Appunti sul processo di Piano - Città metropolitana di Bologna

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Appunti sul processo di Piano - Città metropolitana di Bologna
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Documenti di Piano
n.1/31 gennaio 2000
Appunti sul processo di Piano: obiettivi, contenuti, strumenti
A.
Gli obiettivi
Il dibattito disciplinare sulla pianificazione territoriale di area vasta si è a lungo
cimentato con il tema dell’efficacia delle determinazioni di piano per approdare
progressivamente alla convinzione che essa non possa risiedere esclusivamente (ma
neppure prevalentemente) nella “cogenza” della norma o in quella del disegno di assetto
territoriale, stabilita da un livello istituzionale “sovraordinato” nei confronti delle
previsioni urbanistiche dei Comuni “sottordinati”.
A questa convinzione hanno prevalentemente contribuito sia il riscontro della
progressiva globalizzazione delle relazioni che oggi regolano le trasformazioni
territoriali (ogni soggetto economico ed istituzionale è oggi in grado di tessere relazioni
in un raggio di azione incommensurabilmente più ampio che nel recente passato) sia
l’esigenza, proprio in ragione di questo repentino ampiamento di scala, del continuo
perfezionamento della razionalità globale del Piano attraverso il concorso “progettante”
di molte istituzioni e di molti soggetti: processo necessariamente complesso e
composito, che tende a rifiutare una formulazione soggettiva degli obiettivi strategici e
del conseguente quadro di opportunità e di limitazioni all’operare, soggettivamente
ritenuto “ottimo”.
Questa convinzione è solo apparentemente contraddittoria con l’altra progressiva
acquisizione dell’ultimo decennio, che impone al centro delle attenzioni
dell’amministratore del territorio i temi della sostenibilità, dei limiti e della fragilità
delle risorse ambientali. Il parallelo ed altrettanto repentino sviluppo delle conoscenze e
delle tecnologie di calcolo e di informazione offre infatti adeguati strumenti di
valutazione degli effetti cumulativi delle decisioni, nonostante la pluralità dei decisori, e
può quindi indicare, con piena evidenza, limiti oggettivi all’azione e responsabilità di
ciascuno.
Concertazione e sostenibilità sono dunque le parole chiave che aprono, nei primi anni
Duemila, la prospettiva di un deciso processo innovativo della pianificazione
territoriale.
Un piano per gli anni Duemila
La generazione di piani territoriali che abbiamo alle spalle, compresi quelli di più alta
qualità e capacità intuitiva, come il Piano Infraregionale bolognese, riletta alla luce delle
considerazioni premesse, richiede una nuova stagione di impegno e di energia
innovativa.
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Va in fatti preso atto:
1. che il Piano interviene su di un sistema di pianificazione territoriale già operante,
quello posto in essere dai Comuni e dagli altri Enti competenti, del quale è sempre
più difficile e controproducente pensare di correggere le inadeguatezze e i difetti e,
insieme, valorizzare le potenzialità senza un comune convincimento rispetto alle
concrete condizioni dell’operare, alla cui individuazione ed interpretazione
nell’ambito del processo di Piano essi devono dunque tutti concretamente concorrere.
Conseguentemente, la cooperazione tra le istituzioni è la principale risorsa oggi
disponibile nel quadro di oggettiva frammentazione delle competenze e dei poteri per
portare a realizzazione i processi di riorganizzazione complessi e di vasta portata
oggi necessari
2. che detta riorganizzazione impone una più stretta relazione tra decisioni di
pianificazione territoriale e decisioni di investimento, come condizione necessaria
per attribuire realismo alle politiche territoriali ed efficacia alla progettualità,
evitando che i progetti di governo del territorio e dell’ambiente si perdano nelle
secche delle disposizioni normative contrastanti
3. che il Piano occupandosi delle principali scelte di lungo termine e di area vasta
relativamente all'uso del territorio, all'ambiente, alle risorse naturali, alle
infrastrutture, ai servizi, ai poli di sviluppo e alla tutela del patrimonio culturale
- in definitiva alle tematiche di area vasta in campo economico, sociale e
ambientale - è uno strumento che va condizionato profondamente dall'Agenda
21 Locale, non dimenticando però che i metodi di costruzione dell'Agenda 21
Locale sono più generali e interconnessi con vari aspetti oltre che più incisivi di
quelli che il classico strumento di programmazione propone.
3. che infine, a fondamento delle precedenti constatazioni sta l’esigenza di
affermazione non solo di una rinnovata disciplina tecnica e normativa ma quella più
generale di una nuova cultura del comprendere ed amministrare il territorio, a cui il
processo di piano deve conferire un preciso e visibile contrbuto.
A ciascuna di queste considerazioni, che in qualche modo costituiscono anche il
compendio critico del Piano vigente, è possibile far corrispondere un obiettivo di
innovazione, che a sua volta può rappresentare il canovaccio del futuro processo di
piano, fondato su quattro principali temi: il tema della cooperazione istituzionale e
della partecipazione, quello della sostenibilità ambientale e dello sviluppo
sostenibile, quello della capacità attuativa, e infine quello della promozione di una
nuova cultura tecnica e di governo. Già su questi temi si è mossa l’esperienza dello
Schema Direttore Metropolitano, esperienza che è necessario riprendere e portare a
maturazione con il Piano; dagli stessi temi muove la riforma regionale urbanistica, che
da questa esperienza sembra aver assunto la sostanza dei principi informatori,
traducendoli in nuovi indirizzi disciplinari e nuove procedure amministrative.
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1. Sul tema della cooperazione istituzionale e della partecipazione: per una carta unica
del territorio
Il Piano deve produrre un sensibile miglioramento nelle condizioni di (in)coerenza delle attività di
pianficazione dei Comuni e degli Enti a vario titolo competenti sul territorio. Il processo di Piano deve
dunque attivare collaborazioni ordinarie e durature con:
-
gli organi decentrati dello Stato (in primo luogo Sovrintendenze) e le grandi
aziende di servizio (Fs, Anas, Enel, Telecom, ecc.)
- le Province confinanti, con le quali definire i principali temi di interesse comune
- la Regione, di cui coinvolgere almeno quattro settori di attività (Territorio,
Programmazione, Edilizia, Ambiente), e le sue principali “emanazioni
strumentali” (Istituto Beni Culturali, ARPA, Autorità di Bacino)
- i Comuni, organizzati nelle aree di concertazione sperimentate nello Schema
Direttore Metropolitano.
L’obiettivo è la messa a punto di una diagnosi condivisa (così la chiama lo stesso
progetto di riforma regionale) ma anche l’individuazione delle principali procedure
per il suo ordinario aggiornamento, in relazione ad un programma (realistico ma
irrinunciabile) di definizione di un primo elementare patrimonio comune di dati
nonchè di parametri di valutazione. Strumenti fondamentali di analisi, di cui
promuovere l’utilizzo (non solo presso le aree di concertazione comunale, ma anche
presso gli altri Enti coinvolti nella diagnosi), sono il Mosaico dei Piani e i Modelli di
previsione e simulazione (principalmente mobilità e deflusso delle acque). Il
processo di diagnosi e valutazione rappresenterà dunque il momento più alto di
diffusione e di utilizzo dell’ingente patrimonio di informazioni e di metodiche
valutative costituito dalla Provincia in questi anni e, insieme, occasione per un suo
arricchimento.
Questa rinnovata stagione di accordi dovrà rinvigorire e dar seguito a quanto già
pattuito con quasi tutte le aree di concertazione delle politiche comunali, in alcune
delle quali (scelte per ruolo strategico rispetto al disegno di Piano) dovranno
finalmente prendere corpo prime embrionali strutture decentrate di elaborazione
tecnica e di servizio ai Comuni (Uffici di Piano intercomunali)
Sulla scorta di questi accordi e di questi strumenti, la redazione di un nuovo corpo di
obiettivi strategici avverrà con concrete garanzie di una misurabile ed efficace
partecipazione istituzionale.
Sulla definizione degli obiettivi strategici, tuttavia, il processo di Piano deve
introdurre elementi innovativi non solo in riferimento alla filiera istituzionale
(attraverso la copianificazione, come la chiama il progetto di riforma urbanistica
nazionale proposta dall’INU), ma anche in riferimento alle forze economiche, sociali
e culturali interessate al processo di Piano. Assieme all’obiettivo della
copianificazione si impone, in altre parole, quello della partecipazione, ossia del
contributo alla formazione degli obiettivi di Piano da parte anche dei soggetti più
attivi del corpo sociale, sotto il profilo economico e culturale.
Ciò evidenzia la necessità che il processo di pianificazione ponga in essere anche la
sperimentazione di procedure che sappiano uscire dalle secche della tradizionale
“consultazione ex post” sulle scelte di Piano e che sappiano comporre concretamente
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gli elementi plurali e talvolta conflittuali che caratterizzano gli attuali fenomeni di
trasformazione territoriale e della società.
Di conseguenza, la pianificazione di area vasta, e in particolare il Piano
Metropolitano, si pone inevitabilmente “in parallelo” al processo di formazione di
“una nuova cittadinanza”, a cui esso deve fornire un preciso ed avvertibile
contributo.
A questo proposito, il processo di Piano, senza troppo indulgere rispetto alle teorie ed
alle pratiche (per lo più sperimentate in contesti lontani dal nostro) dello strategic
planning, dovrà comunque delineare nuove forme partecipative e di coinvolgimento
degli attori della trasformazione.
2. Sul tema della sostenibilità ambientale e dello sviluppo sostenibile
I principi fondamentali contenuti nella Carta di Aalborg approvata dalla
Giunta nella seduta del .... e dal Consiglio ne lla seduta del 29 febbraio c.a.,
attengono al ruolo degli enti locali ed alle strategie verso la sostenibilità come
processo locale ed equilibrante per risolvere i problemi dell'ambiente e del
territorio secondo le linee direttrici indicate dall'Unione Europea.
Il concetto dello sviluppo sostenibile fornisce una guida per commisurare il
livello di vita alla capacità di carico dell'ambiente e per fondare l’equità sociale
sulla sostenibilità ambientale e sull'equità economica.
Il concetto della sostenibilità, da semplice assunzione di un principio (finalmente
adottato anche negli atti fondativi europei, come il Trattato di Amsterdam del
1997, che ha visto tutti i governi dell'Unione Europea integrare i criteri di
Maastricht con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile) comincia a coniugarsi in
strategie, obiettivi, finanziamento, accordi internazionali.
L'Unione Europea ha accolto gli orientamenti del documento "Agenda 21"
sottoscritto a Rio de Janeiro a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite
per l'Ambiente e lo Sviluppo nel 1992, e sono stati assunti con la Decisione del
Parlamento Europeo e del Consiglio (N. 2179/98/CE del 24 settembre 1998)
relativa al riesame del "Programma comunitario di politica ed azione a favore
dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile" (definito anche "5° Programma
d'azione per uno sviluppo durevole e sostenibile") al fine di adeguarlo ai nuovi
sviluppi politici, agli impegni internazionali (Agenda 21 di Rio, protocollo di
Kyoto) e alle nuove Direttive in campo ambientale.
Le strategie europee per la sostenibilità vengono ulteriormente rafforzate dalla
recente Comunicazione della Commissione Europea dal titolo "Quadro d'azione
per uno sviluppo urbano sostenibile nell'Unione Europea" (28 ottobre 1998),
con la quale la Commissione si rivolge alle amministrazioni locali, spingendole
ad esercitare direttamente il proprio ruolo, mediante la definizione di Agende
21 Locali.
Attraverso il Quadro d'azione la Commissione intende compiere un passo
avanti verso una maggiore efficacia delle politiche comunitarie previste nel
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trattato, aumentandone la sensibilità verso le problematiche ambientali e
assicurando che risultino favorevoli allo sviluppo urbano integrato.
In esso si identificano quattro assi di politiche, tra loro interdipendenti:
- rafforzare la prosperità economica e l'occupazione nelle città
- promuovere l'equità, l'integrazione sociale e le riqualificazione delle aree
urbane
- tutelare e migliorare l'ambiente urbano, verso una sostenibilità locale e
globale
- contribuire al rafforzamento della capacità locale di governo e della capacità
di partecipazione degli attori sociali.
Relativamente in particolare ad uno dei quattro obiettivi generali - tutelare e
migliorare l'ambiente urbano allo scopo di garantire una migliore qualità della
vita, proteggere la salute umana e gli ecosistemi locali e mondiali - "la via da
seguire (che viene indicata nel documento) consiste nel ridurre l'impatto
ambientale totale (o "impronta ecologica” delle attività urbane, migliorando in tal
modo le zone urbane: verso la sostenibilità locale e globale".
L'Amministrazione Provinciale approvando la Carta di Aalborg e avviando il
proprio processo di Agenda 21 Locale intende assumere e adattare al proprio
contesto queste indicazioni europee.
La Provincia di Bologna intende assumere l'impegno della promozione di uno
sviluppo sostenibile e di una sua collocazione nel contesto europeo, enfatizzando
la necessità di integrare le tematiche ambientali in tutte le politiche di settore
nelle quali la Provincia stessa possa svolgere una propria iniziativa, e svolgendo
un ruolo di promozione, coinvolgimento, collaborazione e coordinamento nei
confronti dei Comuni.
La Provincia può altresì impegnarsi a garantire una efficace applicazione a
livello locale degli impegni internazionali nonché adottare le norme di
protezione ambientale elevata, di cui alla suddetta Decisione, nei propri
strumenti di programmazione e pianificazione (territoriale e di settore).
D'altra parte l'ambiente e uno sviluppo ambientalmente sostenibile sono temi
che non possono essere risolti né nell'ambito dei confini amministrativi
comunali né alla scala programmatoria della Regione dove manca una
conoscenza concreta del territorio. Si tratta di un ruolo che la Provincia può
facilmente fare proprio e che può essere senza difficoltà riconosciuto alla
Provincia dai Comuni, e l'occasione del Piano Territoriale di Coordinamento è
indubbiamente quello giusto in cui affrontare questi temi, avvenendo in
parallelo con l'avvio del processo di Agenda 21 Locale provinciale e con la
conseguente elaborazione del Piano/Programma d'azione ambientale.
L'ottica dell'Agenda 21 Locale (e del suo Piano/Programma d'azione
ambientale) è quella di un metapiano/programma che fornisce una lettura del
futuro del territorio e dell'ambiente basata sulla concertazione e soprattutto
sull'individuazione di strategie comuni che escono da logiche pianificatone di
tipo settoriale. L'obiettivo principale dell'Agenda 21 Locale è condizionare
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l'attività programmatoria e pianificatoria settore sulla base della "vision " (che
coinvolge gli aspetti ambientali, economici, sociali e culturali) e delle strategie in
essa contenute, ricordando che l'ente Provincia ha dei limiti conoscitivi e di
intervento sui Comuni e Comunità Montane. Emerge quindi da queste
considerazioni un primo aspetto del ruolo che la Provincia può esercitare
nell'elaborazione di una Agenda 21 Locale di area vasta: quello del mediatore,
del negoziatore “super partes”, che offre un tavolo di incontro e collaborazione
a Comuni che hanno gli stessi tipi di problema ma, a volte, interessi diversi.
3. Sul tema della capacità attuativa: per un programma concreto e misurabile di opere
Come si sa, la pianificazione territoriale ha fino ad ora evitato di confrontarsi con il tema del tempo e
delle risorse, e dunque con il peso della responsabilità. Per far fronte a questa carenza, gli obiettivi
strategici del Piano dovranno definire, oltre all’elenco delle politiche ottimali, per ciascuna di esse, le
azioni concrete necessarie, riferite ad un ragionevole arco di tempo e ad una credibile disponibilità di
risorse.
Da ciò la necessità che parte del Piano sia dedicata agli elementi ed alle indicazioni
fondamentali per individuare il processo di concertazione interistituzionale (e con le
forze economiche interessate agli obiettivi strategici individuati) che consentirà gli
approfondimenti progettuali necessari a sciogliere eventuali alternative di
configurazione, ad armonizzare gli interventi con la pianificazione urbanistica locale,
a precisare i contenuti tecnici ed economici dell’intervento, a valutarne in modo
puntuale gli effetti.
Piano e programma non sono cronologicamente nè logicamente distinguibili.
Distinguerli significa contrapporli: il “pubblico” diverrà sempre più geloso sacerdote
del Piano, il “privato” sempre più esclusivamente interessato al programma, che
chiederà libero da ogni vincolo di Piano.
In questa ottica assumono sempre maggiore rilievo i temi relativi alla fiscalità, ai
costi ambientali e sociali delle trasformazioni e a quelli relativi alla efficienza delle
reti e dei servizi. Nella formazione dello staff scientifico necessario per dotare il
processo di Piano dell’adeguata multidisciplinarietà, questi argomenti di innovazione
e di priorità dovranno pertanto essere tenuti nel debito conto.
Contabilità ambientale e compensazione fiscale costituiranno le parole chiave
dell’innovazione richiesta dalla nuova domanda di concretezza e responsabilità.
4. Sul tema della promozione di una nuova cultura tecnica e di governo: per una scuola
di Piano
L’elaborazione di un Piano, soprattutto se concepito come opera collettiva e partecipata, e se fondata
su prospettive concrete di trasformazione e miglioramento della qualità della vita della collettività a
cui si appartiene, è anche opera di straordinaria potenzialità di sviluppo e promozione culturale.
Bologna ha smesso di fare cultura quando ha smesso di pianificare, quando non ha più sentito la
necessità di un progetto per la città.
L’esperienza dello Schema Direttore, le decine di riunioni fatte con i Consigli
comunali, le centinaia di amministratori e di tecnici incontrati in questi ultimi due
anni di lavoro hanno dimostrato che il Piano non trasforma solo il territorio (quando
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contiene una qualche realistica previsione), ma, assieme ad esso, le persone che lo
animano.
Bologna ha una tradizione da riconquistare, su questo terreno. C’è una generazione
di tecnici comunali da ricostruire. C’è la forte esigenza di una nuova didattica e di
una nuova professionalità. E, in una certa misura, il Piano può e deve contribuire a
produrre anche nuova passione politica, nuova capacità amministrativa.
Il Piano può dunque costituire una formidabile scuola di Piano, una scuola che
nessuna Università sarà mai capace di offrire La maturazione, così rapida e
qualitativamente significativa, di un consistente gruppo di giovani tecnici, avvenuta
in questi due anni attorno all’esperienza dello Schema Direttore ed alle motivazioni
disciplinari che l’hanno animata, testimonia delle potenzialità ancora inespresse del
ruolo della pianificazione rispetto al grande tema della formazione e, più in generale,
della riforma della pubblica amministrazione.
In questa ottica il Piano dovrà essere anche occasione per soluzioni innovative
rispetto al tradizionale rapporto dell’Ente con il mondo accademico locale e
nazionale, che ha sempre osservato le esperienze della Provincia, in questo campo,
con vivo interesse. E soluzioni innovative andranno ricercate anche nel campo della
formazione in generale, campo in cui la Provincia detiene un apprezzabile ruolo di
competenza.
Centrale appare, in riferimento a questi obiettivi, il tema della comunicazione del
Piano, della sua capacità di divulgazione e di convincimento. Le straordinarie
potenzialità degli strumenti oggi a disposizione ed anche, in una certa misura, il mito
e l’attenzione che le circondano, non vanno trascurate e costituiscono un ulteriore
punto di riferimento per la individuazione delle professionalità necessarie al processo
di Piano.
B.
I contenuti
Per i contenuti tecnici del Piano, il riferimento d’obbligo è alla nuova legge regionale, di
prossima approvazione.
L’art.26 costituisce un sostanziale passo in avanti rispetto all’art.15 della L.142/90.
Innanzitutto il compito di “definizione dell’assetto territoriale” non sembra riferito ad
“interessi sovracomunali” genericamente intesi, ma risulta puntualmente connesso alla
definizione delle “condizioni e dei limiti di sostenibilità territoriale ed ambientale delle
previsioni urbanistiche comunali che comportano rilevanti effetti che esulano dai
confini amministrativi di ciascun ente”. Si tratta, di fatto, del riconoscimento
dell’esperienza compiuta dallo Schema Direttore e delle tecniche messe a punto ai fini
dell’individuazione delle “esternalità”, rispetto alle quali la Legge sembra sottolineare la
necessità che la definizione di dette “condizioni e limiti” scaturisca da adeguati “bilanci
delle risorse territoriali ed ambientali”.
In secondo luogo, innovativa appare anche l’enfasi attribuita al compito affidato al
Piano di rappresentare “sede di raccordo e verifica delle politiche settoriali della
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Provincia”, con ciò restituendo con chiarezza allo strumento generale di pianificazione
la facoltà di definire il quadro degli obiettivi e la relazione implicita con le diverse voci
di spesa.
Significativo, inoltre, il richiamo alla facoltà di definizione dei “diversi ruoli dei centri
abitati nel sistema insediativo”, che conferma la necessità che, attraverso il Piano, si
esaltino le differenze e le “specialità” dei contesti, ai fini delle diverse “ipotesi di
sviluppo, prospettando le conseguenti linee di assetto e di utilizzazione del territorio”.
Di un certo interesse, infine, il compito affidato, del tutto innovativo, relativo al
“coordinamento dell’attuazione delle previsioni dei piani urbanistici alla realizzazione
di infrastrutture, opere e servizi di rilievo sovracomunale”. Anche in questo caso,
dunque, la legge conferma l’esperienza compiuta con gli Accordi attuativi dello
Schema, attribuendo esplicitamente alla Provincia e al suo Piano il compito della
armonizzazione e dell’indirizzo sulla congruità temporale dell’attuazione dei piani
comunali.
Ma l’innovazione più significativa, che di nuovo sottolinea la centralità dell’esperienza
dello Schema Direttore anche per il legislatore regionale, è rappresentata dall’intero
Capo III della proposta di legge, che disciplina le “Forme di cooperazione e
concertazione nella pianificazione”. In relazione agli obiettivi di Piano esposti in
premessa, è del tutto comprensibile che queste disposizioni, apparentemente solo
procedurali, riverberino i loro effetti anche sui contenuti tecnici del processo di Piano.
Decisiva, per esempio, la disposizione che affida al PTCP la facoltà “di prevedere
particolari forme di cooperazione tra i Comuni” (art.13). Analogamente importante il
ruolo del “quadro conoscitivo condiviso” (art.14), disciplinato da apposite regole di
“Coordinamento ed integrazioni delle informazioni” (art.17). Un quadro inteso come
“timone” della navigazione delle previste “Conferenze di pianificazione” e degli
“Accordi di pianificazione” con cui esse possono concludersi.
La più innovativa delle disposizioni di copianificazione, tuttavia, è contenuta dall’art.15,
che prevede che “I Comuni e la Provincia possono promuovere accordi territoriali per
concordare obiettivi e scelte strategiche comuni ovvero per coordinare l’attuazione
delle previsioni dei piani urbanistici”. Per quanto non direttamente rivolta ai contenuti
di Piano, questa disposizione lascia intendere che gli accordi costituiscono la materia
fondamentale delle disposizioni relative alla pianificazione provinciale (in quanto
dispositivo attuativo della prescrizione che fa del Piano “strumento di indirizzo e
coordinamento per la pianificazione urbanistica comunale” di cui all’art.26).
Tutte queste disposizioni innovative, tuttavia, non coprono l’intero arco degli obiettivi
di riforma del processo di Piano esposti in premessa.
In particolare pare dover rilevare aspetti di persistente timidezza rispetto alle questioni
ormai all’ordine del giorno in campo nazionale ed europeo relative ai grandi temi delle
politiche ambientali ed alla necessità di “contaminare” in misura più accentuata la
strumentazione territoriale su terreni ancora poco frequentati (politica dell’energia,
finalizzazione di ogni attività di governo del territorio ad obiettivi di ecocompatibilità,
ecc.).
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Così come appare non ancora ben delineato il cammino di concreta integrazione delle
crescenti competenze provinciali in materia ambientale con quelle già trasferite in
materia territoriale (il richiamo all’unitarietà della sede di decisione ed alla facoltà di
“conferire al piano generale anche il valore e gli effetti di uno o più piani settoriali”,
art.20, se non adeguatamente strumentato, pare assumere il valore di pura dichiarazione
di principio).
Su questo terreno sembra dunque configurarsi il campo di più impegnativa
sperimentazione, dovendosi conferire al processo che viene avviandosi l’obiettivo di
definire contenuti di Piano che, pur rispettosi delle disposizioni della nuova legge,
configurino con determinazione, ma con altrettanto realismo, risultati concreti
nell’integrazione delle attività di governo della Provincia nel campo del territorio e
dell’ambiente.
Sicuramente una cosa che manca nella nuova legge ma che si rende indispensabile
per una corretta valutazione delle scelte del Piano in funzione degli obiettivi di
sostenibilità fissati nell’Agenda 21 Locale e nel relativo Piano/Programma
d’Azione Ambientale, è un adeguato strumento di valutazione. E' necessario
quindi prevedere una specifica attività di valutazione di tipo strategico avente
come scopo sia di definire le condizioni per la trasformabilità delle risorse
territoriali sia verificare la sostenibilità ambientale del Piano stesso.
La valutazione ambientale strategica (VAS ovvero la VIA dei piani e dei
programmi) si configura come strumento per l'affermazione dei principi della
sostenibilità e risulta determinante per invertire eventuali (le attuali) tendenze
dissipatorie dei modelli di sviluppo, uso e pianificazione delle risorse, costituendo
la premessa operativa per l'affermarsi di una nuova cultura (sostenibile) del piano
e della programmazione.
La valutazione ambientale strategica è diventata in questi anni (nei Paesi ove è
stata formalizzata e normata) strumento per attuare e monitorare gli obiettivi
dello sviluppo sostenibile (una proposta di Direttiva è all'esame presso le
commissioni europee).
Nell'ambito della nuova regolamentazione dei fondi strutturali è attribuita
particolare rilevanza alla valutazione ambientale strategica dei piani e dei
programmi da presentare a finanziamento europeo. Al proposito le Direzioni
generali XVI (Politica regionale e Coesione) e VI (Agricoltura) hanno pubblicato
un manuale per la valutazione ambientale strategica dei Programmi dei Fondi
strutturali dell'Unione.
C.
Gli strumenti
Come è stato più volte osservato, e come ormai l’esperienza ci insegna, per un buon avvio del processo di
Piano e per una “marcia senza ritirate” (si intende: un cammino sicuro per un processo di coordinato
consolidamento organizzativo), gli strumenti fondamentali (tutti ugualmente necessari) sono tre (vedi gli
innumerevoli Convegni nazionali sull’argomento e la copiosa letteratura; una citazione per tutte:
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l’articolo “La struttura tecnica per la redazione del piano provinciale: una proposta”, su Urbanistica
n.107”):
1. una struttura operativa, in organico all’Amministrazione, dedicata esclusiva-mente all’attività di
pianificazione territoriale (non solo alla elaborazione del Piano, ma alla sua futura gestione), dotata di
una direzione autorevole e riconosciuta e di disponibilità finanziaria (spesa corrente e di investimento)
costante ed incrementale
2. un organismo di consulenza e certificazione scientifica, composto da esperti di chiara fama, “esterno”
all’Amministrazione, costituente il referente scientifico costante del processo di elaborazione del
Piano
3. un organismo di coordinamento delle direzioni tecniche settoriali operanti nell’Ente, dedicato alla
necessaria coerenza delle idee e delle azioni di pianificazione
Le tre istanze organizzative hanno finalità specifiche.
La prima garantisce continuità d’azione all’attività di pianificazione, svolge opera di progressivo
accumulo del patrimonio documentativo e di scelta progettuale (anche se non è essa, in prima istanza, a
produrlo), costituisce, a fianco degli amministratori, l’interfaccia tecnica del rapporto con l’esterno (i
Comuni, le forze economico/sociali, ecc.) e garantisce la soluzione organizzativa, amministrativa e
finanziaria ad ogni problema che si manifesti sia nella fase di costruzione del Piano che in quella della sua
gestione e continua rielaborazione.
La seconda garantis ce, soprattutto verso l’esterno e verso il mondo della disciplina, dell’Università e della
professione, il “gradiente scientifico” del Piano, insomma, il “nome” e l’autorevolezza (anche se non
solo: infatti garantisce anche la crescita disciplinare sia della struttura operativa interna, di cui al punto 1,
che della struttura di coordinamento, di cui al punto 3). Come già detto, costituisce l’organo di alta
consulenza tecnica per la decisione politica ed il punto di riferimento per le principali scelte nel caso di
alternative di indirizzo.
La terza infine garantisce la coerenza ad un disegno generale di tutte le ricadute amministrative settoriali
dell’Ente; in pratica fa sì che venga combattuto il settorialismo e l’isolamento del processo di formazione
e di gestione del Piano.
Per quanto riguarda la struttura dedicata, l’esperienza condotta con lo Schema Direttore
fornisce elementi di giudizio sufficienti ad orientarsi a ripetere e migliorare le
metodiche organizzative utilizzate, partendo dai seguenti principi di fondo:
- l’elaborazione del materiale di documentazione e di analisi, nonché delle
metodiche di interpretazione e di valutazione deve essere ispirata ai principi di
continuità e di unitarietà. Ciò comporta la necessità che a queste attività sia
dedicata una sede fisica di lavoro unica, continuamente presidiata da responsabili
individuati nell’organigramma della struttura, responsabili in termini di risultato,
in funzione di programmi predefiniti con puntualità
- la responsabilità generale della struttura operativa dedicata deve essere
incardinata nel Settore responsabile del prodotto finale, responsabile
dell’efficacia dell’impego delle risorse finanziarie occorrenti all’impresa
- il contributo operativo e di direzione da parte dei Settori, per rispondere al
principio di continuità, deve perciò svolgersi attraverso la presenza di personale
dei Settori dedicato all’impresa, da integrare con i gruppi di lavoro da costituire
allo scopo. La verifica periodica dell’andamento dei lavori, insieme al contributo
dei Dirigenti al loro progressivo avanzamento, è demandato alla struttura di
coordinamento, che assumerà adeguati provvedimenti nel caso di evidenti
disfunzionalità o ritardi
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-
i metodi di scelta del personale operativo a contratto, che verrà ad integrare il
personale in organico, scelta da fondare sulla segnalazione dei Dipartimenti
universitari con i quali la Provincia mantiene rapporti di collaborazione e di patto
convenzionale, verranno definiti, sulla base del programma operativo da
formulare, da parte della struttura di coordinamento, su proposta del responsabile
della struttura operativa dedicata
Per quanto riguarda la struttura di consulenza, va prioritariamente affermato che essa
assume prevalentemente carattere di “guida scientifica” all’operatività, escludendo in
modo inequivoco la possibilità di incarico di elaborazione, salvo motivate esigenze di
approfondimento o di interpretazione e sintesi del materiale prodotto.
Così inteso, il Comitato Scientifico assume valenza di “alta consulenza di controllo del
processo di piano”, che si esercita con cadenze ispirate al programma di lavoro e
presuppone adeguate istruttorie sui lavori in corso, da sottoporre a giudizio
periodicamente. Ciò comporta dunque la previsione di una precisa istanza di raccordo
tra le strutture organizzative configurate, che svolga funzioni di segreteria organizzativa
e di monitoraggio delle esigenze di parere da parte del Comitato.
La scelta delle personalità da coinvolgere, a cui particolare contributo può fornire la
struttura di coordinamento, sarà compiuta naturalmente dalla Giunta, anche in relazione
al programma dei lavori e agli obiettivi esposti in premessa.
Per quanto riguarda la struttura di coordinamento, è utile metterne in evidenza le finalità. Si tratta
evidentemente di finalità che, pur fortemente integrate tra loro, esprimono due distinte esigenze,
altrettanto fondamentali a far sì che l’occasione della elaborazione del Piano Territoriale coincida con un
significativo processo innovativo dell’attività di governo dell’Ente:
• da un lato stabilire un efficiente e virtuoso rapporto tra l’apparato in organico e la struttura tecnica
costituita dai consulenti, ai fini dell’elaborazione del Piano: vanno accuratamente evitati i pericoli, che
l’esperienza insegna essere sempre in agguato, costituiti dal possibile insorgere di tentazioni di
eccessiva autonomia che, nel caso peggiore, provoca conflittualità
• dall’altro garantire che il grande arricchimento che, sul terreno delle conoscenze, della capacità
interpretativa e di programmazione, produrrà l’elaborazione del PTC, si connetta a sostanziali
elementi di sviluppo dell’organizzazione dell’Ente, che deve essere messa in grado di gestire
coerentemente i contenuti progettuali del Piano e di monitorarne costantemente e in via ordinaria gli
effetti: il pericolo, in questo caso, consiste nell’eventualità che il Piano, qualora non sia vissuto come
“proprio” da tutte le componenti tecniche settoriali della Amministrazione, non produca alcun effetto
duraturo nelle ordinarie attività amministrative dell’Ente, e per ciò stesso si trasformi rapidamente in
un “buon libro”, utile esclusivamente all’immagine ma non al concreto operare dell’Amministrazione.
Solo il Comitato di Direzione può perseguire queste finalità, preoccupandosi di:
mantenere costantemente aggiornato il corpo dirigente dell’Ente sui progressi compiuti dallo staff di
elaborazione del Piano nella definizione degli obiettivi strategici e delle principali scelte del PTC
2. fornire costantemente al Comitato Scientifico ed alla struttura dedicata tutte le informazioni
necessarie, prodotte dall’esperienza di direzione dei Settori dell’Amministrazione
3. produrre utili sinergie nelle attività amministrative di valenza territoriale nonché perseguire una
progressiva integrazione tra queste ultime e il processo di elaborazione del Piano
4. fornire elementi utili al progressivo consolidamento del Sistema Informativo Territoriale, necessario
non solo al processo di elaborazione del Piano, ma anche, in prospettiva, a tutte le attività
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amministrative e di governo che necessitano di un supporto descrittivo e di gestione dotato di
caratteristiche di territorialità.
Ciascuno di questi quattro punti determina un obiettivo a breve, che costituisce la base del programma di
questa struttura di coordinamento:
a) affidare una responsabilità specifica intesa a relazionare sull’andamento dei lavori di elaborazione del
Piano, con scadenza almeno bimestrale. Questo compito potrebbe essere svolto dal responsabile del
Settore Pianificazione Territoriale, responsabile anche della struttura dedicata
b) incaricare ciascun membro della struttura del compito di contribuire a formulare e a tenere aggiornato
un vero e proprio diario delle attività settoriali in corso (naturalmente quelle che hanno una evidente
connessione con l’attività di pianificazione territoriale). Per portare a regime questo obiettivo è
ragionevolmente necessario mantenere aggiornato il quadro delle competenze settoriali, già costituito
per l’applicazione della 59/97.
c) elaborare un programma di possibili sinergie tra le attività settoriali in corso. La responsabilità di
questo programma dovrebbe essere affidata al coordinatore della struttura
d) formulare un quadro completo del patrimonio dei dati territoriali attualmente
disponibile presso il SIT, assieme ad un programma di istruttoria delle diverse
richieste della documentazione necessaria sia alla della struttura dedicata alla
elaborazione del Piano, sia alla struttura di consulenza, sia infine all’attività
ordinaria dei Settori, assieme ad un regolamento delle condizioni di offerta con cui
questa domanda può essere ragionevolmente soddisfatta.
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