Raffaello semplicemente ci credeva. Bastava poco per cambiare

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Raffaello semplicemente ci credeva. Bastava poco per cambiare
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Raffaello semplicemente ci credeva. Bastava poco per cambiare
una giornata. Un gatto nero che attraversa la strada per esempio. Non che il gatto nero di per sé costituisse un problema. E
nemmeno la strada. Il fatto è che era stato cresciuto così e ora
non poteva fare a meno di lasciarsi influenzare. Non poteva fare
a meno di pensare che qualcosa sarebbe successo visto che il
gatto aveva attraversato la strada.
Romano, di sentite origini napoletane, Lello sin dai primi anni
aveva dimostrato una spiccata vena di scaramanzia endemica che
sfociò presto anche in un’incontenibile ipocondria.
“È come la storia del calciatore davanti a un rigore. Se ha paura
di sbagliare sbaglia. Sicuro. Se non ci pensa, segna”. Questa era
la sua spiegazione alla concatenazione di paranoie che gli nascevano dal numero 17, dal gatto che attraversa la strada, e così via,
fino alla sua ricerca sfrenata di calpestare qualche escremento alla
prima di un suo film, ma senza esserne pienamente consapevole.
Altrimenti non vale.
Non poteva fare a meno di pensarci: in qualcosa avrebbe fallito
visto che era nato il 17 agosto, un venerdì per giunta. Ma Lello
era anche una persona logica, a tratti razionale e spesso attiva,
ricca d’iniziativa. Da giovane, orfano di padre, si era mantenuto
gli studi facendo il fattorino (sempre con la paura di cadere dalla
bicicletta e, mi raccomando, con le gomme sempre ben gonfie).
Aveva anche indagato. Sul numero 17.
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E non aveva ricavato granché. Va bene, il 17 in numeri roma1
ni, anagrammato, diventa VIXI. Ma questo non lo convinceva
del tutto. Anche metro era l’anagramma di morte ma questo non
aveva portato niente in contrario all’unità di misura. Eppure non
poteva fare a meno di pensare che il 17 portava sfortuna e che
sarebbe morto presto se non avesse fatto qualcosa. La soluzione
era logica, lineare e evidente. Semplicemente non sarebbe dovuto
nascere il 17. Tutto lì.
Era una splendida giornata di dicembre e la morbida neve si
compattava con silente scrocchio sotto i suoi scarponi nuovi. I
passi sembravano evidenziare il silenzio profondo che avvolgeva
Roma. Le aiuole bianche luccicavano come cristallizzate, senza
squagliarsi. Raffaello alzò la sciarpa al passaggio di un camion
(per paura di prendersi un’intossicazione) e si allacciò meglio
una stringa. Aveva i sintomi di un leggero raffreddore e la cosa
lo inquietava abbastanza: dal raffreddore alla polmonite è solo
questione di fortuna. O di sfortuna.
Ovviamente, proprio quella mattina nessun gatto nero attraversò la strada: era chiaramente un giorno fortunato. Aveva preso la
decisione giusta, visto che nessun gatto nero aveva attraversato
la strada. E ormai era arrivato. Certo sarebbe potuto succedere
sulla via del ritorno ma a quel punto quel segno non sarebbe più
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XVII diventa, con un po’ di macabra fantasia, VIXI e quindi simbolo di chi è morto e ha
vissuto. In Giappone a portar sfortuna è il 4: la pronuncia [shi] è identica all’ideogramma
usato per rappresentare la morte, 死. Cambia la cultura ma la superstizione segue invisibili assonanze di credulità universale. Ovviamente, secondo Lello, visto che anche per i
cinesi esisteva un meccanismo simile, allora doveva proprio esserci qualcosa di vero. E ci
credeva, al 17, non al 4: non era mica nato in Giappone, lui. E poi, il diluvio universale cominciò il 17° giorno del secondo mese e terminò il 17 del settimo mese. La superstizione
alimentata dalla superstizione religiosa. Un gatto (nero) che si morde la coda. E così via,
con i pitagorici che amando i numeri perfetti 16 e 18 (che rappresentano dei quadrilateri
4×4 e 3×6) non potevano non disprezzarne il cancello intermedio tra i due, il 17. O Luigi
XVII che non salì mai al trono e morì in carcere: il suo posto lo prese lo zio, che rispose
a nome di Luigi XVIII. E così via. Ma la storia, la logica, il raziocinio, usati accanto alla
superstizione, non portavano nulla di buono. Raffaello, quando leggeva la sua lisa carta
d’identità, non pensava al diluvio universale, né all’impettito Luigi XVII, né alla combriccola proto-nerd di Pitagora: pensava che il 17 non portava nulla di buono visto che…
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valso per quello che aveva già fatto. Probabilmente avrebbe voluto dire che il film successivo sarebbe stato un flop. Ma a questo
ci avrebbe pensato dopo, quando e se avesse incontrato un gatto
nero attraversare la strada sulla via del ritorno. Raffaello Matarazzo, fino a quel momento nato a Roma il 17 agosto 1909, entrò
all’anagrafe e da quel giorno divenne Raffaello Matarazzo, nato a
Roma il 19 agosto 1909.
Tuttavia la sue paure non si calmarono, e nemmeno la sua scaramanzia.
Si innamorava continuamente: delle attrici, delle assistenti, di
quel viso così splendidamente melodrammatico della panettiera
vicino a casa sua (così affine allo spirito dei suoi film). Ma non si
dichiarava mai. E ostinatamente taceva e comprava medicine per
prevenire malanni visto che c’era un vento pericoloso, sbalzi di
temperatura, arie malsane. E così via.
Curava pazientemente e amabilmente quel suo sentimento instabile di paura. E non si sposò mai: troppa era la paura di soffrire
per un tradimento. E il tradimento era così comune: i suoi film
ne erano pieni. Lo sarebbe stata anche la sua vita. Meglio non
soffrire, meglio curarsi.
Nel corso del melodramma stereotipato della sua vita, Raffaello
aveva girato una quarantina di film, si era innamorato ripetutamente e aveva indagato a lungo sul gatto nero. Senza trovare,
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anche questa volta, una motivazione che lo soddisfacesse. Fatto
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Intanto scoprì che il gatto nero, per portare davvero sfortuna avrebbe dovuto attraversare da sinistra (cosa cui non aveva mai pensato). Il gatto nero sembrava essere un
simbolo di stregoneria, sin dal Medioevo, certo, ma Raffaello non credeva alle streghe.
No, alle streghe no. Credeva negli angeli custodi, nei santi, nelle apparizioni. Ma non
alle streghe. Non fino a quel punto. Altri testi dicevano che non era tanto un animale
domestico da strega quanto del diavolo in persona, e la cosa lo turbò alquanto. Anche se
non capiva perché dovesse portare sfortuna solo se avesse attraversato la strada e non, per
esempio, se avesse miagolato di notte. Pareva poi che Napoleone avesse visto passare un
gatto nero poco prima della battaglia di Waterloo. Chissà se da destra o da sinistra. Chissà
con chi Napoleone si era confidato sul fatto di aver visto un gatto. Molte cose erano poco
chiare a Raffaello. Certo era che il gatto nero si confondeva con il buio e con i suoi occhi,
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sta che, a 57 anni ne vide uno attraversare la strada mentre andava a ritirare i suoi esami al Policlinico di Roma. Lo vide passare
da sinistra a destra, subito prima di varcare la soglia: e questo lo
turbò alquanto.
Gli esami erano molto rassicuranti, ma non lo convincevano.
Non si fidava della medicina, non così tanto da potersi dire rassicurato. Le mani sulla carta plastificata degli esiti, qualche goccia
di sudore che scendeva giù dalla schiena, Raffaello Matarazzo era
preoccupato ma non sapeva a chi dirlo e come spiegarlo. Tutto
quel sudore sulla schiena poi, sarebbe anche potuto essere pericoloso. Una broncopolmonite, un’influenza: è solo questione di
fortuna, o di sfortuna. E poi visto che aveva incontrato quel gatto
nero attraversare la strada, qualcosa stava per succedere. Dopo
aver girato le spalle al Policlinico, uscì dalla porta e alzò il suo
sguardo verso il cielo. I suoi occhiali scuri, che lo proteggevano
dal sole e dai pericoli che questo avrebbe comportato, gli davano
un aspetto serio e sicuro di sé. Cosa che non era affatto. Rimase
lì per un po’, sui gradini dell’ospedale, come sospeso, con quel
fisico e quello sguardo così simile a Alfred Hitchcock: tondo ma
sodo. Tornò a casa terrorizzato.
Morì a Roma quel 1966, lo stesso anno in cui vide il gatto nero
attraversare la strada prima di entrare al Policlinico. Morì il 17
agosto. Nessuno si prese la briga di spostare di due giorni la data
della sua morte visto che non aveva nessuno.
unico elemento visibile, poteva facilmente essere scambiato per uno spirito e spaventare
un automobilista, o i cavalli delle carrozze. Affascinante era invece la teoria secondo cui i
gatti neri erano i preferiti dai pirati per dare la caccia ai ratti sulle navi: vederne uno per
strada significava temere un pirata nelle vicinanze. Questa era la sua preferita.
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