Estratto - Nietzsche Source
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PAOLO D’IORIO Et in arcadia ego Nietzsche in Engadina Estratto da: STUDIA NIETZSCHEANA www.nietzschesource.org/SN/p-diorio-2014t 13 February 2014 NIETZSCHE SOURCE · PARIS Paolo D’Iorio Et in arcadia ego Nietzsche in Engadina 1. Ich sehe die Leidenden, die in die Höhenluft des Engadin sich begeben. Auch ich sende die Patienten in meine Höhenluft — welcher Art ist ihre Krankheit? 2. Friedrich Nietzsche, eKGWB/NF-1878,27[21]. 1. La scoperta dell’Engadina 3. Nel giugno del 1881, dopo aver soggiornato a Recoaro assieme a Köselitz, Nietzsche aveva deciso più per disperazione che per convinzione di passare ancora una volta l’estate in Engadina.1 La ricerca metodica di un luogo che si adattasse alle sue delicate condizioni di salute lo aveva spinto verso St. Moritz, nei luoghi in cui due anni prima aveva trovato una natura profondamente affine. Nel giugno 1879 infatti, quando Nietzsche si era recato per la prima volta in Engadina aveva scritto dapprima a sua madre, il 23 giugno, pregandola di tener nascosto a chiunque il suo indirizzo: “Altrimenti debbo lasciare immediatamente questo posto che mi piace molto e che per ora mi fa veramente bene.” E poi entusiasta alla sorella: “per me è come se fossi nella terra promessa” (24 giugno), e il 21 luglio: “St. Moritz è l’unico luogo, che mi fa decisamente bene - quotidianamente, con bello o cattivo tempo, sono grato a quest’aria”. Anche all’amico Overbeck aveva comunicato: “ora ho preso possesso dell’Engadina e sono come nel mio elemento, è veramente miracoloso! Io sono affine a questa natura” (23 giugno), e ancora l’undici luglio: “St. Moritz è il posto giusto, si adatta molto bene alle mie sensazioni e ai miei organi sensoriali (occhi!) ed è organizzata per dei pazienti. L’aria è quasi ancora meglio di quella di Sorrento, e piena di aromi, come piace a me”. A suggello di questa affinità2 Nietzsche aveva dedicato all’Engadina l’aforisma 338 de Il viandante e la sua ombra. 1. “Ero stanco di vivere; la bella Recoaro è diventata un inferno per me, sono sempre malato e non conosco luogo che col suo continuo cambiamento di tempo agisca così sfavorevolmente su di me. [...] Mi spremo le meningi, ma non trovo niente di meglio che fare un nuovo tentativo con l’Engadina: ciò che farò fra circa quattro giorni. Sono un animale torturato e aspiro a essere un po’ liberato dai miei mali” (a Gast 17 giugno 1881); cfr. anche allo stesso il 23 giugno 1881. 2. Sul rapporto di Nietzsche con l’Engadina si veda l’articolo di Luca Lupo, “Ritrovarsi nella natura. Note sull’aforisma 338 del Viandante e la sua ombra”, Studia Nietzscheana, 2014, § 6. Studia Nietzscheana (2014-E), www.nietzschesource.org/SN/p-diorio-2014t. Paolo D’Iorio 4. Rassomiglianza della natura. In molti paesaggi di natura scopriamo di nuovo noi stessi, con piacevole brivido; è la più bella rassomiglianza. - Come dev’essere felice colui che ha quel sentimento precisamente qui, in quest’aria di ottobre costante e soleggiata, in questo birichino e felice scherzare del vento da mattina a sera, in questa purissima chiarità e mitissimo freddo, in tutto il leggiadro e serio carattere collinoso, lacustre e selvoso di quest’altopiano, che si è accampato senza paura accanto agli orrori delle nevi eterne, qui, dove Italia e Finlandia si sono strette in alleanza e dove sembra esserci la dimora di tutti i toni argentei della natura: - come dev’essere felice colui che può dire: “ci sono certamente nella natura cose più grandi e belle, ma questa è per me intima e familiare, consanguinea, anzi ancora di più” (WS 338). 5. Ma nel 1881 Nietzsche non trova più ciò che cercava, St. Moritz non gli sembra più la stessa, lo respinge. Sul punto di rinunciare scopre, casualmente, “l’angolo più affascinante della terra” e così ne scrive all’amico musicista Köselitz:. 6. Non ho mai avuto una tale calma, e sembra che qui siano soddisfatte tutte le cinquanta condizioni essenziali della mia povera vita. Accetto questa scoperta come un dono tanto inatteso quanto immeritato, come la Sua splendida musica che qui, in questo eterno idillio eroico, mi giunge al cuore ancor più bella che in pianura (a Gast, 8 luglio 1881, corsivo nostro). 2. L’idillio eroico 7. In questa lettera, Sils Maria è caratterizzata con un’espressione che Nietzsche aveva già usato per l’Engadina: un eterno idillio eroico (ewigen heroischen Idylle), un’espressione carica di significato per il modo di intendere la natura proprio della filosofia nietzscheana. Nella Nascita della tragedia e in generale nel periodo di giovanile lotta per la cultura a fianco di Wagner, Nietzsche aveva violentemente combattuto la “civiltà alessandrina” (che è personificata nella figura di Socrate) e la tendenza idillica dell’opera che è la sua trasposizione in campo musicale. I principali caratteri di questa cultura erano, secondo il giovane filologo, il filisteismo (nel senso schopenhaueriano di “attenersi saldamente a una realtà che non è tale”, dell’essere completamente assorbito dal mondo fenomenico ignorando la vera essenza, metafisica, delle cose), e la nostalgia dell’idillio, cioè la credenza in una esistenza antichissima dell’uomo artistico e buono.. 8. Il recitativo fu considerato come il linguaggio, nuovamente scoperto, di quell’uomo primitivo: l’opera fu considerata come il paese ritrovato di quell’essere idillicamente o eroicamente buono, che in tutte le sue azioni segue insieme un naturale impulso artistico, che riguardo a tutto ciò che ha da dire canta almeno un poco, per cantare poi subito a voce piena alla più lieve eccitazione del sentimento (GT, § 9). 9. Da questa credenza sgorgava poi, secondo il giovane Nietzsche, la scellerata illusione rivoluzionaria, l’illusione di chi cerca di modificare le condizioni materiali di esistenza dell’umanità: “Questo principio dell’opera si è a poco a poco trasformato in una minacciosa e terribile pretesa, che noi, di fronte ai movimenti socialisti attuali, non possiamo più fare a meno di udire. “L’uomo buono primitivo” vuole i suoi diritti: quali prospettive paradisiache!” (ibidem). All’uomo idilliaco, al pastore effemminato che suona il flauto, agghindato e falso, La nascita della tragedia Studia Nietzscheana (2014-E), www.nietzschesource.org/SN/p-diorio-2014t. Et in arcadia ego contrapponeva l’uomo vero: il satiro barbuto osannante al dio Dioniso, davanti a cui l’uomo civile si raggrinzisce in una bugiarda caricatura.. 10. 2.1. Il riferimento a Wagner In queste riflessioni Nietzsche si richiamava a Opera e dramma, ma all’interno della contrapposizione estetica fra opera italiana e dramma musicale wagneriano faceva giocare due opzioni di civiltà. Nietzsche è cosciente che tanto il satiro quanto il pastore idillico “sono prodotti di una nostalgia del primitivo e del naturale”, non sono natura, ma proiezioni di un’ideale di natura. Tuttavia - e questo è il contrasto che il filosofo voleva mettere in luce - la cultura (Kultur) greca erige le sue costruzioni mitiche apollinee, nel continuo contatto col fondo terribile e informe del dionisiaco. È una cultura che conosce gli aspetti più terribili dell’esistenza, che non li nega, ma li vela con immagini di sogno, raggiungendo una serenità frutto di una consapevolezza che si rinnova continuamente nella rappresentazione della tragedia.. 2.1.1. La civiltà ottimistica 11. Dall’altra parte Nietzsche poneva una civiltà (Zivilization) ottimistica, che ha perso il contatto con il fondamento dell’esistenza e lavora esclusivamente nell’ambito del fenomenico illudendosi di poterlo cambiare: una civiltà che porta alla rivoluzione.. 12. Il contrasto fra questa effettiva verità di natura e la menzogna della civiltà, che si atteggia a unica realtà, è un contrasto simile a quello che sussiste fra il nucleo eterno delle cose, la cosa in sé, e tutto quanto il mondo apparente: e come la tragedia con la sua consolazione metafisica indica la vita eterna di quel nucleo dell’esistenza, in mezzo al continuo scomparire delle apparenze, così il simbolismo del coro dei satiri esprime già in un’allegoria quel rapporto originario fra cosa in sé e apparenza. Il pastore idillico dell’uomo moderno è solo un’effigie della somma di illusioni della cultura, che vale per lui come natura; il greco dionisiaco vuole la verità e la natura nella loro forza massima - e si vede trasformato per incanto in satiro (GT, § 8). 13. 2.2. Dopo Wagner Dopo la rottura con Wagner e la pubblicazione di Umano, troppo umano, Nietzsche rinuncerà alla distinzione schopenhaueriana fra fenomeno e noumeno, approfondirà la critica al concetto di natura e abbandonerò la contrapposizione estetico-ideologica fra cultura dell’opera e rinascita del dramma musicale greco. Quando nel 1880, nell’aforisma 295 de Il viandante e la sua ombra, Nietzsche torna a parlare di idillio a proposito dell’Engadina, lo fa in un senso differente rispetto alle opere giovanili: si tratta ora di un “idillio eroico”, il cui eroismo consiste nell’attenersi alla mancanza di senso della realtà, nel non aver bisogno di ricercare fondamenti. Cominciamo a leggere il primo abbozzo di questo aforisma, che risale all’estate del 1879 (Nietzsche si trovava appunto in Engadina), e trasmette l’eco di una rivelazione improvvisa: come se un’intero stato d’animo filosofico si condensasse improvvisamente in un’immagine simbolica. Studia Nietzscheana (2014-E), www.nietzschesource.org/SN/p-diorio-2014t. Paolo D’Iorio 14. Ieri l’altro verso sera fui rapito in estasi come davanti a un quadro di Claude Lorrain, e infine scoppiai in un lungo pianto convulso. Questo mi era stato concesso di vivere! Non sapevo che ciò fosse possibile sulla terra e credevo che l’avessero inventato i buoni pittori. L’idillio eroico è ora la scoperta della mia anima: e tutto quanto negli antichi è bucolico, si è ora d’un colpo disvelato e manifestato a me – fino a oggi non ne avevo capito nulla (FP 43[3] luglio-agosto 1879 contenuto nella pagina 23 del quaderno M I 2). 2.3. Epicuro 15. La figura che rappresenta questo stato d’animo filosofico e che incarna il pathos di questa fase del filosofare nietzscheano è Epicuro, come Nietzsche rivela nella stesura definitiva dell’aforisma (sulle particolarità della genesi degli aforismi del Viandante si veda il bello studio d’Inga Gerike, “Ein Wanderer in St. Moritz”, Studia Nietzscheana, 2014, § 5 ss.). 16. Et in Arcadia ego. Guardai in basso, su onde di colline, verso un lago verdelatte, attraverso abeti e pini gravi di vecchiaia: schegge rocciose di ogni specie intorno a me, il terreno variopinto di fiori e di erbe. Un armento si moveva, si allungava e si spargeva davanti a me; mucche isolate e gruppi più lontani, nella più livida luce serale, accanto alle conifere; altre più vicine, più scure: tutto nella pace e nella sazietà della sera. L’orologio segnava all’incirca le cinque e mezza. Il toro dell’armento era entrato nel bianco ruscello spumeggiante e procedeva lentamente, resistendo e abbandonandosi al suo precipitoso corso: così si prendeva bene la sua specie di rabbioso piacere. Due creature di un bruno cupo, di origine bergamasca, erano i pastori: la ragazza era vestita quasi da ragazzo. A sinistra dirupi e campi di neve su vaste zone boscose, a destra due mostruose punte ghiacciate, alte sopra di me, nuotavano nel velo del vapore del sole tutto grande, silenzioso e chiaro. Tutta quella bellezza faceva rabbrividire e adorare tacitamente l’attimo della sua rivelazione; involontariamente, come se non ci fosse stato niente di più naturale, si immaginavano in questo puro e vivido mondo di luce (che non aveva nulla dell’anelito o dell’attesa, nulla che guardasse in avanti o all’indietro) eroi greci; bisognava sentire come Poussin e il suo allievo: in modo eroico e idillico insieme. - E così singoli uomini hanno anche vissuto, così si sono durevolmente sentiti nel mondo e hanno sentito il mondo in sé, e fra loro uno degli uomini più grandi, l’inventore di un modo di filosofare eroico-idillico: Epicuro (WS 295). 2.4. Poussin 17. Et in Arcadia ego è un’iscrizione che i quattro Pastori d’Arcadia del famoso dipinto di Nicolas Poussin, scorgono su un sepolcro antico. I tre pastori e la figura femminile immersi in tenui colori non manifestano angoscia, solo un contenuto stupore; la natura che li circonda è imperturbata e immobile. Per la questione dell’ombra si veda Luca Lupo: “Ritrovarsi nella natura. Note sull’aforisma 338 del Viandante e la sua ombra”, Studia Nietzscheana, 2014, § 8. La tela è del 1650-1655 e con la sua serenità si contrappone alla prima versione dello stesso soggetto (16291633), più drammatica, in cui le figure umane sono investite dall’angoscia della scoperta, in cui predomina il nero, reso più fitto dalle nubi che coprono il sole e dalla collocazione del sepolcro ai margini di una foresta. I pittori settecenteschi che Studia Nietzscheana (2014-E), www.nietzschesource.org/SN/p-diorio-2014t. Et in arcadia ego 18. 19. hanno ripreso il modello dell’idillio e la maggior parte degli antichi commentatori hanno tradotto la scritta come dichiarazione del morto: “Anch’io ho vissuto in Arcadia”. Secondo un’interpretazione più recente, invece, questa frase è pronunciata dalla morte e significa: “Anche in Arcadia io, la morte, esisto”.3 Il richiamo di Nietzsche all’iscrizione di Poussin è quindi il richiamo a una immagine non convenzionale dell’Arcadia. Poussin nell’antico immaginifico regno di una felicità ineffabile, fuori dal tempo, dal dolore, dalla caducità, introduce la presenza della morte. Rilegge la tradizione classica in un senso più profondo ricollocando in ogni senso l’uomo all’interno della natura, una natura meno antropomorfizzata, meno buona, più indifferente; una natura che non partecipa del dolore né tantomeno dello stupore dei pastori.. Allo stesso modo, Nietzsche disegna col pennello dell’aforisma un’immagine bucolica in cui l’umanità, rappresentata dalle due figure di giovani pastori, è completamente assorbita in un tutto che non rimanda ad altro fuori di sé. Mentre il pastore idillico della tradizione settecentesca vive in una natura completamente antropomorfizzata, vive in pace in una natura buona, amica: bella perché armoniosamente personifica un insieme di principi morali; mentre il satiro barbuto della Nascita della tragedia rimanda al fondamento noumenico, alla sorgente metafisica della vita (che sola può giustificare le immagini fenomeniche); la grandezza dell’immagine presentata ora da Nietzsche sta nella sua mancanza di significato morale, nella mancanza di fine, di tensione (“tutto grande, silenzioso e chiaro”, un “puro e vivido mondo di luce”, “che non aveva nulla dell’anelito o dell’attesa”). È un attimo di perfezione che non rimanda né all’uomo, né a un principio metafisico o teleologico: una perfezione paga del suo apparire, in cui si manifestano dèi greci o Zarathustra.4 3. Cfr. E. Panofsky, “Et in Arcadia Ego”, in Philosophy and History. Essays presented to Ernst Cassirer, Oxford 1936, pp. 223 ss.; A. F. Blunt, “Poussin’s Et in Arcadia Ego”, Art Bulletin, XX (1938), pp. 96 ss.; si veda anche Claude Lévi-Strauss, Regarder écouter lire, Paris: Plon 1993, pp. 18-22. 4. Sullo stoppiamento si veda: Sabine Mainberger, Schattenspiel, Schattenernst. Zu Nietzsches Aphorismus “Doppelgängerei der Natur” (WS 338), Studia Nietzscheana, 2014, § 1. Studia Nietzscheana (2014-E), www.nietzschesource.org/SN/p-diorio-2014t.