Maria Luisa Neri - Direzione generale Belle Arti e Paesaggio

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Maria Luisa Neri - Direzione generale Belle Arti e Paesaggio
ENRICO DEL DEBBIO. LA VITA E LE OPERE
Maria Luisa Neri
Introduzione
«Tendiamo a semplificare anche la storia; ma non sempre lo schema entro cui si ordinano i fatti è individuabile in modo univoco, e
può dunque accadere che storici diversi comprendano e costruiscano la storia in modi fra loro incompatibili; tuttavia, è talmente forte
in noi, forse per ragioni che risalgono alle nostre origini di animali sociali, l’esigenza di dividere il campo fra “noi” e “loro”, che
questo schema, la bipartizione amico/nemico prevale su tutti gli altri. La storia popolare, ed anche la storia quale viene
tradizionalmente insegnata nelle scuole, risente di questa tendenza manichea che rifugge dalle mezze tinte e dalle complessità […].
Questo desiderio di semplificazione è giustificato, la semplificazione non sempre lo è».
Primo Levi, I sommersi e i salvati
Questa osservazione di Primo Levi, a proposito del manicheismo congenito nelle
interpretazioni popolari della storia, si potrebbe applicare - in modo del tutto calzante - agli
orientamenti della ‘vulgata’ storiografica dell’architettura contemporanea: nella discrasia fra
amici/nemici, razionalisti/accademici, moderni/conservatori, questa storiografia non è stata
più capace di assimilare e di far comprendere la complessità dell’architettura italiana del
Novecento, e il contributo al processo della sua modernizzazione da parte di alcuni degli
architetti che ne furono i protagonisti, né di metterne in luce le realizzazioni entro le
condizioni storiche date.
Enrico Del Debbio è tra questi architetti: un artista di gran talento che visse con spirito di
generosità la propria appartenenza a una élite culturale e che ha combattuto con determinazione
per rinnovare l’arte e l’architettura nei modi che riteneva più rispondenti alla vita del suo tempo;
un artista che ha condotto una ricerca solitaria dell'architettura, intesa come espressione
dell'uomo e della sua capacità di padroneggiare l'ambiente. Nella regola, nel senso di ordine,
nella categoria logica ha fondato la sua capacità di trasfigurare l'intuizione spirituale in
dimensione spaziale dell'architettura e di stabilire un rapporto creativo fra soggetto e oggetto,
fra significato e realtà costruita: per lui, la verità costruttiva doveva rispondere tanto all'utilità
quanto al decoro, poiché l'architettura va compresa anche dall'uomo della strada.
Le sue dichiarazioni di principio e le sue dimostrazioni di un'idea non si affidano quasi mai
alla parola scritta, al teorizzare, bensì alle ragioni del mestiere, all'esperienza del fare, fermamente
convinto che l'architettura deve servire sia alla realtà della vita quotidiana sia alla spiritualità
umana. Nella ricerca di una sinergia fra uomo e civiltà, fra attualità e passato, il suo contributo
supera il mondo delle apparenze per costruire una realtà architettonica genuina e originale, al
di fuori di qualunque speculazione estetica. Tutte le sue affermazioni risiedono nel disegno e
nella costruzione, la più idonea a sopravvivere alla prova dei tempi; come scriverà a Marcello
Piacentini nel 1951 per ringraziarlo di aver apprezzato pubblicamente la sua opera:
«la Storia, quella con la S maiuscola finirà per travolgere i negatori, i falsi ed incapaci, perché le opere diranno
esse meglio e di più di quello che può una critica astiosa, interessata e di parte».
L'alta qualità della sua produzione artistica raggiunge gli esiti più notevoli tra la metà degli
anni venti e la metà dei trenta. Con fermezza e determinazione sviluppa un discorso personale
di ricerca dell'architettura che si misura tanto sul piano estetico quanto su quello etico,
affondando i principi anche nell'espressione spirituale della comunità umana. Trova i
fondamenti del proprio pensiero nella tradizione intellettuale della fine XVIII-inizi XIX
secolo, partecipa alle battaglie e ai conflitti del proprio tempo personificando il concetto di
evoluzione dell'architettura moderna piuttosto che quello di rivoluzione, afferma i valori del
mondo classico trasfigurandoli nella contemporaneità, trasferisce i concetti dell'arte nella
pratica di vita e li eleva al grado alto della bellezza.
Introduzione
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Ricostruire la vicenda artistica di Enrico Del Debbio ha significato porsi in un'ottica diversa
da quella della storiografia ‘modernista’ e oltrepassare le letture filtrate da categorie
prettamente architettonico-figurative, ritenendo scorretto isolare i fenomeni artistici dalla
realtà storica alla quale appartengono. La complessità, le contraddizioni e l’esperienza della
crisi e della discontinuità istituzionale sono parte integrante dell’universo culturale attraversato
da questo architetto, il quale ha vissuto in prima persona tre regimi politici, due guerre
mondiali e profonde e irreversibili trasformazioni economiche, sociali e culturali. La centralità
del suo contributo non può che inserirsi nella realtà nella quale ha vissuto e operato, e da cui è
nata la sua originaria volontà di ristabilire un legame profondo fra l’arte e la società, fra
l’uomo e il mondo che lo circonda, legame che i fatti della storia avevano teso a cancellare.
All'appassionata ricerca culturale e artistica Del Debbio ha sempre affiancato l'infaticabile
attività didattica facendosi promotore di battaglie per il rinnovamento delle arti e la
valorizzazione dell’architettura, di campagne per ottenere maggiore coesione fra i diversi
campi dell’arte e per diffondere le rivendicazioni della categoria professionale, ma anche di
lotte per la difesa dei valori paesaggistici e ambientali. È stato regista di azioni strutturali e
organizzative della professione, dalla riforma dell’insegnamento alla definizione del titolo
professionale. È stato vivace animatore di dibattiti per affermare il ruolo educativo
dell'architetto e della sua opera nella società.
Il suo ruolo è stato, dunque, anche quello di chi ha operato all’interno delle istituzioni con
cariche di responsabilità, riuscendo tuttavia a mantenere autonomia nel proprio lavoro
artistico, nella propria ricerca dell’architettura, oltrepassando qualunque condizionamento
ideologico per raggiungere spazi di alta qualità. Il talento artistico che accompagna e sostiene
la parabola della sua vicenda di architetto non si consuma nel riproporre modelli del passato e
repertori figurativi alla ricerca di attualità o del nuovo a tutti i costi, ma affonda le radici nella
profondità storica e nel credo delle ragioni funzionali, di cui esplora tutte le più recondite
cavità senza lasciarsi condizionare nella libertà di parola né nell’uso dell’ornamento come
metafora o come ironia.
Il vivace sostenitore dei valori della storia nella trasformazione della città non si dissocia dal
battagliero fautore della necessità di rinnovamento dell’architettura: sostiene con forza una
linea di ricerca che pone a fondamento della modernità la permanenza dei principi di un
evocativo, sovrastorico spirito classico. Riafferma il credo nella lezione del passato quale
condizione indispensabile per affrontare la complessità del presente e garantire sostegno a un
retaggio comune socialmente condivisibile. La sua è una modernità eterna, immutabile, che
deve incorporare il senso della memoria collettiva per rispondere allo scenario di caos che
connotava il mondo artistico a lui contemporaneo; modernità che risolve in un’equilibrata e
dialettica tensione fra nazionalismo e internazionalismo, all’interno di un personale
Kunstwollen.
In questa chiave interpretativa, meno schematica e più flessibile alle ragioni della forza delle
tradizioni, Henry Russel Hitchcock nel suo Modern Architecture (1929) e Siegfried Giedion in
Space, Time and Architecture (1941), pur in modi e momenti diversi, avevano individuato
l’esistenza di quella ricchissima cultura architettonica prodotta dalla new tradition, cui si doveva
riconoscere il carattere anticipatore rispetto ai cosiddetti Pioneers, dei quali Nikolaus Pevsner
nel 1936 diviene il teorico. Hitchcock affida ai new traditionalists uno spazio di forte autonomia
nella cultura architettonica del XX secolo, riunendovi tendenze e figure diverse per area
geografica, posizione culturale e prassi operativa; ad essa appartengono, ad esempio,
personaggi come Wright, Wagner e Hoffmann, Loos, Olbrich e Behrens, Asplund e
Tengbom, Nyrop, Berlage, Lajta, Lutyens e Perret. Per l’Italia si possono citare personalità
come Muzio, De Finetti, Ponti, Piacentini, Aschieri, Vaccaro e De Renzi.
Nel quadro delineato, Del Debbio è tra le figure più complesse e interessanti dello scenario
architettonico italiano. Dalla piccola alla grande scala, dall’arte alla città, dall’oggetto al
paesaggio, dalla natura alla misura dello spazio, dall’edilizia al monumento, dalla ricerca
individuale alla trasmissione pedagogica, dalla didattica alle ragioni della professione,
Introduzione
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dall’autonomo slancio creativo alle responsabilità collettive nelle istituzioni, egli ha sempre
svolto il proprio lavoro con passione, autonomia, coerenza e grande disponibilità umana.
L'ampia dimensione tematica del suo lavoro e la complessità del contesto nel quale opera non
possono che fornire nuovi spunti di riflessione su un'epoca, su una società e la sua
espressione architettonica, tesi a colmare evidenti lacune storiografiche per aprire nuove
possibili direzioni di ricerca.
A partire dall’ultimo dopoguerra, l'uomo e la sua opera sono stati ripetutamente stigmatizzati
dalla storiografia militante, tendenziosamente incline a emettere giudizi critici altrettanto
schematici e forse ancora più retorici di quelli prebellici. Soltanto superando il conformismo e
l’inerzia critico-interpretativa che vuole vedere la cultura architettonica italiana del Novecento
scissa in due fazioni contrapposte, questo Maestro del secolo scorso potrà avere lo spazio che
gli compete nella storia dell’architettura: spazio nel quale ha fortemente creduto, di cui ha
dominato i reali contorni, gli indirizzi, le ragioni e le connessioni con la vita.
Ricostruire lo scenario interpretativo della sua opera ha richiesto, in primis, una ricognizione
sistematica del suo fecondo lavoro. Lo studio è stato condotto prevalentemente su fonti
d'archivio, sulle quali si è basato il supporto fondativo del lavoro analitico. Fondamentale è
stata la ricerca nell'Archivio privato dell'architetto (Archivio Gigliola Del Debbio, ora nei
fondi archivistici della DARC), ricchissimo non solo di disegni di eccezionale qualità
espressiva, ma anche di materiale documentario assai utile alla ricostruzione delle vicende
attraversate dalla cultura architettonica del Novecento. Un archivio che lo stesso Del Debbio
aveva ordinato con ottica lungimirante in un complesso di documenti fra loro strettamente
concatenati: biblioteca (libri a stampa, riviste, pubblicistica varia, ritagli di giornali), fonti scritte
(corrispondenza, relazioni, pratiche riguardanti i progetti, capitolati d'appalto, ecc.), disegni
(originali e copie), lastre e negativi fotografici, fotografie e altro. Una preziosa autobiografia
manoscritta, redatta agli inizi degli anni settanta, ha accompagnato la costruzione narrativa.
Alla ricerca nell'Archivio privato sono state affiancate la ricognizione nell'Archivio storico
capitolino, che ha dato scarsi esiti, e quella nell'Archivio centrale dello Stato, rispetto al
precedente ben più ricco di documenti inerenti la sua attività. Accanto all'analisi delle fonti
archivistiche, la ricerca ha tenuto conto del contributo della storiografia, che tuttavia rivela
una sostanziale inerzia degli studiosi in sede di giudizio critico, tanto da risultare ripetitiva e
ideologicamente ‘orientata’.
La lettura della pubblicistica dell'epoca, di riviste del settore e quotidiani, ha contribuito in
modo decisivo alla ricostruzione - dall'interno - delle vicende artistiche che lo hanno visto
coinvolto in prima persona e spesso protagonista del suo tempo: entrare in questa logica
interpretativa è stato un passaggio necessario per comprenderne l'opera, fuori degli stereotipi
e dai pregiudizi storiografici. Nella volontà di oltrepassare modelli interpretativi già collaudati,
e nella certezza che la storiografia non può vivere senza la continua verifica dei risultati
raggiunti, è stato fondamentale inoltrarsi nell'esame delle molteplici relazioni che intercorrono
fra filologia e storiografia, lasciando ampio spazio alla storicità delle fonti: dall'esterno sono stati
elaborati i criteri interpretativi e critici del suo lavoro di architetto e il ruolo da lui svolto, fra le
contraddizioni e la complessità che hanno caratterizzato il Moderno, nella costruzione di una
moderna architettura italiana.
Fornire nuovi spunti di riflessione su un'epoca, su una società e le sue espressioni, su un
architetto che n’è stato protagonista non vuole solo colmare evidenti lacune storiografiche,
ma si propone anche di suggerire possibili direzioni di ricerca per l’architettura a noi
contemporanea; un’architettura dove i concetti di spazio, senso, misura, abbiano nuovamente la
capacità di proporsi come luoghi di confronto creativo fra poli opposti, capaci di ridefinire
creativamente i confini della modernità.