Foglio n. 385 - Parrocchia Sant`Angela Merici

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Foglio n. 385 - Parrocchia Sant`Angela Merici
ottobre 2009
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orse più di qualcuno si sarà chiesto cosa abbia indotto Benedetto XVI a proclamare l’Anno Sacerdotale
nella ricorrenza del 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. Nella lettera di indizione il
Papa esplicita così le sue preoccupazioni:
«Il pensiero va alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti… Ci sono
purtroppo anche situazione in cui è la Chiesa stessa a soffrire l’infedeltà di alcuni suoi ministri… ciò che può
giovare alla Chiesa è una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio».
Il nostro Arcivescovo nel riprendere il percorso pastorale diocesano suggerisce che l’Anno sacerdotale possa
essere l’occasione per tutti i fedeli «affinché riconoscano la dignità della propria vocazione ad essere figli di Dio
e si dispongano a offrire il sacrificio gradito a Dio, che è la vita secondo lo Spirito». Un invito dunque a riscoprire il sacerdozio che nel Battesimo ci immerge tutti, ministri e popolo di Dio, nel servizio di Dio e dei fratelli.
Ma questo vocabolario, sacerdozio, sacrificio… non è un vocabolario oggi facilmente recepibile. Per motivi
diversi anche per le prime generazioni cristiane non è stato facile utilizzare il vocabolario «sacerdotale» sia in
riferimento a Gesù, sia in riferimento alla Chiesa e alle diverse figure ministeriali che mano a mano la caratterizzavano. Parlare di tempio, di sacerdoti, di sacrifici… comportava inevitabilmente l’affacciarsi alla mente di
ogni interlocutore di una molteplicità di immagini precise, legate al culto ebraico o pagano, a significati secolari, sedimentati, espressioni di modi di comprendere e di rapportarsi a Dio o alle divinità decisamente superati
e contraddetti dalla grande novità di Cristo.
Analogamente anche per noi oggi avvicinarci a queste parole può innescare delle precomprensioni fuorvianti
e dannose. Parlare di «sacerdoti» e di «anno sacerdotale» istintivamente fa pensare che stiamo parlando di
qualcosa legato al culto, ad un ambito molto specifico dell’esperienza cristiana, ben distinto e persino un po’
distaccato dalla vita ordinaria.
Riprendere in mano alcune pagine del Primo Testamento potrebbe aiutarci a cogliere proprio nel suo sorgere
la profondità, la sorprendente novità e la perenne bellezza del rapporto tra i figli di Abramo, nostro padre nella
fede e il Dio che è venuto loro incontro e si è fatto protagonista e compagno del loro cammino.
I figli di Giacobbe in Egitto avevano conosciuto la grandiosità dei templi egiziani, la solennità e la misteriosità
dei riti e dei sacrifici che vi si praticavano. Ma liberati in maniera inaspettata e assolutamente sorprendente
dalla condizione di schiavitù in cui erano confinati, si sono trovati a compiere un cammino oscuro e insopportabilmente lungo e difficile verso una terra promessa in cui tutto sarebbe stato comunque da immaginare e
costruire: case, città, campi, organizzazione sociale… e forse anche dei luoghi e dei segni per onorare questo
Dio dei padri che non li aveva dimenticati.
Ma nell’esperienza del deserto questo popolo non ha né templi, né sacerdoti per offrire sacrifici, per andare a
chiedere una benedizione su una iniziativa intrapresa, una profezia o un segno beneaugurante per il proprio
futuro, un aiuto di fronte a un pericolo…. Vivevano nella precarietà più assoluta. In questa realtà di assoluta
spogliazione il popolo di Israele viene introdotto alle novità essenziali del rapporto con il Dio unico, diverso da
ogni immagine divina incontrata tra gli altri popoli.
È a partire da questa idea di separazione di un Dio che è il Santo, il separato, il totalmente altro, e che poi si è
separato un popolo che gli appartenesse in modo speciale, e che all’interno del popolo Egli si è separato una
tribù, quella di Levi, e che all’interno della tribù si è separato il casato di Aronne… è arrivato fino a separarsi un
Sommo Sacerdote. Seguendo questa via di separazione Israele è arrivato ad avere un soggetto unico, capace
di fare da punto di contatto con il divino e in grado di portare la benedizione divina sul popolo.
La Scrittura sul sacerdozio di Gesù non dice nulla. Per anni nella predicazione apostolica non risulta nulla del
genere, solo nella lettera agli Ebrei, l’autore riconosce che Gesù ha manifestato in se stesso il volto perfetto e
definitivo del sacerdozio della nuova alleanza, in tutta la sua vita e soprattutto nell’evento centrale della sua
passione, morte e risurrezione. In questo evento della sua morte e risurrezione Gesù compie una decisiva
opera di mediazione perché riconcilia l’umanità con Dio: quindi Gesù si può dire che ha compiuto una mediazione tipicamente sacerdotale, ma se il sacerdote è colui che compie il sacrificio, si dovrebbe dire che sono
stati gli uccisori del Cristo ad aver compiuto l’atto sacerdotale. In realtà l’atto sacerdotale è la sua volontà di
offerta, cioè la sua libera donazione. Non è il fatto in sé della uccisione e del versamento del sangue ad essere
sacerdotale, quanto piuttosto l’obbedienza fino alla morte, il dono di sé.
Il Cristo mette così gli uomini in comunione con Dio e li rende a loro volta sacerdoti, cioè capaci di creare
l’incontro fra Dio e l’uomo. La chiesa appartiene a questo sacerdozio e partecipa di questo sacerdozio. Ogni
cristiano in quanto battezzato diventa partecipe del sacerdozio di Cristo, viene abilitato all’incontro con Dio
e diviene strumento dell’incontro con Dio e come Cristo può fare della propria vita un dono, un sacrificio
a lui gradito. Quindi i riti, inefficaci, sono stati sostituiti dall’unico rito efficace, che consiste nell’offerta della
propria vita.
Questo potrebbe suscitare in ciascuno di noi anzitutto un atteggiamento di stupore che accompagna la gratitudine per il gesto di donazione totale che il Signore, il Figlio di Dio ha fatto per ognuno di noi. Il cristiano si
scopre termine di un dono gratuito, immenso e immeritato e contemplerà il sacramento di questo totale, il
memoriale della Pasqua di Gesù.
In secondo luogo, il discepolo contemplando questo amore di Dio non potrà non tendere a un’esistenza
eucaristica «l’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso
avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi» (Benedetto XVI).
p.Giuseppe
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MAGISTERO
Il messaggio di papa Benedetto XVI
per la Giornata missionaria mondiale 2009
In questa domenica, dedicata alle missioni, mi rivolgo innanzitutto a voi, Fratelli
nel ministero episcopale e sacerdotale, e
poi anche a voi, fratelli e sorelle dell’intero Popolo di Dio, per esortare ciascuno a
ravvivare in sé la consapevolezza del mandato missionario di Cristo di fare “discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19), sulle orme di
san Paolo, l’Apostolo delle Genti.
“Le nazioni cammineranno alla sua luce”
(Ap 21,24). Scopo della missione della
Chiesa infatti è di illuminare con la luce
del Vangelo tutti i popoli nel loro cammino storico verso Dio, perché in Lui abbiano la loro piena realizzazione ed il loro
compimento. Dobbiamo sentire 1’ansia
e la passione di illuminare tutti i popoli,
con la luce di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa, perché tutti si raccolgano
nell’unica famiglia umana, sotto la paternità amorevole di Dio.
È in questa prospettiva che i discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze
e donano la vita. Riaffermo con forza quanto
più volte è stato detto dai miei venerati Predecessori: la Chiesa non agisce per estendere
il suo potere o affermare il suo dominio, ma
per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell’umanità, specialmente di
quella più sofferente ed emarginata, perché
crediamo che “l’impegno di annunziare
il Vangelo agli uomini del nostro tempo...
è senza alcun dubbio un servizio reso non
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solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta
l’umanità” (Evangelii nuntiandi, 1), che “conosce stupende conquiste, ma sembra avere
smarrito il senso delle realtà ultime e della
stessa esistenza” (Redemptoris missio, 2).
1. Tutti i Popoli chiamati alla salvezza
L’umanità intera, in verità, ha la vocazione
radicale di ritornare alla sua sorgente, che
è Dio, nel Quale solo troverà il suo compimento finale mediante la restaurazione
di tutte le cose in Cristo. La dispersione, la
molteplicità, il conflitto, l’inimicizia saranno rappacificate e riconciliate mediante il
sangue della Croce, e ricondotte all’unità.
L’inizio nuovo è già cominciato con la risurrezione e l’esaltazione di Cristo, che
attrae tutte le cose a sé, le rinnova, le rende partecipi dell’eterna gioia di Dio. Il futuro della nuova creazione brilla già nel
nostro mondo ed accende, anche se tra
contraddizioni e sofferenze, la speranza
di vita nuova. La missione della Chiesa è
quella di “contagiare” di speranza tutti i
popoli. Per questo Cristo chiama, giustifica, santifica e invia i suoi discepoli ad
annunciare il Regno di Dio, perché tutte
le nazioni diventino Popolo di Dio. È solo
in tale missione che si comprende ed autentica il vero cammino storico dell’umanità. La missione universale deve divenire
una costante fondamentale della vita della
Chiesa. Annunciare il Vangelo deve essere
per noi, come già per l’apostolo Paolo, impegno impreteribile e primario.
PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
2. Chiesa pellegrina
La Chiesa universale, senza confini e senza frontiere, si sente responsabile dell’annuncio del Vangelo di fronte a popoli interi
(cfr Evangelii nuntiandi, 53). Essa, germe di
speranza per vocazione, deve continuare
il servizio di Cristo al mondo. La sua missione e il suo servizio non sono a misura
dei bisogni materiali o anche spirituali che
si esauriscono nel quadro dell’esistenza
temporale, ma di una salvezza trascendente, che si attua nel Regno di Dio (cfr
Evangelii nuntiandi, 27). Questo Regno,
pur essendo nella sua completezza escatologico e non di questo mondo (cfr Gv
18,36), è anche in questo mondo e nella sua storia forza di giustizia, di pace, di
vera libertà e di rispetto della dignità di
ogni uomo. La Chiesa mira a trasformare
il mondo con la proclamazione del Vangelo dell’amore, “che rischiara sempre di
nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio
di vivere e di agire e... in questo modo
di far entrare la luce di Dio nel mondo”
(Deus caritas est, 39). È a questa missione
e servizio che, anche con questo Messaggio, chiamo a partecipare tutti i membri e
le istituzioni della Chiesa.
3. Missio ad gentes
La missione della Chiesa, perciò, è quella
di chiamare tutti i popoli alla salvezza operata da Dio tramite il Figlio suo incarnato.
È necessario pertanto rinnovare l’impegno
di annunciare il Vangelo, che è fermento
di libertà e di progresso, di fraternità, di
unità e di pace (cfr Ad gentes, 8). Voglio
“nuovamente confermare che il mandato
d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce
la missione essenziale della Chiesa” (Evangelii nuntiandi, 14), compito e missione
che i vasti e profondi mutamenti della
società attuale rendono ancor più urgenFOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009
ti. È in questione la salvezza eterna delle
persone, il fine e compimento stesso della storia umana e dell’universo. Animati e
ispirati dall’Apostolo delle genti, dobbiamo essere coscienti che Dio ha un popolo
numeroso in tutte le città percorse anche
dagli apostoli di oggi (cfr At 18,10). Infatti
“la promessa è per tutti quelli che sono
lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio
nostro” (At 2,39).
La Chiesa intera deve impegnarsi nella
missio ad gentes, fino a che la sovranità
salvifica di Cristo non sia pienamente realizzata: “Al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a Lui sottomessa” (Eb
2,8).
4. Chiamati ad evangelizzare anche mediante il martirio
In questa Giornata dedicata alle missioni,
ricordo nella preghiera coloro che della
loro vita hanno fatto un’esclusiva consacrazione al lavoro di evangelizzazione. Una
menzione particolare è per quelle Chiese
locali, e per quei missionari e missionarie
che si trovano a testimoniare e diffondere
il Regno di Dio in situazioni di persecuzione, con forme di oppressione che vanno
dalla discriminazione sociale fino al carcere, alla tortura e alla morte. Non sono
pochi quelli che attualmente sono messi a
morte a causa del suo “Nome”. È ancora di
tremenda attualità quanto scriveva il mio
venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II: “La memoria giubilare ci ha aperto
uno scenario sorprendente, mostrandoci il
nostro tempo particolarmente ricco di testimoni che, in un modo o nell’altro, hanno saputo vivere il Vangelo in situazioni di
ostilità e persecuzione, spesso fino a dare
la prova suprema del sangue” (Novo millennio ineunte, 41).
La partecipazione alla missione di Cristo,
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infatti, contrassegna anche il vivere degli
annunciatori del Vangelo, cui è riservato
lo stesso destino del loro Maestro. “Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un
servo non è più grande del suo padrone.
Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20). La Chiesa
si pone sulla stessa via e subisce la stessa
sorte di Cristo, perché non agisce in base
ad una logica umana o contando sulle ragioni della forza, ma seguendo la via della
Croce e facendosi, in obbedienza filiale al
Padre, testimone e compagna di viaggio di
questa umanità.
Alle Chiese antiche come a quelle di recente fondazione ricordo che sono poste
dal Signore come sale della terra e luce
del mondo, chiamate a diffondere Cristo,
Luce delle genti, fino agli estremi confini
della terra. La missio ad gentes deve costituire la priorità dei loro piani pastorali.
Alle Pontificie Opere Missionarie va il
mio ringraziamento e incoraggiamento
per l’indispensabile lavoro che assicurano
di animazione, formazione missionaria e
aiuto economico alle giovani Chiese. Attraverso queste Istituzioni pontificie si realizza in maniera mirabile la comunione tra
le Chiese, con lo scambio di doni, nella
sollecitudine vicendevole e nella comune
progettualità missionaria.
5. Conclusione
La spinta missionaria è sempre stata segno
di vitalità delle nostre Chiese (cfr Redemptoris missio, 2). È necessario, tuttavia, riaffermare che l’evangelizzazione è opera
dello Spirito e che prima ancora di essere
azione è testimonianza e irradiazione della
luce di Cristo (cfr Redemptoris missio, 26)
da parte della Chiesa locale, la quale invia
i suoi missionari e missionarie per spingersi oltre le sue frontiere. Chiedo perciò a
tutti i cattolici di pregare lo Spirito Santo
perché accresca nella Chiesa la passione
per la missione di diffondere il Regno di
Dio e di sostenere i missionari, le missionarie e le comunità cristiane impegnate in
prima linea in questa missione, talvolta in
ambienti ostili di persecuzione.
Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un
segno credibile di comunione tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta attraversando
l’umanità, per mettere le giovani Chiese
locali in condizione di illuminare le genti
con il Vangelo della carità.
Ci guidi nella nostra azione missionaria la
Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il Cristo,
posto come luce delle genti, perché porti
la salvezza “sino all’estremità della terra”
(At 13,47).
A tutti la mia Benedizione.
Vaticano, 29 giugno 2009
Dal 10 al 20 novembre una piccola delegazione della nostra parrocchia (Giovanna Decio, Tata e Luigi Mapelli) accompagna il Provinciale dei Sacramentini nella
visita alla missione di Ndoumbi (Camerun) in occasione dell’inaugurazione della
nuova chiesa alla quale abbiamo dedicato la campagna quaresimale).
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PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
VITA DIOCESANA
Don Carlo Gnocchi proclamato beato il prossimo 25 ottobre
la lettera dell’Arcivescovo alla Diocesi
Carissimi fedeli,
con profonda gioia comunico la “buona notizia” che il santo Padre Benedetto XVI ha stabilito che
il venerabile servo di Dio don Carlo Gnocchi, compiutosi il processo canonico, venga proclamato
Beato qui a Milano il prossimo 25 ottobre, anniversario della sua nascita avvenuta a San Colombano
al Lambro nel 1902.
Così un altro figlio della nostra Diocesi, un nostro sacerdote, con la sua beatificazione renderà ancora più ricca la già numerosa schiera di Beati e di Santi ambrosiani che veneriamo come intercessori
presso il Signore e luminosi esempi di vita. Ordinato sacerdote nel 1925, don Carlo fu assistente di
oratorio prima a Cernusco sul Naviglio, poi nella parrocchia di san Pietro in Sala a Milano e nel 1936
venne nominato direttore spirituale all’Istituto Gonzaga dei “Fratelli delle Scuole Cristiane”.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, arruolato come cappellano degli alpini, partecipò alla
campagna di Albania e di Russia. Il suo animo rimase profondamente segnato dalla tragica ritirata di
Russia, durante la quale ebbe modo di prodigarsi con eroica dedizione ad assistere gli alpini feriti e
morenti, raccogliendone le ultime volontà e accompagnandoli all’incontro con Dio.
Questa esperienza di dolore fece maturare in lui il progetto di dedicarsi pienamente ai sofferenti.
Nacque così la “Fondazione Pro Juventute”, ora “Fondazione don Carlo Gnocchi”, nella quale furono
accolti tantissimi ragazzi provati dal dolore e da lui curati con amore paterno, delicato e forte. Erano
ragazzi vittime innocenti della devastazione della Seconda guerra mondiale: bimbi mutilati, orfani di
quegli alpini che aveva accompagnato e assistito nel gelo della steppa russa, bambini abbandonati,
ragazzi sofferenti a causa della poliomielite, esplosa drammaticamente proprio in quegli anni. Di tutto
questo “dolore innocente” don Carlo volle essere custode e ministro, perché non fosse disperso, ma
raccolto e trasfigurato dall’amore di Cristo crocifisso e risorto. Consumato dalla fatica e dalla malattia,
don Carlo morì la sera del 28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto profetico, quando in Italia il trapianto
di organi non era ancora diffuso, fu la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti.
I più anziani fra noi potranno ricordare i suoi funerali, celebrati in Duomo dall’Arcivescovo Giovanni
Battista Montini e seguiti da una folla quanto mai imponente di fedeli. Toccanti furono le parole di
un bambino, uno dei suoi ragazzi, portato al microfono per un ultimo saluto: “ Prima ti dicevo ciao
don Carlo, adesso ti dico ciao san Carlo”. In tutta la sua vita, don Gnocchi fu “seminatore di speranza” – così lo definì Giovanni Paolo II -, tracciando così un luminoso sentiero di amore nel buio del
dolore innocente. Fu un prete che in anni assai tormentati seppe con convinzione ed entusiasmo dare
fiducia ai giovani e credere fermamente nel valore “santo” del dolore, soprattutto di quello innocente
dei bambini. Fu un vero uomo di Dio, totalmente affidato al Signore Gesù, “roveto ardente” della sua
vita, del suo ministero e del suo slancio apostolico.
Maria Santissima, la Vergine Madre alla quale don Carlo dedicò tutti i suoi centri e affidò i suoi ragazzi,
ci doni ora di seguire con umile coraggio il suo esempio, diventando noi pure - con rinnovato e più
generoso amore verso i fratelli bisognosi, soli e disagiati, malati e sofferenti - autentici “seminatori di
speranza”.
+ Dionigi card. Tettamanzi, Arcivescovo di Milano
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ANNO SACERDOTALE/2
Proseguiamo il nostro itinerario alla riscoperta di cristiani e cristiane del nostro tempo che
hanno vissuto con particolare intensità e autenticità il sacerdozio battesimale nelle più
diverse condizioni di vita.
Il Vangelo tra i musulmani: Annalena Tonelli
“Io non sono né missionaria, né laica. Sono totalmente consacrata a Dio e ai poveri”
Annalena Tonelli (Forlì, 2 aprile 1943 - Borama, 5 ottobre 2003) non ha mai desiderato parlare
di sé, ma trascorrendo la sua vita in silenzio e in coerenza con il vangelo, prima nella sua città
natale e poi per 35 anni in terra musulmana, ha inventato e fatto conoscere ai tanti che l’hanno
incontrata una nuova speranza e una vita migliore.
Gli anni dei suoi studi universitari sono gli anni attraversati dai grandi fermenti del Concilio e Annalena, anche appassionandosi alle testimonianze di vita e agli insegnamenti di Francesco d’Assisi, Charles de Foucauld, don Milani, don Mazzolari, Gandhi, avverte l’esigenza di un ritorno alla
radicalità del vangelo e di un forte impegno a favore dei più poveri. Ottenuta la laurea in legge
a Bologna, per sei anni è al servizio dei più bisognosi e emarginati nel quartiere più trascurato
della sua città. Quindi fonda il Comitato per la Lotta contro la Fame nel Mondo di Forlì, che
ancora oggi ne prosegue l’opera. Sentendo fortemente il desiderio di condividere pienamente la
condizione dei poveri, nel 1969 decide di partire per l’Africa. Vivrà in Kenia, nel deserto, in un
villaggio di tribù nomadi, poverissime e rigidamente musulmane. Insieme ad un’amica, che l’ha
raggiunta, vive in fraternità e preghiera.
Si trova di fronte alle vittime della tubercolosi, allontanate dalle famiglie, abbandonate da
tutti per la paura del contagio, condannate ad una fine lenta. Li accoglie, li veste. Apre una
piccola struttura di cura, che pian piano con gli aiuti del Comitato, amplia. Cura i malati con
sempre maggiore competenza, che acquisisce anche attraverso studi di medicina e specializzazioni nella cura della tubercolosi e in malattie tropicali.
Inizia a sperimentare un nuovo metodo per la cura della TBC, metodo in seguito adottato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e che ancora oggi è applicato in tutto il mondo.
Malgrado il fisico minuto, Annalena ha una grande forza fisica e una buona dose di coraggio che
le permette di non piegarsi di fronte ai ricatti e alle prepotenze dei capi locali.
Nel 1984 l’operato delle autorità del Kenia avrebbe portato allo sterminio di una tribù del deserto. Le sue denunce pubbliche evitano il genocidio. Arrestata, viene portata davanti alla corte
marziale, quindi espulsa.
Dopo un anno torna in Africa, questa volta in Somalia.
Negli ultimi sette anni vive in a Borama, una cittadina vicino alla frontiera con l’Etiopia., fatta di
baracche di legno affacciate su strade polverose, dove riattiva un ospedale e un ambulatorio per
la cura e la prevenzione della tubercolosi e dell’AIDS, curando un migliaio circa di malati a un
ritmo intensissimo di lavoro.
Oltre alle cure mediche, avvia anche corsi di istruzione sanitaria al personale paramedico, una
scuola per bambini sordomuti e handicappati fisici, una scuola di lingua inglese, di insegnamento
del Corano, in cui vengono accolti bambini e adulti malati. “Con l’educazione l’uomo fiorisce
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PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
più facilmente in una creatura capace di vivere in Dio suo creatore e datore di ogni bene”, così si
esprime Annalena.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità le fornisce medicinali essenziali e Annalena provvede
alla spesa del mantenimento della struttura ospedaliera, agli stipendi per il personale, al cibo per
i pazienti, a mantenere le attrezzature scolastiche...
Il Comitato per la Lotta contro la fame nel Mondo di Forlì, in contatto con lei quasi giornaliero,
via fax, le invia medicinali, materiale sanitario e didattico, denaro.
Annalena sa di rischiare, stando – da sola, donna e bianca, non sposata e cristiana – in un contesto integralmente musulmano, nel quale “non c’è nessun cristiano con cui io possa condividere,
dove due volte all’anno, intorno a Natale e Pasqua, il vescovo di Djibuti viene a dire la Messa per
me e con me”. Ringraziava Dio per il dono più grande che aveva ricevuto nella sua vita: “I miei
nomadi del deserto. Musulmani, loro mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato, la
resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico ma è rocciosa e arroccata in Dio. I miei nomadi
mi hanno insegnato a far tutto in nome di Dio”.
Credeva nel dialogo. “Il dialogo con le altre religioni è questo. E’ condivisione. Non c’è bisogno
quasi di parole. Il dialogo è vita vissuta, almeno io lo vivo così”.
Capace di perdonare anche chi aveva tentato di ammazzarla per le sue prese di posizione contro
predoni, fondamentalisti islamici e capi clan, che rubavano il denaro e i viveri inviati per sostenere i poveri, con la sua tenace dimostrazione di amore gratuito ha colpito tante delle innumerevoli
persone che ha accostato nella sua intensa attività in Africa. Solo alla luce di questo si capisce
come mai donne musulmane avessero accettato che una straniera (per di più cristiana) insegnasse loro – ben prima che la lotta alle mutilazioni genitali emergesse nei paesi europei - come
liberarsi da una pratica antica e disumana..
Il paradosso è che a capire in profondità il segreto di questa donna umile è stato proprio un vecchio capo musulmano, che confidò una volta alla missionaria italiana: “Noi musulmani abbiamo
la fede, voi l’amore.”
Il 5 giugno 2003 a Ginevra le viene assegnato da parte dell’ONU il prestigioso premio Nansen,
con il quale le viene riconosciuto “l’impegno eccezionale per migliorare la sorte di coloro che in
Somalia non hanno alcuna protezione”.
Annalena è deceduta in seguito ad un attentato a Borama il 5 ottobre 2003, per mano di un
ragazzo, con un colpo di arma da fuoco, davanti all’ospedale da lei stessa fatto costruire, dove
aveva appena terminato la visita serale ai suoi degenti.
Su pressante invito del Vaticano, Annalena ha lasciato una lunga e coinvolgente testimonianza
ad un convegno sul volontariato (30 novembre 2001), da cui sono riprese le citazioni riportate
in questo scritto. Dice tra l’altro:“La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi
alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che Dio c’è e che lui è un
Dio d’amore.”
“Nella mia vita non c’è rinuncia, non c’è sacrificio. La mia è pura felicità. Non c’è che una tristezza
al mondo: quella di non amare.”
Annalena ha dimostrato con la sua testimonianza di vita come una persona da sola, senza appartenere a nessuna organizzazione, ma che crede fino in fondo in quello che fa, possa mettere in
atto cambiamenti tali da migliorare nettamente la vita degli altri.
Antonia Amigoni
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DIALOGO
A proposito di dialogo cristiano-islamico
In occasione della IX giornata per il dialogo cristiano-islamico che si celebra martedì 27
ottobre proponiamo qui di seguito la bella testimonianza di una giovane coppia che vive
nel territorio della parrocchia.
Siamo Marta e Badr, una coppia mista:
io, Marta, sono italiana, nata e vissuta a
Milano e mio marito, Badr, è marocchino,
nato e vissuto a Meknes.
Non è semplice raccontarsi, quello che
stiamo scrivendo qui è un piccolo pezzo
della nostra storia personale, e come ogni
storia di amore è peculiare e singolare;
noi due, in più rispetto alle coppie tradizionali, abbiamo da raccontare l’incontro
tra due religioni, due culture e tradizioni
differenti.
A nostro avviso, però, è importante dare
risalto al denominatore comune da cui si
parte per raccontarsi e per raccontare le
nostre differenze: l’amore che ci unisce.
Il nostro incontro ha luogo durante una vacanza trascorsa in Marocco, nel 1999; nasce improvvisamente e inaspettatamente
una storia intensa, fatta di passione, attrazione, curiosità, libertà, e da parte mia da
una sorta di scoperta di “appartenenza”.
Il mio cuore, forse per la prima volta con
tanta intensità, si apre; si apre non solo
nei confronti di Badr, ma anche della sua
famiglia, dei suoi affetti, dei suoi luoghi e
della gente. Irrompe in me una possibilità, la possibilità di poter vivere riscoprendo valori e tradizioni, qualità queste, che
sempre meno nelle nostre società sono
presenti e valorizzati, rimanendo fedele al
mio principio di libertà e indipendenza.
Intravedo l’opportunità di coniugare due
modi differenti di vita per arricchire le nostre visioni; le nostre differenze e i nostri
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mondi piano piano diventano porte che
schiudono ricchezze.
Ma contestualmente c’è la paura, la paura
per una religione, l’islam, così tanto demonizzato e verso il quale manteniamo
innumerevoli pregiudizi; contrariamente a
noi, che nutriamo timore e diffidenza, ho
scoperto sorprendentemente, frequentando la sua numerosa famiglia, quanto loro
abbiano a cuore l’altro, chiunque lui sia.
L’altro è qualcuno da incontrare e ascoltare, senza pregiudizio, la curiosità verso
l’altro da sé ti offre la possibilità di conoscerlo attraverso il contatto e il dialogo.
Fantasticare un mondo di pari, quando
siamo tutti diversi, non ci rende flessibili,
soltanto presuntuosi (non voglio assolutamente generalizzare, questa è semplicemente la mia esperienza di vita).
Ritornando a noi due, la nostra storia ha
avuto un inizio travagliato, un inizio di
lontananza (io a Milano e Badr a Meknes),
fatto di incontri e separazioni, di comprensioni e di diffidenze, insomma in una
parola semplice: una partenza difficile, ma
c’è sempre stato il profondo desiderio di
non perdersi. Poi finalmente le distanze si
annullano: Badr arriva in Italia e iniziamo
a vivere insieme qui a Milano, ci sposiamo
e iniziamo a progettare e sognare il nostro
futuro insieme.
Stiamo compiendo in questi giorni il nostro secondo anno di matrimonio e devo
sinceramente ringraziare Badr che con il
suo coraggio mi ha presa per mano e mi
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ha aiutata a superare la paura delle differenze; sì, è la paura il maggior nemico,
ma vinta questa ciò che si svela è positivo,
accresce le prospettive e ampia gli orizzonti.
Sappiamo entrambi che il dialogo e lo
scambio di opinioni è fondamentale affinché si possa trovare l’equilibrio nel rispetto altrui. Il rispetto per la religione dell’altro, il riguardo per le differenze, la cura e
l’attenzione verso l’altro sono valori fon-
damentali per noi, ma sono anche valori
universali. Se avremo il dono di avere dei
figli, le nostre due religioni saranno vissute con eguale valore, così come le lingue
insegnate, le nostre tradizioni e le nostre
culture.
La nostra grande speranza e sfida è di poter andare avanti in futuro con la semplicità nell’affrontare le difficoltà, incontrandosi e cercando di valorizzare le differenze.
Marta e Badr
VITA ECCLESIALE
«Il mio sogno è quello di creare
il maggior numero di parrocchie»
un’intervista a monsignor André Vingt-Trois, vescovo di Parigi
Per l’arcivescovo di Parigi, l’avvenire della
Chiesa nella capitale passerà sempre più attraverso le parrocchie: sabato 26 settembre
scorso ha riunito tutti i Consigli pastorali per
esortarli a essere innanzitutto “missionari”.
Dal momento della sua nomina nel
2005, come successore del cardinale
Lustiger, Lei ha indetto “le Assise per la
missione” in tutte le parrocchie parigine. Che bilancio può trarne oggi?
Mi sembra che i consigli pastorali parrocchiali ne escano rafforzati e con una maggiore coscienza della loro missione. Questi “cantieri” sono un mezzo per aiutarli a
strutturare il loro lavoro.
Il rischio per i CPP è quello di non riuscire a vedere sempre chiaramente in quali
ambiti investire il loro impegno o di imbarcarsi in progetti troppo pesanti con il
risultato di rimanerne schiacciati. I CPP
in questo periodo hanno potuto mettere
meglio a fuoco e quindi in opera alcune
prospettive chiare per l’avvenire.
FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009
In quale campo Lei ha l’impressione che
le parrocchie parigine abbiano investito
di più?
La solidarietà.
Con il Festival della Carità sono apparse
delle iniziative concrete, vicine alle situazioni locali e, all’interno della maggior
parte delle parrocchie, esiste oggi un Consiglio per la solidarietà.
Io stesso sono stupito da come i cristiani di
Parigi si impegnino a fondo per la gioventù. Se si fa la somma, quest’estate, fra 800
e 1000 giovani, professionisti o studenti,
hanno partecipato ad un raduno proposto
dalle diocesi o dalle parrocchie di Parigi.
Di questi 350 hanno partecipato al pellegrinaggio degli studenti francesi in Terra
Santa. Il loro desiderio è di impegnarsi con
maggior decisione nella missione.
Penso anche ai 12000 bambini e giovani
di cui si fanno carico ogni settimana i patronati di Parigi.
Davanti ai Consigli pastorali Lei ha
parlato della necessità di una “cultura
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dell’obiettivo”: un linguaggio nuovo nella Chiesa?
Una comunità non può accontentarsi di
andare avanti giorno per giorno. Le parrocchie parigine lavorano con mezzi limitati e devono accettare di non impegnarsi
a tutto campo. E’ importante saper fare
delle scelte, definire un progetto, darsi un
limite di tempo, saper fare il punto della
situazione e, eventualmente, non rinnovarlo. Bisogna distinguere ciò che è primario per la parrocchia. E’ il principio alla
base della vita comunitaria. Io credo che
questo approccio sia stato compreso e accettato. Non è stato respinto come illegittimo o peggio ancora sacrilego.
Lei ha chiesto ai CPP di ricentrarsi
sull’Eucaristia, con particolare riguardo
alla messa della domenica. Questo non
Le sembra in contraddizione con l’augurio che i cattolici di Parigi siano più
missionari?
Partecipare all’Eucaristia non impedisce di
andare nelle piazze, al contrario! Ma è essenziale ripartire dal cuore della fede, cioè
dall’Eucaristia. Quello che è importante
non è tanto la nostra capacità di rompere le barriere, quanto piuttosto quella di
sapere perché le rompiamo. Il problema
dell’evangelizzazione non è quello di organizzare grandi manifestazioni o effetti
speciali. Questo tutti lo sanno fare. Evangelizzazione è essere radicati nel Cristo e
farlo conoscere attraverso la propria vita.
Lei insiste sulla messa della domenica,
nonostante che questo giorno venga
sempre più banalizzato nella società
Se si è arrivati a ridurre così la domenica,
riempiendola di troppe cose, è forse perché un bel numero di cristiani non sapeva
più che farsene né perché ci tenesse.
Qual è il ruolo della Chiesa in una capitale come Parigi?
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Parigi è per eccellenza il luogo del pluralismo, del relativismo, dove si confrontano
quotidianamente differenti sistemi. Non
sono differenti solamente gli individui,
ma i modi di pensare, le culture, le religioni. In questo confronto la Chiesa può
essere tentata sia di cercare il più piccolo denominatore comune, appiattendo le
differenze, sia di partire alla conquista del
mondo, come se il mondo esterno non
avesse mai visto niente e non possedesse
alcuna ricchezza.
I cristiani di Parigi devono coltivare due
atteggiamenti: prima di tutto il dialogo, la
capacità di entrare in relazione con persone che non necessariamente hanno le
stesse nostre convinzioni, ma che invece
hanno qualcosa da insegnarci. E’ fondamentalmente l’intuizione del College des
Bernardins: se non si è capaci di comprendere punti di vista differenti, non si
può essere nemmeno capaci di intendere
il nostro stesso punto di vista. Il secondo
atteggiamento è la testimonianza: non si
può essere in dialogo se non si è capaci di
dire chi siamo e in cosa crediamo.
L’avvenire della Chiesa di Parigi passa
dunque attraverso le parrocchie?
Sì e sempre di più. La parrocchia fa parte
del tessuto sociale e lo nutre. Ma, a Parigi, alcune parrocchie sono talmente vaste
che la loro animazione richiede una quasiprofessionalità. Come è possibile coltivare
relazioni comunitarie quando si hanno
parrocchie con 60000 abitanti? Sono state
create un buon numero di nuove parrocchie nel corso degli ultimi quindici anni.
Ma mancano ancora chiese ed è difficile
costruirne: lo spazio è poco e caro; ci si
deve battere per ottenere qualche metro
quadrato nei nuovi quartieri. Il mio sogno
per l’avvenire è di riuscire a creare molte
più parrocchie.
PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
Un tempo Parigi era una felice eccezione per le vocazioni sacerdotali, ma le
cifre recenti mostrano una stasi. Come
suscitare un rinnovamento?
Le vocazioni non troveranno la loro rinascita in un marketing professionale, ma
piuttosto in una generosità di cuore, attraverso un lavoro di ampio respiro presso
i giovani e attraverso un’idea più precisa
del ruolo del prete nella Chiesa. Quando
io invito le comunità cristiane a darsi degli
obiettivi chiari, è anche per permettere ai
sacerdoti di meglio vivere loro stessi il loro
ruolo. L’essere umano non è fatto per vivere in un universo indeterminato. La sua
vocazione è quella di scoprire quello che
si vive e di indirizzarlo a un progetto. Non
solo un progetto personale, ma, per il prete, di identificarsi al progetto della Chiesa
di cui l’Eucaristia è la sorgente.
Lei è al contempo arcivescovo di una
capitale, presidente della conferenza
episcopale francese, membro di dicastero a Roma Come riparare a tutto?
La prima ricetta è di … credere in Dio!
Perché non sono io che faccio vivere la
Chiesa, ma Dio; noi non siamo i capitani
della barca, è il Signore che ne è il Capitano. D’altro canto, ho degli eccellenti
collaboratori e collaboratrici a livello sia
nazionale che diocesano: essi non sono
dei semplici esecutori, ma sono parte
costituente dell’insieme del progetto di
Chiesa. Infine tutto ciò è possibile solo
se è unificante. Quando vado a Roma, io
non abbandono la mia missione di arcivescovo di Parigi. Seguire il Cristo non è sostenere l’accumularsi di incarichi gravosi,
ma entrare in un cammino che costruisce
la mia vita. Io sono al servizio di una missione unica, quella della Chiesa.
(tratto da «La Croix», 1 ottobre 2009
Traduzione di Elisabetta Arenare)
Claudia, Daniel e il futuro dei loro ragazzi
Avevamo salutato Claudia, Daniel e i loro due figli all’inizio dell’estate quando, dopo
l’ennesimo sgombero del campo dove si trovavano, avevano deciso di ritornare in Romania. Sono ricomparsi alla fine di agosto senza i loro figli.Il quadro della loro vita è
molto semplice: poverissimi, vivono da stanziali con i nonni paterni in un villaggio quasi
esclusivamente abitato da rom. Daniel e Claudia non hanno un mestiere: hanno sempre
lavorato nei campi. Come spiega Daniel, al tempo di Ceaucescu tutti dovevano lavorare
(se non lo facevi finivi in prigione!) e la terra, patrimonio statale dava lavoro a tutti.
Oggi non è più così: quest’anno c’è stato lavoro solo per un mese, sono quindi tornati
a Milano per racimolare un gruzzoletto da riportare a casa.I bambini non possono fare
questa vita e comunque i loro genitori hanno capito molto bene che la scuola è il solo
mezzo per integrarsi e inserirsi nella vita sociale del paese. È così che alcuni di noi si sono
assunti un piccolo impegno nei confronti dei due ragazzi: abbiamo deciso di sostenerli
inviando loro ogni mese una somma quale “borsa di studio” per frequentare la scuola.
Un’amica che lavora in Romania con un’organizzazione umanitaria terrà regolari contatti con il direttore della scuola per verificare la frequenza e i progressi dei due ragazzini.
Saremmo felici di vedere che almeno per loro ci possa essere un futuro diverso nel loro
paese!
Giovanna Benuzzi
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VITA PARROCCHIALE
«Signore, dammi la curiosità intellettuale
per continuare a cercare. A cercare il tuo volto»
Un avvio intenso per gli operatori pastorali
L’anno pastorale si apre con due proposte rivolte agli operatori pastorali, di cui la prima
è un ritiro spirituale presso un monastero benedettino; il luogo non è proprio comodo
da raggiungere ma, superate perplessità e pigrizia, il 26 settembre mattina ci dirigiamo
a Dumenza, forse spinti più dal senso del dovere! Ma eccoci qui al primo incontro
per operatori pastorali. Siamo poco più di una settantina ad aver aderito; forse i più
distanti sono stati soprattutto i giovani; peccato, perché nelle loro mani è il futuro della
nostra parrocchia e soprattutto della Chiesa ambrosiana tutta, quella parte di Chiesa a
cui il Cardinale Martini spesso si è rivolto con tanto accorato affetto! Ci siamo riuniti
qui, lasciando i nostri impegni cittadini, per scoprire che è proprio l’autodonazione che
trasforma la vita in atto liturgico, in servizio a Dio, in eucaristia. In quest’opera di discernimento ci guida padre Adalberto, monaco benedettino, attraverso la lettera di S. Paolo
apostolo ai Romani (cap 12). I nostri compiti come operatori pastorali, ognuno nel suo
ambito, sono un dono di Dio e non un “grado” raggiunto per i nostri meriti; seguire il
Cristo significa saper abbandonare la logica mondana. E in questo nostro piccolo sforzo
nel raggiungere, magari tra mille “mugugni”, questo splendido monastero, immerso
nel verde silenzioso di una collina sulle rive del lago Maggiore, che scopriamo il nostro
“ministero” di laici chiamati, convocati! Noi oggi, qui radunati, siamo come i discepoli,
convocati da una folla molto più ampia. Ciò che ci viene detto oggi vale per tutti, ma
giungerà agli altri se anzitutto sarà stato significativo per noi che siamo stati convocati
più vicini, come i discepoli accanto a Gesù presso il lago di Tiberiade. Lungo la strada ci
interroghiamo:“Mi sento di lasciarmi convocare? Non radunare una volta ogni tanto, ma
convocare con perseveranza? Quali sono le mie resistenze a lasciarmi convocare? Cosa
sento dentro di me? Pigrizia, stanchezza, svogliatezza? Paura di impegnarsi?” (card. Carlo
Maria Martini, Liberi di credere). Il lasciarsi convocare a volte sarà un piacere, altre
volte un impegno più o meno gravoso, noioso, nel quale non si capirà bene che ruolo
abbiamo, dove stiamo andando. Ma da questa convocazione scaturisce “una nuova,
più matura e più profonda scoperta di Cristo nella nostra vita. Questa è un’avventura
meravigliosa. Dalla nuova scoperta di Cristo, quando è autentica, nasce sempre, come
diretta conseguenza, il desiderio di portarlo agli altri.” (card. Carlo Maria Martini, Liberi
di credere).
Siamo in Cristo un unico corpo, dove unità, diversità, reciprocità rimangono in dialogo,
perché l’unità non divenga uniformità, la diversità non degeneri in competizione e la
reciprocità non si rinchiuda nella solitudine! Il padre benedettino ci insegna come ogni
nostro carisma debba essere messo a frutto nel servizio della comunità e non rinchiuso
nella passività e come ogni servizio abbia il suo valore. Il servizio alla comunità mantiene
un carattere evangelico solo se svolto nella semplicità, nella dedizione e nella gioia, cioè
se avviene senza pieghe, senza secondi fini. Questo implica che mettiamo da parte ogni
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PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
presunzione e ogni ricerca di gratificazione personale.
Il secondo incontro si svolge la sera del 6 ottobre nei locali della parrocchia ed è guidato
dal teologo Luca Bressan sul tema Preti, diaconi, laici. Ministeri immaginati, trasformazioni subite. Il titolo incuriosisce ma non prelude ad alcun discorso altisonante, niente retorica, solo la fede declinata nel quotidiano, nelle mille fatiche di una Chiesa che
a volte sembra arrancare dietro ai tempi, pur nell’impegno costante del discernimento.
“Forse la Chiesa è sempre un passo indietro perché i tempi cambiano troppo velocemente?”, si chiede Bressan. Forse in un mondo dove tutto viene misurato in termini di
risultati, siamo tutti troppo concentrati a vagliare l’efficienza della Chiesa, ci affanniamo
per trovare rimedi alla carenza di vocazioni, per rendere le nostre parrocchie più efficienti, la pastorale più incisiva, impieghiamo risorse e dimentichiamo che “noi siamo di
Cristo, ed è la sua forza che agisce all’interno della nostra debolezza, delle ferite visibili o
nascoste”. Sapremo cogliere, oggi come ieri, che “tempi di metamorfosi e prove possono
anche essere tempi di rinascite e di semine”? (C. Dagens, Libera e presente)
In una società secolarizzata, dove i riferimenti comuni prescindono dalla fede, i cattolici
non hanno vita facile! Sapremo raccogliere la sfida del nuovo tipo di evangelizzazione
che ci viene richiesto?
Gli spunti di formazione non sono mancati. Ora sta a noi saperli declinare nel quotidiano!
Cristina Alberti
La Bibbia in ogni famiglia
Presso la segreteria parrocchiale sono ancora disponibili
i volumi della Bibbia, curata da don Bruno Maggioni
e Gregorio Vivaldelli, nella nuova traduzione della CEI.
L’edizione, personalizzata con alcune pagine di introduzione a ricordo del 50° della fondazione della Parrocchia, è ricca di spiegazioni, indici tematici, percorsi
di lettura. Adatta soprattutto a chi cerca una guida per
accostarsi alla Scrittura, può diventare anche l’occasione di un dono.
Ora sono disponibili anche, sempre in segreteria, le sovracoperte in stoffa colorata realizzate su misura dalla cooperativa sociale “neWhope”di Caserta, avviata
e sostenuta da suor Rita Giaretta per favorire l’inserimento lavorativo di donne
immigrate in gravi situazioni di difficoltà.
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CARITAS
IL NOSTRO BANCO ALIMENTARE
Conoscete il Banco alimentare della nostra Parrocchia? Vi si accede da una porta di
fronte al Teatro Blu, quella a sinistra del Centro Culturale. Da li si va nella palestra. Ecco:
in quel corridoio, tra il cortile e la palestra, per due giorni al mese (talvolta anche di più)
si avvicendano i nostri amici assistiti. Vengono per ricevere pasta, olio, conserve, legumi,
marmellate, omogeneizzati, pannolini, quanto basta loro per qualche giorno, un piccolo aiuto, un semino di sesamo per il loro bisogno. Fanno la fila aspettando il turno nel
cortile, sopportando il caldo estivo ed il freddo o la pioggia dell’inverno. Arrivano con
sacche, sacchetti, trolley. Si fanno accompagnare dai figli per avere un aiuto a trasportare
i pesi di quel poco di sollievo che riusciamo a dare. Ma soprattutto vengono sempre con
un sorriso. Li ascoltiamo, li seguiamo. Nei casi più complessi li invitiamo a ricontattare
il nostro Centro d’Ascolto, la torre di controllo della carità parrocchiale, per la ricerca di
un nuovo lavoro, medici, legali.
Mentre i trolley si riempiono di un po’ di serenità, scambiamo due parole sui loro problemi, sul loro coraggio, sulla loro forza di speranza. E il semino di sesamo cresce, vuole
germogliare e diventare un albero, il più grande dell’orto.
Chi di voi ha avuto occasione di vedere il sito internet della nostra Parrocchia (bellissimo
e rinnovato di recente) forse ha cliccato anche su “Caritas” e poi su “Banco Alimentare”.
Ha quindi ricevuto un’impressione, ha visto qualche numero (riferito all’aprile scorso):
180 amici assistiti, grazie ai tanti aiuti dai contributi di voi parrocchiani e da altri enti
benefici.
A sei mesi da quella fotografia il quadro è già cambiato. La fase economica che attraversiamo, l’emergenza della nuova povertà in particolare, è stata una valanga che ha
coinvolto tutti gli strati sociali, arrivando a cascata sino ai più deboli. Qualche benestante
che poteva permettersi una colf o una badante, dando lavoro ai bisognosi della nostra
parrocchia, ora ha stretto i budget, annullando o riducendo l’aiuto.
La base dei fratelli bisognosi si allarga.
Oggi il Banco Alimentare si adopera per assistere il 30% in più di persone rispetto all’anno scorso. Le famiglie giovani con bambini piccoli sono aumentate. Sono aumentati
i bisogni complessivi da soddisfare, ma il semino di sesamo della nostra Parrocchia è
testardo. Vuole crescere. Affronta le situazioni grazie al vostro aiuto alla Parrocchia e va
sempre avanti, forte. Perché non è solo, ma rappresenta il BENE di tutti voi.
Costantino, Daniela, Elsa, Giulia, Giusy, Paola, Rodolfo
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PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
Una povertà sempre più trasversale
i dati dell’Osservatorio di Caritas Ambrosiana sull’impatto della crisi
Operai generici in cassa integrazione. Donne straniere che non riescono più a trovare un posto come badanti e colf nelle famiglie italiane. Piccoli artigiani e lavoratori dipendenti strozzati dai debiti. Sono queste le vittime della crisi economica secondo l’Ottavo rapporto sulle
povertà della Diocesi di Milano presentato mercoledì 30 settembre durante il convegno
Crisi economica e crisi delle famiglie organizzato da Caritas Ambrosiana. La ricerca, realizzata dall’Osservatorio diocesano sulle povertà, si basa su un’analisi statistica del campione di
famiglie che hanno chiesto aiuto nel corso del 2008 ai 59 centri di ascolto e ai servizi Caritas
(15.809 persone) e su due approfondimenti dedicati a coloro che si sono rivolti al Fondo
Famiglia Lavoro istituto dall’Arcivescovo (1.807 persone) e alla Fondazione San Bernardino
(739 casi in tre anni in tutta la regione Lombardia).
Dall’analisi emergono profili diversi e problemi specifici.
I “poveri di lungo corso”
Gli utenti dei centri di ascolto nel 2008 sono per lo più donne (69%). Gli stranieri con il 74%
prevalgono sugli italiani. L’età media è circa 40 anni (ma gli italiani sono generalmente più
anziani). Il 46,5% ha raggiunto la licenza media inferiore o superiore. Poco più della metà (il
50,8%) è disoccupato. Tra gli occupati il 59% svolge attività di servizio alle persone presso i
privati come colf e bandanti. I dati, dunque, confermano un identikit identico a quello degli
anni precedenti. Vi sono tuttavia alcune novità che mostrano quanto la crisi economica abbia peggiorato le condizioni di questa fascia già debole della popolazione.
1) Aumentano le problematiche occupazionali che nel periodo gennaio-settembre 2008 si
assestavano al 48,4% per salire al 50,8% negli ultimi tre mesi dello stesso anno, momento in
cui la crisi è scoppiata. Ciò, tra l’altro, spinge a ritenere che proprio per effetto delle difficoltà
del mercato del lavoro anche la pressione dei disoccupati sui centri di ascolto aumenterà nei
prossimi mesi.
2) Rispetto al passato crescono in modo rilevante anche le problematiche legate al reddito,
che passano dal 33,7% del 2007, al 40,5% del 2008.
3) Aumentano anche le richieste di beni materiali, soprattutto alimentari e vestiti (erano
23,9% nel 2007 sono il 28,9% nel 2008, quasi un terzo).
4) Mentre il numero delle persone che si sono rivolte ai centri di ascolto rimane pressoché
identico (erano 15.901 nel 2007), aumentano i colloqui, i bisogni e le richieste. Il dato è
segno della maggiore difficoltà degli utenti che non trovano risposta a problematiche più
complesse e devono chiedere aiuto più volte e per periodi più lunghi.
5) Aumentano del 3% gli stranieri extracomunitari con regolare permesso di soggiorno, dunque
quelli che più verosimilmente hanno intrapreso percorsi di integrazione. Il che fa supporre che
i problemi derivati dalla crisi abbiano peggiorato le condizioni di coloro che avevano faticosamente raggiunto un livello di vita dignitoso, sospingendoli in una situazione di difficoltà estrema. Infine un’indagine più specifica, condotta nel mese di giugno su alcuni centri di ascolto per
meglio valutare gli effetti della crisi, conferma un generale aggravarsi della condizione di bisogno degli utenti: aumentano le segnalazioni di perdita di lavoro, cassa integrazione, riduzione
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dell’orario. Per sopperire al calo dei redditi, le persone cercano lavori integrativi. In particolare,
alcune donne italiane si offrono come lavoratrici domestiche, mentre donne straniere che svolgevano l’attività di colf e badanti trovano più difficilmente impiego presso le famiglie italiane.
I “poveri per la prima volta”
Gli effetti della crisi, tuttavia, si possono misurare meglio tra i beneficiari del Fondo Famiglia e Lavoro, voluto dal cardinale Tettamanzi all’inizio dell’anno proprio allo scopo di aiutare le famiglie
che perdono il lavoro. Hanno fatto domanda al Fondo sia italiani che stranieri, in ugual misura.
Gli uomini (73%) hanno prevalso sulle donne (27%). Circa quattro persone su dieci (il 36,5%)
hanno un’età compresa tra i 41 e i 50 anni. La maggior parte delle persone è coniugata (il 66%)
con uno o due figli (il 78,9%). Più delle metà è disoccupata e lavorava (il 61%) come operaio specializzato o generico, in genere nell’edilizia o nell’industria, i settori che paiono più colpiti. Poco
più della metà (il 51%) ha debiti superiori o almeno pari al reddito complessivo che in genere
non supera i 500 euro. Una situazione insostenibile se si tiene conto del fatto che solo il 25% vive
in una casa popolare mentre il 43% paga canoni di affitto sul libero mercato. Si tratta, dunque,
per la maggior parte di famiglie del ceto medio-basso, che prima dell’ottobre 2008, erano già
particolarmente vulnerabili e che la crisi ha fatto precipitare in condizioni di forte disagio.
I “senza rete e i “funamboli”
Appartengono a queste categorie le persone fortemente indebitate. Sono individui o famiglie
che hanno fatto ricorso al credito o per fronteggiare il carovita che ha progressivamente eroso
i loro risparmi e drasticamente diminuito le capacità di spesa (i “senza rete”) oppure sono individui e famiglie che hanno chiesto prestiti per sostenere livelli di consumo al di sopra delle
loro effettive disponibilità economiche (i funamboli). Secondo i dati della Fondazione San
Bernardino, voluta dai vescovi lombardi nel 2004 per prevenire fenomeni di usura, si tratta in
entrambi i casi generalmente di uomini, di nazionalità italiana, coniugati, con un reddito medio del nucleo familiare di 1800 euro, di età compresa tra i 35 e i 59 anni e con un debito che
può arrivare fino a 40mila euro. Costoro hanno manifestato difficoltà ben prima dell’esplodere
della crisi economica. La crisi ha, tuttavia, peggiorato la loro situazione facendo saltare equilibri
finanziari già instabili. Non a caso tra le cause d’indebitamento una delle più comuni, nel corso
del 2008, è proprio la diminuzione delle entrate economiche che può dipendere o da una
forte riduzione delle ore di lavoro, o addirittura dal fallimento dell’attività avviata in proprio.
«La ricerca dimostra che in questo momento di crisi la povertà diventa sempre più trasversale.
Chi stava già male, in particolare gli stranieri, vedono peggiorare la loro condizione. Famiglie
di ceto medio basso, che facevano fatica ma andavano avanti, non riescono più a sostenere i
costi della vita quotidiana. Persino chi si sentiva garantito, ora deve fare i conti con crescenti
difficoltà economiche – ha osservato don Roberto Davanzo direttore di Caritas Ambrosiana
-. Proprio il riconoscimento di questa realtà dovrebbe sollecitare tutti a ricostruire un tessuto
etico e valoriale condiviso, a rifiutare sia quel disprezzo dell’altro che si traduce in forme più
o meno velate di razzismo, sia atteggiamenti di chiusura e di ripiegamento su noi stessi. La
crisi può trasformasi paradossalmente in un’opportunità, se ci spingerà a rivedere i nostri stili
di vita all’insegna della sobrietà».
(www.caritas.it)
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PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
SCUOLA DELL’INFANZIA
Nati per cercare… nati per amare
l’inizio di un anno ricco di scoperte
Come ogni anno, all’inizio di settembre, la nostra scuola torna a riempirsi dei volti di
cento bambini, delle loro voci allegre, dei giochi e dei canti, ma soprattutto delle loro
storie così importanti perché uniche ed irripetibili.
Quest’anno, i piccoli entrati per la prima volta a scuola, sono circa trentacinque, molte
lacrime da asciugare e cuori da consolare, ma, anche con l’aiuto di grandi e mezzani, i
piccoli hanno capito che le mamme tornano, che a scuola ci si diverte, si trovano nuovi
amici e che le maestre sono lì per loro, per tutti ma con grande attenzione a ciascuno.
Grazie mamme e papà, siete stati molto bravi a nascondere la vostra naturale ansia dei
primi giorni, accompagnando i vostri tesori a scuola sempre con un sorriso per trasmettere a loro serenità!
Il periodo dell’inserimento si è concluso con la Festa dell’Accoglienza, dove tutti, trasformati in pirati, sono stati protagonisti; al centro del salone è stato costruito un grande galeone dove son saliti i piccoli dopo aver ricevuto bandana, mappa e bussola e festeggiati
oltre che dai genitori dalla “ciurma dei mezzani e dei grandi”.
La programmazione didattica di quest’anno è incentrata sull’intercultura ed il titolo è
“Nati per cercare… alla scoperta di tesori per terra e per mare”.
Attraverso i vari percorsi il nostro desiderio è di accompagnare i bambini ad imparare a
star bene insieme, a sentirsi sicuri in un ambiente sociale allargato e coltivare con immaginazione e creatività emozioni e desideri. A porsi domande e favorire il passaggio dalla
domanda alla ricerca, a esplorare terre non ancora note, culture diverse dalla nostra e
apprezzare la bellezza della diversità. A dare voce a emozioni, sentimenti, pensieri e
mettere in atto lo spirito di iniziativa.
Il mondo dei pirati affascina molto i nostri bambini e di questo ce ne siamo accorte già
dalle prime proposte.
La programmazione d’insegnamento della religione cattolica è intitolata “Nati per amare… in principio, secondo il piccolo Francesco”.
Gli obiettivi che ci siamo proposte sono far vivere momenti di stupore nel contemplare
le bellezze del creato e riconoscerle dono di Dio Creatore; riconoscere nel piccolo bimbo Gesù il dono di Dio all’umanità; conoscere attraverso la parabola, come ama ogni
figlio il cuore di Dio Padre; comprendere che la pace è dono di Gesù Risorto che viene
a chiederci di essere vissuto; apprezzare i missionari che sulle strade del mondo annunciano l’amore del Signore.
Il cammino è lungo, ma molto bello e affascinante e, come ha sottolineato anche la
nostra pedagogista dottoressa Pelizzari, nell’incontro con i genitori, pensato e finalizzato per il bene del bambino e insieme a tutte le attività della giornata, alla sua crescita
globale.
Marina Dotti, direttrice
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ORATORIO
Il senso della missione
attraverso l’esperienza di volontariato all’estero
di cinque giovani della nostra comunità
Parlare di senso della missione non è
facile. Significa avventurarsi in un intrico di punti di vista, interpretazioni e
scelte di vita che toccano le corde più
profonde dell’animo umano, con il rischio di perdersi confondendo le frasi
fatte con la realtà di una dimensione
che non è sempre facile cogliere fino
in fondo. L’83esima Giornata Missionaria Mondiale però offre a tutti l’occasione di riflettere su un istituto, quello
missionario, su cui i fari troppo spesso
restano spenti e che forse proprio per
questo motivo vive ormai da anni un
declino che pare non avere soluzioni
di continuità. Secondo Carl Braaten,
«la missione è il processo che esplora il
senso universale del Vangelo nella storia». Martin Kahler si è spinto fino ad affermare che «la missione è madre stessa
della teologia», in virtù del processo che
ha portato la Chiesa nascente, in maggior parte ebrea, a riscoprire l’universalità del messaggio evangelico proprio
attraverso un percorso di espansione e
confronto con la cultura greca. La fredda evidenza numerica dei giorni nostri
getta tuttavia un’ombra preoccupante
sul futuro di una delle istituzioni madri
della Chiesa. Da un’analisi del 2008 a
cura di Gerolamo Fazzini, direttore del
mensile “Mondo e Missione”, si evince
che se le suore missionarie della Consolata di origine italiana erano 870 nel
1983, oggi sono 443. Lo stesso discorso
vale per l’ordine dei comboniani che
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tradizionalmente è sempre stato il più
attivo sul fronte missionario: in questo
caso nel 1983 gli italiani erano 1.216 e
25 anni dopo sono si sono ridotti 778,
di cui 548 sono pensionati o invalidi.
Tanto basta per poter sostenere che
l’istituto missionario è in crisi nera.
Il senso della missione è però un concetto di ampio respiro che spazia
dall’ambito ecclesiastico e vocazionale
alla sfera del laico e del volontariato. Il
missionario e il volontario. Due figure
che, seppur con le dovute distinzioni,
presentano tratti comuni, ed i cui cammini spesso e volentieri si incrociano.
Da questi incontri nella maggior parte
dei casi risulta una collaborazione positiva e sinergica, uno scambio proficuo
di esperienze grazie ad una condivisione di valori, obiettivi e a volte anche
di fede. Il senso delle loro missioni li
accomuna per molti aspetti, soprattutto
perché sono ispirate dagli stessi valori:
la vocazione verso il prossimo, il contribuire ciascuno secondo le sue strade
e nel proprio piccolo all’assistenza nei
confronti di chi soffre, al di là di ogni
credo, razza o ceto sociale.
E così, mentre ascoltavo i racconti di 6
ragazzi dai 19 ai 23 anni che spontaneamente hanno deciso di vivere durante il periodo estivo un’esperienza di
volontariato all’estero, mi sono sforzato
di cogliere se e quali fossero i riflessi di
tale senso della missione che illuminavano il loro agire. Non è stato difficile:
PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
fin dalle prime parole di Anna, Chiara,
Emanuele, Francesca, Irene e Johann,
è emersa prepotentemente la grinta e
l’entusiasmo rinnovato dal ricordo di
mille volti conosciuti, sguardi incrociati,
paesaggi ammirati ed esperienze scambiate. Il senso della missione non è forse la passione per il prossimo?
Da tale premessa prende così le mosse
l’intervista a questo gruppo di ragazzi,
con i quali ho ripercorso le loro esperienze di volontariato all’estero e le cui
parole mi hanno aiutato a scorgere e
riconoscere i tratti essenziali del senso
della missione del volontario, che forse
sono in parte gli stessi del senso della
missione di un missionario.
Francesca, Brasile: oltre lo stereotipo
Missione: può volere dire riuscire ad
andare oltre uno stereotipo, immergendosi apertamente in una realtà e in
una cultura diversa, per poi riemergere un po’ più consapevoli del fatto che
la realtà vera ha poco o niente a che
spartire con il luogo comune. E’ questo il caso di Francesca, una ragazza di
23 anni partita per un mese in Brasile con l’associazione Ipsia delle Acli. A
lei domando se e come è mutato il suo
giudizio in merito al pregiudizio diffuso
che vuole i brasiliani pigri e senza spirito d’iniziativa:
Appena arrivata al villaggio Belavista,
uno dei tanti del Movimento Sem Terra
(movimento senza terra), in aperta campagna, costituito da trenta case disposte
a semicerchio e da una scuola, la mia
mente è corsa ai racconti dei miei nonni sulla loro infanzia in campagna, con i
secchi per prendere l’acqua al pozzo, i
buoi, i rimedi della natura per ogni tipo
FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009
di malessere e il bagno nella tinozza.
Subito dopo sono tornata al 2009 e mi
sono chiesta come possa esserci tanto
divario tra questa vita e la nostra.
Dopo qualche giorno al villaggio un mio
compagno di viaggio continuava a domandarsi: “ma cosa ci vuole a mettere
una grondaia di bambù per raccogliere
l’acqua piovana ed evitare che le case
ammuffiscano, a disporre un sentiero in
legno per non affondare coi piedi nel
fango, a costruire un recinto perché le
galline non entrino in casa, ad imbiancare la scuola..?”
In effetti è vero, cosa ci vuole? La risposta comune è che non ci vuole nulla, è
semplicemente che i brasiliani non hanno voglia di fare, non hanno spirito di
iniziativa perché con la colonizzazione
si sono abituati a fare ciò che altri decidevano e adesso non sanno sfruttare la
loro libertà.
Come in ogni luogo comune anche in
questo c’è una parte di verità, ma credo
che molti fattori culturali e sociali contribuiscano a determinare tale stile di
comportamento: la condizione economica e sociale precaria, unita agli anni
di colonialismo e alla priorità di soddisfare i bisogni primari, vanno certamente a discapito della progettualità per il
futuro.
Tutto questo a noi appare strano e in
qualche modo riprovevole anche a causa
delle ampie differenze culturali esistenti
tra noi e loro. Al nostro individualismo fa
da controparte un fortissimo senso della
comunità, infatti gli obiettivi, i vantaggi,
gli aiuti economici e materiali, per quello che ho visto, si raggiungono insieme
e per tutti allo stesso modo. Al villaggio
condividono il lavoro collettivo, insieme
20
pavimentano la scuola per i figli quando
il governo dopo anni non ha provveduto,
in assemblea decidono di richiedere una
pompa per distribuire acqua corrente
nelle case, insieme cercano di migliorare
le loro condizioni e di creare opportunità. Non soltanto qui in campagna ma
anche in favela a Salvador de Bahia ho visto persone darsi molto da fare, improvvisandosi muratori, organizzando una
scuola professionalizzante gratuita per i
giovani, offrendo a bimbi dell’asilo una
struttura colorata e accogliente mantenuta grazie all’impegno di poche signore
e alla loro creatività per ottenere finanziamenti. In questi contesti c’è sempre
qualcuno, ovviamente non tutti, pronto
a darti una mano, ad offrirti un pasto o
un letto, i quartieri sono uniti, vivi, solari,
non c’è da preoccuparsi quando sei via
perché il tuo vicino custodirà la tua casa
e saprà dire dove trovarti a chi ti cerca.
Non penso che sia la mancanza di spirito
di iniziativa la differenza che percepiamo
tra noi e loro, ma il modo di raggiungere
gli obiettivi e di soddisfare i nostri desideri.
Anna, Nicaragua: una realtà che ferisce
Missione: può significare anche essere
disposti a stare male, a venire colpiti
così profondamente da una realtà tanto
più lontana e disperata dalla nostra da
restare feriti emotivamente. Di questo e
della realtà nicaraguense ci parla Anna,
una ragazza di 23 anni che attraverso la
Caritas ha soggiornato per un mese in
Nicaragua:
Dall’esperienza nel barrio Nueva Vida è
emerso con estrema evidenza come non
esista una forma di solidarietà di vicinato
21
in situazioni comuni di bisogno. La famiglia nicaraguense è spesso destrutturata:
la figura paterna è assente e la madre,
molto giovane, ha la responsabilità di
mantenere figli frutto talvolta anche di
relazioni precedenti se non addirittura
di violenza. Tuttavia a causa delle condizioni economiche e sociali del Nicaragua la maggioranza delle donne non ha
un lavoro stabile e si dedica ad attività
occasionali, soprattutto come venditori
ambulanti. In accordo con lo spirito non
assistenzialistico di Caritas Ambrosiana,
nel centro presso cui svolgevo l’attività
di volontariato avevamo due momenti
di incontro con le donne: al mattino
presto distribuivamo a un gruppo di 60
bambini il latte proponendo in parallelo alle mamme alcuni incontri educativi
sul tema della cura della casa, dell’igiene personale e della salvaguardia delle
risorse primarie. Inoltre nelle visite domiciliari nel quartiere avevamo l’occasione di visitare le umili abitazioni delle
famiglie per ascoltare, incoraggiare, suggerire e intercettare alcuni loro bisogni
e verificare il loro impegno nei confronti
dei progetti proposti dal centro. In questi
contatti percepivo di continuo una forte
rassegnazione delle nostre interlocutrici
che si manifestava sia nell’assoluta mancanza di progettualità sia nell’assenza
di autostima. Personalmente ho vissuto
momenti di alto impatto emotivo, difficili da dimenticare.
Chiara, Irene e Johann, Kenya: il confronto con la diversità
Missione: significa anche essere aperti
al confronto e allo scontro, può voler
dire avere la voglia e l’umiltà di osservare come uno stesso ruolo o una stesPARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
sa professione può assumere contorni
diversi a seconda della mano che svolge il compito, della cultura che guida i
pensieri e dell’ambiente in cui le azioni
ricadono. Chiara, Irene e Johann hanno avuto l’occasione di confrontare la
propria esperienza di giovani educatori
milanesi con quella dei propri coetanei
africani, trascorrendo un mese in una
città del Kenya di nome Kisii. Quali
sono state le vostre impressioni su questo aspetto?
Bisogna premettere che, stando a quanto abbiamo capito, il concetto di volontariato come animazione in oratorio è
stato introdotto nella cattedrale di Kisii
dai volontari che ci hanno preceduti.
Non si può dunque parlare di un confronto tra la nostra concezione dell’animatore e la loro quanto piuttosto della
loro elaborazione del nostro modello di
animatore che gli è stato proposto. Esso
sinteticamente consiste in una figura che
facendo giocare e riflettere un gruppo di
bambini si propone di diventare per loro
un punto di riferimento positivo. Importante è anche il fatto che l’ animatore
lavora gratuitamente all’ interno di un’
equipe la cui principale caratteristica è
una solida e pratica organizzazione.
Osservando il gruppo di giovani della
cattedrale che vogliono diventare animatori abbiamo potuto notare che il
fine che associano all’ animazione non
è tanto lo svago o la riflessione quanto il
desiderio di dare ai più piccoli un modo
di impiegare meglio il proprio tempo libero. Infatti non è inusuale vedere bambini, e in realtà spesso anche adulti, seduti o sdraiati ai bordi delle strade a fare
nulla. Altre finalità non meno importanti
sono la voglia di impiegare anche il loro
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tempo libero in maniera costruttiva e di
creare occasioni di condivisione e dialogo all’ interno del gruppo animatori. Ci
è sembrato inoltre che il fatto che noi
fossimo venuti dall’ Italia apposta per
dare loro una mano li motivasse ulteriormente a lavorare. Il loro punto debole è
la disorganizzazione: ritardi e assenze
erano all’ ordine del giorno, e seguire
lo schema delle attività decise risultava
spesso molto difficile. Un altro aspetto
assai delicato è quello della gratuità: infatti, parlare di volontariato in un contesto di povertà, non è semplice e non era
chiaro se alcuni di loro si aspettassero
dalla parrocchia o da Arché una qualche retribuzione. In conclusione possiamo dire di aver incontrato un gruppo di
ragazzi simpatici, ospitali e aperti, con
cui abbiamo potuto creare un rapporto
di reciproco scambio.
Emanuele, Zambia: il vecchio e il nuovo della missione
È con l’esperienza di Emanuele infine
che si può apprezzare l’incontro e il
confronto fra la dimensione della missione di un giovane volontario e quella
di un anziano missionario. Partiamo dal
domandarci chi è il missionario di oggi:
che caratteristiche ha questa ‘razza’ che
sta via via scomparendo? Madre Teresa,
con la sconvolgente semplicità che l’ha
sempre caratterizzata, una volta ha risposto che “missionario è quel cristiano
talmente innamorato di Gesù Cristo, da
non desiderare altro che di farlo conoscere e amare”. Questa concezione di
vocazione prima ancora che di ruolo
si è scontrata però nel corso degli anni
con lo “spirito delle Crociate” che ha
caratterizzato i primi missionari, forte22
mente animati da una sorta di attivismo
pragmatico nei confronti della popolazione locale più che dalla volontà di
testimoniare il Vangelo umilmente e attraverso il dialogo. Molti sostengono di
conseguenza che ad essere in crisi non
è tanto la missione come tale, quanto
invece il missionario stesso. Emanuele
ha avuto l’occasione di vivere fianco a
fianco per un mese con padre Francesco, un missionario che quotidianamente dedica le proprie energie al popolo
zambiano. A lui domando se qualcosa
oggi è cambiato, se il missionario dei
nostri giorni ha saputo evolversi, discostandosi dal modello del missionario
dall’“atteggiamento erudito e dallo spirito da crociata”, come affermava Kusuke Koyoma, un esperto giapponese di
missioni.
Si pensa sostanzialmente che il cristianesimo “esportato” abbia una patologia
cronica, una distanza incolmabile tra ciò
che dovrebbe essere l’apostolato e ciò
che in realtà è. Ma la qualità di un’opera
missionaria, per quello che ho visto nella
parrocchia di Kalichero in Zambia, non
dipende dai mandanti ma dai mandati:
la parola di Dio attraverso l’uomo, ecco
come la pensa padre Francesco. Per lui
non c’è differenza tra la costruzione di
un pozzo ed un’omelia, tra un ponte ed
il consiglio parrocchiale. Questo era il
missionario degli anni cinquanta. Oggi
qualcosa è cambiato, non solo nella realtà globalizzata del mondo ma nello
spirito stesso dei nuovi missionari. Non
si sono di certo risolti problemi come
fame, carestie e pandemie ma si sta
notando un cambiamento nel modo di
affrontarle. Se prima il missionario ricordava ogni domenica la vicinanza di Dio,
23
oggi ricorda ancora la responsabilità
dell’uomo: se ancora parlava del regno
dei cieli, oggi lo si sente parlare della
giustizia sociale. Le omelie cambiano,
mutano, si trasformano per prendere
nuove strade che portino alla realizzazione efficace e sicura dell’intimo spirito
che accumuna tutti i missionari.
Quale bussola?
Da quest’ultimo intervento risulta evidente l’errore prospettico in cui si rischia di cadere: la missione viene
sempre concepita come se si portasse
il Vangelo agli altri, non come se il Vangelo guidasse verso gli altri. La bussola
che guida il missionario sulla cartina del
mondo è dunque la Parola, che è punto
di partenza e di arrivo della missione
stessa. In ultimo viene dunque naturale porre la domanda che solitamente
viene fatta per prima: qual è la bussola
di un ragazzo del 2009? Cosa mai lo
può guidare a sprecare le agognate e
meritate vacanze estive viaggiando scomodamente, lavorando e vivendo in
condizioni precarie per subire inoltre
l’impatto emotivamente destabilizzante dato dal disagio e della povertà da
cui ci si sente circondati e aggrediti?
Le motivazioni del volontario, si sa, rispondono più o meno consapevolmente ai bisogni del volontario stesso e appare dunque condivisibile l’obiezione
che muovono Chiara, Irene e Johann
alla mia domanda:
Chiaramente le motivazioni che possono
spingere una persona all’ attività del volontariato all’ estero sono svariate. Alcune, tutto sommato le più universalmente
condivisibili, come il desiderio di essere
utili al prossimo, la voglia di mettersi in
PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
gioco in un contesto completamente diverso da quello quotidiano, quella di conoscere una realtà nuova, accomunano
anche noi tre. Altre sono più personali:
per quanto ci riguarda possiamo citare
ad esempio la curiosità verso il confronto con una cultura diversa e quindi un
diverso modo di concepire il ruolo dell’
animatore o, non meno importante, l’
esempio di altre persone che prima di
noi hanno svolto simili attività di volontariato.
La curiosità verso una realtà diversa e
lontana è del resto la stesso motivo che
ha mosso Francesca a fare una scelta di
volontariato:
Spesso ciò che ti spinge a viaggiare è la
voglia di conoscere posti nuovi, di raggiungere mete lontane, affascinanti e diverse dalla realtà di ogni giorno. Quando torni a casa porti con te un bagaglio
di immagini, emozioni ed esperienze
che a volte fanno spazio ad una mancanza, il fatto di non essere riuscito ad
entrare nella quotidianità di quel posto,
di aver viaggiato con l’etichetta “turista”, per chi ti guarda sinonimo di estraneo, diverso, di passaggio. Questo mi
ha sempre fatta sentire a disagio, come
se non si potesse ridurre quella distanza inevitabile che ti separa dalle persone e dalla loro vita. Credo che il modo
migliore per ridurre questa distanza sia
proprio quello di viaggiare non soltanto per osservare, guardare, ammirare e
fotografare ma anche per fare, per lavorare, per parlare, organizzare, collaborare, insomma per agire insieme. Così il
volontariato è proprio quell’opportunità
che ti permette di conoscere più a fondo, di scambiare parole e idee, di unire le mani per costruire insieme, senza
FOGLIOinfoRMATIVO - n. 385 - 0ttobre 2009
pensare di portare qualcosa in più a chi
ne ha di meno ma con l’intenzione di
dare e ricevere, normalmente.
Con lo stesso desiderio è partita anche
Anna, alla quale chiedo però cosa le ha
lasciato un’esperienza simile:
Tornare dopo un’esperienza cosi ricca
di emozioni e novità non è certo facile.
Quelli che prima di partire erano sempre stati i miei impegni, mi apparivano
logori e privi di stimoli. Tuttavia sono
tornata anche con cosi tanta grinta da
poterla riversare nelle diverse attività
perché cerco di riconsiderarle da ulteriori punti di vista indirizzandole verso
una maggiore serietà e concretezza.
Emanuele invece, partito per l’Africa
perché convinto fino in fondo della
indivisibile e totale responsabilità di
ogni uomo verso il mondo, traccia delle
conclusioni diverse:
L’Africa combatte da sola. L’impressione che ho avuto è stata proprio questa: nessun “mea culpa” occidentale,
nessun reale interesse internazionale,
nessuna organizzazione governativa che
abbia allo stesso tempo potere ed impegno. Le teorie sono tante: c’è chi parla
di una caduta dell’occidente per un risveglio del terzo mondo, chi parla di un
destino senza speranza, chi alza i muri
per non vedere i problemi e le responsabilità. Ma una cosa è chiara: senza una
reale, profonda e condivisa onestà privata e pubblica, senza uomini capaci di
guardarsi allo specchio, senza un atteggiamento culturale mondiale volto a sviluppi sostenibili non ce la faremo. Non
solo a mantenere il mondo abitabile da
un punto di vista biologico ma, soprattutto, da un punto di vista umano.
24
Un segno di speranza
Un atteggiamento culturale nuovo.
Forse è proprio questa la testimonianza più forte che ci possono trasmettere
le esperienze dei ragazzi. Più che un
punto di arrivo però appare essere un
punto di partenza che chiama in causa la coscienza di ognuno di noi e che
trova nella figura del missionario, prima
ancora che del volontario, un modello
a cui ispirarsi e un esempio da seguire
nell’atteggiamento e nello spirito. Con
questo, è bene precisare che non si sta
certo tentando di sostenere che la crisi del missionario verrà superata grazie
alla sostituzione di quest’ultimo con
una nuova forma di volontariato laico
dai tratti simili. Non ci si vuole certo nascondere dietro un dito: i problemi della missione sono vasti, e le cause afferiscono a problematiche ben più profonde e complesse. A mio parere tuttavia,
ad oggi è lecito lasciarci trasportare dal
leggero ottimismo trasmesso dall’esperienza di questi ragazzi. L’insegnamento
25
che Anna, Chiara, Emanuele, Francesca, Irene e Johann mi hanno trasmesso, è la consapevolezza che, se da una
parte “missionario” in senso stretto è
colui che per una scelta di fede guidata
dal Vangelo, decide di dedicare la propria intera esistenza ad un altro popolo
lontano portando il messaggio di Cristo
umilmente e con amore, dall’altra parte, “missionari” in senso lato possiamo
essere tutti: siamo noi quando facciamo una scelta diversa, una scelta di
servizio, quando impariamo dall’insegnamento dei missionari veri l’amore
incondizionato, che è sinonimo di condivisione totale verso il prossimo, e soprattutto quando le nostre azioni sono
guidate dallo stesso spirito. Lo spirito
della missione.
Anna Martini, Chiara Gianotti,
Emanuele Grazioli, Francesca Ragusa,
Irene Colli Lanzi, Johann Acquati Lozej,
Josef Acquati Lozej
PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
Agenda della comunità
Da lunedì 19 a lunedì 26 ottobre
 P. Giuseppe sarà in Kenya per il progetto di prevenzione dell’Aids e di assistenza agli
orfani attivato da Arché nella città di Kisii..
Sabato 31 ottobre
 Viene anticipata la Solennità di Tutti i Santi perché il 1° novembre è domenica. Le
celebrazioni seguiranno l’orario feriale.
Domenica 1° novembre
 Alle ore 17 adorazione comunitaria.
Lunedì 2 novembre
 Nella celebrazione eucaristica delle ore 18 ricorderemo tutti i defunti dell’anno della
comunità.
Domenica 8 novembre
 Alle ore 16 celebrazione comunitaria dei Battesimi.
Venerdì 13 novembre
 Alle ore 21 si riunisce il gruppo famiglie 3 (animatori Cristina e Marco Giussani).
Centro d’ascolto
Ogni martedì dalle ore 9 alle ore 12 e dalle 16 alle 18
è attivo in parrocchia il Centro d’ascolto,
dove le persone in difficoltà possono incontrare dei volontari che ascoltano i loro
problemi e cercano di accompagnarle nella ricerca di soluzioni,
offrendo loro aiuti concreti e orientandole ai servizi e alle risorse del territorio.
Su appuntamento viene offerto anche un servizio di consulenza legale.
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Incontri pomeridiani per la terza età
Questo il calendario dei prossimi incontri promossi dal Movimento Terza età (ore 15.30):
martedì 20 ottobre
giovedì 22 ottobre
martedì 27 ottobre
giovedì 29 ottobre
ritrovo per giocare a Burraco
tombola in allegria!!!
ritrovo per giocare a Burraco.
con padre Battista inizieremo un cammino di catechesi
che ci accompagnerà durante tutto l’anno
CENTRO CULTURALE
CULTURA E FEDE
Giovedì 12 novembre, alle ore 15 in Duomo, visita guidata ai Quadroni di san Carlo.
Sabato 28 novembre, visita a Mesero (vicino a Magenta) al Santuario della Famiglia
“Santa Gianna Beretta Molla”, santificata nel 2004. Completamento della giornata con
la visita guidata delle mostre dedicate a Leonardo a Vigevano (Il laboratorio di Leonardo / Splendori di Corte).
MOSTRE
Giovedì 19 novembre, nel pomeriggio, visita alla mostra a Palazzo Reale dedicata alla
Scapigliaura.
CORSI DI COMPUTER
Si accettano iscrizioni ai corsi base e a quelli di secondo livello.
Per maggiori informazioni e prenotazioni la Segreteria del Centro culturale è aperta al
lunedì, dalle 17 alle 18, e martedì mercoledì giovedì, dalle 18 alle 19.
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PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
In città
La sfida dell’educazione
un ciclo di incontri con don Giuseppe Angelini
Lunedì 19 ottobre
La sfida: disegno sintetico
Lunedì 26 ottobre
Le difficoltà della famiglia: soli, i genitori non ce la possono fare
Lunedì 2 novembre
La scuola: il “pedagogismo” e la rimozione delle difficoltà
Lunedì 9 novembre
Ripresa dei principi: momento psicologico e momento culturale dell’educazione
Lunedì 16 novembre
L’educazione quale compito religioso: competenza umana e fede
Gli incontri si terranno presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, via dei
Chiostri 6 (M2 Lanza), dietro la Basilica di san Simpliciano; cominceranno alle ore 21 e
termineranno entro le ore 22.30.
Mercoledì 21 ottobre
☞ Dalle ore 9.30 alle 16.30, nell’Aula Pio XI dell’Università Cattolica, largo Gemelli 1,
convegno di studio su Coscienza cristiana e rinascita democratica: l’impegno educativo di Giuseppe Lazzati nel centenario della nascita. Intervengono, tra gli altri, Marcello
Malpensa, Guido Formigoni, Alberto Melloni, Luigi Pizzolato, Franco Monaco.
☞ Alle ore 21, presso l’Auditorium del Centro San Fedele, via Hoepli 3/b, nell’ambito
della Cattedra del dialogo 2009, Gabriella Caramore, sociologa e conduttrice radiofonica e il cardinale Dionigi Tettamanzi intervengono sul tema Dialogo come ethos.
☞ Sempre alle ore 21, presso il Centro Pime, via Mosè Bianchi 94, si conclude il ciclo
di incontri dedicati all’enciclica Caritas in Veritate. Il comboniano congolese Joseph
Mumbere, psicologo e formatore impegnato nel sociale a Kisangani e Cecilia Brighi, responsabile dell’area internazionale della Cisl interverranno sul tema Ragione e profezia.
Uno sguardo sul mondo.
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Mercoledì 28 ottobre
☞ Alle ore 21, presso il Centro Pime, via Mosè Bianchi 94, si conclude il ciclo di incontri
dedicati all’enciclica Caritas in Veritate. Il pastore valdese Daniele Garrone, decano
della Facoltà valdese di teologia di Roma, interviene sul tema Obbligati dalla fede. La
comune radice della carità.
Sabato 31 ottobre
☞ Dalle ore 9.30 alle 16.30, presso il Centro Pime, via Mosè Bianchi 94, giornata di
convegno sul Sinodo africano: quale provocazione per la nostra Chiesa? Nella mattinata interventi di esperti italiani e africani che hanno partecipato al Sinodo africano e
nel pomeriggio laboratori tematici di approfondimento.
Sabato 7 novembre
☞ Dalle ore 9 alle ore 13, presso il salone Pio XII, via S. Antonio 5, in preparazione della
Giornata diocesana Caritas di domenica 8 novembre, si terrà un convegno dal titolo
Sobrietà, solidarietà e stili di vita. Interverranno il professor Mauro Magatti, sociologo
dell’Università Cattolica di Milano, don Gianni Fazzini, responsabile della Pastorale degli stili di vita della Diocesi di Venezia, don Dionisio Rodriguez, direttore Caritas della
diocesi de L’Aquila.
Mercoledì 11 novembre
☞ Alle ore 21, presso l’Auditorium del Centro San Fedele, via Hoepli 3/b, la Cattedra del
dialogo 2009 si conclude con un incontro sul tema Cercare insieme? Oltre il presente:
per la società e per la chiesa. Intervengono Mario Tronti, presidente del Centro Studi
Riforma dello Stato, e Ghisland Lafont, monaco e teologo francese.
Giovedì 12 novembre
☞ Alle ore 21, presso la Sala della Trasfigurazione, piazza S. Fedele 4, nell’abito degli
incontri per giovani coppie, la professoressa Chiara Saraceno interverrà sul tema Lei, lui
e le cose: sobrietà e stili di vita.
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PARROCCHIA SANT’ANGELA MERICI
“Topolini a teatro”
Rassegna di teatro ragazzi
1 novembre
Una scala verso il cielo
La Compagnia della Magaluna
testo di Francesca Paganini, Tiziana Confalonieri e Maurizio Pini
regia di Vittorio Vaccaro
con Francesca Paganini e Tiziana Confalonieri
dal 6 all’11 novembre
Re Lear
di William Shakespeare
Compagnia Elefante Bianco
regia Gustavo La Volpe
con Gustavo La Volpe, Roberta Nanni, Valentina Grancini, Elisa Campoverde,
Francesco Bernava, Daniele Giulietti, Andrea Bonati, Silvano Ilardo,
Andrea Pinna, Giuliano Turone, Marco Schiatti, Alessandro Pezzoni
Per info e prenotazioni: [email protected]
tel. 0362328369
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Nella comunità parrocchiale
HANNO RICEVUTO IL BATTESIMO
Diomira D’Avico – 11 ottobre 2009
Lucio Carlo D’Avico – 11 ottobre 2009
Davide Garufi – 11 ottobre 2009
Giacomo Davide Maria Maffezzoli – 11 ottobre 2009
Irene Laura Maria Maffezzoli – 11 ottobre 2009
Matteo Midali – 11 ottobre 2009
ABBIAMO ACCOMPAGNATO ALLA PASQUA ETERNA
Agostino Chioatto – 20 settembre 2009 (anni 86)
Erminia Rossi – 20 settembre 2009 (anni 88)
Margherita Weiszberger – 23 settembre 2009 (anni 63)
Nella Ceci – 1 ottobre 2009 (anni 81)
Cinzia Pierdominici – 3 ottobre 2009 (anni 47)
Sergio Turri – 9 ottobre 2009 (anni 87)
Direttore responsabile p. Giuseppe Bettoni – Capo Redattore Tata Tanara – Stampa Francesco Canale – Un ringraziamento particolare a
tutti coloro che collaborano con gli articoli, alla fascicolatura e alla diffusione del Foglio Informativo
Trovate il Foglio Informativo anche su: www.americisss.it