Foglio n. 385 - Parrocchia Sant`Angela Merici
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Foglio n. 385 - Parrocchia Sant`Angela Merici
ottobre 2009 F orse più di qualcuno si sarà chiesto cosa abbia indotto Benedetto XVI a proclamare l’Anno Sacerdotale nella ricorrenza del 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. Nella lettera di indizione il Papa esplicita così le sue preoccupazioni: «Il pensiero va alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti… Ci sono purtroppo anche situazione in cui è la Chiesa stessa a soffrire l’infedeltà di alcuni suoi ministri… ciò che può giovare alla Chiesa è una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio». Il nostro Arcivescovo nel riprendere il percorso pastorale diocesano suggerisce che l’Anno sacerdotale possa essere l’occasione per tutti i fedeli «affinché riconoscano la dignità della propria vocazione ad essere figli di Dio e si dispongano a offrire il sacrificio gradito a Dio, che è la vita secondo lo Spirito». Un invito dunque a riscoprire il sacerdozio che nel Battesimo ci immerge tutti, ministri e popolo di Dio, nel servizio di Dio e dei fratelli. Ma questo vocabolario, sacerdozio, sacrificio… non è un vocabolario oggi facilmente recepibile. Per motivi diversi anche per le prime generazioni cristiane non è stato facile utilizzare il vocabolario «sacerdotale» sia in riferimento a Gesù, sia in riferimento alla Chiesa e alle diverse figure ministeriali che mano a mano la caratterizzavano. Parlare di tempio, di sacerdoti, di sacrifici… comportava inevitabilmente l’affacciarsi alla mente di ogni interlocutore di una molteplicità di immagini precise, legate al culto ebraico o pagano, a significati secolari, sedimentati, espressioni di modi di comprendere e di rapportarsi a Dio o alle divinità decisamente superati e contraddetti dalla grande novità di Cristo. Analogamente anche per noi oggi avvicinarci a queste parole può innescare delle precomprensioni fuorvianti e dannose. Parlare di «sacerdoti» e di «anno sacerdotale» istintivamente fa pensare che stiamo parlando di qualcosa legato al culto, ad un ambito molto specifico dell’esperienza cristiana, ben distinto e persino un po’ distaccato dalla vita ordinaria. Riprendere in mano alcune pagine del Primo Testamento potrebbe aiutarci a cogliere proprio nel suo sorgere la profondità, la sorprendente novità e la perenne bellezza del rapporto tra i figli di Abramo, nostro padre nella fede e il Dio che è venuto loro incontro e si è fatto protagonista e compagno del loro cammino. I figli di Giacobbe in Egitto avevano conosciuto la grandiosità dei templi egiziani, la solennità e la misteriosità dei riti e dei sacrifici che vi si praticavano. Ma liberati in maniera inaspettata e assolutamente sorprendente dalla condizione di schiavitù in cui erano confinati, si sono trovati a compiere un cammino oscuro e insopportabilmente lungo e difficile verso una terra promessa in cui tutto sarebbe stato comunque da immaginare e costruire: case, città, campi, organizzazione sociale… e forse anche dei luoghi e dei segni per onorare questo Dio dei padri che non li aveva dimenticati. Ma nell’esperienza del deserto questo popolo non ha né templi, né sacerdoti per offrire sacrifici, per andare a chiedere una benedizione su una iniziativa intrapresa, una profezia o un segno beneaugurante per il proprio futuro, un aiuto di fronte a un pericolo…. Vivevano nella precarietà più assoluta. In questa realtà di assoluta spogliazione il popolo di Israele viene introdotto alle novità essenziali del rapporto con il Dio unico, diverso da ogni immagine divina incontrata tra gli altri popoli. È a partire da questa idea di separazione di un Dio che è il Santo, il separato, il totalmente altro, e che poi si è separato un popolo che gli appartenesse in modo speciale, e che all’interno del popolo Egli si è separato una tribù, quella di Levi, e che all’interno della tribù si è separato il casato di Aronne… è arrivato fino a separarsi un Sommo Sacerdote. Seguendo questa via di separazione Israele è arrivato ad avere un soggetto unico, capace di fare da punto di contatto con il divino e in grado di portare la benedizione divina sul popolo. La Scrittura sul sacerdozio di Gesù non dice nulla. Per anni nella predicazione apostolica non risulta nulla del genere, solo nella lettera agli Ebrei, l’autore riconosce che Gesù ha manifestato in se stesso il volto perfetto e definitivo del sacerdozio della nuova alleanza, in tutta la sua vita e soprattutto nell’evento centrale della sua passione, morte e risurrezione. In questo evento della sua morte e risurrezione Gesù compie una decisiva opera di mediazione perché riconcilia l’umanità con Dio: quindi Gesù si può dire che ha compiuto una mediazione tipicamente sacerdotale, ma se il sacerdote è colui che compie il sacrificio, si dovrebbe dire che sono stati gli uccisori del Cristo ad aver compiuto l’atto sacerdotale. In realtà l’atto sacerdotale è la sua volontà di offerta, cioè la sua libera donazione. Non è il fatto in sé della uccisione e del versamento del sangue ad essere sacerdotale, quanto piuttosto l’obbedienza fino alla morte, il dono di sé. Il Cristo mette così gli uomini in comunione con Dio e li rende a loro volta sacerdoti, cioè capaci di creare l’incontro fra Dio e l’uomo. La chiesa appartiene a questo sacerdozio e partecipa di questo sacerdozio. Ogni cristiano in quanto battezzato diventa partecipe del sacerdozio di Cristo, viene abilitato all’incontro con Dio e diviene strumento dell’incontro con Dio e come Cristo può fare della propria vita un dono, un sacrificio a lui gradito. Quindi i riti, inefficaci, sono stati sostituiti dall’unico rito efficace, che consiste nell’offerta della propria vita. Questo potrebbe suscitare in ciascuno di noi anzitutto un atteggiamento di stupore che accompagna la gratitudine per il gesto di donazione totale che il Signore, il Figlio di Dio ha fatto per ognuno di noi. Il cristiano si scopre termine di un dono gratuito, immenso e immeritato e contemplerà il sacramento di questo totale, il memoriale della Pasqua di Gesù. In secondo luogo, il discepolo contemplando questo amore di Dio non potrà non tendere a un’esistenza eucaristica «l’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi» (Benedetto XVI). p.Giuseppe FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 2 MAGISTERO Il messaggio di papa Benedetto XVI per la Giornata missionaria mondiale 2009 In questa domenica, dedicata alle missioni, mi rivolgo innanzitutto a voi, Fratelli nel ministero episcopale e sacerdotale, e poi anche a voi, fratelli e sorelle dell’intero Popolo di Dio, per esortare ciascuno a ravvivare in sé la consapevolezza del mandato missionario di Cristo di fare “discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19), sulle orme di san Paolo, l’Apostolo delle Genti. “Le nazioni cammineranno alla sua luce” (Ap 21,24). Scopo della missione della Chiesa infatti è di illuminare con la luce del Vangelo tutti i popoli nel loro cammino storico verso Dio, perché in Lui abbiano la loro piena realizzazione ed il loro compimento. Dobbiamo sentire 1’ansia e la passione di illuminare tutti i popoli, con la luce di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa, perché tutti si raccolgano nell’unica famiglia umana, sotto la paternità amorevole di Dio. È in questa prospettiva che i discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze e donano la vita. Riaffermo con forza quanto più volte è stato detto dai miei venerati Predecessori: la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell’umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata, perché crediamo che “l’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo... è senza alcun dubbio un servizio reso non 3 solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità” (Evangelii nuntiandi, 1), che “conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza” (Redemptoris missio, 2). 1. Tutti i Popoli chiamati alla salvezza L’umanità intera, in verità, ha la vocazione radicale di ritornare alla sua sorgente, che è Dio, nel Quale solo troverà il suo compimento finale mediante la restaurazione di tutte le cose in Cristo. La dispersione, la molteplicità, il conflitto, l’inimicizia saranno rappacificate e riconciliate mediante il sangue della Croce, e ricondotte all’unità. L’inizio nuovo è già cominciato con la risurrezione e l’esaltazione di Cristo, che attrae tutte le cose a sé, le rinnova, le rende partecipi dell’eterna gioia di Dio. Il futuro della nuova creazione brilla già nel nostro mondo ed accende, anche se tra contraddizioni e sofferenze, la speranza di vita nuova. La missione della Chiesa è quella di “contagiare” di speranza tutti i popoli. Per questo Cristo chiama, giustifica, santifica e invia i suoi discepoli ad annunciare il Regno di Dio, perché tutte le nazioni diventino Popolo di Dio. È solo in tale missione che si comprende ed autentica il vero cammino storico dell’umanità. La missione universale deve divenire una costante fondamentale della vita della Chiesa. Annunciare il Vangelo deve essere per noi, come già per l’apostolo Paolo, impegno impreteribile e primario. PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI 2. Chiesa pellegrina La Chiesa universale, senza confini e senza frontiere, si sente responsabile dell’annuncio del Vangelo di fronte a popoli interi (cfr Evangelii nuntiandi, 53). Essa, germe di speranza per vocazione, deve continuare il servizio di Cristo al mondo. La sua missione e il suo servizio non sono a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che si esauriscono nel quadro dell’esistenza temporale, ma di una salvezza trascendente, che si attua nel Regno di Dio (cfr Evangelii nuntiandi, 27). Questo Regno, pur essendo nella sua completezza escatologico e non di questo mondo (cfr Gv 18,36), è anche in questo mondo e nella sua storia forza di giustizia, di pace, di vera libertà e di rispetto della dignità di ogni uomo. La Chiesa mira a trasformare il mondo con la proclamazione del Vangelo dell’amore, “che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire e... in questo modo di far entrare la luce di Dio nel mondo” (Deus caritas est, 39). È a questa missione e servizio che, anche con questo Messaggio, chiamo a partecipare tutti i membri e le istituzioni della Chiesa. 3. Missio ad gentes La missione della Chiesa, perciò, è quella di chiamare tutti i popoli alla salvezza operata da Dio tramite il Figlio suo incarnato. È necessario pertanto rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo, che è fermento di libertà e di progresso, di fraternità, di unità e di pace (cfr Ad gentes, 8). Voglio “nuovamente confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa” (Evangelii nuntiandi, 14), compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale rendono ancor più urgenFOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 ti. È in questione la salvezza eterna delle persone, il fine e compimento stesso della storia umana e dell’universo. Animati e ispirati dall’Apostolo delle genti, dobbiamo essere coscienti che Dio ha un popolo numeroso in tutte le città percorse anche dagli apostoli di oggi (cfr At 18,10). Infatti “la promessa è per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro” (At 2,39). La Chiesa intera deve impegnarsi nella missio ad gentes, fino a che la sovranità salvifica di Cristo non sia pienamente realizzata: “Al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a Lui sottomessa” (Eb 2,8). 4. Chiamati ad evangelizzare anche mediante il martirio In questa Giornata dedicata alle missioni, ricordo nella preghiera coloro che della loro vita hanno fatto un’esclusiva consacrazione al lavoro di evangelizzazione. Una menzione particolare è per quelle Chiese locali, e per quei missionari e missionarie che si trovano a testimoniare e diffondere il Regno di Dio in situazioni di persecuzione, con forme di oppressione che vanno dalla discriminazione sociale fino al carcere, alla tortura e alla morte. Non sono pochi quelli che attualmente sono messi a morte a causa del suo “Nome”. È ancora di tremenda attualità quanto scriveva il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II: “La memoria giubilare ci ha aperto uno scenario sorprendente, mostrandoci il nostro tempo particolarmente ricco di testimoni che, in un modo o nell’altro, hanno saputo vivere il Vangelo in situazioni di ostilità e persecuzione, spesso fino a dare la prova suprema del sangue” (Novo millennio ineunte, 41). La partecipazione alla missione di Cristo, 4 infatti, contrassegna anche il vivere degli annunciatori del Vangelo, cui è riservato lo stesso destino del loro Maestro. “Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20). La Chiesa si pone sulla stessa via e subisce la stessa sorte di Cristo, perché non agisce in base ad una logica umana o contando sulle ragioni della forza, ma seguendo la via della Croce e facendosi, in obbedienza filiale al Padre, testimone e compagna di viaggio di questa umanità. Alle Chiese antiche come a quelle di recente fondazione ricordo che sono poste dal Signore come sale della terra e luce del mondo, chiamate a diffondere Cristo, Luce delle genti, fino agli estremi confini della terra. La missio ad gentes deve costituire la priorità dei loro piani pastorali. Alle Pontificie Opere Missionarie va il mio ringraziamento e incoraggiamento per l’indispensabile lavoro che assicurano di animazione, formazione missionaria e aiuto economico alle giovani Chiese. Attraverso queste Istituzioni pontificie si realizza in maniera mirabile la comunione tra le Chiese, con lo scambio di doni, nella sollecitudine vicendevole e nella comune progettualità missionaria. 5. Conclusione La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità delle nostre Chiese (cfr Redemptoris missio, 2). È necessario, tuttavia, riaffermare che l’evangelizzazione è opera dello Spirito e che prima ancora di essere azione è testimonianza e irradiazione della luce di Cristo (cfr Redemptoris missio, 26) da parte della Chiesa locale, la quale invia i suoi missionari e missionarie per spingersi oltre le sue frontiere. Chiedo perciò a tutti i cattolici di pregare lo Spirito Santo perché accresca nella Chiesa la passione per la missione di diffondere il Regno di Dio e di sostenere i missionari, le missionarie e le comunità cristiane impegnate in prima linea in questa missione, talvolta in ambienti ostili di persecuzione. Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un segno credibile di comunione tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta attraversando l’umanità, per mettere le giovani Chiese locali in condizione di illuminare le genti con il Vangelo della carità. Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza “sino all’estremità della terra” (At 13,47). A tutti la mia Benedizione. Vaticano, 29 giugno 2009 Dal 10 al 20 novembre una piccola delegazione della nostra parrocchia (Giovanna Decio, Tata e Luigi Mapelli) accompagna il Provinciale dei Sacramentini nella visita alla missione di Ndoumbi (Camerun) in occasione dell’inaugurazione della nuova chiesa alla quale abbiamo dedicato la campagna quaresimale). 5 PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI VITA DIOCESANA Don Carlo Gnocchi proclamato beato il prossimo 25 ottobre la lettera dell’Arcivescovo alla Diocesi Carissimi fedeli, con profonda gioia comunico la “buona notizia” che il santo Padre Benedetto XVI ha stabilito che il venerabile servo di Dio don Carlo Gnocchi, compiutosi il processo canonico, venga proclamato Beato qui a Milano il prossimo 25 ottobre, anniversario della sua nascita avvenuta a San Colombano al Lambro nel 1902. Così un altro figlio della nostra Diocesi, un nostro sacerdote, con la sua beatificazione renderà ancora più ricca la già numerosa schiera di Beati e di Santi ambrosiani che veneriamo come intercessori presso il Signore e luminosi esempi di vita. Ordinato sacerdote nel 1925, don Carlo fu assistente di oratorio prima a Cernusco sul Naviglio, poi nella parrocchia di san Pietro in Sala a Milano e nel 1936 venne nominato direttore spirituale all’Istituto Gonzaga dei “Fratelli delle Scuole Cristiane”. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, arruolato come cappellano degli alpini, partecipò alla campagna di Albania e di Russia. Il suo animo rimase profondamente segnato dalla tragica ritirata di Russia, durante la quale ebbe modo di prodigarsi con eroica dedizione ad assistere gli alpini feriti e morenti, raccogliendone le ultime volontà e accompagnandoli all’incontro con Dio. Questa esperienza di dolore fece maturare in lui il progetto di dedicarsi pienamente ai sofferenti. Nacque così la “Fondazione Pro Juventute”, ora “Fondazione don Carlo Gnocchi”, nella quale furono accolti tantissimi ragazzi provati dal dolore e da lui curati con amore paterno, delicato e forte. Erano ragazzi vittime innocenti della devastazione della Seconda guerra mondiale: bimbi mutilati, orfani di quegli alpini che aveva accompagnato e assistito nel gelo della steppa russa, bambini abbandonati, ragazzi sofferenti a causa della poliomielite, esplosa drammaticamente proprio in quegli anni. Di tutto questo “dolore innocente” don Carlo volle essere custode e ministro, perché non fosse disperso, ma raccolto e trasfigurato dall’amore di Cristo crocifisso e risorto. Consumato dalla fatica e dalla malattia, don Carlo morì la sera del 28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto profetico, quando in Italia il trapianto di organi non era ancora diffuso, fu la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti. I più anziani fra noi potranno ricordare i suoi funerali, celebrati in Duomo dall’Arcivescovo Giovanni Battista Montini e seguiti da una folla quanto mai imponente di fedeli. Toccanti furono le parole di un bambino, uno dei suoi ragazzi, portato al microfono per un ultimo saluto: “ Prima ti dicevo ciao don Carlo, adesso ti dico ciao san Carlo”. In tutta la sua vita, don Gnocchi fu “seminatore di speranza” – così lo definì Giovanni Paolo II -, tracciando così un luminoso sentiero di amore nel buio del dolore innocente. Fu un prete che in anni assai tormentati seppe con convinzione ed entusiasmo dare fiducia ai giovani e credere fermamente nel valore “santo” del dolore, soprattutto di quello innocente dei bambini. Fu un vero uomo di Dio, totalmente affidato al Signore Gesù, “roveto ardente” della sua vita, del suo ministero e del suo slancio apostolico. Maria Santissima, la Vergine Madre alla quale don Carlo dedicò tutti i suoi centri e affidò i suoi ragazzi, ci doni ora di seguire con umile coraggio il suo esempio, diventando noi pure - con rinnovato e più generoso amore verso i fratelli bisognosi, soli e disagiati, malati e sofferenti - autentici “seminatori di speranza”. + Dionigi card. Tettamanzi, Arcivescovo di Milano FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 6 ANNO SACERDOTALE/2 Proseguiamo il nostro itinerario alla riscoperta di cristiani e cristiane del nostro tempo che hanno vissuto con particolare intensità e autenticità il sacerdozio battesimale nelle più diverse condizioni di vita. Il Vangelo tra i musulmani: Annalena Tonelli “Io non sono né missionaria, né laica. Sono totalmente consacrata a Dio e ai poveri” Annalena Tonelli (Forlì, 2 aprile 1943 - Borama, 5 ottobre 2003) non ha mai desiderato parlare di sé, ma trascorrendo la sua vita in silenzio e in coerenza con il vangelo, prima nella sua città natale e poi per 35 anni in terra musulmana, ha inventato e fatto conoscere ai tanti che l’hanno incontrata una nuova speranza e una vita migliore. Gli anni dei suoi studi universitari sono gli anni attraversati dai grandi fermenti del Concilio e Annalena, anche appassionandosi alle testimonianze di vita e agli insegnamenti di Francesco d’Assisi, Charles de Foucauld, don Milani, don Mazzolari, Gandhi, avverte l’esigenza di un ritorno alla radicalità del vangelo e di un forte impegno a favore dei più poveri. Ottenuta la laurea in legge a Bologna, per sei anni è al servizio dei più bisognosi e emarginati nel quartiere più trascurato della sua città. Quindi fonda il Comitato per la Lotta contro la Fame nel Mondo di Forlì, che ancora oggi ne prosegue l’opera. Sentendo fortemente il desiderio di condividere pienamente la condizione dei poveri, nel 1969 decide di partire per l’Africa. Vivrà in Kenia, nel deserto, in un villaggio di tribù nomadi, poverissime e rigidamente musulmane. Insieme ad un’amica, che l’ha raggiunta, vive in fraternità e preghiera. Si trova di fronte alle vittime della tubercolosi, allontanate dalle famiglie, abbandonate da tutti per la paura del contagio, condannate ad una fine lenta. Li accoglie, li veste. Apre una piccola struttura di cura, che pian piano con gli aiuti del Comitato, amplia. Cura i malati con sempre maggiore competenza, che acquisisce anche attraverso studi di medicina e specializzazioni nella cura della tubercolosi e in malattie tropicali. Inizia a sperimentare un nuovo metodo per la cura della TBC, metodo in seguito adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e che ancora oggi è applicato in tutto il mondo. Malgrado il fisico minuto, Annalena ha una grande forza fisica e una buona dose di coraggio che le permette di non piegarsi di fronte ai ricatti e alle prepotenze dei capi locali. Nel 1984 l’operato delle autorità del Kenia avrebbe portato allo sterminio di una tribù del deserto. Le sue denunce pubbliche evitano il genocidio. Arrestata, viene portata davanti alla corte marziale, quindi espulsa. Dopo un anno torna in Africa, questa volta in Somalia. Negli ultimi sette anni vive in a Borama, una cittadina vicino alla frontiera con l’Etiopia., fatta di baracche di legno affacciate su strade polverose, dove riattiva un ospedale e un ambulatorio per la cura e la prevenzione della tubercolosi e dell’AIDS, curando un migliaio circa di malati a un ritmo intensissimo di lavoro. Oltre alle cure mediche, avvia anche corsi di istruzione sanitaria al personale paramedico, una scuola per bambini sordomuti e handicappati fisici, una scuola di lingua inglese, di insegnamento del Corano, in cui vengono accolti bambini e adulti malati. “Con l’educazione l’uomo fiorisce 7 PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI più facilmente in una creatura capace di vivere in Dio suo creatore e datore di ogni bene”, così si esprime Annalena. L’Organizzazione Mondiale della Sanità le fornisce medicinali essenziali e Annalena provvede alla spesa del mantenimento della struttura ospedaliera, agli stipendi per il personale, al cibo per i pazienti, a mantenere le attrezzature scolastiche... Il Comitato per la Lotta contro la fame nel Mondo di Forlì, in contatto con lei quasi giornaliero, via fax, le invia medicinali, materiale sanitario e didattico, denaro. Annalena sa di rischiare, stando – da sola, donna e bianca, non sposata e cristiana – in un contesto integralmente musulmano, nel quale “non c’è nessun cristiano con cui io possa condividere, dove due volte all’anno, intorno a Natale e Pasqua, il vescovo di Djibuti viene a dire la Messa per me e con me”. Ringraziava Dio per il dono più grande che aveva ricevuto nella sua vita: “I miei nomadi del deserto. Musulmani, loro mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico ma è rocciosa e arroccata in Dio. I miei nomadi mi hanno insegnato a far tutto in nome di Dio”. Credeva nel dialogo. “Il dialogo con le altre religioni è questo. E’ condivisione. Non c’è bisogno quasi di parole. Il dialogo è vita vissuta, almeno io lo vivo così”. Capace di perdonare anche chi aveva tentato di ammazzarla per le sue prese di posizione contro predoni, fondamentalisti islamici e capi clan, che rubavano il denaro e i viveri inviati per sostenere i poveri, con la sua tenace dimostrazione di amore gratuito ha colpito tante delle innumerevoli persone che ha accostato nella sua intensa attività in Africa. Solo alla luce di questo si capisce come mai donne musulmane avessero accettato che una straniera (per di più cristiana) insegnasse loro – ben prima che la lotta alle mutilazioni genitali emergesse nei paesi europei - come liberarsi da una pratica antica e disumana.. Il paradosso è che a capire in profondità il segreto di questa donna umile è stato proprio un vecchio capo musulmano, che confidò una volta alla missionaria italiana: “Noi musulmani abbiamo la fede, voi l’amore.” Il 5 giugno 2003 a Ginevra le viene assegnato da parte dell’ONU il prestigioso premio Nansen, con il quale le viene riconosciuto “l’impegno eccezionale per migliorare la sorte di coloro che in Somalia non hanno alcuna protezione”. Annalena è deceduta in seguito ad un attentato a Borama il 5 ottobre 2003, per mano di un ragazzo, con un colpo di arma da fuoco, davanti all’ospedale da lei stessa fatto costruire, dove aveva appena terminato la visita serale ai suoi degenti. Su pressante invito del Vaticano, Annalena ha lasciato una lunga e coinvolgente testimonianza ad un convegno sul volontariato (30 novembre 2001), da cui sono riprese le citazioni riportate in questo scritto. Dice tra l’altro:“La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che Dio c’è e che lui è un Dio d’amore.” “Nella mia vita non c’è rinuncia, non c’è sacrificio. La mia è pura felicità. Non c’è che una tristezza al mondo: quella di non amare.” Annalena ha dimostrato con la sua testimonianza di vita come una persona da sola, senza appartenere a nessuna organizzazione, ma che crede fino in fondo in quello che fa, possa mettere in atto cambiamenti tali da migliorare nettamente la vita degli altri. Antonia Amigoni FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 8 DIALOGO A proposito di dialogo cristiano-islamico In occasione della IX giornata per il dialogo cristiano-islamico che si celebra martedì 27 ottobre proponiamo qui di seguito la bella testimonianza di una giovane coppia che vive nel territorio della parrocchia. Siamo Marta e Badr, una coppia mista: io, Marta, sono italiana, nata e vissuta a Milano e mio marito, Badr, è marocchino, nato e vissuto a Meknes. Non è semplice raccontarsi, quello che stiamo scrivendo qui è un piccolo pezzo della nostra storia personale, e come ogni storia di amore è peculiare e singolare; noi due, in più rispetto alle coppie tradizionali, abbiamo da raccontare l’incontro tra due religioni, due culture e tradizioni differenti. A nostro avviso, però, è importante dare risalto al denominatore comune da cui si parte per raccontarsi e per raccontare le nostre differenze: l’amore che ci unisce. Il nostro incontro ha luogo durante una vacanza trascorsa in Marocco, nel 1999; nasce improvvisamente e inaspettatamente una storia intensa, fatta di passione, attrazione, curiosità, libertà, e da parte mia da una sorta di scoperta di “appartenenza”. Il mio cuore, forse per la prima volta con tanta intensità, si apre; si apre non solo nei confronti di Badr, ma anche della sua famiglia, dei suoi affetti, dei suoi luoghi e della gente. Irrompe in me una possibilità, la possibilità di poter vivere riscoprendo valori e tradizioni, qualità queste, che sempre meno nelle nostre società sono presenti e valorizzati, rimanendo fedele al mio principio di libertà e indipendenza. Intravedo l’opportunità di coniugare due modi differenti di vita per arricchire le nostre visioni; le nostre differenze e i nostri 9 mondi piano piano diventano porte che schiudono ricchezze. Ma contestualmente c’è la paura, la paura per una religione, l’islam, così tanto demonizzato e verso il quale manteniamo innumerevoli pregiudizi; contrariamente a noi, che nutriamo timore e diffidenza, ho scoperto sorprendentemente, frequentando la sua numerosa famiglia, quanto loro abbiano a cuore l’altro, chiunque lui sia. L’altro è qualcuno da incontrare e ascoltare, senza pregiudizio, la curiosità verso l’altro da sé ti offre la possibilità di conoscerlo attraverso il contatto e il dialogo. Fantasticare un mondo di pari, quando siamo tutti diversi, non ci rende flessibili, soltanto presuntuosi (non voglio assolutamente generalizzare, questa è semplicemente la mia esperienza di vita). Ritornando a noi due, la nostra storia ha avuto un inizio travagliato, un inizio di lontananza (io a Milano e Badr a Meknes), fatto di incontri e separazioni, di comprensioni e di diffidenze, insomma in una parola semplice: una partenza difficile, ma c’è sempre stato il profondo desiderio di non perdersi. Poi finalmente le distanze si annullano: Badr arriva in Italia e iniziamo a vivere insieme qui a Milano, ci sposiamo e iniziamo a progettare e sognare il nostro futuro insieme. Stiamo compiendo in questi giorni il nostro secondo anno di matrimonio e devo sinceramente ringraziare Badr che con il suo coraggio mi ha presa per mano e mi PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI ha aiutata a superare la paura delle differenze; sì, è la paura il maggior nemico, ma vinta questa ciò che si svela è positivo, accresce le prospettive e ampia gli orizzonti. Sappiamo entrambi che il dialogo e lo scambio di opinioni è fondamentale affinché si possa trovare l’equilibrio nel rispetto altrui. Il rispetto per la religione dell’altro, il riguardo per le differenze, la cura e l’attenzione verso l’altro sono valori fon- damentali per noi, ma sono anche valori universali. Se avremo il dono di avere dei figli, le nostre due religioni saranno vissute con eguale valore, così come le lingue insegnate, le nostre tradizioni e le nostre culture. La nostra grande speranza e sfida è di poter andare avanti in futuro con la semplicità nell’affrontare le difficoltà, incontrandosi e cercando di valorizzare le differenze. Marta e Badr VITA ECCLESIALE «Il mio sogno è quello di creare il maggior numero di parrocchie» un’intervista a monsignor André Vingt-Trois, vescovo di Parigi Per l’arcivescovo di Parigi, l’avvenire della Chiesa nella capitale passerà sempre più attraverso le parrocchie: sabato 26 settembre scorso ha riunito tutti i Consigli pastorali per esortarli a essere innanzitutto “missionari”. Dal momento della sua nomina nel 2005, come successore del cardinale Lustiger, Lei ha indetto “le Assise per la missione” in tutte le parrocchie parigine. Che bilancio può trarne oggi? Mi sembra che i consigli pastorali parrocchiali ne escano rafforzati e con una maggiore coscienza della loro missione. Questi “cantieri” sono un mezzo per aiutarli a strutturare il loro lavoro. Il rischio per i CPP è quello di non riuscire a vedere sempre chiaramente in quali ambiti investire il loro impegno o di imbarcarsi in progetti troppo pesanti con il risultato di rimanerne schiacciati. I CPP in questo periodo hanno potuto mettere meglio a fuoco e quindi in opera alcune prospettive chiare per l’avvenire. FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 In quale campo Lei ha l’impressione che le parrocchie parigine abbiano investito di più? La solidarietà. Con il Festival della Carità sono apparse delle iniziative concrete, vicine alle situazioni locali e, all’interno della maggior parte delle parrocchie, esiste oggi un Consiglio per la solidarietà. Io stesso sono stupito da come i cristiani di Parigi si impegnino a fondo per la gioventù. Se si fa la somma, quest’estate, fra 800 e 1000 giovani, professionisti o studenti, hanno partecipato ad un raduno proposto dalle diocesi o dalle parrocchie di Parigi. Di questi 350 hanno partecipato al pellegrinaggio degli studenti francesi in Terra Santa. Il loro desiderio è di impegnarsi con maggior decisione nella missione. Penso anche ai 12000 bambini e giovani di cui si fanno carico ogni settimana i patronati di Parigi. Davanti ai Consigli pastorali Lei ha parlato della necessità di una “cultura 10 dell’obiettivo”: un linguaggio nuovo nella Chiesa? Una comunità non può accontentarsi di andare avanti giorno per giorno. Le parrocchie parigine lavorano con mezzi limitati e devono accettare di non impegnarsi a tutto campo. E’ importante saper fare delle scelte, definire un progetto, darsi un limite di tempo, saper fare il punto della situazione e, eventualmente, non rinnovarlo. Bisogna distinguere ciò che è primario per la parrocchia. E’ il principio alla base della vita comunitaria. Io credo che questo approccio sia stato compreso e accettato. Non è stato respinto come illegittimo o peggio ancora sacrilego. Lei ha chiesto ai CPP di ricentrarsi sull’Eucaristia, con particolare riguardo alla messa della domenica. Questo non Le sembra in contraddizione con l’augurio che i cattolici di Parigi siano più missionari? Partecipare all’Eucaristia non impedisce di andare nelle piazze, al contrario! Ma è essenziale ripartire dal cuore della fede, cioè dall’Eucaristia. Quello che è importante non è tanto la nostra capacità di rompere le barriere, quanto piuttosto quella di sapere perché le rompiamo. Il problema dell’evangelizzazione non è quello di organizzare grandi manifestazioni o effetti speciali. Questo tutti lo sanno fare. Evangelizzazione è essere radicati nel Cristo e farlo conoscere attraverso la propria vita. Lei insiste sulla messa della domenica, nonostante che questo giorno venga sempre più banalizzato nella società Se si è arrivati a ridurre così la domenica, riempiendola di troppe cose, è forse perché un bel numero di cristiani non sapeva più che farsene né perché ci tenesse. Qual è il ruolo della Chiesa in una capitale come Parigi? 11 Parigi è per eccellenza il luogo del pluralismo, del relativismo, dove si confrontano quotidianamente differenti sistemi. Non sono differenti solamente gli individui, ma i modi di pensare, le culture, le religioni. In questo confronto la Chiesa può essere tentata sia di cercare il più piccolo denominatore comune, appiattendo le differenze, sia di partire alla conquista del mondo, come se il mondo esterno non avesse mai visto niente e non possedesse alcuna ricchezza. I cristiani di Parigi devono coltivare due atteggiamenti: prima di tutto il dialogo, la capacità di entrare in relazione con persone che non necessariamente hanno le stesse nostre convinzioni, ma che invece hanno qualcosa da insegnarci. E’ fondamentalmente l’intuizione del College des Bernardins: se non si è capaci di comprendere punti di vista differenti, non si può essere nemmeno capaci di intendere il nostro stesso punto di vista. Il secondo atteggiamento è la testimonianza: non si può essere in dialogo se non si è capaci di dire chi siamo e in cosa crediamo. L’avvenire della Chiesa di Parigi passa dunque attraverso le parrocchie? Sì e sempre di più. La parrocchia fa parte del tessuto sociale e lo nutre. Ma, a Parigi, alcune parrocchie sono talmente vaste che la loro animazione richiede una quasiprofessionalità. Come è possibile coltivare relazioni comunitarie quando si hanno parrocchie con 60000 abitanti? Sono state create un buon numero di nuove parrocchie nel corso degli ultimi quindici anni. Ma mancano ancora chiese ed è difficile costruirne: lo spazio è poco e caro; ci si deve battere per ottenere qualche metro quadrato nei nuovi quartieri. Il mio sogno per l’avvenire è di riuscire a creare molte più parrocchie. PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI Un tempo Parigi era una felice eccezione per le vocazioni sacerdotali, ma le cifre recenti mostrano una stasi. Come suscitare un rinnovamento? Le vocazioni non troveranno la loro rinascita in un marketing professionale, ma piuttosto in una generosità di cuore, attraverso un lavoro di ampio respiro presso i giovani e attraverso un’idea più precisa del ruolo del prete nella Chiesa. Quando io invito le comunità cristiane a darsi degli obiettivi chiari, è anche per permettere ai sacerdoti di meglio vivere loro stessi il loro ruolo. L’essere umano non è fatto per vivere in un universo indeterminato. La sua vocazione è quella di scoprire quello che si vive e di indirizzarlo a un progetto. Non solo un progetto personale, ma, per il prete, di identificarsi al progetto della Chiesa di cui l’Eucaristia è la sorgente. Lei è al contempo arcivescovo di una capitale, presidente della conferenza episcopale francese, membro di dicastero a Roma Come riparare a tutto? La prima ricetta è di … credere in Dio! Perché non sono io che faccio vivere la Chiesa, ma Dio; noi non siamo i capitani della barca, è il Signore che ne è il Capitano. D’altro canto, ho degli eccellenti collaboratori e collaboratrici a livello sia nazionale che diocesano: essi non sono dei semplici esecutori, ma sono parte costituente dell’insieme del progetto di Chiesa. Infine tutto ciò è possibile solo se è unificante. Quando vado a Roma, io non abbandono la mia missione di arcivescovo di Parigi. Seguire il Cristo non è sostenere l’accumularsi di incarichi gravosi, ma entrare in un cammino che costruisce la mia vita. Io sono al servizio di una missione unica, quella della Chiesa. (tratto da «La Croix», 1 ottobre 2009 Traduzione di Elisabetta Arenare) Claudia, Daniel e il futuro dei loro ragazzi Avevamo salutato Claudia, Daniel e i loro due figli all’inizio dell’estate quando, dopo l’ennesimo sgombero del campo dove si trovavano, avevano deciso di ritornare in Romania. Sono ricomparsi alla fine di agosto senza i loro figli.Il quadro della loro vita è molto semplice: poverissimi, vivono da stanziali con i nonni paterni in un villaggio quasi esclusivamente abitato da rom. Daniel e Claudia non hanno un mestiere: hanno sempre lavorato nei campi. Come spiega Daniel, al tempo di Ceaucescu tutti dovevano lavorare (se non lo facevi finivi in prigione!) e la terra, patrimonio statale dava lavoro a tutti. Oggi non è più così: quest’anno c’è stato lavoro solo per un mese, sono quindi tornati a Milano per racimolare un gruzzoletto da riportare a casa.I bambini non possono fare questa vita e comunque i loro genitori hanno capito molto bene che la scuola è il solo mezzo per integrarsi e inserirsi nella vita sociale del paese. È così che alcuni di noi si sono assunti un piccolo impegno nei confronti dei due ragazzi: abbiamo deciso di sostenerli inviando loro ogni mese una somma quale “borsa di studio” per frequentare la scuola. Un’amica che lavora in Romania con un’organizzazione umanitaria terrà regolari contatti con il direttore della scuola per verificare la frequenza e i progressi dei due ragazzini. Saremmo felici di vedere che almeno per loro ci possa essere un futuro diverso nel loro paese! Giovanna Benuzzi FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 12 VITA PARROCCHIALE «Signore, dammi la curiosità intellettuale per continuare a cercare. A cercare il tuo volto» Un avvio intenso per gli operatori pastorali L’anno pastorale si apre con due proposte rivolte agli operatori pastorali, di cui la prima è un ritiro spirituale presso un monastero benedettino; il luogo non è proprio comodo da raggiungere ma, superate perplessità e pigrizia, il 26 settembre mattina ci dirigiamo a Dumenza, forse spinti più dal senso del dovere! Ma eccoci qui al primo incontro per operatori pastorali. Siamo poco più di una settantina ad aver aderito; forse i più distanti sono stati soprattutto i giovani; peccato, perché nelle loro mani è il futuro della nostra parrocchia e soprattutto della Chiesa ambrosiana tutta, quella parte di Chiesa a cui il Cardinale Martini spesso si è rivolto con tanto accorato affetto! Ci siamo riuniti qui, lasciando i nostri impegni cittadini, per scoprire che è proprio l’autodonazione che trasforma la vita in atto liturgico, in servizio a Dio, in eucaristia. In quest’opera di discernimento ci guida padre Adalberto, monaco benedettino, attraverso la lettera di S. Paolo apostolo ai Romani (cap 12). I nostri compiti come operatori pastorali, ognuno nel suo ambito, sono un dono di Dio e non un “grado” raggiunto per i nostri meriti; seguire il Cristo significa saper abbandonare la logica mondana. E in questo nostro piccolo sforzo nel raggiungere, magari tra mille “mugugni”, questo splendido monastero, immerso nel verde silenzioso di una collina sulle rive del lago Maggiore, che scopriamo il nostro “ministero” di laici chiamati, convocati! Noi oggi, qui radunati, siamo come i discepoli, convocati da una folla molto più ampia. Ciò che ci viene detto oggi vale per tutti, ma giungerà agli altri se anzitutto sarà stato significativo per noi che siamo stati convocati più vicini, come i discepoli accanto a Gesù presso il lago di Tiberiade. Lungo la strada ci interroghiamo:“Mi sento di lasciarmi convocare? Non radunare una volta ogni tanto, ma convocare con perseveranza? Quali sono le mie resistenze a lasciarmi convocare? Cosa sento dentro di me? Pigrizia, stanchezza, svogliatezza? Paura di impegnarsi?” (card. Carlo Maria Martini, Liberi di credere). Il lasciarsi convocare a volte sarà un piacere, altre volte un impegno più o meno gravoso, noioso, nel quale non si capirà bene che ruolo abbiamo, dove stiamo andando. Ma da questa convocazione scaturisce “una nuova, più matura e più profonda scoperta di Cristo nella nostra vita. Questa è un’avventura meravigliosa. Dalla nuova scoperta di Cristo, quando è autentica, nasce sempre, come diretta conseguenza, il desiderio di portarlo agli altri.” (card. Carlo Maria Martini, Liberi di credere). Siamo in Cristo un unico corpo, dove unità, diversità, reciprocità rimangono in dialogo, perché l’unità non divenga uniformità, la diversità non degeneri in competizione e la reciprocità non si rinchiuda nella solitudine! Il padre benedettino ci insegna come ogni nostro carisma debba essere messo a frutto nel servizio della comunità e non rinchiuso nella passività e come ogni servizio abbia il suo valore. Il servizio alla comunità mantiene un carattere evangelico solo se svolto nella semplicità, nella dedizione e nella gioia, cioè se avviene senza pieghe, senza secondi fini. Questo implica che mettiamo da parte ogni 13 PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI presunzione e ogni ricerca di gratificazione personale. Il secondo incontro si svolge la sera del 6 ottobre nei locali della parrocchia ed è guidato dal teologo Luca Bressan sul tema Preti, diaconi, laici. Ministeri immaginati, trasformazioni subite. Il titolo incuriosisce ma non prelude ad alcun discorso altisonante, niente retorica, solo la fede declinata nel quotidiano, nelle mille fatiche di una Chiesa che a volte sembra arrancare dietro ai tempi, pur nell’impegno costante del discernimento. “Forse la Chiesa è sempre un passo indietro perché i tempi cambiano troppo velocemente?”, si chiede Bressan. Forse in un mondo dove tutto viene misurato in termini di risultati, siamo tutti troppo concentrati a vagliare l’efficienza della Chiesa, ci affanniamo per trovare rimedi alla carenza di vocazioni, per rendere le nostre parrocchie più efficienti, la pastorale più incisiva, impieghiamo risorse e dimentichiamo che “noi siamo di Cristo, ed è la sua forza che agisce all’interno della nostra debolezza, delle ferite visibili o nascoste”. Sapremo cogliere, oggi come ieri, che “tempi di metamorfosi e prove possono anche essere tempi di rinascite e di semine”? (C. Dagens, Libera e presente) In una società secolarizzata, dove i riferimenti comuni prescindono dalla fede, i cattolici non hanno vita facile! Sapremo raccogliere la sfida del nuovo tipo di evangelizzazione che ci viene richiesto? Gli spunti di formazione non sono mancati. Ora sta a noi saperli declinare nel quotidiano! Cristina Alberti La Bibbia in ogni famiglia Presso la segreteria parrocchiale sono ancora disponibili i volumi della Bibbia, curata da don Bruno Maggioni e Gregorio Vivaldelli, nella nuova traduzione della CEI. L’edizione, personalizzata con alcune pagine di introduzione a ricordo del 50° della fondazione della Parrocchia, è ricca di spiegazioni, indici tematici, percorsi di lettura. Adatta soprattutto a chi cerca una guida per accostarsi alla Scrittura, può diventare anche l’occasione di un dono. Ora sono disponibili anche, sempre in segreteria, le sovracoperte in stoffa colorata realizzate su misura dalla cooperativa sociale “neWhope”di Caserta, avviata e sostenuta da suor Rita Giaretta per favorire l’inserimento lavorativo di donne immigrate in gravi situazioni di difficoltà. FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 14 CARITAS IL NOSTRO BANCO ALIMENTARE Conoscete il Banco alimentare della nostra Parrocchia? Vi si accede da una porta di fronte al Teatro Blu, quella a sinistra del Centro Culturale. Da li si va nella palestra. Ecco: in quel corridoio, tra il cortile e la palestra, per due giorni al mese (talvolta anche di più) si avvicendano i nostri amici assistiti. Vengono per ricevere pasta, olio, conserve, legumi, marmellate, omogeneizzati, pannolini, quanto basta loro per qualche giorno, un piccolo aiuto, un semino di sesamo per il loro bisogno. Fanno la fila aspettando il turno nel cortile, sopportando il caldo estivo ed il freddo o la pioggia dell’inverno. Arrivano con sacche, sacchetti, trolley. Si fanno accompagnare dai figli per avere un aiuto a trasportare i pesi di quel poco di sollievo che riusciamo a dare. Ma soprattutto vengono sempre con un sorriso. Li ascoltiamo, li seguiamo. Nei casi più complessi li invitiamo a ricontattare il nostro Centro d’Ascolto, la torre di controllo della carità parrocchiale, per la ricerca di un nuovo lavoro, medici, legali. Mentre i trolley si riempiono di un po’ di serenità, scambiamo due parole sui loro problemi, sul loro coraggio, sulla loro forza di speranza. E il semino di sesamo cresce, vuole germogliare e diventare un albero, il più grande dell’orto. Chi di voi ha avuto occasione di vedere il sito internet della nostra Parrocchia (bellissimo e rinnovato di recente) forse ha cliccato anche su “Caritas” e poi su “Banco Alimentare”. Ha quindi ricevuto un’impressione, ha visto qualche numero (riferito all’aprile scorso): 180 amici assistiti, grazie ai tanti aiuti dai contributi di voi parrocchiani e da altri enti benefici. A sei mesi da quella fotografia il quadro è già cambiato. La fase economica che attraversiamo, l’emergenza della nuova povertà in particolare, è stata una valanga che ha coinvolto tutti gli strati sociali, arrivando a cascata sino ai più deboli. Qualche benestante che poteva permettersi una colf o una badante, dando lavoro ai bisognosi della nostra parrocchia, ora ha stretto i budget, annullando o riducendo l’aiuto. La base dei fratelli bisognosi si allarga. Oggi il Banco Alimentare si adopera per assistere il 30% in più di persone rispetto all’anno scorso. Le famiglie giovani con bambini piccoli sono aumentate. Sono aumentati i bisogni complessivi da soddisfare, ma il semino di sesamo della nostra Parrocchia è testardo. Vuole crescere. Affronta le situazioni grazie al vostro aiuto alla Parrocchia e va sempre avanti, forte. Perché non è solo, ma rappresenta il BENE di tutti voi. Costantino, Daniela, Elsa, Giulia, Giusy, Paola, Rodolfo 15 PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI Una povertà sempre più trasversale i dati dell’Osservatorio di Caritas Ambrosiana sull’impatto della crisi Operai generici in cassa integrazione. Donne straniere che non riescono più a trovare un posto come badanti e colf nelle famiglie italiane. Piccoli artigiani e lavoratori dipendenti strozzati dai debiti. Sono queste le vittime della crisi economica secondo l’Ottavo rapporto sulle povertà della Diocesi di Milano presentato mercoledì 30 settembre durante il convegno Crisi economica e crisi delle famiglie organizzato da Caritas Ambrosiana. La ricerca, realizzata dall’Osservatorio diocesano sulle povertà, si basa su un’analisi statistica del campione di famiglie che hanno chiesto aiuto nel corso del 2008 ai 59 centri di ascolto e ai servizi Caritas (15.809 persone) e su due approfondimenti dedicati a coloro che si sono rivolti al Fondo Famiglia Lavoro istituto dall’Arcivescovo (1.807 persone) e alla Fondazione San Bernardino (739 casi in tre anni in tutta la regione Lombardia). Dall’analisi emergono profili diversi e problemi specifici. I “poveri di lungo corso” Gli utenti dei centri di ascolto nel 2008 sono per lo più donne (69%). Gli stranieri con il 74% prevalgono sugli italiani. L’età media è circa 40 anni (ma gli italiani sono generalmente più anziani). Il 46,5% ha raggiunto la licenza media inferiore o superiore. Poco più della metà (il 50,8%) è disoccupato. Tra gli occupati il 59% svolge attività di servizio alle persone presso i privati come colf e bandanti. I dati, dunque, confermano un identikit identico a quello degli anni precedenti. Vi sono tuttavia alcune novità che mostrano quanto la crisi economica abbia peggiorato le condizioni di questa fascia già debole della popolazione. 1) Aumentano le problematiche occupazionali che nel periodo gennaio-settembre 2008 si assestavano al 48,4% per salire al 50,8% negli ultimi tre mesi dello stesso anno, momento in cui la crisi è scoppiata. Ciò, tra l’altro, spinge a ritenere che proprio per effetto delle difficoltà del mercato del lavoro anche la pressione dei disoccupati sui centri di ascolto aumenterà nei prossimi mesi. 2) Rispetto al passato crescono in modo rilevante anche le problematiche legate al reddito, che passano dal 33,7% del 2007, al 40,5% del 2008. 3) Aumentano anche le richieste di beni materiali, soprattutto alimentari e vestiti (erano 23,9% nel 2007 sono il 28,9% nel 2008, quasi un terzo). 4) Mentre il numero delle persone che si sono rivolte ai centri di ascolto rimane pressoché identico (erano 15.901 nel 2007), aumentano i colloqui, i bisogni e le richieste. Il dato è segno della maggiore difficoltà degli utenti che non trovano risposta a problematiche più complesse e devono chiedere aiuto più volte e per periodi più lunghi. 5) Aumentano del 3% gli stranieri extracomunitari con regolare permesso di soggiorno, dunque quelli che più verosimilmente hanno intrapreso percorsi di integrazione. Il che fa supporre che i problemi derivati dalla crisi abbiano peggiorato le condizioni di coloro che avevano faticosamente raggiunto un livello di vita dignitoso, sospingendoli in una situazione di difficoltà estrema. Infine un’indagine più specifica, condotta nel mese di giugno su alcuni centri di ascolto per meglio valutare gli effetti della crisi, conferma un generale aggravarsi della condizione di bisogno degli utenti: aumentano le segnalazioni di perdita di lavoro, cassa integrazione, riduzione FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 16 dell’orario. Per sopperire al calo dei redditi, le persone cercano lavori integrativi. In particolare, alcune donne italiane si offrono come lavoratrici domestiche, mentre donne straniere che svolgevano l’attività di colf e badanti trovano più difficilmente impiego presso le famiglie italiane. I “poveri per la prima volta” Gli effetti della crisi, tuttavia, si possono misurare meglio tra i beneficiari del Fondo Famiglia e Lavoro, voluto dal cardinale Tettamanzi all’inizio dell’anno proprio allo scopo di aiutare le famiglie che perdono il lavoro. Hanno fatto domanda al Fondo sia italiani che stranieri, in ugual misura. Gli uomini (73%) hanno prevalso sulle donne (27%). Circa quattro persone su dieci (il 36,5%) hanno un’età compresa tra i 41 e i 50 anni. La maggior parte delle persone è coniugata (il 66%) con uno o due figli (il 78,9%). Più delle metà è disoccupata e lavorava (il 61%) come operaio specializzato o generico, in genere nell’edilizia o nell’industria, i settori che paiono più colpiti. Poco più della metà (il 51%) ha debiti superiori o almeno pari al reddito complessivo che in genere non supera i 500 euro. Una situazione insostenibile se si tiene conto del fatto che solo il 25% vive in una casa popolare mentre il 43% paga canoni di affitto sul libero mercato. Si tratta, dunque, per la maggior parte di famiglie del ceto medio-basso, che prima dell’ottobre 2008, erano già particolarmente vulnerabili e che la crisi ha fatto precipitare in condizioni di forte disagio. I “senza rete e i “funamboli” Appartengono a queste categorie le persone fortemente indebitate. Sono individui o famiglie che hanno fatto ricorso al credito o per fronteggiare il carovita che ha progressivamente eroso i loro risparmi e drasticamente diminuito le capacità di spesa (i “senza rete”) oppure sono individui e famiglie che hanno chiesto prestiti per sostenere livelli di consumo al di sopra delle loro effettive disponibilità economiche (i funamboli). Secondo i dati della Fondazione San Bernardino, voluta dai vescovi lombardi nel 2004 per prevenire fenomeni di usura, si tratta in entrambi i casi generalmente di uomini, di nazionalità italiana, coniugati, con un reddito medio del nucleo familiare di 1800 euro, di età compresa tra i 35 e i 59 anni e con un debito che può arrivare fino a 40mila euro. Costoro hanno manifestato difficoltà ben prima dell’esplodere della crisi economica. La crisi ha, tuttavia, peggiorato la loro situazione facendo saltare equilibri finanziari già instabili. Non a caso tra le cause d’indebitamento una delle più comuni, nel corso del 2008, è proprio la diminuzione delle entrate economiche che può dipendere o da una forte riduzione delle ore di lavoro, o addirittura dal fallimento dell’attività avviata in proprio. «La ricerca dimostra che in questo momento di crisi la povertà diventa sempre più trasversale. Chi stava già male, in particolare gli stranieri, vedono peggiorare la loro condizione. Famiglie di ceto medio basso, che facevano fatica ma andavano avanti, non riescono più a sostenere i costi della vita quotidiana. Persino chi si sentiva garantito, ora deve fare i conti con crescenti difficoltà economiche – ha osservato don Roberto Davanzo direttore di Caritas Ambrosiana -. Proprio il riconoscimento di questa realtà dovrebbe sollecitare tutti a ricostruire un tessuto etico e valoriale condiviso, a rifiutare sia quel disprezzo dell’altro che si traduce in forme più o meno velate di razzismo, sia atteggiamenti di chiusura e di ripiegamento su noi stessi. La crisi può trasformasi paradossalmente in un’opportunità, se ci spingerà a rivedere i nostri stili di vita all’insegna della sobrietà». (www.caritas.it) 17 PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI SCUOLA DELL’INFANZIA Nati per cercare… nati per amare l’inizio di un anno ricco di scoperte Come ogni anno, all’inizio di settembre, la nostra scuola torna a riempirsi dei volti di cento bambini, delle loro voci allegre, dei giochi e dei canti, ma soprattutto delle loro storie così importanti perché uniche ed irripetibili. Quest’anno, i piccoli entrati per la prima volta a scuola, sono circa trentacinque, molte lacrime da asciugare e cuori da consolare, ma, anche con l’aiuto di grandi e mezzani, i piccoli hanno capito che le mamme tornano, che a scuola ci si diverte, si trovano nuovi amici e che le maestre sono lì per loro, per tutti ma con grande attenzione a ciascuno. Grazie mamme e papà, siete stati molto bravi a nascondere la vostra naturale ansia dei primi giorni, accompagnando i vostri tesori a scuola sempre con un sorriso per trasmettere a loro serenità! Il periodo dell’inserimento si è concluso con la Festa dell’Accoglienza, dove tutti, trasformati in pirati, sono stati protagonisti; al centro del salone è stato costruito un grande galeone dove son saliti i piccoli dopo aver ricevuto bandana, mappa e bussola e festeggiati oltre che dai genitori dalla “ciurma dei mezzani e dei grandi”. La programmazione didattica di quest’anno è incentrata sull’intercultura ed il titolo è “Nati per cercare… alla scoperta di tesori per terra e per mare”. Attraverso i vari percorsi il nostro desiderio è di accompagnare i bambini ad imparare a star bene insieme, a sentirsi sicuri in un ambiente sociale allargato e coltivare con immaginazione e creatività emozioni e desideri. A porsi domande e favorire il passaggio dalla domanda alla ricerca, a esplorare terre non ancora note, culture diverse dalla nostra e apprezzare la bellezza della diversità. A dare voce a emozioni, sentimenti, pensieri e mettere in atto lo spirito di iniziativa. Il mondo dei pirati affascina molto i nostri bambini e di questo ce ne siamo accorte già dalle prime proposte. La programmazione d’insegnamento della religione cattolica è intitolata “Nati per amare… in principio, secondo il piccolo Francesco”. Gli obiettivi che ci siamo proposte sono far vivere momenti di stupore nel contemplare le bellezze del creato e riconoscerle dono di Dio Creatore; riconoscere nel piccolo bimbo Gesù il dono di Dio all’umanità; conoscere attraverso la parabola, come ama ogni figlio il cuore di Dio Padre; comprendere che la pace è dono di Gesù Risorto che viene a chiederci di essere vissuto; apprezzare i missionari che sulle strade del mondo annunciano l’amore del Signore. Il cammino è lungo, ma molto bello e affascinante e, come ha sottolineato anche la nostra pedagogista dottoressa Pelizzari, nell’incontro con i genitori, pensato e finalizzato per il bene del bambino e insieme a tutte le attività della giornata, alla sua crescita globale. Marina Dotti, direttrice FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 18 ORATORIO Il senso della missione attraverso l’esperienza di volontariato all’estero di cinque giovani della nostra comunità Parlare di senso della missione non è facile. Significa avventurarsi in un intrico di punti di vista, interpretazioni e scelte di vita che toccano le corde più profonde dell’animo umano, con il rischio di perdersi confondendo le frasi fatte con la realtà di una dimensione che non è sempre facile cogliere fino in fondo. L’83esima Giornata Missionaria Mondiale però offre a tutti l’occasione di riflettere su un istituto, quello missionario, su cui i fari troppo spesso restano spenti e che forse proprio per questo motivo vive ormai da anni un declino che pare non avere soluzioni di continuità. Secondo Carl Braaten, «la missione è il processo che esplora il senso universale del Vangelo nella storia». Martin Kahler si è spinto fino ad affermare che «la missione è madre stessa della teologia», in virtù del processo che ha portato la Chiesa nascente, in maggior parte ebrea, a riscoprire l’universalità del messaggio evangelico proprio attraverso un percorso di espansione e confronto con la cultura greca. La fredda evidenza numerica dei giorni nostri getta tuttavia un’ombra preoccupante sul futuro di una delle istituzioni madri della Chiesa. Da un’analisi del 2008 a cura di Gerolamo Fazzini, direttore del mensile “Mondo e Missione”, si evince che se le suore missionarie della Consolata di origine italiana erano 870 nel 1983, oggi sono 443. Lo stesso discorso vale per l’ordine dei comboniani che 19 tradizionalmente è sempre stato il più attivo sul fronte missionario: in questo caso nel 1983 gli italiani erano 1.216 e 25 anni dopo sono si sono ridotti 778, di cui 548 sono pensionati o invalidi. Tanto basta per poter sostenere che l’istituto missionario è in crisi nera. Il senso della missione è però un concetto di ampio respiro che spazia dall’ambito ecclesiastico e vocazionale alla sfera del laico e del volontariato. Il missionario e il volontario. Due figure che, seppur con le dovute distinzioni, presentano tratti comuni, ed i cui cammini spesso e volentieri si incrociano. Da questi incontri nella maggior parte dei casi risulta una collaborazione positiva e sinergica, uno scambio proficuo di esperienze grazie ad una condivisione di valori, obiettivi e a volte anche di fede. Il senso delle loro missioni li accomuna per molti aspetti, soprattutto perché sono ispirate dagli stessi valori: la vocazione verso il prossimo, il contribuire ciascuno secondo le sue strade e nel proprio piccolo all’assistenza nei confronti di chi soffre, al di là di ogni credo, razza o ceto sociale. E così, mentre ascoltavo i racconti di 6 ragazzi dai 19 ai 23 anni che spontaneamente hanno deciso di vivere durante il periodo estivo un’esperienza di volontariato all’estero, mi sono sforzato di cogliere se e quali fossero i riflessi di tale senso della missione che illuminavano il loro agire. Non è stato difficile: PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI fin dalle prime parole di Anna, Chiara, Emanuele, Francesca, Irene e Johann, è emersa prepotentemente la grinta e l’entusiasmo rinnovato dal ricordo di mille volti conosciuti, sguardi incrociati, paesaggi ammirati ed esperienze scambiate. Il senso della missione non è forse la passione per il prossimo? Da tale premessa prende così le mosse l’intervista a questo gruppo di ragazzi, con i quali ho ripercorso le loro esperienze di volontariato all’estero e le cui parole mi hanno aiutato a scorgere e riconoscere i tratti essenziali del senso della missione del volontario, che forse sono in parte gli stessi del senso della missione di un missionario. Francesca, Brasile: oltre lo stereotipo Missione: può volere dire riuscire ad andare oltre uno stereotipo, immergendosi apertamente in una realtà e in una cultura diversa, per poi riemergere un po’ più consapevoli del fatto che la realtà vera ha poco o niente a che spartire con il luogo comune. E’ questo il caso di Francesca, una ragazza di 23 anni partita per un mese in Brasile con l’associazione Ipsia delle Acli. A lei domando se e come è mutato il suo giudizio in merito al pregiudizio diffuso che vuole i brasiliani pigri e senza spirito d’iniziativa: Appena arrivata al villaggio Belavista, uno dei tanti del Movimento Sem Terra (movimento senza terra), in aperta campagna, costituito da trenta case disposte a semicerchio e da una scuola, la mia mente è corsa ai racconti dei miei nonni sulla loro infanzia in campagna, con i secchi per prendere l’acqua al pozzo, i buoi, i rimedi della natura per ogni tipo FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 di malessere e il bagno nella tinozza. Subito dopo sono tornata al 2009 e mi sono chiesta come possa esserci tanto divario tra questa vita e la nostra. Dopo qualche giorno al villaggio un mio compagno di viaggio continuava a domandarsi: “ma cosa ci vuole a mettere una grondaia di bambù per raccogliere l’acqua piovana ed evitare che le case ammuffiscano, a disporre un sentiero in legno per non affondare coi piedi nel fango, a costruire un recinto perché le galline non entrino in casa, ad imbiancare la scuola..?” In effetti è vero, cosa ci vuole? La risposta comune è che non ci vuole nulla, è semplicemente che i brasiliani non hanno voglia di fare, non hanno spirito di iniziativa perché con la colonizzazione si sono abituati a fare ciò che altri decidevano e adesso non sanno sfruttare la loro libertà. Come in ogni luogo comune anche in questo c’è una parte di verità, ma credo che molti fattori culturali e sociali contribuiscano a determinare tale stile di comportamento: la condizione economica e sociale precaria, unita agli anni di colonialismo e alla priorità di soddisfare i bisogni primari, vanno certamente a discapito della progettualità per il futuro. Tutto questo a noi appare strano e in qualche modo riprovevole anche a causa delle ampie differenze culturali esistenti tra noi e loro. Al nostro individualismo fa da controparte un fortissimo senso della comunità, infatti gli obiettivi, i vantaggi, gli aiuti economici e materiali, per quello che ho visto, si raggiungono insieme e per tutti allo stesso modo. Al villaggio condividono il lavoro collettivo, insieme 20 pavimentano la scuola per i figli quando il governo dopo anni non ha provveduto, in assemblea decidono di richiedere una pompa per distribuire acqua corrente nelle case, insieme cercano di migliorare le loro condizioni e di creare opportunità. Non soltanto qui in campagna ma anche in favela a Salvador de Bahia ho visto persone darsi molto da fare, improvvisandosi muratori, organizzando una scuola professionalizzante gratuita per i giovani, offrendo a bimbi dell’asilo una struttura colorata e accogliente mantenuta grazie all’impegno di poche signore e alla loro creatività per ottenere finanziamenti. In questi contesti c’è sempre qualcuno, ovviamente non tutti, pronto a darti una mano, ad offrirti un pasto o un letto, i quartieri sono uniti, vivi, solari, non c’è da preoccuparsi quando sei via perché il tuo vicino custodirà la tua casa e saprà dire dove trovarti a chi ti cerca. Non penso che sia la mancanza di spirito di iniziativa la differenza che percepiamo tra noi e loro, ma il modo di raggiungere gli obiettivi e di soddisfare i nostri desideri. Anna, Nicaragua: una realtà che ferisce Missione: può significare anche essere disposti a stare male, a venire colpiti così profondamente da una realtà tanto più lontana e disperata dalla nostra da restare feriti emotivamente. Di questo e della realtà nicaraguense ci parla Anna, una ragazza di 23 anni che attraverso la Caritas ha soggiornato per un mese in Nicaragua: Dall’esperienza nel barrio Nueva Vida è emerso con estrema evidenza come non esista una forma di solidarietà di vicinato 21 in situazioni comuni di bisogno. La famiglia nicaraguense è spesso destrutturata: la figura paterna è assente e la madre, molto giovane, ha la responsabilità di mantenere figli frutto talvolta anche di relazioni precedenti se non addirittura di violenza. Tuttavia a causa delle condizioni economiche e sociali del Nicaragua la maggioranza delle donne non ha un lavoro stabile e si dedica ad attività occasionali, soprattutto come venditori ambulanti. In accordo con lo spirito non assistenzialistico di Caritas Ambrosiana, nel centro presso cui svolgevo l’attività di volontariato avevamo due momenti di incontro con le donne: al mattino presto distribuivamo a un gruppo di 60 bambini il latte proponendo in parallelo alle mamme alcuni incontri educativi sul tema della cura della casa, dell’igiene personale e della salvaguardia delle risorse primarie. Inoltre nelle visite domiciliari nel quartiere avevamo l’occasione di visitare le umili abitazioni delle famiglie per ascoltare, incoraggiare, suggerire e intercettare alcuni loro bisogni e verificare il loro impegno nei confronti dei progetti proposti dal centro. In questi contatti percepivo di continuo una forte rassegnazione delle nostre interlocutrici che si manifestava sia nell’assoluta mancanza di progettualità sia nell’assenza di autostima. Personalmente ho vissuto momenti di alto impatto emotivo, difficili da dimenticare. Chiara, Irene e Johann, Kenya: il confronto con la diversità Missione: significa anche essere aperti al confronto e allo scontro, può voler dire avere la voglia e l’umiltà di osservare come uno stesso ruolo o una stesPARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI sa professione può assumere contorni diversi a seconda della mano che svolge il compito, della cultura che guida i pensieri e dell’ambiente in cui le azioni ricadono. Chiara, Irene e Johann hanno avuto l’occasione di confrontare la propria esperienza di giovani educatori milanesi con quella dei propri coetanei africani, trascorrendo un mese in una città del Kenya di nome Kisii. Quali sono state le vostre impressioni su questo aspetto? Bisogna premettere che, stando a quanto abbiamo capito, il concetto di volontariato come animazione in oratorio è stato introdotto nella cattedrale di Kisii dai volontari che ci hanno preceduti. Non si può dunque parlare di un confronto tra la nostra concezione dell’animatore e la loro quanto piuttosto della loro elaborazione del nostro modello di animatore che gli è stato proposto. Esso sinteticamente consiste in una figura che facendo giocare e riflettere un gruppo di bambini si propone di diventare per loro un punto di riferimento positivo. Importante è anche il fatto che l’ animatore lavora gratuitamente all’ interno di un’ equipe la cui principale caratteristica è una solida e pratica organizzazione. Osservando il gruppo di giovani della cattedrale che vogliono diventare animatori abbiamo potuto notare che il fine che associano all’ animazione non è tanto lo svago o la riflessione quanto il desiderio di dare ai più piccoli un modo di impiegare meglio il proprio tempo libero. Infatti non è inusuale vedere bambini, e in realtà spesso anche adulti, seduti o sdraiati ai bordi delle strade a fare nulla. Altre finalità non meno importanti sono la voglia di impiegare anche il loro FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 tempo libero in maniera costruttiva e di creare occasioni di condivisione e dialogo all’ interno del gruppo animatori. Ci è sembrato inoltre che il fatto che noi fossimo venuti dall’ Italia apposta per dare loro una mano li motivasse ulteriormente a lavorare. Il loro punto debole è la disorganizzazione: ritardi e assenze erano all’ ordine del giorno, e seguire lo schema delle attività decise risultava spesso molto difficile. Un altro aspetto assai delicato è quello della gratuità: infatti, parlare di volontariato in un contesto di povertà, non è semplice e non era chiaro se alcuni di loro si aspettassero dalla parrocchia o da Arché una qualche retribuzione. In conclusione possiamo dire di aver incontrato un gruppo di ragazzi simpatici, ospitali e aperti, con cui abbiamo potuto creare un rapporto di reciproco scambio. Emanuele, Zambia: il vecchio e il nuovo della missione È con l’esperienza di Emanuele infine che si può apprezzare l’incontro e il confronto fra la dimensione della missione di un giovane volontario e quella di un anziano missionario. Partiamo dal domandarci chi è il missionario di oggi: che caratteristiche ha questa ‘razza’ che sta via via scomparendo? Madre Teresa, con la sconvolgente semplicità che l’ha sempre caratterizzata, una volta ha risposto che “missionario è quel cristiano talmente innamorato di Gesù Cristo, da non desiderare altro che di farlo conoscere e amare”. Questa concezione di vocazione prima ancora che di ruolo si è scontrata però nel corso degli anni con lo “spirito delle Crociate” che ha caratterizzato i primi missionari, forte22 mente animati da una sorta di attivismo pragmatico nei confronti della popolazione locale più che dalla volontà di testimoniare il Vangelo umilmente e attraverso il dialogo. Molti sostengono di conseguenza che ad essere in crisi non è tanto la missione come tale, quanto invece il missionario stesso. Emanuele ha avuto l’occasione di vivere fianco a fianco per un mese con padre Francesco, un missionario che quotidianamente dedica le proprie energie al popolo zambiano. A lui domando se qualcosa oggi è cambiato, se il missionario dei nostri giorni ha saputo evolversi, discostandosi dal modello del missionario dall’“atteggiamento erudito e dallo spirito da crociata”, come affermava Kusuke Koyoma, un esperto giapponese di missioni. Si pensa sostanzialmente che il cristianesimo “esportato” abbia una patologia cronica, una distanza incolmabile tra ciò che dovrebbe essere l’apostolato e ciò che in realtà è. Ma la qualità di un’opera missionaria, per quello che ho visto nella parrocchia di Kalichero in Zambia, non dipende dai mandanti ma dai mandati: la parola di Dio attraverso l’uomo, ecco come la pensa padre Francesco. Per lui non c’è differenza tra la costruzione di un pozzo ed un’omelia, tra un ponte ed il consiglio parrocchiale. Questo era il missionario degli anni cinquanta. Oggi qualcosa è cambiato, non solo nella realtà globalizzata del mondo ma nello spirito stesso dei nuovi missionari. Non si sono di certo risolti problemi come fame, carestie e pandemie ma si sta notando un cambiamento nel modo di affrontarle. Se prima il missionario ricordava ogni domenica la vicinanza di Dio, 23 oggi ricorda ancora la responsabilità dell’uomo: se ancora parlava del regno dei cieli, oggi lo si sente parlare della giustizia sociale. Le omelie cambiano, mutano, si trasformano per prendere nuove strade che portino alla realizzazione efficace e sicura dell’intimo spirito che accumuna tutti i missionari. Quale bussola? Da quest’ultimo intervento risulta evidente l’errore prospettico in cui si rischia di cadere: la missione viene sempre concepita come se si portasse il Vangelo agli altri, non come se il Vangelo guidasse verso gli altri. La bussola che guida il missionario sulla cartina del mondo è dunque la Parola, che è punto di partenza e di arrivo della missione stessa. In ultimo viene dunque naturale porre la domanda che solitamente viene fatta per prima: qual è la bussola di un ragazzo del 2009? Cosa mai lo può guidare a sprecare le agognate e meritate vacanze estive viaggiando scomodamente, lavorando e vivendo in condizioni precarie per subire inoltre l’impatto emotivamente destabilizzante dato dal disagio e della povertà da cui ci si sente circondati e aggrediti? Le motivazioni del volontario, si sa, rispondono più o meno consapevolmente ai bisogni del volontario stesso e appare dunque condivisibile l’obiezione che muovono Chiara, Irene e Johann alla mia domanda: Chiaramente le motivazioni che possono spingere una persona all’ attività del volontariato all’ estero sono svariate. Alcune, tutto sommato le più universalmente condivisibili, come il desiderio di essere utili al prossimo, la voglia di mettersi in PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI gioco in un contesto completamente diverso da quello quotidiano, quella di conoscere una realtà nuova, accomunano anche noi tre. Altre sono più personali: per quanto ci riguarda possiamo citare ad esempio la curiosità verso il confronto con una cultura diversa e quindi un diverso modo di concepire il ruolo dell’ animatore o, non meno importante, l’ esempio di altre persone che prima di noi hanno svolto simili attività di volontariato. La curiosità verso una realtà diversa e lontana è del resto la stesso motivo che ha mosso Francesca a fare una scelta di volontariato: Spesso ciò che ti spinge a viaggiare è la voglia di conoscere posti nuovi, di raggiungere mete lontane, affascinanti e diverse dalla realtà di ogni giorno. Quando torni a casa porti con te un bagaglio di immagini, emozioni ed esperienze che a volte fanno spazio ad una mancanza, il fatto di non essere riuscito ad entrare nella quotidianità di quel posto, di aver viaggiato con l’etichetta “turista”, per chi ti guarda sinonimo di estraneo, diverso, di passaggio. Questo mi ha sempre fatta sentire a disagio, come se non si potesse ridurre quella distanza inevitabile che ti separa dalle persone e dalla loro vita. Credo che il modo migliore per ridurre questa distanza sia proprio quello di viaggiare non soltanto per osservare, guardare, ammirare e fotografare ma anche per fare, per lavorare, per parlare, organizzare, collaborare, insomma per agire insieme. Così il volontariato è proprio quell’opportunità che ti permette di conoscere più a fondo, di scambiare parole e idee, di unire le mani per costruire insieme, senza FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 pensare di portare qualcosa in più a chi ne ha di meno ma con l’intenzione di dare e ricevere, normalmente. Con lo stesso desiderio è partita anche Anna, alla quale chiedo però cosa le ha lasciato un’esperienza simile: Tornare dopo un’esperienza cosi ricca di emozioni e novità non è certo facile. Quelli che prima di partire erano sempre stati i miei impegni, mi apparivano logori e privi di stimoli. Tuttavia sono tornata anche con cosi tanta grinta da poterla riversare nelle diverse attività perché cerco di riconsiderarle da ulteriori punti di vista indirizzandole verso una maggiore serietà e concretezza. Emanuele invece, partito per l’Africa perché convinto fino in fondo della indivisibile e totale responsabilità di ogni uomo verso il mondo, traccia delle conclusioni diverse: L’Africa combatte da sola. L’impressione che ho avuto è stata proprio questa: nessun “mea culpa” occidentale, nessun reale interesse internazionale, nessuna organizzazione governativa che abbia allo stesso tempo potere ed impegno. Le teorie sono tante: c’è chi parla di una caduta dell’occidente per un risveglio del terzo mondo, chi parla di un destino senza speranza, chi alza i muri per non vedere i problemi e le responsabilità. Ma una cosa è chiara: senza una reale, profonda e condivisa onestà privata e pubblica, senza uomini capaci di guardarsi allo specchio, senza un atteggiamento culturale mondiale volto a sviluppi sostenibili non ce la faremo. Non solo a mantenere il mondo abitabile da un punto di vista biologico ma, soprattutto, da un punto di vista umano. 24 Un segno di speranza Un atteggiamento culturale nuovo. Forse è proprio questa la testimonianza più forte che ci possono trasmettere le esperienze dei ragazzi. Più che un punto di arrivo però appare essere un punto di partenza che chiama in causa la coscienza di ognuno di noi e che trova nella figura del missionario, prima ancora che del volontario, un modello a cui ispirarsi e un esempio da seguire nell’atteggiamento e nello spirito. Con questo, è bene precisare che non si sta certo tentando di sostenere che la crisi del missionario verrà superata grazie alla sostituzione di quest’ultimo con una nuova forma di volontariato laico dai tratti simili. Non ci si vuole certo nascondere dietro un dito: i problemi della missione sono vasti, e le cause afferiscono a problematiche ben più profonde e complesse. A mio parere tuttavia, ad oggi è lecito lasciarci trasportare dal leggero ottimismo trasmesso dall’esperienza di questi ragazzi. L’insegnamento 25 che Anna, Chiara, Emanuele, Francesca, Irene e Johann mi hanno trasmesso, è la consapevolezza che, se da una parte “missionario” in senso stretto è colui che per una scelta di fede guidata dal Vangelo, decide di dedicare la propria intera esistenza ad un altro popolo lontano portando il messaggio di Cristo umilmente e con amore, dall’altra parte, “missionari” in senso lato possiamo essere tutti: siamo noi quando facciamo una scelta diversa, una scelta di servizio, quando impariamo dall’insegnamento dei missionari veri l’amore incondizionato, che è sinonimo di condivisione totale verso il prossimo, e soprattutto quando le nostre azioni sono guidate dallo stesso spirito. Lo spirito della missione. Anna Martini, Chiara Gianotti, Emanuele Grazioli, Francesca Ragusa, Irene Colli Lanzi, Johann Acquati Lozej, Josef Acquati Lozej PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI Agenda della comunità Da lunedì 19 a lunedì 26 ottobre P. Giuseppe sarà in Kenya per il progetto di prevenzione dell’Aids e di assistenza agli orfani attivato da Arché nella città di Kisii.. Sabato 31 ottobre Viene anticipata la Solennità di Tutti i Santi perché il 1° novembre è domenica. Le celebrazioni seguiranno l’orario feriale. Domenica 1° novembre Alle ore 17 adorazione comunitaria. Lunedì 2 novembre Nella celebrazione eucaristica delle ore 18 ricorderemo tutti i defunti dell’anno della comunità. Domenica 8 novembre Alle ore 16 celebrazione comunitaria dei Battesimi. Venerdì 13 novembre Alle ore 21 si riunisce il gruppo famiglie 3 (animatori Cristina e Marco Giussani). Centro d’ascolto Ogni martedì dalle ore 9 alle ore 12 e dalle 16 alle 18 è attivo in parrocchia il Centro d’ascolto, dove le persone in difficoltà possono incontrare dei volontari che ascoltano i loro problemi e cercano di accompagnarle nella ricerca di soluzioni, offrendo loro aiuti concreti e orientandole ai servizi e alle risorse del territorio. Su appuntamento viene offerto anche un servizio di consulenza legale. FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 26 Incontri pomeridiani per la terza età Questo il calendario dei prossimi incontri promossi dal Movimento Terza età (ore 15.30): martedì 20 ottobre giovedì 22 ottobre martedì 27 ottobre giovedì 29 ottobre ritrovo per giocare a Burraco tombola in allegria!!! ritrovo per giocare a Burraco. con padre Battista inizieremo un cammino di catechesi che ci accompagnerà durante tutto l’anno CENTRO CULTURALE CULTURA E FEDE Giovedì 12 novembre, alle ore 15 in Duomo, visita guidata ai Quadroni di san Carlo. Sabato 28 novembre, visita a Mesero (vicino a Magenta) al Santuario della Famiglia “Santa Gianna Beretta Molla”, santificata nel 2004. Completamento della giornata con la visita guidata delle mostre dedicate a Leonardo a Vigevano (Il laboratorio di Leonardo / Splendori di Corte). MOSTRE Giovedì 19 novembre, nel pomeriggio, visita alla mostra a Palazzo Reale dedicata alla Scapigliaura. CORSI DI COMPUTER Si accettano iscrizioni ai corsi base e a quelli di secondo livello. Per maggiori informazioni e prenotazioni la Segreteria del Centro culturale è aperta al lunedì, dalle 17 alle 18, e martedì mercoledì giovedì, dalle 18 alle 19. 27 PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI In città La sfida dell’educazione un ciclo di incontri con don Giuseppe Angelini Lunedì 19 ottobre La sfida: disegno sintetico Lunedì 26 ottobre Le difficoltà della famiglia: soli, i genitori non ce la possono fare Lunedì 2 novembre La scuola: il “pedagogismo” e la rimozione delle difficoltà Lunedì 9 novembre Ripresa dei principi: momento psicologico e momento culturale dell’educazione Lunedì 16 novembre L’educazione quale compito religioso: competenza umana e fede Gli incontri si terranno presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, via dei Chiostri 6 (M2 Lanza), dietro la Basilica di san Simpliciano; cominceranno alle ore 21 e termineranno entro le ore 22.30. Mercoledì 21 ottobre ☞ Dalle ore 9.30 alle 16.30, nell’Aula Pio XI dell’Università Cattolica, largo Gemelli 1, convegno di studio su Coscienza cristiana e rinascita democratica: l’impegno educativo di Giuseppe Lazzati nel centenario della nascita. Intervengono, tra gli altri, Marcello Malpensa, Guido Formigoni, Alberto Melloni, Luigi Pizzolato, Franco Monaco. ☞ Alle ore 21, presso l’Auditorium del Centro San Fedele, via Hoepli 3/b, nell’ambito della Cattedra del dialogo 2009, Gabriella Caramore, sociologa e conduttrice radiofonica e il cardinale Dionigi Tettamanzi intervengono sul tema Dialogo come ethos. ☞ Sempre alle ore 21, presso il Centro Pime, via Mosè Bianchi 94, si conclude il ciclo di incontri dedicati all’enciclica Caritas in Veritate. Il comboniano congolese Joseph Mumbere, psicologo e formatore impegnato nel sociale a Kisangani e Cecilia Brighi, responsabile dell’area internazionale della Cisl interverranno sul tema Ragione e profezia. Uno sguardo sul mondo. FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 28 Mercoledì 28 ottobre ☞ Alle ore 21, presso il Centro Pime, via Mosè Bianchi 94, si conclude il ciclo di incontri dedicati all’enciclica Caritas in Veritate. Il pastore valdese Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, interviene sul tema Obbligati dalla fede. La comune radice della carità. Sabato 31 ottobre ☞ Dalle ore 9.30 alle 16.30, presso il Centro Pime, via Mosè Bianchi 94, giornata di convegno sul Sinodo africano: quale provocazione per la nostra Chiesa? Nella mattinata interventi di esperti italiani e africani che hanno partecipato al Sinodo africano e nel pomeriggio laboratori tematici di approfondimento. Sabato 7 novembre ☞ Dalle ore 9 alle ore 13, presso il salone Pio XII, via S. Antonio 5, in preparazione della Giornata diocesana Caritas di domenica 8 novembre, si terrà un convegno dal titolo Sobrietà, solidarietà e stili di vita. Interverranno il professor Mauro Magatti, sociologo dell’Università Cattolica di Milano, don Gianni Fazzini, responsabile della Pastorale degli stili di vita della Diocesi di Venezia, don Dionisio Rodriguez, direttore Caritas della diocesi de L’Aquila. Mercoledì 11 novembre ☞ Alle ore 21, presso l’Auditorium del Centro San Fedele, via Hoepli 3/b, la Cattedra del dialogo 2009 si conclude con un incontro sul tema Cercare insieme? Oltre il presente: per la società e per la chiesa. Intervengono Mario Tronti, presidente del Centro Studi Riforma dello Stato, e Ghisland Lafont, monaco e teologo francese. Giovedì 12 novembre ☞ Alle ore 21, presso la Sala della Trasfigurazione, piazza S. Fedele 4, nell’abito degli incontri per giovani coppie, la professoressa Chiara Saraceno interverrà sul tema Lei, lui e le cose: sobrietà e stili di vita. 29 PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI “Topolini a teatro” Rassegna di teatro ragazzi 1 novembre Una scala verso il cielo La Compagnia della Magaluna testo di Francesca Paganini, Tiziana Confalonieri e Maurizio Pini regia di Vittorio Vaccaro con Francesca Paganini e Tiziana Confalonieri dal 6 all’11 novembre Re Lear di William Shakespeare Compagnia Elefante Bianco regia Gustavo La Volpe con Gustavo La Volpe, Roberta Nanni, Valentina Grancini, Elisa Campoverde, Francesco Bernava, Daniele Giulietti, Andrea Bonati, Silvano Ilardo, Andrea Pinna, Giuliano Turone, Marco Schiatti, Alessandro Pezzoni Per info e prenotazioni: [email protected] tel. 0362328369 FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009 30 Nella comunità parrocchiale HANNO RICEVUTO IL BATTESIMO Diomira D’Avico – 11 ottobre 2009 Lucio Carlo D’Avico – 11 ottobre 2009 Davide Garufi – 11 ottobre 2009 Giacomo Davide Maria Maffezzoli – 11 ottobre 2009 Irene Laura Maria Maffezzoli – 11 ottobre 2009 Matteo Midali – 11 ottobre 2009 ABBIAMO ACCOMPAGNATO ALLA PASQUA ETERNA Agostino Chioatto – 20 settembre 2009 (anni 86) Erminia Rossi – 20 settembre 2009 (anni 88) Margherita Weiszberger – 23 settembre 2009 (anni 63) Nella Ceci – 1 ottobre 2009 (anni 81) Cinzia Pierdominici – 3 ottobre 2009 (anni 47) Sergio Turri – 9 ottobre 2009 (anni 87) Direttore responsabile p. Giuseppe Bettoni – Capo Redattore Tata Tanara – Stampa Francesco Canale – Un ringraziamento particolare a tutti coloro che collaborano con gli articoli, alla fascicolatura e alla diffusione del Foglio Informativo Trovate il Foglio Informativo anche su: www.americisss.it