Noah - Rizzoli Libri

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Noah - Rizzoli Libri
Jandy Nelson
Ti darò il sole
Traduzione di LIA CELI
Titolo originale: I'll GIve You the Sun
© 2014 Jandy Nelson
Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti d’America
da DIAL BOOKS
un marchio di Penguin Group (USA) LLC
375 Hudson Street, New York, New York 10014
© 2016 Rizzoli/RCS Libri S.p.A., Milano
Prima edizione maggio 2016
ISBN 978-88-17-08740-7
Realizzazione editoriale: Librofficina, Roma
A PAPÀ E CAROL
Là fuori, oltre le idee di giusto e di sbagliato, c’è un campo.
Lì ci incontreremo.
– RUMI
Non credo in nulla tranne che nella santità dei moti del
cuore e nella verità dell’immaginazione.
– JOHN KEATS
Dove l’amore è grande, ci sono sempre i miracoli.
– WILLA CATHER
Ci vuole coraggio per crescere e diventare ciò che sei
veramente.
– E.E. CUMMINGS
IL MUSEO INVISIBILE
Noah
13 anni
Tutto inizia così.
Con Zephyr e Fry – i due sociopatici del vicinato
attualmente in carica – che mi inseguono nel bosco e
il suolo che sussulta sotto i miei piedi mentre corro a
perdifiato nel vento, fra gli alberi, in una nube incandescente di panico.
«Te lo facciamo noi l’esame, frocetto» urla Fry.
E Zephyr mi è addosso, mi blocca un braccio dietro
la schiena, poi l’altro, e Fry agguanta il mio album degli schizzi. Mi allungo per riprenderlo ma sono senza
braccia, impotente. Tento di divincolarmi dalla presa
di Zephyr. Inutile. Provo a battere le palpebre e a trasformare quei due in falene. Niente. Sono ancora loro:
una coppia di gigantesche testadicazzo di seconda liceo
con l’hobby di gettare dalle scogliere un povero essere
umano di tredici anni.
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Zephyr mi stringe da dietro in una morsa, il suo petto mi preme sulla schiena e viceversa. Siamo in un bagno di sudore. Fry comincia a sfogliare il mio blocco.
«Ma che è ’sta roba che disegni, Bolla? Non si capisce
niente.» Lo immagino mentre viene investito da un tir.
Alza il blocco per mostrare uno schizzo. «Zeph, guarda
un po’ tutti questi tizi nudi!»
Il mio sangue smette di circolare.
«Non sono tizi. Sono il David» sbotto. Dio, fa’ che
io non abbia una voce da gerbillo, ma fa’ anche che
lui non guardi i disegni che vengono dopo, quelli che
ho fatto oggi mentre li spiavo, disegni di loro due, di
quando sono usciti dall’acqua con le tavole da surf sottobraccio, senza costume, senza niente, con la pelle luccicante e (ehm) mano nella mano. Una licenza artistica
mia, mettiamola così. Oddio, adesso penseranno che…
Mi ammazzeranno ancora prima di concepire l’intenzione di ammazzarmi, ecco cosa faranno. Il mondo inizia a fare una capriola. «Michelangelo, hai presente?
Mai sentito?» butto lì a Fry. Non voglio comportarmi
da quello che sono. Sei un duro se ti comporti da duro,
non fa altro che ripetermi il papà. Come se io fossi una
specie di ombrello rotto.
«Eccome no» enuncia la grossa bocca carnosa di Fry,
che si assembla con le altre sue grosse e carnose fattezze
all’ombra della fronte più spropositata del mondo, facendone la perfetta copia di un ippopotamo. Strappa la
pagina dal blocco: «Ho sentito dire che era gay».
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Lo era – mia mamma ci ha scritto un libro – ma figurati se Fry lo sa. Se non li chiama gay li chiama checche
o frocetti. Poi ci sono io: checca, frocetto e Bolla.
Zephyr scoppia in una risata cupa e demoniaca. La
sento vibrare fin dentro di me.
Fry passa al disegno successivo. Un altro David.
Dalla vita in giù. Uno studio dettagliato. Divento di
ghiaccio.
Adesso ghignano tutti e due. La risata echeggia nella
foresta, sembra uscire dalle ugole degli uccelli.
Di nuovo cerco di liberarmi dalla stretta di Zephyr
per strappare il blocco da Fry, ma alla fine riesco solo
a renderla più soffocante. Zephyr, che è una specie di
Thor, con un braccio mi serra il collo e con l’altro mi
allaccia il busto come una cintura di sicurezza. È a torso
nudo, caldo di spiaggia, e il tepore del suo corpo penetra attraverso la mia maglietta. L’odore di cocco della
sua crema solare mi riempie il naso e la testa, e così il
profumo intenso dell’oceano, quasi che se lo fosse portato in spalla fino a qui. Zephyr che si trascina dietro la
marea come un telo da bagno: sarebbe bello, sarebbe
lo spunto giusto (RITRATTO: Ragazzo che cammina con
il mare sulla spalla)… Ma non ora, Noah: è il momento
più sbagliato per ritrarre mentalmente questo decerebrato. Ritorno in me, sento il sapore del sale sulle labbra e mi ricordo che sto per morire.
I lunghi capelli impastati di alghe di Zephyr sono
bagnati e mi gocciolano giù per il collo e la schiena.
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Mi accorgo che respiriamo in sincrono, e sono respiri
pesanti, quasi degli ansiti. Cerco di desincronizzare i respiri. Cerco di desincronizzarmi con la legge di gravità
e di riemergere. Non mi riesce né l’uno né l’altro. Non
mi riesce nulla di nulla. Fry continua a fare a brandelli
i disegni – per lo più ritratti di famiglia –, uno dopo
l’altro, e il vento glieli strappa di mano via via. Ce n’è
uno di me e Jude, che lui fa a metà, tagliandomi dall’immagine.
Mi guardo volare via.
Lo guardo avvicinarsi sempre di più ai disegni che
diventeranno il movente del mio omicidio.
Sento il cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Ma Zephyr dice: «Non strapparli, Fry. Sua sorella
dice che è bravo». Ah, è perché gli piace Jude? Piace
un po’ a tutti, Jude, perché a fare surf è la più brava in
assoluto, le piace tuffarsi dalla scogliera e non ha paura
di niente, né dei grandi squali bianchi né di papà. E per
i suoi capelli. Ho usato tutti i miei gialli per colorarli.
I capelli di Jude, lunghi centinaia di chilometri. Qualunque abitante della California settentrionale, se non
sta attento, potrebbe rimanerci impigliato, soprattutto
i bambini piccoli, i barboncini e ora anche i surfisti testadicazzo.
E poi ci sono le tette, che le sono arrivate nel giro di
una notte, tipo consegna a domicilio, giuro.
Un attimo dopo succede l’incredibile: Fry dà retta a
Zephyr e lascia cadere il blocco.
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Jude mi lancia uno sguardo da uno dei disegni. Il
viso solare, l’espressione di chi la sa lunga. Grazie, le
dico mentalmente. È specializzata in salvataggi di
Noah, il che di solito mi mette a disagio, ma non ora. È
stata cosa buona e giusta.
(RITRATTO, AUTORITRATTO: Gemelli: Noah guarda in
uno specchio, Jude guarda oltre lo specchio)
«Sai cosa ti facciamo adesso? Lo sai?» mi gracchia
Zephyr all’orecchio. Si torna al programma fissato in
precedenza, quello dell’omicidio. C’è troppo Zephyr
nel respiro di Zephyr. C’è troppo Zephyr su di me.
«Ragazzi, vi prego» imploro.
«Ragazzi, vi prego» mi fa il verso Fry con uno squittio effeminato.
Mi si rivolta lo stomaco. Il Dirupo del Diavolo, il
secondo picco più alto della scogliera, quello da cui
vogliono lanciarmi, si chiama così per una ragione: sul
fondo sono in agguato una gang di pietre taglienti come
lame e un vortice che risucchia giù negli inferi le tue
ossa maciullate.
Provo ancora a spezzare la morsa di Zephyr. E poi
ancora e ancora.
«Tienigli le gambe, Fry!»
Tutti gli ottanta chili da ippopotamo chiamati Fry
si tuffano sulle mie caviglie. Spiacente, ma le cose non
possono finire così. Mi rifiuto. Odio l’acqua, perché il
mio fisico ha la fatale tendenza ad annegare e a venir
trasportato dalla corrente fino in Asia. E ho bisogno di
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avere una scatola cranica integra. Fracassarmela sarebbe
come mandare un bulldozer contro un museo segreto
prima che qualcuno sia riuscito a vedere cosa c’è dentro.
Così cresco. E cresco e cresco finché sbatto con la
testa contro il cielo. Poi conto fino a tre e divento una
furia, e intanto ringrazio il papà per tutto il wrestling
che mi ha obbligato a fare sul terrazzo, quei match
all’ultimo sangue in cui lui poteva usare solo un braccio
e io tutte le parti del corpo, e lo stesso riusciva a inchiodarmi a terra perché è alto dieci metri ed è fatto di pezzi
di camion.
Io sono suo figlio, il suo erculeo figliolo. Sono un rotante e manesco Golia, un tifone rivestito di pelle umana, e a suon di calci e pugni cerco di liberarmi ma loro
mi sbattono giù, ridendo e dicendo cose tipo: “Quella
pazza di tua madre”. E mi sembra di cogliere perfino un
certo rispetto nella voce di Zephyr mentre dice: «Non
riesco a tenerlo fermo, sembra una dannata anguilla»
e questo mi fa combattere con più energia – adoro le
anguille, sono elettriche – immaginandomi ora come
un filo scoperto, con un voltaggio tutto mio. Mi piego
a destra e a sinistra, e intanto sento i loro corpi dibattersi intorno al mio, così tiepido e sfuggente, e insieme
mi spingono a terra ancora e ancora, e io mi divincolo
dalla stretta, e adesso braccia e gambe, mie e loro, si intrecciano e ho la testa di Zephyr che mi preme sul petto
e Fry alle mie spalle con cento mani. E tutto sembra
solo – è solo – movimento e caos e io mi ci perdo, total12