La responsabilità civile nella circolazione di autoveicoli: dall`art

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La responsabilità civile nella circolazione di autoveicoli: dall`art
SEMINARIO RESPONSABILITA' CIVILE
VICENZA - 8 NOVEMBRE 2002
- LA RESPONSABILITA' CIVILE NELLA CIRCOLAZIONE DEGLI AUTOVEICOLI -
La responsabilità civile nella circolazione di autoveicoli:
dall’art. 2054 cod. civ. alla legge 57/01
di Ezio Guerinoni ( 1 )
1. – Considerazioni introduttive.
Scopo di questo intervento è unicamente quello di introdurre la trattazione delle (ben più
specifiche e complesse) problematiche che verranno affrontate nel prosieguo di questo I
seminario dedicato alle nuove frontiere della responsabilità civile; proprio per (tentare di)
assolvere a tale funzione si svolgeranno alcune (necessariamente) sintetiche osservazioni
relative alle coordinate legislative entro le quali si svolgeranno – si presume – le riflessioni dei
relatori che seguiranno.
Alla luce di queste preliminari considerazioni di metodo è possibile procedere alla descrizione
delle coordinate a cui si è appena fatto riferimento.
E’ stato acutamente osservato in dottrina che «La posizione assunta nel tempo presente dalla
persona, e dalla sua integrità psicofisica, all’apice della gerarchia dei valori degli ordinamenti
appartenenti alla comune western legal tradition, la scoperta di una concezione umana della
responsabilità civile e dei suoi fondamenti costituzionali e solidaristici, la preminenza accordata
“integrità of a person”, rispetto alla proprietà e al contratto determinano un ribaltamento del
tradizionale rapporto tra i danni al patrimonio e alla persona, consacrano il primato di questi
ultimi nella teoria dell’illecito, sanciscono la centralità dei pregiudizi alla saluta nella categoria
dei danni alla persona in senso stretto» (PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, I danni alla
persona tra responsabilità civile e sicurezza sociale, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 764).
In quasi tutti i sistemi il principio del neminen laedere assume una valenza costituzionale là
dove riguarda la tutela della persona umana: nel nostro sistema, il riferimento, in primo luogo, è
– ovviamente – all’art. 32 della Costituzione.
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Università di Milano.
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L’estensione dell’area dei danni risarcibili (mental shock, préjudice d’affection, danno morale
soggettivo, danno esistenziale ecc.) allontana le esperienze di civil e di common law da quella
“visione cruenta dell’illecito” (lo rileva sempre PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, I danni
alla persona tra responsabilità civile e sicurezza sociale cit., 764).
La completa e piena riparazione dei danni alla persona è oggi una tendenza difficilmente
contestabile; in realtà, oggi i problemi principali divengono la valutazione e la liquidazione del
danno, l’individuazione dell’oggetto dell’obbligazione risarcitoria e la sua misurazione in
termini pecuniari.
La riparazione dei danni alla persona comporta – è ovvio, e non potrebbe essere diversamente –
anche una decisione sull’allocazione dei costi e delle disutilità che derivano dall’illecito.
La decisione di escludere dal risarcimento alcune figure di danno (morale, par ricochet, loss of
expectation of life ecc.) significa imputare alla vittima il relativo onere. Viceversa, l’adozione di
un sistema di integrale riparazione pecuniaria dei danni personali induce a trasferire
sull’obbligato – che, peraltro, non necessariamente deve essere il soggetto “responsabile” - tutti
i costi che sono effettivamente sopportati dal danneggiato.
E’ stato rilevato che
il problema del risarcimento dei danni alla persona non può essere
compreso separando i modelli di riparazione e i criteri di valutazione e di liquidazione dai
sistemi di imputazione scelti da ciascun ordinamento (si vedano le osservazioni svolte da
PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, I danni alla persona tra responsabilità civile e sicurezza
sociale cit., 764 ss.). Le modalità di valutazione (integrale, standard, in astratto, in concreto,
secondo equità, ecc.) e di liquidazione, infatti, possono variare in relazione ai differenti sistemi
di riparazione e di collegamento della responsabilità. La preminente attenzione dedicata a taluni
settori nei quali v’è rilevante rischio sociale (circolazione di autoveicoli, infortuni sul lavoro,
prodotti difettosi ecc.) concerne sovente una manovra sui criteri di riferimento dei danni alla
persona. Molteplici interventi legislativi e giurisprudenziali disciplinano in via preventiva
l’imputazione dei danni a titolo di responsabilità oggettiva o assoluta al fine di assicurare alla
vittima una riparazione più rapida, giusta, integrale e incondizionata.
L’estensione dell’area dei danni risarcibili, l’individuazione di criteri di collegamento che
prescindano del tutto o in parte dalla colpa, la preminenza del rapporto di causalità
sull’elemento soggettivo, l’identificazione del pregiudizio non tanto causato quanto, piuttosto,
in quello “subìto”, l’esclusione delle fattispecie di esonero totale o parziale fondate sulla faute
della vittima o sul fatto del terzo, l’adozione di modelli no-fault e first pary insurance
testimoniano, nel loro complesso, la progressiva trasformazione delle regola di responsabilità in
sistemi di social securty, «nel quadro di una garanzia collettiva che ripartisca l’onere del
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risarcimento tra coloro che devono sopportare il costo sociale ed economico del danno (e che,
pertanto, devono finanziare l’organismo dell’indennizzo)» (PROCIDA MIRABELLI DI
LAURO, I danni alla persona tra responsabilità civile e sicurezza sociale cit. 766-767).
In questo quadro si colloca anche il problema del risarcimento del danno da sinistro stradale
(sull’argomento si veda almeno GENTILE, La responsabilità civile extracontrattuale
automobilistica, in Resp. civ. prev., 1952, 97 ss.), problema che è stato affrontato dai giuristi
seguendo due direttrici: i) da un lato, superando i limiti delle tradizionali teorie della colpa quale
criterio di imputazione della responsabilità nella circolazione dei veicoli; ii) dall’altro, cercando
una formula che garantisse la solvibilità del danneggiante (cfr, al riguardo, le osservazioni
svolte da FRANZONI, Il terzo danneggiato nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità
civile, Padova, 1986, 1).
Sotto il primo profilo, in particolare,
si inquadra la scelta che ha portato all’attuale
formulazione dell’art. 2054, comma 1°, c.c. la quale, peraltro, ha un precedente nell’art. 120
T.U. 8 dicembre 1933, n. 1740 e nell’art. 5 del pregresso T.U. del 1909, secondo cui
l’individuazione del responsabile avviene sulla base di un criterio oggettivo di imputazione del
danno.
Già il legislatore del 1942, quindi, inseriva nel sistema della responsabilità civile un principio
contrastante con la logica sanzionatoria della colpa, privilegiando il momento riparatorio a
quello più propriamente punitivo.
Sotto il secondo profilo, ossia quello di garantire la solvibilità del danneggiante, si deve
segnalare che già dal 1928, nel corso del I Congresso di scienza delle assicurazioni tenutesi a
Torino, gli studiosi di problemi assicurativi proposero anche per l’Italia l’introduzione
dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile. Il tema venne poi ripreso nelle
Conferenze della strada tenutesi a Napoli nel 1935, nel 1937 ed a Stresa nel 1955. Il dibattito fu,
peraltro, influenzato, da un lato, dall’adozione di tale istituto in alcuni Paesi europei quali la
Finlandia nel 1925, la Norvegia nel 1926, l’Austria nel 1929, la Gran Bretagna e l’Irlanda del
nord nel 1930, la Svizzera nel 1932, la Germania nel 1939; dall’altro, dalle sollecitazioni
dell’Istituto internazionale per
l’unificazione del diritto privato che, nel 1934, elaborò e
sottopose all’esame della Società delle Nazioni Unite un progetto di convenzione internazionale
volto ad estendere l’obbligo di assicurazione al maggior numero di Paesi, secondo criteri
legislativi uniformi. Ma il secondo conflitto mondiale non consentì di portare a termine un
progetto così ambizioso (di questo ci informa FRANZONI, Il terzo danneggiato
nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile cit., 2).
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Nel secondo dopo guerra, l’unico problema in parte risolto fu quello dei danni causati dalla
circolazione dei veicoli stranieri nel territorio di un altro Stato, mediante l’introduzione di un
certificato internazionale uniforme di assicurazione denominato “carta verde”, sebbene
l’operatività di tale certificato poteva essere soddisfacente solo negli Stati in cui era vigente
l’assicurazione obbligatoria. In tal caso, infatti, l’automobilista provvisto di carta verde era
coperto dal rischio in conformità alla legge del Paese visitato; viceversa, nel caso in quel Paese
non era vigente l’assicurazione obbligatoria, quel certificato attestava solamente che
l’automobilista visitatore aveva stipulato un contratto di assicurazione alle condizioni in esso
riportate (cfr. ancora FRANZONI, Il terzo danneggiato nell’assicurazione obbligatoria della
responsabilità civile cit., 3).
E’ appena il caso di rilevare, peraltro, che tendenzialmente costanti sono, nei vari sistemi, i
caratteri della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. In estrema sintesi:
a) impostazione di una responsabilità per colpa presunta, e talvolta, di una responsabilità di
tipo oggettivo: si tratta , peraltro, di una fase necessaria dell’evoluzione, come dimostra il
fatto che da forme di colpa presunta o di responsabilità oggettiva si è passati, in molti
ordinamenti, all’assicurazione obbligatoria;
b) identificazione del responsabile, che generalmente (salve alcune eccezioni) coincide con il
conducente dell’autoveicolo; spesso si affianca al conducente il “possessore” o il
“detentore” del veicolo;
c) identificazione delle categorie di beneficiari del sistema di responsabilità presunta od
oggettiva; normalmente sono esclusi i soggetti che non appartengono alla categoria dei
«pedoni», cioè il conducente medesimo, i trasportati (a titolo di cortesia), i familiari;
d) quanto al quantum del danno risarcibile, nella maggior parte degli ordinamenti, la
legislazione speciale non prevede limiti all’ampiezza del danno; vi sono però casi
(Germania, Austria, Norvegia) che prevedono limiti per i danni personali e per i danni alle
cose; allo stesso modo, si escludono dall’area degli interessi apprezzabili i danni
“meramente economici” (indiretti e mediati) e i danni morali;
e) vi sono proposte di imputare al conducente una responsabilità di tipo oggettivo, per sottrarre
i danneggiati ai problemi aperti dalle forme di presunzione di colpa.
2. – L’art. 2054 Cod. Civ..
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L’illecito civile da circolazione stradale si atteggia come illecito colposo. Il comportamento
lesivo di altrui diritti è fonte di responsabilità aquiliana al ricorrere dei presupposti enunciati
dall’art. 2043 c.c.: sia relativamente all’elemento obiettivo dell’illecito, consistente in un
comportamento connesso casualmente al danno ingiusto cagionato; sia in relazione all’elemento
soggettivo
dell’illecito, che può consistere nel dolo oppure nella colpa dell’autore della
condotta pregiudizievole.
L’illecito civile da circolazione stradale si inquadra nella figura normativa descritta dall’art.
2043 c.c. e, tuttavia, la regola generale è integrata dall’art. 2054 c.c., che ha provveduto ad
introdurre un sistema di presunzione relativa all’accertamento dell’elemento soggettivo
dell’illecito.
Il 1° comma dell’art. 2054 c.c. pone a carico del conducente di un veicolo senza guida di rotaie
l’obbligo di risarcire il danno cagionato, salvo provi di aver fatto tutto il possibile per evitare il
danno. La norma ribadisce, dunque, che l’illecito che sanziona è colposo ma, rispetto
all’ordinario regime della responsabilità aquiliana, è il danneggiante che deve dimostrare
l’assenza di colpa; inoltre, la dimostrazione gli è consentita unicamente offrendo la prova
liberatoria specifica che la disposizione contempla.
Il 2° comma dell’art. 2054 c.c. ha ad oggetto una fattispecie più circoscritta; nell’ipotesi in cui il
danno sia cagionato dallo scontro tra due o più veicoli, si presume fino a prova contraria che
ciascun dei conducenti abbia egualmente concorso a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
La presunzione attiene all’accertamento della colpa dei conducenti: essa consiste nel
riconoscere in capo ad ognuno di essi un eguale grado di colpa e, quindi, è presunzione di
concorso di colpe di grado eguale; essa opera con riguardo alle obbligazioni risarcitorie per i
danni subiti conducenti e dai proprietari dei veicoli coinvolti nello scontro ed al rispettivo diritto
di regresso per danni risarciti a terzi.
Il 3° comma dell’art. 2054 c.c. regola la responsabilità del proprietario, dell’usufruttuario e
dell’acquirente con patto di riservato dominio. Essi sono obbligati, in alternativa tra loro, al
risarcimento del danno cagionato dal e in solido con il conducente del veicolo senza guida di
rotaie, salvo provino che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la loro volontà.
L’ultimo comma dell’art. 2054 c.c., estraneo al sistema delle presunzioni di colpa contenute nei
primi tre commi dell’articolata disposizione, disciplina un caso particolare di responsabilità
oggettiva per danni derivanti da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione: qualora sia
provata l’efficienza causale dei vizi oppure difetti del veicolo nel processo eziologico di
produzione del danno, non occorre alcuna indagine di accertamento dell’elemento subiettivo
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dell’illecito; né, in tal caso, necessita il ricorso alle norme delle presunzioni di colpa, del resto
inapplicabili a cagione della specialità della norma.
Sterminata è la casistica relativa alle regole enunciate dall’art. 2054 c.c..
Per riassumere le direttive della giurisprudenza, si può precisare un quadro elementare di
principi (si richiama, al riguardo, quello sintetico delineato da ALPA, La responsabilità civile,
in Trattato di diritto civile, IV, Milano, 1999, 708 ss.).
a) Quanto alla prova liberatoria, è da sottolineare che essa è formulata in modo assai rigoroso,
pretendendosi, infatti, che il conducente dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare il
danno. «Se si trattasse di formula applicata a soggetti che svolgono attività d’impresa, ben si
potrebbe sostenere che si è in presenza di una fattispecie di responsabilità con assunzione
del rischio a carico del conducente» (ALPA, La responsabilità civile cit., 708).
b) Il contenuto e i limiti della presunzione di colpa del conducente di veicoli mutano quando
l’incidente stradale consista nello scontro tra i veicoli. Il 2° comma dell’art. 2054 c.c.
contempla, infatti, per questo caso, una presunzione di pari colpa dei conducenti coinvolti
nello scontro. La presunzione di concorso di colpe eguali dei conducenti dei veicoli trova
applicazione anche nei confronti dei conducenti di veicoli che non abbiano riportato danni,
come è stato chiarito già da Corte Cost. 29 dicembre 1972, n. 205 (in Foro it., 1973, I, 1 ss);
con essa il citato precetto è stato dichiarato incostituzionale là dove limitava l’applicazione
dello strumento presuntivo ai soli casi in cui entrambi i conducenti fossero rimasti
danneggiati. Quanto alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, è prevalente
l’interpretazione del 2° comma dell’art. 2054 c.c. nel senso che la norma trovi applicazione
non solo nei casi in cui sia certo l’atto che ha causato il sinistro e sia incerto il grado di colpa
attribuibile ai diversi conducenti, ma anche quando non sia possibile accertare il
comportamento specifico che ha causato il danno (cfr. tra le molte Cass., 10 maggio 1988, n.
3415; in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 141 ss. e Cass., 8 agosto 1987, n. 6797, in Arch.
giur. circ. e sinistri, 1988, 117 ss). La conseguenza che se ne trae è che, in tutti i casi in cui
l’atto generatore del sinistro sia ignoto, causa presunta dell’evento sono nella stessa misura i
comportamenti di entrambi i conducenti coinvolti nello scontro, anche se uno soltanto di essi
abbia riportato danni. Questa presunzione può essere superata unicamente dalla duplice
prova, posta a carico del danneggiato, che lo scontro è dipeso dal solo comportamento
colposo dell’altra parte e che il danneggiato medesimo ha fatto tutto il possibile per evitare il
verificarsi dell’evento dannoso. La giurisprudenza, peraltro, ritiene ammissibile la
comparazione tra la colpa dei conducenti. La presunzione legale, dunque, semplifica
l’accertamento della colpa e si configura come criterio sussidiario, a cui riferirsi per
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l’imputazione della responsabilità del danno, nel senso che la presunzione può essere
superata dalla prova della colpa concreta di ciascuno dei conducenti. Si può ricordare,
ancora, che la Suprema corte ha precisato che nonostante tale presunzione abbia funzione
meramente sussidiaria – posto che opera solo nel caso in cui non sia possibile accertare in
concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso
(cfr. Cass., 25 marzo 1981, n. 1143, in Rep. Foro it., 1981, voce Circolazione stradale, n,
61) – tuttavia, l’accertamento della colpa anche grave di uno dei conducenti non esonera
l’altro dall’onere della prova liberatoria, al fine di consentire al giudice l’esclusione di un
concorso di colpa a suo carico (cfr. Cass., 23 aprile 1981, n. 2422, in Arch. giur. circ. e
sinistri, 1981, 484 ss. e Cass., 9 febbraio 1982, n. 764, ivi, 1982, 282 ss.).
c) In ordine, poi, alla responsabilità solidale
del proprietario, dell’usufruttuario e
dell’acquirente con patto di riservato dominio, la giurisprudenza è piuttosto rigorosa,
richiedendo una prova precisa: non è sufficiente, infatti, che il veicolo abbia circolato invito
domino, occorrendo, invece, che il veicolo abbia circolato proibente domino, con
l’assunzione di misure idonee a evitare la detenzione di terzi.
In linea generale, si deve aggiungere che secondo il costante e inequivoco orientamento
della giurisprudenza, gli apprezzamenti del giudice del merito circa le modalità di un
incidente stradale, il comportamento delle persone in esso coinvolte, le violazioni dalle
medesime eventualmente compiute, la sussistenza o meno di loro colpa, e la valutazione
dell’efficienza causale dei singoli comportamenti nella produzione del sinistro, si concretano
in un giudizio di fatto, che – come tale – è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da
motivazione esente da vizi di logica e di diritto.
d) Sulla nozione di veicolo si è precisato che poiché lo “sci” non è annoverato tra i veicoli
soggetti alla disciplina del codice della strada (D.P.R. 15.6.1969, N. 393, artt. 20, 31; D.
Lgs. 30 aprile 1992 n. 285, artt. 46 ss.), correlativamente neppure nell’ambito del codice
civile la disciplina dell’art. 2054, riguardante la responsabilità civile per la “circolazione dei
veicoli” - che ha diretta derivazione e specifico collegamento con quella del codice della
strada – può essere estesa all’impiego dello “sci”, con la conseguenza che la tutela delle
persone danneggiate dalla circolazione di persone munite di tale particolare attrezzo è
direttamente disciplinata dall’art. 2043 c.c. ed il diritto al risarcimento del danno si prescrive
nel termine di cinque anni a termini del 1° comma dell’art. 2947 c.c. (cfr., ad esempio, Cass.
1.4.1980, n. 2111). L’ampia nozione di circolazione stradale, quale configurata dalla
legislazione vigente, comprende non solo i veicoli in moto ma anche quelli
momentaneamente in sosta su strada o altra area pubblica, cosicché, nel caso di urto tra un
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veicolo in moto ed un altro in sosta, si realizza l’ipotesi di scontro di veicoli prevista e
disciplinata dal 2° comma dell’art. 2054 c.c. (Cass., 23.4.1980, n. 2660).
e) La presunzione di colpa di cui all’art. 2054, 1° comma, è diretta a rafforzare la protezione
dei terzi estranei all’uso del veicolo contro i rischi derivanti dalla circolazione stradale; di
conseguenza, tale presunzione può considerarsi superata solo nell’ipotesi in cui il
conducente abbia provato di aver adoperato tutti gli accorgimenti e le misure idonei ad
evitare il verificarsi dell’evento dannoso, sicché risulti certo che quest’ultimo non sia in
alcun modo ricollegabile alla sua condotta di guida. Pertanto, per vincere tale presunzione, il
conducente del veicolo, pur non essendo tenuto a fornire la prova di una diligenza
eccezionale, deve in ogni caso dimostrare di avere osservato tutte le norme della
circolazione stradale nonché tutte le precauzioni che una persona di normale avvedutezza
avrebbe adottato nelle particolari circostanze della fattispecie concreta (cfr, ad esempio,
Cass. 19.9.1980, n. 5321). Secondo la giurisprudenza, peraltro, la prova liberatoria da parte
del conducente, nel caso di danni prodotti a persone o cose dalla circolazione di un veicolo,
non deve essere necessariamente data in modo diretto; in altri termini: non si ritiene
assolutamente necessaria la dimostrazione di avere tenuto un comportamento esente da
colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada, essendo, invece, ritenuto
sufficiente che sia accertato che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale
esclusivo del danno non evitabile da parte del conducente, attese le circostanze del caso
concreto e stante l’impossibilità di attuare un’idonea manovra di emergenza. Di contro, la
giurisprudenza ritiene sempre rilevante l’indagine concernente la colpa del danneggiato,
atteso che la presunzione di colpa stabilita dal 1° comma dell’art. 2054 c.c. non esclude
l’applicazione delle regole generali sugli effetti limitativi del danno risarcibile, che
conseguono al concorso di colpa del soggetto pregiudicato nei propri diritti (cfr., ad
esempio, Cass. 7 agosto 1990, n. 8386, in Arch. giur. circ. e sinistri, 1991, 21 ss.).
f) Quanto al particolare caso del trasporto di cortesia, si è precisato che la presunzione di
colpa prevista dall’art. 2054 c.c. a carico del conducente e del proprietario del veicolo è
posta a tutela dei terzi estranei alla circolazione del mezzo e non può, pertanto, essere
invocata dai terzi trasportati: ne consegue che qualora essi subiscano dei danni in occasione
di un incidente stradale nel quale sia rimasto coinvolto il veicolo che li trasportava, possono
far valere la loro pretesa risarcitoria solo a norma dell’art. 2043 c.c., e quindi contro la
persona cui è imputabile l’evento e non pure contro il proprietario del veicolo sul quale si
trovavano, e ciò anche se fosse provato che la circolazione del mezzo non sia avvenuta
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contro la sua volontà, dal momento che la responsabilità per fatto altrui non può operare
oltre i casi in cui è espressamente prevista (cfr. Cass., 27.3.1979, n. 1767).
g) Sulla prova relativa alla responsabilità prevista dal 4° comma dell’art. 2054 si è precisato
che l’art. 2054, 4° comma, c.c. – nello statuire che il conducente e il proprietario (o
l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio) sono responsabili “in ogni
caso” dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo –
pone un particolare regime probatorio nel senso che al danneggiato incombe l’onere di
dimostrare l’esistenza del vizio o del difetto (ed il relativo nesso di causalità con l’evento),
mentre le indicate persone che intendono esimersi dalla responsabilità devono provare che il
danno è dipeso da causa diversa, senza che possa avere rilevanza l’impossibilità di rendersi
conto, da parte loro, del vizio o del difetto mediante l’ordinaria diligenza (Cass., 19.2.1981,
n. 1019).
3. – La legge n. 990/69.
Il sistema introdotto dalla legge n. 990 del 1969, per far conseguire alle vittime della strada il
risarcimento del danno, è imperniato sulla figura dell’azione diretta: secondo l’art. 18 della
legge il danneggiato da un sinistro stradale, causato da un veicolo per il quale sia obbligatoria
l’assicurazione della r.c.a., ha il potere di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del
danneggiante.
Il diritto che il terzo può far valere contro l’assicuratore è quello previsto dall’art. 2054 c.c., in
quanto richiamato dall’art. 1 legge n. 990; l’istituto dell’azione diretta si inscrive, dunque, nella
logica presente in tutti i sistemi industriali moderni che privilegia il momento riparatorio a
quello risarcitorio, in particolar modo nei settori in cui il pregiudizio appare inevitabile. In
particolare, «esso costituisce il punto di incontro fra due opposte esigenze: quella di individuare
rapidamente un soggetto a cui imputare il danno, mediante l’adozione di un criterio oggettivo di
responsabilità; e quella di garantire la solvibilità del danneggiante, quindi la sicurezza del
risarcimento, mediante l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile» (in questi esatti
termini FRANZONI, Il terzo danneggiato nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità
civile cit., 7).
L’azione diretta si può leggere come sintomo della crisi della funzione preventiva presente in
ogni sistema della responsabilità civile (sempre FRANZONI, Il terzo danneggiato
nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile cit., 7). «L’assicurazione, infatti,
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resta uno strumento con il quale si trasferisce l’onere economico di un pregiudizio da un singolo
soggetto ad una collettività e, se collegata ad un settore in cui l’imputazione prescinda dalla
colpa, non può svolgere alcuna finalità di prevenzione dei danni. Quantomeno, però, costituisce
il mezzo meglio di altri idoneo a garantire le vittime colpite da sinistri stradali. Si noti che la
garanzia del risarcimento per la vittima incolpevole sussisterebbe già con la previsione
dell’obbligo a contrarre assicurazione: il terzo ben potrebbe ottenere il risarcimento secondo la
procedura predisposta dall’art. 1917 c.c., dato che il danneggiante sarebbe sicuramente solvente,
avendo stipulato (obbligatoriamente) un contratto di assicurazione della r.c.a. Talché, l’aver
specificamente concesso l’azione nei confronti dell’assicuratore sta ad indicare che il legislatore
non ha voluto semplicemente garantire ai danneggiati la certezza dell’indennità, ma ha voluto
predisporre le modalità per conseguirla nel modo più rapido e diretto possibile» (FRANZONI, Il
terzo danneggiato nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile cit., 7).
E’ dato di comune esperienza che spesso il risarcimento del danno non consiste tanto nel
conseguire il risarcimento nel suo esatto ammontare, quanto, piuttosto, nell’ottenerlo in tempi
ristretti, tali da ripristinare immediatamente lo stato di fatto preesistente. Proprio in questo
quadro assume particolare rilievo la previsione dell’azione diretta e la possibilità di conseguire
la c.d. provvisionale, disciplinata dall’art. 24 legge n. 990, la cui logica si inquadra nel
medesimo disegno che vuole il risarcimento di danni nella maniera più pronta e satisfattiva
possibile.
L’innovazione legislativa rappresentata dalla legge n. 990 è stata unanimemente considerata
espressione della volontà di offrire una speciale tutela alle vittime della strada, riconoscendole
portatrice di un interesse “quasi pubblicistico” (FRANZONI, Il terzo danneggiato
nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile cit., 7).
4. – La legge n. 57/01.
La legge 5 marzo 2001, n. 57, recante Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei
mercati (pubblicata nella G.U. n. 66 del 20 marzo 2001) ha inciso in modo significativo sulla
disciplina dell’assicurazione obbligatoria r.c.a., al dichiarato duplice
fine di assicurare
maggiore trasparenza al mercato e maggiore tutela agli assicurati. Parte integrante della riforma
è la nuova disciplina del danno biologico (definizione e criteri di liquidazione).
L’art. 5 della citata legge ha, per un verso, ampliato e rafforzato la portata della procedura
accelerata di liquidazione del danno dettata dall’art. 3 del decreto legge 23 dicembre 1976, n.
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857, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39 e, per altro verso,
introdotto una disciplina del risarcimento dei danni alla persona di lieve entità.
Formalmente, la normativa contenuta nei commi da 2 a 6 dell’art. 5 cit. si pone come transitoria,
in attesa che il Parlamento fissi regole generali in tema di danno alla salute, eventualmente
recependo le soluzioni tratteggiate dal disegno di legge recante la Nuova disciplina in tema di
danno alla persona approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 giugno 1999.
L’ambito applicativo dell’art. 5 è circoscritto ai danni alla persona di lieve entità, derivanti da
sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti avvenuti successivamente
alla data di entrata in vigore della legge 57/2001.
Il fatto che il legislatore abbia considerato soltanto i danni alla persona provocati nel corso della
circolazione di mezzi per i quali è prevista la copertura assicurativa obbligatoria potrebbe
sollevare il dubbio in ordine alla legittimità di un criterio risarcitorio destinato a creare una
diversità di trattamento per il caso di lesione di un bene, quello della salute, in relazione al qual
non si giustificano differenziazioni legate alla natura dell’attività svolta dal danneggiante.
Tuttavia, il fatto che la predeterminazione tabellare di cui al comma 2 dell’art. 5 non esaurisca il
criterio liquidatorio, consentendo al giudice di valutare «ulteriormente» il danno biologico alla
luce «delle condizioni soggettive del danneggiato » vale ad escludere, già in astratto, che
l’intervento normativo ponga dei limiti quantitativi al risarcimento delle micro-lesioni derivanti
dalla circolazione di veicolo e natanti.
Tale soluzione, per altro, non vanifica affatto la portata dell’intervento, nella misura in cui,
ponendo un obbligo di motivazione che giustifichi adeguatamente la scelta di discostarsi dai
valori determinati ai sensi del comma 2 dell’art. 5 e, a monte, imponendo al danneggiato di
allegare e dimostrare le circostanze di fatto idonee a far emergere l’inadeguatezza di tali valori
nel caso concreto, non incide sull’idoneità dei risultati tabellari a rendere prevedibile l’esito
della lite e, pertanto, a rappresentare una seria piattaforma per le trattative stragiudiziali.
La ratio dell’intervento normativo è quella di dettare regole tendenzialmente uniformi per il
risarcimento del danno alla salute in caso di lesioni di lieve entità, mentre resta fuori dall’orbita
dell’art. 5 qualunque implicazione in tema di danno patrimoniale. La novella, peraltro, ha ad
oggetto esclusivamente il danno biologico temporaneo e permanente relativo alle
microinvalidità, mentre lascia aperti tutti i problemi concernenti le medie e le macroinvalidità.
La legge prevede una triplice limitazione del proprio ambito di efficacia: causale, oggettiva e
temporale.
Dal punto di vista causale, l’applicazione delle nuove norme è limitata ai danni alla persona
derivanti da sinistri stradali o nautici.
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Dal punto di vista oggettivo l’applicazione delle nuove norme è limitata ai danni alla persona
che abbiano prodotto postumi permanenti non superiori al 9% (9% di cosa? Il legislatore omette
di precisarlo).
Si tratta delle cosiddette “micropermanenti”: l’origine di questo tipo di danno è da rinvenire
nella legge antinfortunistica (d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) e, in particolare, all’art. 74, ove è
disposta la non indennizzabilità delle menomazioni irreversibili valutate in misura pari o
inferiore al 10%, in quanto le stesse non compromettono in alcun modo la «attitudine al lavoro»
- tanto generica quanto specifica – dell’infortunato, il cui modo di vivere non viene per nulla
mutato.
Dal punto di vista temporale, l’art. 5 della legge n. 57/2001 precisa che il nuovo criterio
risarcitorio si applica ai danni derivanti da sinistri avvenuti successivamente all’entrata in vigore
della legge. Chiara è la scelta del legislatore di fare riferimento non al momento del verificarsi
del danno, ma a quello del verificarsi del sinistro.
Il danno biologico – di cui si ha finalmente la prima definizione legislativa – viene definito
come «la lesione dell’integrità psicotica della persona suscettibile di accertamento medicolegale» (art. 5, comma 3).
Il danno biologico viene poi considerato «…risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza
sulla capacità di produzione del reddito del danneggiato» (art. 5, comma 3).
Una prima considerazione (critica).
La stessa norma è simile, ma non identica, a quella contenuta nell’art. 13 d. lgs. 28 febbraio
2000 n. 38, avente ad oggetto la sussunzione del danno biologico nella copertura assicurativa
obbligatoria garantita dall’ Inail.
Elementi comuni delle due norme sono : (a) la previsione della necessaria preesistenza d’una
lesione in corpore; (b) la necessaria obiettivabilità medico legale di tale lesione; (c) la aredditualità del danno (ovvero la sua risarcibilità a prescindere da qualsiasi conseguenza
negativa sul reddito dell’offeso).
Tutti e tre questi elementi erano stati posti in luce da tempo dalla migliore dottrina, sia giuridica
che medico legale, e costituivano ormai ius receptum nella giurisprudenza sia di legittimità che
di merito.
La definizione normativa in questione, peraltro, è simile, ma non identica, e quella di cui all’art.
13 d.lgs. 38/2000.
Infatti nel d. lgs. 38/2000 il danno biologico viene definito suscettibile di “valutazione” medico
legale; al contrario, nella norma di cui all’art. 5, comma 2, l. n. 57/2001, il danno biologico
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viene definito suscettibile di “accertamento” medico legale, con formula manifestamente
mutuata dal “progetto ISVAP” di riforma in tema di danno alla salute.
La differenza tra le due formule non deve sembrare di poco conto. Infatti, da un punto di vista
medico legale, qualsiasi menomazione permanente può essere in astratto valutata, ma non tutte
le menomazioni possono essere accertate in concreto. Si pensi, al riguardo, alla cefalea
postraumatica od alla dolorabilità della digitopressione: si tratta di vulnera in corpore
certamente valutabili (cioè percentualizzabili, immaginando pari a 100 la complessiva validità
di un individuo sano), ma accertabili solo per relationem attraverso la storia clinica documentata
del paziente, e non strumentalmente. La formula legislativa quindi, dovrebbe valere a spiazzare
quelle prassi, non rare, in base alle quali il danno alla salute viene dapprima (dal consulente di
ufficio) ritenuto esistente sulla base delle dichiarazioni dell’interessato, ed in assenza di ogni e
qualsiasi riscontro obiettivo; e quindi (dal giudice) liquidato come se danno e nesso causale
fossero stati effettivamente dimostrati (Cfr., al riguardo, ROSSETTI, Nuove norme in tema di
assicurazione della r.c.a. e di danno biologico , in Corr. giur., 2001, 588-589).
Per il risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea (definito dalla legge “danno
biologico temporaneo”), l’art. 5 comma 2, lettera (b) adotta il sistema più diffuso tra i giudici di
merito: quello di liquidare una somma di denaro per ogni giorno di invalidità, ridotta
proporzionalmente ove l’invalidità non sia stata assolta. Questa somma viene fissata in £.
70.000 per ogni giorno di invalidità temporanea assoluta (e quindi £: 35.000 per ogni giorno di
invalidità temporanea relativa al 50%; £: 28.000 per ogni giorno di invalidità temporanea
relativa al 40%, e così via).
Per il risarcimento del danno biologico da invalidità permanente (definito dalla legge “danno
biologico permanente”) l’art. 5, comma 2, lettere (a) ha adottato un sistema analogo (ma non
identico) a quello c.d. del punto variabile d’invalidità, o “metodo milanese” (in quanto adottato
per primo dal tribunale della città meneghina). Il risarcimento si ottiene moltiplicando il valore
monetario del singolo punto d’invalidità, per il grado di invalidità permanente, per un
coefficiente proporzionale al grado di invalidità permanente, ed il tutto ridotto in funzione
dell’età del danneggiato, per mezzo di un c.d. demolitplicatore.
Per assicurare proporzione tra età del danneggiato e risarcimento del danno (in base al principio
secondo cui il danno permanente è tanto minore quanto maggiore è l’età della vittima), la legge
prevede la riduzione del risarcimento in misura pari allo 0,5% per ogni anno di età della vittima,
“a partire dall’undicesimo anno di età”.
Il nodo centrale della nuova disciplina è costituito dalla tabella di menomazione dell’integrità
psicofisica compresa tra 1 e 9 punti di invalidità, affidata a un decreto del Ministro della Sanità,
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di concerto con il Ministro del Lavoro e con il Ministero dell’Industria, del Commercio e
dell’Artigianato.
Rispetto al d.l. n. 70 del 28 marzo 2000, la liquidazione del danno alla persona non opera più in
modo fisso e autonomo: ad ogni punto di invalidità viene attribuito un importo crescente «in
misura più che proporzionale», da calcolare in base all’applicazione a ciascun punto percentuali
di invalidità del relativo coefficiente di cui all’allegato A connesso alla suddetta legge.
Il valore del primo punto di invalidità è stato fissato in L. 1.200.000
E’ previsto, poi, un abbattimento costante dello 0,5% per ogni anno di età a partire
dall’undicesimo.
Un esempio: la determinazione del valore del punto per una persona di 70 anni è ridotta del 30%
rispetto ad un danneggiato di dieci anni e del 10% rispetto ad un danneggiato di 50 anni.
L’art. 5, comma 4, stabilisce : «fatto salvo quanto previsto dal comma 2, il danno biologico
viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato».
Questa norma è stata voluta al fine di consentire un adeguamento, o personalizzazione, del
risarcimento, esigenza questa già da tempo affermata sia dalla Corte costituzionale, sia dalla
Corte di cassazione (si veda, ad esempio: Cass. 16 novembre 1998 n. 11532, in Foro it. Rep.,
1998, Danni civili, 249).
Non è da escludere che potranno sorgere incertezze in merito all’individuazione delle
“condizioni soggettive” di cui tenere conto nella personalizzazione del risarcimento. Queste
potrebbero essere individuate nelle concrete attività svolte dalla vittima e precluse dai postumi:
così, ad esempio, dati due soggetti di pari età che hanno riportato ambedue una frattura
consolidata con callo osseo all’omero, il risarcimento di colui che, per effetto dei postumi, non
potrà più guidare l’auto e giocare a tennis dovrà essere superiore al risarcimento spettante a
colui che, per effetto dei postumi, dovrà rinunciare soltanto a guidare l’auto.
La legge, peraltro, non parla di attività svolte dal danneggiato, ma di “condizioni soggettive”. E
queste possono essere infinite di infinita natura. La formula legislativa potrebbe perciò prestarsi
a pericolose interpretazioni tendenti a aumentare il risarcimento in funzione della “posizione
sociale” del danneggiato. L’ulteriore risarcimento, inoltre, non dovrebbe essere ancorato al
reddito, posto che tale riferimento finirebbe inevitabilmente con l’incrinare, deformandola, la
figura del danno biologico.
Allo stesso modo non può identificarsi con i danni alla persona che, da sempre, sono stati sentiti
come vicini al danno biologico, ma che comunque conservano una loro forte caratterizzazione
di autonomia.
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L’attenzione e, ovviamente, concentrata soprattutto sul danno esistenziale che secondo la
discussa definizione offerta dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 7713 del 7 giugno 2000
(pubblicata in Danno e resp., 2000, 835 ss., con note di P.G. Monateri e G. Ponzanelli) deve
intendersi come il danno che, almeno potenzialmente, ostacola le attività realizzatrici della
persona umana.
Si deve osservare – volendo trarre qualche conclusione – che la novella, contrariamente all’art.
1 della legge 990/69 che richiama l’art. 2054 c.c. ed all’art. 17 del disegno di legge Amabile –
non opera alcun rinvio alle norme del codice civile sulla valutazione del danno (artt. 1223, 1226,
2056 c.c.); ciò non esclude che l’interprete possa ritenere applicabili – anche in assenza di rinvio
– le norme codicistiche con coordinamento possibile tra legge speciale e legislazione ordinaria.
Ma il mancato inserimento delle nuove disposizioni sulla r.c.a. per quanto attiene al danno
biologico o danno alla salute nell’ambito codicistico e la recente normativa sul danno INAIL di
cui al d. lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 rendono difficile e problematica anche quella convergenza
applicativa parziale che si dovrebbe realizzare in tema di surroga prevista dall’art. 1916 c.c.,
perché tra le due normative permangono profili sostanziali di rilevante diversità non egualmente
compatibili fra loro in sede interpretativa.
Nessun coordinamento, infine, si rinviene alla disciplina dell’indennizzo del danno biologico in
ambito Inail, col quale la nuova normativa dovrà inevitabilmente essere raccordata. Si pone così
la questione se sia concepibile che la lesione della salute generi un danno diverso a seconda che
sia risarcito dall’assicuratore r.c.a. od indennizzato dall’ Inail. E tuttavia, come si è visto, le
definizioni di cui all’art. 5, comma 3, l.n. 57/2001 e 13 d.lgs. 38/2000 non sono perfettamente
sovrapponibili, né il legislatore si è premurato di stabilire un identico baréme per la valutazione
medico legale del danno biologico in ambito Inail ed in ambito di responsabilità civile.
5. – Conclusioni.
Il sistema che, per sommi capi (e ai fini di questo nostro incontro), si è cercato di delineare
evidenzia e/o suggerisce – ovviamente – una infinità di vecchie e nuove questioni; le ultime
attengono, in particolare – è evidente –, alla recente disciplina introdotta dalla legge n. 57 del
2001.
Varie, peraltro, sono e rimangono le prospettive con le quali affrontare tali problematiche
(vecchie o nuove che siano); fra le altre: i) il tendenziale superamento di un sistema di
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responsabilità basato sulla colpa; ii) l’ottica riparatoria; iii) la tutela integrale della persona, iv)
la (politica di) distribuzione sociale dei costi degli incidenti; v) le problematiche assicurative.
Da tutte, peraltro, emerge – pare di intravedere all’orizzonte – un quesito: quello relativo alle
odierne funzioni e logiche del sistema della responsabilità civile.
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