Tipologia B - Svolgimento Prova 2 - Campus

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Tipologia B - Svolgimento Prova 2 - Campus
TIPOLOGIA B
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SIMULAZIONE DI SECONDA PROVA
Tempo a disposizione: 6 ore
La penisola italiana, prima dell’unificazione in un solo Stato, ha conosciuto una fase di crescita
economica nel periodo medievale che l’ha portata a essere una delle economie più ricche
d’Europa. La sua posizione nella graduatoria economica europea è però peggiorata a partire dal
Seicento e per secoli il tenore medio di vita è stato molto basso. Nel corso del Novecento si sono
verificate due forti accelerazioni della crescita economica, una all’inizio del secolo e un’altra negli
anni Cinquanta e Sessanta.
Il seguente brano, scritto da uno storico economico molto attento alla dimensione quantitativa
dei fenomeni analizzati, prende in esame non solo la dimensione economica dello sviluppo
economico italiano ma anche le dimensioni sociali e culturali che hanno accompagnato tale
processo.
MILLE ANNI DI STORIA ECONOMICA ITALIANA
Giovanni Federico
quello dell’Inghilterra e Galles (dal 1870 Gran
Bretagna).
Il grafico mette in risalto tre fatti
1) Il PIL per capita italiano è cresciuto
moltissimo nel lungo periodo. Al suo massimo
pre-industriale (verso la metà del 15° secolo
dopo la peste nera) era di circa 1700-1800
dollari, corrispondente ai livelli più alti
dell’Africa Sub-Sahariana attuale (Sud Africa
escluso). Da allora ad oggi è aumentato di oltre
Figura 1
Pil pro-capite Italia e Gran
Bretagna
50.000
35.000
25.000
15.000
10.000
5.000
3.500
2.500
1.500
Italia
1.000
500
1270
Gran Bretagna
1370
1470
1570
1670
1770
1
1870
1970
Prof. Giuseppe Bacceli
© Mondadori Education
L’Italia fu (relativamente) molto ricca, divenne
(relativamente) povera, si sviluppò e divenne
ricca, anche in termini assoluti. Se continua
così ritornerà povera, se non in termini assoluti,
almeno in rapporto ai paesi più avanzati.
Iniziamo dalla performance di lungo
periodo, misurata, secondo la consuetudine
internazionale, dal PIL pro-capite a dollari
costanti del 1990 in parità di potere d’acquisto.
La Figura 1 confronta il PIL dell’Italia del Centro
Nord (dell’intera penisola dopo il 1861) con
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dieci volte.
2) Anche se il livello assoluto era basso, l’Italia
del Centro-Nord nel Medioevo era il paese
più ricco d’Europa (e quindi forse del mondo).
Solo Belgio e Olanda (la provincia più ricca
degli attuali Paesi Bassi) avevano un PIL procapite comparabile ed infatti l’Olanda superò
l’Italia dopo il 1550. L’Inghilterra, come si vede
dal grafico, rimase molto indietro fino alla
seconda metà del XVII secolo, per poi divenire
il paese leader dell’economia mondiale con la
Rivoluzione industriale.
3) Per cinquecento anni il reddito italiano, pur
variando molto da un anno all’altro, è rimasto
sostanzialmente stabile, ed è addirittura
diminuito. Tutta la crescita si è concentrata negli
ultimi 150 anni, e soprattutto nella seconda
metà del secolo scorso, come si vede dalla
Figura 2.
La vera differenza fra l’Italia del XV e quella
del XIX secolo era la situazione nel resto di
Europa (e del mondo). Nel XV secolo, l’Italia
era il paese più avanzato d’Europa ed era
circondata da aree più arretrate e stagnanti.
Nel XIX secolo, invece, la crescita economica
dei paesi dell’Europa Occidentale offriva grandi
opportunità di aumento delle esportazioni
20.000
Figura 2
Il PIL italiano 1861-2010,
dollari 1990 PPP (scala
logaritmica)
10.000
8.000
6.000
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5.000
4.000
3.000
2.000
1.000
1861
1886
1911
1936
1961
italiane. Dopo l’Unità le esportazioni italiane di
prodotti primari (in primo luogo seta, ma anche
agrumi, vino, olio, canapa etc.) sono aumentate
più del commercio mondiale. Pochi anni dopo
l’Unità, inoltre, l’Italia iniziò ad esportate braccia
e non più solo merci. In una trentina d’anni
sono emigrati circa 12 milioni di italiani, su una
popolazione di circa 35 nel 1913.L’emigrazione
di massa fu una tragedia umana, ma dal punto
di vista economico ha portato notevoli vantaggi
(Le rimesse degli emigranti hanno aumentato
il reddito di alcune delle zone più povere
della penisola, permettendo una modesta
accumulazione di capitali. Inoltre, la diminuzione
dell’offerta di lavoro ha fatto aumentare i salari,
1986
stimolando l’adozione di tecniche agricole più
moderne, p.es. l’uso dei fertilizzanti).
L’Italia, come molti paesi periferici, beneficiò
di consistenti flussi di capitale estero, sia per
investimenti di portafoglio (compreso l’acquisto
di titoli di stato) che per investimenti diretti.
Una misura parziale ma notevolmente indicativa
del livello di apertura di un paese all’economia
mondiale è il rapporto fra commercio estero
(importazioni più esportazioni) e reddito
nazionale (Figura 3).
È abbastanza evidente la coincidenza nel tempo
fra periodi di più rapida crescita economica
(p.es. il cosiddetto boom giolittiano o il
miracolo economico) e di apertura all’economia
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Figura 3
Il rapporto esportazioni/
PIL 1861-2011
5
4
3
2
1
0
1876
1891
1906
1921
1936
1951
1966
internazionale.
Gli effetti positivi dell’apertura sono anche
evidenti nelle fonti della crescita della
produzione per addetto, che in ultima analisi
determina anche la crescita del PIL pro-capite.
La produttività del lavoro può crescere grazie
all’aumento della quantità di capitale o grazie
all’uso più efficiente del capitale e del lavoro
(crescita della produttività aggregata dei fattori
o TFP). La figura 4 distingue queste due fonti di
crescita secondo una periodizzazione classica
della storia economica italiana dall’Unità in poi.
L’altezza delle barre indica il tasso di crescita
della produzione per addetto –in media il 2%
annuo nell’intero periodo, con un massimo
vicino al 5% nell’età dell’oro dell’economia
1981
1996
2011
europea. La crescita della produttività
aggregata (parte rossa della barra) spiega la
maggior parte dell’aumento della produzione
per addetto nel lungo periodo ed anche nel
1951-1993, mentre ha avuto un ruolo minore
nel 1881-1913. Spiega anche tutta la crescita
nel periodo 1911-1938, quando il capitale per
addetto è diminuito. Viceversa, prima del 1881
tutta la crescita è da attribuire all’incremento di
capitale mentre la produttività totale dei fattori
sarebbe addirittura diminuita. Il PIL è una
misura imperfetta del benessere. Infatti tiene conto solo dell’aumento delle
possibilità di consumo ma l’uomo non vive di
solo pane – contano anche altri fattori, come la
Figura 4
Contributo del TFP e del capitale alla produttività
del lavoro
5.00
4.00
3.00
2.00
Crescita della produttività aggregata (TFP)
1.00
Intensificazione del capitale
0.00
61
18
-2
0
01
0
01
-2
93
19
3
99
-1
73
19
3
97
-1
51
19
1
95
-1
38
19
8
93
-1
11
19
11
81
8
-1
9
-1
81
18
61
18
-1.00
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1861
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minimo), il tasso di mortalità infantile, e la
statura media, che dipende dal saldo calorico
fra nutrizione e perdite da lavoro e malattie.
Di nuovo, si pone la necessità di aggregare
questi indici. In teoria, l’aggregazione
dovrebbe rispecchiare il peso attribuito
a ciascuna componente dalle preferenze
collettive, che però non sono osservabili.
Gli otto indici rispecchiano tre dimensioni
diverse del benessere – il livello dei consumi
(PIL e calorie), l’equità (l’indice di Gini e
percentuale di poveri) e la salute ed istruzione
(speranza di vita, mortalità infantile, statura
e alfabetizzazione). Nella Figura 5, si calcola
la media geometrica degli indici appartenenti
a ciascuna componente, espressa come un
indice composto in base 1951=1.
Ciascuno di questi indici rispecchia uno
specifico insieme di preferenze sociali e implica
una diversa periodizzazione della crescita.
Figura 5
Indici compositi di
benessere (1951=1), scala
logaritmica
4.00
3.2
2.8
2.4
2.0
1.6
1.2
Consumi
Equità
0.8
0.4
1861
Salute e istruzione
1881
1901
1921
1941
1961
a) Per un ‘ameriKano’ (l’obiettivo principale
della vita è consumare di più), la performance
dell’economia italiana è stata quasi sempre
mediocre, con la luminosa eccezione degli anni
Cinquanta e Sessanta.
b) per un ‘indignado’ (la crescita è accettabile
solo se i suoi frutti sono equamente distribuiti)
il periodo d’oro sono gli anni Settanta, ma il
terreno guadagnato è stato perso nel decennio
successivo.
1981
2001
c) infine per un ‘gaudente’ (conta la qualità della
vita, non il benessere materiale), il progresso
è stato continuo ed abbastanza regolare – in
una prima fase soprattutto grazie alla diffusione
dell’alfabetizzazione e poi soprattutto grazie al
miglioramento della salute.
Questi sono esempi estremi: è probabile che le
preferenze collettive siano un misto delle tre,
ed è anche possibile che esse siano cambiate
nel tempo. Questo esercizio dimostra però che
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salute, l’istruzione etc. Le Nazioni Unite hanno
proposto di misurare il benessere complessivo
con l’HDI (Indice di sviluppo umano), una
media lievemente modificata fra benessere
materiale (il PIL per capite), condizioni sanitarie
(in genere l’aspettativa di vita alla nascita) e
livello di istruzione (misurato con il tasso di
alfabetizzazione o la percentuale di studenti di
vari livelli scolastici sul totale dei giovani della
rispettiva classe di età).
È possibile approfondire l’analisi con il bel
volume di Giovanni Vecchi (2010) che presenta
indici annuali per otto misure di benessere.
Al PIL pro-capite, alla speranza di vita alla
nascita ed al tasso di alfabetizzazione (già
presenti nell’HDI) si aggiungono il numero
di calorie disponibili pro-capite, l’indice Gini
della distribuzione del reddito, la percentuale
della popolazione al di sotto della soglia di
povertà assoluta (tale da garantire un consumo
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epocale della seconda globalizzazione (dopo
aver ben sfruttato la prima). Il problema è
comune a tutti i paesi europei, ma l’Italia
era sin dall’inizio il paese strutturalmente più
debole, per la combinazione di ‘mancanza
di fattori di crescita’ (il declino delle grandi
aziende, alto rapporto debito/PIL ed anche
sopravvalutazione del tasso di cambio) e
di ‘antiche debolezze’ (il divario Nord-Sud,
l’inefficienza del sistema finanziario, la limitata
dotazione di capitale umano). Inoltre l’Italia si è
rivelata il paese più renitente alle riforme, dopo
i primi successi degli anni Novanta. Già una volta, come detto all’inizio, l’Italia
si bloccò dopo un lungo periodo di crescita
economica. Allora la stagnazione durò
cinque secoli. Ovviamente ora la situazione
è completamente diversa, ma comunque
il precedente storico non è del tutto
rassicurante.
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qualsiasi esse siano o siano state, la situazione
italiani è migliorata moltissimo nel lungo periodo.
Purtroppo questa conclusione ottimistica
potrebbe non valere per il futuro. L’Italia è
ancora un paese relativamente ricco: il PIL
pro-capite nel 2013 è il doppio di quello del
Brasile e 2.5 volte quello della Cina, ed ancora
non troppo distante da quello della Francia o
della Gran Bretagna. Ma è un paese in affanno
da almeno vent’anni. Dal 1993 al 2007 il PIL
pro-capite è aumentato del 20%, ma nella
crisi ha perso metà dei guadagni ritornando
ai livelli della fine anni Novanta. Come si
vede dalla Figura 4, il tasso di crescita della
produttività del lavoro nel 1993-2010 è stato il
più basso nella storia unitaria ed il contributo
dell’aumento di produttività aggregata è
stato quasi nullo. La produttività aggregata
è addirittura diminuita dal 2000 al 2010. Le
cause si questo affanno sono molteplici, ma
mi sembra convincente il riassunto di Toniolo
(2013): l’incapacità di ‘produttori, sindacalisti
e politici’ di rendersi conto del cambiamento
http://noisefromamerika.org/articolo/mille-anni-storia-economica-italiana-3000-parole
SVOLGIMENTO
Dopo aver letto attentamente il brano ed avere analizzato i grafici rispondi alle seguenti domande.
1. La prima figura riporta i valori del Pil pro-capite dal 1270 al 1970. Dopo aver chiarito cos’è il Pil
pro-capite, dividi l’asse delle ascisse in periodi individuando il medioevo, l’evo moderno e l’evo
contemporaneo.
Il Pil è il valore dei beni finali prodotti in un anno in un Paese. Se si divide il Pil di un anno di un
Paese per la popolazione residente nello stesso anno nel Paese si ottiene il Pil pro-capite, ossia il
reddito medio annuale di un residente.
Le periodizzazioni storiche sono sempre oggetto di discussioni poiché si tratta di distinzioni fatte
per uno scopo e modificandosi lo scopo cambia anche la periodizzazione. Per darsi dei punti di
riferimento, però, si utilizzava, soprattutto in passato, questa periodizzazione: il medioevo si fa
terminare, convenzionalmente, con la scoperta dell’America (1492) per cui il periodo 1270-1500
può essere indicato come medioevo mentre il periodo 1500-1815 come evo moderno. La data
1815 è quella del Congresso di Vienna che viene considerato l’evento a partire dal quale l’Europa
si riorganizza. Dal punto di vista economico è sicuramente determinante il passaggio dal sistema
economico feudale a quello capitalistico e questo passaggio inizia proprio con il 1500, ossia con
l’età moderna.
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2. Nel periodo medioevale, nell’evo moderno e nell’evo contemporaneo cosa accade al Pil procapite in Italia e in Inghilterra?
In Italia il Pil pro-capite è per molti secoli superiore a quello inglese; l’inversione avviene alla
fine del Settecento in occasione della rivoluzione industriale in Inghilterra che porta questo
paese a superare l’Italia. Il livello del Pil pro-capite oscilla, in ambedue i paesi, intorno a un trend
orizzontale il che significa che nel lungo periodo la situazione economica della popolazione
rimane in media la stessa. Con la rivoluzione industriale l’Inghilterra supera l’Italia e il nostro
paese rimane in uno stato stazionario fino all’inizio del Novecento; alla fine del Novecento l’Italia
ha raggiunto l’Inghilterra.
4. Dalla figura 3 emerge un crollo del rapporto tra esportazioni e Pil negli anni Trenta del secolo
scorso. A cosa è dovuto questo crollo? Qual era la situazione dell’Italia in quel periodo?
Il crollo del rapporto esportazioni/Pil degli anni Trenta fu dovuto a due fenomeni: da un lato, la
crisi esplosa negli Stati uniti nel 1929 che provocò una depressione economica di dimensioni
enormi a cui seguì un drastico ridimensionamento del commercio internazionale; dall’altro lato,
il regime fascista, che si era instaurato nel 1922 con la marcia su Roma, dopo un iniziale periodo
di politiche economiche di tipo liberistico, adottò una politica economica di tipo autarchico che
portò a una forte chiusura nei confronti del commercio internazionale.
5. Dalla figura 3 emerge che nel secondo dopoguerra ci sono state due fasi di forte accelerazione
del commercio internazionale: la prima negli anni Cinquanta e la seconda negli anni Ottanta.
Quali possono essere state le cause di tale accelerazione?
Nel 1951 fu stipulato il primo Trattato europeo, con il quale si diede vita alla Comunità del
carbone e dell’acciaio (CECA), e nel 1957, nell’intento di estendere l’integrazione ad altri settori
dell’economia, furono stipulati i Trattati di Roma, con i quali si diede vita alla Comunità europea per
l’energia atomica (EURATOM) e alla Comunità economica europea (Cee).Quest’ultimo Trattato ha
istituito una Unione doganale, ossia un accordo in base al quale si eliminano le barriere doganali
interne tra i Paesi aderenti e si applicano dazi esterni all’area uniformi.
A partire dagli ultimi due decenni del Novecento si procede a eliminare ogni tipo di regolazione
dei flussi di capitale da un Paese all’altro, inizia quindi quella che viene definita globalizzazione.
In questo periodo le imprese espandono il loro campo di azione per cui il mercato assume
dimensioni ultranazionali. Il livello delle esportazioni rispetto al Pil, di conseguenza, aumenta in
Italia in maniera significativa.
6. Il livello del Pil pro-capite di un Paese dipende da due variabili: la quantità di lavoro e
la quantità di capitale disponibili. Il capitale, infatti, aumenta la capacità dei lavoratori di
produrre più beni in un’ora, ossia aumenta la produttività oraria. C’è una terza variabile
molto importante che è costituita dalle conoscenze e competenze dei lavoratori e dal modo
in cui il capitale e il lavoro sono coordinati. Questa terza variabile è chiamata produttività
aggregata dei fattori ed è indicata con la sigla TFP. In pratica, con questa variabile si misura
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3. Individua nella seconda figura le date relative all’unità d’Italia, alla prima guerra mondiale e
alla seconda guerra mondiale. Spiega cosa accade al Pil pro-capite in questi tre periodi.
Con l’unità d’Italia inizia un periodo di crescita del Pil pro-capite che subisce una battuta d’arresto
in occasione dei due conflitti mondiali. La crescita è concentrata soprattutto dopo il secondo
conflitto mondiale.
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7. Nel testo vengono elencati otto indicatori di benessere di un Paese. Individuali e spiegali
brevemente. Spiega poi come vengono raggruppati questi otto indicatori.
Il primo indicatore è il PIL pro-capite ossia il Pil diviso per la popolazione. Il secondo indicatore è
la speranza di vita alla nascita ossia la vita media della popolazione (che dipende dalle condizioni
sanitarie del Paese) mentre il terzo è il tasso di alfabetizzazione cioè la percentuale di studenti
di vari livelli scolastici sul totale dei giovani della rispettiva classe di età. Il quarto indicatore è
il numero di calorie disponibili mediamente per ogni persona (si ipotizza che aumentando le
calorie migliori il benessere medio) mentre il quinto indice è costituito da una misura del grado di
disuguaglianza tra i redditi della popolazione; il sesto indice è fortemente collegato al precedente
e misura la percentuale di popolazione che vive in condizioni di assoluta povertà. Il settimo
indice è costituito dal tasso di mortalità infantile mentre l’ultimo evidenzia la statura media, che
dipende dal saldo calorico fra nutrizione e perdite da lavoro e malattie.
Questi otto indicatori sono raggruppati in tre classi: un indice di consumo che comprende il Pil
procapite e il totale delle calorie; un indice di equità che comprende l’indice di disuguaglianza
di Gini e la percentuale dei poveri; un indice di benessere che si ottiene aggregando gli ultimi
quattro indici (speranza di vita, mortalità infantile, statura e alfabetizzazione).
8. Nel testo si fa riferimento alla distribuzione del reddito e al problema della eguaglianza.
Oltre che un concetto economico, quello di eguaglianza è uno dei principi fondamentali della
nostra Costituzione. Illustra tale principio soffermandoti, in particolare, sulla distinzione tra
eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale.
Il primo comma dell’art. 3 della Costituzione stabilisce il principio di uguaglianza formale come
pari dignità e pari soggezione di tutti alla legge, senza discriminazioni. Uguaglianza formale
significa uguaglianza di fronte alla legge. La legge deve rivolgersi ugualmente a tutti, governanti
e governati, ricchi e poveri, potenti e deboli, uomini e donne ecc. e nessuno è al di sopra della
legge a causa della sua posizione sociale. Per rafforzare il significato dell’uguaglianza di fronte alla
legge, la Costituzione indica alcuni espliciti divieti di discriminazione. In particolare, i cittadini non
possono essere sottoposti a trattamenti legislativi differenziati in considerazione del sesso, della
razza, della lingua, della religione, delle opinioni politiche, delle condizioni personali e sociali.
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quanta parte della crescita della produttività dei lavoratori dipende dalle conoscenze
tecniche ed organizzative. Analizzando la figura 4, individua qual è stato il peso dell’aumento
del capitale e quale quello del TFP nella crescita del Pil italiano dall’Unità fino al 2010. Spiega
poi cosa è accaduto, a queste due variabili, nel secondo dopoguerra e come tale andamento
spieghi l’andamento del Pil evidenziato nella figura 2.
In tutto il periodo di tempo che va dal 1861 al 2010 l’aumento della produzione per ogni addetto è
crescita in media dell’1,9 %; di questo valore, l’aumento della quantità di capitale spiega lo 0,5%,
mentre il resto è spiegato dall’aumento del TFP.
Nel secondo dopoguerra, nel periodo del miracolo economico 1951-1973, la produzione per
addetto è cresciuta del 4,5%; in tale periodo ha giocato un ruolo determinante la crescita del TFP
che è cresciuto di più del 3% nella media del periodo. A partire dal 1973, anno della prima crisi
petrolifera, l’aumento di produzione per addetto subisce un drastico ridimensionamento tanto
che nel periodo 1993-2010 cresce a malapena dello 0,5% con un aumento del TFP quasi nullo.
La forte riduzione del tasso di crescita del Pil pro-capite registrata in Italia dopo il 1993 è
quindi da attribuire alla riduzione del tasso di crescita della produzione per addetto e, in
particolare, al forte calo del tasso di crescita del TFP.
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9. Nel testo si fa riferimento alle Nazioni unite. Spiega di cosa si tratta e quali sono i suoi
compiti.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)è stata fondata il 24 ottobre 1945 da 51 Nazioni
impegnate a preservare la pace e la sicurezza collettiva grazie alla cooperazione internazionale.
Oggi, praticamente, fa parte dell’ONU ogni Nazione del pianeta; in totale, 193 Paesi.
Secondo quanto disposto dallo Statuto, l’ONU svolge quattro funzioni: mantenere la pace e la
sicurezza internazionali, sviluppare relazioni amichevoli fra le Nazioni, cooperare nella risoluzione dei
problemi internazionali e nella promozione del rispetto per i diritti umani, rappresentare un centro per
l’armonizzazione delle diverse iniziative nazionali. I Membri dell’ONU sono degli Stati Sovrani.
Le Nazioni Unite non sono un governo mondiale e non legiferano, ma, tuttavia, forniscono i mezzi
per aiutare a risolvere i conflitti internazionali e formulano politiche appropriate su questioni di
interesse comune.
10. Nel testo si chiarisce l’importanza che ha avuto, per il nostro Paese, l’apertura al commercio
internazionale. Dopo aver spiegato con quale indice viene misurata tale apertura, chiarisci come
gli artt. 10 e 11 della Costituzione disciplinano il rapporto tra la Repubblica italiana e la comunità
internazionale.
Il grado di apertura di un sistema economico viene misurato in genere facendo il rapporto tra le
esportazioni di un anno e il Pil dello stesso anno.
La Costituzione respinge nettamente il nazionalismo, che era stato uno dei cardini della
politica fascista. L’Italia è uno Stato nazionale, non nazionalistico; riconosce e difende
la propria identità rispetto agli altri Stati, ma adotta, con questi, atteggiamenti aperti di
collaborazione e anche di integrazione.
La sua sovranità è un punto di partenza che non le impedisce di collaborare con gli altri Stati e,
addirittura, di riconoscere l’autorità di istituzioni sovranazionali.
Secondo l’art. 10 Cost., «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute».
Il nostro Paese, pertanto, si considera parte di un ordinamento più vasto, riguardante l’ordine
internazionale, le cui norme sono obbligatorie anche in Italia.
L’art. 11 Cost. è la base della partecipazione italiana al sistema internazionale di protezione dei
diritti dell’uomo. Esso afferma che la sovranità può essere limitata in condizioni di parità con
gli altri Stati, per creare un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra le
nazioni. Inoltre, impegna l’Italia a promuovere gli accordi internazionali e le organizzazioni rivolte
a tale scopo.
L’art. 11 fu approvato dall’Assemblea costituente per consentire la partecipazione italiana
all’ONU, organizzazione internazionale istituita nel 1945 con il compito di salvaguardare la pace,
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Il secondo comma aggiunge l’uguaglianza sostanziale come effettiva possibilità di tutti di godere
concretamente dei propri diritti. L’uguaglianza sostanziale, indicata come compito della Repubblica
dal secondo comma dell’art. 3, richiede che l’uguaglianza di fronte alla legge ceda talora il passo
a leggi che stabiliscono trattamenti differenziati, per favorire coloro che sono più deboli, più indifesi,
più poveri. In altre parole, nello Stato sociale sono necessarie leggi che distinguono tra gruppi,
categorie, classi sociali, per “sostenere” quelle meno forti (a differenza dello “Stato liberale”, che
era del tutto indifferente di fronte alle disuguaglianze e alle ingiustizie sociali).
D’altra parte, l’uguaglianza sostanziale non corrisponde soltanto all’idea di giustizia: essa è anche
la condizione dell’effettivo godimento dei diritti da parte di tutti. “Avere” un diritto, molte volte, non è
nulla se non si hanno anche i mezzi per metterlo in pratica.
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11. Nel testo si fa riferimento al divario tra Nord e Sud della penisola italiana. La nostra
Costituzione, nell’art. 5, disciplina la distribuzione del potere politico nel territorio dello Stato.
Illustra il contenuto di questo articolo.
L’art. 5 della Costituzione, pur prevedendo che la Repubblica sia una è indivisibile, garantisce
sia il decentramento sia l’autonomia. L’autonomia comporta il diritto delle comunità locali di
organizzarsi in enti pubblici distinti dallo Stato (Regioni, Comuni e Province), titolari di proprie
funzioni da esercitarsi nell’interesse delle comunità stesse. Attraverso gli enti autonomi, il potere
pubblico viene distribuito su diversi livelli territoriali. L’autonomia non è però indipendenza
poiché la possibilità delle comunità locali di governarsi da sé non deve pregiudicare l’unità e
l’indivisibilità della Repubblica.
Il decentramento dello Stato consiste invece nell’organizzare le sue funzioni per mezzo di organi
e uffici distribuiti sul territorio. Gli organi e gli uffici decentrati non godono di autonomia, ma
dipendono dal Governo centrale.
Autonomia e decentramento sono stati posti tra i principi fondamentali della Costituzione con
l’intento di rivoluzionare il precedente assetto dello Stato, caratterizzato da un rigido centralismo,
imposto già al tempo dell’unificazione nazionale e poi accentuato dal fascismo. L’art. 5 Cost. mira
a rovesciare la piramide e a costituire l’intero edificio costituzionale a partire dall’autogoverno
delle comunità locali, salendo progressivamente fino allo Stato centrale.
12. Nel testo vengono individuati tre “profili” in base ai quali valutare la storia economica del
nostro Paese. Dopo averli illustrati, spiega quale di questi ti sembra preferibile per analizzare la
storia economica di un Paese.
L’amerikano è una persona che considera la felicità in buona parte determinata dalla quantità
di beni a disposizione e conferisce perciò molta importanza al Pil pro-capite e alle calorie
consumate; da questo punto di vista la storia italiana risulta poco soddisfacente poiché l’indice
che contiene questi valori cresce poco nel tempo, ad eccezione degli anni Cinquanta e Sessanta
che risultano essere, da questo punto di vista, gli anni migliori della nostra storia nazionale.
L’indignado, invece, è una persona che considera la felicità in buona parte determinata dal
grado di uguaglianza che viene realizzata nella società e conferisce perciò molta importanza
all’indice di disuguaglianza di Gini e alla percentuale dei poveri; da questo punto di vista durante
la storia italiana la disuguaglianza non risulta essersi molto ridotta, ad eccezione degli anni
Settanta quando l’indicatore che contiene i valori che misurano l’equità è rapidamente cresciuto,
segnalando una forte crescita dell’uguaglianza. Come si vede nella figura 5, però, a partire
dagli anni Novanta del secolo scorso la disuguaglianza è di nuovo aumentata azzerando i grandi
progressi fatti precedentemente in questo campo.
Il gaudente, come l’amerikano, considera la felicità in relazione al grado di benessere medio
degli individui ma, al contrario dell’amerikano, misura il benessere non con la quantità di beni
a disposizione quanto con il miglioramento della qualità della vita; tale indice di benessere
si ottiene aggregando tre variabili: la speranza di vita, la mortalità infantile, la statura e
l’alfabetizzazione. Da questo punto di vista, la storia del nostro Paese risulta, dall’Unità ad oggi,
come un cammino caratterizzato da un progresso continuo, un miglioramento della qualità della
vita che all’inizio degli anni Ottanta conosce un’impennata che porta l’indice di benessere a un
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Prof. Giuseppe Bacceli
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promuovere la cooperazione internazionale e diffondere i diritti umani. Questo articolo ha anche
costituito la base per l’adesione italiana alla Comunità europea (nel 1957). Su di esso ci si basa
ancora nella lunga strada che dovrebbe condurre alla costruzione dell’Unione europea come vera e
propria federazione di Stati.
TIPOLOGIA B
Indirizzo LES
livello elevato che conserva anche negli anni successivi.
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Dei tre indicatori credo che il più importante sia il secondo, quello che misura i progressi sul
piano dell’uguaglianza. I risultati di un sistema economico in termini di reddito, che risultano dal
primo indice, infatti, possono essere anche molto soddisfacenti ma se il benessere materiale
si concentra soltanto nelle mani di poche persone non si può pensare che il Paese, nel suo
complesso, stia meglio. Questa, del resto, è la prospettiva accolta dalla nostra Costituzione
che, nel secondo comma dell’articolo 3, stabilisce che compito della Repubblica è quello di
rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza di fatto. La Costituzione è il frutto di un
compromesso tra forze politiche molto diverse e contiene i valori che devono ispirare l’azione
delle maggioranze che, volta a volta, si affermano. Deve costituire, perciò, il punto di riferimento
per valutare l’azione dei Governi.
Da questo punto di vista, il giudizio non è positivo: l’enorme crescita del Pil pro-capite realizzatasi
nei centocinquanta anni di storia nazionale non ha avvantaggiato egualmente tutti i cittadini. Solo
negli anni Settanta del secolo scorso la disuguaglianza si è ridotta ma questo miglioramento è
stato annullato in seguito e il nuovo secolo ci consegna un Paese in cui le disuguaglianze sono
sempre più marcate.
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