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In non poche scuole alcune classi saranno formate al 90% da alunni stranieri. L’anno prossimo sarà così anche a Roma, Prato, Genova e in numerose altre parti d’Italia. La prima cosa che viene da pensare di fronte a notizie del genere è che le risorse utili a fronteggiare questa situazione (ad esempio, gli insegnanti facilitatori), lungi dall’essere proporzionalmente incrementate, sono drasticamente diminuite (senza differenze di atteggiamento significative tra i diversi governi, almeno finora.) Fatta questa doverosa constatazione cambio registro e racconto brevemente, a proposito di alunni stranieri, una esperienza interessante che può dare qualche indicazione al Cres sulle proposte per la formazione. A lla “Casa del Sole”, storico istituto comprensivo di Milano sito in un quartiere ad alta densità di famiglie immigrate, con un corpo docenti avvezzo da tempo a pratiche didattiche interculturali, agisce da qualche anno una associazione di mamme della scuola, italiane e straniere, che svolge attività di “accoglienza linguistica” per bambini e mamme di recente immigrazione. Questa associazione si chiama “Parole in gioco”. Per un certo numero di pomeriggi alla settimana, in maniera del tutto volontaria, essa fa, per l’appunto, “accoglienza linguistica”: attraverso il gioco, le feste, la “chiacchiera” e quant’altro, cerca di creare contesti di relazione che facilitino la comunicazione, che sciolgano le barriere della diversità linguistica e incentivino il dialogo, l’uso delle parole e la voglia di apprenderle in maniera corretta. Le mamme di Parole in gioco non fanno doposcuola, non insegnano la grammatica, non fanno le maestre (non ne hanno i titoli), tanto meno vogliono sostituirsi ai facilitatori linguistici o sollevare l’istituzione scolastica dal dovere di garantire l’istruzione a tutti i bambini con le dovute risorse. Vogliono, semplicemente, gettare ponti relazionali da mamma a bambino, da genitrice a genitrice, cercando di provocare, in questo modo, le condizioni affettive per l’apprendimento/ uso della lingua. Un lavoro, esse ritengono, utile e necessario anche se le risorse istituzionali per fron- 2 teggiare il fenomeno migratorio fossero sufficienti. Quali i risultati di questa attività? Difficile dire, difficile misurare. Si può però osservare che non esiste alla Casa del Sole un significativo fenomeno di “fuga” di genitori italiani verso scuole “etnicamente pure”; che non si sono riscontrate, finora, tensioni interculturali; che tra mamme e tra bambini italiani e non italiani c’è un clima di collaborazione, di sostegno reciproco, di amicizia. Certo, non perché ci sono le mamme di Parole in gioco (abbiamo detto della lunga tradizione di didattica interculturale del corpo docenti). Ma, forse, un pochino, anche perché ci sono loro. L ’impegno delle mamme di Parole in gioco sottintende la convinzione, condivisa dalla scuola che ha fin da subito appoggiato l’esperienza, che sia necessario, per rendere più efficace l’intervento formativo verso i figli di immigrati, agire anche sulle famiglie, sulle mamme, in particolare, e in un duplice senso: favorendo l’acquisizione di strumenti linguistici che permettano loro di affiancare la scuola nell’impegno di insegnare ai bambini; costruendo con le stesse mamme straniere contesti di inclusione socio - affettiva capaci di riverberarsi positivamente sull’esperienza scolastica dei figli. La scuola, infatti, anche quella più attrezzata, di fronte alla radicalità culturale del fenomeno migratorio corre il rischio di non farcela a integrare, se direziona il suo intervento educativo solo sul bambino a scuola e non anche sui contesti familiari dell’apprendimento e della socialità. C osa dice al Cres l’esperienza della Casa del Sole? Che il modo di fare cultura dell’integrazione e del dialogo a scuola va probabilmente dilatato. Che è sì necessario continuare a lavorare sull’adeguamento dei curricoli disciplinari ai bisogni formativi posti dalla società presente, come abbiamo finora fatto, ma che questa dimensione dell’intervento non può più probabilmente rimanere l’unica. L’esperienza della Casa del Sole sta forse ad indicare che si sta diffondendo nelle scuole una attenzione alla necessità di strategie di integrazione e apprendimento degli alunni stranieri che passino anche attraverso la costruzione di relazioni più forti tra scuola e famiglie immigrate. Questa attenzione è destinata a mutarsi in domanda di formazione. Credo che al Cres spetti non solo il compito di raccoglierla, questa domanda, ma anche di farla crescere: riflettendo sulle esperienze di coinvolgimento delle famiglie straniere nella vita della scuola e ricavandone possibili modelli da rilanciare e diffondere. Abbiamo già troppe cose da fare. C’è spazio anche per questa? Dino Barra StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ SPUNTI DI RIFLESSIONE Intersezioni disciplinari sui temi ambientali Michele Crudo* “Il pensiero che interconnette rimpiazzerà la causalità unilineare e unidirezionale con una causalità circolare e multireferenziale, mitigherà la rigidità della logica classica con una dialogica capace di concepire nozioni allo stesso tempo complementari e antagoniste, completerà la conoscenza dell’integrazione delle parti in un tutto con il riconoscimento dell’integrazione del tutto all’interno delle parti”. E. Morin L’emergenza ambientale I temi ambientali hanno finalmente conquistato le prime pagine dei giornali. Non c’è settimana in cui i quotidiani non trattino questioni che riguardano il delicato rapporto fra natura e società. Gli argomenti sono spesso di rilevanza regionale e nazionale: il complesso sistema di dighe progettato per impedire il fenomeno dell’acqua alta a Venezia; la costruzione del ponte sullo stretto di Messina; il raddoppio delle corsie autostradali e delle linee ferroviarie nei tratti tra Firenze e Bologna e fra Torino e Milano; la realizzazione delle gallerie per i treni ad alta velocità in Val di Susa; la costruzione della centrale termoelettrica a Brindisi; lo smaltimento dei rifiuti a Napoli e in Campania. Si potrebbe andare avanti con il dissesto idrogeologico, gli scarsi finanziamenti alle amministrazioni dei parchi naturali, il frequente superamento della percentuale di polveri sottili che hanno trasformato le città italiane in camere a gas a cielo aperto. Nell’ultimo periodo, tuttavia, lo stato di salute del pianeta ha imposto anche ai provinciali giornali italiani la trattazione dei problemi ecologici che affliggono l’intera comunità mondiale. Un più vasto pubblico di lettori è quindi venuto a conoscenza della progressiva riduzione dei ghiacciai alpini e dell’inarrestabile restringimento dei ghiacci ai poli. Entrambi i fenomeni sono dovuti all’aumento della temperatura terrestre, che a sua volta è stato provo- * L’autore si fa portavoce del gruppo di storia e geografia dell’Ist. Sperimentale Rinascita A. Livi, Milano StrumentiCres ● Agosto 2007 cato dall’incremento delle emissioni delle sostanze inquinanti nell’aria. Se il processo di liquefazione delle aree glaciali dovesse perdurare, il livello dei mari e degli oceani si alzerebbe mettendo a rischio la sopravvivenza di molte città costiere. Questa tendenza è accelerata dalla riduzione delle aree boschive, soprattutto nella fascia equatoriale, e dalla moltiplicazione delle fonti di inquinamento causata dalla rapida industrializzazione di India e Cina. La popolazione di queste due nazioni, che da sole superano abbondantemente i due miliardi di persone, sta inoltre procedendo nella sua marcia verso la conquista del benessere con un massiccio acquisto di automobili, i cui scarichi vanno inesorabilmente a peggiorare la qualità dell’atmosfera. A tutto questo bisogna sommare la incombente desertificazione della steppa a nord del fiume Giallo che, nella scorsa primavera, ha fatto sentire i suoi effetti inondando Pechino con una fitta coltre di sabbia. Il tumultuoso decollo della Cina sta inoltre fagocitando, da oltre dieci anni, una impressionante quantità di materie prime e di energia. Per diversificare lo sfruttamento delle fonti energetiche, gli ingegneri stanno edificando giganteschi sbarramenti sul fiume Azzurro. Sono destinati a ingabbiare la poderosa corrente per produrre energia idroelettrica ma, secondo alcuni studiosi, potrebbero provocare gli stessi disastrosi effetti verificatisi nella regione del lago d’Aral, dove la deviazione dell’acqua dei fiumi destinata all’irrigazione delle piantagioni di cotone ha quasi del tutto prosciugato il pescoso specchio d’acqua dolce e inaridito i terreni circostanti. Non tutti gli scienziati propendono per la tesi del progressivo deterioramento delle condizioni climatiche. Alcuni si attestano su posizioni attendiste, rilevando che i dati a disposizione interessano un arco temporale troppo breve per confermare una irreversibile deriva ambientale. Altri contestano un presunto catastrofismo, che non terrebbe conto né dei tempi geologici dell’inclinazione dell’asse terrestre, né della ciclica alternanza di periodi caldi e miniglaciazioni. Quest’ultime si sono succedute nei secoli passati con scansioni che hanno creato una irregolare e imprevedibile intermittenza climatica. La più tragica fu quella del decennio 1835/1845, che affamò e fece morire milioni di europei. Un altro raffreddamento del clima si registrò nel decennio 1337/1347, quando la carestia debilitò il fisico delle persone esponendole al micidiale attacco della peste nera. Tra i vari punti di vista emergono anche quelli ottimistici di chi intravede un sostanziale bilanciamento tra la desertificazione di delimitate zone, già colpite dalla siccità come il Corno d’Africa, e l’estensione delle aree temperate, che renderebbe vivibili le fasce geografiche ora inospitali del Canada e della Siberia. A supporto di questa visione viene portato l’esempio 3 di quanto è accaduto alla fine della quarta glaciazione, quando l’inabitabilità del Sahara è stata equilibrata con la diffusione della specie umana in quelle che una volta erano le gelide praterie a ridosso della linea dei ghiacci. Peraltro - viene aggiunto - l’innalzamento della temperatura favorì il passaggio dal Paleolitico al Neolitico. Questo ragionamento trascura però un dettaglio significativo. Quindicimila anni fa la popolazione si aggirava, secondo stime accreditate, intorno ai 10/15 milioni di abitanti. Il fabbisogno energetico di quel piccolo nucleo di nomadi era quasi inesistente e le risorse a disposizione erano illimitate. Oggi la popolazione ha superato i 6 miliardi di persone, che stanno distruggendo le risorse naturali a un ritmo che entro il 2037 potrebbe portare a un loro graduale esaurimento. Queste previsioni, che possono essere giudicate apocalittiche, pongono comunque un problema ineludibile: il diseguale rapporto tra uomo e natura, che nel corso dei millenni ha acquisito la forma di un arbitrario e indiscriminato uso del territorio e dei suoi elementi biotici e abiotici. Questo abuso ha prodotto ripercussioni di tale portata sull’ambiente da rendere nocive le condizioni di vita degli esseri umani che lo popolano. Ormai, “la questione non è più tanto di dominare la natura per elevare il livello di vita, quanto quella di sopravvivere alle conseguenze di questo dominio. Ciò che si domanda la scienza è dunque di contribuire e assicurare le condizioni della sopravvivenza, in modo da controllare le conseguenze e riuscire così a dominare il nostro stesso dominio”1 . L’educazione ambientale Le scienze da anni si stanno occupando delle conseguenze ambientali prodotte dalla coltivazione intensiva dei terreni agricoli, dalla incessante urbanizzazione, dalla proliferazione dei beni di consumo. I risultati degli studi si conoscono e sono disarmanti. Le falde acquifere sono contaminate dall’impiego dei concimi chimici e degli anticrittogamici. Le metropoli sono congestionate dal traffico e sono affollate da una massa inquieta e irrequieta di individui condannati all’anonimato della moltitudine e alla solitudine degli affetti autoreferenziali. Il benessere, inteso come conquista dell’agiatezza ad ogni costo, ha scatenato la corsa alla fruizione del superfluo e dell’eccesso, che si è tradotta in uno spropositato consumo di energia elettrica, di acqua, di carburante. La diagnosi è dunque impietosa, ma si fa fatica a mettere in atto i consigli suggeriti da una terapia drasticamente incisiva. A frenare l’orientamento del comportamento collettivo verso il risparmio energetico e il riciclaggio dei materiali è la cultura della crescita propagandata dall’economia di mercato. I beni prodotti, infatti, vanno desiderati, comprati e repentinamente buttati. Solo così si alimenta lo sviluppo economico e s’incrementa il prodotto nazionale lordo. Per continuare a produrre bisogna quindi costantemente distruggere. In ossequio a questo principio, che istiga alla subitanea soppressione degli oggetti, la pubblicità interviene per creare un atteggiamento mentale incline a una inestinguibile insoddisfazione per ciò che già si possiede. I tempi di appagamento nei confronti delle prestazioni dei beni di uso quotidiano si sono infatti ac- 4 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ corciati. La loro durata non corrisponde più al ciclo dell’obsolescenza tecnologica, bensì a quello dell’insofferenza psicologica. Un evidente esempio dell’affermazione e della pervasiva diffusione di una tale mentalità è l’impiego dell’automobile a dispetto dei suoi clamorosi svantaggi. In città, se si calcolano i minuti persi per trovare posteggio, è il mezzo di trasporto più lento. E’ costoso perché all’investimento iniziale si devono aggiungere i costi del bollo, dell’assicurazione, della benzina e della manutenzione 2 . La sua pericolosità è rimarcata dall’alto tributo di morti versato ogni anno sulle strade e autostrade: oltre 7000 solo in Italia. Infine, i suoi tubi di scarico sono il principale fattore di inquinamento nei centri urbani. Respirarne i gas equivale a fumare quindici sigarette al giorno. Eppure, anche di fronte a questi dati incontrovertibili, l’automobile non cessa di incarnare l’ideale di libertà e di autonomia propagandato dalla pubblicità con immagini mistificanti, che la mostrano veleggiare su improbabili nastri d’asfalto, lanciata in una fuga liberatrice verso idilliaci paesaggi a portata di rombanti motori. Ultimamente, la fusione di potenza e aggressività si è materializzata con la comparsa dei prepotenti Suv, corazzati e superaccessoriati veicoli dentro i quali i proprietari covano manie di grandezza puntualmente frustrate dall’introvabile parcheggio. Vista da questa angolazione, l’alternativa all’iper- 1 M. Cini “Un paradiso perduto” Feltrinelli, 1994, (pag. 265) 2 G. Viale “Tutti in taxi. Demonologia dell’automobile” Feltrinelli, Milano, 1996 StrumentiCres ● Agosto 2007 trofia della crescita non può restare prigioniera della campagna moralistica contro gli sprechi e gli egoismi, ma deve assumere i contorni di una prospettiva culturale connotata da una concezione del progresso che sveli lo scarto tra i trionfalistici scenari tratteggiati dai tecnocrati e i controversi traguardi da essi raggiunti. Si tratta in sostanza di far risaltare sia gli aspetti critici di uno sviluppo unilateralmente accreditato come benefico3 , sia il totalitarismo di una filosofia del mondo legittimata da un antropocentrismo intransigente e ottuso, che ha declassato la flora e la fauna al rango di prede. Ciò non comporta il ripristino di una inedita versione filosofica del luddismo, né tanto meno la riedizione di un’anacronistica variante del pauperismo. Al contrario, le innovazioni tecnico-scientifiche vanno incoraggiate perché costituiscono la soluzione più efficace e conseguente ai problemi creati dal saccheggio delle risorse e dallo smaltimento dei rifiuti. Sul piano del confronto/scontro delle idee, un’operazione culturale di così vasto respiro dovrebbe mirare a mettere in dubbio la mitologica certezza sulle virtù propulsive dello sfruttamento intensivo delle ricchezze naturali, ponendo in evidenza le violazioni che hanno scosso il fragile equilibrio ecologico. Ciò non comporta, d’altronde, il rifiuto della positività del processo evolutivo delle società, ma attesta l’esigenza di accogliere con riserva la proclamazione dell’incontrastata supremazia del genere umano. Solo nutrendo delle perplessità, infatti, si riuscirà a individuare le ferite inferte al paesaggio, si potranno valutare le implicazioni dei danni arrecati, e si arriverà finalmente a capire che gli errori commessi non vanno più ripetuti. Costruire una tale consapevolezza è compito prioritario dell’istituzione scolastica, perché tra le sue finalità strategiche è contemplata la formazione di cittadini provvisti degli utensili cognitivi e della sensibilità etica necessari per conoscere e migliorare il mondo che li circonda. Le occasioni non mancano affinché gli insegnanti adempiano alla loro funzione di educatori, ma bisogna avere il coraggio di oltrepassare i confini angusti e autoreferenziali delle materie insegnate, per esplorare campi investigativi più ampi e stimolanti. L’educazione ambientale va infatti concepita come intreccio di conoscenze sulla natura e le forme del territorio; sulla varietà delle piante coltivate e il diversificato utilizzo delle materie prime; sulla molteplicità degli interventi attuati dall’uomo sia per adattarsi all’ambiente, sia per modificarlo con l’irrigazione, la divisione dei campi, l’urbanizzazione, la pianificazione di strade e infrastrutture, l’industrializzazione. Perché gli allievi si abituino all’interconnessione delle variabili che nel tempo e nello spazio concorrono a rimodellare il volto dell’ambiente, è inoltre opportuno ricostruire il contesto di volta in volta preso in esame, dando rilevanza all’interdipendenza dei fattori. Non esistono infatti angoli del pianeta che non abbiano subito modifiche all’impronta originaria preesistente all’arrivo degli esseri umani. Con le migrazioni dei popoli, già all’epoca delle prime civiltà, sono circolate piante alimentari e ornamentali che si sono diffuse in tutte le zone dell’Eurasia caratterizzate dalla contiguità dei climi temperati. Da allora, l’adattamento dei primi gruppi di sedentari a un ecosistema precario ha dovuto affrontare il problema della sopravvivenza di una popolazione in StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ vertiginosa ascesa. La domesticazione di animali e piante assicurò una maggiore disponibilità di cibo, di materie prime e di energia muscolare, ma questi risultati furono ottenuti in seguito a una selezione empiricamente accurata, che ha ristretto a una dozzina le specie vegetali da cui si ricava oggi più dell’80% del raccolto annuo sulla terra. I cinque cereali più diffusi (grano, mais, riso, orzo, sorgo) da soli forniscono attualmente la metà delle calorie consumate dalla popolazione mondiale4 . La profondità temporale di un mutamento così radicale, che ha orientato l’approvvigionamento delle future generazioni puntando sulla restrizione della vasta gamma di piante esistenti, dà l’idea di quanto sia simbioticamente alterato il legame che ci unisce all’ambiente in cui viviamo. L’alterazione è stata successivamente favorita dall’imposizione delle monocolture, che hanno notevolmente assottigliato la biodiversità dei territori colonizzati5 . E’ il caso delle piantagioni di caffé in Brasile e in Kenya, di indaco in India, di tè e caucciù in Assam, di cacao in Camerun e Togo. A dare tuttavia una dimensione socialmente rilevante e un carattere di urgenza all’educazione ambientale è la portata planetaria delle anomalie meteorologiche e le sue gravi ripercussioni geoantropiche. Negli ultimi decenni l’andamento delle perturbazioni, che si accompagna alla formazione di cicloni e tifoni, ha perso la sua regolarità per assumere il carattere di improvvise e turbolente intensificazioni che flagellano le coste del mar della Cina, del golfo del Bengala, del mare dei Caraibi. E’ nota a tutti la tragica devastazione che si è abbattuta su New Orleans alla fine dell’estate del 2005. Gli studiosi ritengono che i bruschi cambiamenti climatici dipendano da un tendenziale aumento della temperatura, che ha accelerato l’evaporazione da cui hanno origine le masse nuvolose sugli oceani. Un ultimo dato conferma questo andamento: l’autunno del 2006 è stato il più caldo degli ultimi 150 anni. In Lapponia le temperature sono insolitamente rimaste sopra lo zero. In Siberia gli orsi non sono andati in letargo. La migrazione degli uccelli dall’Europa all’Africa è stata ritardata. La presenza di meduse in varie zone del Mediterraneo si è protratta fino al mese di ottobre. Non è il caso di allarmarsi, ma non bisogna neanche sottovalutare la pericolosità dei segnali che la natura ci fa pervenire. Gli ultimi profughi ambientali, in ordine di tempo, sono stati i diecimila abitanti dell’isola di Lohachara, nel Bangladesh, che, nel dicembre del 2006, sono stati costretti a evacuare l’isola sommersa dalle onde dell’oceano. Occorre dunque prendere misure adeguate prima che una strisciante normalità si trasformi in dramma. Non è facile, perché i fenomeni si manifestano a tappe, con oscillazioni lunghe che rendono difficile l’individuazione del problema. L’unico antidoto, contro l’indifferenza e l’inerzia, è la convergenza di vedute della comunità scientifica e della componente 3 G. Rist “Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale” Bollati Boringhieri, Torino, 1997 4 J. Diamond “Armi, acciaio, malattie” Einaudi, Torino, 1998 5 A. Crosby “Lo scambio colombiano. Conseguenze biologiche e culturali del 1492” Einaudi, Torino, 1992 5 più sensibile dell’umanità nell’avvertire la gravità epocale dei cambiamenti in atto. Ma non basta. La percezione dell’emergenza ambientale su scala planetaria può tradursi in interventi concreti a patto che: gli esperti non si lascino fuorviare dalle tergiversazioni dei politici; l’opinione pubblica acquisisca la coscienza che l’equilibrio ecologico del pianeta è un bene collettivo dalla salvaguardia del quale dipende la sorte delle generazioni che ci seguiranno. Ponendosi in quest’ottica, non si può prescindere dall’educazione ambientale perché essa racchiude le strategie pedagogiche per persuadere l’umanità che l’ecosistema è un patrimonio da difendere ad ogni costo. In passato, la deforestazione e la conseguente erosione dei suoli, lo spreco delle risorse idriche, l’intensivo sfruttamento dell’habitat naturale che non lasciava alle risorse il tempo biologicamente necessario per rinnovarsi, spinse alcune popolazioni ad eliminarsi a vicenda. L’autosoppressione, innescata dalla cattiva gestione del territorio e inasprita dal peggioramento delle condizioni climatiche, determinò la scomparsa degli insediamenti umani nell’isola di Pasqua e sulla costa della Groenlandia. Nel caso in cui si creda che, per la loro distanza spaziale e temporale, questi eventi non possano avere alcun significato per il mondo contemporaneo, ci si sbaglia. Il tragico destino dei vichinghi della Groenlandia e dei polinesiani dell’isola di Pasqua fu, in ultima istanza, determinato da una irriducibile conflittualità per la spartizione dei beni rimasti che, su scala globale, si riproduce oggi nel massiccio e incessante flusso degli emigrati verso i Paesi ricchi del nord del mondo. Alla lunga, la scialuppa di salvataggio delle nazioni economicamente benestanti potrebbe giungere alla saturazione, scatenando una disperata e fratricida contesa dai risvolti inimmaginabili.6 dei saperi L’integrazione sui temi ambientali La scuola è il luogo ideale per mettere in atto una oculata strategia di sensibilizzazione sulle questioni ambientali. Sia perché è il luogo istituzionale che le nuove generazioni frequentano per ricevere e organizzare le conoscenze. Sia perché è l’osservatorio più attrezzato per interpretare e rappresentare, con il supporto delle discipline, l’oggettività del mondo esterno e la soggettività dei vissuti personali. Le materie d’insegnamento sono infatti un formidabile serbatoio di saperi che indirizzano gli alunni nell’esplorazione della realtà. Le potenzialità dei saperi sono tuttavia mortificate dalla specificità settoriale dei rispettivi campi d’indagine. Succede così che l’oggetto di studio di ciascuna materia rimane isolato, senza beneficiare dei prestiti derivanti dalle ricerche interdisciplinari. Col tempo la chiusura stagna si è sclerotizzata in rigidi compartimenti che, dal primo ciclo dell’istruzione all’università, si reitera in un irrigidimento formale refrattario alle novità. Uno degli effetti di questo immobilismo è l’ostacolo frapposto agli scambi trasversali fra l’area umanistica e quella scientifica, che ha vanificato le pur timide aperture degli orizzonti conoscitivi su aspetti complessi come quelli affrontati dall’educazione ambientale. Allo scarso grado di permeabilità tra le due aree ha contribuito un vizio di fondo che inficia la formazio- 6 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ne degli studenti universitari, perché quelli dell’area scientifica raramente inseriscono nel piano di studi esami sulla storia delle scienze, privandosi così della dimensione contestuale nell’ambito della quale le innovazioni tecnologiche e le scoperte scientifiche interagiscono con l’evoluzione sociale e culturale. D’altra parte quelli dell’area umanistica che si laureano in italiano, raramente si preoccupano di dedicarsi allo studio di testi di storia e geografia, trovandosi quindi in seguito a insegnare materie di cui conoscono solo le nozioni più elementari. Nelle scuole medie inferiori, dove l’insegnamento di storia e geografia è abbinato all’insegnamento di italiano, si supplisce alle scarse conoscenze sui processi storici e geoantropici con un apprendimento appiattito sulla memorizzazione delle informazioni studiate sul manuale. Ad essere penalizzata è soprattutto la geografia, che, assorbita attraverso la lettura del testo scritto, perde la peculiarità del linguaggio cartografico attraverso cui i contenuti e i dati statistici prendono le forme dei simboli e dei colori. Questa modalità letteraria dell’apprendimento storico/geografico è all’origine di un equivoco che, affondando le radici nella concezione crociana della cultura, nega a storia e geografia lo statuto di materie riconducibili all’area scientifica. Tuttora, per la scuola italiana e il senso comune, la storia racconta i fatti come si sono succeduti nel tempo, mentre la geografia si limita a descrivere il territorio. In base a questa definizione, solo parzialmente corretta, esse rientrano indiscutibilmente nel novero delle discipline che illustrano le modalità di svolgimento dei fenomeni e dei processi. Dal loro orizzonte investigativo viene quindi esclusa l’analisi interpretativa che, mettendo in relazione le variabili di un contesto, consentono di spiegare le combinazioni e le concatenazioni di causa-effetto. La storia e la geografia indubbiamente non appartengono al campo delle scienze nomotetiche, che studiano le leggi universali della natura, come quelle scoperte da Galileo sul moto e la caduta dei corpi, da Newton sulle forze gravitazionali, da Einstein sul rapporto tra massa, energia e velocità della luce. Non potrebbe essere altrimenti, perché la storia e la geografia non si occupano di svelare meccanismi ricorrenti, ma di rintracciare e mettere in luce dinamiche irripetibili. Tuttavia esse, pur rinunciando alla prevedibilità dei fenomeni, manifestano delle affinità con il metodo scientifico quando si pongono di fronte ai problemi sociali e ambientali con il proposito di raccogliere fonti e dati, di vagliarli criticamente, di formulare ipotesi sulla praticabilità di scelte delineate per evitare in futuro gli errori commessi nel passato. Condotta in chiave problematica, l’indagine sui fatti storici e sulle interdipendenze dei fattori socio-ambientali non produce soltanto discorsi, ma struttura un tipo di logica esplicativa supportata dall’affidabilità dei materiali esaminati e dal rigore del ragionamento. Le affinità dell’area geoantropico-sociale con l’area tecnico-scientifica non si fermano all’aspetto metodologico, ma concernono gli elementi 6 J. Diamond “Collasso. Come le comunità scelgono di morire o vivere” Einaudi, Torino, 2005 StrumentiCres ● Agosto 2007 costitutivi del paradigma delle discipline interessate. Il linguaggio specifico da esse usate è infatti permeato da vocaboli la cui valenza semantica rimanda a significati comuni. Basti ricordare la densità concettuale di termini come: sistema, struttura, organismo, fenomeno, processo, territorio, sviluppo, ambiente. Impostato in una prospettiva che ammette e incoraggia la permeabilità reciproca, l’impianto contenutistico delle materie dell’area tecnico-scientifica (matematica, scienze, tecnologia) può accogliere, nella scuola media inferiore, segmenti del curricolo trattati nell’arco dei tre anni da storia e geografia. L’ambito privilegiato in cui porzioni dei due curricoli hanno l’occasione di incontrarsi e frequentarsi proficuamente è proprio quello dell’educazione ambientale, i cui temi potrebbero essere selezionati e inseriti nella programmazione quadrimestrale delle ore di compresenza a disposizione delle rispettive discipline. Uno dei filoni tematici che andrebbero presi in considerazione è l’evoluzione delle civiltà in relazione all’estensione e all’intensificazione dell’utilizzo delle fonti energetiche. Lo sviluppo storico verrebbe in questo modo osservato in connessione con l’avanzamento tecnologico compiuto dalle società durante il percorso di perfezionamento della produzione di utensili, macchinari e beni di consumo. Si scoprirebbe, di conseguenza, che il progresso tecnico e sociale è proceduto parallelamente alla pauperizzazione del territorio, alla quale è corrisposta una frenetica privatizzazione delle risorse. La civiltà romana è cresciuta sulla conquista dei terreni lottizzati con la centuriazione, sulla rapace appropriazione di miniere, saline e boschi, sulla cattura e la schiavizzazione di milioni di prigionieri. Agli architetti e ingegneri romani va riconosciuto il merito di aver bonificato le paludi, di aver edificato acquedotti, strade, ponti e porti. Essi sono stati però StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ anche gli artefici della prima grande deforestazione. La romanizzazione dell’Europa ha marciato col passo dei legionari che hanno sottratto ai germani, ai galli, ai daci, terre e pascoli di uso collettivo. La loro lezione è stata seguita, oltre un millennio dopo, dai colonizzatori del continente americano, dove gli indigeni sono stati sterminati e la natura soggiogata. Nel frattempo in Europa si andava avanti con l’espropriazione e la recinzione delle terre demaniali, a cui seguì la prima rivoluzione industriale. Oggi la privatizzazione incombe su un bene inalienabile: l’acqua. Non solo! Perfino ciò che appartiene alla biodiversità, come le piante e i veleni dei serpenti della foresta amazzonica, corre il rischio di essere sottoposto al vincolo delle industrie farmaceutiche che detengono il brevetto di commercializzazione. Questa mentalità privatistica, incoraggiata dalla diffusione di un vorace liberismo economico, va contrastata perché è un impedimento alla diffusione di una condivisa coscienza ambientalista. Il privato, infatti, agendo con lo scopo di trarre profitto, non pone dei limiti allo sfruttamento delle risorse e trascura gli oltraggiosi effetti collaterali dell’inquinamento. Le materie scientifiche e geografia, con un adeguato progetto di educazione ambientale, possono invece facilmente dimostrare che, nel sistema globale, la crescita della popolazione, della produzione industriale e del consumo delle risorse, ha superato il limite del tasso di rigenerazione. La natura ha infatti bisogno dei suoi tempi sia per assorbire e neutralizzare gli agenti inquinanti, sia per rinnovare i suoli, l’acqua, il pescato, gli alberi, i minerali. Se i ritmi biologici non vengono rispettati, l’ecosistema potrebbe subire dei guasti irreparabili. Sull’articolazione di questo argomento s’innesta un altro dei filoni tematici che gli insegnanti potrebbero esplorare, mandando fattivamente avanti la ricerca sulla confluenza delle materie in una coerente e organica interdisciplinarietà. La ricerca interdisciplinare rappresenta il futuro della scuola e delle sue finalità pedagogiche e didattiche. L’intersecazione di storia e geografia con le materie dell’area tecnico-scientica è uno degli ambiti in cui gli insegnanti sono chiamati a far valere le proprie competenze. L’itinerario è impegnativo e va affrontato come un esperimento, perché non si dispone di mappe e non si conosce l’esito finale del viaggio. La sfida merita tuttavia di essere ingaggiata, in quanto le contingenze del lavoro di gruppo creano per il docente l’opportunità di riflettere e riorganizzare la programmazione didattica, ponendolo nell’atteggiamento di chi è ancora disposto ad apprendere. Infatti “imparare significa essere disposti a procedere lentamente, a verificare le cose, a raccogliere informazioni sugli effetti delle azioni, giuste o sbagliate che siano. Non si può imparare senza commettere errori, riconoscerli e poi procedere oltre. Imparare significa esplorare con coraggio una nuova via ed essere disposti ad accettare i contributi che velocemente portano al conseguimento dell’obiettivo”7 7 D. H. e D. L. Meadows, J. Randers “Oltre i limiti dello sviluppo” Il Saggiatore, Milano, 1993 (pag. 297) 7 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ESPERIENZE Un utilizzo didattico di Mastro Don Gesualdo e La festa del ritorno Gianluca Bocchinfuso Giovanni Verga e Carmine Abate sono due scrittori distanti per tempo, storia e vicende personali, ma, dal punto di vista letterario, permettono un utilizzo didattico molto interessante che cercheremo di capire in questo breve accenno di percorso pensato - con dovute variazioni, scelte e adeguamenti - sia per una classe III media inferiore che per una classe V superiore. Saranno presi in esame e usati due romanzi: Mastro-don Gesualdo (1888) di Giovanni Verga e La festa del ritorno (2004) di Carmine Abate. Una lettura comparata dei due romanzi permette l’utilizzo in chiave convergente e divergente di alcune tematiche care ad entrambi gli autori. Prima di fare questo tipo di operazione, i due romanzi autorizzano un’immediata riflessione storico-sociale: - Mastro-don Gesualdo è un romanzo ambientato nel piccolo centro contadino di Vizzini, in provincia di Catania. Le vicende narrate sono contestualizzate nella Sicilia pre-unitaria, negli anni che vanno dal 1819 al 1848. Nel romanzo non mancano i riferimenti sia ai moti risorgimentali del 1830 che a quelli del 1848. L’ardore risorgimentale e giovanile di Verga 8 ritorna, anche se qui prevale una chiave critica rivolta soprattutto alla vacuità della società nobiliare e terriera dell’Ottocento. - La festa del ritorno è ambientato a Carfizzi, narrato con il toponimo di Hora, e racconta una Calabria post-repubblicana che vive delle ricchezze e della povertà della sua terra, orfana della sue braccia migliori, in un processo migratorio lento e inarrestabile che inizia negli anni cinquanta del Novecento e continua oggi. La lettura storica permette un paragone e uno studio diretto tra: 1) la società siciliana dell’Ottocento, a maggioranza contadina e analfabeta e a minoranza alto borghese e nobiliare, con tutti gli squilibri che questo dualismo comporta in termini di diritti e di libertà. I contadini e gli zolfatari, alla vigilia dell’unità, riporranno le loro speranza in Garibaldi, ma saranno presto delusi, già durante il suo passaggio nell’isola (ricordiamo anche la novella Libertà dello stesso Verga che racconta l’eccidio di Bronte). 2) la società calabrese dei decenni successivi al Secondo conflitto mondiale. Una società, soprattutto nelle aree più interne e isolate, costretta ad emigrare e fuggire alla povertà, anche negli anni in cui una parte del paese è interessata dal miracolo economico. In Abate (anche se in lui è sempre vivo l’elemento della speranza) e in Verga - a distanza di un secolo e con condizioni istituzionali e socio-politiche cambiate - si ripetono i racconti di sofferenza, di povertà, di lotta, con l’aggiunta del distacco, che condizionano l’esistenza delle fasce più povere della popolazione e dei loro figli. StrumentiCres ● Agosto 2007 L’incipit narrativo Mastro Don Gesualdo Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto, nel silenzio, s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando: - Terremoto! San Gregorio Magno! Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Àlia, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della Chiesa Madre, più lontano; quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanio generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre. - No! No! È il fuoco!... Fuoco in casa Trao!... San Giovanni Battista! Gli uomini accorrevano vociando, colle brache in mano. Le donne mettevano il lume alla finestra: tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi, come fosse il giovedì sera, quando suonano le due ore di notte: una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da lontano. - Don Diego! Don Ferdinando! - si udiva chiamare in fondo alla piazzetta; e uno che bussava al portone con un sasso. Dalla salita verso la Piazza Grande, e dagli altri vialetti, arrivava sempre gente: un calpestìo continuo di scarponi grossi sull’acciottolato; di tanto in tanto un nome gridato da lontano; e insieme quel bussare insistente al portone in fondo alla piazzetta di Sant’Agata, e quella voce che chiamava: - Don Diego! Don Ferdinando! Che siete tutti morti? Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell’alba che cominciava a schiarire globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. E pioveva dall’alto un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini raccolti dinanzi al portone sconquassato, col naso in aria. Questi due incipit narrativi hanno toni e clima diversi, ma anche elementi comuni che si ripetono in tutto il romanzo. Un primo elemento è la coralità narrativa: in Mastro-don Gesualdo la popolazione di Vizzini è unita dalla disordinata corsa seguita allo scampanellio di chiese e monasteri che annuncia l’incendio a palazzo Trao; ne La festa del ritorno, la coralità a due (padre-figlio), davanti alla sola chiesa di Santa Veneranda, lentamente si allarga agli amici e al resto del paese, la notte di Natale, simbolo di coStrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ La festa del ritorno Le scintille ci avvolgevano, sembravano sciami d’api crepitanti; poi si azzittivano spegnendosi e ci cadevano sui capelli e sui vestiti come una bufera di neve, e mio padre diceva che un fuoco così non si era mai visto, pare fatt’apposta per schiaffarci dentro i ricordi più malamenti, diceva, e appiccicarli in un lampobaleno, per sempre. Stavamo ammirando il fuoco di Natale, quella notte, seduti sulla scalinata della chiesa di Santa Veneranda. Era stato acceso da poco e già aveva le sembianze di un vulcano imponente, dalle cui bocche si levavano fiamme alte e pennacchi di fumo. Anch’io avevo contribuito a quello spettacolo, andando in giro per i vicoli di Hora con i miei coetanei a raccogliere grossi ciocchi di legna che le famiglie donavano per la nascita del Bambinello. Il sagrato si era riempito di persone di tutte le età che parlavano fitto fitto, a gruppetti, con la faccia al fuoco. Tre amici di mio padre vennero a sedersi accanto a noi e allora mio padre disse che aveva una sete beduina, colpa delle sarde salate piccanti di cui si era rimpinzato durante il cenone. Così mi mandò a comprare una cassa di birre al bar Viola. “Se non ci riesci a portarla da solo, ” aggiunse “lasciati aiutare da qualcuno, mi raccomando.” Andai di corsa al bar che si trova in piazza, mi caricai la cassa sulla spalla e mi avviai verso la chiesa, inseguito dal mio cane Spertina. La cassa pesava più del previsto: non mi restava che stringere i denti e intanto farmi largo a fatica tra la folla. Quando giungemmo davanti al sagrato, Spertina deviò verso la Kona. Non aveva paura nemmeno del diavolo ma appena vedeva un fuoco scappava con la coda tra le gambe. “Bravo Marco,” mi disse mio padre mentre appoggiavo la cassa ai suoi piedi “oramai sei un giovanotto. Ti spetta la prima birra: te la sei meritata”. E, senza chiedermi se la volevo, afferrò una bottiglia e la stappò con i denti. “Tié, bevi alla saluta mia e del Bambinello.” Poi offrì da bere ai suoi amici seduti accanto a noi. Avevo quasi tredici anni. Prima di quella notte non avevo mai bevuto una birra intera, però mi piacque, andava giù senza cautela, come acqua fresca. “Posso averne un’altra?” gli chiesi mostrandogli la bottiglia vuota. Mio padre mi guardò sbalordito. “Giovinò, io te la do ma è l’ultima. E devi ziccare piano, altrimenti mi tocca riportarti a casa sulle spalle come un sacco di pomi di terra.” munione per eccellenza. I toni sono diversi: in Verga c’è confusione, paura, rassegnazione, spettegolio; in Abate, serenità, tranquillità, silenzio, familiarità sincera, in attesa della nascita del Bambinello. Elemento comune e simbolico il fuoco. In Verga, elemento distruttore, non solo materiale, perché divora parte del palazzo Trao; anche familiare, perché Don Diego, nel trambusto delle fiamme, scopre la sorella Bianca a letto con il cugino Ninì Rubiera, fatto che determinerebbe uno scandalo irreparabile, per 9 fortuna passato inosservato perché tutti sono impegnati nello spegnimento dell’incendio. Fallito il matrimonio riparatore tra Ninì e Bianca, entra in scena Mastro-don Gesualdo che sposa Bianca, entra (mai accettato) nell’élite nobiliare, diventa padre di Isabella che nasce prematuramente, perché figlia in realtà di Ninì. In Abate, il fuoco scalda e unisce persone e sentimenti. Nella notte di Natale avvolge tutti di calore e di silenzio e permette quella vicinanza di padre-figlio, quella comunanza di parole e gesti che si ripetono per La lingua Verga Utilizza prevalentemente l’italiano, ma lascia ampio spazio a termini siciliani tipicamente dialettali: un cucco (persona balorda), cunnuttu (collettore di scarico dei rifiuti), impresciuttito (rinsecchito), rastrello (cancello), paratore (artigiano che cura le decorazioni), pettata (salita ripida), occhietto ammammolato (palpebra socchiusa), erano spulezzati (andati via in fretta), una grembiata (quanto può essere contenuto in una grembiule), reste (filze di frutti attraversate da uno spago), strologare (sognare), col squinci e linci (con ricercatezza ridicola), petronciani (melanzane), sorgozzoni (colpi dati alla gola), ecc. L’utilizzo di parole dialettali permette a Verga di riprodurre quella società reale o società del vero che, dopo la pubblicazione di Nedda, è la protagonista di tutti i suoi lavori letterari. Non a caso, Verga nel romanzo non entra con nessun commento personale, perché a parlare è la lingua per bocca dei protagonisti. Termini popolari e di uso comune ricorrono anche nei nomi che l’autore dà ai personaggi, ad iniziare dal protagonista, Mastro-don Gesualdo (sintesi del romanzo: il don acquisito attraverso il matrimonio con la nobile decaduta Bianca Trao non cancella il mastro dell’uomo abile nel suo lavoro, di basse origini, che ha accumulato la sua roba da sé per tutta una vita, preso sempre dai suoi affari), fino a Mastro Nunzio, Nanni l’Orbo e a tutti quei don, donna e compare prima di tanti nomi di personaggi secondari. Il rapporto padre-figlio Mastro-don Gesualdo Sono due i rapporti padre-figlio che si delineano nel romanzo e che fungono da elementi principali insieme ad altri: il rapporto tra Mastro-don Gesualdo e suo padre Mastro Nunzio; il rapporto tra Mastrodon Gesualdo e “sua” figlia Isabella. Il primo è un rapporto di rispetto di Gesualdo per il padre, ma non di stima. Potremmo definirlo un rapporto di cortesia imposta. Gesualdo e Mastro Nunzio hanno sempre parlato poco e sono rimasti distanti da molte cose. Crescendo, questo rapporto è sempre rimasto intatto, diventando sempre più uno sforzo formale. Mastro Nunzio viene dipinto come la classi- 10 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ tutto il romanzo. Non ci sono movimenti, se non il crepitio delle fiamme e i passi lenti della gente che si appresta ad entrare in chiesa. Anche qui, il fuoco ha un alto valore simbolico: come fuoco di Natale che detta il ritmo del tempo, il momento in cui il padre ritorna dalla Francia in paese e può godere dei suoi affetti più cari. Entrambi i romanzi sono subito contestualizzati a Vizzini e a Hora - e gli elementi descrittivi e reali servono ad introdurre i personaggi. Abate Le scelte linguistiche di Abate sono complesse, ma, nello stesso tempo lineari. Abate, nei suoi romanzi, utilizza l’italiano come lingua narrativa, ma rende le sue storie più particolari (e originali) attraverso l’intreccio di espressioni dialettali calabresi, ma anche parole arbëresche e idiomi nati dal germanese, la lingua parlata in Germania dagli emigranti italiani. Per tali motivi, una riflessione linguistica su questo romanzo permette di incontrare tutte queste lingue/dialetti insieme: Spertina (da sperta, cioè intelligente), ziccare (bere), një ziarr shumë i bukur (in riferimento al fuoco superbo), appicciato (acceso), Te ku vete? (Dove vai?), sugneggiante di condimenti (con molti condimenti), haje gji’ buken e sacicën (mangia il pane e la salsiccia), ecni këté (andate via), këcupe (dolce pasquale), Fròncia (Francia), zonje (anziane signore), sparagnare (risparmiare), varrònche (burroni), cioto (pazzo), minzognaro (bugiardo), cacatello (fifone), contando (raccontando), e molte altre. L’utilizzo di termini dialettali e arbëresche spinge Abate a costruire periodi narrativi che spesso si reggono su un dialetto italianizzato. Scelta voluta, per rendere pienamente il messaggio, di forma e di contenuto, che vuole dare e per avvicinare il lettore in maniera diretta alla storia che vuole raccontare e alla pluridentità dei suoi personaggi, sempre divisi tra due o più paese. E ci riesce, perché questi costrutti risultano facili da comprendere anche a chi calabrese o arbëresche o germanese non è. La festa del ritorno Il rapporto tra il padre (Tullio) e il figlio (Marco) è l’elemento centrale del romanzo di Abate. La genuinità e la semplicità, ma anche la dolorosità di questo rapporto, sono rievocate già dal titolo: la festa del ritorno rimanda alla festa degli emigranti che ogni anno si svolge a Carfizzi (e lo scrittore è uno degli organizzatori), momento di legame e di riconciliazione tra chi è rimasto nel paese e chi l’ha lasciato e vi fa annualmente ritorno. Anche Marco è in festa ogni volta che il padre ritorna dalla Francia durante i periodi di vacanza: “Natale è la festa più bella perché torna mio padre dalla Francia”. E, di conStrumentiCres ● Agosto 2007 ca persona che s’intestardisce a fare tutto, ma crea problemi ai quali poi deve porre rimedio Mastro-don Gesualdo, beccandosi anche i rimproveri del padre che impreca contro di lui che non gli porta rispetto. Il secondo è quello tra Mastro-don Gesualdo e Isabella, in realtà figlia illegittima di Ninì Rubiera. Per quanto si sforzi, Mastro-don Gesualdo entra in rapporto con Isabella solo per quanto riguarda l’educazione scolastica che le vuole assicurare a Vizzini e a Palermo. Tra i due non è mai vero amore: Isabella non tollera le origini popolari del padre e lo vive solo come colui che le garantisce economicamente studi completi. Non esiste dialogo né intimità di affetti. Gesualdo non potrà mai cercare l’amore di altri figli, perché la moglie, fino alla morte, sarà debilitata dalla tisi e impossibilitata ad avere altre gravidanze. Isabella sposerà il duca di Leyra, come la mamma, senza amore, ma solo per scelta riparatrice. La Letteratura del vero Verismo Nel Mastro-don Gesualdo il verismo verghiano diventa atto d’accusa alla nobiltà decaduta del suo tempo, avida di denaro, insensibile ai valori etici e vinta da scelte immorali e di convenienza. Di contro ci sta la classe sociale rappresentata dal lavoratore infaticabile di Gesualdo che lavora una vita, saltando i pasti e crede, con il “giusto” matrimonio, di essere entrato nella società che conta. Rimane, invece, sempre un vinto, perché la sua accumulazione di ricchezza non colma il margine tra la sua origine popolare e quella nobile. Dai suoi familiari diretti e da tutti i nobili del paese, è considerato sempre un escluso, socialmente diverso. StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ seguenza, Marco è triste ogni volta che il padre parte e, spesso, lo fa di notte per non vedere il figlio piangere o forse perché non vuole che il figlio lo veda piangere. Nel rapporto tra Tullio e Marco c’è anche la cruda realtà di generazioni che s’incrociano nel destino del lavoro, che comporta partenze verso terre lontane per avere un futuro. E consente ritorni per ritrovare facce amiche, parenti, affetti. Sono i passi in cui questo rapporto non unisce solo un padre e un figlio, ma racconta la comunanza di tanti padri e tanti figli costretti a rapporti a distanza, fatti di privazione e di attesa prima di rivedersi e gioire. Tullio e Marco sono anche legati da tutti i simboli, naturali e umani, che scandiscono la vita di Hora: le feste religiose e popolari, i vicinati, le stagioni, le viuzze ciottolose, le abitazioni, le amicizie, la campagna, il viaggio, l’afa, i racconti. Realismo magico La festa del ritorno non è solo un atto di accusa delle condizioni misere che spingono migliaia di calabresi ad abbandonare i loro paesi d’origine per trovare lavoro altrove. È anche un romanzo di formazione - insieme storia d’amore personale e storia di umiltà collettiva - che si sviluppa in un tempo e in situazioni che, nel racconto, cercano anche “fughe” mitiche e storiche, con i continui richiami al passato (linguistici, culturali e storici delle comunità arbëresche). La realtà raccontata da Abate, poi, si tinge di elementi simbolici che rendono la storia con una cornice in cui gli antenati fanno tutt’uno con i giovani, in un unicum inscindibile. I suoi personaggi, però, non sono mai dei vinti, ma vivono sempre della speranza e della forza delle loro radici. Conclusioni Abate - con altri autori meridionali come Montesano, Alajmo, De Silva - da certa critica, è considerato espressione di quella nuova letteratura meridionalista (etichetta molto limitativa) nata negli ultimi decenni. La sua è una letteratura che parla del Sud ma allarga i suoi orizzonti, cercando di riprendere e raccontare le radici - passate e presenti - di tutte quelle persone che dal Sud partono e al Sud ritornano, tenendo fermo quel senso di identità che non rimane mai uguale a se stesso. Perché ne incontra altri, mutando sempre. Se Verga, oltre un secolo fa, aveva denunciato la situazione delle classi più umili e vinte della Sicilia del suo tempo, rimanendo però in un’ottica chiusa, tutta siciliana, Abate allarga la sua denuncia oltre i confini della Calabria e accomuna le vicende di molti calabresi a quelle di milioni di migranti che vivono e attraversano il mondo. Per questo, il suo meridionalismo è parte integrante della Letteratura della migrazione in lingua italiana che, da oltre quindici anni, caratterizza la nostra Letteratura e che ha portato decine di scrittori provenienti dal Sud del mondo (e non solo) ad utilizzare la nostra lingua per raccontarsi e raccontare. 11 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ BREVI NOTE BIOGRAFICHE Giovanni Verga è nato a Catania nel 1840. La sua famiglia vantava origini nobiliari e buone condizioni economiche che gli hanno permesso di avere un’educazione risorgimentale e romantica, curata dallo scrittore Antonino Abate e da Mario Torrisi. Lo sbarco di Garibaldi in Sicilia spinge Verga a sospendere i suoi studi in Legge e a tuffarsi idealmente nelle vicende politiche del tempo. I suoi esordi letterari, infatti, sono tutti di matrice romantico-risorgimentale: Amore a patria (1857), I carbonari della montagna (1861), Sulle lagune (1863). Durante il soggiorno fiorentino - in cui conosce Luigi Capuana, che avrà una grande influenza sulle sue future scelte stilistiche e contenutistiche - pubblica Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871). Successivamente, si trasferisce a Milano e si confronta anche con il clima letterario della Scapigliatura. I suoi successivi lavori, pubblicati tra 1873 e il 1876, sono i romanzi Eva, Tigre reale, Eros e la raccolta di novelle Primavera e altri racconti. La svolta letteraria avviene nel 1874, quando pubblica il bozzetto Nedda, novella che abbandona gli ambienti borghesi e piccolo borghesi e descrive realmente la Sicilia contadina e povera, attraverso un’umile raccoglitrice di olive: è il passaggio alla Letteratura del vero, con la nascita del Verismo, la strada italiana di quello che era il Naturalismo in Francia. Le sue pubblicazioni successive, che hanno avuto alterne vicende di immediato successo e riscontro di critica e pubblico, sono: le novelle Vita dei campi (1878), Fantasticheria (1880), il romanzo I Malavoglia (1881), I ricordi del capitano d’Arce (1881), Il marito di Elena (1882), Novelle rusticane (1883), Per le vie (1883), Drammi intimi (1884), le novelle Vagabondaggio (1887), il romanzo Mastro-don Gesualdo (1888). Vive gli ultimi trent’anni della sua vita (dal 1894 al 1922, anno della morte) per lo più a Catania, escluso brevi parentesi a Roma e Milano. I mutamenti politici e letterari del primi anni del Novecento accantonano l’interesse per la letteratura verista. Dopo la guerra, Verga novelliere e romanziere di matrice verista viene riscoperto e lo scrittore, nominato anche senatore nel 1920, diventa uno dei pilastri della nostra letteratura del secondo ‘800, ruolo che gli si riconosce ancora oggi. 12 Carmine Abate è nato nel 1954 a Carfizzi, un piccolo paese poco distante da Crotone, in Cala-bria, abitato da una comunità ar-bëresche, cioè italo-albanese, discendente dagli albanesi che, alla fine del 1400, per sfuggire ai Turchi, attraversarono il mare e s’insedia-rono sulle coste calabresi. Questa origine, in tutti i romanzi di Abate, ritorna sia in chiave mi-tica, storica che linguistica. Come già era capitato a suo padre e com’è capitato a molti suoi coetanei, Abate, giovanissimo, e-migra in Germania alla ricerca di quel lavoro che nel suo piccolo paese è sempre più difficile trovare. Il suo esordio letterario avviene in Germania dove pubblica, nel 1984, i racconti Den Koffer und weg! (edizione italiana ampliata, Il muro dei muri, 1993), in cui il tema della migrazione s’intreccia con quello della società nel suo complesso e del sistema produttivo. Dal 1991 vive in Trentino, nel piccolo centro di Besenello, dove insegna ed è sposato con una donna tedesca, lettrice presso l’Università di Trento. Ripete spesso Abate: “Ho scelto di vivere a Besenello perché è a metà strada tra Amburgo, dove vive parte della mia famiglia e Carfizzi, dove ho gli altri parenti”. Ha pubblicato i romanzi Il ballo tondo (1991), La moto di Scanderbeg (1999), Tra due mari (2002), La festa del ritorno (2004, finalista al Premio Campiello), Il mosaico del tempo grande (2006) e la raccolta di poesie Terre di andata (1998). Abate viene considerato una delle espressioni più originali della Letteratura della migrazione in lingua italiana - associato agli autori stranieri che vivono nel nostro paese e utilizzano la nostra lingua letteraria per esprimersi - in cui s’intreccia il tema dell’emigrazione di andata e ritorno, con quello delle pluridentità linguistiche, culturali e storiche (arbëresche, italiana, calabrese, germanese). I suoi libri, editi oggi da Mondadori, hanno avuto diversi riconoscimenti e sono tradotti in molti paesi. StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Insegnare scienze attraverso il teatro Pietro Danise* Nell’ultimo numero di Strumenti (45, aprile 2007) Giuseppe Bagni in un articolo molto interessante si chiede quali siano le competenze scientifiche legate al futuro… indispensabili per l’inserimento nel mondo del lavoro o per una cittadinanza globale e, in relazione alle scienze, sottolinea l’importanza dell’apprendimento attraverso l’utilizzo del laboratorio. Tra le diverse motivazioni a sostegno proposte dall’autore mi piace riportarne due, una che riguarda il rapporto con il sapere (il laboratorio permette di tenere contemporaneamente sotto controllo l’oggetto dell’insegnamento e il metodo) e l’altra che riguarda il carattere sociale della conoscenza (il laboratorio permette di trasformare l’apprendimento in una conquista individuale avvenuta all’interno di un’impresa collettiva). Concordo pienamente con le riflessioni dell’articolo e vorrei però aggiungere altri elementi di riflessione sull’insegnamento delle scienze che derivano dalla mia doppia esperienza di insegnante in una scuola media e di coordinatore scientifico di Scienza under 18 1 (Su18). In particolare, intendo qui analizzare i risvolti didattici ed epistemologici di un dispositivo finora poco utilizzato nell’insegnamento delle scienze, il teatro, che, tra le altre cose, ha portato ad un nuovo filone di ricerca, conosciuto come teatro scientifico. Le valenze del teatro scientifico Il teatro, per le sue indubbie valenze emotive e relazionali, è una pratica molto diffusa nelle scuole italiane. Trovo quindi abbastanza curioso la scarsa diffusione del teatro a tema scientifico visto che teatro e scienza condividono le medesime radici greche: se, infatti, il primo deriva la sua etimologia dal verbo theatron, che vuol dire guardare, contemplare, la seconda è collegata alla nascita della filosofia naturale e all’atto del pensiero che l’ha resa possibile, il cosiddetto theorein, lo sguardo contemplativo, la visione intellettuale e disinteressata 2 . A sostegno di questa tesi Maria Rosa Menzio afferma che la scienza è realtà, il teatro è finzione, però il teatro è uguale alla scienza in quanto smonta e rimonta dei mondi possibili… Sia il teatro sia la scienza costruiscono storie, e teatro e scienza hanno in comune l’emozione 3. Riprendendo le riflessioni di Bagni, vorrei porre l’attenzione sul fatto che se è vero che la didattica laboratoriale riesce, in modo efficace, a fondare i con* Docente dell’Ist. Sperimentale Rinascita A. Livi, Milano e coordinatore di Su18 StrumentiCres ● Agosto 2007 cetti e le teorie fondamentali della scienza e ad insegnare la metodologia della ricerca, è anche vero che spesso lascia in ombra la dimensione storica e biografica del sapere scientifico. Questo problema non nasce da un uso distorto del laboratorio, ma riguarda il cuore stesso della scienza e deriva dal modo stesso in cui la scienza si è affermata e viene diffusa all’esterno dei luoghi dove viene elaborata. Se si guarda, infatti, al processo di costruzione della scienza e dell’evento scientifico, possiamo distinguere due fasi: la fase della scoperta e la fase della formalizzazione. · La scoperta. La ricerca scientifica nasce dai problemi e si fonda sulla passione e sul lavoro fisico e intellettuale degli scienziati. Gli scienziati alle prese con un problema da risolvere, immersi in una rete di relazioni sia personali sia di saperi, individuano le piste di ricerca, si informano, provano, riprovano, si consultano, prendono appunti, lavorano per ore o mollano il lavoro per un periodo, si ispirano, si arrabbiano, amano, odiano, si sposano, divorziano, ritornano sui loro passi, cambiano direzione, e piano piano oppure all’improvviso arrivano alla soluzione 1 Scienza under18 è un progetto sull’educazione scientifica che utilizza la comunicazione pubblica della scienza prodotta a scuola come contesto di apprendimento degli studenti di ogni ordine e grado e come contesto di ricerca e formazione per i docenti. Su18, che quest’anno ha festeggiato il decennale, conta sette sedi espositive in Lombardia ed ha estensioni anche in Toscana e Liguria. In dieci anni Su18 ha presentato 1.704 progetti sulla scienza. Ulteriori informazioni su Su18 sono reperibili visitando il sito: www.scienza-under-18.org. 2 L. Querci, Scienza e teatro, Dedalus, N° 1, anno 1, settembre/ottobre 2006, pag. 75. 3 M.R. Menzio, http://matematica.uni-bocconi.it/interventi/teatroTorino.htm 13 del problema, oppure addirittura abbandonano la pista imboccata per cercarne un’altra. È questo un percorso spesso molto complesso che non sempre conferma l’ipotesi di partenza. · La formalizzazione. Giunti a questo punto si tratta di formalizzare e comunicare i risultati raggiunti. Secondo una modalità consolidata nel tempo, lo scienziato in questa fase depura gli eventi della scoperta da tutto ciò che è biografico e attua una descrizione il più possibile asettica delle fasi della scoperta. I protocolli e gli articoli scientifici sono spesso un elenco di fasi (dall’ipotesi alle conclusioni) che escludono completamente il soggetto che li ha prodotti. Ciò che viene fuori dagli articoli scientifici è la cronaca degli eventi di laboratorio, la risoluzione di un’equazione, ecc. Il soggetto che è stato l’artefice di questi processi scompare. Allo stesso modo, i manuali scolastici in linea con i protocolli scientifici, di norma riportano le scoperte in termini di concetti, principi e leggi. Le uniche citazioni biografiche spesso riguardano il nome dell’autore, l’anno di nascita e di morte e l’anno della scoperta. A volte, a margine del testo principale, sono presenti delle schede biografiche dei personaggi più famosi. Poco traspare e poco o nulla viene trasmesso agli studenti in merito agli sforzi effettuati per arrivare a quella scoperta, alle direzioni di ricerca errati, ai dubbi, alle frustrazioni dei ricercatori e poco o nulla si scrive in merito ai contesti storici e scientifici che hanno favorito quelle direzioni della ricerca e quei risultati. Per i contesti occorrerà rivolgersi ai testi di storia. A conferma di ciò Antonio Marfella, autore di spettacoli di teatro a tema scientifico, scrive: quando a scuola ci facevano studiare I Promessi Sposi, La Gerusalemme Liberata, La Divina Commedia, non ci risparmiavano notizie e informazioni sulla vita degli autori e sul periodo storico in cui vissero. […] Quando invece cercavano di iniziarci ai misteri della matematica e alle leggi della fisica, la lavagna si affollava di segni e simboli strani, che venivano commentati con poche parole, cadenzate e neutrali … Non una parola sugli uomini e le donne che contribuirono a svelare quei misteri, a scoprire quelle leggi. Per- 14 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ché? Le scoperte scientifiche sono indipendenti da chi le realizza, se Einstein non avesse scoperto la relatività, l’avrebbe scoperta qualcun altro al suo posto ho letto tempo fa su un libro di fisica. Sarà vero, non discuto, ma intanto la relatività l’ha scoperta Einstein… e varrebbe la pena sapere di più sul suo conto… Intendiamoci, io ho una cultura scientifica che sfiora il ridicolo, ma da quando ho conosciuto più da vicino la vita dei grandi personaggi che hanno fatto la fisica moderna, coltivo l’illusione di aver capito qualcosa in più sull’argomento.4 Come si può superare questa lacuna nella scuola? Una possibilità è rappresentata dall’introduzione nei curricoli di percorsi espressivi più caldi, come il teatro o il cinema. Infatti questi dispositivi sono in grado di raccontare oltre alle storie delle scoperte scientifiche, anche le storie degli uomini e delle donne che le hanno effettuate e dei contesti che le hanno generato. A tale proposito nell’introduzione allo spettacolo Il fuoco del radio. Dialoghi con Madame Curie, si legge: la ricerca scientifica, come qualunque altra impresa umana, non può essere compresa a prescindere dalle storie personali, individuali dei suoi autori. È frutto del pensiero, della fatica, della passione di esseri umani5 . Un progetto sul teatro scientifico Sull’onda di queste riflessioni, dall’a.s. 2001-2002, ho introdotto nel mio insegnamento delle scienze nella scuola media le rappresentazioni di teatro a tema scientifico. Tenendo conto che il teatro scientifico … indica una serie di esperienze molto diverse tra loro 6 , in accordo con quanto detto sopra, perso4 A. Marfella, Note sullo spettacolo Variazioni Majorana, tratte da http://erewhon.ticonuno.it/riv/scienza/t-s/ rossotiz.htm 5 Introduzione dello spettacolo Il fuoco del radio. Dialoghi con Madame Curie, http://erewhon.ticonuno.it/riv/ scienza/t-s/radio.htm StrumentiCres ● Agosto 2007 nalmente ho scelto di privilegiare le biografie degli scienziati e la storia dei contesti che hanno fatto da cornice alle scoperte e alle invenzioni. Così nel corso degli anni abbiamo portato in scena Darwin e l’evoluzione , Mendel, Crick, Watson e la genetica, Rontgen, Curie e le radiazioni (radioattività compresa), Galvani, Volta e l’elettricità e quest’anno, Gall, Broca, Binet e il razzismo psudoscientifico. Con quest’ultima esperienza ho potuto quindi verificare che è possibile lavorare con il teatro scientifico anche sugli aspetti interculturali delle scienze (vedi scheda 1). Lo spettacolo nasce, a livello adulto, dalla lettura del testo di S.J. Gould (Intelligenza e pregiudizio 7) ed è stato costruito, durante le ore di Progetto (2 ore alla settimana per circa 60 ore totali), dalla stretta collaborazione dei ragazzi con un gruppo di docenti di varie discipline (Scienze, Scienze Motorie, Educazione Musicale, Strumento Musicale e Tecnologia). Per una piccola parte il lavoro è stato anche seguito dal regista Gabriele Calindri. Il percorso formativo è stato arricchito da numerosi interventi extra-scolastici. Citiamo, a titolo di esempio, la visita alla mostra Golgi. Architetto del cervello (Università di Pavia), una lezione sul cervello del neurochirurgo Enrico Motti (Università degli studi di Milano) e la visione serale di due spettacoli teatrali, il secondo dei quali a tema scientifico (Senza Misura, di Renata Coluccini). Lo spettacolo è stato rappresentato per la prima volta, con grande successo, nel maggio 2007, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, all’interno della manifestazione di Scienza under 18. La scheda 2, infine, riporta le riflessioni di una giovane attrice, Chiara, che in scena recitava la parte della moglie di Alfred Binet, l’inventore dei test d’intelligenza. SCHEDA 1. La trama dello spettacolo: Il cervello, questo sconosciuto… appunto. Gli studi sul cervello e sull’intelligenza sono stati utilizzati, fin da subito, per classificare gli esseri umani e hanno fornito elementi per la nascita di un razzismo “pseudoscientifico”. Lo spettacolo affronta il tema dal punto di vista cronologico e racconta in modo ironico e dissacrante i primi studi di Gall, che tentò di dimostrare la relazione tra funzioni psichiche e bernoccoli del cranio, gli studi di Broca, che individuò l’area del linguaggio e l’invenzione dei test d’intelligenza ad opera di Binet. Nell’ultima parte, attraverso un salto nel futuro prossimo, lo spettacolo ipotizza una possibile evoluzione di questi studi e le sue possibili applicazioni. Un frammento della scena 2, quadro 1. Le teorie di Paul Broca Nel suo laboratorio, Broca (B.), assieme al suo assistente (Topinard, T.), spiega ad un visitatore (Lebonne, L.) gli ultimi studi sul cervello. In quel momento arriva il signor Leborne per una visita specialistica… B. (con un cranio in mano, citazione dall’Amleto di Shakespeare ). Cranio e cervello! Qual è la loro relazione? Questo è il problema. L. Chi lo può dire… StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ In quel momento si affacciano alla porta Leborne e la moglie T. (prende il seghetto) Tu aspetta che qualcuno muoia e poi ci penso io…Apro il cranio, peso il cervello… Vedendo il seghetto Leborne scappa inseguito dalla moglie. B. Cosa è stato? L. Non saprei dottore. T. (riprende il discorso mimando con pallini, cilindro e cranio) Come controprova secco il cranio, lo riempio di pallini da caccia, verso i pallini nel cilindro, leggo e ricavo il volume interno del cranio, cioè del cervello. Metodo Broca! L. E cosa avete scoperto? T. Confermato, vuole dire. Il cervello dei bianchi è più grande di quello dei neri e quello degli uomini è più grande di quello delle donne. B. Cioè, i bianchi sono più intelligenti dei neri e gli uomini più delle donne. L. E tra neri e donne? B. Ah, è una bella lotta! L. Nulla di nuovo quindi. T. In quanto alle province del cranio… L. Si… B. Siamo punto e a capo. Perché non osservare direttamente il cervello? T. (riprende il seghetto) Il dottor Broca è un eccellente chirurgo. In quel momento rientrano Leborne e la moglie. Leborne vede il seghetto e scappa. Resta la moglie). Ecc… SCHEDA 2. Il mio punto di vista sul Progetto di teatro scientifico: Il cervello, questo sconosciuto… appunto! Il cervello: è stato l’ingresso in un mondo speciale e per me sconosciuto, misterioso. La cosa più grande che mi ha lasciato questa esperienza è prima di tutto la gran quantità di informazioni... troppe ! La storia del cervello è estremamente complicata, all’inizio credevo che non ce l’avrei fatta, mi sentivo incapace di capire e collegare tutte quelle nozioni che man mano accumulavo nel mio...cervello, appunto! Ma il teatro ha bisogno di credibilità, chiarezza e accuratezza nei particolari, quindi il lavoro non poteva esaurirsi in una lezione... fortunatamente! Così, pian piano, mi sono addentrata nelle conoscenze scientifiche e ho cominciato a capire la complessità meravigliosa dell’organo più incredibile che possediamo. Alla fine di tutto il lavoro gli argomenti che più mi hanno impressionato sono stati l’afasia e i test sui bambini “non adatti”. L’afasia, malattia del cervello in cui l’area del linguaggio è stata danneggiata, mi ha colpito perché mi ha fatto riflettere sulla sofferenza di non riuscire ad 6 F. Magni , Comunicazione teatrale nella scienza, Jekyll.comm 1 – marzo 2002, pubblicato su http:// jekyll.comm.sissa.it/articoli/art01_04.pdf 7 S.J. Gould, Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del razzismo, Il Saggiatore, Milano, 1981. 15 esprimersi con le parole: deve essere terribile! Per quanto riguarda i test invece ho pensato alla crudeltà con cui venivano trattati quegli studenti che - solo perché non andavano “al passo” con gli altri,venivano separati dal gruppo per inserirli in classi omogenee per livello: credendo di aiutarli si scoraggiavano e si umiliavano dei ragazzi che in realtà non avevano problemi gravi e non mancavano di intelligenza. Questo lavoro mi ha arricchito davvero, per l’argomento trattato e per il mezzo, il teatro, che ha “fatto vivere” quello che abbiamo imparato. E, per concludere, penso anche che d’ora in avanti tratterò meglio il mio cervello. (Chiara G.) festival Un del Teatro Scientifico? Perché no! Mi preme ricordare che dall’a.s. 20022003, all’interno di Su18 si è sviluppato ed è attivo tutt’ora, un filone di ricerca sul teatro scientifico che vede la partecipazione di numerosi docenti lombardi di ogni ordine e grado scolare. Questa ricerca dà lin- ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ fa alle rappresentazioni che si svolgono ogni anno nel mese di maggio durante le varie manifestazioni di Su18 (44 in 5 anni). In seguito a queste esperienze, Su18, in collaborazione con le Università di Milano, il Politecnico di Milano, la Fondazione Tronchetti Provera (sponsor del teatro scientifico di Su18) e ad altri enti, sta lavorando all’istituzione di un Festival del Teatro Scientifico (e più in generale delle Scienze che prevedono performance) che dovrebbe vedere la coesistenza di piece degli studenti (e dei giovani in generale) e di compagnie professioniste. Sarebbe una novità assoluta, in quanto tutti i vari Festival a tema scientifico presenti in Italia (e non solo) prevedono la presenza degli studenti (quasi) esclusivamente in qualità di utenti e non di protagonisti. E per la scuola sarebbe, finalmente, un riconoscimento dell’esistenza di quel sapere scientifico che Su18 rivendica nel libro del decennale e al quale rimandiamo per gli approfondimenti delle tematiche trattate in questo articolo 8 . 8 A.A.V.V. Il sapere scientifico della scuola. Con una ricerca sull’immaginario di scienziati, docenti e studenti, F. Angeli, Milano, 2007. Studiare insieme per imparare a conoscersi Sara Medi Sono una studentessa di diciotto anni che nel 20062007 ha frequentato la quarta nel Liceo di Scienze Sociali “Tenca” di Milano. Ho sempre avuto voglia di dedicarmi ad attività di volontariato, ma in passato non avevo mai trovato né il tempo né un campo che mi soddisfacesse pienamente. Finché questo anno insieme a Marta, una mia cara amica che frequenta la quarta superiore in un liceo scientifico, dopo varie ricerche, abbiamo conosciuto la Fondazione l’Aliante. L’Aliante si propone di aiutare i ragazzi stranieri che frequentano le scuole superiori a Milano ad inserirsi nella nuova realtà con cui sono entrati in contatto attraverso un progetto pomeridiano di sostegno allo studio nel corso dell’anno scolastico, un laboratorio teatrale, uscite organizzate e una scuola estiva. Io e Marta abbiamo fatto un colloquio con la direttrice e l’organizzatrice della fondazione; ci hanno spiegato che la loro intenzione era quella di provare ad affiancare ai ragazzi stranieri che frequentano il centro dei coetanei italiani che potessero aiutarli nelle materie scolastiche e nei compiti in cui essi incontravano difficoltà. L’idea di riservare questo compito a dei ragazzi invece che, come in passato, a degli adulti era motivata anche da altri obiettivi: far sentire gli 16 studenti stranieri più a loro agio ed invitarli a socializzare con altri coetanei, stranieri e italiani. A me e Marta è parsa un’ottima idea e abbiamo iniziato subito questo progetto con entusiasmo ma anche con curiosità, in quanto per noi questa era la prima esperienza di volontariato. Così ci siamo accordate sugli orari, che in linea di massima prevedevano di trovarsi due volte la settimana per circa sei mesi, ovviamente salvo imprevisti. Infatti talvolta io e Marta abbiamo dovuto rinunciare a causa degli impegni che avevamo nei confronti della nostra scuola; altre volte un ragazzo avvertiva all’ultimo momento che l’aiuto richiesto per una disciplina non gli serviva più, o viceversa che gli servivano più incontri per preparare una lezione. E così via. I ragazzi in tutto erano circa una ventina: alcuni erano aiutati esclusivamente dalle educatrici dell’Aliante, altri un po’ da loro e un po’ da noi. Essendo Marta più abile nelle materie scientifiche e io più preparata in quelle umanistiche, ci siamo suddivise il lavoro a seconda delle lezioni che i ragazzi dovevano studiare. Io ho aiutato principalmente sette ragazzi. N. è una ragazza marocchina e con lei spesso abbiamo studiato storia e italiano. Non era cosa facile, perché i suoi testi scolastici erano scritti in un linguaggio complesso che, a mio parere, poteva risultare di difficile comprensione perStrumentiCres ● Agosto 2007 sino per uno studente italiano… Figuriamoci per uno straniero che si trova da pochi mesi in Italia!!! Ricordo la difficoltà di spiegarle che cosa fosse uno “scacchiere internazionale”… La sua professoressa poi non teneva conto delle difficoltà linguistiche della ragazza e le assegnava da un giorno all’altro interi capitoli senza rendersi conto che, se uno studente italiano avrebbe impiegato quattro ore per prepararsi all’interrogazione, per lei ne sarebbero servite il doppio, dovendo rileggere più volte il testo per tradurlo e comprenderlo. Proprio per questo motivo siamo intervenute scrivendo alla sua insegnante una lettera in cui spiegavamo che N. era costantemente seguita nello studio, ma che, ciò nonostante, non si poteva pretendere che in così poco tempo raggiungesse una padronanza nella lingua italiana tale da permetterle di seguire le lezioni con lo stesso ritmo del resto della classe. Fortunatamente la professoressa si è dimostrata disponibile al dialogo; così abbiamo raggiunto con lei l’accordo che fosse interrogata su un minor numero di capitoli del testo. Per aiutarla preparavo degli schemi con i concetti chiave della lezione, in modo da semplificarle il lavoro di rielaborazione e memorizzazione. Quando la settimana dopo aver preparato un’interrogazione l’ho rivista e mi ha detto di aver preso sette, mi sono sentita davvero contenta ed orgogliosa di quanto avevamo fatto insieme. M., A. e J. sono latino americani. Ho aiutato tutti e tre soprattutto nello studio della lingua inglese. Ma loro, al contrario della ragazza marocchina che è sempre stata riservata e diligente, erano molto estroversi e indurli a fare i compiti non è stato sempre facile, poiché mi chiedevano in continuazione di interrompere lo studio per fare una pausa; si picchiavano per gioco e inoltre ridevano, scherzavano e cantavano sempre. Ma forse proprio per questo motivo con loro mi trovavo completamente a mio agio: perché, a differenza di altri ragazzi, si comportavano con scioltezza e naturalezza e non mi consideravano una professoressa che dava loro ripetizioni, bensì un’amica che dava loro una mano. Con G., ragazza latino-americana, e con N., pakistana, mi sono cimentata nel diritto. E’ stata in assoluto per me la materia più complicata, poiché abbonda di termini giuridici tecnici e di concetti astratti, molto difficili da spiegare specie a persone che non solo hanno difficoltà linguistiche, ma sono anche al loro primo approccio con il diritto. StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Con N. ho legato subito perché è una ragazza equilibrata: nei momenti di relax sa essere molto divertente, ma quando c’è da studiare è molto seria, attenta e impegnata. Inoltre, essendo da più tempo in Italia, ha una maggiore padronanza della lingua e questo certo ha aiutato sia lei che me nel lavoro. Invece con G. non è andata esattamente così, poiché aveva verso di me un atteggiamento freddo e distaccato che rendeva il mio compito più arduo, essendo per me la mancanza di sintonia fonte di disagio e imbarazzo… Ma forse è stata solo una mia impressione sbagliata dal momento che non ci sono stati fra noi contrasti aperti … Magari ciò che ho interpretato come ostilità era solo timidezza. Comunque sia, alla fine tutte e due sono molto migliorate in questa disciplina e questo mi ha ripagato di tutte le fatiche affrontate. P. doveva stendere la relazione sullo stage che, promosso dalla sua scuola, aveva svolto presso un asilo nido. E’ stato un lavoro piuttosto lungo, ma alla fine sono stata molto soddisfatta di come l’abbiamo realizzato. Per prima cosa mi ha raccontato la sua esperienza: che cosa aveva fatto, le difficoltà che aveva incontrato, i suoi successi; insieme abbiamo messo per iscritto i suoi pensieri un po’ alla rinfusa in una sorta di brain storming. Poi ho preparato per lei una scaletta con punti molto precisi da seguire in modo da guidarla nel percorso di scrittura. Da qui infine abbiamo ricavato il testo definitivo. Devo dire che le maggiori difficoltà che ho osservato nei ragazzi stranieri quando studiano sono la comprensione dei concetti astratti e delle metafore presenti nei testi scolastici, ma anche il processo di sintesi e di rielaborazione dei contenuti con parole proprie. Invece, per quanto concerne lo studio di altre lingue, come l’inglese e il francese, ho notato come per loro la difficoltà maggiore derivi da una scarsa preparazione e dimestichezza con gli elementi della grammatica e della sintassi. In generale, però, devo dire che tutti si sono impegnati per fare del loro meglio. Nei momenti di relax dallo studio abbiamo organizzato diverse attività: feste a tema, con l’obiettivo di conoscere meglio cultura, usi e costumi reciproci ma anche ovviamente di divertirci e stare insieme, diversi giochi e un cd rom. Durante le feste ognuno ha portato del cibo tipico del suo paese e abbiamo imbandito uno splendido 17 buffet; più tardi abbiamo trasformato l’aula in una mini discoteca e ognuno ha messo a turno le canzoni che preferiva: salsa, merenghe, reggae, rock, pop ecc. Un’altra volta siamo andati in Duomo dove abbiamo giocato alla caccia al tesoro: ogni squadra aveva un ragazzo italiano che fungeva da jolly e in caso di bisogno poteva aiutare gli altri componenti del gruppo a risolvere gli indovinelli proposti. In questo modo ci divertivamo insieme e contemporaneamente i ragazzi stranieri si esercitavano nella lingua e imparavano a girare per Milano. Infine, quando sono arrivate due nuove ragazze brasiliane, io e Marta per accoglierle abbiamo preparato un cd rom in cui ci presentavamo e descrivevamo la L’ALIANTE La Fondazione L’aliante onlus nasce nel 2000 con lo scopo di promuovere pari opportunità di integrazione sociale per gli adolescenti a rischio di emarginazione. In seguito la Fondazione orienta il proprio intervento prevalentemente a favore degli adolescenti stranieri e delle loro famiglie, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di accoglienza nel nostro Paese e di accompagnarli nella delicata fase del passaggio alla vita adulta autonoma. Gli interventi sono volti a favorire il successo scolastico, l’integrazione lavorativa e sociale. La Fondazione L’aliante si avvale di equipe composte da assistenti sociali, educatori, facilitatori linguistici, mediatori culturali, psicologi. La Fondazione agisce in collaborazione con una pluralità di realtà: la Provincia e il Comune di Milano, Scuole Secondarie di secondo grado, Centri di Formazione Professionale, Comunità di accoglienza per adolescenti, Cooperative sociali di servizi e di inserimento lavorativo, Associazioni di volontariato, Aziende private prevalentemente di tipo artigianale ... LA PRESA IN CARICO INDIVIDUALE E FAMILIARE Ad ogni adolescente viene assegnata una microequìpe - assistente sociale, educatore e psicologo - con la funzione di progettare e monitorare l’intervento. Questo approccio multidisciplinare, sperimentato con buoni risultati da alcuni anni all’interno della Fondazione, prevede, tre ambiti principali di intervento - sociale, educativo, psicologico-. LE ATTIVITA’ DI GRUPPO L’Orientamento scolastico/ professionale e i Tirocini lavorativi L’orientamento è un percorso volto a far emergere attitudini, competenze e risorse personali necessarie all’adolescente straniero per costruire un progetto per il proprio futuro. L’orientamento pertanto è finalizzato a promuovere: 1 la conoscenza di sé (le competenze acquisite qui o altrove, il diritto ad avere e coltivare interessi) 2 il dialogo con il proprio passato (la provenienza 18 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ vita milanese, i ragazzi milanesi, le abitudini di noi giovani milanesi e così via e loro hanno fatto lo stesso per noi. Confrontare le diverse abitudini dei giovani milanesi con quelli brasiliani ci ha fatto scoprire tanti aspetti divertenti che non sapevamo del mondo giovanile. Per esempio..? Mentre da noi fumare sigarette non necessariamente ha una connotazione sociale, ci hanno detto che in Brasile i ragazzi che fumano sigarette sono considerati ragazzi abbandonati a se stessi o comunque non di buona famiglia. Il progetto ha funzionato così bene che ad un certo momento si sono aggiunti altri ragazzi italiani provenienti dal liceo di Marta e spero che anche per loro l’esperienza sia stata positiva come lo è stata per me. Per informazioni: 02/89420850 www.fondazionelaliante.it culturale, la storia familiare, 3 la relazione con il presente (l’incontro con cultura di accoglienza, le relazioni con i pari, le relazioni con un mondo altro dal proprio ), 4 la proiezione nel futuro, che può avvenire a condizione che si realizzi un processo di integrazione tra passato e presente. Il tirocinio lavorativo costituisce una preziosa modalità di orientamento attivo, che consente al ragazzo di sperimentarsi “dal vivo”, in un contesto reale di lavoro. L’incontro con il mondo delle regole, degli adulti, spesso per la prima volta “degli adulti italiani”, si pone come una sfida necessaria, da cui, se ben guidata, possono nascere interessi e abilità, opportunità e saperi. Per i ragazzi che abbiano in corso un tirocinio lavorativo, il percorso di orientamento è uno strumento di lettura ed elaborazione dell’esperienza lavorativa. Il Laboratorio di italiano L2 e la Scuola estiva propongono agli studenti stranieri di recente immigrazione un percorso di apprendimento della lingua italiana. Si tratta non solo di insegnare loro a parlare, leggere e scrivere in italiano, ma più in generale di portare i ragazzi a “sentirsi a casa”. L’adolescente deve sapersi muovere con fiducia dentro ad un nuovo spazio culturale entro il quale sarà possibile realizzare un buon progetto di vita. La scuola estiva è organizzata da metà giugno a fine luglio e realizza corsi intensivi di italiano L2 (con ampi spazi di laboratorio e di “uscite” alla scoperta della città). Questa proposta risponde all’esigenza delle famiglie e dei ragazzi di recente immigrazione di investire il periodo estivo, libero dagli impegni scolastici, per potenziare gli strumenti di comunicazione a disposizione e poter usufruire di occasioni di socializzazione fondamentali per il benessere relazionale. Il Laboratorio di teatro è un percorso di formazione che permette ai ragazzi di sperimentare l’arte teatrale in prima persona. Il conduttore del laboratorio è un professionista che, attraverso il metodo della “scrittura creativa”, coinvolge i ragazzi nella costruzione stessa del testo teatrale che diventa l’occasione per ripensare ai propri vissuti condividendoli con gli altri. StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier dossier EDUCARE ALLA CITTADINANZA IN UN MONDO GLOBALE La formazione del Cres per gli insegnanti A ttraverso i vissuti e i saperi scolastici passano le visioni del mondo e quindi le basi per ogni progetto di futuro. Le profonde trasformazioni che stiamo vivendo rendono indispensabile e urgente un adeguato cambiamento della scuola, dei saperi insegnati e della stessa professionalità docente, pena lo scollamento totale tra scuola e bisogni della realtà. Di fronte ad un sapere scolastico ‘tradizionale’ orientato al passato, etnocentrico, settoriale, cumulativo, ridondante nei contenuti, rigidamente cognitivo e ancora largamente trasmissivo, il CRES mira a promuovere e facilitare il passaggio ad un insegnamento adeguato ad una società globale e multiculturale attraverso i suoi Corsi di formazione per gli insegnanti. A cura della Redazione StrumentiCres ● Agosto 2007 19 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Indicazioni di rotta in un mondo in cambiamento Piera Hermann Il CRES è nato molti anni fa quale ‘costola’ dell’organizzazione non governativa Mani Tese che si era sempre occupata della scuola come ambito privilegiato in cui mettere i giovani in contatto con i temi e i problemi della contemporaneità che più le stavano a cuore per il perseguimento dei suoi scopi statutari, cioè l’azione per un mondo migliore e più giusto, il rispetto delle diversità e dei diritti, sia per chi vive oggi sia per le generazioni future. L’idea base sulla quale abbiamo lavorato fin dall’inizio era che nella scuola non ci può essere innovazione educativa veramente incisiva che non sia portata avanti dagli insegnanti. Sembra ovvio ma non lo è. Nell’ultimo anno scolastico, solo nella sede di Mani Tese a Milano, ben cinquanta classi sono passate attraverso esperienze didattiche efficaci e illuminanti su lavoro minorile, consumo critico, acqua come bene comune, terra e sfruttamento, condotte da giovani e preparati animatori. Tutti concordano sull’importanza determinante di realizzare una sinergia tra questi interventi e l’impianto formativo (contenutistico-disciplinare e metodologico) vissuto e costruito nell’esperienza scolastica quotidiana dagli studenti con i loro insegnanti; ma in realtà i temi della contemporaneità faticano ad entrare nella scuola e i docenti non sono stati preparati a coniugare le discipline che insegnano con i bisogni della realtà in cui viviamo e alla quale gli studenti di oggi dovranno dare il loro contributo di cittadini globali e responsabili. Da qui l’idea sostenuta fortemente dal CRES di operare per gli insegnanti, non solo fornendo loro materiali di lavoro e mettendo in circolo riflessioni ed esperienze (il Centro di Documentazione, la col- 20 lana Crescendo e la rivista Strumenti), ma anche pensando a specifici momenti in presenza a loro indirizzati: i Corsi di Formazione. Nel tempo questi Corsi hanno cercato di dare risposta ai bisogni reali degli insegnanti (a volte anche al di là delle richieste esplicitate) sulla base di un lavoro di ricerca e di approfondimento. Aggiornare le conoscenze La realtà è cambiata, non sentiamo dire altro ed è certamente vero: la globalizzazione, che plasma le culture, trasforma il mondo del lavoro; la comunicazione e i suoi linguaggi, che mentre interconnettono, escludono o isolano; le nuove guerre, cui guardiamo troppo spesso con ambigua confusione tra realtà e finzione…. Il mondo risulta davvero difficile da decifrare! Da qui l’idea che possano essere necessari per noi insegnanti momenti di apprendimento o di discussione su quegli aspetti della realtà che, a seconda di come verranno affrontati, condizioneran- no il nostro futuro. Perché il ritorno di nazionalismi e localismi? Perché il montante integralismo culturale o religioso? Perché permane tanto squilibrio nelle condizioni di vita tra i popoli del pianeta? Perché tanta umanità è costretta ad affrontare il durissimo percorso della migrazione? Il tutto nonostante la dichiarata volontà internazionale, dei governi e della società civile di eliminare la povertà, in tutte le sue diverse manifestazioni? Dove sono le responsabilità, sia che si tratti di errori sia di malafede? Tutti siamo ormai più o meno lucidamente consapevoli delle interconnessioni tra il nostro agire quotidiano e le condizioni di vita possibili per gli “altri”. Possiamo allora, nel nostro compito di formatori dei futuri ‘cittadini globali’, non dare un aiuto aggiornato e competente ai bisogni di comprensione della realtà da parte dei nostri studenti? Non si tratta di ‘presentismo selvaggio’. Si tratta di vera e propria competenza sul Sapere contemporaneo, disciplinare e interdisciplinare. Si tratta di ripensare l’epistemologia più o meno implicita del proprio insegnaStrumentiCres StrumentiCres●● Agosto 2007 Vivificare la motivazione La sola conoscenza non basta. Ogni educatore sa bene che non c’è cambiamento che non passi attraverso la sfera delle emozioni. Se l’educazione vuole mirare a formare atteggiamenti e comportamenti, il ‘sapere’ è condizione indispensabile, ma non sufficiente. E questo non vale solo per gli studenti, ma anche per i docenti! Gli insegnanti sono chiamati oggi ad una profonda trasformazione della propria professionalità. Da semplici trasmettitori e facilitatori di conoscenza a specialisti dell’apprendere, animatori, tutors, intellettuali per il cambiamento…. Serve allora trovare in sé le ragioni per mettere in atto questo cambiamento! Ed è importante che la formazione metta in gioco la sfera emotiva per non perdere o per ritrovare (o trovare?) l’indispensabile motivazione a svolgere il lavoro affascinante e difficile cui siamo chiamati. Adeguare i ‘ferri del mestiere’ Oltre e al di là delle varie dichiarazioni e raccomandazioni ministeriali esiste poi un problema di padronanza degli strumenti ‘tecnici’ per strutturare, porre in atto e condividere l’insegnamento. Come si deve intendere il curricolo, su quali obiettivi selezionare i contenuti, quali sono i concetti - chiave, come e cosa si può verificare e valutare in un’ottica rigorosa, formativa e veramente democratica? Anche su questi temi pensiamo che dagli insegnanti si pretenda molto dando tutto troppo per scontato mentre così non è! Non si pensi, con quanto abbiamo detto, ad un nostro… delirio di onnipotenza! Siamo perfettamente consapevoli dei limiti nostri e StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ mento. Si tratta di rivedere i concetti fondanti delle materie che insegniamo. Quale Storia, quale Scienza, quali competenze linguistiche ed espressive devono formare l’impianto culturale indispensabile per affrontare la vita con strumenti non desueti o addirittura controproducenti? Pensiamo che sia importante non essere troppo soli nel rispondere a queste domande! dossier della struttura stessa della formazione così come oggi è proponibile, fondata come è sull’impegno volontario ed extralavorativo dei destinatari oltre che sugli scarsi mezzi di cui possono disporre le scuole e le amministrazioni che la finanziano. Ma l’esperienza ci ha dimostrato al di là di ogni esitazione o dubbio, che momenti di scambio anche relativamente brevi, ma correttamente impostati sulla base di bisogni reali, possono avere un’importante valenza: 1 perché costituiscono una fonte agile e sperimentata di aggiornamento culturale personale sulla complessità del mondo contemporaneo facilmente percorribile, 2 perché ogni Corso è, dal punto di vista metacognitivo, un esempio concreto e ‘mutuabile’ di insegnamento/apprendimento coerente con un approccio interculturale, plurilinguistico e partecipativo, 3 perché aprono strade su cui, chi vorrà, potrà proseguire da solo ma con adeguate ‘istruzioni’, 4 perché ogni insegnante (ancora di più in alcuni ordini di scuola) è sostanzialmente sempre più solo con i molti dubbi che il suo lavoro quotidiano comporta: sui propri scopi, sugli allievi cui si rivolge, su ciò che la società spesso arrogantemente gli chiede e, perché no, su sé stesso e le proprie capacità e competenze. Trovare sostegno e scoprire quanto si ha in comune con gli altri può già essere di per sé un risultato importante! Il Cres dedica molta attenzione alla Educazione all’informazione e ai media, in particolare all’utilizzo dello strumento filmico in contesto scolastico; il tema è affrontato, sotto diverse angolature, in alcuni Corsi di formazione per insegnanti e nell’ultimo Quaderno Cres pubblicato con la EMI (Marina Medi, Il cinema per educare all’intercultura) che viene recensito a pag. 40 21 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Nuove mappe per risognare il mondo Letteratura e intercultura Anna Di Sapio “Il mondo è una Maschera che danza, e per vederlo bene non si può rimanere fermi nello stesso luogo”. Chinua Achebe, La freccia di Dio Nel gennaio scorso a Torino, su iniziativa del Grinzane Cavour, si è riunito a convegno un folto numero di autori tra i più famosi dell’Africa subsahariana1 , alcuni di essi vivono in Africa altri, accomunati dalla diaspora, vivono in Europa o negli Stati Uniti. Queste scrittrici e scrittori africani, “hanno offerto il proprio sguardo e la propria posizione estetica ma anche politica”2 mandando in frantumi stereotipi e luoghi comuni. Coi loro racconti hanno presentato un’Africa quanto mai variegata, ricca di potenzialità e di energie, di risorse materiali e culturali. Se si chiedesse all’uomo della strada di parlare di Africa direbbe molto probabilmente trattarsi di un continente povero e primitivo, dilaniato da guerre tribali, bisognoso del nostro aiuto e della nostra “carità”. La nostra immagine oscilla tra il catastrofismo dei mass media, i quali si interessano all’Africa solo quando ci sono guerre, colpi di stato, catastrofi naturali, e l’esotismo delle guide e delle agenzie di viaggio. Perdura una certa percezione unitaria dell’Africa e dei suoi processi, che si rivela sempre più inadeguata a descrivere e spiegare quanto sta succedendo. In un romanzo di una giovane scrittrice dello Zimbabwe, I. Nozipo Maraire, intitolato Zenzele. Lettera per mia figlia, Zenzele che si appresta a lasciare l’Africa per i suoi studi chiede tutta eccitata ai suoi 22 Chinua Achebe. genitori notizie sul paese in cui andrà a vivere. Ecco come risponde la madre: “(...) Purtroppo sono pochi gli europei che considerano alla pari gli africani. Dopo la sbornia del colonialismo hanno di noi una visione confusa. (...) Preparati a conoscere molta gente che continua a considerare l’Africa come una vasta massa amorfa: il continente nero, una palude primigenia, avvolta di fumi e vapori, abitata da creature del Neanderthal e da indigeni allegri ma primitivi, sempre impegnati in sordide cerimonie rituali, fino a notte fonda, al frenetico ritmo dei tamburi.(...).” 3 In Italia l’editoria, la critica letteraria, il mondo accademico sono stati lenti nell’aprirsi alle produzioni africane, per fortuna negli ultimi anni la situazione sembra stia cambiando. Ancora grande è la nostra ignoranza eppure potremmo iniziare a conoscere questo continente attraverso le opere dei suoi scrit- tori e delle sue scrittrici. Vent’anni fa anch’io ignoravo tutto dell’Africa poi un giorno, in libreria, mi sono imbattuta in un romanzo di Chinua Achebe, Il crollo4 , mi sono incuriosita, l’ho comprato, ho iniziato a leggerlo e, arrivata alla fine, mi sono accorta che avrei voluto che continuasse. Un colpo di fulmine, un’esperienza che mi ha segnato e ha dato inizio a un “viaggio” che, in compagnia di alcune amiche/colleghe, ci ha condotte dall’Africa ai Caraibi e riportate poi in Europa tra gli scrittori migranti. In questo lungo viaggio, attraverso le storie di personaggi fittizi, ci siamo avvicinate poco per volta a culture per noi nuove, poco a poco abbiamo avuto voglia di conoscere meglio la storia dei paesi e dei popoli che incontravamo, le loro forme di espressione artistica, la loro visione del mondo. Siamo state portate a ripensare il ruolo che l’Occidente ha avuto nel cancellare e stravolgere le culture che 1 Erano presenti tra altri: Nadine Gordimer, Werewere Liking, Niyi Osundare, Sami Tchak, Moses Isegawa, Germano Almeida, José Eduardo Agualusa, Abdulrazak Gurnah, Ondjaki, Henri Lopes. 2 Itala Vivan, La voce dei leoni e delle principesse, “El Ghibli” anno 3, n. 15, marzo 2007 www.el-ghibli.provincia. bologna.it 3 I. Nozipo Maraire, Zenzele. Lettera per mia figlia, Mondadori, Milano 1996, p. 92 4 Il crollo è la storia di Okonkwo, guerriero di un villaggio ibo della Nigeria orientale che assiste impotente allo sgretolamento culturale, religioso, sociale, economico della propria civiltà sotto i colpi dei colonizzatori. Achebe non idealizza il mondo precoloniale anzi ne mostra i difetti e le tare oltre alla grandezza, il suo intento è quello di demistificare il mito dei neri primitivi e incivili cui i bianchi portano il dono di una civiltà superiore. StrumentiCres StrumentiCres●● Agosto 2007 StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ incontrava nella sua avanzata come potenza coloniale, e a leggere in un ottica nuova la nostra storia. Un viaggio in altri spazi letterari induce a riflettere anche sulle connotazioni culturali del proprio mondo, spinge ad affrontare con occhi nuovi la lettura della propria realtà, perché l’identità si sviluppa e si afferma nello scambio, nell’incontro con l’altro. La potenzialità di queste letterature è grande non solo come strumento di conoscenza degli altri, ma anche come conoscenza di se stessi. La lettura di autori africani, caraibici, migranti ci ha portato a riflettere sul fatto che la globalizzazione che caratterizza la nostra epoca non è che il portato di processi in atto da secoli, da quando lo slancio espansionistico di alcune potenze europee diede inizio alla circolazione, all’incontro e allo scontro tra collettività, economie, civiltà lontane e diverse, che rapidamente coinvolsero l’intero pianeta. Anche le migrazioni non sono un problema di oggi, abbracciano tutto l’arco della modernità, a partire dalla “scoperta del Nuovo Mondo”, dalla conquista di vaste aree del pianeta che si trovarono così ad dossier essere colonizzate.5 Gli europei riuscirono in tempi brevi a sconvolgere le realtà politiche, economiche, sociali di antiche civiltà. I popoli colonizzati furono privati della loro identità e della libertà di decidere del proprio futuro, si videro imporre i valori economici, politici, sociali e religiosi del colonizzatore, videro negata la propria storia e cultura, ritenute inferiori di fronte alla superiore civiltà europea che il colonizzatore aveva il dovere di imporre al colonizzato. Per il senso comune l’epoca del colonialismo è lontana, qualcosa che apprendiamo nei libri di storia (spesso una storia rimossa), ma scrittori della generazione di Chinua Achebe (1930), uno dei padri delle letterature africane, Wole Soyinka (1934), premio Nobel per la letteratura, Ngugi Wa Thiong’o (1938), il mondo coloniale lo hanno vissuto, così come hanno vissuto la stagione delle lotte per l’indipendenza. Lo storico burkinabé Ki Zerbo, scomparso recentemente, definiva l’ incontro tra Europa e Africa come un incontro mancato, non fu infatti una relazione tra pari ma tra chi si credeva superiore e chi veniva considerato un essere inferiore da civilizzare. L’era del colo- nialismo e dell’imperialismo ha prodotto delle relazioni deformate fra culture diverse instaurando rapporti di dominio e di sopraffazione, innescando processi di inferiorizzazione degli uni per affermare la superiorità degli altri.6 Ma questa – sostiene Ian Chambers - non è la storia che la modernità occidentale è abituata a raccontare a se stessa. Schiavitù e razzismo sono considerati aberrazioni, incidenti storici che non scalfiscono il cuore della modernità contrassegnata dal progresso, dalla democrazia e dalla cultura illuminista. Diamo per scontato che gli atteggiamenti intolleranti e razzisti siano semplicemente deviazioni ed eccezioni di una cultura sostanzialmente buona e liberale. Chinua Achebe e Ben Okri ci ricordano che non è proprio così: “(…) il razzismo bianco contro l’Africa è una maniera di pensare tanto normale che le sue manife- 5 Ian Chambers, Paesaggi migratori, Meltemi, Roma 2003 6 V. Frantz Fanon, Pelle nera maschere bianche, Marco Tropea editore, Milano 1996 e Albert Memmi, Ritratto del colonizzato e del colonizzatore, Liguori, Napoli 1979 23 stazioni passano completamente inosservate. (…) l’uguaglianza è una cosa che gli europei sono evidentemente incapaci di estendere agli altri, in particolare agli africani. (…) Affrontando il nero, il bianco ha davanti una scelta semplice: o accettare l’umanità del nero e quindi l’eguaglianza che ne deriva, oppure negarla e considerarlo una bestia da soma. Non c’è via di mezzo, a meno di fare dei sofismi intellettuali. Per secoli l’Europa ha scelto l’alternativa animale, che automaticamente ha escluso la possibilità del dialogo. (…) Per colpa dei miti creati nel corso degli ultimi quattrocento anni dall’uomo bianco per deumanizzare i negri – miti che forse hanno procurato all’Europa un benessere psicologico, e certamente quello economico – i bianchi hanno parlato e parlato e mai ascoltato; perché si immaginano di stare a parlare con un animale privo di favella. (…) La speranza è che, se l’uomo bianco ha tanta curiosità per l’uomo nero, forse un giorno si fermerà davvero ad ascoltarlo.” 7 “E’ sconcertante che mentre facciamo rotta verso pianeti lontani, mentre ci avviciniamo alla meraviglia e al timore di un nuovo millennio (in cui l’umanità potrebbe realizzare la propria distruzione o entrare nella più splendida fase del suo sviluppo), come esseri umani non abbiamo ancora iniziato a vederci l’un l’altro come dovrebbero fare persone che sono obbligate a vivere insieme. La storia umana ha centinaia di migliaia di anni e noi ancora ci guardiamo l’un l’altro in modo superficiale, come se in tutti questi millenni di reciproche relazioni non avessimo ancora imparato che siamo tutti soltanto esseri umani, che sotto la nostra pelle si estendono gli stessi continenti di desideri e gli stessi sogni prorompenti, universi di pensieri turbinanti, pulsioni preistoriche, balenare di fulmini e eterne fioriture.” 8 Con le migrazioni contemporanee l’Altro è diventato prossimo, è il nostro vicino di casa, il nostro compagno di banco. Come fare per instaurare una relazione che non sia più quella coloniale? Renate Siebert, facendo proprio il suggerimento della scrittrice marocchina Fatima Mernissi propone ad entrambi i protagonisti della relazione di esplorare il proprio “territorio mentale”, di esplorare cioè tut- 24 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier to quel bagaglio di immagini e simboli che determinano le nostre emozioni, i nostri pensieri, i nostri schemi culturali, morali ed etici, i punti di riferimento della propria civiltà, quelli che ci permettono di comprendere il mondo e di agire in esso. Esplorarli e poi cercare di “tradurli” per farsi capire dall’Altro. Nello stesso tempo mettersi all’ascolto dell’Altro chiedendogli di “tradurre” i suoi parametri culturali ed etici per noi.9 Oggi l’incontro tra culture, storie, religioni e lingue diverse non è più situato altrove, ma è qui e ora, al centro della nostra vita quotidiana, allora la “ragione” occidentale deve aprirsi a nuovi percorsi, deve instaurare un rapporto più critico e non arrogante. “Forse (…) tocca ora a noi imparare a stare a casa senza sentirsi a casa, per recepire ciò che esiste oltre i nostri confini”. 10 “Il mondo è una Maschera che danza, e per vederlo bene non si può rimanere fermi nello stesso luogo”, dice Chinua Achebe, e Salman Rushdie suggerisce: ”Solo quelle persone che escono dalla cornice vedono il quadro per intero”. La lettura di scrittori provenienti da altre aree culturali ci permette di ascoltare tante voci diverse, di indagare tanti punti di vista, consentendoci di esercitare e affinare il giudizio critico, ci aiuta a capire meglio le relazioni interculturali tra l’Occidente e gli Altri. Poiché questi autori sono es- seri che vivono tra due (o più) culture, sono in grado di osservarle entrambe da una certa distanza, di scrivere da una doppia prospettiva, sono in grado di tradurre i parametri culturali dell’una e dell’altra. 11 Le letterature africane e caraibiche, gli scrittori migranti si pongono come esempi significativi delle interazioni che stanno ridisegnando la mappa letteraria del nuovo millennio, come specchio dei mutamenti sociali e culturali, chiavi di lettura della nuova complessità. L’Africa che emerge dal racconto dei suoi scrittori e delle sue scrittrici è un universo multiforme, variegato, ricchissimo, costituito da una miriade di popoli, lingue, culture, dalle complesse vicende storiche. I loro testi ci raccontano speranze e fallimenti, impegno mora7 Chinua Achebe, Speranze e ostacoli, Jaca Book, Milano 1998, pp. 21, 30-31 8 Ben Okri, Tra le pietre mute, in “La tigre nella bocca del diamante. Saggi, paradossi, aforismi, minimumfax, Roma 2000” pp. 98-99 9 Renate Siebert, La traduzione come metafora, “El Ghibli”, anno 3, n. 14, dicembre 2006 www.el-ghibli.pro vincia.bologna.it/ 10 Ian Chambers, Paesaggi migratori, Meltemi Roma 2003, p. 150 11 Salman Rushdie, Patrie immaginarie, Mondadori, Milano 1994, pp. 1326 StrumentiCres StrumentiCres●● Agosto 2007 Grazie agli scrittori caraibici e alle loro storie apprendiamo l’estrema varietà di questo arcipelago, tutte le sfaccettature di questo mondo meticcio e creolo dove tante civiltà sono passate e hanno lasciato tracce: l’Europa (Spagna, Francia, Inghilterra, Olanda), l’Africa, l’Asia. Scrive Walcott: I’m just a red nigger who love the sea, I had a sound colonial education, I have Dutch, nigger, and English in me, and either I’m nobody, or I’m a nation Io sono solamente un negro rosso che ama il mare, ho avuto una buona istruzione coloniale, ho in me dell’olandese, del negro e dell’inglese, sono nessuno, o sono una nazione.12 La complessità dell’arcipelago appare a tutti i livelli: linguistico, culturale, religioso, politico. Oltre ai premi Nobel Derek Walcott e V. S. Naipaul molti sono gli artisti caraibici che hanno raggiunto fama internazionale: Aimé Césaire, Edouard Glissant, Alejo Carpentier, Maryse Condé… La cultura scaturita dall’arcipelago è ricca, vivace, vitale sulle isole come all’estero. Le comunità immigrate (antillana a Parigi, giamaicana a Londra, portoricana e cubana a New York e Miami) hanno contribuito a diffondere e ampliare questa cultura e, a loro volta, hanno prodotto altra cultura, frutto di un nuovo meticciato, di una nuova creolizzazione con le società urbane delle grandi metropoli dei paesi industrializzati in cui ormai vivono e da cui ricevono nuovi stimoli. Gli scrittori migranti sono un fenomeno importante della letteratura contemporanea, specchio di un mondo in rapida evoluzione. Basti pensare al boemo Milan Kundera, al marocchino Tahar Ben Jelloun in Francia, all’indiano Salman Rushdie e a V.S. Naipaul, trinidadiano di origine indiana, entrambi residenti in Gran Bretagna, al russo Iosip Brodskji esiliato negli Stati Uniti, (per limitarStrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ le e civile, la storia e la memoria, i problemi e le urgenze dell’oggi, vizi e virtù di un continente complesso. dossier si al presente, ma anche nel passato la schiera è folta). “Per il Novecento europeo – sostiene Chiellino – emigrazione, immigrazione ed esilio vanno annoverati tra gli impulsi che hanno concorso in modo decisivo al rinnovamento delle letterature nazionali perché hanno smorzato l’auto-referenzialità entro cui esse hanno rischiato di perdersi.” 13 Oggi anche in Italia abbiamo la presenza di autori arrivati da tutti gli angoli del mondo, che hanno adottato la lingua di Dante per esprimersi. Questi scrittori affrontano temi molto vari, e sono ormai giunti a una maturazione significativa tanto sul piano dell’autonomia linguistica che sul piano dei contenuti e della forma. Ancora poco conosciuti in Italia, questi autori sono invece studiati nelle università europee e americane, come Gëzim Hajdari premio Montale per la poesia, per citarne qualcuno. Questi autori danno uno sguardo particolare alla società italiana e ai suoi travagli per l’integrazio- ne, ci fanno capire meglio chi siamo, com’è la nostra società, ci costringono a una riflessione sull’identità italiana, su come si rappresenta e si rapporta con l’altro, perché il migrante vive in vitro l’identità dell’uomo contemporaneo, è una sorta di laboratorio in cui sperimentare l’identità del XXI secolo. ˇ Scrive Jarmila Oekayova: “(…) forse il contributo della narrativa italiana scritta da autori stranieri potrebbe essere questo: smontare un po’ di stereotipi, letterari e umani. Riaccendere la curiosità, la voglia di riflettere e di stupirsi per qualcosa che prescinde da pura forma, dalla “tendenza”. Ricordare che la diversità umana, con il suo infinito spettro di possibilità, è la materia prima 12 Derek Walcott, Mappa del nuovo Mondo, Adelphi, Milano 1992 13 V Seminario degli scrittori e scrittrici migranti in www.sagarana.net 25 della letteratura, nonché la sua ragione di essere. Mostrare che le nostre solitudini, i nostri talenti, i nostri malesseri e la nostra aspirazione a sentirci parte integrante del mondo che ci gira attorno, possono non dipendere dalle radici geografiche, o viceversa dallo sradicamento, ma dall’adesione a una scala di valori, che è senza frontiere, dalla nostra poetica esistenziale, prima ancora che da quella letteraria, dal coraggio di dare un senso alle nostre parole e ai nostri gesti e ai nostri sogni, e dal coraggio di spalancare le porte perché le parole i gesti i sogni di altri entrino in casa nostra. Provare che si può creare, trasmettere e ricevere, praticando la reciprocità. (…) Che le sabbie mobili su cui camminiamo, e in cui rischiamo di sprofondare, possono essere trasformate da brodaglia stagnante e caotica in numerose sorgenti limpide e fertili, rivitalizzanti. (…) La multiculturalità è un’occasione. L’occasione per un vero confronto con il diverso, ma anche per riscoprire e rafforzare noi stessi e ciò che continuerà a unirci, sempre: la condizione umana comune, le ragioni profonde della nostra esistenza”.14 Una formazione letteraria e culturale che ignorasse la complessità della modernità rischierebbe di restare provinciale. Forse è arrivato il momento di ripensare la formazione con i suoi canoni letterari ed estetici, di rendere la storia, la cultura e la letteratura nazionale un po’ meno narcisistiche. D’altronde si è più portati a interrogarsi sul canone proprio quando si vive in un’epoca di grandi cambiamenti che portano con sé anche crisi e disorientamento. Le opere di queste scrittrici e scrittori provenienti da altri orizzonti culturali, con la loro straordinaria vitalità, fecondità, qualità letteraria, si offrono – suggerisce Franca Sinopoli - come soglia di ingresso in altri mondi e come via al colloquio con altre culture.15 14 Jarmila Ockayova, Al di là della ˇ parola, in www.disp.let.uniroma1.it/ kuma 15 Franca Sinopoli, La storia comparata della letteratura, in “A. Gnisci (a cura di ), Introduzione alla letteratura comparata, Bruno Mondadori, Milano 1999” p. 28 26 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Il ruolo degli squilibri Nord-Sud Massimiliano Lepratti Vecchi squilibri e nuove periferie In un mondo attraversato da dinamiche importanti e spesso amare quali le migrazioni internazionali e intercontinentali, le guerre più o meno permanenti, i disastri ambientali, la realtà della “madre di (quasi) tutti i problemi” appare meno dibattuta, il suo nome resta all’ombra di parole dense di carichi emotivi: malattie, guerra, intercultura, sostenibilità, democrazia. Eppure la disuguaglianza fra Nord e Sud del mondo è l’autentico dramma della contemporaneità, nato nel 1800 e mai risolto, anzi divenuto così grave e endemico da trasformare la storia umana in qualcosa di completamente diverso da ciò che si è conosciuto fino alla fine del ‘700. Vale sempre la pena di argomentare queste affermazioni richiamando alcuni giganti della ricerca. Paul Bairoch racconta come fino alla fine del XVIII secolo lo squilibrio internazionale praticamente non esisteva (tra le macroaree più ricche al mondo e quelle più povere vi era un rapporto di reddito medio inferiore a 1,5 contro 1). Eric Wolf ricorda per lo stesso periodo la risposta divertita e sprezzante dell’imperatore cinese alle richieste di quali merci inglesi potessero interessare: “nessuna grazie, abbiamo già tutto”. L’UNDP (il programma dell’ONU sullo sviluppo) cita un rapporto fra il 20% più ricco e il 20% più povero dell’umanità pari a 3 a 1 nel 1820 e arrivato a oltre 70 a 1 alla fine del XX secolo. Mentre il mondo ottocentesco e novecentesco si attorcigliava negli eventi storici più grandi e orribili, mentre le dinastie e gli imperi cadevano, le guerre mietevano decine di milioni di vittime, regimi tremendi sterminavano masse enormi, silenzioso il sistema capitalistico del Nord andava costruendo il modo di sottrarre ricchezze al Sud e di accumularle – reinvestirle – accumularle, utilizzando mezzi diversi: colonialismo, debito estero, controllo dei prezzi, delocalizzazioni delle multinazionali ecc. Così da allora la disuguaglianza è andata sempre crescendo, raggiungendo all’inizio del XXI secolo dimensioni mai viste: 3 persone sono arrivate a possedere un patrimonio complessivo pari al reddito annuale di 49 nazioni messe StrumentiCres StrumentiCres●● Agosto 2007 StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ insieme. Se ci si colloca in questa ottica risulta più facile comprendere anche il resto: le migrazioni originate da una prospettiva di futuro economico infinitamente meno favorevole in Africa rispetto all’Europa; il trasferimento di risorse ambientali a costi bassissimi dal Sud verso il Nord; l’amarezza con cui le masse del Sud guardano a una floridezza economica che lì sembra non arrivare mai; la disperazione di chi non ha più nulla da perdere se non il proprio corpo. Il sistema degli squilibri internazionali agisce con precisione e impersonalità, muovendosi oltre la volontà dei singoli: il trasferimento della ricchezza dai capitalismi deboli e debolissimi del Sud ai capitalismi forti del Nord avviene attraverso migliaia di canali creati nel tempo e capaci di agire anche con forza propria e l’unico elemento di ironico riequilibrio fra il capitalismo un tempo includente del Nord e quello sempre escludente del Sud appare la nuova capacità del Nord di relegare ai margini fette crescenti della propria società, in un processo di creazione di nuove periferie che vanno ad aggiungersi alle vecchie, rappresentate dall’inferno verde delle monoculture, dei terreni inariditi o dalle favelas. A partire dagli anni ’80 le ricchezze sottratte al Sud restano in mani sempre meno numerose e il pro- dossier cesso di concentrazione economica produce una nuova emargi-nazione nelle società più opulente, tanto da far parlare di un mondo in cui la dislocazione di centri e periferie appare molto meno schematica di un tempo. Un’ambigua attenzione politica Negli anni ’90 l’UNDP ha iniziato un’importante riflessione sui temi dello squilibrio internazionale, giungendo a formulare tre parametri con cui misurarlo: la (nota) disuguaglianza economica, la disuguaglianza in termini di speranza di vita, la disuguaglianza in termini di tasso di alfabetizzazione. L’insieme di questi parametri ha fornito un nuovo strumento concettuale: l’indice di sviluppo umano grazie al quale l’idea di squilibrio economico si è allargato all’idea di squilibrio sociale. Le riflessioni di alcuni studiosi ed attivisti iniziate negli anni ’70 e sviluppatesi negli anni ’80 hanno ulteriormente arricchito il dibattito inserendovi i temi ambientali e arrivando a porli in connessione con il problema dello squilibrio Nord Sud. La crescita di queste riflessioni è andata di pari passo con la crescita di movimenti internazionali che hanno sottoposto all’atten- zione internazionale singole tematiche di ampio respiro sociale: la progressiva confluenza di questi movimenti ha visto un’accelerazione con la nascita dei grandi patti politici relativi alla gestione del commercio globale: il NAFTA americano e l’Organizzazione internazionale del commercio (o WTO); la rivolta zapatista contro il NAFTA e la rivolta di Seattle contro la WTO hanno rappresentato i momenti di coagulazione ed esplosione mediatica delle contraddizioni accumulate nei decenni, obbligando le agende dei grandi vertici internazionali ad inserire parole prima ben poco frequentate: fame, povertà, malattie endemiche. L’attenzione degli otto paesi più industrializzati al mondo per questi temi è risultata ambigua a poco duratura, piegata sulle esigenze di rispondere alle grandi mobilitazioni sociali con provvedimenti d’immagine e di scarso impatto relativi a debito estero, fondi internazionali contro le malattie più diffuse e poco altro. Anche questa debole attenzione si è progressivamente disciolta con lo spostamento dell’agenda internazionale sui temi della guerra, del terrorismo e della “sicurezza” seguiti all’attentato alle torri gemelle di New York l’11 settembre 2001; la disuguaglianza internazionale è andata ad aggravarsi ancora, nascosta dietro 27 l’attenzione riservata a Bin Laden e a Saddam Hussein. Il dibattito sullo sviluppo Fino alle riflessioni elaborate dall’UNDP all’inizio degli anni ’90 l’idea dominante per risolvere gli squilibri internazionali era quella della crescita economica. Un’idea rassicurante, semplice e psicologicamente gratificante per i paesi ricchi: noi abbiamo fatto così, ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo affrontato mille difficoltà, ma ora non abbiamo (quasi) più problemi di povertà, denutrizione, malaria, sfruttamento del lavoro infantile. L’idea forte affondava la sua certezza nella semplicità e nel rifiuto di affrontare la complessità del mondo: l’economia guida le altre dimensioni del vivere sociale, ed ha una sua indipendenza che permette la riproducibilità del modello in qualsiasi realtà sociale; è solo questione di tempo e le culture, gli ambienti sociali e naturali dei diversi luoghi si trasformano sotto il peso della crescita produttiva e della diffusione di scuole, ospedali ecc.. La crisi economica negli anni seguiti al 1973 e l’idea di affrontare il tema della speranza di vita e dell’analfabetismo insieme al tema del reddito pro capite, hanno iniziato a scuotere l’assioma dell’era “sviluppista”: si è scoperto ad esempio che lo Sri Lanka, pur avendo un reddito pro capite decisamente inferiore, superava il Brasile in termini di dati sociali; l’idea che la ricchezza avrebbe trascinato con sé gli altri parametri e la stessa qualità della vita cominciava a lasciare il campo al concetto di complessità, di multifattorialità dello sviluppo. Gli anni ’90 hanno reso sempre più evidenti i limiti di una visione economicista dello squilibrio Nord – Sud (che pure permangono ampiamente nel dibattito pubblico), il vertice di Rio de Janeiro del 1992 ha richiamato con forza le pratiche della sostenibilità ambientale nella progettazione sociale e il termine “sviluppo” con i suoi sinonimi (crescita in primis) sono entrati in una crisi, forse resa troppo polemica da un fraintendimento delle parole (“sviluppo” in sé significa sbrogliamento, passaggio da uno stato di confusione a un 28 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier maggior ordine lineare, cosa non necessariamente carica di significati negativi, così come non appare negativo parlare di sviluppo sociale o di sviluppo dei diritti); in poco tempo è sorta la teoria dell’aggettivazione: i termini “umano”, “sostenibile”, durevole”, “partecipativo” variamente combinati hanno accompagnato con frequenza crescente il sostantivo “sviluppo”, senza che si sia arrivati ad una formulazione ampiamente condivisa. Due teorie critiche sugli squilibri Nord – Sud Con uno sguardo un poco attento alla storia delle teorie è oggi possibile sottolineare la forza di due concetti che si propongono di affrontare in modo radicale il problema della disuguaglianza fra il Nord e il Sud del pianeta. La prima teoria è quella dello sviluppo autocentrato, elaborata a partire dalla cosiddetta scuola della dipendenza (di radice latino-americana) nei decenni fra il 1960 e il 1980; i presupposti fondamentali sono quelli dell’autonomia e della partecipazione: ogni stato o gruppo di stati vicini dovrebbe creare un sistema di partecipazione popolare che permetta di decidere consensualmente gli obiettivi di sviluppo, privilegiando il mercato interno rispetto ai mercati internazionali, i diritti sociali dell’intera popolazione sui risultati mera- mente economici, l’uguaglianza sulla concorrenza. Un ruolo fondamentale in questo processo è riservato allo stato, suo è il compito di favorire la partecipazione, di assicurare la distribuzione per classi e per aree geografiche, di filtrare i rapporti con i mercati esterni, privilegiando quelli funzionali allo sviluppo e all’uguaglianza interni. La seconda più che una teoria è una provocazione, frutto di un incontro fra il pensiero economico ambientalista (con l’ingiustamente misconosciuto Georgescu Roegen in primo piano) e la riflessione di alcuni antropologi, molto attenti alle problematiche delle specificità culturali; il nome di “decrescita” con cui è conosciuta al pubblico è provvisorio e poco amato dagli stessi pensatori, ma ne sintetizza i capisaldi: non è realizzabile alcuna idea di crescita economica infinita in un pianeta finito, l’umanità potrà salvarsi e vivere in modo migliore solo se autoregolerà il suo consumo diminuendone in modo netto l’impatto ambientale. Naturalmente tutto ciò comporta obiettivi e politiche differenti nel Nord del mondo iperconsumista e nel Sud dove molte popolazioni non hanno ancora accesso a beni materiali primari (come lo stesso cibo); in questo modo la forbice crescente fra le nazioni ricche e quelle povere dovrà diminuire a vantaggio di un ripensamento comune delle strategie di sopravvivenza e del significato del termine “qualità della vita”. StrumentiCres StrumentiCres●● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Educazione al patrimonio e dialogo interculturale Marina Medi Nuove LeEducazioni trasversali per la ”cittadinanza attiva” Da anni ormai è sempre più diffusa, sia a livello ministeriale che tra gli insegnanti, la consapevolezza che la proposta formativa della scuola non si possa esaurire nello studio delle tradizionali materie d’insegnamento, ma debba fornire strumenti per leggere e interpretare il nostro mondo in rapida trasformazione, sviluppando “competenze di cittadinanza attiva”1 . A questo fine mirano quegli aspetti o dimensioni dell’educazione scolastica, come l’Educazione interculturale, allo sviluppo, alla pace, ai diritti, all’ambiente ecc., che spesso abbiamo chiamato Nuove Educazioni trasversali da una parte per distinguerle dalle educazioni di “prima generazione” (come l’educazione motoria, musicale, all’immagine ecc), dall’altra per sottolinearne la forte valenza formativa di fronte alle nuove urgenze che sollecitano la scuola e il carattere di complessità che interseca le varie aree del sapere e si serve di concetti e procedure provenienti da discipline diverse. Le Nuove Educazioni trasversali in questi anni sono state lo stimolo per innumerevoli esperienze realizzate nelle scuole. Tra queste, però, quelle che si sono dimostrate veramente interessanti e innovative sono state quelle che hanno realizzato una vera solidarietà reciproca tra discipline e Educazioni e non si sono limitate a proporre percorsi di studio occasionali, paralleli alla tradizionale StrumentiCres ● Agosto 2007 programmazione disciplinare. A nostro giudizio infatti, e lo abbiamo spesso ribadito in questa rivista così come nei corsi di formazione del CRES, le Nuove Educazioni trasversali devono assumere oggi la funzione di organizzatori e selettori del curricolo nel suo insieme, dato che intervengono nella scelta consapevole e coerente tra finalità formative, contenuti e strategie didattiche. Sono in grado infatti di indicare priorità e rilevanze di temi/problemi su cui orientare lo studio e di suggerire possibili convergenze interdisciplinari, rompendo gli steccati ancora presenti nel nostro sistema scolastico. Sul piano metodologico invitano a superare il carattere solamente verbale della scuola per utilizzare una didattica progettuale, strumenti di lavoro e strategie diverse (lavori di gruppo, giochi di ruolo, interviste, drammatizzazioni ecc.) che mettono in discussione le stesse relazioni interpersonali nelle classi. Inoltre, aprono la scuola al territorio non solo perché invitano ad osservare criticamente la realtà che ci circonda, ma anche perché sollecitano la collaborazione con enti, istituzioni e organizzazioni, governative e non, specializzati su questi temi. In questo modo le Educazioni trasversali possono diventare anche uno stimolo ai processi di innovazione in una scuola sempre più alla ricerca di senso. L’Educazione al patrimonio Alle altre Educazioni da qualche tempo se ne è aggiunta un’altra: l’Educazione al patrimonio. Le Nuove Educazioni trasversali vengono in genere declinate al plurale per sottolineare quanto ciascuna di esse sia strettamente legata alle altre, così come globali e interconnesse sono le problematiche della complessa realtà in cui viviamo. Come potremmo infatti parlare di cittadinanza senza par- lare di diritti, o di problemi ambientali senza riflettere sui modelli di sviluppo? Come potremmo separare i temi dell’alimentazione da quelli della salute ed entrambi dal ruolo dell’affettività? D’altra parte è possibile distinguerle in base alla focalizzazione tematica e all’istanza formativa prevalente: il rapporto Nord-Sud, l’incontro/scontro culturale, la pace e la guerra, le competenze di cittadinanza, la differenza di genere ecc. Qual è dunque il tema su cui si vuole focalizzare l’attenzione quando si parla di Educazione al patrimonio? Con il termine “patrimonio culturale” possiamo intendere tutto l’insieme di tracce materiali e immateriali che testimoniano l’esistenza culturale di un popolo in un determinato momento storico. Sono innanzitutto il territorio plasmato dal suo insediamento, poi gli oggetti della cultura materiale, poi ovviamente i linguaggi, il folclore, i modi di organizzarsi e interagire, i prodotti artistici ecc. Se pensiamo al significato etimologico (patris-munus) ci ritroviamo nel campo semantico di concetti come “valore”, “possesso”, “eredità”. In un certo senso la scuola ha sempre avuto tra le sue finalità quella di far conoscere ai giovani il proprio patrimonio culturale. Limitandosi però a presentare la cultura nazionale, specie quella di tipo classico-umanistico, in genere ha ottenuto il risultato di costruire identità chiuse al proprio interno come fortezze, pronte all’aggressione contro qualunque altra cultura, giudicata totalmente diversa 1 Così vengono indicate le competenze che la scuola deve riuscire a sviluppare nel documento prodotto da una commissione ministeriale incaricata di riflettere sulle modalità con cui realizzare l’innalzamento dell’obbligo di istruzione a 16 anni “Indicazioni sulle modalità dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione” del 3 marzo 2007. 29 e inevitabilmente inferiore. In questi anni diversi autori hanno mostrato come sia pericoloso insistere sul tema dell’identità, perché questa inevitabilmente esclude e rende “altro”, potenzialmente “nemico”, chiunque non sia come noi2 . Perché allora insistere sul concetto di patrimonio? Per prima cosa perché esiste il diritto e il dovere da parte di ogni essere umano di conoscere la cultura a cui appartiene. L’importante però è comprendere che questa cultura nasce da lontano ed è il risultato di contaminazioni e integrazioni continue. Il patrimonio culturale infatti è il prodotto dell’attività delle generazioni passate che quelle presenti contribuiscono a ridefinire per poterlo poi trasmettere alle generazioni future. Senza questa consapevolezza è facile vivere il proprio patrimonio senza riflessione e questo facilmente provoca scarsa cura o rispetto nei suoi confronti, così come spesso ingenera disagio nei confronti delle tradizioni culturali diverse da quelle a cui si è abituati e quindi aggressività per chi le ha prodotte. Saper fruire dei beni culturali invece permette in primo luogo di sviluppare il senso di appartenenza di sè a una cultura: radici parentali, 30 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier linguistiche, territoriali, religiose che ci caratterizzano, ma rispetto alle quali nel corso della vita abbiamo anche la libertà di realizzare nuove scelte per riplasmare in modo creativo l’identità culturale di cui facciamo parte. Contro il modello statico di cultura elaborato dagli antropologi dell’800, oggi sappiamo invece che l’identità culturale ha aspetti di dinamismo, permeabilità, storicità. In secondo luogo conoscere i prodotti della propria cultura stimola la presa di coscienza dei diritti e doveri che abbiamo rispetto ad essi. L’Educazione al patrimonio si intreccia quindi all’Educazione alla cittadinanza, sviluppando responsabilità civile e mettendo in moto atteggiamenti di valorizzazione, tutela e conservazione. Ma in questo momento, in cui gli scambi tra i popoli sono sempre più importanti e più facili, l’Educazione al patrimonio può assumere anche un significato fortemente interculturale. Ogni prodotto culturale, infatti, testimonia le risposte, in parte simili e in parte diverse, che ogni popolo ha dato ai bisogni comuni che l’umanità si trova ad affrontare sul pianeta; racconta la storia del gruppo umano che lo ha prodotto, con le strategie adottate per interagire con il territorio in cui vive e con i secolari processi di incontro, scontro e scambio con i popoli con cui è venuto in contatto. Lavorare sul patrimonio quindi stimola l’interesse per le espressioni culturali degli altri e quindi anche il rispetto per esse, permette di scoprire somiglianze e differenze e costituisce un terreno per il dialogo e lo scambio. L’Educazione al patrimonio invita infatti a realizzare un senso di appartenenza senza la tendenza a esaltare la propria identità e tradizione contro quella di altri, ma per facilitare la relazione e l’incontro. Ma il patrimonio culturale può assumere anche un’altra valenza interculturale, rivolta in questo caso agli adulti stranieri inseriti nel 2 Sui pericoli derivati dall’insistenza sugli aspetti identitari vedi: M. Aime, Eccessi di culture , Einaudi, Torino 2004, A. Maalouf, L’identità, Bompiani, Milano 1999, A. Sen, La democrazia degli altri, Mondadori, Milano 2005, A. Sen, Identità e violenza , Laterza, Roma-Bari, 2006, A. Ghosh, Circostanze incendiarie, Neri Pozza, 2006 StrumentiCres StrumentiCres●● Agosto 2007 In questo senso interculturale l’Educazione al patrimonio viene proposta da associazioni che da anni lavorano per una formazione degli insegnanti attenta alla diversità e alla reazione tra le culture come Clio 92, associazione di insegnanti e ricercatori sulla didattica della storia, che ha elaborato 22 Tesi per l’Educazione al patrimonio, che possono essere lette nel sito www.clio92.it, o come la Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) della Provincia di Milano, che ha dedicato al tema un settore della sua ricerca3 e una parte del suo sito www.ismu. org/patrimonioeinter cultura. Con questo stesso approccio al patrimonio culturale come potente veicolo di formazione e dialogo interculturale stanno cominciando a lavorare diversi musei e archivi che hanno messo in discussione la tradizionale logica espositiva, secondo la quale i prodotti culturali si conservano e basta, per assumere una nuova idea processuale del bene culturale che deve essere capito e agito per diventare occasione di incontro. L’Educazione al patrimonio nella formazione Già nel 1994 l’UNESCO aveva lanciato il progetto “La partecipazione dei giovani alla preservazione e promozione del patrimonio mondiale” per sensibilizzare alla necessità di preservare il patrimonio naturale e culturale dell’umanità e aveva invitato a inserire l’Educazione al patrimonio nei programmi scolastici di tutto il mondo. Questa indicazione è stata ripresa nel 1998 dal Consiglio d’Europa. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ mondo del lavoro e ai loro figli inseriti nella scuola. Far conoscere e rendere accessibili anche a loro i beni culturali del nostro paese significa aiutarli a comprendere la società in cui sono arrivati e quindi a inserirsi in essa in modo migliore. Inoltre conoscere la cultura di un paese aiuta a impararne la lingua con maggior competenza. L’Educazione al patrimonio, quindi, può contrastare e ridurre l’esclusione sociale di persone svantaggiate in quanto mira a favorire pari e ampie possibilità di accesso, partecipazione e rappresentazione sul piano culturale. dossier Anche il ministro Fioroni si è dimostrato sensibile al tema, tanto che nel documento Cultura scuola persona. Verso le indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione del 3 aprile 2007 scrive: “Non dobbiamo dimenticare che fino a tempi assai recenti la scuola ha avuto il compito di formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea. Oggi, invece, può porsi il compito più ampio di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente. La finalità è una cittadinanza che certo permane coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazionale, ma che può essere alimentata da una varietà di espressioni ed esperienze personali molto più ricca che in passato. Per educare a questa cittadinanza unitaria e plurale ad un tempo, una via privilegiata è proprio la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni e memorie nazionali: non si possono realizzare appieno le possibilità del presente senza una profonda memoria e condivisione delle radici storiche. A tal fine sarà indispensabile una piena valorizzazione dei beni culturali presenti sul territorio nazionale, proprio per arricchire l’esperienza quotidiana dello studente con culture materiali, espressioni artistiche, idee, valori che sono il lascito vitale di altri tempi e di altri luoghi. La nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo.” Il Cres da anni sta realizzando esperienze di formazione nelle scuole che propongono di rivedere il curricolo alla luce delle Nuove Educazioni trasversali. In particolare si suggerisce di utilizzare una grande tematica, che potremmo chiamare “Il mio paese e quello in cui vivo”, come sfondo integratore e filo conduttore tra Unità di apprendimento che nel corso della progettazione in verticale permettono a studenti, italiani e stranieri, di studiare la realtà in cui sono inseriti e di riflettere sulle somiglianze e le differenze tra questa e quella di altri paesi che sono carichi di valenze affettive perché collegati alle proprie origini o a quelle dei compagni. Alcuni esempi di percorsi Un obelisco fa parte dell’ambiente quotidiano in cui vivono i ragazzi di San Fermo della Battaglia in provincia di Como, tanto che neanche ci badano. Ricorda la vittoria di Garibaldi sugli Austriaci del 27 maggio 1859. Costruito nel 1873, ha subito trasformazioni in epoca fascista e poi dopo la seconda 3 S. Bodo – S. Cantù – S. Mascheroni, Progettare insieme per un patrimonio interculturale, Quaderni ISMU 1/2007 31 StrumentiCres ● Agosto 2007 MArina 06 ha una risoluzione bassa ed è piccola Uno dei disegni leonardeschi del Montalbano. guerra mondiale, quando è diventato ricordo per i caduti di tutte le guerre. La proposta nell’Istituto Comprensivo di Como Prestino di andare a osservarlo, leggerne le varie parti, riconoscere le diverse versioni negli anni significa ripercorrere la storia italiana di più di un secolo, ma significa anche un’occasione per riflettere sulle ragioni e le modalità con cui un popolo conserva la memoria di parti del proprio passato, mentre altre le censura o le oblia. Significa inoltre parlare di indipendenza, conoscerne il processo in Italia, ma anche in altri paesi e riflettere su come ovunque sia ricordata e ribadita attraverso elementi simbolici (il nome e la storia di un protagonista, una data da festeggiare, un monumento, che possono essere scoperti, studiati e confrontati). In una scuola primaria di Magenta il cibo delle feste è apparso un tema interessante per conoscere la realtà culturale in cui si vive. Permette di ragionare sulla ritualità ciclica della festa e sulle sue motivazioni (religiose, civili, locali, familiari, personali ecc.), di scoprire lo stretto legame del cibo festivo con le caratteristiche climatiche, 32 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier geografiche e storiche del posto, di riflettere sulla festa come occasione di comportamenti alimentari eccezionali e addirittura eccessivi, di leggere il significato simbolico del cibo, di vedere come la società del benessere e i mass media ne hanno stravolto il senso. E tutte queste riflessioni sono sicuramente rafforzate se si confrontano le tradizioni alimentari legate alla festa del posto in cui si vive con quelle di altri paesi, trovando somiglianze e differenze. In un plesso del circolo didattico di Vinci la quarta è andata alla scoperta del Montalbano, il territorio in cui vivono. Ne hanno visto le caratteristiche naturali e antropiche, le attività produttive attuali, le tracce del ricco passato storico. Hanno scoperto con emozione che i disegni delle colline, dei castelli, degli uccelli fatti da Leonardo coincidevano con quello che loro stessi avevano potuto osservare e fotografare nella zona e hanno capito che la formazione culturale del loro illustre antenato era strettamente connessa alle osservazioni fatte proprio nella zona del Montalbano. Solo dopo questo lavoro di ricerca hanno riconosciuto che i diversi punti strategici della zona si potevano vedere direttamente dalla finestra della loro aula, e che quel paesaggio coincideva con un disegno di Leonardo. Scrivono le maestre nella relazione del loro lavoro: “Noi insegnanti ci siamo stupite di non essercene mai accorte. Per tanti anni eravamo passate per quei luoghi con l’automobile e alcune volte vi ci eravamo soffermate in occasione di feste e sagre; per tanti anni avevamo osservato quel paesaggio dalla finestra di quest’aula e non avevamo mai associato quei luoghi al loro nome”. La nuova conoscenza accresce la comprensione e questa a sua volta mette in moto un coinvolgimento affettivo che accomuna maestre, bambini locali, ma anche i nuovi piccoli abitanti di Vinci arrivati da lontano. Questa scoperta che porta a vedere con occhi nuovi quello che prima era solo un elemento del contesto emerge anche alla conclusione di una ricerca realizzata nel quadro del progetto biennale (2004-2006) “Dalle cave di Candoglia e Ornavasso al Duomo di Milano: storie di marmi”, promosso dall’associazione IRIS (Insegnamento e Ricerca Interdisciplinare di Storia) e dal LANDIS (Laboratorio nazionale per la didattica della storia), con il sostegno della Fondazione Cariplo e della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Al progetto, nato dalla volontà di contribuire alla conoscenza e alla valorizzazione dei legami tra il Duomo di Milano e le cave di Candoglia e Ornavasso nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola, hanno partecipato quattro scuole di Milano, una primaria, una secondaria di primo grado e due secondarie di secondo grado, tra cui il Liceo artistico di Brera, oltre a una secondaria di primo grado di Baveno4 . Al termine del lavoro, tra i diversi risultati ottenuti, uno è emerso non previsto: una nuova consapevolezza con cui guardare il solito Duomo, fatta di conoscenze acquisite e di esperienze realizzate. 4 Il progetto e i suoi risultati possono essere consultati nel sito www. storieinrete.org e nel testo Le vie dei marmi. Il lavoro e l’arte della Fabbrica del Duomo di Milano a cura del Liceo artistico statale di Brera e della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, Legma Grafiche, Lissone 2007 StrumentiCres StrumentiCres●● Agosto 2007 TESTI DI SUPPORTO ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ RUBRICHE dossier Ascoltare altrimenti. Adolescenti stranieri a Milano Claudia Bruni, Franco Angeli, Milano 2007. a cura di Laura Morini Gli spazi di “ascolto psicologico” destinati agli adolescenti, aperti in parecchi istituti superiori, sono diventati, in alcuni casi, gangli vitali del tessuto scolastico, luoghi d’incontro fra insegnanti, psicologi e genitori, depositi di esperienze e storie come quella che segue. “Gli insegnanti di Dimitri, ragazzino albanese, arrivato dalla mamma, già in Italia, durante le elementari, si trovano in una situazione difficile per cui chiedono una consulenza. Questo loro allievo ha una storia in cui emergono molti abbandoni di figure paterne. Con suo padre non ha mai convissuto, ma al paese si era molto attaccato a uno zio materno che ha dovuto lasciare per raggiungere sua madre che viveva qui con un italiano un po’ più anziano. Dimitri sembra legarsi molto a questo signore che il pomeriggio sta a casa con lui e lo aiuta a fare i compiti. La mamma è sempre occupata con il lavoro, molto stanca anche se, chiamata, arriva a scuola e mostra il suo bisogno di essere aiutata. Soprattutto quando, separatasi da quest’uomo, si trova davanti a un grande, per lei incomprensibile e doloroso cambiamento del figlio. Anche gli insegnanti non possono credere a una trasformazione così improvvisa….” Come Dimitri, sempre più spesso, molti ragazzi portano a scuola il loro vissuto emotivo, le loro storie di adolescenti fragili, segnati da troppi cambiamenti, da una precarietà che ne caratterizza la vita quotidiana e ne compromette il successo scolastico. Noi insegnanti dobbiamo misurarci con una difficoltà di comunicazione crescente che rende difficile il dialogo tra generazioni il cui linguaggio e stile di vita tendono a divaricarsi rapidamenStrumentiCres ● Agosto 2007 te, (non dimentichiamo che l’età media dei docenti nel nostro paese supera ormai i cinquant’anni). Ci aspettiamo di incontrare studenti con difficoltà, aspettative, preoccupazioni legate al loro percorso scolastico, siamo pronti a sostenerli nel processo di apprendimento, abbiamo gli strumenti adeguati a rapportarci, da insegnanti, con i nostri allievi; ma talvolta, come nel caso di Dimitri, vorremmo essere affiancati da un “esperto/a” la cui competenza professionale si avvicini maggiormente al mondo emotivo del ragazzo e si integri con la nostra. Delle esperienze condotte nella scuola media inferiore e superiore in diretta collaborazione con gli insegnanti, o più specificamente indirizzate ad “ascoltare” i ragazzi e i loro genitori, ci parla Claudia Bruni nel suo libro Ascoltare altrimenti. Adolescenti stranieri a scuola. Il volume è dedicato in particolare agli incontri con adolescenti stranieri, presenti in numero crescente nella scuola superiore, ragazzi chiamati ad affrontare contemporaneamente il pas- saggio dal luogo simbolico dell’infanzia all’età adulta, ad integrarsi in un nuovo paese e confrontarsi con una nuova cultura. Adolescenti al quadrato, dunque, o giovani impegnati in un doppio percorso di migrazione, a cui vanno offerti supporti e attenzione particolari. Perché, come osserva l’autrice, ”…i ragazzi stranieri rischiano di lasciar fuori della scuola il loro più profondo mondo emotivo nel tentativo di adeguarsi, adattarsi e integrarsi. A volte sono addirittura i migliori, in alcune materie, soprattutto le ragazze, anche se gli insegnanti più attenti mostrano preoccupazione per certe loro tristezze, silenzi, visi imperscrutabili. Per molti adolescenti è difficile affrontare il dolore mentale, la frustrazione, il senso di responsabilità necessari per accedere al ruolo di studente, un ruolo sociale che li fa procedere nei loro compiti evolutivi. Per quelli stranieri talvolta indossare questi panni è quasi un obbligo anche per una loro riconoscenza, un bisogno di restituzione delle fatiche e dei costi della migrazione.” (pag18) Se le storie di questi adolescenti costituiscono la trama narrativa del libro, l’ordito è rappresentato dall’analisi dei casi, dalle riflessioni della psicologa che, nell’illustrare il proprio metodo di lavoro, mette a nudo anche le emozioni, i criteri scientifici e le risorse di sensibilità personale che le consentono di interagire positivamente con tante persone diverse. Non casualmente il volume è pubblicato nella collana, edita da Franco Angeli, Adolescenza, educazione e affetti, diretta da G. Pietropolli Charmet: si tratta di un interessante testo di facile lettura che presenta un’ampia gamma di storie con cui confrontarsi, da cui educatori, genitori e insegnanti possono trarre utili spunti di riflessione. È infatti indubbio che, senza eccedere nello “psicologismo”, anche gli insegnanti devono oggi accrescere le proprie capacità di ascolto, acquisire maggiore attitudine al decentramento e consapevolezza della relatività del proprio punto di vista (personale e culturale) se vogliono costruire una relazione didattica positiva con lo studente. E’ una forma di aggiornamento sul campo non generalizzata, ma praticata in molte scuole in cui diverse figure professionali interagiscono per prevenire o sostenere il disagio scolastico. I temi proposti sono molti e di grande interesse perché sempre legati ad 33 - come rielaborare il trauma migratorio proprio o dei genitori spesso assunto con senso di colpa anche da ragazzi della seconda generazione ? - come rinforzare le relazioni con i genitori messe doppiamente in crisi dall’ingresso nell’adolescenza e dal bisogno di orientarsi in un contesto sociale e culturale nuovo? - come recuperare il rapporto con le proprie radici familiari e culturali senza cadere nella trappola della mitizzazione del mondo dell’infanzia in cui alle soglie dell’adolescenza qualche ragazza/o vorrebbe tornare a rifugiarsi? Le risposte non sono facili ricette precostituite, ma nascono dallo sforzo di combinare l’approfondimento su concetti chiave come quelli di identità, cultura, cittadinanza, integrazione, con l’analisi di atteggiamenti e comportamenti diffusi fra gli educatori. Claudia Bruni riflette creativamente alla luce di teorie, concetti ed esperienze che provengono da diverse fonti italiane ed europee. Spesso gli insegnanti oscillano fra i due poli del senso di impotenza e dell’onnipotenza invasiva, comportamenti ambedue generati dall’ansia, dalla mancanza di momenti di confronto e di lavoro in equipe. Questo agile saggio-racconto invita a mettersi in gioco di fronte alla novità che ogni ragazzo porta con sé, ad accogliere la sfida professionale che l’incontro con nuovi arrivi, suoni e colori comporta. Non mancano, infine, alcune propo○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ esperienze e storie reali; ne segnaliamo alcuni: ste innovative destinate, per così dire, a lubrificare il meccanismo spesso inceppato dei rapporti scuola-famiglia. Ad esempio organizzare gruppi di genitori che si incontrano, con la presenza della psicologa, per confrontarsi, senza celare le diversità di approccio, anche su temi difficili come la morte, la malattia, il rapporto con gli anziani. ”Recentemente alcune inchieste hanno rivelato severi giudizi di badanti e baby sitter straniere nel confronto del nostro modo di relazionarci con i bambini, troppo viziati e poco rispettosi…” perché dunque non proporre ai genitori di ascoltarsi reciprocamente ed aprirsi ad un confronto reale anche su temi caldi, come l’educazione dei figli? Fare della scuola un luogo privilegiato del confronto interculturale, in cui scambio e apprendimento reciproco sono la vera scommessa. LE SECONDE GENERAZIONI FANNO SENTIRE LA LORO VOCE In Italia, secondo il dossier Caritas/Migrantes i figli di immigrati, le seconde generazioni, hanno raggiunto le 585mila presenze, considerando solo i minori nati in Italia o nei Paesi di origine e arrivati bambini nel nostro Paese per ricongiungimento familiare. Alcuni di loro, originari da Africa, Asia e America Latina ma cresciuti per la maggior parte a Roma, hanno creato la Rete G2 – Seconde Generazioni. “Abbiamo creato un gruppo perché non vogliamo più subire passivamente leggi che condizionano le nostre vite senza poter dire la nostra” spiega Mohamed Tailmoun, G2 di nazionalità libica. “Per noi non esiste una legislazione ad hoc, che tenga presente il fatto che siamo cresciuti qui ma dipendiamo dalle stesse normative create per i nostri genitori. E’ come se fossimo appena arrivati in Italia” Come molti ragazzi della loro età amano e padroneggiano i nuovi media quindi per far sentire la loro voce hanno scelto internet: il loro sito ospita parecchi blog tematici dove discutere di piccole difficoltà quotidiane ma anche affrontare i seri problemi di accesso alla cittadinanza italiana. In questo modo hanno potuto venire in contatto tra loro e conoscersi G2 di diverse città italiane che hanno poi sentito l’esigenza di incontrarsi anche fisicamente organizzando a Roma, nel luglio 2006, il loro primo Workshop. Si è trattato di un’intera giornata dedicata allo studio, con l’aiuto di esperti, di quelle parti della legislazione italiana che li toccano più da vicino: il permesso di soggiorno per motivi familiari, che permette di restare legati economicamente alle proprie famiglie solo fino ai 18 anni; il permesso per studio, evidentemente pensato per chi entra in Ita- 34 lia da maggiorenne ma poi, di fatto, molto utilizzato per le seconde generazioni che risente dei tempi limitati di durata; la carta di soggiorno, quasi impossibile da ottenere per chi ha lavori precari; alcuni casi di rifiuto della cittadinanza italiana ai nati in Italia così come i rifiuti, per redditi ritenuti insufficienti, delle richieste di seconde generazioni nate nei Paesi di origine. Dal Workshop è nata la Campagna di accesso alla cittadinanza italiana da parte dei figli degli immigrati. Ma, come spiega la G2 Maya Llaguno Ciani, “per farci sentire non basta la parola: per noi è molto importante trovare le forme migliori per arrivare a un pubblico più vasto”. E così hanno rispolverato il Fotoromanzo. “In questa occasione ci siamo divertiti a posare con autoironia come se fossimo degli attori, rappresentando alcuni episodi comuni delle nostre vite di tutti i giorni – racconta Lucia Ghebreghiorges, una delle protagoniste - Ma abbiamo giocato tenendo sempre ben presente l’obiettivo di G2: quello di sensibilizzare sulla Campagna”. Con lo stesso obiettivo questi vulcanici ragazzi hanno girato due cortometraggi, uno dei quali ha vinto il premio Moustafa Souhir. Le seconde generazioni sono riuscite a smuovere anche il mondo politico: l’assessore capitolino all’università, alle politiche giovanili e alla sicurezza, Jean Leonard Touadì ha partecipato al Workshop di Roma e il Ministero della Solidarietà Sociale ha finanziato otto progetti tagliati sulle loro esigenze in altrettante città. www.secondegenerazioni.it StrumentiCres ● Agosto 2007 Da Madre a Madre Sindiwe Magona, Gorée ed. (1998), 2005 a cura di Shara Ponti Il romanzo, coraggioso e toccante, parte da un fatto di cronaca del 1993: una studentessa americana bianca viene assalita e brutalmente uccisa da un gruppo di giovani neri in una township di Capetown (Sudafrica), dopo avervi riaccompagnato in macchina alcune amiche nere. Si era recata nel Sudafrica grazie a una borsa di studio Fullbright per sostenere moralmente i neri nell’esercizio del voto democratico conquistato per la prima volta nell’agosto 1993. La nazione, liberato Mandela, era emersa dal brutale regime dell’ apartheid, fermato anche grazie all’embargo internazionale. Come spiega la scrittrice, lei stessa di Guguletu1 , in una brevissima prefazione, di solito in tali situazioni è della vittima, del suo ambiente, amicizie e legami familiari che si parla, si vuol sapere. Cosa giusta e legittima. In questo caso, invece, l’autrice opera un ribaltamento “... non c’è forse da imparare qualcosa anche da quell’altro mondo? ...Qual era il mondo degli assassini di Amy Biehl?” A questa domanda cerca di offrire sfondo e senso il romanzo, scritto in prima persona dalla madre del supposto unico (ma così non è stato nei fatti) assassino adolescente, Mxolisi. In un ininterrotto monologo interiore (che a volte sembra prendere le forme del diario, altre di un documento) si rivolge alla madre della ragazza trucidata. Sicuramente non per fare una difesa d’ufficio, ideologica, addurre a scusante le sopraffazioni storiche; né tantomeno intende offrire scuse formali per l’assassinio, al fine di ottenere sconti di pena per il figlio. E’ dalla ricostruzione dell’ultimo giorno di Amy Biehl a Capetown che il racconto parte fino ad arrivare al luogo fatale nella township dove nessun bianco sudafricano metterebbe piede. Lì, da subito, sono incise le radici della violenza nera: nella struttura sociale, nella deprivazione e violenza instillate di generazione in generazione nel quotidiano dei neri. E’ un dialogo sussurrato quello di Mandisa, la voce narrante, un titubante ragionare in libertà, con la vaga idea della presenza dell’altra madre che silenziosamente ascolta (e noi con lei), per comunicare e partecipare il comune, se pur diverso, dolore per le vite spezzate dei figli. E’ un tentativo di stabilire un contatto empatico, per non chiudersi in una sofferenza cieca e sorda, tra due madri così lontane e che nulla sanno l’una dell’altra. Ammantata di delicata pietas e scoramenStrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ NARRATIVA to, l’io narrante cerca le parole che imbastiscono ricordi e riflessioni e compone un quadro non solo per l’altra madre ma anche per sé, per ricostruire un senso, a monte dell’atrocità degli eventi, nel tentativo di capire cosa abbia trasformato il figlio adolescente in un mostro, un assassino. Le righe in corsivo, in prima persona, sono direttamente rivolte alla madre di Amy Biehl ed esordiscono brutalmente “Mio figlio ha ucciso tua figlia”. Non nega né nasconde i fatti. Cerca e invita, così facendo, anche l’altra madre a uscire dalla comprensibile chiusura nel proprio dolore per capire e ricostruire il mondo dei figli. Per lei quel mondo sudafricano nero nel quale la giovane americana bianca aveva deciso di essere e collaborare. Alla prosa in corsivo seguono ricostruzioni cronachistiche degli avvenimenti, brani di ricordi che affiorano in modo disordinato, senza un ordine cronologico. Ricordi del recente passato di Mxolisi piccolo, o il proprio, solo un po’ più in là nel tempo. Poco alla volta appaiono ai nostri occhi il contesto umano, storico e geografico, la continua deprivazione e sopraffazione culturale e umana che hanno portato a tanto odio e violenza in Sudafrica. Contesto geografico incredibile è Guguletu senza infrastrutture, dalle vie senza asfalto, senza nomi, le case poco più che baracche senza acqua. E’ il luogo in cui avviene l’omicidio e in cui vivono solo neri, sradicati dalle loro terre e strappati alle relazioni familiari e amicali tribali e lì costretti, nella assenza di strutture e di possibilità di vita umane, a vivere. “I bianchi vivono nei loro quartieri e si fanno i fatti loro, punto. Noi viviamo qua, lottiamo e ci ammazziamo tra di noi.” L’accavallarsi di ricordi, che incalzano sotto gli occhi di chi vuole sapere e ascol- tare, riportano via via a galla ingiustizie, prevaricazioni, privazioni, angherie, soprusi. Di più generazioni. Danno risposte possibili -senza volerlo fare di propositoai mille perché della violenza e rabbia ancora vive e forti. “..e tua figlia ha pagato per i peccati di tutti quei padri e quelle madri che ... non si sono resi conto che mio figlio aveva una vita degna di essere vissuta.” Ecco che ricostruiamo, come in un atroce puzzle, l’inesistente adolescenza della voce narrante, diventata madre vergine (ironia della sorte?) a tredici anni, con un figlio che le sfila tutti i sogni di studio e di una vita diversa: vede il sogno d’amore, così forte e irresistibile, appassire nella durezza e indifferenza crudele della vita, la vita la precipita nella condizione di nuora, ovvero serva-schiava nel clan del marito, in una animalità bruta senza apparenti vie di uscita. La sorte le strappa le ultime speranze di una vita non dominata dalla ignoranza e dalla miseria, della possibilità di un lavoro decoroso. Quanto affiora è la storia di una donna, emblematica della storia dei neri sudafricani, una storia non scritta nei libri di testo scolastici. Affonda le sue radici nel tempo e affiora attraverso i ricordi strappati dall’oblio dall’atroce evento, vive nelle parole brevi e incisive, ma ammantate di dignità, del nonno Tatankhulu che racconta alla nipote della brutalità sadica, distruttiva e senza apparente ragione delle incursioni poliziesche nella comunità nera. Una comunità dal calore solidale nelle decisioni elaborate e prese insieme da tutta la comunità, nel forte senso dei legami e delle parentele familiari, nei riti per il fidanzamento e nelle elaborate trattative per il matrimonio. Affiora qui la vena di cantastorie di Sindiwe Magona. L’urgenza di comunicare una eredità da lasciare, così come da tradizione, alle generazioni a venire, secondo la tradizione xhosa. Il rimando a una oralità forte allora colora lo scritto, fa emergere il ritmo della parola orale e delle credenze xhosa. E’ un mondo popolato di figure a noi sconosciute come ‘il padre di mezzo’ di una famiglia ben lontana dalla nucleare contemporanea; ma anche di tradizioni crudeli come il totale asservimento delle giovani spose alla famiglia del marito secondo l’ ukuhota (iniziazione), evidenziato nella cancellazione e nuova attribuzione di un nome alla moglie. I ricordi dell’infanzia, delle relazioni familiari e amicali forti e calde contrastano con la violenza diventata la misura delle township (“La violenza è dilagante. E’ diventata routine.”): i neri ne sono gli attori e le vittime, il governo nazionalista propugnatore dell’apartheid ne è all’origine. La brutalità e la mancanza di valori e di rapporti significativi, soprattutto tra i giovani neri, contrastano con i ricordi di un mondo di valori e di relazioni vitali e misurate dal tempo, prima del trasferimento forzato nella township. Non è quindi soltanto la nostalgia a colorare il passato. Questo è segnato dalla potente cesura della violenza con la quale sempre più i neri sono trattati. Ma la capacità di vedere oltre la contingente terrificante brutalità fa sì che lo sguardo si faccia iro- 35 da un anelito al proprio umiliato orgoglio e dignità, un anelito alla libertà di espressione e di movimento, insieme alla valenza e riconoscimento delle proprie radici e alla affermazione del proprio patrimonio culturale. 1 Guguletu è una delle immense, anonime township attorno a Capetown. Non è l’unica: altre sono Langa, Nyanga, Khoyelitsha. Qui decine di migliaia di neri sono stati ammassati a vivere e a patire la politica dell’apartheid del regime boero di estre- LO SCAMBIO tra Parklands College (Capetown, Rsa) e Liceo Berchet (Milano, I) L’incubazione del progetto (nato per una serie di coincidenze che hanno avuto l’incipit e il sostegno del Consolato Generale del Sudafrica di Milano) è durata due anni circa. All’inizio sembrava poco più di una remota possibilità che, solo dopo un incontro de visu a Città del Capo, si è sviluppata in un accordo concreto. Lo scambio si è attuato con la scuola secondaria privata Parklands College. Una prima fase ha visto l’arrivo a Milano di studenti e professori sudafricani. Sono stati ospiti rispettivamente di studenti e professori di una seconda del nostro liceo classico Berchet. Sono arrivati a Milano il 26 aprile 2007 e sono ripartiti il 9 maggio 2007. Il 4 settembre le/gli stessi 19 studenti della futura terza liceo del Berchet si recheranno con i due professori a Capetown. La lingua veicolare utilizzata è ovviamente l’inglese (una delle 12 lingue ufficiali). Il programma che abbiamo potuto offrire alle/agli ospiti sudafricani, grazie a una generosa donazione, è stato molto denso e ricco: una visita di 3 giorni a Roma e Orvietovisite a Venezia e Lago di Como. Durante i giorni feriali, il mattino era dedicato alle lezioni. Alcune erano assembleari (20 studenti noi, 23 loro) in inglese di fisica, scienze, astronomia, dibattiti su film o opere teatrali sul Sudafrica o libri di autori sudafricani già letti, preparazione alle escursioni con cenni storici culturali artistici.. In alternativa, mentre le/i nostri studenti seguivano lezioni curricolari in italiano, le/gli studenti sudafricani, in piccoli gruppi, hanno incontrato le classi della scuola che ne han fatto richiesta. Questo è stato il nostro tentativo di coinvolgere altre classi della scuola nella opportunità di dialogare e confrontarsi in lingua con le/i loro pari provenienti da un mondo così lontano e con una storia di recente evoluzione. Il pomeriggio è stato dedicato a visite della città, visite di chiese e pinacoteche, incontri con personalità pubbliche o istituzionali, lezioni in lingua per esempio sul cielo astrale del nostro emisfero... . Il senso dell’iniziativa è stato quello di offrire un’occasione di incontro a giovani coetanei che vivono in paesi lontani, ma destinati ad avere legami sempre più stretti, e di dare loro la possibilità di porre le basi per una conoscenza reciproca di fondamentale importanza per la formazione dei futuri cittadini europei e del vicino continente africano. Non stupisce quindi che l’evento che ha più colpito e coinvolto le/gli studenti (non solo italiani -Berchet e di alcuni altri licei-, ma anche sudafricani) è stato il convegno che abbiamo organizzato per sabato 28 aprile dal titolo: Pensare all’Africa incontrando il Sudafrica. Sul palco si sono avvicendati e hanno dato il loro contributo di vissuto e conoscenza sia la dr. Nokwe, Console Generale del Sudafrica a Milano, sia il vicepreside del Parklands College dr. Wildschut, sia i docenti universitari che si sono interessati al recente passato del Sudafrica per la sua storia, economia, letteratura, o per le vicende legate al TRC (Truth and Reconciliation Committee, comitati per la verità e riconcilia- 36 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ nico e la lingua assorba il punto di vista e i modi di dire xhosa: “... un poliziotto parla con voce alta e ringhiosa. E’ una voce orribile, terrificante. Ha qualcosa di inumano. E quando lo guardi in faccia, ti accorgi che deve averla rubata ad una rana toro, e ad un bue deve aver preso il collo e gli occhi.” Sindiwe Magona disegna uno spaccato contemporaneo di vita dei coloured sudafricani che precede gli abissi desolanti della township, e che poi sostanzia l’odio per le umiliazioni subite dal bianco predatore, un odio che non si è mai disgiunto ma destra a partire dal 1948. I neri, e in questa zona in particolare gli Xhosa, in seguito a leggi apposite, hanno visto via via le loro terre, i loro animali, i loro alloggi confiscati, abbattuti, rasi al suolo. Intere comunità sono state trasferite e disperse con la forza nelle varie township costruite in tutta fretta attorno alle città, ormai completamente bianche (alle quali l’accesso per lavoro era consentito solo grazie ai pass -appositi documenti di identificazione per coloured recanti il gruppo etnico di appartenenza- da portare sempre con sé pena la prigione o peggio). zione): dr Flores, dr Vivan e dr Pedretti dalle Università di Siena e Milano. Si è vista anche una bellissima intervista sul Sudafrica post-apartheid alla scrittrice premio Nobel per la letteratura Nadine Gordimer. Molto impegnativo organizzativamente il convegno ha dato grande soddisfazione per i riconoscimenti e l’interesse talvolta attonito che trapelava dai volti delle/degli studenti e dei presenti. Dato che la misura di quello che si fa lo si deduce dalle reazioni di chi ne usufruisce, ci è sembrato interessante ascoltare le voci delle/degli studenti del Berchet che sono stati invitati a riflettere, dopo la partenza delle/degli ospiti, su questa esperienza. Questi sono, dalla voce dei ragazzi stessi, i principali temi affiorati: - occasione per svolgere e studiare programmi e contenuti non tradizionali, riconsiderazione del valore della storia e della memoria e del suo insegnamento per il presente. - esperienza linguistica (propria conoscenza e abilità, uso lingua dal vivo) - esperienza di ‘conoscenza’ che ha ‘fatto saltare gli ostacoli’ della differenza (simile/diverso); esperienza della tolleranza e accettazione; piacere della differenza e dello scambio; spostamento dall’illusione di essere ‘il centro del mondo’; spostamento del ‘punto di vista’: rivedere il proprio mondo con gli occhi dell’altro; necessità -per incontrare il nuovo- di ‘fare posto’ non solo concretamente in casa, ma anche mentalmente - orgoglio e apprezzamento del proprio patrimonio culturale e artistico (visita di Roma e Venezia per ‘presentarle’ alle/gli ospiti); sforzo collettivo di farlo apprezzare dallo ‘straniero’; sentirsi di far parte di questo patrimonio, sentire che fa parte delle proprie radici - esperienza di una diversa relazione con le/i compagni di classe e con professori coinvolti in un rapporto meno formale, che si confronta su tanto tempo insieme e obiettivi comuni. Positive scoperte - dubbi sull’apprezzamento delle bellezze artistiche e culturali da parte delle/gli ospiti; si è notata una scarsa curiosità verso la cultura in genere e quella del paese che si visita nella fattispecie, uno scarso interesse a imparare; impressione di poca conoscenza ‘indifferenza’ anche per la loro storia - poco tempo per il confronto con studenti sudafricani sui temi e le problematiche affrontate precedentemente in classe -sarebbe stato utile per capire come sono vissuti in RSA, dal loro punto di vista, di sudafricani e giovani. StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Nuovo planetario italiano Geografi Geografiaa e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa Armando Gnisci (a cura di) Città Aperta Edizioni, Troina (EN) 2006, pp. 537 a cura di Gianluca Bocchinfuso Non deve essere stato semplice per Armando Gnisci, docente di Letteratura comparata all’Università di Roma, curare l’edizione di questa ampia ed esaustiva antologia sulla Letteratura italiana (ed europea) della migrazione, pubblicata con il titolo Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della Letteratura della migrazione in Italia e in Europa. Non è stato semplice perché già quel Planetario del titolo testimonia la vastità dell’argomento, non tanto in termini di pubblicazioni ma di temi che intrecciano persone, lingue, culture, bisogni, storie, tradizioni, migrazioni, linguaggi, incontri, integrazioni, che s’accomunano nella testimonianza dell’arte letteraria. Un lavoro complesso che si muove dentro e attorno ai tanti impliciti del temine migrazione: un vissuto che crea nuove identità, cambia e arricchisce individualmente e collettivamente, definisce nuove strade, plasma nuovi paesi, allarga i continenti. «La mia intenzione scrive Gnisci a proposito dell’immagine del Planetario - è stata quella di disegnare una carta del mondo che seguisse le rotte delle correnti umane che si spostano da tutti i mondi verso la nostra contrada/area euro-occidentale e che si versano nella nostra lingua. Questa corrente di correnti cuce gli oceani (‘l mare porta dovunque’, scrive Conrad nel finale de “La follia di Almayer”) e i continenti, e trapana le frontiere, le popola e le benedice, le trascende e le squaglia. CosÏ facendo, il planetario che diventa possibile descrivere dalla prospettiva di ciascuna contrada/paese europea diventa anche la mondializzazione che ora in essa, e intorno ad essa, si va inscrivendo. La prima mondializzazione italiana fu fatta verso l’esterno dalla emigrazione in tutti i mondi, eccetto l’Asia, dei nostri antenati. Ora ci mondializziamo a casa, tra noi e loro, tra noi e (nuovi) noi, tutti insieme. E operiamo perché in Europa prevalga una coevoluzione virtuosa di culture e bisogni, di creatività e di scambi. Una difficile comunità nuova la cui costruzione sconfigga il triste esito del colonialismo europeo che ha costretto le generazioni dei figli e dei nipoti degli immigrati nella più StrumentiCres ● Agosto 2007 disperata anomia dei luoghi del bando (banlieuses) e ha offerto come unica via di evoluzione l’odio e la ribellione. Noi operiamo per una nuova Europa creola e meticcia, cosparsa di crescenti zone di non inferno, come scriveva Calvino alla fine de ‘Le città invisibili’’(pp. 36-37).» Un’antologia ragionata, ricca di scritture originali, informazioni e critica, che segue due recenti lavori di analisi di alcuni testi e autori di questo canone, differenti tra di loro: quello di Raffaele Taddeo, Letteratura nascente. Letteratura italiana della migrazione. Autori e poetiche, Raccolto Edizioni, Milano 2006 e di Mia Lecomte, Ai confini del verso. Poesia della migrazione in Italia, Le Lettere, Firenze 2006. Di entrambi i libri ci siamo già occupati nelle pagine di Strumenti1 . La complessità dell’argomento e i continui rimandi anche ad altre tradizioni letterarie ha spinto Gnisci e i suoi collaboratori a dividere il volume in tre parti specifiche, precedute da tre saggi introduttivi dello stesso curatore (Scrivere nella migrazione tra due secoli), di Maria Cristina Mauceri (Scrivere ovunque. Diaspore europee e migrazione planetaria), di Franca Sinopoli (La critica sulla letteratura della migrazione in Italia). Il cuore del libro è nella prima parte (Il Planetario) in cui i vari coautori prendono in esame la Letteratura italiana della migrazione legando la produzione letteraria alla provenienza geografica dei vari scrittori, di cui sono forniti anche riferimenti biografici e, appunto, passi antologici delle loro opere. L’operazione di ripartire geografica- mente gli scrittori stranieri in lingua italiana, sin da subito, permette di capire la molteplicità di questo fenomeno culturale e letterario, che sta determinando un mescolamento non solo delle nostre identità, ma anche delle nostre strutture linguistiche e dei contenuti della nostra letteratura. Per capire bene le singole parti di questa sezione - L’Europa venuta dall’Europa di Maria Cristina Mauceri, Maghreb di Amara Lakhous, Africa nera oceanica e lontana di Gianluca Iaconis, Corno d’Africa. L’ex Impero italiano di Ali Mumin Ahad, L’Asia Mediterranea o vicino Oriente di Mia Lecomte, Continenti asiatici e popoli dimenticati di Silvia Camilotti, America latina in Italia di Davide Bregola, L’editoria italiana della letteratura della migrazione di Silvia Camilotti - e per entrare consapevolmente nel cuore di una scrittura a più voci molto interessante e articolata, per chi, docente o semplice appassionato di letteratura, non conosce bene questo canone, è fondamentale avere presente da dove e quando nasce la vocazione narrativa di questi scrittori che oggi rappresentano una voce profonda e interessante della nostra Letteratura di cui Silvia Camilotti, nel suo saggio, fornisce anche i riferimenti editoriali, grandi e piccoli, che purtroppo, come spiega l’autrice, non sempre sono supportati da un progetto culturale specifico sulla Letteratura della migrazione. I migrant writers prima di tutto permettono - a docenti, studenti, intellettuali, semplici appassionati e lettori di analizzare e studiare la Migrazione attraverso la rappresentazione che “l’altro” ha del nostro paese - e non solo - e che inevitabilmente tiene insieme storie individuali, racconti, vicende, situazioni personali, stati d’animo, sensazioni, progetti, paure, sofferenze. Questi autori lasciano le loro terre e le loro famiglie - a causa di guerre, di fame, di povertà, di assenza di diritti, di persecuzioni individuali - e raggiungono la nostra penisola alla ricerca di una “nuova vita”. In questo percorso di avvicinamento e di arrivo nel nostro paese c’è un primo punto importante da analizzare: questi autori scelgono di scrivere liberamente utilizzando la lingua del paese ospitante - anche se inizialmente a quattro mani con la collaborazione di giornalisti italiani - e ciò rappresenta un fenomeno culturale diverso da quello di altri paesi europei, dove esiste già una tradizione consolidata: basti pensare a Tahar Ben Jelloum in Francia e Salman Rushdie in Inghilterra, eredità anche di un passato coloniale lungo e difficile nella storia, rispettivamente, marocchina e indiana. La mancanza, in Ita1 Strumenticres 44, dicembre 2006, pagg.40 e 45 37 Ma quando nasce la volontà degli autori stranieri di raccontare la loro vicenda in Italia? Una data importante - che spinge autori come Pap Khouma, Salah Methnani, Mohamed Bouchane a raccontare e raccontarsi, aprendo di fatto la prima fase di questa Letteratura, quella dell’autobiografia - è un fatto di cronaca nera avvenuto la notte tra il 24 e il 25 agosto del 1989 a Villa Literno, 38 in provincia di Caserta, quando un giovane sudafricano, Jerry Masslo, impiegato nei mesi estivi nella raccolta di pomodori, viene derubato e ucciso. L’episodio di chiara matrice razzista e xenofoba mette per la prima volta l’opinione pubblica di fronte al problema dell’immigrazione. La reazione del momento è anche istintiva ed emozionale: la Rai, il 29 agosto, trasmette in diretta i funerali del ragazzo; il 7 ottobre successivo la città di Roma ospiterà una manifestazione antirazzista con circa duecentomila partecipanti. Si muove anche la politica: il Parlamento nel 1990 approva la Legge Martelli - dal nome dell’allora ministro di grazia e giustizia - che è la prima regolarizzazione degli stranieri in Italia, semplicemente attraverso la constatazione di essere residente nel nostro paese. Non si parla di chiari diritti e non sono messe in campo esplicite politiche di integrazione. Tahar Ben Jelloun, con l’aiuto di Egi Volterrani, scrive un racconto in italiano ispirato alla morte del sudafricano contenuto nella raccolta Dove lo Stato non c’è. Racconti italiani. Ma anche il primo romanzo del senegalese Saidou Moussa Ba, La promessa di Hamadi, (libro che uscirà nel 1991, scritto in collaborazione con Alessandro Micheletti), parte da questo episodio di cronaca e si rivolge soprattutto agli studenti, stimolandoli a conoscere la vita dei senegalesi in Italia, la loro speranza di sopravvivere, i problemi del loro paese di origine, l’obbligo di partire per salvarsi e sperare in un futuro diverso. Pap Kouma. ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ lia, di una significativa storia coloniale - se si fa eccezione per gli scrittori di origine eritrea come Brhan e Ribka Sibhatu, di origine somala come Igiaba Scego e Cristina Ubax Ali Fatah, di origine etiope come Martha Nasibù e Maria Abedu Viarengo - rende originale la nostra situazione, perché l’italiano non è lingua letteraria in nessun altro paese se non in Italia stessa e viene scelto volontariamente. La ricerca di un piano linguistico-letterario per comunicare e farsi capire, diverso da quello di origine, s’intreccia con il tema dell’identità pluriculturale, traducibile proprio in un discorso letterario, in un immaginario letterario. In riferimento a questo, ha scritto Mia Lecomte: «Nella migranza è sempre insita una doppia componente: al dolore del distacco si accompagna spesso la scoperta delle proprie reali potenzialità, e la prigione, reale o figurata, viene a coincidere con il luogo di incontro con il proprio io più profondo, a cui si deve la rinascita di un’energia artistica fino ad allora insospettata. [...] Da qui il problema della scelta della lingua, il desiderio combattuto di staccarsi da quella madre, che è in fondo misura della lontananza. Per lo scrittore, il poeta migrante, la scelta di adottare la lingua del paese di accoglienza è sempre sofferta, ma l’adozione della nuova lingua permette di uscire dall’astrazione, diventa strumento di liberazione. » interessante, a questo proposito, l’intervento di Jean Jacques Marchand nella seconda parte del volume, dal titolo E se il nuovo Planetario Italiano fosse un dittico?, in cui prende in esame il rapporto tra le opere scritte dagli emigrati italiani in tutto il mondo e le opere scritte da immigrati in Italia da tutto il mondo e arriva alla conclusione - che è poi quella dello stesso Gnisci, già espressa nel volume La Letteratura italiana della migrazione del 1998, pubblicato presso Lilith («La Letteratura italiana della migrazione inizia con le migrazioni di intere popolazioni di italiani verso tutto il mondo alla ricerca di lavoro a partire dall’immediato periodo post-unitario e trova il suo completamento nella letteratura scritta dagli immigrati, venuti in Italia da tutto il mondo in cerca di lavoro, a partire dall’ultimo decennio del XX secolo», pag. 79) e ripresa nel Nuovo Planetario Italiano - che vanno tenute insieme e studiate come un unicum letterario complementare e inscindibile (pp. 463472). Il fatto di cronaca di Villa Literno, dunque, fa nascere in Italia la figura dei migrant writers, anche se negli scrittori dell’ultima fase del Novecento, la presa di coscienza dell’importanza storica e antropologica della migrazione, mossa da disagio e miseria, è diventata sempre più decisa e forte. Ricorda nel Nuovo Planetario Italiano Gnisci: «Salman Rushdie - in alcuni saggi raccolti in Imaginary homelands, Patrie immaginarie, pubblicati in Italia per la prima volta nel 1991 da Mondadori scrive l’emigrante è forse la figura centrale o qualificante del XX secolo» (pag. 14). Il processo di immigrazione in Italia non comincia certo nel 1989. Nel nostro paese - come osservano sociologi, antropologi ed economisti - inizia negli anni ’70 quando termina l’emigrazione di massa degli italiani verso l’estero. Sono anni in cui i numeri degli stranieri sono molto bassi e limitati solo ad alcune aree del paese, quelle più produttive del Nord Ovest. Successivamente, il nostro sistema industriale si accorge di loro e avvia una lenta ma graduale fase di decentramento produttivo, spostando la sua ossatura dalla grande industria alla piccola e media impresa. Ed è in questo settore che l’85% degli stranieri regolari italiani trova collocazione con mansioni di operai e simili. Negli ultimi quindici anni, la domanda di lavoratori immigrati ha trovato risposta in specifici settori: 1) la piccola e media impresa; 2) l’edilizia, i servizi turistici e alberghieri; 3) il settore terziario (trasporti, pulizie, manutenzioni); 4) l’assistenza e collaborazione domestica. Ma il lavoro degli immigrati - sia stagionale che continuativo - spesso s’intreccia con fenomeni di sfruttamento e di lavoro in nero, fuori anche da regole contrattuali e legislative, legate purtroppo alla fase iniziale di clandestinità, quella che soffre il ricatto materiale ed umano. In questo panorama, s’inserisce l’esordio letterario dei primi tre autori che vogliono raccontare la loro storia, con la collaborazione di alcuni giornalisti italiani per rendere più fruibile, dal punto di vista della forma e della struttura linguistica, il contenuto rigorosamente autobiografico. Siamo nel 1990, con due libri: Pap Khouma, Io venditore di elefanti , oggi ripubblicato da Baldini e Castoldi Dalai (scritto in collaborazione con Oreste Pivetta) e Salah Methnani, Immigrato, scritto con Mario Fortunato, oggi riedito da Bompiani. Seguirà nel 1991 Chiamatemi AlÏ di Mohamed Bouchane. Questo è solo il quadro iniziale per capire bene come nasce questa letteratura in prosa e poesia che, dal 1990-1991 in poi, si sviluppa in maniera progressiva fino a raggiungere il canone letterario maturo di cui oggi si parla e che in questo volume di Gnisci trova la giusta collocazione e spiegazione, non solo StrumentiCres ● Agosto 2007 tura della migrazione in Germania di Immacolata Amodeo, Margine al centro. L’internazionalizzazione della letteratura inglese contemporanea di Luisa Carrer, Francofonia in esilio. In Francia di Pierangela Di Lucchio e il già citato E se il Nuovo Planetario Italiano fosse un dittico? di Jean Jacques Marchand che funge da cornice - è importante perché inserisce il piano italiano letteratura-migrazione all’interno di un orizzonte più ampio ed europeo, per definire momenti comuni e tracciare possibili piste unitarie di sviluppo e di approfondimento. L’ottica unitaria che muove Gnisci l’ha spinto ad inserire una terza (e ampliabile) parte - Cinema, teatro e musica, con interventi di Angela Gregorini, Ad occhi aperti. Visioni e ascolti del nuovo cinema documentario italiano; di Marie Josè Hoyet, Voci afroitaliane in scena. Per una prima rico- NOVITÀ DEL CRES ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dal punto di vista critico, ma anche divulgativo perché Nuovo planetario Italiano, come recita giustamente la quarta di copertina, «si propone come punto di riferimento attento a tutto il mondo, per chi vuole saperne di più della cultura italiana e creola». L’approccio interculturale e ampio di Gnisci e dei suoi coautori permette di entrare nella complessità di forma e contenuto di questi scrittori e mette anche a nudo e compara molti aspetti sociologici, culturali e antropologici del nostro paese con quelli di altre importanti nazioni europee. Su questo punto verte la seconda parte del volume, La Letteratura della migrazione nell’Europa occidentale, che, pur con tempi, storie e anche in parte contenuti differenti, tiene insieme la recente esperienza italiana con quella consolidata di paesi come Francia, Inghilterra e Germania. Questa seconda parte - Lettera- Perché l’Europa ha conquistato il mondo? Massimiliano Lepratti, EMI, Collana Crescendo, 2006 a cura di Elena La Rocca Agile, schematico nel senso positivo del termine, il lavoro si propone di rispondere ad alcune domande e di confutare alcuni luoghi comuni. Come dice l’autore stesso “Questo testo nasce dal desiderio di fornire uno strumento di analisi a chi si pone il dubbio che l’attuale situazione di enorme squilibrio tra il Nord e il Sud del mondo non sia né giusta, né naturale, né superabile con le virtù del capitalismo” (p.7) Troppo spesso, soprattutto ai “non addetti ai lavori” sembra che l’Europa abbia conquistato il mondo per una qual sua intrinseca superiorità, per una specificità irripetibile. In effetti l’intreccio delle circostanze e delle cause che hanno portato alla situazione attuale è molto complesso, si tratta di “un insieme di circostanze che hanno legato in modo biunivoco l’espansione del vecchio continente alla nascita del capitalismo e al suo evolversi come sistema mondiale” (p.7) Proprio quest’insieme di circostanze il testo esamina in modo organico e ben strutturato; prima di tutto divide il processo espansivo in tre fasi fondamentali: StrumentiCres ● Agosto 2007 l’espansione iniziale dal 1415 al 1521 (affermazione dei Portoghesi in Africa, conquista del Messico e delle Filippine da parte degli Spagnoli), una seconda fase di consolidamento territoriale che prosegue fino a metà del 1700 ed una terza fase di colonizzazione capitalista. Fatta questa distinzione analizza i vari fattori che si sono intrecciati tra loro per cui colonialismo, rivoluzione industriale, capitalismo appaiono fenomeni collegati, che si gnizione; di Sonia Sabelli, Vibrazioni da altrove: un’inchiesta sulla musica dei migranti in Italia - che serve proprio a sottolineare l’interculturalità di questo planetario che tocca diverse forme espressive e diversi linguaggi in cammino e in crescita. Tutti concorrono - nella loro molteplicità - a capire in che direzione si sta muovendo il nostro paese, a quale tradizione si lega e quali strade nuove traccia, per continuare a leggere e capire una realtà in continua definizione e crescita, non più comprensibile in termini nazionali e unitari, ma solo dentro orizzonti planetari, multiculturali e creoli. Basti, per capirci, l’affermazione di Geneviève Makaping, giornalista e docente di antropologia culturale e sociologia all’Università della Calabria, che si definisce semplicemente «donna, africana, camerunese, bamiléké, italiana, calabrese» (pag. 215). possono spiegare molto meglio guardando il sistema mondo, piuttosto che la sola Europa. L’analisi viene condotta alla luce di quattro domande che costituiscono il filo conduttore del saggio: “1) Perché l’Europa ha bisogno di conquistare altri continenti? 2) Perché riesce nel suo intento? 3) Perché la sua espansione da congiunturale diviene strutturale? 4) Perché la democrazia moderna nasce in Occidente? “ (p.12) Nel complesso il testo risponde in modo coerente alle domande che si era proposto come obiettivo da raggiungere e traccia da seguire, ma soprattutto illustra bene i legami tra i vari fenomeni che troppo spesso tendiamo a considerare indipendenti uno dall’altro. Per esempio il testo analizza come la rivoluzione industriale ed il capitalismo siano stati favoriti da due processi internazionali: 1) l’arrivo nel vecchio continente di una grande ricchezza carpita all’America Latina (metalli e prodotti agricoli di lusso) e 2) la conquista del grandissimo mercato dell’Oceano Indiano (p.33) ed il ruolo che in questo processo ha svolto suo malgrado l’Africa che “ha dovuto fornire la forza lavoro affinchè lo sfruttamento delle miniere e delle piantagioni americane fosse possibile…” (p.38) Europa/America/Oceano Indiano/ Africa, come dicevo, il discorso si sforza sempre di muoversi tenendo conto della complessità del “sistema mondo” e volta per volta dichiara chiaramente la tesi sostenuta. Nel caso specifico “La tesi che viene qui presentata attribuisce alla colonizzazione dell’America l’accelerazione nell’espansione degli elementi protocapitalisti già presenti in Europa.” (p.35) Questa caratteristica di esplicitare la tesi accompagna tutto il libro, e mi sembra costituisca un elemento di chiarezza per il lettore; fin dall’inizio infatti l’autore prende chiaramente posizione: “L’idea 39 miei bisogni di lusso” (p.39) “Mutando i nomi dei colonizzatori, dei colonizzati e dei prodotti in questione ….si ottiene un modello per la lettura di quasi tutte le vicende” (ibidem) Dal colonialismo al neocolonialismo, dal passato al presente il testo sfocia naturalmente nell’analisi della situazione contemporanea, di cui offre un quadro d’insieme chiaro e sintetico. Più sfocato rimane il discorso sulla democrazia (parte quarta: perché la democrazia moderna nasce in Occidente?): dalla storia politico/economica si passa infatti alla storia della cultura ed il discorso diventa troppo ampio, per essere chiari “mette troppa carne al fuoco”. Per esempio propone una nuova periodizzazione che si concretizza in un lungo medioevo che andrebbe dall’età ellenistica alla scoperta dell’America. Una proposta di questo genere meriterebbe da sola un trattato che la illustri e giustifichi, poche righe Il cinema per educare all’intercultura Marina Medi, EMI, Collana Crescendo, 2007 a cura di Rita Di Gregorio A fronte della pervasività di una cultura mediatica, anche nella scuola italiana si è abbastanza diffuso, con esiti non sempre condivisi, il dibattito/riflessione sull’uso del cinema nella didattica e sulle potenzialità e i limiti dello strumento filmico per affrontare le varie educazioni trasversali/interdisciplinari inerenti a problematiche ritenute rilevanti in questo particolare momento per la formazione degli studenti. Il filone ricorrente di Educazione all’informazione e ai media si pone trasversalmente tra l’educazione linguistica, all’immagine, interculturale e alcune discipline geo-storico-sociali e scientifiche. Secondo l’autrice, il cinema costituisce uno strumento molto valido nel processo formativo, una importante opportunità didattica per lo studio dei problemi del nostro tempo e, in particolare, uno strumento privilegiato nell’Educazione all’informazione, ai media, all’intercultura e alle altre Educazioni trasversali, a condizione che si seguano le opportune cautele metodologiche. “L’uso che si può fare del cinema nelle scuole – scrive Medi – è molto vario e in genere valido, purché soddisfi alla condizione di essere inserito all’interno di una progettazione didattica.” Il cinema, oltre che essere utilizzato 40 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dell’autore è dichiarata in ogni capitolo: lo squilibrio tra il Nord e il Sud del mondo è il frutto di un processo storico in cui l’Europa ha svolto un ruolo particolarissimo, ma non tanto perché recasse in sé il segno di un grande progetto divino o umano, quanto per un insieme di circostanze che hanno legato in modo biunivoco l’espansione del vecchio continente alla nascita del capitalismo e al suo evolversi come sistema mondiale.” (p.7) Forse una tale chiarezza esalta l’aspetto divulgativo del testo a scapito di quello saggistico, ma rimane una caratteristica positiva che rende il lavoro più facilmente fruibile. Il discorso affronta poi un’analisi del colonialismo e delle sue fasi, intrecciate naturalmente con i fenomeni toccati in precedenza e ne definisce l’ipotesi economica di fondo: “tu colonizzato produrrai prioritariamente non ciò che serve ai tuoi bisogni essenziali …ma ciò che serve ai come strumento rispetto ad altri contenuti, può divenire esso stesso oggetto di riflessione o contenuto di percorsi didattici di insegnamento/apprendimento del cinema; attraverso la pratica della riflessione collettiva, si può esercitare il senso critico per sfuggire alla massificazione che è in atto. Può risultare un esercizio utile e fecondo guidare gli studenti ad analizzare contenuti e linguaggi (immagini, musica, …) che un film usa, il senso che produce, la comprensione del suo significato manifesto o sotteso, la molteplicità delle sue letture, il modo in cui ciascuno di noi interagisce con il cinema e la consapevolezza che un film, una fiction, e persino un documentario, non sono la realtà, ma rappresentazione/interpre- non bastano. Se invece tale periodizzazione è già stata proposta e giustificata da altri bisognerebbe fare riferimento a questi ultimi citandone i testi. In questa sezione il tentativo di dare un quadro d’insieme che tenga conto del “sistema mondo” pur essendo lodevole ed interessante rimane un po’ debole, anche perché finisce con lo spaziare dalla religione alla linguistica, dall’economia alla filosofia ed è difficile controllare una materia così ampia. Nonostante questi limiti il lavoro nel complesso è interessante e fruibile anche come strumento didattico sia per quanto riguarda la situazione attuale, sia per quanto riguarda le interrelazioni e le influenze reciproche, che giustamente ci ricordano come la civiltà europea non sia fiorita nel nulla, oasi nel deserto, ma si sia sviluppata nel contatto e nello scambio e purtroppo anche nello sfruttamento. tazione della realtà. E’ comunque opportuno evitare la tentazione tecnicistica delle osservazioni dettagliate/ classificatorie per non smarrire il senso dell’unitarietà del film in quanto prodotto artistico. L’educazione all’informazione e ai media deve essere inserita nella progettazione curricolare verticale come un filone ricorrente per finalità e temi che dovranno essere diversificati e opportunamente adeguati all’età degli studenti. Non si può infatti esaurire il compito di riflettere sui diversi ambiti tematici, proponendo, in modo occasionale e sporadico, percorsi di insegnamento/ apprendimento che utilizzino un film o parlino di pubblicità. Così come avviene per l’apprendimento della lingua parlata e scritta, anche per il linguaggio audiovisivoinformatico il lavoro didattico deve iniziare presto e proseguire in modo sistematico e graduale nell’arco temporale del percorso scolastico. Nella scuola primaria, oltre ai primi approcci con l’informatica deve essere prevista una riflessione su cinema e televisione come momento di alfabetizzazione linguistica, ma anche audiovisiva. Marina Medi ha al suo attivo una consolidata esperienza di corsi di formazione rivolti a insegnanti e studenti; è formatrice CRES (Centro Ricerca Educazione allo Sviluppo) e fa parte di IRIS, un’Associazione di insegnanti di storia che da anni realizza ricerche didattiche e proposte formative sulla storia con un taglio interdisciplinare. In questo testo propone piste metodologiche e nuclei tematici gravitanti fra cinema, storia, intercultura, educazione alla cittadinanza; presenta percorsi didattici e formativi già sperimentati che possono servire da stimolo agli insegnanti – di storia, lingue e letterature italiane e straniere, linguaggi non StrumentiCres ● Agosto 2007 INDICE: Leggere il mondo e i suoi problemi attraverso il cinema L’educazione ai media: un progetto indispensabile per una formazione democratica. Proposte ed esperienze Immagini delle guerre del Novecento nella cinematografia statunitense e italiana. Un laboratorio di quattro incontri per le classi quinte dell’ITIS Molinari di Milano. Appendice Insegnare con il cinema: considerazioni di una formatrice del CRES. Intervista a una formatrice del COE. StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ verbali - per realizzare percorsi di ricerca, in modo autonomo e adeguato alla particolare situazione delle loro classi e agli strumenti/energie disponibili. Il testo propone alcune riflessioni metodologiche didattiche per un uso critico e fecondo dei media nello studio dei principali problemi di attualità; presenta in modo piano e esauriente modalità e fasi d’intervento di percorsi educativi; è articolato e complesso, così come esige la molteplicità/trasversalità delle tematiche affrontate, riuscendo comunque a mantenere fluidità di linguaggio e rigore espositivo. E’ corredato da un’ampia bibliografia e da una sitografia. Di particolare interesse e gradimento, almeno per chi scrive, risulta essere il blocco centrale del libro: “Proposte ed esperienze” che, oltre a piste di lavoro e possibili percorsi, presenta una nutrita selezione di film della produzione occidentale del Novecento relativi a problematiche molto diverse, ma collegate alle migrazioni internazionali (incontro/scontro con la diversità, interculturalità, frontiere ecc…). Per ogni film è presente una scheda, completa di sinossi, breve commento, piste di lavoro, indicazioni tecniche e storico-contestuali; schede che, nel loro insieme, costituiscono quasi una mini storia del cinema occidentale del secolo scorso. CINEMA E TEATRO Media e terrorismo nei paesi arabi a cura di Rita Di Gregorio Il 17° Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina che si è tenuto a Milano dal 19 al 25 marzo, ha dedicato quest’anno una sezione speciale, e una tavola rotonda, alla rappresentazione del terrorismo sugli schermi arabi, presentando non solo film ma anche produzioni televisive come le “musalsalat”, che esprimono il punto di vista di autori mediorientali e nordafricani sulle tematiche connesse al terrorismo, sulle conseguenze che questo fenomeno ha sulle società arabe, sulla relazione tra Islam e Occidente. I nostri media ci hanno abituati a riflessioni sull’impatto che il terrorismo, soprattutto a partire dall’11 settembre 2001, ha sulle nostre società, mentre ignorano l’aspetto spesso destabilizzante che esso ha sui paesi del Nordafrica e del Medio oriente. Nel novembre 1996 lo stato del Qatar lancia al Jazeera, prima rete televisiva araba, il cui motto è “l’opinione e l’opinione contraria”. Ben presto acquista una reputazione mondiale non scevra da numerose polemiche. Accusata da parte araba di essere filoamericana (soprattutto dopo l’11 settembre) perché alcuni suoi programmi userebbero toni non troppo indulgenti nei riguardi capi di stato arabi, o perché darebbe troppa visibilità alle opposizioni dei regimi in carica, dalla stampa occidentale è accusata invece di essere portavoce di Bin Laden e del terrorismo. La nascita di al Jazeera – sostiene Donatella Della Ratta1 - ha avuto ricadute straordinarie sul mondo arabo dell’informazione ed ha generato una spinta decisiva verso la creazione di un mercato televisivo regionale delle news. Per capire al Jazeera occorre dunque vedere anche lo sfondo, il contesto in cui opera la rete, le finalità che si prefigge. L’errore che spesso viene fatto è quello di vedere questa rete come un momento di rottura nella storia dei media arabi mentre – a suo parere – rappresenta il momento di definitiva maturazione del sistema mediale regionale. Sicuramente al Jazeera ha inaugurato un modo nuovo di fare informazione “all’araba” in grado di competere su scenari internazionali, fatto straordinario se si pensa che la televisione globale è storicamente presidiata da network di lingua inglese. Sbaglia l’Occidente a concentrarsi unicamente su Al Jazeera2 , che rappresenta solo una piccolissima fetta di una torta televisiva ben più grande. Sono infatti oltre 300 i canali televisivi del mondo arabo con moltissimi programmi, tra cui le “musalsalat” che affrontano argomenti di attualità come il terrorismo. I prodotti di intrattenimento, le fiction – racconta il regista siriano Najdat Ismaïl Anzour – esercitano un’influenza nella vita quotidiana delle persone, nel modo di vestirsi, nel modo di porsi, nella rottura di alcuni tabù. Proprio per questo sono forse quelli che danno più il polso della situazione, illustrano meglio quello che sta accadendo nei paesi arabi. Le tv più seguite, che fanno i maggiori ascolti e che guadagnano anche più soldi in termini pubblicitari, sono due tv libanesi e una saudita con base a Dubai. Le “musalsalat” sono un importante elemento della cultura popolare, che non va snobbato e archiviato come cultura trash – sostiene Della Ratta -. E’ vero che sono un po’ manichee ma la modalità narrativa della soap opera è quella di costruire i personaggi in bian1 Donatella Della Ratta è una giornalista che si occupa di media arabi, ha ricevuto il premio Ilaria Alpi 2000 quale migliore autore televisivo under 30. Ha pubblicato Primo piano su Al Jazeera e Al Jazeera. Media e società arabe nel nuovo millennio, Bruno Mondatori 2005. Ha partecipato alla Tavola rotonda del Festival. 2 In occidente ci si concentra sui comunicati di bin Laden senza guardare l’insieme del suo palinsesto 41 42 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ co e nero, di contrapporre il bene al male, questa non è una caratteristica esclusiva del mondo arabo. La “musalsalat” è un genere televisivo nato in Egitto agli albori della tv egiziana, fortemente voluto da Nasser che aveva una sua strategia lungimirante. La “musalsalat” è simile alla nostra soap opera ma non del tutto uguale. Nelle nostre, tipo Beautiful, la centralità è dell’intreccio amoroso, della love story, mentre le prime “musalsalat” nascono anche con lo scopo di inserire la love story in un tessuto narrativo in cui l’elemento sociale e storico fosse molto presente. C’erano quindi opere che parlavano di capolavori della letteratura araba come Le Mille e una notte oppure parlavano della lotta al colonialismo, o di eventi storici molto importanti. Nasser finanziò queste opere proprio per aiutare a costruire, attraverso la fiction televisiva, l’identità egiziana. Queste opere vennero in un primo momento distribuite gratuitamente poi a pagamento a tutte le altre tv arabe. Con la firma degli accordi di Camp David con Israele da parte di Sadat avviene una svolta: l’Egitto viene cacciato dalla Lega araba e tutti i prodotti egiziani sono boicottati. Grazie al petrolio, l’Arabia Saudita acquista centralità economica e politica e poiché le musalsalat non potevano più uscire col marchio egiziano cominciano ad essere prodotte dall’Arabia con le sue regole (spesso islamizzate per cui non potevano comparire nella stessa scena un attore e un attrice che non fossero sposati) ma con mezzi egiziani. Così l’Arabia Saudita ha finito per snaturare il cinema egiziano. Oggi siamo in un’altra fase perché l’Arabia Saudita non solo ha i capitali e i mezzi di produzione ma ha anche i mezzi di distribuzione per cui attualmente le tv più seguite sono di proprietà saudita o controllate da essa. La maggior parte delle cose che passano sugli schermi dei paesi arabi sono quindi controllate dall’Arabia Saudita e poiché si sa che la tv non è un media neutro, vedere le trasmissioni, soprattutto quelle trasmesse durante il Ramadan, vuol dire capire quello che gli stati arabi vogliono. Inoltre va aggiunto che per contrastare al Jazeera, che dava fastidio al regime saudita, è stata creata al Arabia, nella speranza di sottrarre spettatori interessati all’informazione su Jazeera. Bisogna però anche dire che l’Arabia Saudita ha un atteggiamento ambivalente o contraddittorio, ha una strategia ambigua perché da un lato finanzia (attraverso alcuni magnati, spesso vicino alla casa reale, soci di Murdoch e Berlusconi) un gruppo di canali televisivi che producono videoclip molto ammiccanti, molto sexy, assolutamente simili a quelli fatti in occidente, allo stesso tempo finanzia canali di intrattenimento, che preparano prodotti si- mili a quelli delle nostre tv come ad esempio i reality show, ma nel paese non ci sono sale cinematografiche. Per capire l’ambiguità saudita va anche ricordato che negli anni ’90 nel paese erano proibite le parabole ma contemporaneamente l’Arabia possedeva tre network che facevano televisione satellitare. Najdat Ismaïl Anzour, regista di due serial televisivi3 racconta che dal 1995 al 2006 le “musalsalat” più seguite nel mondo arabo sono state quelle siriane. Dopo 40 anni di colonizzazione del dialetto egiziano4 le produzioni siriane erano riuscite a penetrare con successo in altri paesi arabi compreso il Maghreb, ora invece l’Arabia Saudita sta cercando di ostacolare la produzione siriana proponendo contratti che obbligano gli autori siriani a recitare nel dialetto egiziano. Ne è una prova quanto è capitato al regista stesso, che sta girando una nuova “musalsalat” intitolata Il tetto del mondo (una storia che tratta delle vignette satiriche danesi) che si è visto proporre da altri canali televisivi5 , come condizione per il preacquisto, di cambiare l’identità del protagonista da siriano a egiziano. La strategia – sostiene Aznour - è quella di cancellare l’identità siriana. La condanna del terrorismo, contrario ai valori dell’Islam, è netta così come è netta la denuncia del pregiudizio occidentale che considera tutti i musulmani potenziali terroristi o affibbia l’etichetta di terroristi anche a gruppi di resistenza armata. La protagonista della “musalsalat” Al Mariqoun (Gli ipocriti) è Yasmine, una ragazza siriana cresciuta in Gran Bretagna che viene accusata ingiustamente per gli attentati di Londra del 7 luglio 2005. Alla fine l’accusa cade ma intanto “gli ipocriti” hanno assassinato anche suo figlio in nome di Allah. Le “musalsalat” – dice Najdat Anzour – si rivolgono non tanto a quelli che hanno già fatto la loro scelta, ma agli incerti, quelli che oscillano tra moderazione e integralismo, cercando di convincerli a ripudiare la violenza in nome dell’Islam. Si è constatato che dopo campagne mediatiche come le “musalsalat“, il numero degli atti terroristici si è notevolmente ridotto, se si esclude l’Iraq. Dopo il successo della serie Al Hour Al Ayn (Le vergini del paradiso), sull’attentato di Ryad del 2003 che ha causato la morte di 17 persone, il cast è stato minacciato di morte. La fiction voleva denunciare chi usa la fede per giustificare il terrorismo ma è stata accusata di ridicolizzare la religione. Non tutte le “musalsalat” sono dello stesso livello qualitativo, quelle tunisine – sostiene – Nouri Bouzid – sono di cattiva qualità. Il problema è che in Tunisia la tv è statale e non vuole che si affrontino certi argomenti, ma il pubblico tunisino apprezza molto le “musalsalat” siriane, anche se il dialetto è diverso si sforza di capirlo. Piacciono perché parlano dell’integralismo religioso con maggiore libertà dei telegiornali, controllati dai governi – sostiene Nouri Bouzid regista tunisino di Making of, film che ha vinto il Tanit d’oro alle Giornate cinematografiche di Cartagine nell’ottobre 2006, e ha ricevuto un importante riconoscimento anche al Festival di Milano. Capofila del nuovo cinema tunisino6 Nouri Bouzid con i suoi film si è battuto e si batte contro i tabù e il non detto della società araba contemporanea. Making of è la storia di Bahta, giovane ventenne, che con i suoi amici improvvisa gare di danza nella strada. Sorpresi dalla polizia mentre riempiono di graffiti un sottopasso, vengono rilasciati grazie a un cugino poliziotto di Bahta. Bocciato alla maturità, in lotta con il 3 di questo regista il Festival ha proposto alcuni episodi di Al Hour Al Ayn e di Al Mariqoun che attraverso storie normali di famiglie mediorientali raccontano l’impatto devastante del terrorismo sulle loro vite. 4 un film o prodotto televisivo egiziano – dice Mohamed Challouf moderatore della Tavola rotonda – va in tutti i paesi arabi mentre un film tunisino non esce dalla Tunisia perché il dialetto tunisino non è capito dagli altri 5 che hanno dei rapporti con l’Arabia Saudita 6 La forza del cinema di Bouzid – ha dichiarato Tahar Chikhaoui dell’Università di Tunisi nel corso della Tavola rotonda tenutasi all’Accademia di Francia a Roma l’8 aprile 2006 – consiste nel suo saper essere molto popolare, ancorato al sociale, nel suo saper parlare la lingua del popolo senza rinunciare ad essere poetico, segnando una svolta nel rapporto del cinema tunisino con il suo pubblico. Un cinema sempre attento al presente anche quando parla del passato, un cinema che ha contribuito a una riconquista della propria immagine da parte del cinema arabo, porta lo spettatore arabo a guardarsi allo specchio. StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ padre, il giovane è insofferente e sogna di partire. Tenta di rubare dei soldi al nonno ma viene scoperto dal padre che lo punisce. Sempre più deluso e insoddisfatto, caduta anche l’illusione di poter partire (lo scoppio della guerra in Iraq rende le coste più sorvegliate) Bahta viene avvicinato da due integralisti che si offrono di aiutarlo. Lo conducono da Abdou, un artigiano che scolpisce le pietre tombali, che lo accoglie come apprendista e gli impone regole cui Bahta non è abituato. Abdou sfrutta il bisogno di fierezza di Bahta facendo l’apologia dell’Islam di fronte alla decadenza dell’Occidente, gli parla delle umiliazioni che i musulmani devono subire quotidianamente. Bahta, insofferente a ogni potere, si ribella ma si ribella anche l’attore che lo impersona. E’ la prima delle tre interruzioni del film. La narrazione viene interrotta a tre riprese per mettere in scena la rivolta dell’attore principale contro il ruolo che il regista vuol fargli interpretare, per farci vedere ciò che accade dietro le quinte (making of). L’attore che chiede al regista dove lo sta conducendo diventa specchio e portavoce dell’interrogativo che il regista vuol condividere con lo spettatore. Il regista appare preoccupato di non riuscire a raggiungere il suo scopo che non è solo quello di denunciare ma di far capire che le radici di certi atteggiamenti affondano nell’immaginario, nell’affettività. Le interruzioni, lo scontro tra attore e regista servono a far cogliere la difficoltà del regista ad affrontare l’argomento, la sua paura che il film possa essere considerato antislamico, e anche a far capire la necessità di dubitare, di reagire a qualsiasi indottrinamento, da qualunque parte provenga, dal potere, dal padre, dagli integralisti. Lo scopo di Bouzid non è solo quello di denunciare ma di far capire che lottare contro il terrorismo vuol dire lottare contro l’ideologia che ne è alla base, lottare per la libertà d’espressione e per un atteggiamento laico, che tenga separati religione e politica. In molte interviste Bouzid ha sottolineato che per lui l’Islam è sacro, che la religione è qualcosa di intimo, che il discorso sulla religione è delicato, serio e complesso, ma è necessario dire a chiare lettere che non si può fare politica in nome della religione. Nel film sembra che la madre e la ragazza di Bahta siano le sole a cercare di arginare la deriva del ragazzo, che cercano di fermarlo, mentre i personaggi maschili (il padre, la polizia) sono repressivi e lo preparano alle scelte successive. Il pubblico tunisino sembra aver perfettamente capito le intenzioni del regista ed ha apprezzato il film di cui sono circolate perfino copie pirata. Non sono mancate critiche da parte di alcuni giornalisti tunisini, che lo hanno attaccato sul piano tecnico non avendo il coraggio di criticare il tema di fondo. Il pubblico si è mostrato più maturo delle autorità che per 9 mesi hanno bloccato il film – ha dichiarato Bouzid7 - se lo avessi sospettato mi sarei spinto oltre nel discorso sulla laicità. Come talvolta capita alle opere di fiction anche Making of ha anticipato la realtà. Infatti un mese dopo la proiezione del film sono stati arrestati alcuni individui responsabili di esplosioni avvenute in centri nevralgici, così i tunisini che si credevano al riparo dal fenomeno integralista hanno scoperto di non esserne immuni. 7 Intervista a Radio popolare di Milano. SEGNALAZIONI BIBLIOGFRAFICHE E WEB Aimé Césaire, Negro sono e negro resterò. Conversazioni con Françoise Vergès, Città Aperta, Troina (EN) 2006 Sollecitato dalle domande di F. Vergès, Césaire ripercorre il suo lungo cammino di scrittore e intellettuale, un percorso di continua resistenza all’ordine coloniale che ha influenzato intere generazioni di scrittori delle Antille e dell’Africa. Padre della Negritudine è rimasto un testimone attento e partecipe della realtà contemporanea dando un grande contributo al dibattito sull’intercultura, così importante per il futuro delle nostre società. Césaire non ha mai smesso di analizzare che cosa significhi nascere e crescere in una terra creata dalla colonizzazione e continua a proporre una riflessione che interroghi la storia coloniale e promuova un dialogo fra le civiltà. Amnesty International (a cura di) Educazione informale. Esperienze dal Sud del mondo e settori d’intervento, 2007 StrumentiCres ● Agosto 2007 Le riflessioni e le esperienze presentate attraversano i quattro continenti con l’obiettivo di trasformare le persone e le comunità, che spesso vivono in contesti politicamente o socialmente difficili, e di ri-orientarle verso la piena tutela dei diritti umani e l’acquisizione di capacità che favoriscano la loro applicazione nella vita quotidiana Cristina Morra, Globalizzati, ma liberi e sviluppati? Le ricadute della globalizzazione odierna sugli squilibri planetari nel campo dello sviluppo e dell’ambiente e le possibili soluzioni, Letizia Editore – Arezzo, 2006 In un libro agile sia per dimensioni che per modi comunicativi è condensato un quadro lucido e concreto sulle problematiche del mondo contemporaneo. Partendo dai presupposti storicoeconomici della globalizzazione, l’Autrice, presidente della sezione aretina dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e autrice anche di testi scolastici, esamina gli aspetti socio-economici, politici e ambientali del mondo d’og- gi per approdare al concetto di ‘globalizzazione sociale’ e auspicare l’indispensabile formarsi di una coscienza planetaria. Nell’appendice vengono poi presentati due percorsi modulari suddivisi in unità didattiche, utilizzabili per la scuola superiore Roma a tuttoMondo Guida al mondo che vive in città SINNOS editrice, Roma, 2007 Tre quartieri della città (Esquilino, Castro Pretorio e Pigneto) raccontati dai sei guide particolari; un nigeriano, un indiano, una cinese, un eritreo, una somala e una senegalese accompagnano il lettore a scoprire o riscoprire questi storici rioni con gli occhi di chi li ha prescelti come meta e come nuova casa. Percorsi fotografici accompagnati da 43 Cuori migranti a cura di Ingrid Stratti e Lorenzo Dugulin, Cacit Editore, Trieste, 2007 Il Coordinamento delle Associazioni e delle Comunità degli Immigrati della provincia di Trieste propone una nuova raccolta di racconti e poesie; venticinque autori migranti ed autoctoni si confrontano sul tema dell’amore nel tentativo di rimuovere i tabù e i pregiudizi che circondano le coppie miste. Invece di essere vissuto come un evento naturale della vita, l’incontro dell’amore e della migrazione spesso provoca sentimenti contrastanti e confusi. Per ulteriori informazioni: [email protected] Piero Scarduelli Per un’antropologia del XXI secolo Tribalismo urbano e consumo dell’esotico, Squilibri edizioni, 2005 Non è semplice per l’antropologia elaborare strumenti teorici adeguati a comprendere l’attuale processo di integrazione planetaria, caratterizzato da complessi flussi migratori, che alimentano nelle metropoli occidentali lo sviluppo di identità etniche chiuse, e da una mercificazione culturale in due direzioni. I beni provenienti dall’Occidente raggiungono i mercati dei paesi poveri dove sono oggetto di una ricontestualizzazione culturale mentre, sotto l’impatto di un turismo in cerca di esotismo, le culture indigene sono convertite in oggetti di consumo estetico. Queste dinamiche sono esemplificate dall’autore attraverso l’analisi dei casi della comunità cinese di Milano e dei Toraja di Sulawesi (Indonesia). Gabriella Ghermandi Regina di fiori e di perle, Donzelli, 2007 Il lungo viaggio nel tempo e nello spazio della scrittrice italo etiope, in cui scorrono la vita e le vicissitudini di una famiglia etiope nel periodo della dittatura di Mengistu Hailè Mariam, e nel decennio successivo dell’emigrazione. Un romanzo che percorre oltre cento anni di storia, dal tempo di Menelik ai giorni nostri. Una narrazione che, come scrive Cristina Lombardi-Diop nella postfazione, “non riguarda solo la dimensione del passato etiopico, ma è anche un modo di interrogarsi sull’identità della memoria coloniale italiana”. 44 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ box di approfondimento su storia, curiosità e tradizioni, attività vecchie e nuove, arricchiti dalle indicazioni sugli eventi culturali annuali, i mercati, i negozi e i luoghi di culto dei neo-abitanti di Roma. ALCUNI RAPPORTI PER CONOSCERE MEGLIO IL MONDO DI OGGI UNDP Lo sviluppo umano rapporto 2006 L’acqua tra potere e povertà Acqua sotto chiave: milioni di persone nel mondo non hanno accesso a una fonte d’acqua sicura non perché questa risorsa scarseggi, ma perché sono intrappolate in una spirale di povertà, disuguaglianza e fallimenti delle politiche governative. Ecco il senso della copertina dell’ultimo rapporto di UNDP. All’inizio del secondo millennio, ci troviamo a vivere in un mondo caratterizzato da una prosperità senza pari. Eppure, milioni di bambini muoiono ogni giorno per la mancanza di un bicchiere d’acqua pulita e di un gabinetto. Il rapporto documenta la sistematica violazione del diritto all’acqua, identifica le cause che sono alla base della crisi e propone un programma per intraprendere i necessari cambiamenti. Alla parte monografica segue la consueta, ricchissima serie di tabelle e dati statistici Il rapporto può essere scaricato integralmente all’indirizzo: http://hdr.undp.org/hdr2006/report_it.cfm UNICEF La condizione dell’infanzia nel mondo 2007 Donne e bambine: il doppio vantaggio dell’uguaglianza di genere Il Rapporto 2007 è dedicato alla vita delle donne nel mondo nella convinzione che uguaglianza di genere e benessere dei bambini vanno di pari passo. Quando le donne vivono pienamente e attivamente la loro vita, i bambini crescono bene ma quando una società nega alle donne pari opportunità, sono i bambini i primi a soffrirne. Il rapporto è corredato da tabelle statistiche su mortalità infantile, nutrizione, salute, istruzione. http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/ IDPagina/2880 CARITAS/MIGRANTES Dossier Statistico sull’Immigrazione ISMU Dodicesimo Rapporto sulle migrazioni Franco Angeli Due pubblicazioni che si integrano a vicenda nel dare un quadro molto articolato e documentato sul fenomeno migratorio. Il primo è strutturato, come di consueto, in cinque parti (il contesto internazionale ed europeo; gli stranieri soggiornanti in Italia; l’inserimento socioculturale; il mondo del lavoro; i contesti regionali) cui seguono la parte statistica, con dati regionali e provinciali messi a confronto e commentati, e un inserto sui rifugiati curato dall’Unhcr. Novità di questa edizione un capitolo sui nomadi e due ricerche (sulla sindacalizzazione degli immigrati e sui mediatori culturali). La pubblicazione dell’ISMU è costituita da saggi tematici; di particolare interesse per noi quello relativo agli adolescenti di origine immigrata e quello sul fenomeno delle baby gang straniere in Italia. Alcune parti sono consultabili in rete agli indirizzi http://www.caritasroma.it/Prima%20pagina/Dossier2006.asp http://www.iwww.ismu.org/default.php?url=http%3A//www. ismu.org/ StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ PASSAGGIO A SCUOLA VERSO UN’INFANZIA LIBERA Lo sfruttamento del lavoro infantile e adolescenziale rimane uno dei peggiori effetti delle ingiustizie globali; dalle periferie del Sud del mondo alle periferie della nazione in cui viviamo arrivano dati, storie e problematiche che interrogano profondamente i modelli di sviluppo. Nel mondo 218 milioni di minori sono sfruttati, e in Italia 360 – 400 mila persone fra i 7 e i 14 anni sono coinvolte in forme di lavoro precoce: povertà delle famiglie, mancato accesso all’istruzione (specialmente per le bambine), delocalizzazione di multinazionali ben poco attente ai diritti sono le cause principali di un problema che continua a compromettere il futuro di intere generazioni. La scuola è un luogo importantissimo nella lotta contro lo sfruttamento minorile. L’accesso all’istruzione è il primo, importante passo nel cammino verso una vita più degna e per un progresso sociale tangibile. Si calcola ad esempio che ogni anno di fre- quenza scolastica, oltre il quarto della scuola primaria, rappresenti per una bambina del Sud del mondo un incremento del 10 - 20% dei suoi stipendi futuri e un aumento significativo della sua speranza di vita. Mani Tese da molti anni lavora contro lo sfruttamento del lavoro minorile con campagne di pressione politica e progetti di cooperazione concreta, individuando nelle scuole del Sud e del Nord del mondo un elemento di appoggio fondamentale. A novembre e dicembre 2007, in occasione dell’anniversario della Convenzione sui diritti dell’infanzia, Mani Tese proporrà alle scuole italiane il coinvolgimento in una Campagna nazionale che affronti lo sfruttamento minorile nelle sue cause profonde; la campagna sarà principalmente rivolta alle scuole primarie e secondarie di primo grado e prevederà un evento interattivo di sensibilizzazione rivolto anche ai genitori di studentesse e studenti. ANCHE LA VOSTRA SCUOLA PUÒ PARTECIPARE ALLA CAMPAGNA! Se siete interessati, contattate il CRES di Mani Tese attraverso Massimiliano Lepratti: 024075165, [email protected]. In Cambogia per i diritti dell’infanzia S ihanoukville è una delle più famose stazioni balneari cambogiane, che ogni anno attrae molti turisti. Accanto alle zone loro riservate, però, c’è il dramma di chi vive in estrema povertà. In particolare l’infanzia è gravemente colpita dal degrado sociale ed economico, che colpisce l’intero Paese. Spesso i bambini vivono per strada, sopravvivono grazie all’accattonaggio e non hanno la possibilità di andare a scuola. Mani Tese, sostenendo l’azione del suo partner locale M’ Lop Tapang (un’organizzazione non governativa cambogiana il cui nome significa “Sotto l’ombra protettiva dell’albero di Tapang”), sta realizzando un progetto di cooperazione con l’obiettivo del recupero dei bambini di strada di Sihanoukville, attraverso attività volte a fornire loro un’istruzione e la crescita della propria autostima con il coinvolgimento attivo dell’intera comunità. Nel progetto sono previsti programmi educativi in grado di adattarsi alle necessità dei bambini e dei ragazzi di strada: non per tutti è infatti possibile frequentare da subito la scuola, per cui vengono promossi anche l’istruzione informale e corsi di recupero. Il programma di reinserimento scolastico nelle scuole statali è pensato per i bambini la cui principale difficoltà nel frequentare è puramente economica; il sostegno consiste nella fornitura del materiale necessario e in lezioni di supporto. Inoltre tutti i bambini potranno frequentare presso il centro permanente diurno corsi di recitazione, danza, musica, disegno, inglese e varie discipline sportive, mentre le attività artistiche e ricreative svolte in strada permetteranno di raggiungere anche chi non frequenta altri programmi educativi. Affinché l’intervento sia sostenibile nel tempo e contribuisca allo sradicamento del problema, risulta necessario sensibilizzare l’intera comunità sui diritti e sui bisogni di questi bambini. Per il raggiungimento di questo obiettivo M’ Lop Tapang ha in programma varie attività: un programma StrumentiCres ● Agosto 2007 radiofonico bisettimanale, la produzione di video e di libri educativi scritti e recitati dai bambini, l’organizzazione di 10 spettacoli nella comunità su ambiente, Hiv, diritti dei bambini, igiene (i bambini scriveranno le storie e le reciteranno al mercato, sulle spiagge e negli slum), azioni di sensibilizzazione nelle scuole e nelle università, l’organizzazione di 6 incontri con la comunità, la sensibilizzazione dei guidatori di mototaxi e degli operatori turistici per proteggere i bambini dallo sfruttamento sessuale. Inoltre i giovani volontari che cureranno le attività ricreative svolgeranno anche una fondamentale attività di educazione dei turisti e di protezione dei bambini più piccoli che sulla spiaggia elemosinano e raccolgono lattine. Per sostenere il progetto: ccp 291278, intestato a Mani Tese, p.le Gambara 7/9, 20146 Milano, causale “progetto n. 2130 - Cambogia” 45 QUADERNI DIDATTICI Nuova collana CRESCENDO CRES - EMI 1) Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura – Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg 256 - euro 12,00 Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa caraibica insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento di stereotipi e offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili per gli stessi, completano il testo. 2) All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00 I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia e in Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli stereotipi con lo strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono approfonditi dall’autore stesso nelle interviste e nei documenti della seconda parte, completata da un apparato didattico per un’educazione interculturale. 3) Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza - Daniela Invernizzi - pagg.213 - euro 11,00 Il testo presenta un approccio globale alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza e, dopo aver descritto lo scenario culturale generale, propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e suggerisce stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione centrate sulla tutela e la promozione dei diritti delle giovani generazioni. 4) “La tela del ragno” Educare allo sviluppo attraverso la partecipazione – Michele Dotti, Giuliana Fornaro, Massimiliano Lepratti – pagg.238 – 2005 - euro 13,00 Questo Manuale pratico-teorico, frutto dell’esperienza sul campo degli animatori e delle animatrici del CRES di Mani Tese, analizza e decostruisce gli stereotipi più diffusi riguardo alla povertà mondiale e illustra tecniche di partecipazionee di coinvolgimento attivo utili per accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e la comprensione critica delle problematiche attuali. 5) “Terra è libertà” La questione agraria in America Latina – Luca Martinelli, Annalisa Messina – pagg.144 – 2005 - euro 9,00 Terrà è il punto di partenza per riflettere sui concetti di latifondo, riforma agraria, migrazione, libero commercio, diversità biologica, risorse naturali, diritti dei popoli indigeni, movimenti sociali, assumendo un punto di vista interdisciplinare che spazia dall’ambito sociale a quello politico, economico, culturale. 6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili. Itinerari didattici di educazione alla cittadinanza – Michele Crudo – pagg.160 – euro 12 - 2006 L’Educazione alla cittadinanza, anche in rapporto ai controversi modelli sociali che la nostra società propone, può diventare una pratica didattica per aiutare lo studente a capire l’universo degli adulti, a mediare tra gli opposti e arrivare ad un proprio punto di vista in un’ottica di mondialità. Alcune esplorazioni didattiche realizzate attraverso l’uso sistematico dello strumento filmico completano il testo. 7) Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle letterature del mondo. a cura di Rosa Caizzi - pagg. 256 - 2006 - euro 13,00 - NOVITÀ Un viaggio attraverso le letterature araba, nigeriana, sudafricana, indiana, afroamericana, cinese e la recente letteratura della migrazione può aiutare ragazzi e ragazze del Nord a stimolare la curiosità nei confronti della diversità, a combattere gli stereotipi sulle altre culture, a 46 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ LE NOSTRE PUBBLICAZIONI indagare la contemporaneità di altri paesi, a guardare con occhi nuovi la loro realtà, a relativizzare il proprio punto di vista. TÀ 8) Perché l’Europa ha conquistato il mondo? NOVI - Massimiliano Lepratti – pagg. 124 -2006 – euro 10 L’Europa non ha conquistato il mondo per investitura divina, né in quanto civiltà superiore. Il capitalismo del Nord del mondo affonda le radici nello sfruttamento economico e nei contributi di pensiero e tecnico-scientifici di aree lontane. Il testo indaga la storia della costruzione di un sistema di squilibrio internazionale che non esisteva fino ad alcuni secoli fa, attraverso un approccio che integra i livelli politico, economico e culturale. I capitoli sono corredati da carte storiche e da un’appendice didattica. 9) Il cinema per educare all’intercultura TÀ NOVI - Marina Medi – 2007 – euro 10 E’ importante che l’educazione all’informazione e ai media trovi spazio in modo organico nella programmazione curricolare diventando strumento di cittadinanza e di comunicazione interculturale. Il testo suggerisce una serie di riflessioni metodologiche per un uso critico dei media, che parta da alcune cautele indispensabili quando si propone agli studenti un lavoro che utilizzi il cinema, e presenta piste di lavoro da realizzare nelle scuole e percorsi didattici già sperimentati che possono servire da stimolo. Collana CRESCENDO CRES - Ed. Lavoro 1) Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini - pagg.158 – 1995 - euro 6,20 2) Percorsi interculturali e modelli di riferimento Michele Crudo - pagg.53 – 1995 - euro 5,16 3) Educare al cambiamento M. Santerini, P. Scarduelli, P. Inghilleri, D. Demetrio, G. Favaro, M. Crudo - pagg. 76 – 1995 - euro 5,16 4) Mediterraneo: il mare della complessità L. Alberti, G. Carlini, A. Brusa, M. Gusso, C. Grazioli, D. Barra, M. Bocca, M. Crudo, M. Peghetti - pagg. 114 – 1996 - euro 6,20 5) La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio Michele Crudo pagg. 73- 1996 - euro 5,16 6) Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - pagg. 158 – 1997 - euro 7,75 7) Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi pagg. 87 – 1998 - euro 6,20 8) Penelope è partita Michele Crudo - pagg. 92 – 1998 - euro 6,71 9) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde, IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano - pagg. 220 – 1999 - euro 12,91 10) La gatta di maggio Rabia Abdessemed - pagg. 214 – 2001 - euro 12,91 11) La sfida della complessità Marina Medi - pagg. 144 – 2003 euro 8,00 Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa subsahariana L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi - pagg. 484 – 1997 - euro 23,24 La letteratura come strumento di conoscenza e di incontro tra culture per superare una visione stereotipata dell’Africa e arrivare a percepirne tutta la complessità. OFFERTE SPECIALI (ispese di spedizione incluse) ● L’INTERA COLLANA (11 Quaderni + il volume Noci di cola, vino di palma) 30 EURO ● 5 VOLUMI A SCELTA A 20 EURO ● Pacchetti TEMATICI: 3 QUADERNI A 10 EURO a. Letteratura per conoscere le altre culture (Quaderni 6 – 7 – 10); 15 euro con il volume Noci di cola, vino di palma b. Diversità e relazione con l’altro (Quaderni 3 – 5 – 8) c. Educazione allo sviluppo e all’intercultura (Quaderni 2 – 9 – 11) ● Migrazioni (Quaderno 1 + cdrom Un Pianeta in movimento) 5 EURO StrumentiCres ● Agosto 2007 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ECIALE RTA SP E F F O TESTI SCOLASTICI zzo mi al pre i 4 volu ivo di 15 e* ss comple Fame e squilibri internazionali. Introduzione alle problematiche dei rapporti Nord/Sud Wilma Beretta Podini - pagg.160. euro 7,40 (edizione completamente rivista e aggiornata) 2003 Un approccio interdisciplinare al complesso tema dei rapporti Nord/Sud. Corredano il testo carte tematiche, grafici, dati statistici, esercizi e un glossario. Foreste tropicali. Quale futuro? D. Calati Boccazzi - pagg. 166. euro 7,15, 1992 Brasile. La terra degli altri D. Calati Boccazzi - pagg. 112+32. euro 9,00, 1990 Rifiuti ieri Risorse domani Pietro Danise, Consolato Danise - pagg. 110. euro 7,95, 1997 * incluse le spese di spedizione. AUDIOVISIVI Un pianeta in movimento nuova edizione - euro 10 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Il cdrom, articolato in otto sezioni tematiche, si struttura attorno all’idea di un viaggio nella realtà migratoria, che consenta di contrastare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi attraverso l’analisi della dimensione spaziale e temporale di questo fenomeno. E na wa gon Percorsi di sviluppo di Mani Tese in Benin DVD Mani Tese euro 10 Il DVD dà spazio alla vivacità della società civile beninese, alle tante iniziative per contrastare le difficoltà e al sostegno offerto da Mani Tese. Approfondimenti su acqua, microcredito e lavoro infantile. Tembè e Coloni La nostra casa è l’Amazzonia ‘ VHS 30’ Mani Tese euro 10 MATERIALI SUL LAVORO INFANTILE Gli indigeni Tembè e i coloni cercano di vivere in armonia con la foresta amazzonica nel Nordest del Brasile. In questo contesto Mani Tese sostiene l’azione dell’Associazione Lamparina per un nuovo modello di sviluppo agro-ecologico. LAVORARE PER PROGETTI LAVORARE SUI PROGETTI 1 “Burkina Faso e Benin” - euro 8 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Un ipertesto per conoscere il contesto, focalizzare il concetto di sviluppo, analizzare l’attività di Mani Tese nella regione utilizzando la metodologia della “didattica per progetti”. 2 “Brasile” - euro 8 (gratuito per le scuole su richiesta scritta) Un ipertesto per conoscere la vivacità culturale di questo Paese Emergente, comprendere le cause delle sue stridenti contraddizioni, condividere l’impegno dei gruppi più attivi e di Mani Tese al loro fianco per un futuro più giusto. RIVISTA Strumenticres MATERIALI SUL LAVORO MINORILE YATRA – In marcia per i diritti dei bambini Kit didattico Mani Tese-CRES – Gratuito. Il kit è articolato in 5 fascicoli (Bambini e bambine lavoratori raccontano, Il lavoro minorile sulla stampa, Bambine e bambini al lavoro in Italia, Globalizzazione e lavoro minorile, Cambiare è possibile) autonomi ma ricchi di rimandi incrociati. Ciascun fascicolo contiene materiali di lavoro e suggerimenti didattici. Il kit è arricchito da una bibliografia ragionata, dal dossier Dallo sfruttamento all’istruzione e dalla rassegna stampa La violazione dei diritti dei bambini. YATRA Dallo sfruttamento all’istruzione VHS 30’ Mani Tese euro 8 Il nuovo video contro lo sfruttamento del lavoro minorile presenta la drammatica situazione dei bambini in Benin, Brasile, India e Romania ma anche alcune proposte concrete per contrastare il fenomeno: i progetti di sviluppo di Mani Tese e la Global March. Mostra fotografica in 8 pannelli 70 x 100 – euro 5 ALTRI MATERIALI “I colori del mais”, Società, economia e risorse TÀ in Centroamerica, di Luca Martinelli, N OVI pagg.176, EMI, 2007, Euro 10 La terra delle donne e degli uomini di mais, che prova a rinascere dalle macerie degli anni Ottanta e Novanta, dalla guerra dei contras e dei marines e dal genocidio dei popoli indigeni, fa il conto con le sfide della globalizzazione. La ricchezza dei popoli del Centroamerica attraverso un lungo impegno sul territorio da parte dell’Autore e con il contributo del Centro di ricerche economiche e politiche di azione comunitaria (Ciepac), partner di Mani Tese. “Tikki e l’onda” pagg. 12 – 2005. Offerta minina di euro 3,50 Questa delicata fiaba illustrata racconta come la catastrofe avrebbe potuto essere meno distruttiva se si fosse mantenuto il contatto con la natura e mostra quanto è stato fatto da Mani Tese a fianco delle comunità indiane. “Cittadini di nuove geografie: percorsi di volontariato lungo l’asse Nord Sud” – pagg. 127 – 2006 – EMI - euro 10 Cittadini di nuove geografie mette al centro il mondo del volontariato lungo un asse che pone in relazione un Nord e un Sud del mondo finalmente sullo stesso piano. Ne esce una radiografia dell’homo planetarius, specie attenta e curiosa, che sa dialogare con la storia e la geografia, sa relazionarsi con altre culture, altre economie, altre politiche e sa rispondere alle sfide globali del nostro tempo con un senso di cittadinanza che travalica i confini nazionali. Quota annuale minima di 10 e per ricevere tre numeri Per richiedere le pubblicazioni: utilizzare il C/C postale n. 291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara 7/9, 20146 Milano. Scrivere in stampatello il proprio nome e indirizzo. Nella causale indicare il titolo della pubblicazione che si desidera. Aggiungere e 3 per spese postali. Il ricavato servirà a sostenere finanziariamente le attività di Mani Tese in ambito educativo. StrumentiCres ● Agosto 2007 47