Cronaca - USMI Nazionale

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Cronaca - USMI Nazionale
UNA SOLA FAMIGLIA
Siamo tutti cittadini del mondo ma migranti su
questa Terra. Ogni anno la Chiesa ricorda la particolare
situazione di coloro che sono maggiormente coinvolti
nella mobilità con la “Giornata mondiale del migrante e
del rifugiato”. La terza domenica di gennaio è dedicata a
questo evento. A turno, una regione diversa ospita per la
settimana di sensibilizzazione ed animazione i direttori dei
cinque settori della mobilità umana (Immigrazione e
rifugiati, Emigrazione, Rom e sinti, circensi e lunaparkisti,
marittimi ed aereoportuali). Quest’anno la scelta è caduta
sulla Liguria.
L’USMI Nazionale si è attivata affinché le
Consacrate delle Diocesi Liguri fossero partecipi dell’evento. L’attiva Suor Etra Modica,
scalabriniana, responsabile nazionale del settore Migrantes, ha mantenuto i contatti, comunicato
il tema dell’anno “Una sola famiglia” e suggerito alcune piste di animazione.
Il tutto si è concretizzato nel forum svoltosi sabato 23 ottobre 2010, presso l’Istituto delle
Immacolatine di Piazza Paolo da Novi.
Numerose sono state le realtà ecclesiali, preposte al settore Migrantes, invitate. Dal
Vescovo incaricato, Mons. Vittorio Lupi, al delegato regionale don Mario Moretti, a Don Giacomo
Martino, responsabile nazionale della Stella Maris, al direttore Ufficio Migrantes di Genova Mons.
Martino Macciò. L’impegno della preparazione o motivi vari hanno gradualmente scremato gli
invitati cui resta comunque il merito del lavoro quotidiano a favore di questa realtà.
Alla tavola rotonda hanno partecipato consacrati e consacrate provenienti da diversi
continenti, Don Franco Pedemonte lodevolmente sensibile e fattivamente attivo da anni nel
settore “Migrantes”, Superiore Maggiori di Istituti di Vita Consacrata, la responsabile nazionale
USMI del settore Migrantes.
Presenza centrale dell’incontro del 23 è stato Mons. Giulio Sanguineti, vera figura paterna
di Vescovo “migrante”: nella sua lunga esperienza pastorale è stato infatti chiamato prima a
servire nella Diocesi di Savona-Noli, poi in quella di Sarzana-La Spezia-Brugnato, poi a Brescia ed
ora è “a servizio” a tempo pieno in Liguria ed oltre, sempre a disposizione di Dio, sereno e
saggio.
La bellezza di questo testimone ha dato subito un taglio positivo alla giornata. Con molta
concretezza ha parlato di una sfida, ossia di qualcosa di non scontato e che richiede fatica. Sfida
che si riassume in una parola semplice ma impegnativa: apertura.
Non vi può essere “una sola famiglia” senza una reciproca apertura alla solidarietà basata
sulla fede che rafforza l’esperienza che siamo tutti figli di uno stesso Padre e che ogni
fratello/sorella è un dono. La solidarietà richiede conoscere, guardare in faccia. Non vi è
accettazione senza conoscenza. Non vi è accettazione senza volontà di capire l’altro, di aprirci
all’universo che è l’altro e al mondo che l’altro porta con sé. In questa apertura, la solidarietà
cresce nella condivisione di valori e motivazioni comuni. E’ la bellezza di scoprirci in tensione
verso mete che scopriamo simili. Nasce la gioia di conoscerci come portatori di beni importanti e
costruttivi. La solidarietà va però oltre perché ci aiuta a riconoscere, anche nelle differenze, delle
possibilità e ci invita a tessere, proprio con quei fili diversi che ciascuno porta con sé, la tela della
serena e costruttiva convivenza.
Una trama ed un ordito particolare ove è chiaro che l’accettare il multiculturalismo va oltre
la tolleranza perché apre alla scoperta della gioia della ricchezza di essere diversi. Questa non si
improvvisa. Come ogni accoglienza richiede lo sforzo e l’impegno di attrezzarsi per conoscere
l’altro, affinare gli strumenti, scaldare il cuore, preparare uno spazio interiore. La comunione non
nasce spontaneamente, richiede la pazienza di formarsi, un allenamento tenace all’accoglienza,
la sincerità nel riconoscere e rigettare ciò che, dentro di noi, ci spinge ad allontanarci dagli altri.
Questa scelta ci aiuta a vivere il nostro tempo responsabilmente, da protagonisti. La vita ci
appartiene con tutte le possibilità che ci offre.
Non si può barare e trasformare la comunione in convivenza. Questo superficialismo a
lungo andare si rivela disgregante. La certezza che ogni persona è un dono deve trasformarsi in
comunione dove ogni persona diviene un dono accolto. Facile a dirsi, difficile a farsi. Vi è un
punto che spesso si sottovaluta: siamo tutti uguali ossia tutti capaci di esporci a rapporti di
reciproca comunione. La vita di comunione non è scontata, nasce da un accordo interiore.
Ciascuno è chiamato ad accordare il proprio essere alla realtà ed ai fratelli che lo circondano. Il
risultato è una nuova ed una stupenda realtà poiché chi è accolto e chi accoglie non rimane come
prima ma resta coinvolto ed arricchito dall’armonia d’insieme di cui fa parte.
Questa armonia porta all’amore ed alla nascita
di un valore ancora più raro: la stima reciproca. Più si
ama veramente più cresce la stima reciproca. Ecco
perché non si può assolutizzare una cultura ma
occorre radicarla, filtrarla nell’esperienza relazionale
quotidiana, lì dove i grandi orientamenti all’apertura
diventano operativi per “grazia”, portandoci ad un
modo di fare reciproco rispettoso e pensoso.
“Una terra colorata – ha ricordato M.M.
Rosangela Sala – ove i consacrati rappresentano
l’arcobaleno di Dio. Dio ha creato tanti colori e li ha
sparsi sulla terra. Chiamandoci alla vita consacrata ha
voluto fare di noi un arco che collega la terra col
cielo. Un arco colorato, bellissimo, formato da tante goccioline, le nostre vite tese fra la terra ed
il cielo. L’arcobaleno stupisce sempre. Lo si addita gli uni agli altri. Appare come un miracolo
gratuito, inatteso, che non ci appartiene. Segno di gratuità, ognuna di noi offre agli altri ed a Dio
quello che ha di più prezioso: la sua vita, dono unico e totale. Dio stesso incastona – mette la
vita di ciascuna di noi nel Suo arcobaleno perché sia segno di unione, di pace e di speranza per
tutti. Il nostro posto nell’arcobaleno di Dio è unico ma non solitario perché vissuto in mezzo a
sorelle e fratelli multicolori. La bellezza dell’arcobaleno è nei diversi colori, nell’unione dei diversi
colori, nella tenacia con cui i diversi colori, stando insieme, uniscono terra e cielo costringendoci
ad elevare lo sguardo a Dio”.
Aprendo la tavola rotonda Sr. Massima Mangattu indiana, appartenente alla
Congregazione delle Figlie di Nostra Signora del Monte Calvario – Brignoline – ha presentato il
desiderio di donare la sua vita al Signore lavorando tra i poveri dell’India e la sofferenza con cui
si è inserita in una realtà italiana tanto diversa. Il calore della vita comunitaria, la disponibilità ad
impegnarsi a favore degli altri, l’impegno a trovare in sé motivazioni forti hanno trasformato la
sofferenza nella conquista di un equilibrio nuovo, più maturo e solido, testimoniato
inequivocabilmente dal suo costante sorriso gioioso e dalle parole sagge: “Quando mi indicano
come straniera, adesso sono contenta perché penso: - E’ vero. Tutti siamo stranieri sulla Terra!”.
Sr. Eléna cilena, appartenente alla Congregazione delle Suore di S. Marta, vive in Italia da
ventisette anni. Dal bagaglio della sua esperienza, guarda al distacco dal proprio Paese come un
momento di passaggio ben vissuto e coscientemente integrato nella sua realtà di consacrata.
Testimonia l’importanza della decisione personale che fa prendere atto delle differenze, del
soffrire senza drammatizzare. Indica la necessità dell’impegno costante a considerare il positivo
ed il negativo dell’esperienza quali momenti di crescita in umanità e spiritualità. Il generoso,
quotidiano impegno a favore dei bambini ha forgiato in lei un cuore accogliente, degno di fiducia,
aperto agli altri. La serenità e la concretezza delle sue parole hanno impressionato l’uditorio.
Sr. Pascaline delle Suore Benedettine della Provvidenza, è originaria del Burundi e con
molta dignità ha offerto una toccante testimonianza del suo arrivo in Italia, dei momenti iniziali,
delle differenze culturali che più l’hanno toccata. Importantissima per lei è stata l’esperienza di
calorosa accoglienza della comunità in cui opera. Dopo questo sguardo retroattivo, capace ancora
di comunicare le emozioni vissute, ha voluto svelare i punti forza su cui fonda ora la sua vita: un
amore grande a Cristo ed il fare memoria delle fatiche e delle sofferenze che deve affrontare ogni
giorno la donna in Burundi.
Padre Sebastian Valancherry dei Chierici Regolari di Somasca ed attuale cappellano per
l’Ufficio della Pastorale Migrantes per la cura dei cristiani del Kerala sul territorio genovese ha
ricordato con umorismo l’incontro con la polenta ed il gorgonzola, la difficoltà di esprimersi in una
lingua differente, un mondo culturale diverso. Occorre operare, accogliendo chi viene da lontano,
con la logica del contadino, che volendo trapiantare una piantina, non taglia le radici né toglie
tutta la terra per non correre il rischio che muoia e le lascia il tempo perché, adattandosi al
nuovo ambiente, inizi a dare frutti. Pienamente cosciente dei valori che contengono in sé tutte le
culture, ha indicato nel Vangelo il termine di confronto e di armonizzazione di tutte le culture. “La
nostra cultura – ha detto – è quella del Vangelo. Su questa dobbiamo costruire i nostri rapporti
elevando e purificando i valori propri delle culture da cui proveniamo!” e ancora “L’accoglienza è
un cammino reciproco. Ciascuno è chiamato a fare scelte d’incontro. Questo è il vero antidoto
contro la sindrome del vittimismo”. La giovialità di questo Padre è testimonianza di come il
messaggio di Cristo sia capace di illuminare dal di dentro e di far cadere ogni ostacolo alla
comunione.
L’intervento di Madre Daniela Burol, Superiora Generale delle Brignoline, ha illustrato
come, guardando alle Religiose che compongono la sua multietnica Congregazione, veda
innanzitutto delle figlie e questa realtà fa scolorire le citate differenze e chiede a tutte un unico
impegno quello della generosità verso Dio, le sorelle ed il servizio al prossimo non importa dove.
Padre Marco Prada, italiano e membro della SMA, Società delle Missioni Africane,
redattore principale della rivista”Afriche”, una vita dedicata a testimoniare il Vangelo soprattutto
in Africa, ha illustrato come sia cambiata oggi, nella sua Società, la comunità dei consacrati che
opera in missione. L’esperienza è decisamente multietnica e costringe ad operare una
conversione ancora più profonda dell’essere missionario. Una sfida quotidiana audace, purificata
dalla schizofrenia tra cultura di origine e consacrazione, ove la promozione umana va di pari
passo con l’impegno a vivere il Vangelo e a testimoniare, insieme, Cristo perché la Chiesa sia
casa di Dio e non Babele in rovina.
Suor Agnese, polacca dell’Istituto delle Figlie
di San Giuseppe, Madre maestra, cuoca e
segretaria, ha espresso come la sua decisione di
essere tutta per Cristo l’abbia condotta verso
l’Italia, incontrando qui la possibilità di realizzare la
vocazione che le muoveva il cuore. E’convinta che
sia più semplice armonizzare una cultura europea
con un’altra europea piuttosto che quest’ultima con
culture di altri continenti comunque - continua - è
la disponibilità interiore a sentirsi e a voler crescere
come
famiglia
che
porta
a
riappropriarsi
dell’identità del carisma, a farlo proprio ed a
maturare un decisione di appartenenza alla
Congregazione in cui si vive. La serenità dolce e
ferma di Sr. Agnese trasmette un’idea di vita realizzata ed equilibrata, riorganizzata intorno al
dono della propria esistenza, cui poco importa il dove ed il come.
Don Franco Pedemonte, parroco di Ns Signora Assunta e S. Zita, ospitale verso i vicini ed i
lontani, ha rilevato come la gente accoglie con attenzione tutti i Consacrati/e, non guardando
tanto alla provenienza quanto alla testimonianza che offrono. Ai Consacrati, don Franco ha
chiesto di farsi carico spiritualmente dei connazionale che giungono in Liguria. Occorre offrire loro
catechesi, celebrazioni, aiutarli a mantenere vive le devozioni così care e sentite nel proprio
Paese. Urgono luoghi di culto e spazi di accoglienza per permettere di ritrovarsi, di pregare
insieme di dare un seguito alla vita di fede spesso interrotta dalla migrazione. Vi sono presenze
grandi di comunità che superano le ventimila unità ed altre più piccole che attendono chi si
interessi di loro. Ha invitato inoltre a valorizzare la Giornata dei Popoli, il 6 gennaio, con la
propria presenza per renderla un atteso momento di festa e di incontro. Ha ricordato che lo
sforzo della Chiesa per esprimere la vicinanza a tutti passa attraverso l’impegno di ciascuno.
In quest’ottica l’intervento di Madre Maria Grazia, Superiora Generale delle Figlie di San
Giuseppe, ha ricalcato la bellezza di una Chiesa universale, cattolica quindi multietnica ed aperta
alla condivisione ed al movimento, per cui, è naturale che le vocazioni sorgano da diversi
continenti e si uniscano in un’unica famiglia, compresa quella dei consacrati. Questa multietnicità
è vissuta in maniera diversa ha continuato Sr. Maria, salesiana, in quanto l’Istituto di Maria SS.
Ausiliatrice ha adottato il criterio di lasciare che ogni Salesiana lavori nel proprio paese ad
eccezione di coloro che per motivi apostolici o di insegnamento sono richieste per svolgere
altrove un apostolato specifico.
Due strade a confronto nelle quali si è inserito l’intervento di Sr. Etra Modica. Una
congregazione, la sua, dedita completamente ai Migrantes. Ricordando simpaticamente le sue
origini siciliane, ha sottolineato che per noi la sfida prioritaria è accettare che ogni cultura non è
un valore assoluto. Ogni cultura può ricevere ed arricchirsi nell’incontro col Vangelo ed il Vangelo
stesso viene ad essere approfondito e sviscerato meglio a contatto con culture diverse. La cultura
dell’altro non è solo un abbigliamento contingente, ma è l’umanità che sta dietro ad ogni uomo o
donna che appartiene a quella cultura e, quindi, alla congregazione. Nella nostra società e
comunità siamo sempre più dai quattro venti. Le religiose venute da lontano possono, come
bussole, orientare il cammino verso processi di adattamento e di integrazione del migrante della
loro stessa lingua e cultura, possono aiutare a comprendere i modi di salutare, le regole della
conversazione, il concetto di privacy, il clima emotivo dell’altro, il modo di vivere e di celebrare la
fede. Come Abramo a Mamre, dobbiamo essere cristiani della tenda dell’incontro. Come la stirpe
di Abramo dobbiamo crescere nel passaggio da “un insieme di clan” alla realtà di “popolo di Dio”.
Noi, suore, siamo chiamate a suscitare e promuovere la vita di fede, a partecipare in modo
speciale alla maternità della Chiesa. La presenza delle suore nella pastorale dei migranti, la
collaborazione femminile con la Migrantes, facilita la crescita spirituale per una vita più dignitosa.
Lasciamoci trascinare in questa responsabilità ecclesiale consci che la fede passa per il veicolo
della lingua e della cultura. Contribuiamo all’unità universale dei popoli, iniziando in casa nostra
dove l’internalizzazione della comunità è un dono che ci spinge a superare gli stretti confini di
chiesa locale per aprirci alla chiesa intera che è universale. In questo modo aiutiamo la Chiesa ad
essere se stessa cogliendo insieme l’occasione per vivere fino in fondo il battesimo e la
consacrazione.
Quali campi di azione ci impegnano come comunità consacrate? La catechesi, la tratta
delle straniere, i minori non accompagnati, la pastorale giovanile … si tratta di coinvolgerci in
percorsi pastorali che, superando il limite insito anche nella vicenda migratoria, la trasformano in
evento di salvezza. Siamo un esercito di forze pastorali da valorizzare in questa vigna del Signore
oggi più che mai segno dei tempi.
Dopo
la
celebrazione
eucaristica
nel
pomeriggio si è svolta la visita al settore “La Merica”
del Museo Galata che ha fatto rivivere, grazie anche
a mezzi multimediatici, le peripezie migratorie degli
italiani all’inizio del Novecento.
Come ogni migrante, ciascuna di noi è uscita
da questa giornata con un suo bagaglio di elementi
e di riflessioni, accarezzando un sogno per la sua
comunità, la sua Congregazione, per la Chiesa
tutta.
Possa
l’accoglienza
di
questo
dono
trasformarci in dono.
Suor
M.
Rosangela
Sala