Scaricalo e stampalo
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Scaricalo e stampalo
Passaparola è un romanzo a più mani in cui sei autori si alternano nel raccontare una storia che non è decisa a priopri, ma che si reinventa di volta in volta. Gli autori sono, nell'ordine: Gianluca Morozzi, Luca Martini, Eliselle, Francesca Bonafini, Heman Zed, Caterina Falconi. Ogni autore scrive un capitolo, poi passa la mano all'autore successivo. L'ultimo autore della catena (Caterina Falconi) passerà di nuovo il testimone a Gianluca Morozzi, e così via... Sette stelle nel cielo di Roma Nono capitolo: Eliselle (ottobre 2010) S ul cartello bianco campeggia la scritta nera Pescara. Sopra, un accenno di benvenuti a. Sotto, una piccola bandiera italiana e la scritta gemellato con e una serie di città straniere. All’interno dell’auto che gli passa accanto proprio in quest’istante, un silenzio di tomba. È da ore che gira ininterrottamente un cd di David Bowie, sempre lo stesso, in loop. È da ore che le ragazze non spiccicano una parola tra loro. Sono ore che Stefania guida e che Dani guarda il paesaggio fuori dal finestrino, alternando un lieve senso di disagio alle domande interiori che si affastellano a cascata e non vogliono smettere di tormentarle il cervello. Cosa accadrà? Come saranno diventate le altre, col tempo? Che effetto mi farà rivederle tutte insieme? Che succederà una volta che saremo di nuovo riunite? Che cosa devo aspettarmi? Che cosa devo aspettarmi da ognuna di loro? Mila, che tipa sarà adesso? Si metterà ancora le dita nel naso? Farà ancora quel rumore allucinante per raschiarsi la gola? E quella cosa schifosa di sputare il catarro per la strada quando i suoi non la controllavano? E Claudia, avrà mantenuto l’abitudine di abbuffarsi di girelle nei momenti morti? Si arrampicherà ancora sui divani come una poiana? E ruberà ancora le bibite gassate scolandosele in un sorso per fare i suoi famosi rutti fotonici? E Lia? Chissà se soffrirà ancora di quel problema del lavarsi le mani... Me la ricordo sempre guardinga, sempre sospettosa, a scrutare tutto e tutti. Magari è diventata una paranoica del cazzo, oppure s’è trasformata in una nerd sfigata. E infine, Gemma. Gemma, proprio lei. Si divertirà ancora a puntare i piedi come una viziata? O a fare le faccette buffe quando vuole ottenere qualcosa? Soprattutto, si ritroverà ancora quel sorriso che incanta i fessi? All’epoca erano tutti fessi, ma lei, la piccola Daniela, lei no. Era troppo furba per farsi incantare. A lei Gemma non l’ha mai raccontata. Era una gatta morta, quella. Una piccola manipolatrice in erba. Riusciva a farla credere all’Italia intera, di essere una piccola innocente, e invece era tremenda. Qualsiasi cosa pur di diventare la protagonista. Merito di quella puttana che aveva come madre, che l’aveva cresciuta come lei. Se la ricordava, sua mamma, sempre pimpante, sempre truccatissima al limite del ridicolo, avanti e indietro per il set, a imboscarsi con tecnici, produttori, direttori delle luci e personale vario, perché convincessero il regista a tenere l’inquadratura un nanosecondo in più sulla sua piccola Gemma, a illuminarle meglio il visetto, a valorizzarle maggiormente le espressioni curiose e le guance delicate. Peccato non potesse dedicare le stesse attenzioni alle truccatrici, perché facessero meglio il loro lavoro: fuori target, dato che erano donne. All’epoca lei non capiva cosa succedeva dietro i paraventi, o che rumori erano quelli che provenivano dai camerini. Suoni gutturali, parole assurde mescolate assieme, cagna, succhia, vengo, e via così, in un crescendo di dai e di prometti. Parole troppo strane per le sue orecchie di bambina. Ci aveva provato a dirlo ai suoi, se lo ricorda, ma loro avevano nicchiato. C’era arrivata da sola, dopo, molto dopo. Una roba da traumi infantili. «Ehi, ci sei?» Dani si risveglia dalle sue elucubrazioni e si gira a guardare Stefania. Non porta gli occhiali da sole, anche se si vede benissimo che il riflesso della luce le dà fastidio. Si sforza di sopportarlo, ma non c’è Passaparola nulla da fare. Le sopracciglia aggrottate e la fronte che scivola verso il basso, quando guida senza lenti scure, la fanno sembrare perennemente incazzata nera. «Sì, sì, certo tesoro, perché?» «Be’, devo anche fartelo notare? Da quanto tempo non dici una parola?» «C’è il cd che suona». «E per questo non parli?» «Sì, so che ti piace, non volevo infastidirti». «Dani…» «Eh?» «Non dire cazzate, Dani». Dieci minuti di viaggio passati a litigare sulle vere ragioni del mutismo di Dani e sulle recriminazioni verso l’incazzo gratuito di Stefania. Cinque minuti per capire, prese dalla violenta discussione, che avevano superato la destinazione. Altri cinque minuti per trovare una piazzola, fare inversione di marcia e tornare indietro, imprecando. Dieci minuti per consultare la cartina, insultandosi a vicenda su chi delle due lo sa fare meglio. Venti minuti per litigare sulla decisione, giusta o sbagliata, di non comprare il navigatore satellitare: da una parte la teoria dello “strumento di controllo” e dall’altra il fatto che comunque “sarebbe comodo in circostanze come quella”. Sette minuti per decidere se avvicinare qualcuno del posto e farsi indicare la pensione segnata sull’agenda o andare a naso. Mezzo minuto per ammettere di non ricordare il nome dell’hotel né quello della via. Nove minuti per cercare l’agenda, dopo che nessuna delle due aveva voluto prendersi la responsabilità di averla abbandonata da qualche altra parte che non fosse il cassetto del cruscotto. Due minuti per segnarsi la strada giusta grazie a un passante che, incuriosito dal battibecco delle ragazze, si era avvicinato per chiedere un timido: «Serve una mano?» Tre minuti per raggiungere l’hotel. Dieci minuti per lo scarico valigie, il check-in e la presa di possesso della stanza. Un’ora di sesso selvaggio. Pausa sigaretta. Riposo. «A che stavi pensando prima?» «Prima quando?» «Prima prima». «In auto dici?» «Sì. Ti ho vista assorta. Sei preoccupata?» «Non lo so. Forse sì» «E di cosa dovresti aver paura?» «Di nulla. Di tutto. Saperlo sarebbe più facile». «Ma che dici?» «È che… non so. Come saranno diventate le altre?» «Che ti importa delle altre, scusa?» «Un po’ mi importa». «Temi il confronto?» «Credo di sì». «Amore, non hai proprio nulla da temere». «Dici?» «Certo, stai tranquilla». «Va bene tesoro». «Vieni qui». Dani si accoccola tra le braccia di Stefania, chiude gli occhi e si addormenta. E Stefania, intanto, pensa: “Se qualcuna ci prova, io l’ammazzo”. Passaparola