La Stanchezza di Vivere - associazione pitagorica
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La Stanchezza di Vivere - associazione pitagorica
Torino, 22 Dicembre 1952 Bollettino N°. 8 – Anno IV PARLIAMO DELLE COSE CHE INTERESSANO A TUTTI LA STANCHEZZA DI VIVERE “Auff! Sono stanco di vivere!” Una frase come un’altra; una frase che ritorna troppo frequentemente sulle labbra di giovani e di vecchi, ma più insistentemente su quelle di quei giovani che, dalle apparenze esterne, si potrebbero catalogare se non fra i felici, almeno fra i fortunati della vita. “Sono stanco di vivere!” Invano, si chiederebbe loro il perché, non saprebbero spiegarlo. Sono stanchi, ecco tutto! Ed una terribile sincerità vi è in questa loro affermazione. Non che pensino al suicidio, o che non abbiano paura della morte; no! Sono semplicemente affaticati dalla vita; dalla loro vita, come se fosse un peso lungamente portato, che grava sopra le loro braccia tirando giù le scapole, o come di una lunga strada, faticosamente percorsa, che rompe le ginocchia e paralizza il movimento delle anche. Stanchi, trascinando il peso ed i piedi, essi sognano un impossibile riposo. Verrebbe di gridar loro: “ma fermatevi, posate il fardello”, ma ben si sa che non si fermerebbero e che non poserebbero il fardello. Ormai l’allucinazione della stanchezza è divenuta un loro modo di essere, non potranno mai riposare, neppure la morte li riposerebbe, difatti, non pensano alla morte, non dicono: “Vorrei morire”. Non hanno più il potere di voler cosa alcuna... essi costatano di esser stanchi, come un dato di fatto incontrovertibile ed immutabile. La stanchezza del vivere che li possiede, non permette loro astruse speculazioni mentali, comunque, torniamo a domandare, perché sono stanchi? Non da loro, ben inteso, aspettiamo una risposta, sappiamo a priori che non potrebbero darcela. La domanda vogliamo rivolgerla a noi stessi; trovare la risposta nelle analisi pazienti che la conoscenza suggerisce, trovarla soprattutto nella comunione di coscienza che, per un attimo, ci faccia vibrare all’unisono con gli stanchi della vita. Abbiamo affermato che questa forma di stanchezza imperversa più che altro fra i cosiddetti “fortunati”, e grava sopra l’anima dei giovani più che sopra quella dei vecchi. La stanchezza di vivere non è quindi una stanchezza fisica, meno che meno morale: è una stanchezza, diremo, quasi d’ordine spirituale. Lo spirito di queste creature, stanco di un’intollerabile prigionia, è reso asfittico dall’incalzare precipitoso di mille piccoli avvenimenti insulsi che inibiscono, allo spirito stesso, una diretta azione sopra la vita ed una netta decisione della volontà. Più la vita è insulsa, più è pesante: il senso d’inutilità genera nell’anima un vuoto pauroso che, disperatamente, si cerca di riempire con qualcosa, ma questi “qualcosa” sono loro stessi fatti di vuoto, di nulla. L’incalzare degli eventi, sempre più vertiginoso, stordisce senza interessare, e la mancanza d’interesse genera la noia che è una specie di morte vivente, un mummificare della sensibilità; un dormiveglia da sonnifero che estenua e stronca invece di placare e ristorare. La noia è alla base della stanchezza di vivere ed i figli di questa generazione sono paurosamente annoiati. Per uscir dalla noia inventano le più bizzarre esplicazioni, specie di favolosi giocattoli meccanici che poi lasciano arrugginire inutilizzati, infatti, appena creati dal pensiero, subito se ne stancano e non hanno voglia di fare il lieve movimento che occorrerebbe per rimetterli in moto. Senza autentiche preoccupazioni, senza veri valori, essi sono sempre preoccupati, ansiosi, angosciati, quasi spaventati dall’impresa di vivere. Diceva il grande naturalista Buffon: “Vi è nulla di più difficile di ciò che sembra facile”. Oggi il vivere sembra facile, ma quali difficoltà si presentano ad ogni piè sospinto?! Senza olio la lampada non arde, senza una fede la vita non risplende e, i figli di quest’epoca, non sanno cosa sia fede, ardor di conquista, volontà di battaglia. E’ tutto troppo facile per loro, perciò essi si stancano di fronte al poco interessante gioco della vita. La frenesia dei godimenti a buon prezzo, dei divertimenti facili, del lavoro compensato ad oltranza, il progressivo sparire dalla coscienza di quegli stati inibitori che si traducevano in impulsi di vitalità e di volontà, che avevano nomi come: “Onestà, Ardire, Risparmio, Decoro, Rispetto”, hanno causato uno svuotamento interiore dei valori cocienziali ed il disperdersi del senso di personale responsabilità in un abulico fluttuare di emozioni e di commozioni, ha fatto il resto. Questi esseri, oppressi dalla stanchezza di vivere, in realtà sono semplicemente dei “vissuti dalla vita”, essi sono estranei a tutto ciò che è volontà individuale o cosmica e, più ancora che trascinarsi, sono trascinati come radici di alberi marcite che da tempo sono diventati cenere. La stanchezza che intieramente li possiede denota la completa assenza di facoltà interiori soprattutto, ripetiamo, denota l’assenza assoluta di una qualsiasi fede, mancanza di fede che produce l’asfissia dello spirito e la paralisi della coscienza. Colui che non crede in nulla e in nessuno, neppure in sé stesso è un morto vivo che abbisogna soltanto di sepoltura. In quest’epoca così caotica, all’ipocrisia di un’ostentata religione (tutto è divenuto religione, perfino le partite di calcio) risponde, in realtà, la peggior forma di ateismo religioso e morale che è quello dell’assenteismo. Ognuno cerca di assentarsi, di non immischiarsi, di non esprimersi ed ecco la noia, l’angoscia del vivere, la stanchezza, il non interesse e, per contrasto, l’insorgere di criminalità, di delinquenza senza ragione e senza scopo... il male più stupido e più innaturale! Vi è un rimedio a questo penoso stato di cose? Sì, Qualcuno, due millenni or sono, lo insegnò! “Venite a Me, o voi che siete affaticati e oppressi, ed Io vi solleverò!” Anche allora vi erano gli “stanchi di vivere” ed è a costoro che il Cristo si rivolge! L’altra stanchezza, quella naturale, che si acquieta nel sonno o nella morte, non Lo interessa. A questa stanchezza dell’anima che non potrà mai aver riposo, Cristo si rivolge con amore, ma anche con sdegno. Non va incontro agli stanchi, agli affaticati, ma esige che siano essi a muoversi verso di Lui. Egli promette che il Suo “…giogo è soave, che il Suo peso è leggero”, ma non nasconde che prepara loro un giogo! Li guarirà dalla stanchezza esigendo il massimo sforzo, toglierà loro il peso della vita sostituendolo con quello della responsabilità. “Venite a Me!” cioè uscite dall’ignavia, scuotetevi dalla miseria di egoismi gretti e meschini che vi avvolge, interessatevi allo stupendo gioco della vita divenendone parte attiva. Non basta non essere malvagi, bisogna esser buoni; non basta non esser incatenati, bisogna “saper” essere liberi; non basta credere in Dio, bisogna amarLo! Chi ama opera per compiacere l’amato! Chi ama combatte, conquista per l’amato, chi ama, infine, non sente alcun peso nel servire l’amato. Mai come oggi l’umanità ha bisogno di ricordare le parole del coraggio; mai come oggi è divenuto necessario per l’uomo rispecchiarsi in Cristo, ma non già in un Cristo stereotipo che, languidamente, fa l’occhiolino da un altare, bensì il Cristo vivente ed operante, il Cristo combattivo ed attivo che poteva dire a Maria: “Tu hai scelto la parte migliore” e a Marta: ”Marta, Marta a che ti affatichi in queste cose di nessun conto?” in effetti, la parte scelta da Maria non era un placido dormiveglia dell’estasi, ma un potente operare interno del pensiero. Che si possa rinunciare a vivere, per vivere più intensamente, Egli lo insegna, sempre però che questa rinuncia sia una cosciente presa di posizione nella vita, non importa se contro la vita. Cristo aborrisce il lasciarsi vivere, aborrisce ogni forma di ignavia! L’ozio, sia esso fisico o morale, non è solo il padre dei vizi, ma è fratello gemello di Satana. Colui che dall’ozio si lascia prendere, che nella pigrizia dell’essere indulge, che rifiuta la sua parte di combattimento, di azione, non è solo un uomo dappoco, bensì è un nemico dello Spirito Santo, un nemico dell’umanità e l’umanità, che è la vita stessa, lo respinge da sé, infatti, mai come oggi gli uomini sono stati nemici dell’Umanità. Leviamoci dunque ed andiamo incontro a Cristo affinché ci ponga sul collo (che ha cessato di esser superbo, quando la fronte dell’uomo cessò di esser fiera) quel giogo, che piegandoci a forza verso nostra madre che è la Terra, ci faccia come il gigante Anteo, capaci di aspirare al cielo. Egli ci prenda per mano, ci conduca e ci additi, se vuole, anche la mèta del Calvario o altrimenti ci additi “una” mèta ed esiga che noi la raggiungiamo, sia il nostro capo, il nostro mentore e ci rinnovi riscattandoci da noi stessi, poiché noi Tutti abbisogniamo di Lui! La nostra stanchezza potrà solamente aver riposo nel Suo lavoro, e solamente nel Suo monito, la nostra flaccida indifferenza potrà riaccendersi d’entusiasmo e d’interesse. Che Egli mandi, dunque, il Suo Spirito e tutto sulla Terra sarà rinnovato. *********