarei mai dato per vinto.
~
Il sole splendeva allo zenith quando giungemmo all’ingresso di uno
dei tanti villaggi sparsi sull’enorme deserto terrestre.
Rovine ed edifici rilucevano sotto i raggi dorati e la terra era rossa
come il fuoco, mentre i resti di una superstrada racchiudevano per tre
quarti il villaggio, come un abbraccio sicuro e protettivo. Tra macerie e
sabbia gli abitanti avevano trovato un rifugio tranquillo e riparato in
mezzo alle rovine. Nell’aria aleggiavano risatine e gridolini di bambini che
giocavano sotto la canicola, rimproveri di madri preoccupate e pianti,
cigolii, chiacchierate, e tutti quei rumori che animavano una comunità che
viveva relativamente tranquilla, immune per il momento al pericolo
incombente dei soldati.
Entrammo con gli abiti impolverati, sporchi, maleodoranti, le scarpe
ridotte ai minimi termini, il volto stanco e tirato e calamitammo gli occhi di
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tutti. Come per miracolo ogni suono cessò e la gente accorse per vederci
passare, come se fossimo stati dei mostri rari.
Non era il primo villaggio che visitavamo e ci eravamo abituati alla
prima impressione che davano i nostri mantelli lunghi e impolverati, col
cappuccio calato sulla testa che ricopriva gli occhi e parte del volto. Ma
chi, come noi, viaggiava dalla mattina alla sera sotto il sole, doveva
ripararsi in qualche modo o sarebbe sopravvissuto poco. L’accoglienza
quindi era all’insegna della diffidenza e della curiosità assieme. Ed era
anche naturale dati i tempi che correvano: la gente non si fidava più di
nessuno.
Un uomo anziano si fece a noi incontro, accompagnato da altri anziani,
l’aria pacata e un bastone con il quale si sorreggeva.
-Chi siete?- domandò con circospezione.
-Viandanti in cerca di ristoro. Arrechiamo troppo disturbo se chiediamo
ospitalità per qualche giorno? Il ragazzo è stanco ed ha bisogno di
riposare.L’uomo sollevò le folte sopracciglia brizzolate e ci osservò
meditabondo, posando il peso del corpo sul bastone.
-Per quale motivo siete in viaggio?-Siamo alla ricerca della madre di questo ragazzo.- risposi con
l’innocenza più ipocrita che avessi trovato. -Credetemi, non abbiamo
cattive intenzioni. Vi chiediamo solo ospitalità per un giorno o due ed io,
in cambio, potrei dare una mano: sono un… medico e posso guarire la
maggior parte delle malattie.L’anziano esitò, quindi si girò verso gli altri uomini e confabulò con
loro, sotto lo sguardo attento delle donne e dei bambini del villaggio.
-Portate armi con voi?- domandò tornando a studiarci.
-Solo una vecchia spada con la quale il ragazzo si allena.- risposi.
L’uomo aggrottò le sopracciglia e studiò Zephyr con circospezione.
-Se volete restare dovete consegnarmela; ve la restituirò quando
partirete.-Sono d’accordo.- convenni porgendo l’arma in questione.
Zephyr mi guardò scontento, ma non osò replicare.
-Il nostro villaggio è povero e per la maggior parte del giorno è abitato
solo da donne, bambini e anziani, tuttavia divideremo volentieri con voi i
miseri averi.Accennai un inchino rispondendo:
-Vi ringrazio molto, signore. Ci accontenteremo di poco.L’uomo, allora, prese la spada dalle mie mani e si volse verso Zephyr,
chiedendo:
-Per quale scopo ti alleni a usare quest’arma?-Per difendermi.-Qui non dovrai farlo da nessuno, pertanto non dispiacerti se la tengo io.-Non mi dispiace, signore.L’uomo sorrise cordialmente e ci invitò a seguirlo verso la sua dimora.
Passammo accanto a rovine e macerie di vecchi palazzi dove i
bambini si divertivano a giocare ignari del pericolo; passammo accanto
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alle costruzioni crollate in parte e, nonostante tutto, abitate da intere
famiglie; passammo accanto a una fontanella davanti alla quale le donne
facevano la fila per accaparrarsi un po’ d’acqua e sospirai tristemente.
-È lontano il campo dove lavorano gli uomini?- domandai.
-Come lo sapete?- replicò di rimando l’uomo con sospetto, bloccandosi in
mezzo alla strada.
-Voi stesso avete detto che il villaggio durante le ore di luce è abitato solo
da donne e bambini: ne ho dedotto che gli uomini fossero impegnati
altrove, magari a coltivare un campo.- spiegai.
Dopo un attimo di silenzio ammise:
-Avete ragione. Comunque sì, il campo è distante. Coltiviamo la terra,
anche se ci sono voluti anni prima che tornasse fertile; ora frutta, verdura
e farinacei non mancano più. Certo, non abbondano, ma stiamo
cercando di rendere fertile altra terra. Perché vi interessa?-Semplice curiosità.In effetti il mio era stato un modo come un altro per avviare la
conversazione, in quanto sapevo già dove si trovasse il campo e vedevo
pure gli uomini con la schiena curva intenti a zappare e seminare. La mia
preoccupazione, semmai, era una sola: se i soldati del Re avessero
attaccato il villaggio, per quella gente non ci sarebbe stata salvezza, in
quanto gli uomini lavoravano troppo distanti per correre in difesa. Ma,
almeno per il momento, non vedevo incombere alcuna minaccia nel
prossimo futuro.
Entrammo in un edificio a tre piani o quattro, quasi distrutto, con i
livelli superiori crollati e pendente su un fianco e l’uomo, alzando un
braccio, disse:
-Benvenuti nella mia dimora.Un tavolo e tre sedie si trovavano al centro della stanza illuminata dai
raggi del sole che penetravano da fessure nel muro e da quello che
restava delle finestre. Non c’era altro, tranne una porta che conduceva a
una stanza attigua nella quale, seppi più tardi, c’erano i pagliericci per la
notte.
Una donna esile, con il volto solcato dalle rughe, dagli stenti e dalle
sofferenze, i capelli imbiancati prematuramente legati e raccolti sulla
nuca, si fece avanti con sguardo interrogativo e l’uomo le spiegò chi
fossimo.
-Mi fa piacere ospitarvi: la mia casa è a vostra disposizione. Sedetevi, vi
porterò un po’ d’acqua.Io e Zephyr la ringraziammo e lei uscì portandosi dietro una brocca.
-È da molto che siete in viaggio?- s’informò l’uomo sedendosi al tavolo.
-Un paio d’anni.- risposi imitandolo con immenso sollievo per i miei piedi.
-Cos’è accaduto alla madre del ragazzo?-Non saprei. Undici anni fa,- mentii spudoratamente, -qualcuno ha
abbandonato Zephyr davanti alla mia dimora, in una culla con un biglietto
dove c’era scritto il suo nome. A distanza di tempo ora egli vuole
rintracciare sua madre per conoscerla e capire il suo gesto disperato.31
-Molto nobile da parte vostra prendervi cura di un neonato. Altri non
l’avrebbero fatto.-Forse.Parlammo un po’, toccando vari argomenti, sotto lo sguardo attento di
Zephyr e, mentre l’uomo parlava del tipo di vita che si conduceva al
villaggio, mi intrufolai nella sua mente. Molti pensieri l’affollavano e molti
ricordi si susseguivano. Si stava ancora domandando se poteva o meno
fidarsi di noi, giunti all’improvviso dal nulla. Ricordava, ogni volta che il
suo sguardo si posava sul mio allievo, la propria giovinezza e vidi un
ragazzo sano, robusto, che si dedicava con passione al lavoro nei campi.
Era contadino prima ancora della distruzione, per questo si era dato da
fare per ricostruire terra fertile. Poi la sua mente ripensò al giorno
precedente, quando il villaggio aveva fatto festa per il compleanno di uno
dei bambini. Erano riusciti a preparare una torta, scatenando la gioia dei
fanciulli e ancora sorrideva davanti a tale dimostrazione di felicità.
Stavo vivendo insieme a lui la spensierata festa quando qualcosa si
insinuò tra la mia mente e quella dell’uomo. Riconobbi immediatamente
quella tensione elettrica, quasi tangibile e mi voltai verso Zephyr: era
riuscito a intrufolarsi nei pensieri dell’uomo, anche se con grande sforzo.
Le nostre energie si incontrarono e lui mi guardò sorpreso.
L’uomo continuava ignaro a parlare del raccolto imminente; degli
uomini che partivano all’alba e tornavano dopo il tramonto; di madri,
mogli e fidanzate che preparavano loro un pasto frugale e compresi che,
a poco a poco, stava iniziando a fidarsi di noi.
Allora, per rispetto alla sua fiducia, lasciai la sua mente e mi dedicai a
un placido e piatto dialogo con lui.
~
Rimanemmo due giorni in quel villaggio. Ricordo con piacere quel
breve periodo, perché la gente che vi abitava era ospitale e serena come
mai la vidi in quell’Era disgraziata. Riuscimmo addirittura a fare un bagno
caldo, mentre alcune donne si offrirono di lavarci gli abiti. E il giorno dopo
il nostro arrivo, io e Zephyr eravamo già tirati a lucido e con un nuovo
paio di scarpe.
Quando la sera tornarono gli uomini dal campo, ci studiarono a lungo
meditabondi, indecisi se lasciarci rimanere al villaggio o mandarci via. Ma
la faccia tirata e affaticata del mio allievo li convinse a fidarsi di noi: del
resto eravamo solo un vecchio e un fanciullo.
Zephyr passò il suo tempo a girovagare nel villaggio a osservare il
modo di vivere di quegli uomini e le loro condizioni ambientali. La sua
curiosità lo spingeva fino alla superstrada che cingeva il mucchietto di
case e macerie, annotando qualsiasi cosa nella sua mente sveglia e
aperta, così come aveva fatto in tutti i villaggi che ci avevano ospitato.
Si attirò la curiosità dei bambini, tanto che lo seguivano a distanza, di
nascosto o gli si avvicinavano con circospezione. Le donne erano
sempre pronte a offrirgli acqua o qualcosa da mangiare. Gli anziani gli
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sorridevano benevoli e gli mostravano, di tanto in tanto, alcuni resti di
fondamenta, di impianti idraulici ed elettrici.
Dal canto mio, mi limitai a trascorrere il tempo chiacchierando con il
capo del villaggio e a medicare piccole escoriazioni e ferite che i bambini
riportavano dopo aver giocato tra le macerie.
Quando riprendemmo il nostro vagabondare, eravamo carichi di cibo
e bevande per una settimana. Il sorriso ricomparve sulle labbra di Zephyr
solo quando gli fu restituita la spada ed io lo rimproverai per aver portato
rancore a quella gente così magnanima e cordiale.
-Sensei,- mi disse un giorno mentre riposavamo all’ombra di una
collinetta, -ho avuto modo di mirare da vicino quanto fosse stata
ingegnosa la mente umana prima della distruzione. Quella grande strada
asfaltata, quei cavi sotterranei che portavano acqua e luce, quei fili che
potevano mettere in comunicazione la gente a grande distanza… Non
esiste più niente di tutto questo.Lo guardai senza dire nulla e lui continuò con tono triste:
-È giusto che i bambini non debbano più avere certe comodità? È giusto
che debbano crescere nel terrore che il loro villaggio possa venire
distrutto od occupato dai soldati del Re? È giusto che la civiltà porti alla
distruzione del progresso?Respirai a fondo e lo fissai negli occhi.
-Dimmi, Zephyr: quali sono le tue sensazioni? Cosa provi?Esitò e si morse le labbra, stringendo le mani a pugno.
-Non saprei… Un’immensa tristezza, o forse è rabbia repressa. Potrebbe
essere impotenza di fronte a simili eventi e dunque frustrazione. Voi mi
avete raccontato della vita precedente e mi sembra quasi di vederla,
come se l’avessi vissuta. Ma quando penso che ai bambini nati dopo non
è data la possibilità di vedere distese di prati verdi, di alberi, di animali, né
di udire il canto degli uccelli, il mormorio di una cascata… Ebbene, soffro.
Soffro perché mi sembra una cosa ingiusta.-Non è equo, infatti. E non solo per i bambini, bensì per tutti. Perché hai
pensato solo a loro?Rifletté un attimo, colto di sorpresa ed io sorrisi, ben sapendo cosa
avrebbe risposto.
-I bambini sono la speranza per il futuro. Chi non li ama non avrà
domani.-Hai ragione. Essi sono l’unica speranza. Tu stesso sei poco più di un
fanciullo, eppure hai già compreso una verità così grande. I bambini sono
lo specchio dell’innocenza, della felicità, della gioia di vivere e se tu
continuerai a credere in loro la tua vita avrà un senso.Socchiuse i suoi magnifici occhi e mormorò:
-Dovrò combattere per loro, non è così, sensei?-È così. E la consapevolezza di ciò ti renderà forte e invulnerabile.Mi studiò ancora per un attimo, quindi alzò la testa verso il sole ed i
suoi occhi verdi si spalancarono illuminandosi di speranza.
33
6
I
l nostro viaggio si era svolto finora sempre a piedi, tra distese di
sabbia, di rocce e di macerie e spesso dovevamo fermarci perché le mie
vecchie ossa di tanto in tanto si lamentavano per la fatica alla quale
venivano sottoposte.
Fu con enorme gioia che un giorno lungo la strada trovammo una
vecchia jeep militare abbandonata. O meglio: accanto ad essa trovammo
i resti di un corpo, a testimonianza che il proprietario era stato privato
anticipatamente della vita e, di conseguenza, della jeep. Io e il mio
allievo ci scambiammo un’occhiata d’intesa e ci avvicinammo al veicolo.
Lo sezionai a lungo, togliendo sabbia e polvere da molte parti, soprattutto
dal motore ma, nonostante fosse un vero e proprio residuato bellico,
aveva tutta l’aria di funzionare.
-A quanto pare,- osservai sorridendo, -dovrò insegnarti anche a guidare.Gli occhi di Zephyr brillarono di gioia e con un agile balzo salì al posto
di guida.
-Sono pronto.- affermò con malcelato entusiasmo.
-Questo mi fa veramente piacere, in quanto dovrai camminare fino al
prossimo villaggio.-Come?- chiese attonito.
-La prima lezione è di una facilità disarmante: senza carburante nessun
veicolo funziona.-Come?- ripeté stupito.
Sospirai di stanchezza e mi sedetti all’ombra della jeep, chiudendo gli
occhi spossati. Dopo alcuni attimi di esitazione, Zephyr scese dal veicolo
e mi si avvicinò con rassegnazione.
-Potrei metterci molto tempo prima di trovare un villaggio.- fece notare.
-Ce n’è uno non molto distante da qui. Se apri la tua mente lo vedrai.Mi guardò perplesso, ma non osò fare osservazioni. Congiunse le
mani e mi sedette accanto sospirando appena.
-E voi, sensei? Non posso lasciarvi solo, col pericolo… che qualcuno…Il suo tono preoccupato mi fece riaprire gli occhi e vidi l’esitazione sul
suo volto da efebo: doveva ubbidirmi, eppure allo stesso tempo temeva
di lasciarmi.
-Hai paura, piccolo Zephyr? Paura che qualcuno possa aggredirmi?34
Annuì imbarazzato e osservò la terra ai suoi piedi. Sorrisi per tanta
devozione e la mente mi portò l’immagine di un futuro lontano, dove un
allievo avrebbe messo fine al suo maestro. Vedevo già come sarebbe
avvenuto e sapevo già che sarebbe stato indolore e, malgrado tutto,
volevo, e voglio tuttora molto bene a quel cucciolo, ora adulto, che tante
volte nei secoli ho cresciuto. E lui, dal canto suo, prova, provò e
continuerà a provare gli stessi sentimenti nei miei riguardi. Perché, in
fondo, non è la morte che ci diamo vicendevolmente, bensì una nuova
vita, una nuova speranza per l’umanità.
-Non è per me che devi temere, Zephyr.- gli feci presente.
Mi guardò intensamente con i suoi occhi da gatto, valutando il mio
fisico stanco e obsoleto e scosse la cerulea testa.
-Non so, io…-Perché titubare? L’incertezza rende l’uomo debole e succube delle
opinioni altrui. Sii forte: da’ l’impressione di decidere subito.-Voi siete saggio, sensei; io sono ancora troppo giovane per avere pieno
potere sul mio corpo e sulla mia mente.Annuii gravemente e mi grattai il mento sotto la folta barba canuta. In
un futuro non molto lontano avrei ricordato quella frase confrontandola
con il ragazzo che avevo di fronte e avrei sorriso compiaciuto.
-Devi imparare molto, è vero, eppure so a priori che non mi deluderai.Alzai il braccio e indicai l’orizzonte desertico.
-Ora va’, raggiungi il villaggio. Prima partirai, prima farai ritorno.-Io…- mormorò alzandosi. -Tenete almeno la spada.- disse porgendo
l’arma.
Mi innalzai altezzoso, come se fossi stato profondamente offeso e lo
fulminai con un’occhiataccia.
-Cammina, cucciolo impertinente e arrogante! Sparisci dalla mia vista e
sbrigati a portare il carburante! Ti concedo sei giorni di tempo per andare
e tornare! Va’, corri!Mi guardò spaventato e indietreggiò di un passo. Una folata di vento
improvviso gli buttò i capelli di lato, coprendogli parzialmente gli occhi,
ma non si mosse, non fece alcun gesto per ributtarli indietro.
Continuavo a fissarlo con aria truce, mentre sentivo che la sua mente
cercava di penetrare la mia per carpire i miei pensieri. Ma come se
avessi avuto a portata di mano una porta, sbarrai la sua timida avanzata,
facendogli pervenire solo il vuoto.
Infine, quando si decise a mettersi mestamente in cammino, la mia
bocca si piegò in un sorriso divertito e i miei occhi persero la
momentanea aggressività.
~
Finché il mio allievo fu giovane e inesperto, riuscii a seguire tutti i suoi
movimenti anche se si trovava lontano da me. Penetravo nella sua mente
a piacimento anche senza che lui se ne accorgesse e lo seguivo passo
passo, in pratica vivendo in prima persona quanto viveva lui.
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La sua mente, ancora poco elastica, non riusciva a percepire
intrusioni, a meno che non fossi io a palesare la mia presenza e questa
lacuna, almeno per il momento, lo rendeva vulnerabile davanti a un Bushi.
Se io mi permisi, finché non fu in grado di tenermi testa, di violare la sua
privacy, i suoi sentimenti e i suoi pensieri, fu al solo scopo di proteggerlo
anche a distanza.
Così, quel pomeriggio di tanti anni fa, non mi feci scrupoli nel
profanare la sua intimità per seguirlo in quel breve viaggio.
E mi ritrovai a osservare il mondo con gli occhi di un ragazzo dopo
quasi tre secoli e mezzo. Perché tale è il tempo trascorso dalla mia vita
precedente, in quanto noi Cavalieri viviamo circa duecento anni, poiché
dobbiamo attendere la rinascita del predecessore e istruirlo nuovamente
prima di poter riposare ancora una volta.
All’inizio camminava spedito, trasportato dalla voglia di andare e
tornare nel minor tempo possibile; poi iniziò a rallentare, sfinito dal sole
abbacinante e terribilmente caldo. Io stesso sentivo quel calore
insopportabile e le gocce di sudore che gli scendevano dal viso su tutto il
corpo, e ricordai quando, da giovane, camminavo speditamente, ignaro
del sudore e indifferente alla spossatezza.
Intorno a lui solo deserto; di tanto in tanto un avvoltoio lo copriva con
la sua ombra e lui alzava la testa restringendo gli occhi per osservare
l’animale contro sole che attendeva la sua morte con infinita pazienza.
Pochi esemplari di fauna erano sopravvissuti alla distruzione ed erano
quelli più forti, come i rettili, i pipistrelli, gli avvoltoi. Rarissimi erano i cani
e i gatti: del resto non era rimasto nulla.
Sia il mondo animale che quello vegetale si erano quasi estinti e
questo ha influito negativamente sulla psiche umana. Lo so, l’ho potuto
constatare con questi miei occhi bianchi, divenuti tali dopo essere stati
bombardati dalle radiazioni. Nel giro di pochi attimi il genere umano si era
risvegliato senza avere più al fianco un prato verde, un fiore, un usignolo,
un gatto… A livello conscio non ha ancora capito cosa gli sia venuto a
mancare. E cerca, cerca. Cerca qualcosa e non sa cosa e non sa che
non la troverà più. Tutto questo lo vedo e lo vede anche Zephyr. È
compito suo, in questa vita, far capire all’uomo cosa ha perduto in un
attimo di follia. Dovrà lui, oltre combattere il Re, far capire quanto
importanti siano le cose semplici che riempiono la vita.
E mentre osservavo il paesaggio con i suoi occhi, compresi quanto si
sentisse triste e solo alle soglie di un’esistenza colma esclusivamente di
deserto e crudeltà.
Impiegò un giorno a raggiungere il villaggio, camminando seguendo la
via che gli indicava la mente, senza mai fermarsi un attimo, nemmeno
per assopirsi un po’.
Era diverso dai villaggi da noi finora visitati, perché gli uomini con le
macerie a disposizione avevano innalzato alte mura a difesa e questo la
diceva lunga su come avessero vissuto fino allora.
Zephyr si fermò a una certa distanza, osservando quel baluardo
magnifico e fiero, degno della massima fiducia e il suo pensiero corse a
36
Christian. È a causa dei Bushi, pensò, che gli uomini si sono rinchiusi in
fortezze come questa? Cosa nascondono quelle mura?
Un enorme portone sbarrava l’accesso agli estranei e il volto di un
ragazzo transitò per un attimo nella mia mente vecchia e stanca. Sorrisi
tra me e me e osservai la jeep che avevo davanti. Grazie a essa il mio
allievo non sarebbe più stato solo e ne fui contento.
Risoluto abbassò il cappuccio del mantello sulle spalle e il sole fece
brillare i suoi lunghi capelli cerulei. Avanzò verso il portone massiccio e
uno dei due uomini di sentinella sul bastione alzò la lancia e urlò:
-Fermò lì! Non fare un altro passo avanti o sarai un uomo morto!-Sono solo un ragazzo e vi chiedo aiuto.-Non avvicinarti!Zephyr si fermò e rimase immobile a osservare i due uomini di
guardia.
-Cosa vuoi?- intervenne l’altro.
-Vi prego, signori, fatemi entrare e riposare: da più di un giorno cammino
senza sostare un solo minuto. Chiedo un po’ d’acqua.Uno dei due si voltò e parve discutere con qualcuno di là delle mura,
quindi fece cenno al compagno e questi intimò al mio allievo di fare
qualche passo avanti. Lo squadrarono a lungo, mormorando tra loro, poi
il portone cigolò e ruotò lentamente sui cardini, aprendosi. Zephyr
osservò senza muoversi, con aria tranquilla e serena, finché un terzo
uomo uscì dal portone facendogli cenno di avvicinarsi.
-Chi sei, ragazzo?- gli chiese con tono autoritario.
-Il mio nome ti direbbe meno di niente. Sono qui perché a un giorno di
distanza la mia vettura si è fermata per mancanza di carburante. Mi
chiedevo se sareste stati così gentili da darmene un po’.L’altro sorrise divertito e lo squadrò dall’alto in basso, incrociando le
braccia al petto.
-Vorresti del carburante, eh?- lo schernì. -E cosa ti fa pensare che ne
abbiamo?-Io l’ho… l’ho immaginato… lo spero.Rimasero un attimo in silenzio, gli occhi negli occhi, quindi il giovane
scoppiò a ridere e Zephyr sospirò di sollievo.
-Vieni, entra dentro.Il mio allievo lo seguì e si ritrovò all’estremità di una grande piazza, ai
lati della quale sorgevano piccole costruzioni adibite a dimora. Molta
gente si era riversata là intorno, incuriosita e un po’ intimorita, fissandolo
con diffidenza e distacco, mentre il portone veniva richiuso alle sue spalle.
Zephyr fece scorrere il suo sguardo profondo su tutti i presenti, quindi
si voltò verso il giovane che l’aveva scortato. Questi incrociò nuovamente
le braccia al petto e piantò saldamente i piedi a terra, torreggiando come
un falco sul mio disinvolto allievo.
-Il vostro capo non potrebbe…-Sono io il capo.- l’interruppe il giovane con un sogghigno. -E non ho
nessuna intenzione di darti il carburante. A meno che tu non abbia
qualcosa da darci in cambio.37
-Non ho denaro, se è quello che volete sapere. Anzi, non ho proprio
niente.Il capo allungò una mano e alzò un lembo del mantello di Zephyr,
scoprendo la spada. L’intero villaggio mormorò e il mio allievo si precipitò
a esplorare la mente del capo per capire se l’avrebbe considerato un
nemico.
Penetrò con irruenza, mosso dalla paura, trascinandomi in quella
mente giovane e sicura di sé.
Non c’era animosità contro il mio allievo ma solo voglia di divertimento.
Lo stava valutando come un essere adulto, pensando a come potesse
essere utile, immaginandolo al lavoro ai campi o al villaggio. Forse
provava anche un po’ di pietà nei suoi confronti, ma non lo diede mai a
vedere. E per un attimo ripensò a quando, con coraggio, si era messo al
comando di quel piccolo villaggio, trasformandolo nella fortezza che era
ora. Anni duri, di continue lotte e sofferenze, con il terrore di nuovi assalti
da parte dei soldati del Re, con la sua giovinezza che era più un intralcio
che un pregio. Il suo pensiero si interruppe bruscamente, come se quei
ricordi l’infastidissero e si proiettò al giorno prima: la ragazza, la sua
donna, era lì, nella sua mente, distesa accanto a lui, dolce, stupenda…
Sentii Zephyr fremere quando l’immagine si soffermò su quei due
corpi nudi intrecciati esausti. Quella visione lo lasciò interdetto e fuggì
precipitosamente dalla mente dell’uomo.
-E questa? Cosa te ne fai tu, così piccolo, di un’arma simile?Zephyr si ricoprì bruscamente col mantello immondo e pieno di
polvere, senza rispondere.
-Potrei consegnarti il carburante in cambio della spada.-No. Non posso dartela.Il giovane scrollò le spalle e scosse la testa.
-Allora dovrai guadagnartelo.-D’accordo. Il lavoro non mi spaventa, però…Si guardò intorno titubante, quindi riprese:
-Posso restare un giorno solo. Ho lasciato mio nonno da solo ed ho
paura che possa capitargli qualcosa di spiacevole.L’altro strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere fragorosamente,
portandosi una mano alla fronte.
-Hai l’ardire di dare ordini… Mi spiace. Avrai un decimo di litro di benzina
per ogni giorno che lavorerai.-Ma… Solo un decimo?- esclamò.
-È la paga normale. Dovresti sapere che la benzina è un lusso che pochi
possono permettersi. Di più non possiamo darti: serve anche a noi.Sogghignò divertito osservando il volto pallido di Zephyr e sussurrò:
-Prendere o lasciare: a te la scelta.~
Non lo mandarono a lavorare nei campi, bensì in un locale simile a
uno spaccio di generi alimentari e ristorante assieme, all’interno del
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villaggio stesso. Il proprietario, un omone grosso dall’aria arcigna, lo
prese con sé per fargli ripulire il locale, servire al banco e ai tavoli,
sistemare la mercanzia, lavare i piatti e via dicendo, dandogli in cambio
un pasto caldo a mezzogiorno e un giaciglio la notte.
Zephyr lavorò senza mai lamentarsi per due giorni, sopportando la
maleducazione degli avventori e la freddezza del proprietario, fin quando
l’inquietudine per me prese il sopravvento e la sera del secondo giorno,
quando il capo del villaggio andò a consegnargli la paga, lo fermò
dicendo:
-Per favore, io non posso restare a lungo: mio nonno mi sta aspettando
da solo. Non potreste darmene di più?- e indicò la tanica.
-Nessuno dà niente per niente. Ricordatelo.- rispose secco il giovane.
-Ma io…-Sei libero di andartene anche subito, se vuoi: nessuno ti sta
trattenendo.Sospirando tetramente, Zephyr chinò la testa accettando la paga e il
capo del villaggio se ne andò con indifferenza.
-Be’?- tuonò il proprietario del locale con aria minacciosa, le mani posate
sui fianchi prosperosi. -Inizi già a lamentarti?-Nossignore.-Allora finisci di lavare i piatti e di mettere in ordine quelle scatole e poi
chiudi tutto. Io me ne vado a dormire.Rimasto solo, Zephyr si tolse il lacero grembiule legato in vita e andò
a nascondere il poco carburante guadagnato nel retro della bottega,
insieme a quello del giorno precedente. Si accertò che nessuno lo
spiasse, mise via il carburante e sospirò tetramente, pensando che non
sarebbe mai riuscito a mettere insieme abbastanza nafta in poco tempo.
Stava facendo alcuni conti a mente mentre rientrava nel locale per fare le
pulizie, quando si bloccò all’improvviso, fissando il ragazzo seduto a un
tavolo che tamburellava con le dita.
-Desideri qualcosa?- gli chiese pensando che fosse ora di chiusura.
L’altro si girò a guardarlo e Zephyr fu scosso da un brivido lungo la
schiena. La scarsa percezione che aveva per il momento del futuro non
gli impedì di intuire che quel ragazzo avrebbe fatto parte della sua vita.
Poteva avere tredici o quattordici anni, di aspetto piacevole anche se
vestito di stracci, con i capelli arruffati e il viso sereno.
-Salve, Zephyr.- rispose e la sua voce aveva un tono allegro e melodioso.
-Tu non mi conosci, però io ero in mezzo a tutto il villaggio quando sei
arrivato e ho udito quanto hai detto. Il mio nome è Rutger.Zephyr l’osservò a lungo chiedendosi cosa volesse, non riuscendo a
capire perché avesse atteso l’orario di chiusura, quando non c’era più
nessuno in giro, per farsi avanti e istintivamente si pose sulla difensiva.
-Diffidente, eh? Non ti do torto. C’è un posto sicuro dove poter parlare
liberamente?-Di cosa?-Ho una proposta da farti.-Riguardo?39
Rutger alzò una mano e sorrise.
-Solo in un posto sicuro, lontano da orecchie indiscrete.Zephyr rimase un attimo pensieroso, quindi gli fece cenno di aspettare.
Terminò di lavare i piatti e di sistemare le scatole dietro il bancone senza
pensare a niente, portando a compimento il lavoro, sotto lo sguardo
paziente dell’altro, quindi afferrò la spada e si avvicinò al ragazzo ancora
pazientemente seduto al tavolo.
-Possiamo andare.Rutger si illuminò in volto e si alzò e il mio allievo dovette buttare
indietro la testa per guardarlo in faccia: seduto non aveva dato
l’impressione di essere molto alto, nonostante l’età.
Zephyr gli fece cenno con la mano e lo seguì fuori del locale, chiuse il
negozio e lo condusse vicino al muro che cingeva il villaggio.
-Ti va bene qui?- chiese con distacco.
-D’accordo.Nella penombra della sera, il mio allievo intravide i suoi occhi gialli
brillare di eccitazione e la sua mano corse istintivamente verso la spada.
Rutger si accorse del suo turbamento e lo rassicurò dicendo:
-Non voglio strangolarti, ma solo proporti un accordo.-Questo l’hai già detto.Il ragazzo appoggiò la schiena al muro e alzò la testa per osservare le
stelle.
-Sono stupende, non trovi? Immobili, brillanti, eterne, misteriose…-Non credo tu mi abbia condotto qui per parlarmi esclusivamente delle
stelle.- iniziò Zephyr più rilassato. -Comunque ne convengo: sono
stupende.-A volte rimango anche delle ore a osservarle senza stancarmi,
immaginando… Be’, non importa.- e si voltò a guardarlo. -Abbiamo
entrambi un problema da risolvere.-Hai un problema?-Sì. Voglio andarmene via da qui, vedere altri posti, conoscere gente
nuova.-E perché non lo fai? I tuoi non vogliono?Rutger sorrise tristemente e lo fissò.
-Non ho più genitori.-E cosa ti trattiene?-La vigliaccheria: ho timore a viaggiare da solo. Quando sei arrivato, ho
capito che le mie preghiere erano state esaudite ed era giunto il
momento.Zephyr fece una smorfia, portando il peso del corpo su una gamba e
replicò, acido:
-Dovrai aspettare: non posso andarmene prima di aver racimolato
abbastanza carburante.Rutger gli posò una mano sulla spalla e con aria sorniona disse:
-So cosa ti tormenta: tuo nonno, il pensiero che stia solo. Be’…- e si
guardò intorno con circospezione, prima di continuare in un sussurro, sappi che io ho quello che ti occorre.40
-Tu?-Io, certo. Era il carburante di mio padre e quando è morto ho pensato
bene di nasconderlo, immaginando che prima o poi mi sarebbe tornato
utile.Per una frazione di secondo gli occhi di Zephyr brillarono di
contentezza, quindi scosse la testa sconsolato e mormorò:
-Ti ringrazio, ma non posso accettare: sarebbe come rubarti un bene di
vitale importanza.-Non ti sto regalando proprio niente: ti sto pagando per il favore che mi
farai.- ribatté con decisione.
-Favore?-Sicuro: ce ne andremo insieme. Ho deciso di aggregarmi a te e tuo
nonno.Zephyr lo guardò in tralice, mentre gli occhi di Rutger sognavano già
villaggi nuovi, nuove avventure, nuove terre e gente più gentile e
comprensiva.
-Per quale motivo desideri andar via?La domanda di Zephyr lo costrinse a tornare con i piedi per terra e
disse:
-Te l’ho detto: voglio conosc…-Sì, sì. Ok. Questo l’ho capito. Ora voglio la verità.-Tutto quanto ho detto è vero.- ribatté Rutger stizzito.
Zephyr gli lanciò un’occhiata divertita e sorrise indulgente.
-Non ti conviene mentire con me. Io conosco già la verità.L’altro rimase un attimo incerto davanti alla sicurezza ostentata del
mio allievo, quindi rise sfidandolo:
-E quale sarebbe questa verità?-Non ti conviene trattarmi con troppa condiscendenza.- l’ammonì con
freddezza.
Se solo l’avessi avuto vicino, l’avrei redarguito duramente per
l’arroganza usata, ma altro non potetti fare che rimanere a osservare,
silente e anonimo spettatore.
Come se in qualche modo avesse avvertito qualche risentimento da
parte mia, riprese con tono più affabile:
-So che vuoi fuggire da questo villaggio perché la gente pensa solo a se
stessa e non ha alcuna pietà verso i suoi simili. Tu la odi perché vuole
prendersi l’eredità lasciata da tuo padre e la sua insistenza ti fa sorgere
dubbi: i tuoi genitori sono veramente stati uccisi dai soldati del Re o dalla
stessa gente del villaggio che vuole appropriarsi del carburante? E se
così fosse, non tarderebbe a uccidere anche te… Come vedi, so perché
vuoi fuggire, però hai paura a farlo da solo. Io sono arrivato a proposito,
vero?Esterrefatto, Rutger lo fissò come se fosse stato un mostro e fece un
passo indietro, portando le mani in avanti, a mo’ di difesa.
-Tu… Tu come…-Conosco sempre la verità. È inutile mentirmi.-Ma… È assurdo! Da chi lo hai saputo?41
-Da nessuno. Lo so e basta. So tutto di te, anche che ami usare un…
una… qualcosa che emette… suoni…-L’armonica.- l’aiutò attonito.
-Sì. E so tante altre cose, ma non chiedermi niente. L’importante ora è di
accelerare i tempi.Ancora confuso, il ragazzo annuì vagamente, cercando di capire
quello che la sua mente non comprendeva. Poi, all’improvviso, si rese
conto delle parole pronunciate dal mio allievo ed esclamò sorridendo:
-Allora accetti! Ce ne andremo insieme!Zephyr annuì e lui continuò con genuino entusiasmo:
-Il carburante è tuo, non voglio più saperne niente, mi ha già causato
troppe sofferenze.-Sì, ma un giorno te lo restituirò. In questo momento mi preme tornare dal
nonno.-Ok, d’accordo! Va’ a prendere la tua roba, ci ritroveremo qui tra
mezz’ora.-Subito?Rutger scosse la testa esasperato allargando le braccia e spiegò con
pazienza:
-La gente di qui non mi lascerà mai andar via in pieno giorno. La mia
unica possibilità è la fuga protetta dalle tenebre. Non capisci? Se
sospettassero qualcosa, capirebbero pure che mi porto dietro il
carburante e non ci penserebbero due volte a seguirmi e farmi fuori.-Sì, capisco. Però… Perché ti fidi di me?Impreparato, Rutger rifletté un attimo inarcando le sopracciglia; quindi
alzò le spalle e mormorò:
-Non saprei. Sento che di te posso fidarmi, ma non chiedermene il
motivo.Zephyr allora sorrise e annuì leggermente.
-Ok. A tra poco, allora.~
Fuggirono attraverso un varco che Rutger, già da tempo, aveva creato
nel muro di cinta, alle spalle dell’entrata principale dove sostavano le
sentinelle, portandosi dietro il peso di trenta e più litri di carburante.
Nessuno si accorse di niente; la fortuna era con loro, e le tenebre li
avvolsero sotto il loro mantello, celandoli a potenziali occhi indiscreti.
Camminarono per tutta la notte, temendo di venire inseguiti e nel
silenzio totale mi tornò in mente, vedendoli, un episodio che mi vide
protagonista in una delle mie vite.
Accadde intorno al 1300 avanti Cristo, sotto la dinastia di Ramsete II il
Magnifico, in Egitto. Ero un semplice contadino che viveva vicino al fiume,
il grande Nilo, la linfa vitale, e avendo previsto la prossima battaglia di
Kadesh avevo ritenuto opportuno mettere al corrente il divino Faraone su
come si sarebbe svolta, su quante vite sarebbe costata, sulla dubbia
vittoria e via dicendo, comprese le battaglie che sarebbero seguite. Ma la
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mia Vista, purtroppo, non fu molto gradita al Sommo Sacerdote, il quale
convinse Ramsete che ero uno spirito malvagio e quindi punibile con la
morte.
Così, per non venir seppellito vivo e rischiare la fine di Kamido, dovetti
fuggire avvolto dalle tenebre, abbandonando l’Egitto per rifugiarmi nel
deserto ad attendere l’arrivo del mio allievo.
Ecco: ora che sto avvicinandomi alla fine di questa vita, inizia a
divenirmi caro ricordare tutte quelle passate, ben sapendo che dovrò
attendere più di un secolo e mezzo prima di ricordare nuovamente tutto.
Comunque, la fuga dei due ragazzi mi divertì perché mi aveva
riportato indietro nel tempo e questo non poteva che farmi piacere.
Si fermarono solo il pomeriggio del giorno dopo, esausti per il peso
che vicendevolmente trasportavamo. Approfittando di quella sosta, dopo
aver mangiucchiato e bevuto quel poco che si erano portati dietro, Rutger
estrasse l’armonica dalla tasca dei pantaloni e iniziò a suonare con
trasporto, riempiendo l’aria di una melodia dolce e riposante. Zephyr lo
ascoltò ammaliato, non avendo mai udito, in questa sua vita, il suono
della musica.
-Come ci riesci?- chiese dopo un po’.
-È facile: basta soffiare dentro questi fori, conoscere le note e farle
combaciare.-Cosa sono le… note?-Be’, sono… sono… Le note sono sette e ognuna emette un suono
diverso dall’altra.Zephyr rimase in attesa della spiegazione, osservando ora lo
strumento ora il ragazzo, non riuscendo a capire,.
-Be’, non… non so altro.- ammise Rutger imbarazzato. -Cazzo!- esplose
poi con stizza. -Non sono un musicista io, ma solo un dilettante che ha
imparato da suo padre!-Se ti ho offeso chiedo scusa: non era nelle mie intenzioni. Ti prego,
continua a suonare, è molto bello… Sublime.Il ragazzo esitò un attimo, quindi riprese la melodia e Zephyr chiuse
gli occhi, trascinato dal suono delicato. Fu un attimo, come la luce di un
lampo, e nella mia mente rilassata risuonò qualcosa di assordante, più
fragoroso di un tuono. Indubbiamente era musica, sebbene decisamente
diversa da quella che ci proponeva Rutger.
Zephyr si irrigidì e sgranò gli occhi allibito. L’immagine di un gruppo di
ragazzi con vari strumenti in mano transitò rapida nei suoi pensieri e un
sudore freddo gli bagnò all’improvviso il corpo accaldato.
-Ehi, stai bene?- chiese Rutger ansioso, vedendolo impallidire a vista
d’occhio.
-Co… come?-Che ti succede? Stai tremando come una foglia…Con un enorme sforzo si concentrò sulle parole e sul volto
preoccupato dell’amico e la spiacevole sensazione di precipitare in un
abisso senza fondo svanì.
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Ancora non lo sapeva e non poteva neppure immaginarlo, ma la
visione di quel complesso rock era il primo barlume di ricordo della sua
vita precedente.
-Io… Sto bene, sto bene. La tua musica… mi piace.- balbettò confuso.
Rutger lo fissò a occhi socchiusi, valutando attentamente il suo stato
fisico, quindi si alzò dicendo:
-Ok. Possiamo riprendere la marcia. Per ora la tanica la porto io.-Non c’è bisogno, mi sento bene.- protestò.
-Ok. Però il primo turno lo faccio io.Zephyr alzò le spalle e seguendolo mormorò:
-Come vuoi.~
Impiegarono due giorni per tornare da me, durante i quali impararono
a conoscersi con la rapidità solita degli adolescenti e a divenire amici.
Tuttavia Zephyr, nonostante gli sforzi, non riusciva a togliersi dalla mente
quelle fugaci immagini accompagnate da suoni roboanti. Sapevo già che
per prima cosa mi avrebbe chiesto delucidazioni in merito e appena mi
vide si mise a correre, lasciando a Rutger il compito di trasportare da solo
il pesante fardello del carburante.
-Sensei...- ansimò cadendo in ginocchio accanto a me che stavo seduto.
-Oh, bentornato.- salutai con noncuranza, senza accennare ad alzarmi.
Non mi diede tempo di aggiungere altro, ché subito sciorinò tutto
quello che gli era capitato, con una fretta che tradiva l’ansia provata.
Mentre parlava, anzi, mentre vomitava parole, io volsi lo sguardo alla
figura alta e slanciata che si avvicinava spossata, quasi barcollando sulle
gambe: portava una blusa sporca e malridotta che, a giudicare da come
era striminzita, doveva portare addosso già da un paio d'anni. I pantaloni
larghi ricoprivano le sue gambe lunghe e magre fino all'altezza del
polpaccio e le scarpe di tela erano quasi consumate.
-Allora, sensei?Mi voltai verso Zephyr e lo guardai a lungo in un improvviso silenzio
che pesò più di un macigno.
-Dovresti chiedere scusa al tuo amico per averlo lasciato solo a
trasportare le taniche.-Io...Si girò verso Rutger e lo vide posare le pesanti damigiane accanto
alla jeep e arrossì imbarazzato. Si alzò e si avvicinò all'amico, scusandosi
mestamente. L'altro scosse la testa e sorrise, quindi insieme mi
raggiunsero.
-Sensei, questo è Rutger. È lui che mi ha prestato il carburante.- lo
presentò con un accento di orgoglio.
-Benvenuto tra noi, figliolo.-Sensei?- ripeté corrugando le sopracciglia. -Ma... Zephyr mi ha detto
che voi siete suo nonno...Rimasi in silenzio e guardai il mio allievo, in attesa che rispondesse.
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-Be’... A dir la verità non è proprio mio nonno, ma il mio maestro. È stato
lui a prendersi cura di me quando sono rimasto orfano ed io gli voglio
bene come a un vero nonno.-Capisco.- rispose, anche se in realtà non aveva compreso fino in fondo.
-Tieni.- dissi porgendo la borraccia. -Devi essere assetato.Gli brillarono gli occhi mentre mi ringraziava ed io sorrisi volgendomi
verso Zephyr.
-Non preoccuparti di quello che la tua mente ti ha mostrato: sono
semplicemente i ricordi del subconscio.-Quali ricordi? Onestamente non riesco a capire: non ho mai visto cose
simili; come potrei ricordarle?Con la coda dell'occhio vidi che Rutger ci osservava perplesso e la
cosa mi divertì.
-Hai sempre fiducia in me, Zephyr?-Sì, sensei.-Allora continua ad avere pazienza. Avrai altre visioni, sempre più
frequenti e alla fine capirai da solo.Mi osservò con diffidenza, mentre mi alzavo scrollando la polvere e la
sabbia dal mantello, mettendo fine alla conversazione. Mi avvicinai al
nuovo venuto e osservai i suoi capelli neri come la pece e dritti come
spaghetti.
-Non so cosa ti aspetti o speri di trovare viaggiando con noi; sappi che
vaghiamo senza meta, tra insidie e pericoli. Dicendoti questo non voglio
affatto intimorirti, bensì illuminare il tuo probabile avvenire. Comunque,conclusi sorridendo amichevolmente, -ti diamo il benvenuto, facendo
presente che in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo sarai sempre
libero di andare o restare. Nessuno ti obbligherà a rimanere se non ti
troverai bene.Lo vidi titubare per un attimo, la mente persa in qualche pensiero
estraneo al suo ottimismo, quindi un po' imbarazzato rispose:
-Non mi pentirò mai di questa scelta e sono certo che non sentirò mai il
desiderio di andarmene.-Mai?- ripetei con tono ambiguo.
-Be’... Ho sempre avuto fiducia nel mio sesto senso e ora mi dice che con
voi starò bene, che ho trovato la via giusta.-Giusta per cosa?- chiese Zephyr avvicinandosi.
Rutger chinò la testa per guardarlo negli occhi e rispose:
-Forse per trovare giustizia.Io e il mio allievo ci scambiammo un'occhiata d'intesa quindi,
sorridendo, dissi:
-È meglio mettersi in cammino. Sai guidare?-Ehm... Ho provato un paio di volte, ma...- balbettò Rutger incerto.
-Sono più che sufficienti.Aggrottò le sopracciglia, forse domandandosi se fossi del tutto savio,
tuttavia non replicò. In silenzio prese una tanica e rovesciò parte del
contenuto nel serbatoio della jeep, mentre Zephyr mi chiedeva:
-Questo significa che non mi insegnerete più a guidare?45
Sorrisi e gli posai una mano sulla testa, cameratescamente.
-Non riesci a vedere più in là del tuo naso?Rimase perplesso e pensieroso, quindi sorrise e con un balzo saltò
sul sedile posteriore della jeep.
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7
D
a più di trent'anni non ascoltavo musica e posso asserire, dopo così
tanto tempo di digiuno, che non esiste suono più dolce e rilassante.
Prima della distruzione non c'era minuto, nell'arco delle ventiquattro
ore, in cui non si ascoltava musica. Giovani, uomini maturi e anziani: non
c'era nessuno che vivesse senza musica. Io, che durante le mie vite ne
ho seguito l'evoluzione, posso assicurare che è stata parte essenziale
dell'esistenza di ogni singolo individuo. Suono e canto si sono sempre
accompagnati, sia nei momenti di gioia che in quelli di sconforto e di
terrore. Nei castelli i menestrelli cantavano e suonavano per allietare il
signore; alla base di rappresentazioni teatrali e cinematografiche c'era
sempre la colonna sonora; i giovani facevano pazzie per assistere ai
concerti; durante la rivoluzione francese la popolazione intonava inni di
libertà; durante i bombardamenti dell'ultima guerra non nucleare le radio
continuavano a trasmettere musica; nei campi di cotone e di tabacco i
negri cantavano per lenire la fatica; in tutte le dottrine religiose
spiccavano canti mistici... e potrei continuare l'elenco all'infinito.
Personalmente ho sempre amato la musica, di qualsiasi genere,
perché fa parte dei sentimenti umani: unisce, eccita, rilassa, rattrista,
esalta e non conosce barriere di lingue.
E una sera, quando ci fermammo in una gola per riposare e Rutger si
mise a suonare l'armonica, le mie orecchie si rizzarono e si tesero verso
quel suono sublime e rassicurante. E all'improvviso mi parve di rinascere
dopo tanti anni passati in agonia.
Le mie membra si rilassarono gemendo di sollievo e chiusi gli occhi
librandomi in aria come una foglia portata dal vento.
-Questa è un'altra gioia che l'uomo ha perso.Era un sussurro quasi impercettibile, come se Zephyr avesse parlato
tra sé e sé, ma era a me che si era rivolto e annuii osservandolo.
Anch'egli aveva un'espressione rapita e sognante e compresi che stava
provando le mie stesse sensazioni.
-È un gran peccato.- continuò.
-Ti piace, vero?-La musica? E a chi non piacerebbe? È come se... Come se ti riempisse
l'anima...47
Avevamo acceso un piccolo falò per riscaldarci dal gelo della notte e
le pareti a strapiombo che ci circondavano sembravano più lugubri e
minacciose di quanto apparivano in pieno giorno. La striscia di cielo che
riuscivamo a scorgere era cosparsa di miriadi di stelle bianche che
spiccavano nell'immensa oscurità della volta celeste e Rutger alzò la
testa per ammirarle.
Appena il suono cessò, io e Zephyr ci voltammo verso di lui, alquanto
delusi e insoddisfatti: avremmo desiderato che continuasse all'infinito,
fino a rasentare la nausea, ma questo pensiero egoistico non riuscì a
farci ignorare la sua stanchezza.
-Suoni divinamente.- si complimentò Zephyr.
Lui abbozzò un mezzo sorriso e osservò l'armonica racchiusa nel suo
palmo.
-È strano che tu apprezzi la musica. Per farlo,- mormorò, -bisogna essere
capaci di amare. E gli uomini di quest'epoca non sanno farlo.Rimasi colpito dall'amarezza del suo tono e notai che anche Zephyr
ne era rimasto colpito, tanto che lo fissò a lungo.
Poi, all'improvviso, l’espressione di Rutger mutò e sulle sue labbra
spuntò il sorriso, facendolo tornare il ragazzo vivace e allegro che era.
-Sapete che voi due siete un po' strani?- esclamò. -Parlate poco e
sorridete ancor meno.-Mi risulta che di questi periodi siano rarissime le persone serene e
ottimiste che possono permettersi di ridere.- replicò Zephyr.
Rutger ci osservò attentamente, quindi rispose ammiccante:
-Sì, è vero. Esistono due tipi di uomini: quelli crudeli e spietati che vivono
solo per uccidere, e quelli abulici, incapaci di reagire che vivono nel
terrore. Ma voi... Voi non appartenete né all'una, né all'altra categoria.Sghignazzò, come se fare lo psicanalista lo divertisse e continuò:
-All'apparenza potete sembrare appartenenti alla seconda categoria;
però, a studiarvi meglio, esiste una profonda differenza: voi non avete
paura. Allora si sarebbe portati a catalogarvi nel primo gruppo. Ma anche
qui sussiste una profonda differenza: siete soli, mentre i prepotenti
agiscono in gruppi numerosi. Se sbaglio correggetemi: appartenete a una
classe diversa, unica, che bisogna ancora catalogare.-Quanti anni hai, Rutger?- chiesi divertito.
-Tredici, perché?-Sei un buon osservatore.-Allora è come dico? Aveva ragione il mio sesto senso?- esclamò
sgranando gli occhi.
-Lo sai già.Rimase un attimo in silenzio, meditabondo, quindi tornò a mirare le
stelle e mandò loro un saluto.
~
Rutger si domandò spesso che tipi di uomini fossimo e perché uno
strano alone di mistero ci circondasse, e niente mi impediva di spiegargli
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chi fossimo; tuttavia reputai più prudente evitare di metterlo al corrente di
cose per le quali avrebbe inutilmente messo a repentaglio la sua giovane
vita. I tempi erano mutati e tra noi Cavalieri e i Bushi era in corso una
guerra; meno Rutger sapeva, più probabilità aveva di rimanerne escluso.
Lui non lo immaginava, ma da quando si era unito a noi, la guerra lo
riguardava molto da vicino.
E per ogni evenienza, quando insegnavo al mio allevo a maneggiare
la spada, a difendersi con le mani e con i piedi, come le vecchie
discipline marziali, lo insegnavo parimenti a lui, in ugual misura. Quando
Zephyr rimaneva in meditazione, lui lo imitava senza mai lamentarsi ed io
ero fiero di insegnare a due ragazzi armati di ferrea volontà.
Li vedevo crescere insieme come fratelli, sani, forti e non ricordo una
sola volta in cui li vidi litigare o portarsi rancore.
Zephyr era il taciturno, l’introverso; Rutger il vivace, l’estroverso.
Erano due personalità opposte eppure si amavano come fratelli, sempre
pronti a sacrificarsi l’uno per l’altro, ognuno a correre in aiuto dell’altro.
Ricordo con piacere un episodio che mi fece comprendere quanto
fossero diventati uniti.
Durante il nostro vagabondare, Rutger si ammalò e da un giorno
all’altro iniziò a dare di stomaco e la temperatura corporea gli salì
vertiginosamente, tanto che non riusciva più a stare in piedi e a tenere gli
occhi aperti. Nonostante il caldo, il suo corpo era scosso da brividi
violenti e i suoi denti battevano per il freddo.
Dopo più di trent’anni la gente continuava ad ammalarsi per le
radiazioni e a morire dopo immani sofferenze. I bambini, spesso,
nascevano già malati e la maggior parte non superava il primo anno di
vita. Alcuni, invece, portavano nel loro corpo le radiazioni fino all’età
adulta, ignari del male fin quando questo non usciva dall’incubazione e
allora nel giro di pochi giorni morivano. Rutger era uno di questi.
Per sedici anni il suo fisico era riuscito a tenere a freno la
contaminazione, lasciandolo crescere come un ragazzo normale, pieno di
forza e apparentemente sano. Evidentemente i tre anni trascorsi con noi,
sempre in movimento e senza un attimo di riposo, avevano finito per
indebolire le sue difese immunitarie e le radiazioni, rimaste inattive fin
dalla nascita, erano esplose con furore, decise a consegnare la sua
giovane vita al Vento Divino.
Non potevo far nulla per lui, tranne alleviargli le sofferenze, ma Zephyr
non riusciva a darsi per vinto.
-Dovete aiutarlo, sensei.- mi esortò con estrema calma. -Deve pur
esserci un modo.Osservai Rutger steso su una stuoia, nascosto da una montagna di
coperte per farlo stare al caldo e gli posai una mano sulla fronte.
-Non sono io a decidere della vita e della morte. Non in questo caso,
quando è la natura a comandare.-Questo non è vero.- esordì con fermezza fissandomi negli occhi. -So di
essere morto molti anni fa e voi mi avete ridato la vita. Fatelo anche con
mio fratello.49
Le sue parole mi colsero di sorpresa, perché mai aveva lasciato
intuire che sapesse o, perlomeno, che avesse iniziato a ricordare. Ma,
dall’espressione stupita del suo volto, arguii che aveva parlato
istintivamente, senza riflettere.
-Io… Non capisco, mi è venuto in mente senza… Vedo delle immagini
sfocate, prive di significato…- balbettò confuso.
-È così. Quando ti trovai temetti di essere giunto troppo tardi per salvarti.
Sei morto, sì, e tuttavia non sono stato io a renderti la vita. Il Potere ha
stabilito che fosse così. Io non ho fatto altro che attendere il ritorno della
tua anima.Sapevo che la sua mente stava osservando quanto era accaduto sei
anni prima e vidi le sue guance impallidire mentre si guardava steso sul
giaciglio, privo di vita.
-Come… com’è possibile che riesco a ricordare e vedere cose che… che
non ho vissuto, dato che ero morto? Come è possibile?-Non stai ricordando con la tua mente, bensì con la mia.- spiegai.
Mi scrutò attentamente, ma non c’era sorpresa nella sua espressione,
quasi si fosse rassegnato a convivere con misteri e azioni inesplicabili.
-Io… Ci rifletterò. Ora dobbiamo pensare a Rutger. Non voglio che
muoia.-Non pretendere più di quanto ti è concesso.- l’ammonii.
-Non ho mai preteso niente: questo lo esigo.- rispose indicando il ragazzo
semincosciente.
Sospirai e rimasi a osservare il cielo limpido. Una possibilità c’era, ma
significava rischiare la vita del mio allievo e non potevo permetterlo.
Mi guardò con aria supplichevole e ammiccò al suo amico.
-Vi prego, sensei. Se esiste anche una sola remota possibilità di salvarlo,
non esitate.-Non posso rischiare di perderti. Sei troppo importante per il futuro degli
uomini.-Ebbene, anche Rutger è un uomo da salvare. Come potrei portare a
termine il mio compito se lasciassi morire una persona per salvare me
stesso? Se non sono in grado di rischiare per una vita, allora vuol dire
che non sono io colui che ne dovrà salvare molte.Aveva appena quattordici anni e aveva ragione ed io lo sapevo; ma
non esisteva solo Rutger: l’intera l’umanità dipendeva da Zephyr e anche
la salvezza di Kamido. Se lui moriva, tutto moriva con lui.
Era una decisione ardua, che comportava una profonda ponderazione
e la scelta una responsabilità non indifferente.
Non ricordo per quanto tempo il mio allievo continuò a supplicarmi; so
solo che alla fine cedetti e che mi affidai alla benevolenza del Potere.
Chiesi a Zephyr di rimanere costantemente in contatto con la mente di
Rutger, mentre lo facevo distendere accanto a lui, e attesi che
sopraggiungesse la morte. Altro non potevo fare e l’attesa era più che
mai agonizzante.
Poi vidi: erano due giovani che camminavano insieme e riconobbi
Zephyr con i suoi lunghi capelli cerulei che svolazzavano lievi sopra il
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mantello. E Rutger era al suo fianco, sorridente come sempre. Quello che
mi colpì furono i suoi capelli: non avevano più quel meraviglioso colore
corvino che risplendeva di verdazzurro sotto i raggi del sole, ma erano
diventati bianco candido come i miei e ciò mi lasciò perplesso.
L’immagine sparì ed io osservai i due ragazzi stesi fianco a fianco,
uno in coma, l’altro speranzoso e sentii crescere in me un’enorme
tristezza.
All’improvviso mi accorsi che le fattezze del volto di Rutger iniziavano
a mutare: le guance si fecero più infossate, gli occhi sprofondarono nelle
orbite e il naso si assottigliò come una lama. Ci siamo, pensai. Con la
mente ordinai a Zephyr di trasferire la sua anima in quella dell’amico,
mentre io toccavo lievemente le loro fronti con gli indici e i medi.
Rimanemmo immobili a lungo, fin quando con un ultimo rantolo
Rutger spirò e il suo corpo si rilassò nell’immobilità eterna. La mia mente
udì un grido lacerante, di dolore e compresi che si trattava di Zephyr che
sentiva la propria anima morire insieme all’amico. In una frazione di
secondo lasciai precipitare la mia mente nel vuoto assoluto e tutta
l’energia del corpo la feci convergere sulle fronti dei due ragazzi tramite
le mie sole dita.
Se il Vento Divino avesse accettato l’anima di Zephyr e la mia energia,
Rutger sarebbe tornato alla vita. Se così non fosse stato, i ragazzi
sarebbero morti ed io avrei dovuto attendere altri anni.
Ma il Vento Divino si mostrò magnanimo. Sentii la vitalità tornare nei
corpi dei due ragazzi e con un sospiro mi rilassai, spossato e sull’orlo di
un collasso. Quando ebbi recuperato un minimo di energie riaprii gli occhi
e con spossatezza mi dedicai a Zephyr e Rutger, curandoli e vegliandoli
per alcuni giorni. Non li abbandonai un solo attimo, perché le loro vite
erano ancora in bilico, la morte che cercava di ghermirli allungando i suoi
micidiali artigli, e fu in quei giorni che i capelli di Rutger mutarono colore.
Li vidi imbiancare precocemente e con una rapidità sbalorditiva, tanto da
lasciarmi preoccupato sulla sua reazione emotiva. Ma una volta ripresosi,
Rutger non si curò per nulla di quel cambiamento, per lui insignificante,
troppo preso dalla gioia di essere ancora vivo per prestare attenzione a
una simile sottigliezza.
Da quel giorno parte della mia energia e dello spirito di Zephyr furono
un tutt’uno con il corpo di Rutger, rendendolo un po’ più simile a noi e
Zephyr non smise mai di ringraziarmi per quanto avevo fatto.
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