n. 3 - Dicembre 2011 - Società Italiana di Pediatria Ospedaliera

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n. 3 - Dicembre 2011 - Società Italiana di Pediatria Ospedaliera
00-Copertina 3.2011
28-02-2012
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Rivista Italiana di
Pediatria Ospedaliera
Rivista della SIPO (Società Italiana Pediatria Ospedaliera)
VOCI DELLA PEDIATRIA ITALIANA
Sip, Società scientifiche affiliate Sip, ONSP, Operatori Sanitari
Come definire
la Pediatria Italiana
nelle sue diversificate competenze?
Ci piace pensare
a tante perle preziose
infilate in un filo color arcobaleno.
Un gioiello per i nostri
bambini e i loro genitori.
COLLABORAZIONE OSPEDALE / TERRITORIO
COLLABORAZIONI CON LE SOCIETA’ SCIENTIFICHE Di Riferimento
AREA DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO NAZIONALE
AREA DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE
NOTIZIARIO REGIONALE
OSPEDALITA’
ATTIVITA’ SIPO
I Progetti di Educazione alla Salute
FUTURO PROSSIMO / FUTURO REMOTO
Eventi-Convegni-Congressi Pediatrici
Volume 4 - n. 3 - Dicembre 2011
R i v i s t a I t a l i a n a d i
Pediatria Ospedaliera
Fondata da Salvatore Vendemmia
Volume 4 - n. 3 - Dicembre 2011
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Arabia Saudita), Gamal Samy Aly (Cairo, Egitto), Umberto Simeoni (Marsiglia, Francia), Teresa
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
SIPO
Società Italiana di Pediatria Ospedaliera
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
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Autorizzazione Tribunale Bologna n° 7836 del 10/03/2008
Finito di stampare nel mese di Dicembre 2011.
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
INDICE
Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
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Salvatore Vendemmia
Voci della Pediatria Italiana
Una rara causa genetica di piastrinopenia neonatale:
la Sindrome di Jacobsen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Giovanni Ottonello, Angelica Dessì, Alessandra Atzei, Maria Elisabetta Trudu, Vassilios Fanos
Rapporto e collaborazione Ospedale / Territorio
Un caso di artrite settica da Staphilococcus Aureus in paziente
affetta da anemia di Blackfan-Diamond . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sofia Maria Rosaria Matarese, Ugo Porcaro, Giuliana Rispoli, Iolanda Rosanna Schiavone,
Michele Lo Mastro, Iolanda Gallo Afflitto, Bruno Nobili
Collaborazione con le Società scientifiche di riferimento
Effetti della modalità del parto su mortalità e complicanze severe
in una popolazione di neonati di peso molto basso (VLBW) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sara Brachi, Gloria Borsari, Giulia Grandi, Gianni Astolfi, Maria Contiero
Area di aggiornamento scientifico nazionale
Trasfusione piastrinica: la premedicazione rappresenta una
profilassi indicata o una cattiva pratica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Iride Dello Iacono, Maria Giovanna Limongelli, Paolo Biban, Roberto Bernardini,
Mario Calvani, Domenico Minasi, Francesco Paravati
Notiziario regionale
Il ruolo della Scuola Medica Salernitana e di San Lorenzo
“Ad Septimum” nella formazione della Scuola Medica Aversana . . . . . . . . . . . . . .
Salvatore Vendemmia, Nicola Vendemmia, Maria Vendemmia
Area Ospedalità
La visita ginecologica in Pediatria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vincenzo Stifano, Bruno Torsiello, Ippolito Pierucci
Futuro Prossimo / Futuro Remoto Eventi-Convegni-Congressi Pediatrici . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Editoriale
Carissimi Colleghi,
lascio la Presidenza della SIPO dopo quattro anni di direzione e, con grande soddisfazione, passo il “testimone” a Francesco Paravati, eletto Presidente a Capri, per il triennio 2011-2014. Sono
certo che il nuovo Direttivo proseguirà con impegno e passione, l’opera di risanamento della SIPO,
a sostegno dei pediatri ospedalieri.
La nostra categoria ha vissuto un periodo di indicibile sconforto per la carenza di medici e di attrezzature adeguate in molti ospedali della penisola. C’è stata indifferenza e latitanza, da parte dei
nostri responsabili politici e, purtroppo, molti nostri amministratori, non sono stati di livello adeguato per utilizzare, in modo congruo ed efficiente,
le risorse a loro disposizione.
Il Direttivo da me presieduto ha lavorato con tenacia, ricomponendo il tessuto sociale del “Gruppo di Studio di Pediatria Ospedaliera”, creando le
reti regionali per medici ed infermieri pediatrici, fornendo, a tutti i pediatri italiani, un’adeguata informazione e formazione con la “Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera” (12.000 copie, a cadenza quadrimestrale), istituendo un nuovo sito web www.pediatriaospedaliera.org, producendo eventi formativi regionali, nazionali ed internazionali. Il 10 ottobre 2008 abbiamo trasformato in Società Scientifica il vecchio Gruppo di Studio di Pediatria Ospedaliera, fondato da Mario Calvani, a Roma, nell’anno 1991. È nata così la SIPO, Società Italiana di Pediatria Ospedaliera, che ha anche contribuito, con
le nostre personali intuizioni, a creare un nuovo
gruppo sindacale, a tutela della categoria.
La SIPO ha avuto il merito di creare una collaborazione professionale, scientifica e sociale con
numerose società e gruppi di studio e di lavoro in
Italia ed all’estero. Da un anno è operativo un rapporto di collaborazione con l’Associazione Nazionale Genitori, con l’Associazione Dermatologi
Ospedalieri Italiani e con altre associazioni impegnate nella cura e nella difesa dei diritti dei bambini. Il 12 dicembre 2010 abbiamo stipulato un protocollo d’intesa con la società Turca di Pediatria e
Neonatologia che ha dato lusinghieri risultati ed
ha consentito alla SIPO di estendere i suoi rapporti professionali e scientifici in Eurasia e Caucasia.
Recentemente si è creata una intesa di collaborazione con la Società di Pediatria dell’Arabia
Saudita.
Ci sono state tante altre valide iniziative del Direttivo e di molti iscritti, iniziative che hanno contribuito a magnificare l’immagine della Società anche a livello internazionale. Nei giorni 3 e 4 febbraio il collega Mimmo Perri, primario di Pediatria all’Ospedale Moscati di Aversa, ha realizzato
un incontro di Pediatria e Neonatologia, al quale
ha partecipato la Presidente della Società macedone di Pediatria con numerosi suoi collaboratori.
Il futuro ci riserverà ulteriori soddisfazioni e proficui investimenti per il miglioramento della qualità dei nostri servizi, della nostra preparazione e
cultura.
Salvatore Vendemmia
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Giovanni Ottonello, Angelica Dessì, Alessandra Atzei,
Maria Elisabetta Trudu, Vassilios Fanos
Reparto di Puericultura e Nido, AOU Cagliari
Abstracts
Le forme di trombocitopenia neonatale da cause genetiche sono rare. Tra queste la Sindrome di
Jacobsen (JS), caratterizzata da aspetti dismorfici ed
un variabile interessamento di diversi organi e apparati, presenta tipicamente trombocitopenia alla
nascita. Di fronte a una trombocitopenia senza accertata causa etiopatogenetica ed in cui siano presenti tratti dismorfici, è indicato effettuare uno studio cromosomico per arrivare ad una corretta diagnosi.
Introduzione
Le piastrinopenie rappresentano uno dei più comuni problemi ematologici del neonato. Si definisce come piastrinopenia neonatale una conta di piastrine (PLT) < 150.000 mcL: di grado lieve tra
150.000 e 100.000, moderata tra 100.000 e 50.000,
severa < 50.000 mcL. L’incidenza è dello 0,7-4%
dei nati vivi (1, 2) a seconda della popolazione studiata, interessando circa il 25% dei neonati ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva (3-6). Le trombocitopenie nel neonato possono essere classificate in relazione alle cause patofisiologiche o ai meccanismi cinetici che le determinano. Il più frequente meccanismo alla base delle trombocitopenie neonatali, presente in circa il 75% dei casi (7), è una
diminuita produzione piastrinica. Nei rimanenti casi le principali cause vanno ricercate in un’aumentata distruzione e/o sequestro. In alcuni neonati, una
combinazione dei meccanismi (ridotta produzione piastrinica e accelerata distruzione) è responsabile della diminuizione della conta piastrinica.
Un neonato dismorfico, che presenta una moderata piastrinopenia, spesso è affetto da una sindrome genetica: le più frequenti associazioni sono con
le Trisomie 13, 18, 21, triploidia o sindromi come
quella di Turner, Noonan, Alport o Wiskott Aldrich. Qualora clinicamente siano presenti dei tratti
dismorfici incompleti o sfumati e scarsamente evocativi delle specifiche sindromi, una diagnosi precoce può essere particolarmente difficile. Attraverso la descrizione di un caso clinico di tromboci-
topenia neonatale recentemente pervenuto alla nostra osservazione, si vuole sottolineare come questa patologia possa essere l’espressione (a volte la
più evidente alla nascita) di rari quadri sindromici. Si riporta una rara sindrome congenita che presenta caratteristicamente una trombocitopenia alla nascita: la Sindrome di Jacobsen (JS), alla cui diagnosi (clinicamente difficile per l’evidenza di tratti dismorfici incompleti e sfumati), si è giunti con
l’esame citologico cromosomico.
Voci della Pediatria Italiana
UNA RARA CAUSA GENETICA DI
PIASTRINOPENIA NEONATALE:
LA SINDROME DI JACOBSEN
Caso clinico
Una neonata di 3 giorni di vita viene ricoverata presso il nostro reparto per: soffio cardiaco e trombocitopenia (70.000 mcL). Primogenita, figlia di genitori non consanguinei, nasce spontaneamente a
38 settimane di età gestazionale con un peso appropriato di 2.400 g. Al ricovero la paziente si mostra in condizioni generali discrete, senza manifestazioni emorragiche in atto; l’esame obiettivo evidenzia, all’ascoltazione cardiaca, un soffio sistolico di 2-3/6 prevalente al centrum cordis, nell’ambito di uno stato di compenso cardiocircolatorio
e respiratorio; sono presenti, infine, alcune note
dismorfiche: taglio antimongoloide degli occhi, fronte prominente, orecchie a basso impianto e retroverse, solco scimmiesco e clinodattilia bilaterale.
Anamnesticamente il decorso della gravidanza viene riferito fisiologico, non vengono riportate piastrinopenie familiari, così come appaiono nella norma i valori piastrinici materni durante la gravidanza e nell’immediato post-partum; lo studio per eventuali infezioni del gruppo TORCH in gravidanza risulta negativo e la madre non riferisce l’assunzione di farmaci durante tutto il periodo gravidico. All’ingresso lo studio ecografico cardiaco documenta la presenza di un ampio difetto inter ventricolare (DIV), con aorta a cavaliere in un quadro generale di compenso emodinamico. I valori ematologici evidenziano normali livelli di globuli rossi e globuli bianchi e una moderata piastrinopenia (65.000 mcL). La morfologia piastrinica appare normale così come lo studio della coagulazione. La ricerca di anticorpi antipiastrine risulta ne-
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Voci della Pediatria Italiana
gativa. Durante il ricovero le piastrine diminuiscono progressivamente con valori minimi in 7ª giornata di vita a 30.000 mcL, senza manifestazioni
emorragiche associate. Successivamente e senza alcuna terapia, le piastrine mostrano un graduale
incremento fino a stabilizzarsi, in 12ª giornata, a
110.000 mcL. Lo studio cariotipico, avviato per l’associazione di note dismorfiche, trombocitopenia
e cardiopatia, evidenzia una delezione parziale del
cromosoma 11q.
Discussione
La JS è causata in genere (85% dei casi) da una
delezione parziale de novo del braccio lungo del
cromosoma 11 (8). La grandezza della delezione
può avere un range da 7 a 20 Mb (9, 10). Meno
frequentemente è originata da una traslocazione sbilanciata, risultato di una segregazione di una traslocazione familiare bilanciata (11). In alternativa
può derivare da traslocazioni sbilanciate de novo,
o da altri riarrangiamenti cromosomici come cromosomi ad anello (12, 13) o ricombinazione genetica di un’inversione pericentrica dei genitori. Ad
oggi sono stati segnalati oltre 200 casi nella letteratura mondiale (10-14), con una prevalenza stimata in 1/100.000 nascite (10-14) e un rapporto
femmina/maschio 2:1. Le caratteristiche cliniche più
comuni includono un ritardo pre e post-natale della crescita, ritardo psicomotorio e caratteristici aspetti dismorfici (cranio, occhi, naso, bocca, orecchie,
collo, mani e piedi) (8). Spesso sono presenti malformazioni a carico del cuore, dei reni, del tratto ga-
strointestinale, degli organi genitali, del sistema nervoso centrale e dello scheletro (Tab. 1). Da un punto di vista ematologico, la maggior parte dei pazienti con JS presenta alla nascita trombocitopenia o pancitopenia. Recentemente è stato dimostrato in questi pazienti un altro disordine piastrinico,
la Sindrome di Paris-Trousseau (8). Questa anomalia delle piastrine è altamente penetrante nella JS,
colpendo almeno l’88,5% dei casi ed è stato suggerito che l’anomalia delle piastrine nella JS e nella Sindrome di Paris-Trousseau siano la stessa condizione (15, 16). La Sindrome di Paris-Trousseau
è caratterizzata da una trombocitopenia neonatale (risolvibile nel tempo) e da una disfunzione piastrinica (di solito persistente). Nel sangue periferico ci sono due diversi tipi di piastrine anomale: piastrine giganti e piastrine con granuli alfa giganti.
Le piastrine che mostrano granuli alfa giganti sono una minoranza, ma il loro ammontare è variabile nei diversi pazienti e nello stesso paziente in
momenti diversi. Studi immunocitochimici e ultrastrutturali hanno dimostrato che i granuli giganti nascono dalla fusione anomala di piccoli organelli
(15). Questi granuli alfa abnormemente fusi, potrebbero essere il risultato del fallimento dei granuli alfa a rilasciare il loro contenuto richiesto per
la coagulazione, in condizioni fisiologiche normali. Nel midollo osseo c’è un incrementato numero di piccoli megacariociti (micromegacariociti) ed
una ritardata maturazione dei megacariociti (17).
È stato osservato che nella JS le piastrine hanno una
ridotta quantità di serotonina adenina, suggerendo un deficit del pool di conservazione di questa
sostanza (18).
Tabella 1
PRINCIPALI SEGNI CARATTERISTICI DELLA SINDROME DI JACOBSEN
Faccia
Ipertelorismo oculare, strabismo, ptosi palpebrale, sopracciglia rade, epicanto, coloboma
della palpebra, ectropion, coloboma dell’iride, cataratta, setto nasale piatto o prominente,
naso corto, narici antiverse, columella prominente, orecchie piccole e basse con ipoplasia
del lobo, bocca a forma di V, labbro superiore sottile, retrognazia
Cranio
Deformità del cranio, macrocrania, fronte alta e prominente, asimmetria facciale
Cuore
Difetti del setto ventricolare, anomalie delle valvole aortica e mitralica, coartazione
dell’aorta, sindrome da ipoplasia cardiaca sinistra
Sangue
Trombocitopenia, pancitopenia, carenza di IGF-1 e TSH, deficit dell’immunità cellulare e
umorale con basse IgM e IgA
Scheletro
Spina bifida occulta, anomalie del corpo vertebrale, anomalie del torace, numero abnorme
di costole, micromelia, esadattilia, lussazione dell’anca, scoliosi, piedi piatti
Apparato
gastrointestinale
Stenosi pilorica, atresia o stenosi anale, ano anteriorizzato, atresia duodenale,
malrotazione intestinale
Rene
Displasia renale unilaterale, doppio uretere, doppio distretto renale, idronefrosi, rene
multicistico
Sistema nervoso
centrale
Ventricoli dilatati con o senza spina bifida, atrofia cerebrale, agenesia del corpo calloso,
pachigiria
Genitali
Criptorchidismo, ernie inguinali
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Conclusioni
Le cause genetiche sono, rispetto a tutte le forme di trombocitopenia neonatale, tra le meno frequenti. È importante ricordare che a questo gruppo appartengono anche sindromi, come la JS, di
particolare rarità. Se si considera che gli aspetti dismorfici presenti alla nascita spesso non sono evocativi o specifici di tale patologia, è facilmente intuibile come una sua diagnosi precoce sia particolarmente difficile e possa avvenire, a volte, in maniera casuale. L’insegnamento che si trae dalla lettura del caso clinico riportato è che di fronte a una
trombocitopenia senza accertate cause etiopatogenetiche ed in cui siano presenti aspetti dismorfici
e patologie a carico di altri organi e apparati, è indicato effettuare uno studio citogenetico cromosomico. Una precoce diagnosi della JS, così come avvenuto nel caso descritto, appare di particolare importanza per definire differenti patologie (trombocitopenia, cardiopatia, ecc.) come singoli aspetti
di un più complesso quadro sindromico e garantire ai pazienti e ai propri familiari il miglior programma assistenziale realizzabile.
Bibliografia
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14: 415-418.
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mothers and their infants. N. Engl. J. Med., 1988; 319: 142-145.
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patients. Transfus. Med., 2002; 12: 35-41.
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12. Penny LA, Dell’Aquila M, Jones MC, Bergoffen J, Cunnif C, Fryns
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Platelets, 2007; 18: 522-527. doi: 10.1080/09537100701280670
Voci della Pediatria Italiana
La diagnosi della JS si basa sui dati clinici (ritardo mentale, dismorfismi facciali e trombocitopenia) e viene confermata dall’analisi citogenetica (8). La prognosi di vita rimane severa: circa il
20% dei bambini muore nei primi due anni di vita, più frequentemente per complicanze della cardiopatia congenita, meno comunemente da sanguinamento. Per i pazienti che sopravvivono al periodo neonatale e prima infanzia, l’aspettativa di
vita rimane sconosciuta (10).
Il caso descritto ha presentato clinicamente pochi e sfumati aspetti dismorfici, che non hanno indirizzato in prima battuta alla diagnosi sindromica specifica di JS. Tuttavia, l’associazione di questi
tratti con una trombocitopenia, senza evidente causa etiopatologica ed una cardiopatia complessa, ha
indotto ad avviare uno studio del cariotipo citogenetico del paziente. Si è pervenuti quindi alla diagnosi (delezione parziale del cromosoma 11q), con
una certa sorpresa e casualità, giustificabili dalla rarità della sindrome e dall’aspetto dismorfologico incompleto e aspecifico presente alla nascita.
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Rapporto e collaborazione Ospedale / Territorio
UN CASO DI ARTRITE SETTICA
DA STAPHILOCOCCUS AUREUS IN PAZIENTE
AFFETTA DA ANEMIA DI BLACKFAN-DIAMOND
Sofia Maria Rosaria Matarese, Ugo Porcaro, Giuliana Rispoli, Iolanda Rosanna Schiavone,
Michele Lo Mastro, Iolanda Gallo Afflitto, Bruno Nobili
Clinica Pediatrica S.U.N. Napoli
Introduzione
L’anemia di B-D è una rara pure red cell aplasia, caratterizzata da anemia normo-macrocitica,
normale conta leucocitaria e piastrinica. Le manifestazioni ematologiche compaiono, nel 90% dei
casi, nel primo anno di vita con una mediana di
età alla diagnosi di tre mesi. L’aspirato midollare
mostra un blocco maturativo della linea eritroide
con normale rappresentazione delle altre linee emopoietiche; vi è sempre reticolopenia e nell’80-85%
vi sono elevati livelli dell’enzima adenosin-deaminasi (ADA) e di emoglobina fetale (HbF). Nel 50%
dei casi l’anemia si accompagna a malformazioni
congenite, in particolare cranio-facciali, delle dita, del cuore e dell’apparato genito-urinario. Frequente (30%) il ritardo di crescita.
La malattia si trasmette con carattere autosomico dominante nel 40-45% dei casi, nei rimanenti
casi è dovuta a mutazioni de novo; le attuali conoscenze genetiche mostrano che essa è associata a mutazione di geni (7 geni sono stati identificati finora), codificanti per proteine ribosomiali; la
mutazione più frequente (25%) è nel gene RPS19
codificante per la proteina ribosomiale S19.
Gli altri geni coinvolti nell’anemia di B-D, attualmente noti, sono: RPS24 (2%), RPS17 (1%),
RPL35A (3%), RPL5 (3,6%), RPL11 (4,8%), RPS7
(1%).
Clinicamente l’anemia di B-D può essere lieve
o molto severa e si associa ad aumentato rischio
di MDS, LMA e tumori solidi; l’anemia è corretta,
in più del 50% dei casi, dalla terapia steroidea che
va intrapresa dopo il dodicesimo mese di vita. I pazienti non-responders necessitano di emotrasfusioni periodiche; la terapia risolutiva è rappresentata
dal trapianto di midollo osseo HLA-identico. Nel
20% dei casi di anemia di B-D è stata segnalata
una remissione spontanea.
Caso clinico
Riportiamo il caso di una bimba affetta da anemia di B-D che, in seguito ad emotrasfusione, ha
sviluppato un’importante artrite settica.
C. F., unigenita di mesi 11 affetta da anemia di
B-D a trasmissione autosomica dominante con mutazione nell’esone 5 del gene RPS19, è seguita presso la U.O.C.-S.U.N. Pediatria I dall’età di 6 mesi.
F. è, al momento, trasfusione-dipendente con
un intervallo trasfusionale di 50-60 giorni. Nel mese di giugno u.s. F. pratica emotrasfusione senza
alcuna reazione post-trasfusionale; a distanza di 24
ore dalla trasfusione si assiste alla comparsa improvvisa di febbre elevata (TC 40°C) associata ad
astenia e pianto. L’esame clinico è negativo e gli
esami ematochimici praticati mostrano un incremento della VES (56 mm) e della PCR (80 mg/dl)
con modico aumento dei polimorfonucleati (G.B.
12.900, Neutrofili 63%); vengono avviati gli esami colturali compresa l’emocoltura.
A distanza di 24 ore F. è ancora febbrile, alvo
e diuresi nella norma, alimentazione stentata, stato di sofferenza generalizzato con decubito obbligato in atteggiamento antalgico di flessione degli
arti inferiori sul tronco; l’esame neurologico è negativo per “segni meningei”, mentre l’EEG mostra
un’attività elettrica cerebrale diffusamente rallentata con occasionali aspetti irritativi bilaterali. Si pratica TC cranio che risulta negativa. Attendendo l’esito dei colturali, F. inizia terapia con Ceftriaxone
ma, a distanza di 72 ore dall’esordio, la piccola
non presenta segni di miglioramento e la postura
mostra un’accentuazione dell’atteggiamento “a canna di fucile”, tanto che si procede alla rachicentesi con negatività dell’esame liquorale.
Intanto si positivizza l’emocoltura per lo Staphilococcus Aureus ma la sepsi non giustifica la postura obbligata di F. che, solo in quarta giornata,
slatentizzerà una maggiore dolorabilità alla mobilizzazione sia attiva che passiva dell’arto inferiore di destra; non sono evidenti i segni infiammatori a livello delle articolazioni dell’arto ma un’ecografia del ginocchio destro evidenzia la presenza di un piccolo versamento articolare con i segni
iniziali di tumefazione dei tessuti molli.
Si procede all’artrocentesi e il liquido sinoviale esaminato mostra un incremento dei Globuli
Bianchi con il 95% di polimorfonucleati e l’esame colturale risulterà positivo per S. Aureus. F. modifica quindi il trattamento antibiotico iniziale, pra-
6
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Considerazioni conclusive
L’artrite settica riconosce come agente patogeno, nel 40% dei casi lo Staphilococcus Aureus, seguito dall’Haemophilus Influentiae di tipo B e dallo Streptococcus Pneumoniae; rare sono le forme
dovute ad agenti patogeni quali Streptococchi del
Gruppo B o A, E. Coli, Salmonelle, Mycobacterium
Tubercolosis, Pastorella, Kingella, ecc. Per la molteplicità degli agenti patogeni responsabili dell’artrite settica la coltura del liquido sinoviale è fondamentale così da praticare il più presto possibile trattamento mirato garantendo la restituito ad integrum dell’articolazione colpita.
L’artrite settica può essere espressione localizzata di un processo infettivo sistemico con diffusione ematogena, o derivare da un processo osteomielitico contiguo.
Il sospetto clinico di questa affezione è legato
alla presenza di febbre e segni classici di flogosi
articolare: dolore intenso, edema, calore ed eritema.
Nel nostro caso l’artrite settica da Staphilococcus Aureus ha avuto diffusione ematogena facendo seguito ad una sepsi generalizzata che, molto
probabilmente, ha avuto origine cutanea; la piccola infatti presentava un eczema atopico diffuso
a tutto il corpo con particolari segni di impetigine
al volto, al cuoio capelluto e agli arti superiori. La
porta d’ingresso dell’infezione è ascrivibile, quindi, all’atto d’incannulazione praticata per l’emotrasfusione.
Questo caso riportato permette di fare alcune riflessioni inerenti la pratica pediatrica ospedaliera:
• la terapia emotrasfusiva può essere responsabile direttamente di complicanze infettive (HBV, HIV, ecc.) già note e, indirettamente di processi infettivi sistemici e/o localizzati anche molto seri;
• l’artrite settica, con interessamento dell’articolazione del ginocchio (articolazione più
frequentemente colpita) specialmente nei
bambini più piccoli si esprime con un quadro clinico posturale che mimetizza un processo meningoencefalitico;
• la tempestività e l’adeguatezza del trattamento antibiotico garantiscono la risoluzione del
processo infiammatorio senza postumi dell’articolazione colpita.
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Rapporto e collaborazione Ospedale / Territorio
ticando terapia e.v. con Teicoplanina e Amikacina
a cui segue una progressiva riduzione della febbre.
Per il coinvolgimento osteo-articolare saranno necessarie altre due artrocentesi evacuative e terapeutiche. A distanza di una settimana F. è in apiressia; il trattamento farmacologico è stato praticato
per 2 settimane endovena, seguito da trattamento
per os per un mese.
Un controllo ortopedico effettuato a distanza di
2 mesi mostra una completa risoluzione dell’artrite settica senza sequele.
7
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Collaborazione con le Società scientifiche di riferimento
EFFETTI DELLA MODALITÀ DEL PARTO SU
MORTALITÀ E COMPLICANZE SEVERE IN UNA
POPOLAZIONE DI NEONATI DI PESO
MOLTO BASSO (VLBW)
Sara Brachi°, Gloria Borsari°, Giulia Grandi*,
Gianni Astolfi^, Maria Contiero
°Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Ferrara
*Corso di Laurea in Scienze Ostetriche, Università degli Studi di Ferrara
^Istituto di Genetica Medica, Università degli Studi di Ferrara
Terapia Intensiva Neonatale, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara
Abstract
Le conoscenze scientifiche hanno determinato un rapido sviluppo delle modalità assistenziali
relative ai neonati di peso molto basso (VLBW) determinandone una maggiore sopravvivenza, che attualmente si è stabilizzata intorno a valori di 8590%.
Una delle problematiche ancora controverse è
costituita dalla modalità del parto e dal suo impatto su mortalità e outcome dei neonati VLBW.
In relazione a ciò, abbiamo effettuato uno studio retrospettivo su una popolazione di neonati
VLBW valutando la presenza di eventuali correlazioni tra modalità del parto (vaginale o cesareo) e
mortalità e complicanze che più frequentemente
si associano a sequele neurosensoriali. Applicando l’ODDS RATIO abbiamo rilevato come il parto vaginale si associ ad una maggior incidenza della mortalità nel caso di neonati con peso alla nascita <
_ 750 g.
Introduzione
Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche acquisite negli ultimi decenni ha oggi ridotto la rigida separazione tra cure ostetriche e neonatali. Sempre più numerose sono le acquisizioni relative all’importanza delle condizioni fetali e neonatali in
quanto correlabili con lo stato di salute materna
(1, 6).
Tali conoscenze scientifiche hanno di fatto determinato un rapido sviluppo delle modalità assistenziali relative ai neonati VLBW (peso < 1.500
g) e EVLBW (peso < 1.000 g) determinando una
riduzione della mortalità, che attualmente si attesta intorno al 10-16% (2).
Una problematica che costituisce tuttora fonte
di dibattito tra i neonatologi è rappresentato dalla
consapevolezza che, a fronte di una consistente riduzione della mortalità e della paralisi cerebrale,
questa popolazione di neonati è ancora gravata da
un elevato rischio di sviluppare deficit neurosensoriali talora severi, tali da determinare considerevoli problematiche relative alla qualità della loro vita e di quella delle loro famiglie (3, 4).
In relazione a ciò, l’emorragia intracranica severa (IVH), la leucomalacia periventricolare (PVL)
e la retinopatia del prematuro (ROP) di grado severo continuano a rappresentare un problema rilevante soprattutto tra i neonati EVLBW, in quanto correlabili a sequele neurosensoriali (3).
È evidente quindi come sia determinante dedicare numerose risorse nell’organizzare programmi
di follow-up al fine di monitorare l’efficacia delle
cure neonatali e diagnosticare precocemente eventuali disfunzioni neurosensoriali.
Molte condizioni ostetriche e perinatali sono state prese in considerazione al fine di identificare
eventuali fattori di rischio correlabili con la prognosi a breve e a lungo termine dei VLBW (6, 9).
Tra questi, un fattore ostetrico ampiamente indagato è rappresentato dalla modalità del parto che
costituisce uno degli aspetti ostetrici presi in considerazione al fine di documentare una sua eventuale correlazione con mortalità neonatale e danno cerebrale severo (3, 5, 7).
La modalità ottimale con cui dovrebbe avvenire la nascita dei neonati VLBW è tuttora controversa.
Mentre alcuni studi hanno dimostrato in generale l’efficacia del taglio cesareo (TC) sul parto vaginale (PV) nel ridurre la mortalità e l’outcome dei
8
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Pertanto, al fine di valutare il possibile ruolo della modalità del parto su mortalità e complicanze
della prematurità correlabili a sequele neurosensoriali in una popolazione di neonati VLBW e
EVLBW, abbiamo effettuato uno studio retrospettivo utilizzando i dati raccolti ed inviati al Vermont
Oxford Network (VON), database su base volontaria che raccoglie i risultati provenienti da oltre
700 Terapie Intensive Neonatali di tutto il mondo
e di oltre 80 Centri italiani i cui dati sono attualmente elaborati anche separatamente dando origine ad un Network Italiano (INN). Lo scopo dello studio è stato quello di valutare gli effetti della
modalità del parto, vaginale o cesareo, su mortalità e complicanze in una popolazione di VLBW.
Per quanto riguarda le complicanze sono state prese in considerazione quelle in grado di determi-
nare le sequele neurosensoriali più importanti: l’emorragia intracranica (IVH) severa, ovvero di III e
IV grado, la leucomalacia periventricolare (PVL),
includendo i casi con reperto ecografico di cisti multiple periventricolari (12) e la retinopatia della prematurità (ROP) severa, ossia pari o superiore al III
stadio. Tali criteri sono quelli riportati dal “Manual
of Operations” pubblicato dal VON relativamente
ai dati del 2009 (10).
Per verificare se i dati relativi alla popolazione
di VLBW utilizzati nello studio non si discostassero troppo da quelli attesi, abbiamo confrontato le
incidenze di mortalità, IVH severa, PVL e ROP severa con quelle riportate dai Network VON e INN
relativamente al 2008, anno in cui erano disponibili i dati completi e visualizzabili sul sito Internet,
nella sezione Nightingale Reports, che fornisce ai
membri del Network le elaborazioni statistiche dei
dati inviati (11). La tabella 1 non mostra particolari differenze tra le incidenze riportate, tranne per
una lieve prevalenza relativamente alla ROP.
Tabella 1
INCIDENZE RELATIVE A MORTALITÀ, IVH, PVL E ROP RIPORTATE DAL CENTRO DI FERRARA
E DAI NETWORK VON E INN NEL 2008
Ferrara
Network INN
Network VON
16,1%
15,0%
16,0%
IVH severa
9,1%
8,5%
9,3%
PVL cistica
3,6%
5,2%
3,2%
ROP severa
9,1%
5,6%
7,6%
Mortalità
Materiali e metodi
Nello studio sono stati inclusi 366 neonati VLBW
nati dal 01/01/2003 al 31/12/2009 ricoverati presso il Servizio di Terapia Intensiva Neonatale di Ferrara, di cui 327 (89,6%) sono nati da TC e 39 (9,4%)
da PV. Sono stati esclusi i VLBW morti in sala parto e quelli affetti da gravi patologie malformative.
Il 7,4% dei neonati era costituito da outborn, in
quanto nati presso altri Centri nascita e trasferiti successivamente. L’esclusione di questi neonati non
influenzava i risultati ottenuti e perciò sono stati
anch’essi inclusi. Il sesso non si è rivelato un dato rilevante: il campione era costituito dal 48,4%
da maschi e dal 51,6% da femmine. L’etnia materna nell’86,8% dei casi è risultata appartenente
alla razza bianca. In questo studio abbiamo scelto di suddividere i neonati in 3 differenti classi di
peso, in quanto è ormai noto che il peso alla nascita costituisce uno dei fattori in grado di influenzare l’outcome neonatale (3-5). Sono state in seguito considerate contemporaneamente le variabili peso alla nascita e modalità del parto.
Collaborazione con le Società scientifiche di riferimento
neonati WLBW (8, 14, 15), altri studi riportano che
la modalità del parto influenza in modo poco significativo sia la mortalità che l’eventuale comparsa di danni neurosensoriali (3, 9, 13) .
Il totale dei neonati considerati è stato suddiviso in 3 classi di peso, sull’esempio di altri studi
presenti in letteratura (7, 9, 10): 60 sono i neonati con peso minore o uguale a 750 g (pari al 16,4%),
80 sono i neonati con peso maggiore o uguale a
751 g e minore o uguale a 1.000 g (pari al 21,9%)
e 226 sono quelli con peso maggiore di 1.001 g e
minore o uguale a 1.500 g (pari al 61,7%).
Per ogni classe di peso è stata presa in considerazione la modalità del parto. Infine è stato valutato l’esito in termini di mortalità e l’incidenza
di IVH e ROP severe e PVL cistica. IVH e PVL sono state indagate tramite esame ultrasonografico cerebrale effettuato con frequenza variabile nel corso della degenza, ed eventuale conferma con RMC.
La diagnosi di ROP è stata affidata al consulente
oculista.
Nelle tabelle 2 e 3 sono riportati rispettivamente i dati relativi alle 3 classi di peso, la modalità
del parto, la mortalità e le complicanze (IVH, PVL
e ROP) rilevate nello studio.
9
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Collaborazione con le Società scientifiche di riferimento
Tabella 2
INCIDENZA DELLA MORTALITÀ NEONATALE PER CLASSI DI PESO E MODALITÀ DEL PARTO
Classi di
peso (g)
<
_ 750
751-1.000
1.001-1.500
Modalità
Nr.
del parto
PV
21
TC
39
PV
6
TC
74
PV
12
TC
214
Nr. deceduti per
classe di peso
27
9
8
Nr. deceduti per
modalità del parto
Deceduti per classe di
peso e modalità del parto (%)
13
61,9
14
35,9
1
16,7
8
10,8
0
0,0
8
3,7
Tabella 3
INCIDENZA DELLE COMPLICANZE (IVH; PVL; ROP) PER CLASSI DI PESO E MODALITÀ DEL PARTO
Classi di
peso (g)
<
_ 750
751-1.000
> 1.000
Modalità
Nr.
del parto
PV
21
TC
39
PV
6
TC
74
PV
12
TC
214
Nr. complicanze per
classe di peso
8
11
9
I dati ottenuti sono stati esaminati tramite ODDS
RATIO. Quando il numero delle osservazioni è risultato troppo limitato, è stato applicato il fattore
di correzione di Yates.
Risultati
Dei neonati con peso inferiore o uguale a 750 g,
21 (pari al 35%) sono nati da PV mentre 39 (pari
al 65%) sono nati da TC. Tra i nati con peso compreso tra 751 g e 1.000 g, vi sono solo 6 neonati
nati da PV (pari al 7,5%) e 74 (92,5%) da TC, mentre nell’ultimo gruppo considerato, con peso compreso tra 1.001 g e 1.500 g, solo 12 (5,3%) sono
nati da PV e 214 (94,7%) da TC. Si può notare come i parti avvenuti con TC, in generale ben rappresentati nei 3 gruppi di peso considerati, diventano più numerosi con l’aumentare del peso alla
nascita.
I deceduti nella classe di peso inferiore sono risultati 27, nella seconda classe 9 mentre nell’ultima 8. Nel 1° gruppo il 61,9% dei nati con PV e il
35,9% dei nati da TC sono deceduti. Nel 2° gruppo i deceduti sono stati il 16,7% dei nati con PV
e il 10,8% dei nati con TC. Nell’ultima classe di
peso, tra i nati con PV non si sono verificati casi
di decesso, mentre tra i nati da TC, i deceduti sono risultati il 3,7% (Tab. 2).
Dopo aver calcolato l’ODDS RATIO con i li-
Nr. complicanze per
modalità del parto
Complicanze per classe di
peso e modalità del parto (%)
5
23,8
3
7,7
2
33,3
9
12,2
2
16,7
7
3,3
miti di confidenza, dai dati riportati nella tabella
2 è emersa una correlazione tra parto vaginale (inteso come fattore di rischio) e mortalità nelle prime due classi di peso (ODDS RATIO > 1). Tale associazione deve essere considerata significativa solo per la prima classe di peso (<
_ 750 g) in quanto,
applicando il fattore correttivo di Yates data la presenza di un numero limitato di osservazioni, si annulla la significatività nella seconda classe di peso (Tab. 4).
Le tre complicanze IVH, PVL e ROP, considerate insieme si sono verificate in 8, 11 e 9 casi rispettivamente nei 3 gruppi considerati. In particolare, nel primo gruppo, 5 casi su 21 PV (pari al
23,8%) ha riportato una complicanza severa, mentre su 39 nati da TC si sono verificati 3 casi (pari
al 7,7%). Nella seconda classe di peso, su 6 casi
di PV, 2 casi (33,3%) ha presentato una complicanza severa, mentre su 74 nati da TC, in 9 casi
(12,2%) si è riportata una patologia severa. Infine,
nella terza classe di peso, su 12 nati da PV, 2 sono stati i casi (pari al 16,7%) che hanno sviluppato una complicanza severa, rispetto ai 7 casi (pari al 3,3%) che si sono verificati tra i nati da TC.
Anche in questo caso è stata applicata l’ODDS RATIO con i limiti di confidenza che, dopo l’applicazione del fattore di correzione di Yates, non ha
evidenziato alcuna correlazione positiva tra modalità del parto e complicanze in nessuna classe
di peso (Tab. 5).
10
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Classi di
peso (g)
Modalità del
parto
Numero
deceduti
Numero
sopravissuti
Numero
totale
ODDS RATIO
(limiti)
CHI
SQUARE
PV
13
8
21
TC
14
25
39
2,902
(2,2-3,6)
3,74
P = 0,05
PV
1
5
6
TC
8
66
74
1,650
(0-3,7)
0,06
P = 0,81
con Yates
PV
0
12
12
0,000
-
TC
8
206
214
<
_ 750
751-1.000
1.001-1.500
Tabella 5
CALCOLO DELL’ODDS RATIO RELATIVA ALLE COMPLICANZE PER CLASSI DI PESO E MODALITÀ DEL PARTO
Classi di
peso (g)
<
_ 750
751-1.000
1.001-1.500
Modalità
del parto
Numero complic.
severe
Assenza complic.
severe
Numero
totale
ODDS RATIO
(limiti)
PV
5
16
21
TC
3
36
39
3,750
(3,1-4,4)
PV
2
4
6
TC
9
65
74
PV
2
10
12
TC
7
207
214
Discussione
Nonostante siano numerosi gli studi che hanno indagato sull’impatto che la modalità del parto può determinare sull’outcome dei VLBW, i dati ottenuti risultano fino ad oggi discordanti (3, 8,
9, 13-15, 17). Attualmente oltre la metà dei VLBW
nasce da TC e, nei casi non complicati e quando
la presentazione è di vertice, i dati presenti in letteratura non hanno mostrato in generale effettivi vantaggi relativamente alla mortalità e all’outcome a
breve termine, rispetto alla nascita da PV. Dai nostri dati è emerso che presso il nostro Centro nascite, la percentuale di TC risulta anche più elevata rispetto ai dati presenti in letteratura e che tale
incremento aumenta con l’aumentare del peso alla nascita. Sempre facendo riferimento ai dati riportati nel 2008 dal VON, la percentuale di TC risulta presso il nostro Centro dell’82,1%, mentre per
il resto del Network risulta del 69,9% e per l’INN
del 79,5% (11).
È doveroso ricordare come il PV comporti degli indubbi vantaggi per le madri, qualora il parto
avvenga in assenza di situazioni di urgenza o di
patologie materne ben definite. In passato numerose pubblicazioni avevano mostrato un rischio aumentato di mortalità e complicanze tra le madri che
avevano partorito con TC, soprattutto quando questo veniva espletato in condizioni di urgenza. At-
3,611
(2,0-5,2)
5,914
(4,5-7,3)
CHI
SQUARE
1,83
P = 0,18
con Yates
0,69
P = 0,40
con Yates
2,40
P = 0,12
con Yates
tualmente tale rischio risulterebbe diminuito grazie al miglioramento delle tecniche chirurgiche e
anestesiologiche, anche se i dati attualmente presenti in letteratura si sono rivelati inadeguati per
quantizzare il rischio di morte materna legato al
TC. Ad ogni modo tale rischio non sembrerebbe
aumentato nel caso di TC elettivo rispetto al PV (16).
Dai dati della letteratura emerge che il TC elettivo
è preferibile anche nei confronti del feto in quanto permette di programmare la profilassi corticosteroidea prenatale, il trasporto del feto in utero presso un Centro di terzo livello ed evita al feto lo stress
del travaglio. D’altra parte la somministrazione di
steroidi prenatali e il parto con TC sembrerebbero rivestire un ruolo importante nel ridurre il rischio
di IVH nei VLBW, come dimostrato anche da uno
studio condotto presso il nostro Centro (15, 18).
Come riportato anche da altri autori, dal nostro
studio emerge che solo nel gruppo in cui il peso
alla nascita risulta <
_ 750 g, la modalità del parto
con TC si associa ad una minor incidenza della mortalità, ma non delle complicanze considerate (5,
8, 13).
Alla luce di questi risultati, ovviamente non generalizzabili, ci si potrebbe chiedere se la possibilità di espletare il parto pretermine tramite cesareo elettivo anche nelle età gestazionali molto basse, previa valutazione di rischi e benefici per madre e feto, potrebbe costituire un ulteriore fattore
Collaborazione con le Società scientifiche di riferimento
Tabella 4
CALCOLO DELL’ODDS RATIO RELATIVA ALLA MORTALITÀ PER CLASSE DI PESO E MODALITÀ DEL PARTO
11
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Collaborazione con le Società scientifiche di riferimento
da tenere in considerazione per ridurre ulteriormente la mortalità e i deficit neurosensoriali in questa
categoria di neonati. Ci rendiamo conto che questi risultati sono poco conclusivi e che comportano ulteriori implicazioni relativamente al management decisionale degli ostetrici, ma le importanti
questioni che riguardano la qualità della vita di questa categoria di bambini richiede ulteriori valutazioni su tutti gli aspetti assistenziali, in quanto non
sono certo possibili studi prospettici e randomizzati date le implicazioni etiche che queste comporterebbero.
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Giuseppe Maurino Pediatra e Maestro
Giuseppe Maurino, Primario Emerito di Pediatria e Neonatologia presso l’Ospedale “Real Casa Santa dell’Annunziata San Giuseppe Moscati” di Aversa,
non è più con noi.
È ritornato alla Casa del Padre il 26/12/2011.
Vogliamo ricordarlo a tutti i pediatri italiani, agli amici ed ai parenti come
esemplare figura di Padre, di Maestro, di scrupoloso Neonatologo e Pediatra,
ma anche come fondatore della prima sezione di Pediatria e Neonatologia
presso l’Ospedale di Aversa.
“Peppino” proveniva dalla prestigiosa 27a Divisione di Pediatria dell’Ospedale Cardarelli di Napoli e si era formato alla scuola di un grande Maestro
della Pediatria napoletana ed italiana: Mauro Amato.
Ha lottato e lavorato intensamente per riportare la Pediatria dell’Agro Aversano agli antichi splendori, ai fasti della sua origine e della sua storia. Infatti l’Ospedale della Real Casa Santa dell’Annunziata di Aversa fu fondato nell’anno 1304-05 e, sembra,
sia stato tra i primi nosocomi sorti per provvedere alla cura dei bambini abbandonati ed ammalati.
All’indimenticabile Collega Giuseppe Maurino dedichiamo, con affetto e riconoscenza, i nostri pensieri, i nostri ringraziamenti e le nostre preghiere.
Domenico Perri
12
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Iride Dello Iacono, Maria Giovanna Limongelli, Paolo Biban*, Roberto Bernardini**,
Mario Calvani***, Domenico Minasi****, Francesco Paravati*****
U.O. di Pediatria, Ospedale Fatebenefratelli, Benevento
*U.O.C. Pediatria, Ospedale Maggiore, Verona
**U.O.C. Pediatria, Nuovo Ospedale San Giuseppe, Empoli
***U.O.C. Pediatria, Ospedale San Camillo, Roma
****U.O.C. Pediatria, Ospedale S. Maria degli Ungheresi Polistena (RC)
*****U.O.C. Pediatria, Ospedale San Giovanni di Dio, Crotone
Obiettivo della review è verificare se la premedicazione con antifebbrili, antistaminici e/o cortisonici, di pazienti che debbono essere sottoposti
a trasfusione di concentrati di piastrine, allo scopo
di prevenire le reazioni febbrili non-emolitiche (febrile non hemolytic reactions = FNHTRs) e le reazioni allergiche da trasfusione (ATRs = allergic transfusion reactions), costituisca una pratica EBM.
Gli AA concludono che l’indicazione a premedicare routinariamente una trasfusione piastrinica,
costituisca una cattiva pratica, non supportata dai
dati della letteratura.
Le trasfusioni di piastrine (PLTs), atte a correggere un loro disordine acuto, quantitativo o qualitativo, sono molto rare nelle condizioni di emergenza al Pronto Soccorso (1).
Una grave trombocitopenia, con necessità di intervento di emergenza, si può, tuttavia, verificare
in seguito a notevoli perdite ematiche per ferite, durante i processi infettivi, per coagulazione intravascolare disseminata o per anomalie qualitative delle PLT, ereditarie o acquisite.
Nei casi in cui un basso numero di piastrine o
una loro alterata funzione rappresenti la causa maggiore del sanguinamento, la trasfusione di piastrine può costituire un trattamento medico salva-vita (2-7).
Il NHI (National Institutes of Health) ha firmato un consensus riguardo ai livelli soglia di un’appropriata trasfusione (8).
Le trasfusioni di piastrine giocano un ruolo centrale nei regimi terapeutici di pazienti con malattie emato/oncologiche, i quali possono sviluppare una grave trombocitopenia, sia nel corso della
loro malattia che durante la terapia citostatica.
Come per le trasfusioni di altre componenti ematiche, anche le trasfusioni di piastrine hanno raggiunto un alto grado di sicurezza, ad esempio per
quanto riguarda la trasmissione di malattie virali.
Tuttavia, esse possono essere accompagnate da
un’alta frequenza di reazioni gravi. Tra queste, la
più temibile, al primo posto come causa di mortalità è la “Transfusion-related acute lung injury”
(TRALI) (9).
In rari casi, coloro che ricevono concentrati piastrinici, sono minacciati da altre reazioni severe,
quali complicanze settiche dovute a contaminazioni batteriche e gravi episodi anafilattici (10).
Trasfusioni profilattiche di piastrine hanno iniziato ad essere una pratica standard in soggetti con
alterata funzione del midollo osseo, sebbene non
vi siano recenti studi randomizzati che abbiano
comparato sopravvivenza ed incidenza di emorragie in pazienti che hanno ricevuto trasfusioni profilattiche rispetto a quelli che hanno ricevuto solo
trasfusioni terapeutiche. Inoltre, poiché la disfunzione piastrinica può essere presente a lungo e ripetute trasfusioni possono comportare I’alloimmunizzazione e la refrattarietà, le trasfusioni di PLT a
scopo profilattico sono raramente giustificate (11).
Per tutti questi motivi, la decisione di effettuare una trasfusione di piastrine, deve essere sempre
preceduta da una valutazione rischio-beneficio, valutazione non sempre facile quando affrontata con
un sanguinamento acuto in atto. Inoltre, se una trasfusione piastrinica viene effettuata al di fuori di
un sanguinamento oppure la causa dell’emorragia
non è collegata ad un deficit piastrinico, la trasfusione piastrinica esporrà il paziente solo ai rischi
ad essa correlati (7).
Le più comuni reazioni avverse acute alle trasfusioni di componenti ematici sono rappresentate, tuttavia, da manifestazioni lievi e non pericolose per la vita, ossia le FNHTRs e le ATRs. Esse
hanno interessato la somministrazione del sangue
fin dagli inizi del ‘900 (12). Queste reazioni sono
limitate nel tempo, auto-risolventesi e, generalmente comportano pochi rischi di causare danni duraturi.
Area di aggiornamento scientifico nazionale
TRASFUSIONE PIASTRINICA:
LA PREMEDICAZIONE RAPPRESENTA UNA
PROFILASSI INDICATA O UNA CATTIVA PRATICA?
13
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Area di aggiornamento scientifico nazionale
Un po’ di storia...
Uno dei primi report di una ATR è del 1919,
quando Ramirez documentò un paziente che non
aveva alcuna manifestazione allergica sottostante,
il quale, due settimane dopo una trasfusione di sangue di 600 ml, sviluppò asma bronchiale verso la
forfora del cavallo (13). La reattività allo SPT verso la forfora del cavallo era identica tra il donatore ed il ricevente. Ramirez suggerì che la reazione era dovuta ad “anticorpi anafilattici” nel sangue del donatore e che i donatori dovrebbero essere screenati per la possibile trasmissione di “anticorpi o reazioni anafilattiche”. In seguito, Polayses e Lederer valutarono che, su 2.500 reazioni da
trasfusione, descritte fino a quel momento in letteratura, le ATRs erano abbastanza rare (14).
Wiener et al., nel 1940, descrissero reazioni febbrili che non erano dovute ad incompatibilità ABO
o alla mancanza di norme di asepsi; essi ipotizzarono che fossero dovute a “fattori estranei” e le definirono FNHTRs. Inoltre, gli stessi AA, notarono
che l’1% di tutte le trasfusioni si presentava con sintomi allergici (15). Nel 1950 le FNHTRs erano già
categorizzate come le più comuni complicanze delle trasfusioni di sangue, seguite dalle ATRs (16, 17).
A distanza di cinquant’anni, FNHTRs e ATRs sono ancora le due più comuni complicanze delle
PLTs.
FNHTRs sono state riportate in oltre il 30% delle trasfusioni (18). Benchè l’incidenza decresca a
meno dell’1% con i metodi attuali che usano singole unità di aferesi di donatori e prodotti leucodepleti (19-23), le FNHTRs rappresentano ancora
un problema. L’incidenza di ATRs, invece, varia dallo 0,4 al 3% (24, 25).
Le FNHTRs sono comuni nei soggetti che ricevono concentrati piastrinici. Esse vengono definite come un aumento della TC di 1°C o più entro
le prime 4 ore dalla trasfusione con normalizzazione della temperatura entro 48 ore, nelle condizioni in cui possa essere ragionevolmente escluso
il trasferimento di prodotti ematici contaminati da
batteri ed allorquando non vengano riscontrati segni di emolisi (26, 27). Altri sintomi che spesso ricorrono durante le FNHTRs sono rigidità nucale,
nausea, vomito ed ipotensione, i quali possono iniziare nelle prime fasi della trasfusione o alcune ore
dopo averla completata. La fisiopatologia delle
FNHTRs è scarsamente conosciuta: inizialmente si
postulava fosse dovuta ad anticorpi contro i globuli bianchi (GB) nel plasma del ricevente, interagenti con i GB nei prodotti della trasfusione (28).
La formazione di complessi antigene-anticorpo, leganti il complemento, può condurre al rilascio di
pirogeni endogeni (29). Questo meccanismo è stato inizialmente descritto con le trasfusioni di globuli rossi (GR) e supportato da recenti studi che mostrano un significativo decremento in FNHTRs con
prodotti ematici leucodepleti (19-23). Benchè an-
ticorpi del ricevente anti-HLA o altri anticorpi specifici contro i GB possano spiegare la maggior parte delle FNHTRs associate a GR, questa spiegazione classica non appare essere il solo meccanismo
delle FNHTRs. Infatti, nonostante i concentrati piastrinici contengano molto meno GB, vi sono più
FNHTRs da trasfusioni piastriniche che da GR (30).
Inoltre, molti pazienti senza precedenti storie di trasfusioni o alloimmunizzazioni hanno FNHTRs (30).
Heddle e ass. (31, 32) hanno mostrato elegantemente che sostanze bioreattive nel sopranatante del
plasma causano la maggior parte delle FNHTRs indotte da piastrine. Sebbene le citochine pro infiammatorie IL-1b, IL-6 e TNF-alfa fossero inizialmente considerate essere le maggiori sostanze bioattive in corso di FNHTRs, ulteriori studi hanno suggerito che IL-8, fattore 4 piastrinico, beta-tromboglobulina, RANTES e TGF-beta possono essere coinvolti (30). Altri modificatori della risposta biologica, proposti come causa di FNHTRs, includono
frammenti del complemento C3a e C4a e composti lipidici che possono attirare i neutrofili (30). L’ipotesi dei modificatori della risposta biologica è supportata da altri studi che mostrano che la leucodeplezione, prima dell’immagazzinamento, decresce le citochine nei prodotti piastrinici (33) e di conseguenza ci sono meno FNHTRs (34).
Le ATRs, nella maggior parte dei casi, si manifestano con quadri di lieve entità, caratterizzati da
pomfi orticarioidi, prevalentemente diffusi al collo ed al tronco e circoscritte lesione eritematose,
con o senza prurito (39). Di contro, più raramente, le ATRs possono essere rappresentate da quadri anafilattici, caratterizzati da dispnea, wheezing,
ipotensione, tachicardia, perdita di coscienza,
shock, fino alla morte (35). L’eziologia delle ATRs
non è ancora pienamente compresa, benchè esse
rappresentino classicamente reazioni di ipersensibilità di tipo I, dovute ad anticorpi IgE rivolti verso differenti allergeni, in grado di attivare mastcellule e basofili. L’istamina, storicamente, infatti, è
associata con queste reazioni benché le proteine
di segnale coinvolte in esse non sono assolutamente definite. I mediatori principali della anafilassi in
corso di ATRs sono amine biogeniche (ad es. istamina, adenosina), fattori chemiotattici degli eosinofili e dei neutrofili, enzimi (ad es. proteasi) e proteoglicani (ad es. eparina). Sono stati implicati anche leucotrieni, prostaglandine, fattori attivanti le
piastrine e numerose citochine (36).
I pazienti con deficit di IgA sono particolarmente suscettibili all’anafilassi dopo trasfusione di sangue qualora essi posseggano anticorpi anti-IgA classe-specifici (36-39). I riceventi che mancano di specifici allotipi di altre proteine sieriche normali (ad
es. aptoglobina, C3, C4) posseggono ugualmente
anticorpi IgG ed IgE e sono ad aumentato rischio
di ATRs (36, 40-42). La trasfusione di allergeni, ad
esempio penicillina, aspirina, ossido di etilene, al-
14
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
La premedicazione nella
trasfusione di piastrine
Nel 1950 le reazioni da trasfusione non-emolitiche erano riportate in oltre un quarto di tutte le
trasfusioni; di conseguenza furono eseguiti studi volti a trovare i metodi per ridurre queste reazioni. Clinici e scienziati, convinti che la maggioranza delle ATRs fossero dovute all’aumento dell’istamina,
proposero la profilassi con antistaminici in individui allergici per prevenire reazioni da trasfusione.
Ferris et al. (47) iniettarono tripelennamina
(piribenzamina idrocloridrato), un antistaminico,
nelle sacche di sangue e riscontrarono un significativo decremento sia delle reazioni febbrili che
delle ATRs.
Alcuni anni dopo, l’iniezione di difenidramina
nelle unità di sangue mostrò eliminare le ATRs ma
non influenzare le reazioni da trasfusione pirogene o emolitiche (48).
Winter e Taplin (49) estesero questi studi e dimostrarono precocemente che, quando i pazienti
ricevevano sia acido acetilsalicilico orale che clorprofenidramina iniettata nelle unità di sangue, erano significativamente ridotte sia FNHTRs che ATRS.
Sebbene questi studi costituiscano le basi per
l’uso di una premedicazione, non ci sono trials clinici ben controllati che attualmente costituiscano
lo standard.
L’iniezione di farmaci in prodotti ematici non
è una pratica permessa oggi per i rischi di contaminazione e di potenziali interazioni farmaco-cellulari. Inoltre, la maggior parte degli studi mancano di un placebo come controllo, non sono effettuati in cieco e, di conseguenza, riportano aumentate percentuali di reazioni.
Nonostante i significativi cambiamenti della medicina trasfusionale, l’American Association of Blood
Banks (AABB) Technical Manual, raccomanda il paracetamolo per l’approccio sia profilattico che terapeutico delle FNHTRs (50). Il manuale stabilisce
anche che “i riceventi che hanno frequenti reazioni orticarioidi, associate alla trasfusione, possono
rispondere bene alla somministrazione di antistaminici, mezz’ora prima della trasfusione”.
La pratica della premedicazione non è completamente scevra da rischi. Sebbene il paracetamolo sia generalmente sicuro, sono stati riportati casi di aumentato livello sierico delle transaminasi
in seguito a dosi terapeutiche (51-53). In aggiunta al rischio della epatotossicità, il farmaco può mascherare l’iniziale febbre, la reazione emolitica acuta o le reazioni settiche da trasfusione, ritardandone il trattamento critico. Infine, il paracetamolo può
mascherare la febbre di altre eziologie, non correlate alla trasfusione, come ad esempio la febbre
neutropenica in pazienti cancerosi.
La difenidramina, generalmente, ha ancora maggiori possibilità di effetti collaterali rispetto al paracetamolo, anche a basse dosi. Essa costituisce un
potente anticolinergico che può causare sonnolenza, secchezza della bocca e ritenzione urinaria. A
causa della capacità del farmaco di superare la barriera emato-encefalica e di provocare sedazione,
anche una sola dose di difenidramina può determinare una significativa riduzione della capacità
di guida, che può essere problematica per i pazienti non ricoverati (54). Inoltre, la difenidramina ha
mostrato interferire acutamente con la funzione della memoria, l’attenzione e la performance psicomotoria (55).
Nonostante le conseguenze cliniche della premedicazione dei pazienti, per prevenire le reazioni da trasfusione, la somministrazione di questi farmaci è ancora molto diffusa.
Area di aggiornamento scientifico nazionale
tre sostanze chimiche usate per sterilizzare cateteri ed alcuni allergeni alimentari, sono stati associati con ATRs (13, 43-45). Altri meccanismi proposti per reazioni allergiche o anafilattiche includono il trasferimento passivo di anticorpi IgE, attivazione mastcellulare tramite anafilatossine del
complemento e trasfusione di componenti ematici che contengono alti livelli di istamina (46).
Trial clinici sull’efficacia della
premedicazione nelle FNHTRs
e nelle ATRs
A partire dal 1950 ci sono stati pochi studi che
hanno valutato il beneficio della premedicazione,
per prevenire le reazioni da trasfusione piastrinica. Aaron e coll., nella loro review (12), hanno identificato quattro articoli rilevanti (56-59), oltre a due
abstracts, l’uno presentato nel 1999 al meeting dell’American Society for Hematology (60) e l’altro,
del 2006, contenuto nell’AABB (61).
Gli studi sono stati esaminati con lo score system, sviluppato da Jadad et al. (62), per la valutazione dei trials clinici. Di questi, solo uno è stato eseguito in età pediatrica e sarà esaminato maggiormente nei dettagli (59). Nel 2008 è stato pubblicato l’ultimo RCT, su pazienti adulti, volto a valutare l’efficacia della premedicazione con acetaminofene e difenidramina nella prevenzione delle reazioni da trasfusione (63).
Patterson et al. (56) hanno valutato, sia le FNHTRs, che le ATRs, in pazienti ematologici/oncologici, studiati prospetticamente, per tre anni consecutivi. Lo studio, nel primo anno, prevedeva informazioni basali sull’uso di premedicazioni e la determinazione della percentuale di reazioni da trasfusione piastrinica. Il 73% dei riceventi PTLs erano premedicati ed il 30% delle trasfusioni furono
complicate da reazioni (95% CI 28-33%). Durante il secondo anno di studio furono implementate
15
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Area di aggiornamento scientifico nazionale
le Linee Guida (LG) sulla premedicazione nelle
PTLs. Nonostante una marcata riduzione della premedicazione (50%), si ebbero pochi cambiamenti, sia nella percentuale delle reazioni (26%, 95%
CI 17-22%), che nel tipo di reazioni. Nel terzo anno di studio furono mantenute le LG sulla premedicazione. La percentuale di reazioni si ridusse al
19% (95% CI 17-22%). Per quanto riguarda le piastrine non leucoridotte, vi fu una significativa associazione statistica tra l’età delle piastrine e la percentuale delle reazioni (P = 0.04). Per quanto riguarda le piastrine leucoridotte, non fu dimostrata una significativa associazione tra l’età delle piastrine e la percentuale di reazioni (P = 0.5). Questo studio prospettico documentò un’elevata percentuale di reazioni da trasfusione piastriniche in
pazienti ematologici/oncologici ed indicò che l’uso della premedicazione può essere ridotto dalla
leucodeplezione prestorage.
Wang et al. (57) hanno pubblicato un RCT prospettico, volto a valutare l’efficacia dell’associazione di 650 mg di paracetamolo e 25 mg di difenidramina, versus placebo, sulla prevenzione di reazioni da trasfusione non emolitiche. Questo studio
ha coinvolto pazienti che avevano un’affezione maligna ed erano esclusi coloro che avevano presentato febbre nelle 24 ore precedenti la trasfusione
o una precedente reazione emolitica da trasfusione o che assumevano abitualmente corticosteroidi, paracetamolo o difenidramina. Erano inclusi, invece, soggetti con precedente FNHTRs ed ATRs. I
pazienti, in maniera randomizzata, erano assegnati a ricevere la premedicazione o il placebo e poi
valutati per una possibile FNHTR o ATR. Il metodo della randomizzazione non viene riportato. 51
pazienti ricevettero, in tutto, 98 trasfusioni. 13 pazienti ebbero 15 reazioni da trasfusione non emolitiche, 15,4% (8/52) nel gruppo di trattamento e
15,2% (7/46) nel gruppo di controllo. Gli AA conclusero che la premedicazione non rendeva significativamente più basse le FNHTRs e le ATRs e che
i pazienti con una precedente trasfusione avevano un aumentato rischio di una seconda reazione
da trasfusione.
Ezidiegwu et al. (58) hanno effettuato uno studio volto a determinare se la premedicazione routinaria, con un antipiretico, di pazienti adulti da
sottoporre ad una trasfusione ematica (PLT, GR e
Plasma), fosse in grado di prevenire le FNHTRs. Su
circa 120.000 trasfusioni, con l’uso, nell’80% dei
casi, della premedicazione con paracetamolo, la
percentuale globale di FNHTR era solo di 0,09%,
più bassa di tutti gli standards. Si tratta di uno studio retrospettivo, non controllato e, di conseguenza, è difficile trarre conclusioni circa il ruolo effettivo della premedicazione nella prevenzione delle FNHTRs.
Sanders et al. (59) costituisce l’unico studio sulla premedicazione effettuato in età pediatrica.
Obiettivo dello studio è quello di valutare se la pra-
tica di premedicare pazienti pediatrici con paracetamolo o difenidramina sia in grado di prevenire le FNHTRs e le ATRs, la cui incidenza varia tra
lo 0,1 ed il 30% delle trasfusioni piastriniche. Si
tratta di uno studio retrospettivo effettuato su 385
bambini che hanno ricevuto 7.900 trasfusioni di
prodotti ematici, PLTs e RBCs leucodepleti ed irradiati. La popolazione consisteva di pazienti quasi tutti affetti da tumori maligni. L’incidenza fu dello 0,75% (59 pazienti) per le ATRs e 0,28% (22 pazienti) per le FNHTRs. FNHTRs ricorrevano nello
0,53% delle trasfusioni di pazienti che non erano
stati premedicati ed aumentavano allo 0,95% delle trasfusioni di pazienti che avevano ricevuto premedicazione con paracetamolo. Analogamente, le
ATRs si verificavano nello 0,56% delle trasfusioni
in pazienti che non ricevevano la premedicazione ed aumentavano allo 0,90% delle trasfusioni in
pazienti premedicati con difenidramina. L’analisi
multivariata, corretta per età, categoria di pazienti, allocazione delle trasfusioni, storia delle trasfusioni e reazioni riscontrate, dimostrò che la premedicazione, sia con difenidramina che con acetaminofene, era associata con un incremento non
significativo sia delle FNHTRs che delle ATRs. Questo studio ha anche analizzato pazienti che in precedenza avevano avuto reazioni da trasfusione e
non ha riscontrato che la difenidramina ed il paracetamolo decrescano, in questi pazienti, il rischio
di FNHTRs o ATRs. Lo studio è stato ben disegnato, con chiari outcomes, chiare ipotesi, chiari obiettivi, un’ampia numerosità campionaria, una superba analisi multivariata. Sfortunatamente, però, si è
trattato di un’analisi retrospettiva, con una popolazione di pazienti non standardizzata in termini
di premedicazioni; di conseguenza, i risultati non
possono essere considerati definitivi.
LeAnne D e coll. (63), lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare, prospetticamente, il rischio di reazioni da trasfusione in pazienti
emato/oncologici che ricevevano paracetamolo e
difenidramina o placebo prima della trasfusione.
L’RCT è stato eseguito su 315 pazienti di età compresa tra 18 e 65 anni, ammessi ai servizi per leucemia o trapianto midollare. Venivano esclusi pazienti con allergia conosciuta al paracetamolo o
alla difenidramina o che avessero una storia documentata di reazione da trasfusione febbrile o allergica. Tutti i prodotti ematici erano leucofiltrati.
I pazienti erano monitorati per lo sviluppo di sintomi di reazione per 4 ore dopo la trasfusione. Risultati: un totale di 154 pazienti del gruppo farmacologico attivo erano comparati con 161 pazienti del gruppo placebo. Non vi erano significative
differenze nel rischio globale di reazioni da trasfusione tra i due gruppi. Gli AA conclusero che la
premedicazione farmacologica nella trasfusione di
pazienti con leucemia o trapianto di midollo osseo non riduce il rischio globale di reazioni da trasfusione.
16
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
In sintesi, negli ultimi dieci anni, quasi tutti i
pochi studi effettuati hanno concluso che la premedicazione con paracetamolo e/o difenidramina
non riduce l’incidenza di FNHTRs ed ATRs. Il lavoro di Ezidiegwuet et al. (58) è il solo che contraddice questa conclusione, ma è anche uno studio che non ha un gruppo di controllo. Inoltre, la
bassa percentuale di FNHTRs in pazienti che hanno ricevuto antipiretici in questo studio può essere dovuta a differenze nella popolazione dei pazienti ed al fatto che i clinici potrebbero non aver
riportato alcune di queste reazioni o potrebbero non
averle riconosciute. Heddle et al. (18) hanno riscontrato che l’uso routinario degli antipiretici era in grado di prevenire le febbri, ma non altri sintomi di
FNHTRs, quali brividi, freddo e malessere generalizzato. Ne deriva che i pazienti possono ancora
sperimentare la maggior parte delle conseguenze
negative delle FNHTRs, ma i clinici potrebbero non
riconoscere le reazioni poiché l’antipiretico maschera la febbre.
Sfortunatamente, non sono stati effettuati ampi RCTs in grado di stabilire definitivamente se la
premedicazione decresca le FNHTRs e le ATRs. Nel
tentativo di ridurre reazioni secondarie, le premedicazioni vengono frequentemente prescritte in pazienti che hanno avuto una precedente reazione
da trasfusione. Questa pratica non è supportata dai
dati di Sanders et al. (59), che non hanno mostrato nessuna differenza nella percentuale di reazioni con l’uso di una premedicazione, anche quando i pazienti avevano una storia di due o più reazioni. Inoltre, reazioni allergiche e febbrili non erano più comuni in pazienti con una precedente reazione rispetto a quelli che non avevano alcuna reazione. Una limitazione di questo studio retrospettivo e della letteratura corrente è che l’effetto della premedicazione sulla severità della reazione non
è stato analizzato. Pertanto non si conosce se la
premedicazione possa ridurre la severità delle reazioni, sebbene sembri non influenzarne l’incidenza. Alla luce di questi dati della letteratura, in assenza di studi definitivi, la premedicazione non dovrebbe essere incoraggiata; pur tuttavia, il fatto che
i medici richiedano le premedicazioni con tanta
facilità, suggerisce che il loro uso rappresenta lo
standard delle cure, status, tuttavia, non supportato dall’evidenza. La premedicazione con corticosteroidi è ugualmente spesso usata in pazienti con
una storia di severe reazioni allergiche, sebbene
la sua efficacia a tale scopo non sia stata mai dimostrata in trials clinici.
Aree per future ricerche
Molto resta da imparare circa la patofisiologia
e la prevenzione delle FNHTRs e delle ATRs. Per
dimostrare definitivamente l’efficacia della premedicazione con paracetamolo e difenidramina in pazienti che debbono ricevere trasfusioni, dovrebbe
essere necessario un ampio RCT. Tuttavia, data la
bassa incidenza di reazioni nella maggior parte dei
centri, un trial dovrebbe richiedere un gran numero di pazienti, potrebbe essere molto costoso e, probabilmente, non necessario. Infatti, anche se la premedicazione dimostrasse di essere in grado di ridurre le reazioni da trasfusione piastrinica del 50%,
potrebbe solo decrescere il rischio assoluto dall’1%
allo 0,5% nella maggior parte degli istituti.
Ne deriva che la premedicazione routinaria dovrebbe essere usata 200 volte per prevenire una singola reazione. Poiché la maggior parte delle reazioni sono lievi e facilmente trattabili ed i farmaci somministrati hanno una potenziale tossicità, il
razionale della premedicazione routinaria dovrebbe essere riconsiderato.
Un’aumentata conoscenza della patofisiologia
delle FNHTRs e delle ATRs potrebbe, in futuro, significativamente migliorare la nostra capacità di prevenzione di queste reazioni. Essendo essa, probabilmente, multivariata, più metodi e, quindi, più
farmaci, potrebbero essere necessari per prevenire le reazioni da trasfusione. Ad esempio, un inibitore dei fattori chemiotattici degli eosinofili e dei
neutrofili potrebbe risultare più efficace di un antistaminico.
Nell’attesa che ulteriori ricerche, atte ad una
migliore conoscenza della patofisiologia delle reazioni da trasfusione, possano dare una risposta a
tali quesiti, allo stato attuale dobbiamo concludere che, la premedicazione routinaria prima di
una trasfusione piastrinica, non sia una profilassi indicata ma, al contrario, rappresenti una cattiva pratica.
Area di aggiornamento scientifico nazionale
Conclusioni e raccomandazioni
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Salvatore Vendemmia°, Nicola Vendemmia°°, Maria Vendemmia°°°
°Primario Emerito di Pediatria, Past-President della SIPO,
Presidente del Gruppo Normanno di Nefrourologia Neonatale e Pediatrica
°°Ortopedia e Traumatologia, Ospedale di Perpignan, Francia
°°°Terapia Intensiva Neonatale A.O. S. Sebastiano Caserta
Notiziario regionale
IL RUOLO DELLA SCUOLA MEDICA SALERNITANA
E DI SAN LORENZO “AD SEPTIMUM” NELLA
FORMAZIONE DELLA SCUOLA MEDICA AVERSANA
Introduzione
pera intitolata “De mulierum passionibus in ante
et post partum” dove tratta la gravidanza, il parNon è noto l’anno di nascita della Scuola Meto, il puerperio ed illustra terapie per la salute deldica Salernitana. Alcuni riferimenti storici fanno rile donne.
tenere che nel 700 fosse già attiva e che le scuoAltre donne medico sono: Abella, Rebecca Guale greco-romane ed arabe siano confluite, in moma, Costanza Calenda.
do privilegiato ed armonico, nella Scuola di SalerDa evidenziare che i primi veri testi di “Farmano. È discutibile l’affermazione che tale scuola sia
cologia” usciranno proprio da questa scuola che prostata fondata da un ebreo, un arabo, un greco ed
durrà gli Antidotari ed i Dispensatori in cui si deun salernitano come riferito nell’apocrifo “Chroscrivevano le preparazioni che costituiranno la banica Elini”.
se del futuro sviluppo dell’arte farmaceutica, i preCerto è che diversi medici noti nel mondo oriencursori delle Farmacopee e dei Ricettari ufficiali.
tale contribuirono ad accrescere la fama dei meDa ricordare, a tal proposito, l’Antitodario Sadici salernitani.
lernitano, una iniziale raccolta di 139 ricette alle
quali si ispirò Niccolò Preposito Salernitano (XI e
Per quanto riguarda l’anno di nascita è attenXII secolo) per compilare un Ricettario che nei sedibile il 700; all’inizio del X secolo, afferma lo stocoli successivi era ancora molto usato: infatti fu anrico Richer di Remis, alla Corte di Carlo IV di Francora stampato nel XV secolo come “Antidotarium
cia ci fu una disputa su una questione medica tra
Niccolai” e descriveva i medicinali semplici e la
il Vescovo Deroldo di Amiens ed un anonimo arpreparazione di molti composti e fu commentato
chiatra salernitano: questa ed altre notizie simili (l’ee completato da Ioannis Platearius e Ioannis De
pisodio di Teodonanda riportata dalla “Historia inSancto Amando.
ventionis ac traslationis sanctae trophimenae”) conDell’Antidotarium Niccolai esistono diverse edifermerebbero che antecedentemente all’anno milzioni tipografiche: la prima stampata a Venezia nelle era attivo in Salerno un importante centro di mel’anno 1471, la seconda a Napoli nell’anno 1478.
dicina pratica conosciuta anche nelÈ con Federico II di Hoenstaul’ambito ecclesiastico transalpino.
fen (1194-1250), figura di sovrano
Indubbiamente il periodo di
illuminato ed originale, osservatomaggiore affermazione della scuore acuto e spregiudicato della nala salernitana coincide con il X setura e dei fenomeni naturali, amancolo e quello di massimo splendote dell’astrologia ed ammiratore delre con il secolo XII (Fig. 1).
la logica di Aristotele, che la ScuoMolto impulso fu dato agli stula Medica Salernitana ricevette uldi ed alle conoscenze da peculiateriori stimoli ed occasioni di creri personaggi locali ed orientali: il
scita. La scuola di Salerno era la più
Vescovo Alfano, Costantino Africagrande scuola di medicina del Meno (1015-1087), Niccolò Preposidioevo e la sua fama era nota in tutto Salernitano.
to il mondo occidentale. Faceva parte del Regno di Sicilia e di Puglia
Fonti storiche fanno riferimento
e l’Imperatore, appassionato di
ad un filone femminile come docenmedicina, attribuì a Salerno il titoti di Medicina. La prima sarebbe Figura 1. Diploma della Scuola Me- lo di Civitas Ippocratica. Stabilì che
Trocta (o Trotula), autrice di un’o- dica Salernitana, sec XII.
il testo ufficiale per gli speziali da
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Notiziario regionale
adottare nel Regno di Napoli e di Sicilia fosse un
ricettario completo sulla base del famoso “Antidotarium Niccolai”.
Fondò nel 1224 l’Università di Napoli ed attribuì solo ad essa ed a Salerno, come facoltà staccata di medicina, il potere di conferire diplomi di
medicina.
Per esercitare la professione di medico era necessario un diploma universitario. Lo speziale, invece, per esercitare non doveva avere svolto studi
particolari ma solo un tirocinio di 7 anni che veniva completato con un esame.
L’interesse di Federico II e le leggi che promulgò
favorirono ancora di più la crescita e l’importanza della Scuola Medica Salernitana che si rispecchiava nella fama dei suoi insegnanti. Tra essi degno di nota è Costantino Africano, proveniente da
Cartagine. Uomo di cultura vastissima in medicina, fisica, geometria, musica, grammatica, conoscitore di alcune lingue orientali, divenne segretario di Roberto il Guiscardo e certamente uno degli insegnanti più celebri della scuola.
Costantino si dedicò alla traduzione dei testi originali di medicina araba e contribuì, in modo determinante, ad inserire la medicina araba in Italia
accanto a quella di derivazione greca, romana e
bizantina. Fu tanto stimato anche nei secoli successivi.
Nell’anno 1537 fu pubblicata in sette volumi,
a Basilea, tutta l’opera di quest’Autore che nel tardo Medioevo veniva indicato con l’appellativo di
“Magister orientis et occidentis”.
Figura 3. S. Lorenzo, Chiostro Maggiore.
Inoltre il Monastero di San Lorenzo, cenobio benedettino retto da un abate che dipendeva direttamente dal Papa, competeva per importanza con
Montecassino.
L’Abbazia era situata su un importante nodo stradale “ad septimum”, a sette miglia romane da Capua, sulla via Campana, strada importante che aveva visto transitare le gloriose legioni romane provenienti dall’Africa e dall’oriente.
Dalla via Campana si accedeva facilmente alla via Appia, alla via Latina (Casilina), alla Atellana ed alla Domitiana tramite la via Antiqua (Fig. 4).
È documentata la presenza in Aversa di Costantino Africano (A. Gallo, Aversa Normanna, Tip Macchione 1988, pag. 140) che certamente influì molto nella creazione di una scuola medica locale.
Il ruolo dei Magistri salernitani
e di Aversa nella formazione di
una propria Scuola di Medicina
Fonti storiche ci fanno ritenere che Costantino
avesse avuto rapporti non solo con Napoli, ma anche con Aversa e Montecassino (Fig. 2).
In quell’epoca la città di Aversa era una fiorente contea normanna e meta obbligata per chi desiderava recarsi a Montecassino per studiare gli antichi manoscritti che custodivano i monaci (Fig. 3).
Figura 4. Antiche vie Romane.
Figura 2. Aversa Medioevale.
Il suo arrivo nella città normanna e, soprattutto la fama di medico che aveva compiuto lunghi
studi a Babilonia, destò molta curiosità ed interesse. Fatto è che il principe Riccardo gli affidò la Chiesa di S. Agata, vicino al lebbrosario di S. Maria Maddalena in modo da consentirgli di esercitare la sua
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Notiziario regionale
arte medica. È chiaramente deducibile che la presenza di questo famoso maestro ed il fervore degli studi che aveva invaso quasi tutto il mezzogiorno, già durante l’undicesimo secolo, trovò espressioni di eccezionale sviluppo in Montecassino, Salerno ed Aversa che viene indicata, dal poeta Alfano, Vescovo di Salerno e maestro della scuola salernitana, come uno dei centri più vivi e luminosi dell’epoca.
Alfano, esaltando con i suoi versi le qualità, le
virtù, le dottrine e le capacità del Vescovo Goffredo, ci fa capire di aver vissuto nella città normanna durante la gioventù e che colà iniziò la sua formazione con Gugliemo de Aversa - poi divenuto
arcivescovo di Otranto - e con lo stesso Goffredo.
È chiaro che costoro contribuirono allo sviluppo della scuola medica salernitana in qualità di “magistri”.
Alfonso Gallo riporta i nomi di altri due famosi magistri della scuola aversana che operarono in
città tra il 1182 e 1183. Lo stesso autore riferisce
che una buona scuola medica aversana si sviluppò
nella città certamente dopo la presenza di Costantino Africano.
Ed a proposito di Aversa, città piena di fervide
iniziative nel secolo XI, Alfano, poeta e magister,
nel carme “ad Wilelmun monachum grammaticum”
(cod. 280,f.103v., dell’archivio di Montecassino) così esclama (Fig. 5):
Aversus studiis, philosophos tuis
in tantum reliquos vincis, ut optimum dispar
non sis Athenis
È evidente da questi versi quanto amore avesse l’Autore per Aversa! E nel ricordo del suo cameratismo con il monaco Guglielmo, divenuto poi
canonico e magister, c’è sicuramente la prova della loro dimora nella città durante l’infanzia, l’adolescenza ed il periodo di formazione agli studi.
Il grande ed illustre monaco e poeta cassinese
Alfano, poi vescovo di Salerno e magister, dedica
tutto un intero carme all’amico ed ai particolari della loro gioventù, ricordando come Guglielmo appartenesse ad una ricca ed agiata famiglia aversana e che, nonostante ciò, si fosse dedicato non agli
allettamenti mondani, ma agli studi ed al monachesimo con amore.
Recita ancora (cod. 280, f.97v.):
Figura 5. Alfano “Ad Guillelmum monachum grammaticum”.
gliemo de Aversa, Alfano, ecc.) e di medici rinomati dei quali ci vengono ricordati, in modo particolare, Tommaso e Giacomo che esercitarono, con
notevole successo, dall’anno 1182 con il nome di
magistri.
Anche la figura dello speziale dovette avere molta importanza nella quotidianità aversana. Fatto è
che fonti attendibili (Alfonso Gallo) ne citano diversi e, soprattutto, un tale Giovanni Capuano che
inpiantò una florida attività di “species et res fisicae”.
Conclusioni
Ipse de quorum numero fuisti
cui tot Averse studiis adauctum,
oppidum census dedit atque dulcis
culmen honoris
Nei primi secoli del secondo millennio fiorì,
dunque, in Aversa una buona scuola di medicina
che produsse figure famose di canonici magistri (Gu-
Il cenobio benedettino di San Lorenzo favorì,
per la sua posizione, la ricchezza della sua biblioteca, la disponibilità del suo abate e la collaborazione della città di Aversa, la nascita e lo sviluppo di una fiorente Scuola Medica Aversana, che
affondava le proprie radici nella gloriosa Scuola Medica Salernitana.
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Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Area Ospedalità
LA VISITA GINECOLOGICA
IN PEDIATRIA
Vincenzo Stifano, Bruno Torsiello, Ippolito Pierucci
ASL SA - UU.OO.CC. di Pediatria e di Ginecologia e Ostetricia del P.O. di Sapri (SA)
L’American Academy of Pediatrics (AAP) consiglia l’introduzione dell’esame ginecologico nell’ambito delle cure primarie all’interno dell’area medica, allorquando un pediatra può essere interpellato per problemi legati allo sviluppo puberale, a
disturbi mestruali quali dismenorrea, amenorrea,
oligomenorrea e meno metrorragie, a contraccezione, a malattie sessualmente trasmissibili e non,
per citare solo i temi più comuni. Almeno l’esame
dei genitali esterni dovrebbe essere inserito come
parte integrante del controllo annuale di bambini
ed adolescenti, spiegando che tutto ciò è normale e rientra nell’assistenza primaria, ove il medico
che ha stabilito un rapporto di fiducia può preparare il paziente in anticipo per eliminare preconcetti, atteggiamenti negativi e paure immotivate. Infatti, precedenti esperienze negative e/o informazioni errate da amiche o altri membri della famiglia possono scatenare ansie e paure nella ragazza che può aver bisogno di uno screening pelvico
completo (Tab. 1). Pertanto, il pediatra dovrà affrontare prima della visita eventuali preconcetti come
il timore di scoprire una malattia, il possibile dolore e/o disagio (verso il sesso maschile e/o un tirocinante) con particolare riguardo ad eventuali abusi sessuali condizionanti la scelta del sesso dell’esaminatore. Vero è che in passato il Pap-test ed il
tampone vaginale erano sufficienti nella maggior
parte dei casi, ma le attuali Linee Guida indicano
che il primo Pap-test deve essere eseguito a 21 anni d’età, eccetto che nelle infezioni da HIV o nel-
le soppressioni immunitarie dove va fatto annualmente e con l’inizio dell’attività sessuale. Il cancro della cervice uterina si sviluppa solitamente alcuni decenni dopo la prima esposizione all’HPV
ed è raro nelle donne di età inferiore ai 21 anni.
Nel prescrivere la maggior parte delle forme di
contraccezione, come recita anche il foglietto illustrativo, non c’è bisogno dell’esame ginecologico, previa esecuzione di un test di gravidanza urinario e di un test STI se indicato, facendo eccezione per IUD o diaframma ove l’anatomia pelvica della paziente determina l’inserimento corretto del dispositivo. In caso di stupro ipotizzato o segnalato e/o abusi sessuali avvenuti nelle 72 ore precedenti si dovranno raccogliere le prove fisiche relative e quindi può essere necessario un centro medico specializzato. Le cause di una persistente perdita vaginale possono essere tante e di varia entità, laddove un tampone vaginale “alla cieca” è
sufficiente nella maggior parte delle volte a chiarire la diagnosi con il concorso di altri esami specifici come il NAAT su urina, ma l’uso dello speculum è altrettanto importante per visualizzare la
cervice uterina ed escludere un corpo estraneo o
una anomalia cervicale come un ectropion di grandi dimensioni. Altre indicazioni all’esame completo del bacino sono: disturbi mestruali, dismenorrea, amenorrea e sanguinamento vaginale anormale eccetto che nelle adolescenti post-menarca senza storie di trauma e/o abuso sessuale. L’aspetto psicologico dell’esame pelvico è
molto importante per evitare un
Tabella 1
rifiuto all’esecuzione dello stesso
INDICAZIONI PER L’ESAME DELLA PELVI
cercando di rassicurare la pazien1. Persistenti perdite vaginali
te che nulla sarà fatto senza preavviso e che l’esame pur risultando
2. Disuria o sintomi del tratto urinario in una donna sessualmente attiva
scomodo non sarà doloroso in as3. Dismenorrea che non risponde a farmaci antinfiammatori
senza di anormalità pelviche. La
cooperazione con la paziente è
4. Amenorrea
un altro aspetto importante della
5. Anormale sanguinamento vaginale
visita ginecologica in quanto for6. Dolori al basso ventre
nisce quel controllo feedback al
pediatra sull’andamento e sui
7. Contraccezione per IUD o diaframma
tempi necessari per l’espleta8. Esecuzione del Pap-test
mento della stessa, ripetendo l’esame se dovesse comparire intol9. Sospetti o segnalati abusi sessuali
leranza della giovane esaminata.
10. Gravidanza
Importanti anche le tecniche di ri-
22
Rivista Italiana di Pediatria Ospedaliera
Tabella 2
MATERIALI ED ATTREZZATURE NECESSARIE
PER LA VISITA GINECOLOGICA
1. Acqua corrente calda
2. Tenda o porta chiusa a chiave
3. Lettino da esame con staffe
licolite, infiammazioni), informando le adolescenti che la rasatura deve essere effettuata con adeguata lubrificazione ed igiene e riguardo le potenziali complicanze del piercing ai genitali, se presenti. Inoltre, eventuali modifiche della pigmentazione, le dimensioni del clitoride (larghezza < 10
mm), pervietà e configurazione dell’imene (inviare immediatamente dal ginecologo in caso di imene imperforato e/o anomalie), inserendo delicatamente un bastoncino di cotone imbevuto di soluzione salina per verificare la pervietà in caso dubbio.
Le ghiandole di Bartolini si trovano a ore 4 e 8
e la loro infiammazione può essere dovuta ad agenti patogeni STI compresa gonorrea e clamidia.
Le ghiandole di Skene sono situate ai lati dell’uretra ove possono esserci aree eritematose in caso di infezione e la digitopressione anteriore vaginale può produrre emissione di materiale purulento dai canali. Osservare la eventuale presenza di
papule, vescicole, pustole, ulcere STI (HSV o sifilide o più raramente linfogranuloma venereo) o nonSTI (afta, EBV, condilomi acuminati da papillomavirus da non confondere con papule color carne
sulle mucose piene di spirochete e manifestazione di sifilide secondaria). Valutare quantità, colore ed odore delle perdite vaginali con eventuale presenza di sangue. Esaminare la zona perineale ricercando traumi, cisti, fistole e verruche con la palpazione dei linfonodi inguinali per la dimensione,
consistenza ed aderenza ai piani sottostanti e loro eventuale dolorabilità (STI).
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lassamento e la richiesta di svuotare la vescica prima dell’esame, effettuando quest’ultimo in posizione litotomica su un lettino con le staffe che andranno utilizzate per l’inserimento corretto dello speculum. Nella stanza della visita vi saranno tende
e materiale atto a garantire la privacy della paziente e con il permesso di quest’ultima una “accompagnatrice” che eviti false accuse di scorrettezza,
meglio una assistente del clinico. Nella tabella 2
è elencata l’attrezzatura necessaria all’esecuzione
dell’esame pelvico compreso il materiale per effettuare il Pap-test ed il tampone vaginale, evitando l’uso di lubrificante per lo speculum che interferisce con i risultati di questi esami, preferendo
l’acqua calda per inserire l’attrezzo. La gelatina è
riservata all’esame bimanuale post-speculum e così i guanti Nonlatex per le allergiche al lattice. Lo
speculum normalmente usato in una donna sessualmente attiva è il Pederson che è 7/8 in larghezza,
mentre in adolescenti vergini è indicato l’Huffman
perché più stretto, ma della lunghezza desiderata.
Sono disponibili speculum in plastica monouso ed
eventualmente con auto illuminazione.
4. Luce regolabile
5. Guanti Nonlatex
Esame con lo speculum
6. Lubrificante solubile in acqua
7. Camici, teli
8. Speculum: Pederson, Huffman
9. Materiale per Pap-test e coltura/test per STI
10. Test di gravidanza su urine
11. Tamponi: cotone, alginato di calcio, Dacron
12. Materiali per microscopia
13. Tamponi vari e pH di carta
Giovani donne con disabilità fisica possono richiedere la modifica dell’approccio fisico all’esame pelvico o un rinvio al ginecologo ed, eventualmente, un esame in anestesia (utile anche in pazienti non collaboranti), ma senza costrizione.
Esame dei genitali esterni
Ispezionare il pelo pubico con stadiazione di
Tunner e ricerca di eventuali lesioni (pidocchi, fol-
Viene effettuato dopo aver completato l’esame
esterno, inserendo un dito lungo la parete posteriore della vagina, eventualmente, per individuare il collo dell’utero, evitando la pressione anteriore durante l’inserimento dello speculum per non
causare dolore lungo l’uretra ed usando acqua calda per lubrificarlo. Non aprire l’attrezzo prima del
completo inserimento lungo la vagina e controllare le pareti di quest’ultima per secrezioni e lesioni e la cervice tenendo presente che l’ectropion è
reperto normale nell’adolescenza, regredendo
con l’avanzare dell’età, se prevalente possono esserci importanti perdite vaginali. Attenzione alla presenza sulla cervice di iperemia e friabilità (STI),di
placche bianche non rimovibili (condilomi),di lesioni a puntini rossi (“cervice a fragola” per tricomoniasi),di tinta bluastra o segno di Chadwick in
gravidanza.
Disponendo di un microscopio si possono esaminare immediatamente i campioni di secrezione
vaginale prelevata durante l’esame con lo speculum con un tampone di cotone e messe in una provetta con 1 ml di soluzione fisiologica oppure strisciando sul vetrino direttamente ed aggiungendo
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una goccia di idrossido di potassio e di soluzione
salina per la diagnosi di infezioni micotiche o batteriche. Con la prima metodica si ricercano i globuli bianchi indice di infezione o cellule batteriche a tappeto significative per vaginosi batterica che
può essere individuata anche con la seconda metodica in quanto si sviluppa un caratteristico odore di pesce (test del soffio positivo) per le ammine
presenti nella secrezione. Il normale pH vaginale
è <4,5, innalzandosi nella vaginosi batterica e nella tricomoniasi. Metodo semplice per la misurazione del pH è quello di immergere la cartina nella
secrezione sospetta sulla punta dello speculum dopo che si è rimosso leggendo entro 10 secondi la
variazione di colore. La coltura, la sonda di acido
nucleico o test rapidi antigenici possono essere maggiormente validi nel rilevare la tricomoniasi ed il
pediatra potrà rifarsi al suo laboratorio di riferimento in mancanza di materiale e metodica adeguati. Il paziente va avvertito di un possibile sanguinamento o spotting dopo un Pap-test (> STI) che è
utile nel valutare qualsiasi lesione ulcerata o non
ulcerata, inviando comunque la paziente per approfondimento al ginecologo.
Nel caso di abuso sessuale si possono impiegare colture per gonorrea e clamidia con metodo
NAATs o sonda DNA (non amplified test of DNA)
o non NAATs, facendo attenzione nel primo caso
ad eseguire il test non prima di 3 settimane dopo
il trattamento antibiotico. Una volta terminato l’esame con lo speculum, quest’ultimo va rimosso mai
aperto, ma esercitando pressione posteriore ed evitando di pizzicare i lati della parete vaginale.
Tabella 3
FREQUENTI PATOLOGIE RILEVATE
NELL’ESAME GINECOLOGICO
Genitali esterni
1. Ascesso della ghiandola di Bartolini
2. Infezione della ghiandola di Skene
3. Fissurazioni e/o ulcerazioni genitali
4. Condilomi acuminati
5. Lesioni papulose (condilomi da sifilide)
6. Mollusco contagioso
7. Prolasso uretrale
8. Follicolite
9. Idradenite suppurativa
10. Vulviti
11. Alterazioni della pigmentazione
12. Papillomatosi
Utero
1. Miomi
2. Utero fibromatoso
Cervice
1. Ectropion
2. Cervice a fragola
3. Papillomi, condilomi
4. Poliposi
5. Ulcerazioni
6. Miomi in espulsione
Esame bimanuale
Vagina
Si pratica inserendo 1 o 2 dita in vagina con
mano guantata e lubrificante gel, valutando la cervice in consistenza tenendo presente che il collo
in gravidanza è più morbido e che in caso di infezione o infiammazione pelvica si dovrebbe percepire una sua maggiore elasticità.
Distinguere tra disagio e dolore soprattutto nelle adolescenti non abituate all’esame può essere
particolarmente impegnativo. Poi si palpa l’utero
per dimensioni e durezza che è piccolo e sodo non
in gravidanza, ma che nella gestante di 10-12 settimane è come un pompelmo, più morbido ed inizia a sporgere dal bacino. Quindi si valutano gli
annessi (ovaie) per dolorabilità e/o masse, poco palpabili normalmente. Al termine dell’esame far sì
che la paziente possa eliminare il gel in eccesso e
tamponare eventuali sanguinamenti, discutendo
conclusioni e raccomandazioni una volta che si sia
rivestita. Nella tabella 3 sono elencate le anomalie ginecologiche più comuni che possono emergere durante la visita ginecologica.
Il ruolo del pediatra è quello di riconoscere le
malattie e/o anomalie che giustificano l’interven-
1. Ulcere
2. Placche bianche aderenti (candidosi)
3. Condilomi acuminati
to del ginecologo, trattando senza rinvio le infezioni più frequenti (Tab. 4).
Negli ultimi tempi sono state apportate delle modifiche alle raccomandazioni per il follow-up del
risultato anormale del Pap-test, consigliando di ripetere quest’ultimo ad intervallo di 1 anno anche
in caso di lesioni di basso grado e con cellule squamose atipiche, consigliando la colposcopia solo se
persiste l’anomalia o diventa lesione di alto grado
nel corso di 1 o 2 anni.
Il medico generico può gestire molti problemi
ginecologici senza dover necessariamente effettuare un esame con lo speculum o bimanuale, rimandando ad altri il compito qualora la paziente non
sia a proprio agio, ma valutando l’eventuale urgenza del caso.
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1. Masse annessiali
2. Lesione cervicale o vulvare ad eziologia non determinata
3. Anomalie del tratto genitale (imene imperforato, ecc.)
4. Pap-test anomali che richiedono colposcopia
5. Dolore pelvico acuto (torsione ovarica, gravidanza ectopica, ascesso tubo-ovarico, massa, ecc.)
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Tabella 4
MOTIVI PER LA CONSULENZA GINECOLOGICA
6. Malattia infiammatoria pelvica
7. Dolore pelvico cronico che non risponde alla terapia, dismenorrea
8. Menometrorragie che non rispondono alla terapia medica o con grave anemia
9. Inserimento di dispositivo intrauterino
10. Gravidanza
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IN PEDIATRIA
16 febbraio-17 maggio 2012
Sala Convegni Ordine dei Medici di Napoli
Direttore Prof. Antonio Campa
Segreteria Organizzativa
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Tel. 081.5454285 - Fax 081.5465507
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5th INTERNATIONAL EURAIBI MEETING
Siena, 19-21 aprile 2012
Centro Didattico del Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, Strada Le Scotte, 4
Presidente Professor Giuseppe Buonocore
Segreteria Organizzativa
eMEETING&CONSULTING - Tel. 06.80693320
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Futuro Prossimo / Futuro Remoto
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PEDIATRIC CONGRES
Al Baha, 19-22 marzo 2012
in collaboration with:
AAP, IPA, EPA, SIPO, PN ARAB UNION
for Pediatric Societies
Prof. Mahmoud Rashad M.D.
[email protected]
Tel. 00966507310591
Eventi-Convegni-Congressi Pediatrici
Eventi-Convegni-Congressi Pediatrici
Futuro Prossimo / Futuro Remoto
XI EDIZIONE PEDIATRIA E NEONATOLOGIA
Lacco Ameno (Ischia), 23-25 aprile 2012
Centro Congressi, Hotel Reginella, Piazza San Restituta
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New Class srl - Tel. 081.19560140
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XXXVII CONGRESSO NAZIONALE AIEOP
Bari, 20-22 maggio 2012
Sheraton Hotel Nicolaus
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