zucker – come diventare ebreo in sette giorni
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zucker – come diventare ebreo in sette giorni
ZUCKER – COME DIVENTARE EBREO IN SETTE GIORNI Sito: http://www.zucker-derfilm.de/ Anno: 2004 Titolo Originale: ALLES AUF ZUCKER! Altri titoli: ZUCKER Durata: 90 Origine: GERMANIA Genere: COMMEDIA Specifiche tecniche: (1:1.85) Produzione: BAYERISCHER RUNDFUNK (BR), WESTDEUTSCHER RUNDFUNK (WDR), X-FILME CREATIVE POOL, ARTE Distribuzione: LADY FILM (2005) Data uscita: 25-11-2005 Regia: Dani Levy Attori: Henry Hubchen Jaeckie Zucker Hannelore Elsner Marlene Zucker Udo Samel Samuel Zuckermann Golda Tencer Golda Zuckermann Steffen Groth Thomas Anja Franke Jana Sebastian Blomberg Joshua Zuckermann Elena Uhlig Lilly Rolf Hoppe Rabbino Ernst Ginsberg Inga Busch Irene Soggetto: Holger Franke, Dani Levy Sceneggiatura: Holger Franke, Dani Levy Fotografia: Carl-Friedrich Koschnick Musiche: Niki Reiser Montaggio: Elena Bromund Scenografia: Christian M. Goldbeck Costumi: Lucie Bates Effetti: Bjorn Friese, Bffx Trama: Nella Berlino post-unificazione, l'ex giornalista Jaecki Zucker, ormai giocatore d'azzardo incallito, dopo la morte di sua madre sta per rincontrare suo fratello Samuel con cui non parla da anni. Nella divertente commedia degli equivoci che ne nasce, Jaeckie dovrà inventarsi un'identità ebrea ortodossa per ricevere una fetta dell'eredità materna... Critica: "L'umorismo è una delle cose più belle e toccanti quando viene fuori dalla sofferenza e 'Zucker!... come diventare ebreo in sette giorni' di Dani Levy è esattamente questo: una commedia che mette in scena con pesante leggerezza i disastri della vita e lo scontro fra due culture. Gli sfaceli familiari, d'altronde, spesso danno vita a grandi commedie. In più, il film è ben scritto, pieno di battute politically uncorrect, sfacciate, appassionate e soprattutto autoironiche. Perché, come dice il regista, 'Dio ride. Ed essendosi sconsideratamente eletti come suo popolo, noi ebrei non possiamo che ridere di noi stessi'." (Roberta Bottari, 'Il Messaggero', 25 novembre 2005) In Germania è stato un caso, proprio come il fotunatissimo Good Bye Lenin: 10 milioni di euro al botteghino, un fiume di premi, ma anche di «dibattiti». E si perché Zucker. . . come diventare ebreo in 7 giorni - in arrivo nelle nostre sale da domani per la Lady Film - è un film, anzi una divertentissima e irriverente commedia firmata da Dani Levy, regista ebreo berlinese che molto farà discutere. L’argomento, infatti, tocca uno dei tabu tedeschi (e non solo tedeschi) più radicati: ridere degli ebrei. Nonostante Woody Allen o l’umorismo yiddish è questo un tema assolutamente controverso in Germania, paese che da una parte è percorso da nuovi e più visibili rigurgiti neo-nazisti (numerose sono state le manifestazioni per le vie di Berlino) e dall’altra è alle prese col «superamento del senso di colpa», come ha dimostrato la recente produzione di film sul nazismo, tra tutti La caduta con Bruno Ganz nei panni di Hitler. Ebbene, Dani Levy con Zucker ha fatto centro, nonostante le difficoltà 1 iniziali e gli scoraggiamenti di molti, compreso quello dì sua madre, ebrea di Berlino scappata al nazismo nel ‘39 che, come racconta lui stesso, quando ha letto la sceneggiatura lo ha invitato a la- sciar perdere. Così come i produttori televisivi ai quali aveva presentato il soggetto e che lo hanno rispedito al mittente celando il tabù sugli ebrei con problemi legati all’Auditel («non fanno ascolto le storie che padano di minoranze, mi hanno risposto», spiega il regista). Al centro del racconto è una famiglia tedesca di fede ebraica «divisa» da quarant’anni di muro, che oggi si ritrova a Berlino per seppellire la madre in osservanza del rito ebraico. Clausola fondamentale del testamento, per ottenere l’eredità, è che i due fratelli, tra loro più diversi che mai, si ricongiungano. Uno, l’osservante ortodosso (Bin Laden lo chiama l’altro), vive a Francoforte dove ha «sposato», oltre ad una moglie grassona, anche il capitalismo e le speculazioni economiche. L’altro, il protagonista, un vero perdente e inguaribile imbroglione che ancora oggi vive a Berlino est rimpiangendo le glorie della Ddr e la sua fede comunista ««comunista che mangia i bambini e che vive nelle case della Stasi», gli rimprovera il fratello). E che ora è costretto ad improvvisarsi ebreo osservante (in 7 giochi appunto) per mettere le mani sull’eredità. Inutile dire che dall’incontro tra i due, con le rispettive famiglie, usciranno scintille. Scintille di puro umorismo yiddiSh. Del resto sono due famiglie «disfunzionali» entrambe. Quella osservante, nonostante l’apparenza, ha una figlia ninfomane e un figlio tutto «casa e sinagoga» che ha scelto la fede come ripiego ad un amore fallito: quello con la cugina, si proprio la figlia dello zio comunista, che dopo essere rimasta incinta l’ha mollato per seguire la sua passione saffica. Insomma, tutti si rivelano davvero poco ortodossi, compreso il padre osservante, pronto persino a lasciarsi andare tra le braccia di una prostituta palestinese (una delle dipendenti del locale del fratello) dopo aver ingerito per errore una pasticca di estasi. Insomma, si ride tanto. Ma con «affetto», come sottolinea Dani Levy. «La commedia - dice - può infrangere ogni tabù ma ad una condizione: non ci deve essère il cinismo che mette in ridicolo. I miei personaggi io li prendo in giro con amore. Cosi come fanno le nostre barzellette che si prendono gioco soprattutto delle contraddizioni più dolorose della nostra cultura. Io sono cresciuto con questo tipo di umorismo». Riconoscente a Roberto Benigni per La vita è bella («Un film così in Germania nessuno l’avrebbe prodotto, soprattutto se a girarlo non fosse stato un ebreo», dice) col quale per primo ha infranto il tabù sull’Olocausto raccontato in chiave di commedia, Levy sottolinea come «oggi sia necessario cambiare approccio a certi temi. Dopo 60 anni in cui gli ebrei sono stati raccontati soltanto attraverso il cliché delle vittime della tragedia è giusto affrontare diversamente il discorso». E i primi a riderci su sono stati proprio gli ebrei tedeschi. «Il rabbino capo della comunità tedesca - racconta il regista - ha visto il film un’infinità di volte ed ha invitato a vederlo parenti ed amici». Diversamente, però, è andata in Israele. «Qui - conclude Levy» - c’è ancora chi si interroga sulla legittimità o meno di ridere degli ebrei, perché temono che un film del genere possa favorire la nascita di sentimenti anti ebraici. Durante una proiezione uno del pubblico mi ha accusato addirittura di aver fatto propaganda alla Goebbles che metteva in ridicolo gli ebrei. Ma vi assicuro che è stato un caso isolato». (Gabriella Gallozzi, L'Unità - 28/11/2005) Due fratelli ebrei, Jackie e Samuel Zuckermann, separati da quarant’anni di muro e di polemiche, si rivedono all’aeroporto per prendere in consegna la bara della madre appena morta. C’è un’eredità da spartirsi ma l’avranno solo se riusciranno a marciare insieme sulla strada della fede ebraica. E naturalmente, per l’intera settimana dello «shivah», il lutto stretto degli ebrei, da vivere sotto la stretta sorveglianza del vecchio rabbino... Passi per Samuel che ha grande confidenza con la kippah, e i rituali della sinagoga, ma il laicissimo e comunista Jackie, ex popolarissimo (e fallito) tele-cronista sportivo dell’Est, «Zucker» per gli amici e i vecchi fan, ce la farà? II suo motto è «Non hai nessuna possibilità, quindi sfruttala». Ma la vera risposta finale è in Alles auf Zucker!, una commedia tanto sofisticata e autoironica da aver conquistato l’élite ebraica di Berlino e anche quella italiana che l’ha applaudita fino alle lacrime, poche sere fa, nella serata di chiusura riservata agli appassionati del German film festival. Uscito da poche settimane nelle sale tedesche e subito insignito del premio Ernst Lubitsch (fondato da Billy Wilder, per la migliore commedia dell’anno), Alles auf Zucker! è un piccolo fenomeno. Lo sottolinea con soddisfazione la produttrice, Manuela Stehr, che ha investito un milione e mezzo di euro sperando di doppiare il successo di Goodbye Lenin (di cui è stata coproduttrice); e ne va comprensibilmente fiero Dani Levy, il regista (e attore) neanche cinquantenne che l’ha scritto e diretto: un vero e proprio Woody Allen della nuova generazione che sta lanciando Zucker! in tutto il mondo. «In realtà» spiega a Panorama la produttrice «Dani e io sosteniamo che il termine commedia ebraica sia solo un’etichetta. È il grottesco di certe autentiche situazioni, solo casualmente ebraiche, a suscitare irresistibili gag». Ma Zucker!, Come diventare ebreo in 7 giorni, che con questo titolo uscirà a settembre in Italia distribuito da Vania Traxiler, non sarebbe Zucker! se Dani Levy e i suoi attori non avessero costruito proprio sull’autoironia una sceneggiatura deliziosamente scorretta nella quale finiscono allo spiedo senza pietà tutti i luoghi comuni della più arcaica tradizione ebraica. Un vero divertimento anche per gli attori (i due protagonisti maschili Henry Huebchen e Udo Samel in testa), come racconta Hannelore Elsner, nel film la moglie di Jackie, alla quale tocca tra l’altro il compito di trasformare non in sette giorni, ma forse solo in sette ore, una casa laica e decisamente sconclusionata nella perfetta abitazione di una famiglia osservante. E irresistibile la scena della spesa al supermercato kosher con il libro delle istruzioni per l’uso alla mano. «E ho fatto un grande sforzo a non ridere più di tanto mentre sul set interpretavo il molo di questa moglie che, ner amore dell’eredità, più che di un marito del quale vorrebbe in realtà liberarsi per sempre, cerca disperatamente di integrarsi in una cultura che le è palesemente estranea». Ebraica o no, la comicità di «Zucker!» è siglata da situazioni e battute fulminanti. Come quella che Jackie lancia alla moglie mentre aspetta di ve-der scendere dall’aereo il fratello che ha lasciato quando aveva appena 14 anni. Chiede lei, al 2 massimo dell’ansia: «Come pensi di riconoscerlo? A chi potrebbe assomigliare?». E il cinico Zucker, bugiardo impenitente, fallito e giocatore: «Per quanto ne so, forse a Bin Laden». (Laura Delli Colli, Panorama - 26/04/2005) Funerale a Berlino. Due fratelli, che si odiano, e che la storia ha a lungo separati, devono far pace perchè così è scritto nelle volontà testamentarie della madre defunta. Senza armonia niente eredità. Doppia «commedia etnica», sfigurata da ombre sinistre e macabre, Zucker! di Dani Levy (premio Lubitsch 2005), riprende da Good Bye Lenin quel gioco comico ben collaudato che nasce dallo spaesamento dell'ex socialista, nostalgico dell'est, ma spavaldo nel combattere a ovest la civiltà dei consumi. La complicazione etnica in più è data dal fatto che questo Don Chisciotte nel Kud'amm, Jaeckie Zucker, ex telecronista sportivo della Ddr, e attuale giocatore professionista di biliardo, pieno di debiti, non ha molto tempo da dedicare alle ritualità funebri ultraortodosse del ramo religioso della sua famiglia ebrea, proprio quella con cui dovrebbe far pace e che lo odia perché ateo, comunista e giocatore. Come lo odia sua moglie (che l'aveva piantato prima della probabile eredità); e sua figlia lesbica, che non gli perdona l'averla trattata, a est, come una Crabbe in erba fallita. «La vita è un gioco e io sono un giocatore nato» urla a se stesso Zucker. Ma più va avanti il film e più ci si incupisce tra ospedali, coma, oro promesso, chirurghi, biliardi, rabbini, tombe, Torà, contratti, espropri, litigi, incesti... (Roberto Silvestri, Il Manifesto - 12/12/2005) Jaeckie Zucker è il nome adottato da Jacob Zuckerman, ebreo tedesco rimasto a Berlino da adolescente durante la guerra, e cresciuto come commentatore sportivo nel socialismo reale, in polemico distacco dalle sue radici. Aldilà del Muro invece hanno vissuto, finora, il fratello Samuel e la madre, appena deceduta. Le ultime volontà della donna imporrebbero un funerale ortodosso, l’osservanza della shivah, la settimana di lutto ebraico, e la riconciliazione dei fratelli, pena la perdita del patrimonio. Jaeckie e la sua sgangherata famiglia però non sono osservanti, e inoltre l’uomo sta proprio in quei giorni cercando di riscattarsi dai debiti partecipando a un fatidico torneo di biliardo, specialità in cui eccelle e che sintetizza la sua visione della vita come azzardo. Ernst Lubitsch, Mel Brooks e Woody Allen sono lontani anni luce (se non per la finale, implacabile, apparizione celeste della Uber-Mamma Ebrea). Il prevedibile, auspicato apparato di tradizione ebraica su cui ironizzare è piuttosto scarno, è tutto esterno, formale, ma soprattutto lo script non spicca per umorismo yiddish. Qui semmai quello che funziona è il meccanismo della farsa, pur se qua e là prevedibile e zoppicante, condita di elementi da commedia interculturale e programmatiche “aperture” sessuali (la figlia lesbica, il figlio inibito, la nipote ninfomane, il bordello idilliaco). Tutto grazie a un travolgente Henry Hübchen e ad un contorno di caratteristi espressivi. (Raffaella Giancristofaro, Film Tv - 29/11/2005) La scorrettezza politica è l’ingrediente migliore di Zucker, diretto dall’ebreo tedesco Dani Levy. Tra omaggi a Billy Wilder, personaggi omofobi, ebrei ortodossi drogati a tradimento e battute tipo: «rimanere in Germania dopo Hitler, questo sì che è attaccamento alla nazione». Un concentrato di scorrettezza politica a cominciare dal tabù infranto, fin dal soggetto del film: ridere della, o meglio, “ridere con” la comunità ebraica tedesca, quando il popolo di Mosè, sopravvissuto alla Shoah, in Germania è tragicamente esiguo. La storia è quella dei due litigiosi fratelli Zuckermann (un nome che omaggia Philip Roth), riuniti dalla morte della madre. Per poter ricevere l’eredità i due devono trascorrere insieme la Shivah, la settimana di lutto prescritta dall’ortodossia. La scrittura alla base del film è discontinua e coi alcune soluzioni un po’ troppo programmatiche, ma un pugno di sequenze spassose (l’osservante Samuel trascinato in un infimo bordello) e alcuni dialoghi fulminanti valgono il film. Zucker è prodotto da Manuela Stehr, che aveva coprodotto un’altra commedia tedesca di successo: Goodbye Lenin!. Premio Ernst Lubitsch (fondato da Billy Wilder) per la commedia dell’anno, in Germania. (Luca Barnabé, Ciak - 09/12/2005) "Naturalmente è una commedia. Scritta e diretta da un regista, Dani Levy, che, essendo ebreo anche lui, non ha timore di farsi beffe della mentalità e del modo di vivere dei suoi correligionari più ortodossi. Forse poteva essere meno irriverente, anche perché, in certi passaggi, le sue beffe rischiano di apparire stonate, la caratterizzazione dei vari personaggi, tuttavia è condotta con una disinvoltura indubbiamente colorita e i risvolti narrativi, pure un po' contorti, i risultati allegri cui tendevano li raggiungono. Qua e là anche con una certa malizia. Gli interpreti però non aiutano molto. Hanno tutti un passato fecondo, sia in teatro, sia in televisione e al cinema, ma qui da noi hanno scarsi richiami. Cito almeno il protagonista Henry Hubchen. Può divertire, ma si agita molto." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 25 novembre 2005) "Pur nella scelta grottesca, lo sceneggiatore e regista del film Dani Levy, mantiene un tono equilibrato: alterna scene comiche con altre più serie, senza abbandonarsi alle tentazioni del cinismo. La sua è una commedia famigliare, non priva di sfumature psicologiche, nella tradizione dell'umorismo ebraico. Che - ce lo hanno dimostrato Lubitsch, Allen e altri grandi - si preoccupa assai meno del politicamente corretto che di rappresentare le debolezze umane in modo diretto, autoironico e, al caso, anche sfacciato." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 25 novembre 2005) "Campione d' incassi tedesco, il film di Dani Levy, che da grande vorrebbe essere Billy Wilder, si concede il lusso di ironizzare sulla religione, mira l'ortodossia ebraica e sta in equilibrio delicato su un tema pericoloso con la sfacciataggine tipica dell'autoironia. È alla fine una divertente commedia-farsa degli equivoci (...) Ne capitano di ogni tipo, finti attacchi di cuore e vere sfide di biliardo, amori casalinghi, un dialogo spiritoso sul filo dell'understatement da Woody Allen, critica politica sulle due Germanie e un cast variopinto in cui nessuno è un vero ebreo. Importante era rompere il tabù con intelligenza, misura, affettuosa complicità: fatto!" (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 26 novembre 2005) 3 Due fratelli ebrei in Germania: quando il muro fu eretto, a 14 anni Jakob rimase a Berlino; Samuel e la madre – scampata all’Olocausto – andarono a Francoforte. Due Germanie, due vite diverse: il primo è stato annunciatore sportivo, una celebrità dell’Est comunista, ora ha perso tutto e si arrangia con un locale sull’orlo della chiusura, il biliardo e piccole truffe. La moglie sta per lasciarlo, il figlio è coinvolto nella procedura fallimentare, la figlia lo disprezza. Quando la madre muore, il rabbino di Berlino comunica che lui e il fratello (con moglie ingombrante, figlio ortodosso e figlia che sembra una Addams ninfomane) debbono riappacificarsi, secondo il rito dello shivat, entro sette giorni pena la perdita dell’eredità. Nel frattempo, solo un torneo di biliardo potrà risparmiargli il crac, se solo potesse sfuggire al rito di riconciliazione, mentre tra i cugini spuntano o riemergono strane attrazioni… Tra attacchi di cuore veri e simulati, mogli interessate e una fede più o meno spontanea, la famiglia separata per 40 anni tenta l’impossibile: riappacificarsi tra barriere ideologiche e soprattutto religiose. Forse i fratelli separati, che si detestano sinceramente, hanno più cose in comune di quanto il socialismo reale, lo shabbat e i fallimenti facciano presumere. Garbato, denso di sfumature ironiche e riferimenti alla riunificazione tedesca come alle tradizioni e riti ebraici, affettuosamente canzonati come da tradizione yiddish, il film parla in modo leggero di ebraismo in Germania rompendo un tabù di mezzo secolo. Un piccolo inventario multistrato su una nazione schizofrenica e sulle sue divisioni, sui “falliti dell’Est” senza radici e sulle possibilità di riconciliazione, ancorché ai minimi termini, in una commedia satirica con retrogusto amarognolo, sgangherata e vorticosa, che accenna situazioni e confronti improbabili senza andare troppo a fondo, il cui enorme successo in patria è forse dovuto al suo essere irriverente, dissacratore, provocatorio al di là dei meriti effettivi. (www.fice.it) Note: -EUROPEAN FILM AWARDS 2005 Nominated Audience Award Best Actor: Henry Hübchen Nominated Best Director: Dani Levy Nominated Best Actor: Henry Hübchen Nominated Best Screenwriter: Dani Levy, Holger Franke -GERMAN FILM AWARDS 2005 Won Film Award in Gold Best Costume Design: Lucie Bates Won Best Direction: Dani Levy Won Best Film Score: Niki Reiser Won Best Performance by an Actor in a Leading Role: Henry Hübchen Won Best Screenplay: Holger Franke, Dani Levy Won Outstanding Feature Film: Manuela Stehr Nominated Film Award in Gold Best Editing: Elena Bromund Nominated Best Performance by an Actor in a Supporting Role: Udo Samel Nominated Best Performance by an Actress in a Leading Role: Hannelore Elsner Nominated Best Production Design: Christian M. Goldbeck 4