Le ustioni
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Le ustioni
www.slidetube.it Le ustioni Frequenza Sebbene lo studio e la conoscenza degli aspetti fisiopatologici della malattia da ustione abbia consentito negli ultimi venti anni progressi sostanziali in termini di sopravvivenza e qualità di vita, rimangono ancora complessi e necessari di attenzione i risvolti sociali, legati in particolare all'alta mortalità (in Italia 600 pazienti per anno secondo dati ISTAT) e quelli umani legati alla gravità degli esiti cicatriziali. Attualmente le ustioni sono in Italia la quarta causa di morte violenta, dopo gli incidenti stradali, le cadute e gli annegamenti. Dati recenti provenienti dagli Usa (Burn Foundation, 2000) quantificano le ustioni negli USA in 1.000.000 di casi per anno con un trend in forte diminuzione rispetto agli anni precedenti e con un rapporto che è passato da 10 casi/10.000 abitanti a 4,2/10.000. Allo stesso modo il numero dei decessi per ustioni si è attestato a 4.500 per anno con una riduzione del 50% rispetto agli anni 19711998. I ricoveri per ustioni negli USA risultano essere di 45.000 casi per anno, la metà dei quali presso centri grandi ustionati, anche per essi il trend risulta diminuito del 50%. La media per cento di superficie cutanea ustionata, nei pazienti ricoverati presso centri ustione, è risultata del 14% (54% con ustioni < 10%, 4% > 60%) con una mortalità pari al 6% dei pazienti ricoverati. Un corretto approccio al paziente ustionato comporta quindi la conoscenza e l'approfondimento degli aspetti epidemiologici dell'ustione, allo scopo di approntare validi schemi di prevenzione onde ridurre la morbilità di questa patologia. Uno studio è stato eseguito presso il Centro Ustioni di Catania su circa 3500 pazienti ricoverati e provenienti da un bacino di utenza che interessa la Sicilia centro-orientale e la vicina Calabria. In esso, gli adulti rappresentano il 49,2% di questa casistica, mentre i bambini di età compresa tra 15 giorni e 12 anni costituiscono il 50,8% del totale. Sono stati inoltre analizzati i parametri relativi alla distribuzione per sesso con prevalenza di quello maschile (62,4%) ed età, alla professione dei genitori, all'ora, al giorno, al mese, alla stagione e al luogo dell'incidente che hanno sottolineato una maggiore frequenza degli incidenti nei primi anni di vita, nel sesso maschile, nelle famiglie con madre casalinga e padre impiegato e livello di istruzione medio-superiore. Risultano altresì maggiormente interessate le fasce orarie 8-10 e 12-14, la stagione estiva, l'ambiente domestico in generale e la cucina in particolare. È stato inoltre rilevato, negli infortuni sul lavoro, che il 33,7% dei pazienti avevano già subito ustioni. L'ulteriore studio epidemiologico ha messo in luce come i liquidi bollenti rappresentino la causa più frequente di ustione in età pediatrica, mentre negli adulti sono più frequenti le ustioni da fiamma e da alcool. www.slidetube.it Le aree anatomiche maggiormente colpite risultano essere gli arti superiori (91,1%) ed inferiori (83%). I decessi, rapportati alla superficie cutanea ustionata (SCU) e all'età, sono stati di maggiore entità nella fascia 0-4 anni per ustioni superiori al 50% e prevalentemente a seguito di shock settico imputabile nel 36,6% allo stafilococco aureo ed a quello meticillino-resistente e nel 18,3% dei casi a pseudomonas aeruginosa. L'analisi di questi dati fornisce l'opportunità per formulare ipotesi di ordine preventivo e considerare innanzitutto le differenze epidemiologiche fra ustioni in età adulta rispetto a quelle pediatriche, in particolare per quanto riguarda il luogo dell'ustione e l'agente ustionante. L'adozione di adeguate misure preventive viene attualmente considerata prioritaria dai più autorevoli esperti mondiali e consentirebbe di ridurre sensibilmente l'incidenza dell'evento ustionante. Indici prognostici In questi ultimi anni l'opportunità di poter mettere in relazione fattori quali l'età, il sesso, la percentuale di superficie cutanea ustionata, le aree cutanee con ustioni di 3° grado, la presenza di ustioni perineali, condizioni morbose preesistenti e/o concomitanti, il tempo trascorso tra l'incidente ed il ricovero in ospedale, etc., ha fatto fiorire tutta una serie di studi allo scopo di approntare un valido indice prognostico in grado di fornire, in maniera quanto più esatta possibile, al sanitario che si appresta ad un caso clinico, un'idea chiara e precisa sulle difficoltà cui andrà incontro il paziente in questione e predisporre le misure adeguate al livello di gravità calcolato. Ma l'utilità degli indici prognostici è risultata anche dalla possibilità data ai diversi gruppi di ricerca di poter parlare lo stesso linguaggio nel confronto dei dati clinici, o nel misurare il progresso clinico-terapeutico di un determinato periodo rispetto ad un altro su una determinata popolazione rispetto ad un' altra. Allo stato attuale diversi sono gli autori i cui indici prognostici vengono ritenuti validi ed allo stesso tempo migliorabili dagli ustionologi di tutto il mondo. In Italia, la Società Italiana delle Ustioni (S.I.Ust.) ha deciso, già da qualche anno, di adottare l'indice prognostico messo a punto da Roy (1983), come linguaggio comune a tutti gli ustionologi italiani allo scopo anche di verificare la sua validità in rapporto alla popolazione italiana ed ai sistemi terapeutici in uso presso i nostri centri ustione. Eziologia Gli agenti responsabili delle ustioni sono classificati in rapporto alla loro natura, per cui possiamo distinguere: Agenti fisici Liquidi o vapori bollenti Metalli o corpi roventi Fiamme Elettricità Radiazioni Freddo www.slidetube.it Agenti chimici Acidi Alcali Sali Fisiopatologia Nella letteratura, a seconda del meccanismo etiopatogenetico scatenante, sono stati descritti, sino ad oggi, più di cento diverse forme di shock, in cui, sostanzialmente, l'alterazione finale è rappresentata dalla insufficienza acuta del circolo periferico. Tale alterazione rappresenta il momento finale anche dello shock ipovolemico da ustione, ma qui s'innesta, come concausa, una catena di eventi determinati dalla diretta influenza del calore sulle cellule, Gli enzimi tissutali e lisosomiali liberati dalla distruzione delle cellule per azione diretta del calore, indurrebbero precocemente lesioni dei parenchimi a distanza del focolaio dell'ustione e modificazioni strutturali delle molecole proteiche circolanti (Lorthioir J.). Gli aspetti emodinamici che caratterizzano la fase acuta della malattia da ustione comprendono due fasi, una iperdinamica o compensata e l'altra ipodinamica o scompensata. Fase iperdinamica o compensata. L'alterata ed abnorme permeabilità capillare, causata dal trauma termico, determina un'imponente exemia plasmatica interstiziale. Tale exemia plasmatica, secondo le ricerche di Chambers e Zweifach del 1946, confermate nel 1968 da Cotran e Remensnyder al microscopio elettronico, avviene attraverso gli spazi intercellulari per distruzione della sostanza cementante ad opera di una sostanza vasoattiva da individuare più in una frazione euglobulinica del plasma che nelle note leucotassine, bradichinine, callidine o callicreine (Artz e Moncrief). Si calcola che le perdite idriche siano particolarmente intense nelle prime 8-10 ore (Artz e Moncrief) e continuino sino alle 48-72 ore soprattutto per le ustioni di 2° grado; nelle ustioni più estese (oltre il 30% della superficie corporea) tali perdite ammontano a 4,4 ml/Kg/h nelle prime 24 ore ed interessano anche quelle aree non colpite dall'evento termico (Artz e Moncrief). Un particolare aspetto presenta il problema delle perdite saline, interpretato in modo contrastante: per Baxter il liquido perso nell'interstizio è isotonico al plasma e si mantiene tale, donde, l'utilizzazione nella terapia di soluzioni isotoniche; per Fox e Monafo l'essudato perduto inizialmente nella zona d'ustione è isotonico al plasma, ma successivamente, a causa dell'assorbimento di Na+ nelle cellule lese, la tonicità del liquido extracellulare (LEC) diminuisce e, per osmosi, le cellule integre s'imbibiscono di acqua con ulteriore aggravio dello stato di ipovolemia. Questa constatazione ha indotto a proporre l'utilizzazione terapeutica di soluzioni ipertoniche di Na+ . Le perdite proteiche nell'essudato sono cospicue, dell'ordine di 4,5 g/100 ml, di cui la maggior parte costituite da albumina le cui piccole molecole (150.000 PM) attraversano facilmente gli spazi tra le cellule dell'endotelio capillare. Nella prima settimana dall'evento termico, le perdite proteiche ammontano a 10-20 g/die, cui bisogna aggiungere 12-30 g per l'aumentato catabolismo. Il grado di ipoalbuminemia così instauratosi porta rapidamente alla diminuzione della pressione colloido-osmotica plasmatica (pressione oncotica) a favore del comparto extracellulare con aggravamento dello shock ipovolemico. Fox sottolinea, però, che la sola plasmaferesi (rimozione delle proteine dal plasma senza sali ed acqua) non è in grado di provocare lo shock, così come non si determina nella sindrome nefrosica. www.slidetube.it Esso, secondo questo autore, sarebbe dovuto principalmente alla grave perturbazione idroelettrolitica conseguente alla rimozione repentina e massiccia di sodio dal circolo. Allo stato di ipovolemia descritto, cui si associano stimoli neurogeni indotti dal dolore e dallo stress, l'organismo risponde con un'increzione massiccia di catecolamine, che conduce alla vasocostrizione generalizzata. Questa condizione, riducendo l'irrorazione periferica, assicura un normale apporto ematico agli organi vitali: cuore e cervello ("centralizzazione del circolo"). Infatti, come si rileva dal modello semplificato di angiotettonica microvascolare descritto da Zweifach nel 1956 osservando al microscopio il mesoceco di ratto, la contrazione degli sfinteri precapillari costringe il flusso ematico a transitare attraverso le arteriole preferenziali di Zweifach, shuntando il letto capillare e consentendo, in tal modo, un efficace ritorno venoso.In assenza di opportuna terapia, tutte queste alterazioni conducono come è inevitabile alla seconda fase dello shock o fase di scompenso. Fase ipodinamica o di scompenso. L'insufficiente perfusione dei tessuti periferici con relativa ipossia determina uno stato di acidosi metabolica. Il metabolismo cellulare in deficit di ossigeno, infatti, da aerobio diviene anaerobio con aumento della produzione di acido lattico e di radicali acidi. Questa condizione annulla l'effetto costrittore delle catecolamine sul segmento arterioso del capillare, mentre gli sfinteri venosi postcapillari permangono ancora contratti perché risentono più a lungo dell'azione delle catecolamine.Si realizza, in tal modo, la cosiddetta "stagnation" degli autori anglosassoni, cioè il riempimento stagnante dei capillari con aumento della superficie vascolare e successiva trasudazione plasmatica per aumento della pressione idrostatica intracapillare. Il danno cellulare, che deriva. da questa condizione del microcircolo, causa la rottura delle membrane lisosomiali e la liberazione degli enzimi (ribonucleasi, fosfatasi, lipasi, aldolasi, ecc.) che, idrolizzando i costituenti stessi della cellula, attivano nel torrente circolatorio il sistema delle chinine vasoattive: bradichinina e callicreina. Queste, con la loro azione vasodilatatrice e permeabilizzante sulle pareti vasali, aggravano ulteriormente le condizioni emodinamiche e metaboliche dello shock. Altri due fattori aggravanti lo shock sono: le prostaglandine ed il myocardial depressant factor (MDF). Gli studi sperimentali effettuati da Jonsson nel 1973, sul liquido linfatico della zampa ustionata di cane, hanno accertato, nel focolaio d'ustione, un cospicuo aumento delle prostaglandine e precisamente della frazione PGE2. Indagini sul liquido delle flittene delle ustioni umane hanno evidenziato quantità di prostaglandine in alta concentrazione. Esse si formerebbero per attivazione del precursore da parte di enzimi liberati dalle cellule lese. L'effetto del loro accumulo si tradurrebbe in un incremento della permeabilità vasale ed in un ostacolo alla formazione di GMP e AMP ciclico, essenziale alla omeostasi cellulare. L'osservazione che nel paziente ustionato la gittata sistolica cade spesso al 30% dei valori normali a riposo e che tale caduta permane anche dopo infusione di colloidi e cristalloidi, ha fatto sospettare l'esistenza di un fattore liberato nel territorio d'ustione a diretta azione sul muscolo cardiaco. Tale fattore sarebbe stato identificato da Moncrief nel 1973 in corso di shock sperimentale nell'animale e non nell'uomo e definito, per la sua azione, myocardial depressant factor (MDF). Esso verrebbe liberato, durante lo shock, dal pancreas per azione di enzimi sulle proteine pancreatiche intracellulari. Gli effetti dell'MDF sono più accentuati in ustioni tra il 40 ed il 60% della superficie corporea (s.c.) o di superfici minori ma tutte di 3° grado. In ustioni che superino il 60% della s.c. l'MDF rappresenta una delle cause fondamentali d'insuccesso terapeutico. www.slidetube.it Nella fase terminale dello shock, si realizzano le tre condizioni enunciate da Virchow nel 1854, che concorrono alla formazione di trombi: 1. l'ipercoagulabilità del sangue; 2. il danno della parete vasale; 3. il rallentamento della corrente sanguigna. Numerosi autori (Meyers 1972, Branemark 1968, Cotran 1968) concordano sul ruolo del danno vascolare provocato dalle ustioni, con liberazione dai tessuti di sostanze attivanti la coagulazione e la trombosi, mentre il rallentamento della corrente sanguigna e la liberazione della tromboplastina provocano il fenomeno dello "sludging" eritrocitario con ulteriore rallentamento del flusso ematico. Tutti questi eventi portano alla formazione di una microtrombosi diffusa a tutto il territorio vascolare periferico ("disseminated intravascular coagulation"- DIC) con gravi lesioni a carico dei parenchimi nobili,che rendono irreversibile lo stato metabolico e che portano ineluttabilmente all'exitus. Quadro clinico. Nella fase di shock conclamato il paziente presenta pallore della cute e delle mucose che appaiono fredde ed aride; disorientamento psichico ed agitazione psicomotoria; sete intensa da disidratazione per diminuizione del volume plasmatico. Nelle fasi successive, per l'aumentato contenuto in emoglobina ridotta, il pallore si tramuterà nella cianosi tipica dell'anossia stagnante per vasoplegia, mentre l'ipossia cerebrale condurrà ad obnubilamento del sensorio. La ridotta perfusione tissutale, le influenze ormonali conseguenti (adiuretina, renina-angiotensina) la presenza in circolo, specie nei folgorati, di sostanze nefrotossiche (emoglobina, emina, mioglobina), determinano una ridotta perfusione renale con quadri di oligo-anuria. L'attività cardiaca è depressa e la pressione sistolica, dopo un primo innalzamento indotto dalle catecolamine, si abbassa (70 mm/Hg) mentre il cuore presenta tachicardia compensatoria. Il polso, parallelamente, presenta una tachisfigmia sino a valori di 140 batt./m. A carico dell'apparato respiratorio si riscontra tachipnea, per l'aumento della PCO2 ematica e per l'acidosi metabolica (lattati, piruvati); nelle fasi tardive, per esaurimento dei centri del respiro, si può giungere ad un respiro tipo Cheyne-Stokes. A carico del fegato è singolare il fatto che alterazioni istologiche evidenziate attraverso epatobiopsie e costituite da lesioni aspecifiche di tipo degenerativo e congestizio, si presentino in dissonanza con i parametri ematochimici ed inoltre come essi siano ancora presenti, in un'alta percentuale dei casi, a distanza di un anno e talora, sia pure in una piccola percentuale dei casi, peggiorati in senso precirrotico, rispetto alle lesioni rilevate alla prima biopsia negli stessi pazienti esaminati (Catalano et al. 1981). Parallelamente all'evolversi del quadro clinico, le alterazioni dei parametri bioumorali sono caratterizzate da: 1. aumento dei valori dell'ematocrito dal 45% sino al 70% per emoconcentrazione da exemia plasmatica; 2. frequente emoglobinuria dovuta all'intensa emolisi per azione diretta del calore e di un fattore plasmatico, ancora non ben individuato, presente in circolo nel paziente ustionato, come dimostrato da Loebl e Baxter trasfondendo globuli rossi marcati con Cr51 di donatori sani in pazienti ustionati. L'emolisi interessa, in media, una massa di globuli rossi pari al 10% dei valori iniziali, fino al 40% nelle profonde ustioni da liquidi bollenti e nei casi di folgorazione; 3. diminuzione delle piastrine, fibrinogeno e fibrina con relativi prodotti di degradazione (FDP) per le alterazioni della bilancia emostatica (DIC); 4. diminuzione delle proteine plasmatiche, soprattutto delle albumine con inversione del rapporto albumine/globuline. www.slidetube.it 5. Il tasso delle immunoglobuline, ridottosi temporaneamente nella fase iniziale, torna poi rapidamente ai valori normali a meno che non sopravvenga una sepsi; 6. acidosi, dovuta all'ipoperfusione tissutale instauratasi in seguito allo shock e all'aumentata richiesta di O2 , che determinano la conversione del metabolismo da aerobio in anaerobio con accumulo di ac. lattico e piruvico. Tale acidosi metabolica può essere aggravata da un'acidosi respiratoria nel caso in cui la ventilazione polmonare è stata in qualche modo compromessa dall'evento termico; 7. variazioni della sodiemia e della potassiemia. Ricerche di Taylor e Monafo hanno accertato che per ogni 1% di superficie corporea ustionata vengono accumulati nell'essudato 50 ml di soluzione isotonica di cloruro di Na, cui si aggiungono le perdite nel caso di vomito e diarrea. Alla iposodiema (da 140 a 120 mEq/1) fa riscontro una iperpotassiemia (da 4,0 a 5,4 mEq/1) indotta dalla liberazione del potassio intracellulare e dallo stato di acidosi. Il sistema immunocompetente In quest'ultimo decennio la terapia medica e chirurgica del paziente ustionato ha fatto segnare progressi realmente considerevoli, tuttavia le infezioni costituiscono ancora oggi la complicanza più frequente e la principale causa di morte dell'ustionato in condizioni critiche. I precisi meccanismi etiopatogenetici alla base della spiccata suscettibilità alle infezioni dei tessuti danneggiati dall'insulto termico non sono del tutto chiariti. Appare comunque evidente il concorso di fattori locali e sistemici. Concettualmente i sistemi di difesa dell'organismo possono essere distinti in: 1. sistema di difesa locale: costituito da barriere meccaniche, quali cute e mucose; 2. sistema di difesa sistemico aspecifico; 3. sistema di difesa sistemico specifico che comprende: o formazione di anticorpi specifici; o azione citotossica diretta cellule mediata; o interazioni cellula-cellula non citotossiche. Sistema di difesa aspecifico. Il sistema aspecifico o risposta infiammatoria di difesa, che non richiede una preventiva esposizione ad antigeni di origine batterica, rappresenta la risposta più precoce a seguito di insulto termico. Inoltre la risposta infiammatoria mette in allerta il sistema immune, informandolo che le barriere meccaniche di difesa sono state distrutte. Gli elementi principali che contribuiscono a realizzare questa risposta infiammatoria aspecifica sono: le proteine plasmatiche, i mastociti, i macrofagi tissutali, i neutrofili ed i monociti sistemici. Gli elementi cellulari modificano il microclima locale al fine di limitare l'invasione batterica e rendere i batteri maggiormente suscettibili alla fagocitosi. I mediatori non cellulari coinvolti in questa fase sono essenzialmente componenti della cascata della coagulazione e del complemento, nonché amine vasoattive. L'inizio della risposta infiammatoria si realizza attraverso un processo definito "attivazione da contatto" che sostanzialmente consiste in un'attivazione del sistema della coagulazione; nel paziente ustionato l'attivazione da contatto probabilmente si realizza attraverso l'esposizione dell'endotelio danneggiato dall'insulto termico; questo attiva la risposta infiammatoria e quindi il fattore di Hageman che innesca una trombosi locale, unitamente alla produzione di numerose sostanze vasoattive. Una volta attivata la fase "di ricognizione" della lesione tissutale, le componenti attivate del complemento (particolarmente C3a e C5a) amplificano la risposta umorale a livello locale e reclutano ulteriori elementi fagocitici dalla circolazione sistemica. Come è noto, C3a e C5a sono potenti anafilotossine, in grado di determinare vasocostrizione venulare ed aumento della permeabilità. I fagociti reclutati dal circolo sistemico sinergizzano quindi l'attività dei fattori umorali nel tamponare l'invasione dei batteri patogeni. Il granulocita polimorfonucleato è quindi il principale effettore cellulare della risposta immune aspecifica (risposta infiammatoria), mediante i processi di fagocitosi batterica. www.slidetube.it Appare quindi chiaro che un difetto in ciascuna delle fasi di attivazione e funzione dei fagociti comporta inevitabilmente un maggior rischio di infezione batterica. È interessante rilevare che l'azione antibatterica dei neutrofili è più efficace nell'eliminazione di microorganismi in condizioni di flusso ematico lento (es. circolazione polmonare) o ridotto biochimicamente (es. sito infiammatorio). I batteri presenti in circolo, invece, non sono particolarmente sensibili ai neutrofili dal momento che il flusso ematico è troppo rapido al fine di consentire un tempo di contatto neutrofilo-batterio sufficiente per attivare la fagocitosi. I batteri circolanti pertanto vengono primariamente eliminati dai macrofagi fissi del fegato, della milza e dei linfonodi appartenenti al RES o sistema reticoloendoteliale. Il sistema di difesa aspecifico umorale sinergizza il sistema cellulare mediante l'opsonizzazione della parete batterica. Si ricordi che con il termine di opsonina si intende una molecola proteica che, legata ad un antigene, ne aumenta la suscettibilità alla fagocitosi. Concettualmente, quindi, le opsonine possono essere considerate l'anello di unione tra il sistema aspecifico di difesa cellulare e quello umorale. Sistema di difesa specifico. Esso è rappresentato da macrofagi, linfociti, plasmacellule e loro prodotti umorali. Al contrario del sistema di difesa aspecifico, filogeneticamente più antico, il sistema specifico risponde specificamente verso determinati siti della superficie batterica. Questa risposta è caratterizzata dalla produzione di anticorpi antigene batterico-specifici. Tra l'altro, la presenza di anticorpi sulla parete batterica attiva la cascata del complemento che, a sua volta, è in grado di distruggere alcuni ceppi batterici. Per la gran parte degli antigeni, la fase iniziale di induzione dell'immunità umorale (produzione di anticorpi) è la presentazione di un dato antigene dai macrofagi ai linfociti T-helper timo-dipendenti. L'attivazione dei linfociti T-helper determina la liberazione di mediatori solubili (linfochine) che "istruiscono" i linfociti B a proliferare e differenziarsi in plasmacellule. L'immunità cellulo-mediata include poi tutta una serie di funzioni, quali: 1. attivazione dei macrofagi alla fagocitosi; 2. attivazione di linfociti T "killer"; 3. produzione di linfociti T citotossici "natural killer". La completa espressione del sistema di difesa specifico richiede quindi la piena maturazione dei suoi effettori cellulari (linfociti T e B, macrofagi) ed umorali (sistema complementare, properdina). Numerosi studi hanno evidenziato che il neonato è immaturo sia per quanto riguarda il sistema immune specifico, che per la risposta infiammatoria aspecifica. Per esempio, la capacità del neonato di produrre anticorpi è qualitativamente e quantitativamente inferiore rispetto all'adulto. Il siero di un neonato contiene approssimativamente il 10% dei livelli normali di IgM dell'adulto, livelli normali di IgG, grazie al trasporto placentare ed infine assenza di IgA. All'età di 2 anni, la concentrazione di IgM raggiunge i valori normali dell'adulto, mentre le normali concentrazioni di IgG non vengono raggiunte prima dei 4-6 anni. Le IgA, infine, raggiungono i valori normali solo alla pubertà. Effetti delle lesioni termiche sui sistemi di difesa. È ben noto che a seguito di una ustione, si evidenziano numerose alterazioni a carico del sistema immune. In particolare, si osservano alterazioni nei livelli delle immunoglobuline, modificazioni nella concentrazione e nell'attività delle componenti del complemento, ridotti livelli della fibronectina plasmatica, ridotta attività opsonizzante del siero, inibizione dell'attività macrofagica, linfocitica, neutrofila e del RES. Dal momento che nel paziente ustionato settico la più frequente sede di infezione è la piaga da ustione, appare chiaro che il deficit della risposta di difesa locale costituisca il punto di partenza del processo infettivo sistemico. www.slidetube.it In studi recenti si è provato a testare la capacità opsonizzante del liquido di flittene da ustione, utilizzando come test batterico ceppi di stafilococco aureo e pseudomonas aeruginosa che, come è noto, costituiscono la specie di microorganismi più frequentemente riscontrati in una piaga da ustione. In effetti, si è visto che il contenuto liquido delle flittene presenta una capacità opsonizzante, ai fini dell'eliminazione degli stafilococchi, del tutto simile a quella del siero. Tuttavia, detto fluido non è parimenti in grado di garantire una sufficiente attivazione fagocitaria dei neutrofili nei confronti dello pseudomonas. Questo rilievo spiega in parte la elevata incidenza di colonizzazione delle piaghe da parte dei gram-negativi. Sembra che questa "opsoninopatia" sia legata ad un deficit da iperconsumo di componenti del complemento nella sede dell'ustione. Inoltre, l'accumulo locale di frammenti di C3 sarebbe responsabile della sregolazione, fino alla soppressione, dell'attivazione e della mitogenesi linfocitaria, e dell'inibizione delle molteplici funzioni dei neutrofili. Dal momento che tanto i linfociti quanto i macrofagi ed i neutrofili esprimono recettori specifici per questi frammenti di C3, appare chiaro che i frammenti del complemento modulano le funzioni immunitarie nella sede della piaga e che le modificazioni biochimiche nel fluido flittenulare interferiscono negativamente nell'attivazione degli effettori dell'immunità e pertanto predispongono il paziente all'insorgenza della sepsi. Tuttavia, le alterazioni della risposta immune locale possono dar luogo ad infezione solo con il concorso di altri fattori, e soprattutto dello stato immunitario generale del paziente. Quindi si può concludere che un deficit dell'immunità locale è necessario, ma non sempre sufficiente, a determinare la sepsi. Ruolo dei neutrofili. Esiste certamente una correlazione tra riduzione della funzione dei polimorfonucleati e infezione batterica. Infatti, la completa eliminazione dei batteri nella sede dell'ustione richiede una serie di risposte sequenziali da parte dei neutrofili. In particolare si è visto che esiste una riduzione degli stimoli chemiotattici in seguito ad ustione e che tale riduzione è direttamente proporzionale alla gravità della lesione. Non è chiaro da cosa dipenda questa alterazione della chemiotassi, se sia cioè secondaria a: 1. fattori inibitori di tipo umorale; 2. tossine circolanti; 3. disattivazione cellulare ad opera di fattori circolanti del complemento. Al contrario, non è stato possibile dimostrare un'alterazione evidente della capacità fagocitica dei neutrofili dopo un'ustione. Alcune ricerche hanno evidenziato persino un aumento della fagocitosi nel paziente ustionato e, parallelamente, una riduzione dell'attività battericida dei neutrofili corrispondente ad un aumento del rischio di infezione. Ruolo del sistema reticoloendoteliale (RES). Il RES è una componente essenziale del sistema di difesa aspecifico. Esso infatti è in grado di eliminare detriti circolanti, quali proteine aggregate, cellule danneggiate e fibrina, unitamente ai batteri presenti in circolo. D'altro canto un'efficiente fagocitosi da parte del RES richiede la presenza di fattori bioumorali che opsonizzano le particelle da eliminare al fine di promuovere il loro riconoscimento, l'attacco e l'ingestione da parte dei macrofagi fissi del RES. Si è evidenziato come l'ottimale funzione del RES richiede la presenza di concentrazioni ottimali di opsonine e fibronectina. I livelli di quest'ultima, in particolare, sono notevolmente ridotti nelle grandi ustioni, inoltre essa si riduce ulteriormente durante gli episodi settici. Si è altresì dimostrato, in pazienti con ustioni maggiori del 40%, che sia l'attività del RES che i livelli sierici di fibronectina si riducevano immediatamente dopo l'ustione tendendo tuttavia a ristabilirsi nel giro di pochi giorni. D'altro canto, se interveniva un evento settico si poteva osservare una caduta verticale dei livelli di fibronectina, il che corrispondeva ad un elevato rischio di sepsi. La fibronectina in effetti funziona come un'opsonina non solo nei confronti dei detriti non-batterici ma anche nei confronti di alcuni ceppi batterici quale lo stafilococco aureus. www.slidetube.it Le conseguenze cliniche di una depressione dell'attività del RES coinvolgono secondariamente altri organi, infatti a seguito di ipofunzionamento del RES la clearance dei detriti circolanti e dei batteri viene deviata su altri organi, in modo particolare sui polmoni. Quindi un blocco del RES, in ultima analisi, determina un deficit polmonare dovuto all'attivazione dei neutrofili sequestrati a questo livello. Sulla base di questi rilievi appare chiaro che depressione del RES significa ridotta resistenza alle infezioni e lesioni di organi a distanza. Sebbene questi rilievi siano incoraggianti, sono necessari numerosi studi per determinare il preciso ruolo clinico di una terapia di rimpiazzo della fibronectina nell'armamentario terapeutico dell'ustionologo. Difese umorali. Nonostante vi siano numerosi fattori umorali, accanto alla fibronectina, importanti nel controllo dell'infezione batterica, ci limiteremo, in questa sede, ad esaminare i due principali sistemi di opsonizzazione presenti nei fluidi biologici, essi sono: 1. le immunoglobuline, termostabili; 2. le componenti del complemento, termolabili. Nel sistema di difesa non immune la via alternativa di attivazione del complemento rappresenta il principale sistema di opsonizzazione ed è attivato da endotossine, proteine del siero denaturate e cellule danneggiate. Nella risposta immune con alti livelli di anticorpi specifici, il complemento gioca comunque un ruolo di supporto come opsonina batterica. L'attività opsonizzante del siero è stata studiata ampiamente nel paziente ustionato, il quale mostra una riduzione dell'attività opsonizzante nei confronti di pseudomonas, escherichia coli e talora stafilococco aureus. Tuttavia una riduzione dell'attività opsonizzante non sembra costituire un'affidabile indicatore di sepsi dal momento che una riduzione di tale attività è stata osservata sia nel periodo settico che in quello non settico. Questi fattori umorali comunque, oltre al ruolo sistemico come opsonine sono importanti localmente. In particolare il C5a è il principale fattore chemiotattico per i neutrofili. Anche le immunoglobuline, che si riducono transitoriamente dopo l'ustione per poi tornare alla norma rapidamente, non possono essere considerate un indicatore fedele di aumentata sensibilità all'infezione. Sistema immune specifico. Partendo dall'osservazione che il paziente ustionato manifesta un ritardo nel rigetto degli omoinnesti, sono stati effettuati numerosi studi al fine di valutarne l'immunità cellulo-mediata. Non esiste consenso generale se l'immunità cellulo-mediata dopo l'ustione sia normale, aumentata o diminuita. Analogamente vi sono controversie se le modificazioni della risposta linfocitaria in vitro possa essere collegata, da un punto di vista prognostico, con la sepsi o con la morte del paziente. Studi recentissimi hanno evidenziato un parametro di grande interesse ai fini prognostici: la trasformazione blastogenica spontanea (SBT) dei linfociti. I risultati di questi studi evidenziano come i livelli di SBT riflettono accuratamente lo stato clinico del paziente, compreso il rischio di sepsi. Rimane tuttavia da puntualizzare come non sia noto ciò che realmente avvenga a livello cellulare in seguito all'insulto termico. Basi immunologiche della sepsi nelle ustioni (ipotesi teorica). Il primum movens dell'insorgenza della sepsi potrebbe essere collegato alla saturazione del sistema di difesa aspecifico, sebbene una disfunzione del sistema specifico sia anche importante, dal momento che uno dei ruoli principali del sistema specifico sia quello di amplificare e focalizzare la capacità del sistema aspecifico di controllare l'invasione batterica. La combinazione della ridotta attività chemiotattica dei neutrofili e il deficit di opsonizzazione nel siero flittenulare, dà luogo ad una colonizzazione (contaminazione) batterica dell'escara tale da invadere e propagarsi nei tessuti vitali perilesionali. Se i batteri vengono regolarmente opsonizzati, fagocitati e distrutti dai fagociti tissutali in combinazione con i neutrofili reclutati dal circolo, l'infezione viene controllata localmente. www.slidetube.it Se ciò non avviene, i batteri raggiungono una concentrazione tale da consentire loro di invadere il torrente circolatorio. In questa fase interviene il RES con conseguente riduzione dei livelli plasmatici di fibronectina; la saturazione del RES comporta, a sua volta, il coinvolgimento di altri organi, particolarmente il polmone che rappresenta il primo stadio della insufficienza polmonare acuta, cui fa seguito il "multiple organ system failure" (MOSF). Opzioni terapeutiche. Da quanto detto, si evince chiaramente come l'insulto termico sia associato a profonde modificazioni di numerose componenti dei sistemi di difesa locali e sistemici. Per quanto la precisa importanza di ciascuna delle alterazioni immunitarie indotte dall'ustione non sia del tutto chiarita, è ragionevole concludere che ciascuna componente contribuisce in qualche modo alla "riserva immunologica globale" del paziente. Inoltre, dal momento che la sensibilità all'infezione batterica non è soltanto correlata ad un determinato ceppo patogeno, ma piuttosto allo stato immune del paziente, un approccio terapeutico corretto dovrebbe essere diretto non tanto all'eradicazione del ceppo patogeno quanto al potenziamento dei meccanismi di difesa all'infezione. Negli ultimi decenni in particolare sono state focalizzate le correlazioni tra malnutrizione-meccanismi di difesainfezione. Oggi sappiamo benissimo che la maggior parte delle turbe immunologiche che intervengono dopo ustioni gravi sono assimilabili a quelle associate a malnutrizione caloricoproteica. Appare evidente quindi che un supporto nutrizionale adeguato, specie nel bambino e nell'anziano, sia essenziale nel potenziamento dei meccanismi di difesa con conseguente miglioramento delle condizioni generali e aumento della sopravvivenza. Pertanto la combinazione di apporto nutrizionale, chirurgia precoce con escarectomia, unitamente alla immunostimolazione o immunomodulazione rappresentano il più moderno e corretto approccio terapeutico per il paziente gravemente ustionato. A dispetto dello sviluppo di "nuovi" antibiotici la sepsi rimane in una alta percentuale dei casi la causa più frequente di morte, non solo del paziente gravemente ustionato, ma anche di quelli con gravità media. Ciò non deve sorprendere, poiché, a lungo termine, è di scarsa importanza stabilire quale microorganismo sia responsabile della sepsi, se le risposte di difesa intrinseche del paziente non sono efficienti. È quindi chiaro che l'insulto termico si associa sempre con multiple alterazioni delle componenti umorali e cellulari di entrambi i sistemi specifico ed aspecifico. Tuttavia a tutt'oggi non si è raggiunto un consenso generale sul significato prognostico e clinico delle alterazioni di ciascuno dei parametri che abbiamo in precedenza esaminato. Per esempio in numerosi studi è stata valutata solo una delle molteplici variabili in gioco e, dal momento che le alterazioni del sistema immune non si verificano isolatamente, è difficile stabilire se una particolare anomalia costituisce un elemento di rilevanza clinica o è semplicemente secondario ad un'altra anomalia non misurata. Pertanto è da ritenere che gli obiettivi futuri siano quelli di chiarire quali deficit immunitari o meglio, quali costellazioni di deficit, sono dovuti allo stress da trauma contro quegli altri che sono invece associati alla sepsi ed alla morte del paziente ustionato. Ciò si può ottenere mediante studi in grado di misurare simultaneamente i molteplici parametri dei sistemi di difesa. In conclusione, solo dopo aver pienamente compreso le complesse interrelazioni tra le varie componenti umorali e cellulari di difesa, sarà possibile sviluppare specifici immuno-modulatori che l'ustionologo potrà utilizzare per ridurre il rischio di sepsi e quindi di morte, nel paziente ustionato. www.slidetube.it Anatomia della regione Anatomia della cute L'apparato tegumentario è costituito dalla cute e dagli annessi cutanei che in essa si distribuiscono con diversa organizzazione e funzione. Gli annessi cutanei comprendono le unghie, i peli e ghiandole di vario tipo (sebacee, sudoripare eccrine, sudoripare apocrine). Le funzioni del tegumento comportano vantaggi non solo locali ma anche generali per tutto l'organismo che dipendono, in massima parte, dalla natura della cute, organo di estesa superficie, interposto tra ambiente esterno ed interno con funzioni primariamente difensive. I potenziali danni esogeni di natura chimica i fisica (in particolare quelli meccanici, termici e luminosi) vengono in tal modo limitati o annullati, così come molti degli insulti biologici dipendenti da microganismi di vari natura (batteri, funghi, virus). L'apparato tegumentario svolge anche funzioni di assorbimento e di escrezione (queste ultime principalmente attraverso la produzione di sudore). A livello cutaneo, oltre alla sintesi di cheratine e di melanina, si svolge, sotto l'azione della luce ultravioletta, la conversione di precursori inattivi in vitamina D. L'evaporazione del sudore, ma soprattutto gli speciali meccanismi neurovascolari intracutanei, consentono una fine regolazione degli scambi di calore con l'esterno; un valido aiuto in tale compito viene anche fornito dalle buone proprietà di isolante termico caratteristica della cute. Sede di numerose terminazioni nervose della sensibilità somatica, la cute forma il rivestimento esterno di tutto il corpo e costituisce il più esteso e pesante organo di senso del corpo umano; nell'adulto essa presenta una superficie di circa 1,5-2 m2 e un peso totale di circa 15 Kg, con variazione legate al sesso e allo sviluppo somatico individuale. Lo spessore della cute, apprezzabile alla palpazione, varia notevolmente, secondo le zone corporee e in rapporto all'età e al sesso. E' minimo a livello del pene, della membrana timpanica, del meato acutistico esterno e delle palpebre (0.5 mm) ; aumenta considerevolmente nel palmo delle mani, nella pianta dei piedi, nella nuca e nel dorso (4 mm). Il colore della cute deriva da un complesso di fenomeni fisici legati essenzialmente a tre fattori: il colorito del sangue nei vasi, la presenza nella cute di sostanze colorate (pigmenti) e il colore proprio della cute stessa che è in grado di variare il suo assorbimento specifico della cute. La cute è formata da tre strati diversi per localizzaione, struttura, proprietà e derivazione embriologica. Lo strato più esterno di origine ectodermica corrisponde all'epidermide, un epitelio pavimentoso stratificato che si rinnova mensilmente e si differenzia. L'epidermide, in profondità presenta una complessa architettura (giunzione dermoepidermica) e si pone in rapporto con il derma, uno strato connettivale. Ancor più profondamente si trova l'ipoderma, anch'esso di natura connettivale, collegato al derma da travate fibrose (retinacula). Nei diversi strati della cute si organizzano e si ditribuiscono gli annessi cutanei, le terminazioni nervose e il dispositivo vascolare. L'ipoderma o strato sottocutaneo è lo strato più profondo della cute ; esso continua un profondità il derma, ponendolo in rapporto con le fasce muscolari, con il periostio o con il pericondrio. Il suo spessore è vario, oscillando in media da 0,5 a 2 cm. In alcune sedi (naso, palpebra, padiglione dell'orecchio) l'ipoderma è virtualmente assente, mentre in altre (regioni glutee, palmo della mano, pianta del piede) il suo sviluppo è massimo. L'ipoderma mostra un' architettura più complessa per il deposito, in esso, di adipe (pannicolo adiposo sottocutaneo). Il pannicolo adiposo, con delicati fasci fibrosi (retinacula) che lo attraversano per disperdersi in profondità; più frequentemente, però, il pannicolo si organizza in strati più ricchi di adipe. È possibile allora distinguere un primo strato (strato superficiale) in cui i retinacula, disposti perpendicolarmente alla superficie cutanea, circoscrivono lobi adiposi. www.slidetube.it Lo strato superficiale, in profondità, è spesso delimitato da una lamina di connettivo denso (fascia superficiale). Al di sotto della fascia superficiale, i retinacula decorrono via via sempre più obliquamente e infine quasi tangenzialmente alla superficie, dando luogo alla formazione di uno strato profondo. Al di sotto dello strato profondo esiste generalmente una lamina connettivale lassa che consente alla cute una mobilità varabile a seconda della sede. Il derma è una membrana biancastra, distensibile ed elastica, di spessore variabile da 0,3 a 4 mm secondo le regioni; è costituito da una sostanza amorfa in cui sono immerse, in varia misura, cellule e fibre connettivali. Le cellule dermiche predominanti sono i fibroblasti; possono tuttavia reperirsi anche bastociti, macrofagi, melanociti e leucociti di derivazione ematica. Nel derma, infine, si osservano fasci di fibre muscolari sia lisce che striate (terminazioni di muscoli pellicciai), vasi sanguigni e linfatici e, nella parte profonda, ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee e formazioni pilifere. Il derma viene distinto in due strati, uno profondo (strato reticolare) ed uno superficiale (strato papillare). Lo strato reticolare, una lamina connettivale paragonabile alla tonaca propria delle mucose, è costituito da fasci collagene ed elastici. La direzione dei fasci varia nelle diverse regioni corporee, costituendo il substrato strutturale del cosiddette linee di Langer. Lo strato reticolare è attraversato da annessi cutanei (peli e ghiandole) che si spingono in profondità. Lo strato papillare è formato dalle sporgenze coniche delle papille dermiche. Le papille dermiche si ingranano con zaffi epiteliali che derivano dalla sovrastante epidermide a costituire, con esse, la giunzione dermoepidermica. Mediante tale giunzione dermoepidermica il derma aderisce saldamente alla sovrastante epidermide con l'interposizione di una membrana basale. La membrana basale è costituita da una lamina basale dello spessore di 50 nm, rinforzata profondamente da un delicato reticolo di fibre collagene con funzioni di ancoraggio, lamina reticolare. La forza stabilizzante più importante della giunzione dermoepidermica sembra dipendere dall'esistenza di un vero e proprio cemento viscoso tra derma ed epidermide. L'epidermide è un epitelio pavimentoso stratificato il cui spessore varia da 50 nm a 1,5 mm. La stratificazione dell'epidermide riflette i vari stadi maturativi che le cellule della sua linea principale (cheratinociti) attraversano, passando dallo strato basale a quello corneo nel corso della loro graduale conversione in lamelle cheratinizzate (citomorfosi cornea). Frammiste ai cheronociti si osservano, nell'epidermide, altre linee cellulari, la più importante delle quali è costituita dai melanociti, elementi responsabili della sintesi del principale pigmento cutaneo (melanina). Infine, le cellule di Langerhans e le cellule di Merkel sono elementi specializzati per funzioni, rispettivamente, immunologiche e sensoriali. I cheratinociti subiscono un'ordinata e progressiva sequenza di trasformazioni da elementi a intensa attività mitotica e metabolica a lamine inerti cheratinizzati. A livelli più profondi (strati basale e spinoso), i cheratinociti sono prodotti per proliferazione cellulare; nello strato spinoso, peraltro, essi iniziano già quel processo fisiologico di citomorfosi che, con la progressiva ascesa verso la superficie cutanea, li porta a morte (strato granuloso) e successivamente (strato lucido e corneo) alla definitiva trasformazione in lamelle di cheratina, una scleroproteina fibrosa estremamente resistente. L'epidermide consta di cinque strati: lo strato basale (germinativo), lo strato spinoso, lo strato granuloso, lo strato lucido e quello corneo. Lo strato basale e quello spinoso formano nell'insieme lo strato germinativo di Malpighi, così detto per l'intensa attività proliferativi delle cellule, destinata a compensare la continua perdita elementi cellulari che ha luogo per la desquamazione dello strato superficiale. www.slidetube.it â–ºAnatomia patologica Le modificazioni istologiche consistono nella denaturazione delle proteine e nella necrosi coagulativa dei vasi e conseguente necrosi cellulare. Più in particolare, sia nelle ustioni a spessore parziale che in quelle a tutto spessore possono essere evidenziate, secondo la teoria di Jackson, tre aree concentriche: 1. una zona centrale di coagulazione, nella quale si evidenzia una necrosi coagulativa totale; 2. una zona intermedia di stasi, caratterizzata da danno cellulare e necrosi coagulativa reversibile; 3. una zona periferica di iperemia, che va incontro a guarigione spontanea. Quando la zona di stasi e di necrosi penetrano oltre il piano degli elementi epiteliali più profondi si ha un'ustione a tutto spessore dove la guarigione per riepitelizzazione spontanea dal fondo non è più possibile. Le ustioni che interessano vaste superfici corporee si caratterizzano inoltre per grave sintomatologia clinica e per un complesso di alterazioni organiche che vanno sotto il nome di "malattia da ustione". Nell'ustione epidermica (1° grado) il quadro è dominato dalla vasodilatazione dei capillari del plesso sub-papillare del derma, la fuoriuscita di essudato è modesta e così pure le alterazioni cellulari. (Vedi fig. 1) (Vedi fig. 2) Nelle ustioni dermiche superficiali e profonde (2° grado) si osserva una completa distruzione dell'epidermide (picnosi, carioressi e cariolisi dei nuclei, vacuolizzazione del citoplasma, interruzione dello strato basale). Vi è una separazione tra derma ed epidermide con formazione di bolle, il derma appare necrotico a livelli variabili a seconda della profondità dell'ustione. Il tessuto connettivo dermico è compatto e le fibre collagene sono rinfrangenti e perdono la loro eosinofilia. Gli annessi, nella porzione interessata dall'ustione, presentano cellule epiteliali fluttuanti all'interno dei lumi; alcuni capillari appaiono trombizzati, mentre altri sono dilatati abnormemente. (Vedi fig. 3) (Vedi fig. 4) (Vedi fig. 5) (Vedi fig. 6) Nelle zone di ustione a tutto spessore (3° grado) si apprezza una coagulazione dell'epidermide e di tutto il derma con interessamento dello strato sottocutaneo.Vi è compattezza tra derma ed epidermide. Anche le cellule epiteliali degli annessi presentano aspetti necrotici con distruzione nucleare e scompaginamento citoplasmatico; la trombosi vasale interessa il plesso dermico e talvolta anche quello sottodermico. (Vedi fig. 7) (Vedi fig. 8) www.slidetube.it Fig. 1: Ustione 1° grado: la lesione è solo epidermica, superficiale (iperemia), molto dolorosa (le terminazioni nervose sono intatte), la guarigione avviene in 5-10 gg., la sintomatologia dolorosa cessa entro 3gg, non da esito a cicatrice Fig. 2: Ustione 1° grado: evidenti le aree iperemiche e l'assenza di soluzioni di continuo della cute (bolle o flittene) www.slidetube.it Fig. 3: Ustione 2° grado superficiale: : lesioni a spessore parziale, coinvolgono epidermide e derma papillare, si presentano umide e/o con flittene, il dolore è presente, la guarigione avviene in 10-14 gg. se non intervengono fattori negativi quali l'infezione Fig. 4: Ustione 2° grado profondo: : lesioni a spessore parziale, coinvolge epidermide e derma profondo; si presentano bianche ed asciutte, sbiancano alla pressione, il dolore è ridotto; la guarigione avviene in 10-14 gg., possono approfondirsi verso il 3° grado a seguito di infezione, edema ed ischemia marcati; il trattamento varia in rapporto alla profondità; l'innesto cutaneo è indicato nelle più profonde. www.slidetube.it Fig. 5: Ustione di 2° grado superficiale e profondo dell'emitorace e del braccio Fig. 6: Il particolare del caso precedente mostra con chiarezza l'inizio della flittena, rotta, le aree di 2° grado, che appaiono più rosee, e le aree di 2° grado profondo con piccole zone di 3° grado, centralmente, che appaiono più scure. www.slidetube.it Fig. 7: Ustione 3° grado: lesioni a spessore totale, rappresentano le ustioni più severe: presentano necrosi ed aree avascolari, la superficie con escara appare dura, cerea, color cuoio, parzialmente insensibile; gli innesti cutanei sono richiesti per la riparazione, spesso esita danno permanente Fig. 8: Ustione di 3° grado: sono evidenti le aree più superficiali periferiche che si approfondano nella zona centrale di ogni coscia con coagulazione completa della cute (escara) Clinica Classificazione La gravità delle ustioni è determinata dalla profondità e dall'estensione della superficie coinvolta, dall'età e dalle condizioni generali del paziente. I criteri clinici più comunemente utilizzati dividono le ustioni in: 1. Ustioni superficiali, comprendenti il 1° grado (ustioni epidermiche: eritema solare) ed il 2° grado superficiale (ustioni dermo-epidermiche: flittena). 2. Ustioni profonde, comprendenti il 2° grado profondo (ustioni dermiche) ed il 3° grado (ustioni a tutto spessore). Sono state descritte ustioni di 4° grado allorché vengono interessati anche i muscoli, i tendini, le ossa, i nervi ed i vasi profondi. Pure se nella terminologia corrente le ustioni di questo tipo vanno comprese tra quelle di 3° grado, tuttavia è opportuno accertare la compromissione più profonda e la sua estensione ai fini funzionali e prognostici. Le ustioni che interessano vaste superfici corporee si caratterizzano inoltre per grave sintomatologia clinica e per un complesso di alterazioni organiche che vanno sotto il nome di "malattia da ustione". www.slidetube.it Sintomatologia locale Nelle ustioni a spessore parziale superficiali, localizzate all'epidermide, è tipico l'eritema con iperemia e una sintomatologia caratterizzata da iperestesia talora intensa. La guarigione è spontanea e non lascia esiti. Nelle ustioni a spessore parziale profonde viene interessata l'epidermide ed il derma a profondità variabile. Tipico è l'edema imponente e la presenza, sulla superficie cutanea, di flittene con fondo rosso vivo nelle ustioni più superficiali o pallido e bianco nelle forme più profonde. In simili casi, particolarmente intensa è l'essudazione plasmatica che, entro la prima giornata, coagula formando una crosta. La sintomatologia è caratterizzata da dolore urente. Poiché gli annessi cutanei sono, in buona parte, risparmiati, è possibile attendere la riepitelizzazione spontanea anche nelle ustioni estese. Si comprende come particolare importanza assume il trattamento topico al fine di evitare complicazioni infettive e, quindi, guarigioni ritardate. Nelle ustioni di 3° grado la cute è distrutta in tutto il suo spessore e si presenta, già sin dalle prime ore, rigida e pallida per necrosi coagulativa o marrone scuro se carbonizzata (escara). La necrosi può estendersi al piano sottocutaneo, e talora, interessare anche il piano fasciale, muscolare e osteoperiosteo. Questo tipo di lesioni sono state definite come ustioni di 4° grado. Pure se nella terminologia corrente esse vanno comprese fra le ustioni di 3° grado, tuttavia è necessario accertare la compromissione più profonda e la sua estensione ai fini funzionali e prognostici. A distanza di 48 ore dall'evento termico, si evidenzia la demarcazione, in superficie, del tessuto necrotico, cui segue, di norma, la colliquazione entro tre settimane, la suppurazione ed il distacco dell'escara, sotto la quale si va formando il tessuto di granulazione. Nelle ustioni circonferenziali degli arti, delle mani, del torace e del collo, l'escara, inestensibile e costrittiva può determinare fenomeni di compressione sul circolo e sulle strutture più profonde, ciò comporta la necessità di incisioni longitudinali liberatrici (escarotomia). Le ustioni di 3° grado estese non guariscono spontaneamente. Norme di pronto soccorso Il tegumento, come abbiamo visto, viene variamente compromesso dall'ustione, pertanto, per estensioni della superficie cutanea ustionata (SCU) del 10% nei bambini e del 15% negli adulti, s'impone il ricovero, mentre per superfici ancora più estese, è necessario il trasferimento presso un centro specializzato. All'atto del pronto soccorso, che solitamente avviene negli ospedali più periferici, devono essere approntate tutte quelle misure assistenziali e di rianimazione allo scopo di attuare una terapia che contrasti precocemente tutte le turbe cardiocircolatorie ed emodinamiche tipiche dello shock. Questa condotta, come afferma Wallace, costituisce la premessa indispensabile dalla regolare evoluzione, sia immediata che a distanza, della malattia. Le norme di Pronto Soccorso si articolano nei seguenti punti essenziali: 1. Garanzia delle funzioni vitali. L'esame clinico deve accertare la pervietà delle prime vie respiratorie nei casi di inalazione forzata di vapori e delle condizioni emodinamiche e provvedere se è il caso con carattere prioritario. Analogamente nelle ustioni del viso, particolare attenzione sarà rivolta ad accertare eventuali lesioni corneali ed alla concomitante presenza di politrauma. Lo studio clinico del paziente si completerà di altri elementi anamnestici fondamentali e semeiologici (natura agente ustionante, età, sesso, integrità dei vari organi ed apparati). 2. Rimozione degli indumenti ai fini della valutazione dell'estensione e della scelta del trattamento locale dell'area ustionata. 3. Valutazione dell'estensione della superficie corporea ustionata che può essere ottenuta utilizzando la "Regola del Nove" di Pulaski e Tennison, nella quale la superficie del corpo viene suddivisa in settori fissi pari a nove o multipli di esso (Vedi fig. 9) . www.slidetube.it 4. Questo schema indicativo deve essere modificato nei bambini, nei quali la testa, più voluminosa, è bilanciata dagli arti inferiori più piccoli rispetto agli adulti (Vedi fig. 10) . Esistono tuttavia schemi più dettagliati e descrittivi in grado di fornire una quantificazione più precisa (Lund-Brower). 5. Reperimento di una grossa vena periferica (succlavia, femorale, giugulare interna) e introduzione di catetere flessibile per la terapia infusionale continua. 6. Introduzione catetere vescicale per la registrazione del ritmo della diuresi. 7. Escarotomie longitudinali multiple nelle ustioni circonferenziali e costrittive degli arti, del collo, del torace. 8. Sedazione del dolore. 9. Profilassi antitetanica. Terapia infusionale Lo scopo principale terapia sostitutiva, nella fase acuta dell'ustione, è il ripristino dell'omeostasi circolatoria e la correzione in senso qualitativo e quantitativo degli squilibri concomitanti. Ottenuto il valore della SCU, si calcola la quantità di liquidi da trasfondere mediante una delle tante formule disponibili, ricordando che esse si basano soltanto sulla superficie delle ustioni di 2° e 3° grado. Le quantità così calcolate daranno una utile indicazione sulle necessità idriche del paziente e dovranno essere in grado di assicurare una diuresi oraria di 30-50 ml negli adulti e di 1 ml/kg/ora nei bambini. La prima di queste formule fu descritta da Cope e Moore nel 1947: essa forniva il volume di liquidi da somministrare ad un adulto medio nelle prime 24 ore dall'ustione con la seguente formula: 75 ml di soluzione isotonica salina + 75 ml di colloidi per ogni % di SCU Ciò derivava dall'osservazione che il liquido della flittena conteneva una concentrazione di Na+ pari a quella plasmatica ed una concentrazione proteica dimezzata rispetto al plasma. Nel 1952 Evans, sulla base delle osservazioni effettuate nell'animale ustionato propose la sua formula: (1 ml di plasma + 1 ml di soluzione fisiologica salina )/ % SCU /Kg. p.c. Entrambi i metodi consigliavano di infondere la maggior parte dei liquidi calcolati entro le prime 12-18 ore. Inoltre le due formule prevedevano l'aggiunta di 2000 ml di destrosio 5% al giorno allo scopo di compensare le perdite metaboliche, la perspiratio insensibilis, l'escrezione urinaria. Il fabbisogno idrico delle seconde 24 ore viene calcolato, con entrambe le formule dimezzando il fabbisogno del primo giorno. La formula di Evans è attendibile e di facile calcolo ed ha trovato largo uso nella pratica clinica; il ringer lattato ha sostituito la soluzione fisiologica salina allo scopo di ridurre il carico di cloruri e l'acidosi metabolica. La formula di Brooke (1960) è basata su una modifica dei liquidi utilizzati nella fase rianimatoria e calcolati con la formula di Evans, essa infatti prevede: 1,5 ml di ringer lattato + 0,5 ml di colloidi per il peso in kg per % di SCU. A questo venivano aggiunti 2000 ml di soluzione di destrosio al 5%. Le quantità del secondo giorno erano pari al 50% del primo rispetto al Ringer e colloidi + 2000 ml di soluzione di destrosio al 5%. Successivamente Baxter e Shires (1968) osservarono che i colloidi vengono meglio trattenuti nel distretto vascolare nelle seconde 24 ore, quando si è quasi del tutto ricostituita l'integrità capillare e le grosse molecole non possono "sfuggire" negli spazi extravascolari. Pertanto essi proposero di iniziare la rianimazione con ringer lattato (4 ml x kg peso corporeo x % SCU) con lo scopo di ricostituire di fatto il volume plasmatico. www.slidetube.it Nelle seconde 24 ore si somministra una soluzione di destrosio 5% e colloidi. La quantità di questi ultimi è pari a 0,3 ml x kg peso corporeo x % SCU. A causa della grande quantità di Na+ somministrata durante la fase rianimatoria, tale elettrolita non viene più infuso nelle 24 ore successive a meno di specifiche indicazioni. Nel 1973 Monafo ed altri descrissero l'impiego di soluzioni sodiche ipertoniche (250 mEq/l di sodio, 150 mEq/l di cloruri e 100 mEq/l di lattato) da infondere inizialmente alla velocità di 200 ml/ora in un adulto medio. La velocità di infusione viene quindi adattata in modo da assicurare una diuresi oraria di 30-40 ml. Dopo le prime 24 ore si somministra una soluzione di destrano 5%. L'autore sostiene che questa formula consente una notevole riduzione del volume dei liquidi da infondere rispetto alle formule precedenti; purtroppo è frequente la complicanza dell'ipernatremia. Tutti questi metodi vanno benissimo a patto che vengano impiegati dal medico in modo tale da ottenere un'escrezione urinaria di 30-50 ml/ora. Una escrezione inferiore a 30 ml/ora indica una insufficienza renale, mentre escrezione urinaria superiore a 50 ml/ora indica che il paziente sta ricevendo una quantità eccessiva di liquidi con rischio di edema polmonare. Possiamo allora affermare la inopportunità di osservare regole fisse, ma di garantire, caso per caso, il reintegro di quei valori alterati dallo squasso termico, opportunamente orientati dal controllo periodico dei vari parametri bioumorali e clinici. Attualmente le formule di maggior uso presso i centri specializzati sono quella di Evans per i bambini e la formula di Parkland per gli adulti; quest'utima prevede: ringer lattato 4 ml x kg peso corporeo x % SCU Nelle successive 24 ore si infonde una soluzione di destrosio 5% in quantità pari a metà della quota di liquidi infusi nelle prime 24 ore. I colloidi rappresentati da plasma e albumina, se necessari, si somministrano in quantità pari a 0,3-0,5 cc/kg/% SCU in rapporto alla risposta del paziente, a partire dalla 12a-18a ora post-ustione. Tra i farmaci che possono essere somministrati a completamento della terapia ricordiamo: cardiocinetici, eparina calcica od a basso peso molecolare, antiulcera (anti-H2) ed antiacidi, antidolorifici, vitamine.Il controllo delle costanti bioumorali, già citate, deve essere praticato almeno due volte al giorno, specialmente nelle prime 72 ore dall'evento termico. Questi dati potranno orientare sull'opportunità di confermare il programma infusionale predeterminato o di modificarlo in rapporto al ritmo della diuresi, alla pressione arteriosa e venosa centrale e anche al ripristino dei valori dell'ematocrito. Terapia nutrizionale Il trauma termico comporta, unitamente ad un grave squilibrio idroelettrolitico anche un aumento del metabolismo in rapporto diretto all'estensione della superficie totale ustionata, sino ad un massimo di 50-60% SCU. Traumi associati a sepsi contribuiscono ad ulteriore aumento del dispendio energetico del paziente ustionato.Un apporto nutrizionale adeguato dell'ustionato comporta la somministrazione di nutrienti, vitamine e minerali in quantità in eccesso rispetto alle quote normalmente richieste da individui sani. Nell'ustionato grave è necessario per mantenere in equilibrio il bilancio azotato (N introdotto-N escreto) somministrare circa 20-25 g di azoto/die nei primi 10-15 giorni, 13-16 g/die di azoto sino al 40° giorno e 3-7/die di azoto durante la convalescenza. È a tutti noto come dopo l'ustione inizi la fase catabolica che se non adeguatamente corretta conduce a progressiva perdita di peso per depauperamento delle riserve energetiche dell'organismo, distruzione delle proteine muscolari (autocannibalismo), utilizzate per i processi di gluconeogenesi epatica, aumento dell'escrezione urinaria di azoto (fino a 300%), diminuita sintesi proteica, alterazioni dei sistemi immunitari cellulo-umorali, rallentamento dei processi riparativi tissutali, sino a quadri di vera e propria malnutrizione calorico-proteica. Nei pazienti adulti con SCU > 30%, nei bambini e negli anziani con SCU > 15-20%, appare pertanto necessario instaurare, il più precocemente possibile, una adeguata ed efficace terapia nutrizionale nell'intento di limitare le perdite e realizzare una positivizzazione del bilancio azotato. www.slidetube.it Le formule più note per il calcolo delle richieste calorico-proteiche vanno da quella generica di Harris-Benedict (basal energy expanditure BEE) alle formule specifiche di Muir e Barclay (1974), Wilmore (1974), Curreri (1978), Hildreth e Carvajal (1982), Bell (1982), Wachtel (1987). Per il calcolo indicativo del fabbisogno idrico, dopo la fase rianimatoria utilizziamo la seguente formula: (25 + % SCU) x total body area/die anche se il bilancio idrico e la diuresi oraria saranno una guida più precisa e sicura. La scelta della via di somministrazione prevede dopo 24/36 ore l'inizio di un supporto parenterale (per via periferica o centrale) associato all'apporto enterale, sino al raggiungimento delle quote calorico-proteiche previste. Potranno pertanto verificarsi le seguenti possibilità: nutrizione parenterale totale (NPT): se il paziente è impossibilitato a nutrirsi per via enterale o se ha necessità maggiori rispetto a quelle ottenibili solo con la nutrizione enterale si può mantenere un bilancio azotato equilibrato con la somministrazione parenterale di soluzioni miste di glucosio ipertonico, aminoacidi ed emulsioni di grassi al 10-20%. Tale soluzione essendo ipertonica deve essere somministrata attraverso una vena centrale (v. giugulare interna, v. succlavia); sfortunatamente, l'uso di una vena centrale comporta, in un paziente come l'ustionato un elevato rischio di complicanze settiche. Le complicanze legate al catetere non sono rappresentate solo dalla contaminazione con batteri e miceti ma anche da endocardite, pneumotorace, emotorace, lesioni del plesso brachiale, lesioni arteriose, trombosi venosa (talora settica) e da fenomeni embolici. È bene pertanto osservare una scrupolosa asepsi della zona di venopuntura, utilizzare filtri millipore, cambiare il catetere ogni 5-6 giorni, monitorare quotidianamente i parametri ematochimici compresa l'osmolarità ed osservare tempi di induzione e sospensione graduale. Le complicanze metaboliche legate alla nutrizione parenterale sono: iperglicemia e glicosuria con conseguente diuresi osmotica, che in casi gravi può determinare disidratazione iperosmotica non chetonica e coma; iperammoniemia e iperazotemia legate ad alterato metabolismo degli aminoacidi, ipofosfatemia per inadeguato apporto durante NPT; in ultimo, è bene ricordare che possono insorgere, dopo lunghi periodi di NPT, alterazione degli enzimi epatici, ittero colestatico e steatosi epatica; nutrizione parenterale + nutrizione enterale (NP + NE): si inizia la terapia nutrizionale con apporti per via venosa che verranno mantenuti fino al raggiungimento della quota enterale prevista. Tale metodica è adottata anche nelle fasi di digiuno pre- e post-operatorio immediato; nutrizione enterale (NE): la somministrazione di alimenti per via enterale è la più conveniente e la più efficiente oltre ad essere anche la più fisiologica. Tuttavia la mancanza di motilità intestinale potrà rendere necessaria la somministrazione di sostanze nutritive e caloriche per via parenterale. Infatti l'ileo paralitico che si può manifestare immediatamente dopo un'ustione renderà impossibile un'alimentazione enterale; la stessa cosa avviene quando per episodi settici si ha un arresto della motilità intestinale o durante i digiuni legati a pratiche anestesiologiche. Per attuare l'alimentazione enterale, nel paziente ustionato si utilizzano sondini naso-gastrici o naso-duodenali, di calibro ridotto (8-12 Fr), autolubrificanti e nutripompe; miscele semielementari già pronte in grado di fornire rapporti variabili ml/Kcal da 1:1, 1:1.5 a 1:2; a cui si possono aggiungere ulteriori quote glicidiche, lipidiche e proteiche mediante l'uso di integratori specifici. Le complicanze della NE sono la disidratazione con elevata osmolarità plasmatica, la distensione gastrica, la diarrea, i crampi, la tensione addominale, il dislocamento del sondino ed il passaggio del cibo nelle vie aeree. Si possono evitare queste complicanze sia somministrando cibo con sondino soltanto quando l'aspirazione gastrica rivela una quantità bassa di residuo, sia con un eccellente monitoraggio del bilancio idrico, sia mediante attento controllo del paziente. www.slidetube.it Supplementazioni alle comuni diete ospedaliere di cucina si possono ottenere con bevande ipercaloriche già pronte e con gusti variabili o con i suddetti integratori; è ovvio come la palatabilità di questi supplementi condizioni notevolmente tale scelta. È comunque sempre importante, nell'alimentazione enterale, sia essa attuata mediante l'uso di sondino nasogastrico che non, valutare l'atteggiamento psicologico del paziente nei confronti del cibo, permettendogli di effettuare pasti regolari in rapporto al senso dell'appetito ed a quello di ripienezza. Il monitoraggio antropometrico è costituito dal peso corporeo, dal peso ideale e dall'altezza. Il monitoraggio biologico prevede il controllo periodico delle costanti ematiche ed urinarie più comuni, oltre al magnesio, colesterolo, trigliceridi, TIBC (total iron binding capacity), sideremia, prealbumina, urea urinaria. A questo proposito si ritiene la prealbumina l'indice nutrizionale migliore quale parametro di monitoraggio per determinare l'adeguatezza dell'apporto nutrizionale. Essa infatti è poco influenzata dalle variazioni di idratazione tissutale e mostra una rapida risposta possedendo una emivita di soli due giorni. Il monitoraggio immunologico si basa sulla valutazione degli skin test (quando possibili) e sullo studio delle sottopopolazioni linfocitarie con anticorpi monoclonali. Trattamento locale La terapia topica delle ustioni superficiali viene attuata allo scopo di creare un ambiente ottimale alla rigenerazione del mantello epiteliale; al contrario, nelle ustioni più profonde deve in prima istanza favorire la detersione dei tessuti devitalizzati, svolgere un ruolo di protezione dalla contaminazione batterica che nei tessuti necrotici trova, com'è noto, un ottimo pabulum per il suo sviluppo. Ma anche questo è un problema complesso, in quanto le cicliche colonizzazioni batteriche sulla superficie ustionata necessitano di un trattamento topico tempestivo ed efficace. Il trattamento locale dell'ustionato prevede tre fasi sequenziali: 1. prime cure, 2. eliminazione dell'escara e preparazione dell'area ustionata, 3. ricostituzione della superficie epiteliale. Appartengono alle prime cure tutte quelle manovre atte ad evidenziare e preparare alle fasi successive le zone colpite da un evento ustionante. Pertanto si provvederà, dopo aver rimosso vestiti e frammenti estranei, ad un'accurata detersione con acqua e sapone chirurgico in apposite vasche e tricotomia. Tutto ciò dovrebbe essere eseguito nel più breve tempo possibile e successivamente il paziente sarà ricoperto con lenzuola calde e sterili onde evitare la perdita del calore corporeo. Eccetto che nelle ustioni chimiche, il cui lavaggio sarà abbondante con acqua o con soluzioni specifiche atte a contrastare l'azione dell'agente lesivo, la rianimazione ha sempre la precedenza rispetto al primo trattamento delle aree ustionate. Al fine di limitare l'eccessiva proliferazione batterica, sull'ustione si applicano chemioterapici topici onde prevenire la sepsi sistemica ed impedire la distruzione dei tessuti vitali da parte dell'infezione. Le preparazioni attualmente di uso più comune sono: la crema di sulfadiazina d'argento, la pomata di polivinil-pirrolidoneiodio e gli impacchi di nitrato d'argento. La prima di questa è una sospensione all'1% di argento sulfadiazina in una crema base idrofila è batteriostatica, diffonde poco nell'escara e risulta particolarmente efficace su Pseudomonas aeruginosa, Stafilococco, Escherichia coli, Enterobacter cloacae; non controlla invece l'invasione fungina dell'ustione. La pomata di polivinil-pirrolidone-iodio contiene iodio al 10%, è battericida, diffonde poco nell'escara e risulta particolarmente efficace su Pseudomonas, Corynebacterium, Klebsiella, Serratia, Stafilocco, Streptococco; è inoltre funghicida e sporicida. www.slidetube.it L'argento nitrato, veniva impiegato in passato, oggi il suo uso è raro; utilizzato in impacchi in soluzione allo 0,5% è battericida; è molto efficace contro i germi gram-positivi e contro i funghi. Non penetra l'escara e ciò ne limita il suo uso oltre alla sua tossicità per i tessuti vitali. Le medicazioni con creme, in genere si effettuano ogni 1-2 giorni, previa detersione delle piaghe con soluzioni antisettiche blande. In qualche caso e se necessario (trattamenti esposti) la crema può essere applicata ogni 12 ore al fine di mantenere le lesioni sempre coperte. La terapia locale può avvalersi, presso i Centri Ustione, del metodo esposto che favorisce l'essiccamento, la protezione e la riepitelizzazione delle zone ustionate; anche se tale metodica non è condivisa da tutti. Altra alternativa ai due metodi su esposti, è l'uso di sostituti cutanei da utilizzare come medicazionibiologiche; a tal fine sono disponibili: omoinnesti ed eteroinnesti; i primi vengono adoperati come sostituti temporanei della cute autologa nel trattamento di ustioni di 3° grado interessanti più del 60% della superficie corporea. Vengono solitamente applicati dopo escarectomia, in mancanza di autoinnesti, al fine di ridurre la termodispersione, la perdita di acqua, elettroliti e metaboliti; ridurre la contaminazione batterica e la sintomatologia dolorosa; rispetto agli eteroinnesti sono da preferire in quanto essi vengono invasi da gettoni vascolari, consentendo in tal modo, un attecchimento temporaneo. Gli eteroinnesti vengono conservati mediante liofilizzazione, che ne riduce il potere antigenico e ne permette l'uso come copertura delle piaghe. Esistono inoltre in commercio materiali sintetci, biosintetici e naturali che possono essere utilizzati come copertura temporanea delle ustioni in attesa della riepitelizzazione spontanea o della copertura definitiva con autoinnesti. Fig. 9: Regola del nove per il calcolo dell'area corporea ustionata: stabilisce una rapida quantificazione delle regioni corporee interessate dall'ustione rapportandole a "9" o a suoi multipli www.slidetube.it Fig. 10: Nei bambini la "Regola del nove" sottostima l'area cutanea relativa alla testa e sovrastima quella relativa agli arti. Principi di terapia chirurgica Principi generali Già in fase di primo soccorso alcuni gesti chirurgici possono essere determinanti per garantire le funzioni vitali e la sopravvivenza del paziente ustionato. Tra essi vanno ricordati l'incannulamento di una vena preferibilmente centrale (v. giugulare interna, v. femorale, v. succlavia), l'escarotomia nelle ustioni circonferenziali a tutto spessore del collo, del torace e degli arti, l'intubazione orotracheale o la tracheotomia; ma è nel trattamento specialistico del paziente ustionato in fase acuta che la terapia chirurgica assume la massima importanza. Infatti, solamente le ustioni superficiali non infette guariscono per riepitelizzazione spontanea dai margini e dai residui degli annessi cutanei, mentre le lesioni profonde necessitano sempre del trattamento riparatore mediante l'apposizione di innesti di cute. La guarigione spontanea di queste lesioni avverrebbe infatti in un lungo periodo di tempo ed esiterebbe in una cicatrice patologica. L'approccio chirurgico tradizionale consisteva nell'attendere il distacco spontaneo dell'escara e nell'apporre gli innesti di cute sul tessuto di granulazione. La considerazione che la sintomatologia tossica in questi pazienti a strettamente correlata al permanere dell'escara aveva indotto Jackson a proporre già dal 1960, la rimozione precoce (2a"5a giornata) dei tessuti necrotici e la immediata riparazione con autoinnesti di cute. Ma questi primi tentativi non migliorarono in maniera evidente la prognosi, per la obbiettiva difficoltà di sottoporre ad intervento chirurgico pazienti non equilibrati dal punto di vista metabolico ed emodinamico, per cui molti chirurghi negli anni successivi, hanno preferito attenersi ad un criterio di attesa, praticando l'intervento non prima di 15-21 giorni, pur consapevoli che la presenza del tessuto necrotico facilita l'infezione e l'inquinamento delle zone adiacenti con conseguente approfondimento dell'ustione. Ma nel corso degli ultimi 20 anni, le più vaste conoscenze della fisiopatologia dell'ustione, le migliori tecniche anestesiologiche ed i progressi della tecnica chirurgica (Tab. I) hanno consentito di praticare l'intervento in fase più precoce garantendo una riduzione delle complicanze e della mortalità soprattutto in età infantile (Burke, 1974). www.slidetube.it TAB.I - Fattori di progresso. Terapia rianimatoria adeguata nelle prime 48 ore Terapia topica mirata Nutrizione enterale e parenterale Adeguate tecniche anestesiologiche Escissione tangenziale precoce Utilizzo di omoinnesti da banca Innesti a rete (mesh-graft) Copertura temporanea (biologica e sintetica) Colture di cheratinociti Nonostante questi progressi, l'atto chirurgico nel paziente ustionato non è mai scevro da rischi, che sono in relazione all'estensione della superficie ustionata, all'età ed alle condizioni generali del paziente e all'eventuale presenza di malattie concomitanti (Tab. II). TAB.II - Fattori di rischio. Malattie concomitanti Alterazioni dell'equilibrio idroelettrolitico Bilancio azotato fortemente negativo Estensione della superficie ustionata Problemi anestesiologici (difficoltà di intubazione, anestesie ripetute) Per questi motivi, l'indicazione all'intervento chirurgico necessita di una attenta valutazione delle condizioni generali del paziente per escludere le controindicazioni assolute all'intervento (Tab. III). TAB.III - Controindicazioni all'intervento. Gravi lesioni tracheo-bronchiali da inalazione Alterazioni gravi dell'emogasanalisi Squilibrio idro-elettrolitico grave Anemia grave Sepsi grave Ulcera di Curling Gravi patologie cardiache, polmonari, renali ed epatiche Il trattamento chirurgico può essere classificato, a seconda del momento dell'esecuzione dell'intervento, in precoce, eseguito entro i primi 7 giorni dall'ustione e tardivo, se praticato dal 15° al 21° giorno (Tab. IV). Nel primo caso, la rimozione dell'area ustionata può essere eseguita, mediante escissione tangenziale fino al tessuto sano o mediante escarectomia, mentre nel caso di intervento condotto in fase tardiva, oltre all'escissione dell'escara residua, occorrerà asportare il tessuto di granulazione esuberante. In ogni caso la copertura dovrà essere immediata con autoinnesti, omoinnesti o medicazioni con funzione di sostituto cutaneo. www.slidetube.it TAB.IV - Tecniche di escissione precoce: (entro 7 giorni) Escissione/Escarectomia tangenziale tardivo: (dal 15° al 21° giorno) Escarectomia/Toilette del tessuto di granulazione L'escissione tangenziale precoce fino al tessuto sano va eseguita con il dermotomo o con il dermabrasore ed ha il vantaggio di allontanare il tessuto ustionato, fonte di infezioni e gli elementi tossici. Comporta però un notevole sanguinamento e rischio di CID ed emorragie secondarie. Nelle ustioni dermiche profonde l'escissione comprende tutto il derma necrotico e la superficie cruenta va coperta con autoinnesti a medio spessore (Vedi fig. 11) (Vedi fig. 12) (Vedi fig. 13) . Questa tecnica ha il vantaggio abbreviare i tempi di guarigione e di migliorare gli esiti cicatriziali. Quando l'escissione tangenziale a estesa fino al sottocute, gli innesti vengono apposti sul grasso sottocutaneo che, peraltro, non rappresenta un letto ideale per 1'attecchimento. In fase precoce sia l'escissione tangenziale che l'escarectomia non possono estendersi a più del 25% della superficie corporea, sia per la difficoltà di reperire aree di prelievo sia perché il trauma operatorio sarebbe notevole e le perdite ematiche importanti. In proposito occorre ricordare la necessità di equilibrare preoperatoriamente i valori dell'emoglobina con un numero adeguato di emotrasfusioni. L'escarectomia tardiva va riservata ai casi nei quali le condizioni generali del paziente non abbiano consentito l'asportazione in fase precoce. Nonostante le perdite ematiche siano ridotte, rispetto all'escissione precoce, va considerata la possibilità di infezioni e la peggiore qualità delle cicatrici. L'asportazione delle escare può essere eseguita, oltre che con dermotomo, anche con il laser CO2 (Hishimoto 1974, Dioguardi 1981). In questo caso, anche secondo la nostra esperienza, pur avendosi una riduzione del sanguinamento per una emostasi immediata dei piccoli vasi, si ha però un allungamento dei tempi operativi pari a circa il 50%. Il laser CO2 può essere pertanto considerato di valido aiuto soprattutto nelle ustioni profonde nelle quali sia necessario asportare il tessuto necrotico fino alla fascia (Orlowski 1979). Aspetti particolari Alcune ustioni necessitano di un trattamento particolare in relazione alla sede od alla causa responsabile. Le ustioni profonde del volto necessitano sempre il trattamento chirurgico precoce, utilizzando la dermoabrasione per il debridment, ed autoinnesti prelevati dal cuoio capelluto per la loro copertura; di fondamentale importanza nella riparazione del viso è il rispetto delle unità estetiche della faccia, modellando all'uopo gli innesti da utilizzare (Vedi fig. 14) (Vedi fig. 15) (Vedi fig. 16) . Le ustioni delle palpebre, di solito secondarie a causticazioni, richiedono la riparazione con innesti a tutto spessore prelevati preferibilmente dalla regione retroauricolare o sopraclaveare, mantenendo le palpebre distese mediante tarsoraffia sulla rima palpebrale per 5-7 giorni, onde favorire il loro attecchimento. Nelle ustioni profonde delle mani il problema più importante a conservare la funzionalità ed evitare la guarigione spontanea che determina sempre esiti cicatriziali retraenti. Se l'ustione interessa il solo piano cutaneo, l'escissione tangenziale precoce delle escare e la riparazione con autoinnesti garantisce una buona guarigione. L'esposizione dei piani profondi tendinei e scheletrico impone il ricorso all'uso di lembi. Nei casi di carbonizzazione delle dita o di parte della mano, la terapia di scelta è la regolarizzazione dei segmenti interessati e la copertura con lembi di vicinanza o a distanza. www.slidetube.it Le elettrocuzioni, in particolare quelle da corrente ad alta tensione (>1000 Volts), sono lesioni gravi per il contemporaneo interessamento dei tessuti profondi (muscoli, tendini, osso) che vengono distrutti dal1'azione diretta del calore. Inoltre il propagarsi della corrente lungo i fasci vascolonervosi determina spesso trombosi dei piccoli vasi ed estensione delle aree di necrosi ai territori da essi irrorati. Per la prognosi severa ed anche per la grave mioglobinuria che determina spesso danni renali, esse vengono paragonate da Artz ai traumi da schiacciamento. Nelle folgorazioni, spesso i soli autoinnesti non possono garantire una riparazione adeguata, soprattutto nelle localizzazioni all'arto superiore ed alla teca cranica dove e necessario ricorrere, già in prima istanza, all'allestimento di lembi di vicinanza o prelevati a distanza: cutanei o composti (fasciali, muscolari, miocutanei). Un notevole contributo alla risoluzione di questa patologia e costituito dalla possibilità di utilizzare per la riparazione lembi mio-cutanei peduncolati o trasferiti con tecnica microchirurgica, che garantiscono la riparazione in unico tempo di vaste perdite di sostanza. Trapianti di cute. Il trapianto di cute è un presidio chirurgico che si effettua mediante il distacco completo di un'area cutanea dalla cosiddetta "zona donatrice" per essere trasferito in una "zona ricevente" priva di tegumento, al fine di limitare il tempo di guarigione ed il grado di contrazione tissutale e trasformare quindi un processo di riparazione spontanea lento e disordinato in una guarigione rapida ed organica. I criteri di classificazione dei trapianti di tessuto o di organo sono molteplici in quanto si basano sul rapporto tra ospite e donatore o sulle modalità di trasferimento del trapianto o ancora sulle tecniche chirurgiche adottate. Snell (1964) propose una classificazione dei trapianti di tessuto, basata sul rapporto tra donatore ed ospite, ancora oggi attuale, per cui si distinguono: Autotrapianto (trapianto autologo): prelevato e trasferito da un sito all'altro dello stesso individuo (es: innesti di cute, mucosa, tendine, cartilagine, osso, lembi liberi vascolari). Isotrapianto (trapianto isologo o singenico): donatore e ricevente sono geneticamente identici (gemelli monoovulari, ceppi inbred). Allotrapianto (trapianto allogenico o omotrapianto): viene effettuato tra individui della stessa specie con diverso corredo genetico. In questo ambito il trapianto tra diretti consanguinei (es: da padre a figlio) viene detto singinesico. Xenotrapianto (eterotrapianto): donatore e ricevente appartengono a specie diverse. I trapianti possono essere trasferiti liberi, sotto forma di innesti, cioè senza connessioni vascolari con il sito ricevente, oppure possono essere dotati di un peduncolo (lembi piani) o più peduncoli (lembi tubulati) oppure dotati di un asse vascolare che viene inosculato ai vasi del sito ricevente (lembi liberi vascolari, trapianti di organi). Inoltre, il trapianto viene definito: 1. isotopico, quando il tessuto viene trasferito da una sede ad un'altra topograficamente coincidente (es: cute della coscia trasferita alla coscia controlaterale); 2. ortotopico, quando il tessuto viene trapiantato in un sito similare (es: cute utilizzata per coprire perdite di sostanza cutanee in qualsiasi distretto); 3. eterotopico, quando il tessuto viene utilizzato per ricostruire altri tessuti (es: cute utilizzata per riparare la mucosa, come nella atresia della vagina). www.slidetube.it Infine, i trapianti possono essere trasferiti freschi o conservati (cute congelata o liofilizzata). La cute rappresenta il tessuto più frequentemente usato per finalità ricostruttive in chirurgia plastica. La localizzazione esterna rende agevole 1'esecuzione di controlli clinici ed istologici che permettono di seguire il decorso ed approfondire gli aspetti biologici correlati a questi trapianti. Innesti autologhi di cute. Gli innesti liberi di cute vengono classificati in rapporto allo spessore del prelievo. od anche con il nome dell'autore che per primo li ha descritti. Distinguiamo pertanto l'innesto in: 1. epidermico: comprende tutti gli strati dell'epidermide e le cupole delle papille del derma (Ollier-Thiersch); 2. dermo-epidermico a 1/3 di spessore: che, oltre all'epidermide, comprende 1/3 dello spessore del derma (derma papillare e parte del reticolare) (Blair-Brown); 3. dermo-epidermico a 2/3 di spessore: il derma è compreso per i 2/3 del suo spessore (derma papillare e reticolare) (Padgett); 4. a tutto spessore: comprende 1'epidermide ed il derma nella sua totalità (Wolfe-Krause). Gli innesti dermo-epidermici possono essere prelevati a mano libera con il bisturi se di piccole dimensioni come gli innesti a pastiglia tipo Reverdin (epidermici) o tipo Davis (dermo-epidermici), oppure con appositi strumenti chiamati dermotomi che possono essere a funzionamento manuale, elettrico od a aria compressa. Tra essi citiamo il dermotomo elettrico a lama circolare di Strycker, quello elettrico a lama lineare di Brown, i dermotomi a mano di Padgett e Rees, Humby, Lagrot e Dufourmentel. I dermotomi a mano di Padgett e Rees sono strumenti particolari perché costituiti da una lama mobile ed un tamburo che aderisce ad una zona ben circoscritta di cute previamente spennellata con una colla speciale. I dermotomi di Humby, Lagrot e Dufourmentel sono invece a lama intercambiabile e muniti di una vite micrometrica che regola lo spessore del prelievo. Attualmente i più semplici da utilizzare e adatti sia prelevare innesti di cute di larghezza variabile in rapporto alla necessità che a prelevare grandi quantità di cute sono i dermotomi elettrici o pneumatici. La tecnica di prelievo utilizzando il dermotomo manuale si avvale di alcuni semplici accorgimenti che si debbono osservare scrupolosamente. Dopo aver regolato lo spessore della vite micrometrica si unge con una pomata ad eccipiente grasso o paraffina liquida sia la zona di prelievo che la parte di dermotomo a contatto con la cute. Prossimalmente e distalmente all'area di cute da utilizzare va esercitata una certa tensione con il lato ulnare della mano e con una apposita spatola metallica; nelle aree flaccide (es: la coscia) è utile esercitare una tensione circonferenziale. Il prelievo inizia con un lento ed energico movimento di va e vieni del dermotomo che va azionato con una inclinazione e pressione sempre costanti per mantenere uniforme lo spessore del prelievo. Durante il prelievo, specialmente se si tratta di strisce di cute abbastanza lunghe, è utile tenere i margini dell'innesto con due pinze, per evitare l'arrotolamento sulla barra di regolazione del dermotomo. Alla fine del prelievo, dopo aver allentato la vite micrometrica, si sfila il dermotomo con un movimento retrogrado e l'innesto, ancora attaccato nella sua porzione distale, viene tagliato con le forbici. Il prelievo con dermotomi elettrici o pneumatici è molto più semplice ed intuitiva, necessitando solo della distensione della cute da prelevare. La durata della guarigione della zona donatrice degli innesti varia a seconda della profondità del prelievo, con un minimo di 8-10 giorni fino ad un massimo di 15-21 giorni ed avviene per un meccanismo combinato di riepitelizzazione centripeta dai margini e centrifuga dai dotti ghiandolari e dai follicoli piliferi. Nei prelievi più spessi, la partecipazione del tessuto connettivo ai processi di guarigione, può determinare la formazione di cicatrici inestetiche. www.slidetube.it In questi casi, se l'innesto è di piccole dimensioni, può essere effettuata la chiusura per prima. Se necessario, la zona donatrice può essere riutilizzata per un secondo prelievo mediamente dopo 2-3 settimane; nel caso di prelievi dal cuoio capelluto la riepitelizzazione è completa dopo 4-6 giorni e di conseguenza anche l'area donatrici è disponibile anticipatamente. Tutta la superficie corporea è idonea a donare innesti a spessore parziale, tranne la cute del volto, del collo, delle mani, dei genitali e le pieghe di flessione. I vantaggi connessi con l'uso di innesti a spessore parziale sono: 1. 2. 3. 4. la possibilità di prelievo di vaste superfici di cute; la guarigione spontanea dell'area donatrice; la rapidità di esecuzione; la facilità dell'attecchimento. Gli svantaggi sono invece collegati ad un risultato estetico non sempre soddisfacente per il manifestarsi di discromie a distanza di tempo, per la possibilità di retrazione e per la insufficiente copertura dei piani cutanei. Un cenno particolare meritano gli "innesti a rete": si tratta di un artificio chirurgico che consente di ampliare in vario grado la superficie dell'innesto mediante l'utilizzo di un apparecchio detto "mesher" che trasforma l'innesto in una rete di superficie maggiore (da 1,5:1 fino a 9:1) (Vedi fig. 17) . L'epidermizzazione avviene tra le maglie della rete durante 1'attecchimento dell'innesto. Questa tecnica viene usata comunemente nei grandi ustionati a causa della carenza delle aree donatrici. Dal punto di vista estetico gli esiti cicatriziali sono poco soddisfacenti e pertanto gli innesti a rete non vanno mai apposti sul viso, sulle mani e sulle pieghe di flessione. Gli innesti a tutto spessore vengono abitualmente prelevati con il bisturi. La zona donatrice di un innesto a tutto spessore non guarisce spontaneamente e va sempre suturata per prima intenzione Questi innesti vengono prelevati preferibilmente dalle superfici retro-auricolare, sopraclaveare, interna del braccio, della piega inguinale e dai quadranti addominali inferiori. Il risultato estetico a distanza a generalmente soddisfacente per la minore possibilità di discromie e di retrazione. Essi inoltre garantiscono una migliore copertura dei piani profondi, ma hanno un attecchimento più lento e delicato. Nell'apposizione di un innesto questo deve modellarsi esattamente sulla superficie da ricoprire e deve pertanto essere di dimensioni adeguate a prevenire il cosiddetto "effetto tenda" e gli spazi morti; particolare cura va posta, pertanto, nell'accostare i margini dell'innesto ai bordi della piaga mediante punti di sutura. Nell'allestimento di un tampone compressivo, un capo del filo va tagliato corto, mentre l'altro va lasciato di lunghezza sufficiente all'affrontamento al filo contrapposto, in maniera da contenere e comprimere il tampone stesso (moulage). E' buona norma far aumentare l'aderenza dell'innesto al fondo mediante punti di ancoraggio in materiale riassorbibile e praticare delle piccole incisioni di drenaggio al fine di pervenire la formazione di ematomi. Il tampone compressivo va confezionato con uno strato di garza grassa a contatto con l'innesto e con soffici batuffoli di garza o di cotone imbevuto di soluzione fisiologica per favorire il modellamento e la compressione sul fondo; va fissato legando ordinatamente i fili contrapposti in maniera da esercitare una compressione uniforme. Dopo la disinfezione, ai margini del tampone può essere applicata una pomata antibiotica e quindi la zona va coperta con garza sterile in più strati. Nelle perdite di sostanza degli arti l'innesto va applicato con l'asse maggiore perpendicolare all'asse dell'arto, al fine di ridurre le retrazioni e la compressione può essere mantenuta per 5-7 giorni. La rimozione del tampone va effettuata delicatamente, per non staccare l'innesto dal fondo, se necessario inumidendo la medicazione con soluzione fisiologica. www.slidetube.it L'attecchimento totale di un innesto libero è condizionato dalla perfetta sterilità, da un fondo ben irrorato, dall'assenza di raccolte ematiche, dalle buone condizioni generali del paziente (assenza di malattie metaboliche, di stati di iponutrizione, di disturbi del circolo periferico). Le cause più comuni del mancato attecchimento sono: 1. 2. 3. 4. inadeguatezza del fondo; presenza di ematoma o sieroma; infezione; insufficiente immobilizzazione. L'innesto attecchito si presenta di colorito roseo uniforme. La presenza di piccoli ematomi o sieromi impone il loro drenaggio. Vanno inoltre rimosse, all'atto di ogni medicazione, eventuali aree di necrosi e foci infettivi. Colture di cheratinociti. Si tratta di un nuovo capitolo di biologia cellulare, per vero ambito da tanto tempo dai biologi, che offre possibilità applicative pratiche nei grandi ustionati con prospettive ancora di grande interesse. A questo proposito ricorderemo che gli epiteli di rivestimento sono costantemente rinnovati durante la vita di un organismo. Intatti l'epidermide si auto-rinnova approssimativamente ogni mese. Il processo di auto-rinnovamento è affidato alle cellule germinali presenti negli strati basali dell'epidermide. Queste possono essere definite come cellule dotate di un'alta capacità di divisione cellulare e inoltre capaci anche di generare una progenia differenziata. Tra l'altro il potenziale proliferativo è considerato la caratteristica di base della cellula germinale (Pellegrini et Al., 1999). Oltre alla cellula germinale ed al cheratinocita, che rappresentano gli elementi più importanti nel processo di rinnovamento, il tessuto epidermico è abitato da altre cellule come i melanociti, le cellule di Langherans e quelle di Merkel, che hanno tutte funzioni importanti per l'omeostasi del nostro organismo, ma non partecipano direttamente alla organizzazione del tessuto epidermico (De Luca e Cancedda, 1989). Inoltre l'epidermide non è direttamente vascolarizzata, ma riceve nutrimento dai vasi sanguigni del plesso dermico sottostante. Queste caratteristiche hanno spinto i biologi a intraprendere un sogno, ovvero la possibilità di poter ricostruire in vitro un organo umano. Molti tentativi sono stati compiuti per mettere in coltura il cheratinocita umano ed oggi diverse procedure sono state proposte per mettere in coltura le cellule epiteliali da differenti parti del corpo. Si deve a Rheinwald e Green (1975) la standardizzazione della metodica attraverso la quale è possibile far crescere in coltura, partendo da un innesto cutaneo di 2 cm2 prelevato dallo stesso paziente, una quantità praticamente illimitata di cheratinociti che, dopo circa 15-21 giorni, possono essere utilizzati come copertura definitiva di estese superfici ustionate. Se Rheiwald e Green furono i pionieri della coltura dei cheratinociti, si deve a G. Gallico (1984) la standardizzazione delle tecnica di utilizzo dei cheratinociti con l'aumento delle percentuali di attecchimento dal 5% (Rheiwald and Green) ad una percentuale pari all' 80-90%, soprattutto nei neonati o bambini poichè in essi il ciclo vitale della coltura cellulare (n° di Generazioni ) risulta maggiore. Questa metodica ha permesso la sopravvivenza di grandi ustionati (0' Connor, 1981; Gallico, 1984; De Luca, 1989). Ulteriori studi condotti per facilitare la crescita dei cheratinociti mediante modifiche al terreno di coltura, grazie all'utilizzazione di EGF (Epidermal Growh Factor) (Hennings, 1983) e di altri fattori ha ridotto ulteriormente i tempi di attesa e migliorato l'attecchimento degli stessi. Tuttavia la tecnica di coltura descritta da Rheinwald nel 1975, rimane quella tecnica a cui ancora oggi si fa riferimento. www.slidetube.it Rheiwald e Green intuirono che per iniziare la formazione di colonie cellulari si richiede la presenza di fibroblasti. I fibroblasti sembrano essere le cellule meno specializzate nella famiglia del tessuto connettivo. Sparsi nel tessuto connettivo del corpo dove secernano una matrice extracellulare non rigida ricca in collagene di tipo I e III. Quando un tessuto viene danneggiato, come nelle ustioni, i fibroblasti situati nelle vicinanze migrano nella ferita, proliferano e producono grandi quantità di matrice extra-cellulare ricca in collagene che contribuisce sia a isolare che a riparare il tessuto danneggiato. Tecnicamente, se si pongono cellule della pelle umana opportunamente tripsinizzate, in modo tale da rompere i ponti cellulari, su terreni di coltura specifici insieme a cellule 3T3-J2 (De Luca, 1989), la crescita dei fibroblasti umani è largamente soppressa, ma le cellule epidermiche crescono da cellule singole a vere e proprie colonie (Rheiwald, 1975). Ogni colonia di cheratinociti si differenzia a tal punto da formare alla fine uno strato di epidermide squamoso stratificato, ogni colonia è la progenia di ogni singolo cheratinocita. La funzione delle cellule 3T3-J2, cloni di fibroblasti di origine murina letalmente irradiati, può riassumersi in quella di stimolo e riordino delle neo-formantesi colonie di cherarinociti. I piccoli cheratinociti presenti nello strato basale e non ancora differenziate posseggono il più alto potenziale clonogenico, mentre le cellule con una maggiore diametria e più differenziate come quelle presenti negli strati sovrastanti a quello basale, mostrano un minor potenziale clonogenico (De Luca, Cancedda 1992 ). E' interessante notare che le cellule più voluminose presenti negli strati sovrastanti, mostrano la capacità di dar origine a cloni con caratteristiche differenziative, sovrapponibile alle cellule più piccole e meno differenziate che popolano lo strato basale; suggerendo cosi la possibilità di recuperare o salvare cellule dalla differenziazione terminale. Per cui il potenziale di crescita di una colonia non è relativo alla grandezza della cellula fondante bensì all'iter differenziativo (De Luca, Cancedda 1992 ). Dagli studi clonali effettuati sono emersi, tre tipi di cheratinociti che sono gli olocloni, merocloni e i paracloni. Gli olocloni provengono da cellule germinali epidermiche e mostrano il più alto potenziale di auto-rinnovamento proliferativo infatti ogni singolo elemento è capace di effettuare più di centoquaranta duplicazioni prima della senescenza (invecchiamento), e sono ipoteticamente considerate come cellule staminali (primogenie). Il meroclone è un tipo di cellula intermedia considerata come riserva cellulare. Il paraclone invece è generato da una cellula transiente ampliata, mostrano il più basso livello di crescita, il loro ciclo vitale infatti non supera le quindici generazioni e di solito danno vita a colonie che arrestano il proprio sviluppo. Il passaggio da meroclone a paraclone è un processo irreversibile, unidirezionale che avviene lentamente durante l'invecchiamento (Pellegrini et Al., 1999). La percentuale di olocloni, presente negli strati basali del terreno di coltura, può essere influenzata da condizioni di coltura non appropriate; danni ambientali ai quali sono stati esposti gli strati basali degli innesti messi in coltura; utilizzo di nuovi substrati di coltura oppure tecnologie non predisposte per la preservazione degli olocloni (Pellegrini et Al., 1999). I passaggi cellulari in vitro e l'invecchiamento naturale in "vivo" determinano una progressiva diminuzione degli olocloni ed una progressiva crescita di merocloni e paracloni (De Luca, Cancedda 1992 ). Per cui la terapia cellulare è una strategia terapeutica che mira a sostituire o riparare con le colture cellulari quei tessuti gravemente danneggiati. La scelta della cellula che deve essere trattata nella coltura dipende necessariamente dalla funzione che la cellula deve espletare dopo il trapianto assicurando in tal modo la persistenza e la funzione del tessuto rigenerato durante tutto l'arco di vita del paziente. Per esempio, la completa sostituzione ed il continuo ricambio del tessuto emopoietico richiede l'innesto di cellule progenitrici emopoietiche prelevate dal midollo osseo. I cheratinociti epidermici umani trattati in vitro generano foglietti di epitelio stratificato che mantengono le caratteristiche dell'epidermide, in tal modo i cheratinociti autologhi messi in coltura sono stati usati per la copertura permanente di grandi ustioni a tutto spessore salvando la vita del paziente. www.slidetube.it La coltura dei cheratinociti in vitro si è modificata nel corso degli anni, studi effettuati da De Luca e Cancedda (1992) dimostrarono che il processo di differenziazione e stratificazione inizia dal centro della colonia, le cellule migrano all'esterno per cui la colonia si espande radialmente fino a 2 mm al giorno sotto l'influenza del fattore di crescita epidermica (EGF). Gli stessi Autori evidenziarono come alla presenza di concentrazioni fisiologiche di calcio, le cellule cheratinocitiche lasciano lo strato basale migrando negli strati sovrastanti, aumentano di grandezza, parimenti si assiste ad un aumento dei desmosomi e dei tonofilamenti. Gli ioni calcio sono essenziali per la polarizzazione del singolo cheratinocita e per la stratificazione ed organizzazione dell'epitelio in vitro. Inoltre, sempre negli studi effettuati da De Luca e Cancedda venne dimostrata la presenza di una proteina di differenziazione specifica chiamata involucrina, sintetizzata dalle cellule più superficiali dello strato spinoso sia in "vivo" che in "vitro". L'involucrina è una proteina che si ritiene essere il componente iniziale dello spesso involucro corneificato che, durante il differenziamento terminale, si trova nella faccia interna della membrana plasmatica di ciascun cheratinocita. Tale involucro viene completato, ispessito ed irrobustito dalla presenza di un'altra proteina, successivamente secreta dalle cellule dello strato granuloso, negli ultimi stadi del processo di cheratinizzazione, la loricrina. Questa è una proteina altamente insolubile per la presenza di numerosi legami disolfuro, che giustificano la sua stabilità. Da cio' deriva il nome (lorica in latino significa corazza). Durante la differenziazione terminale sia "in vivo" che "in vitro" avvengono vistosi cambiamenti nella architettura del citoscheletro ovvero una modifica della sequenza nucleotidica che codifica per la cheratina, scleroproteina principale costituente dell'epidermide, dei peli, delle unghie e dei tessuti cornei; tale cambiamento causa un incremento del peso molecolare della cheratina con conseguente cambiamento nella composizione dei filamenti intermedi dell'epidermide. I filamenti della cheratina così modificati interagiscono con una proteina basica la filaggrina, formando in tal modo la matrice della cheratina corneocita (De Luca, Cancedda 1992 ). Quando i cheratinociti sono fatti crescere alla presenza di una concetrazione critica di vitamina A, si raggiunge in coltura una morfogenesi epidermica virtualmente ottimale. Questi dati suggeriscono che, almeno nell'adulto, i cheratinociti posseggono nel loro genoma un programma di differenziazione specifico, indicando cosi che i tessuti connettivi dermici o sottoepiteliali hanno un ruolo di accesso e non di induzione nella espressione del gene epiteliale. Questa ipotesi fu confermata da altri dati ed esperimenti clinici (De Luca, Cancedda 1992 ). E' stato altresì dimostrato che i cheratinociti normali umani nella coltura posseggono una attività di secrezione molto elevata, cioè essi sono in grado di sintetizzare e rilasciare nella coltura molti peptidi quali: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. l'interleuchina-1 (Blanton 1989), il fattore di crescita alfa (Coffey 1987), il fattore di crescita beta (Kane 1989), il fattore di crescita dei fibroblati basici (Halaban 1988), la proteina simile all'ormone paratiroideo (Merendino 1986), fattori multipli che stimolano il riassorbimento dell'osso, fattore di crescita nervoso, fattori di crescita rilasciati sempre dalle cellule epidermiche in coltura, non ancora identificati, ma che possono avere diverse implicazioni nei meccanismi di guarigione delle ferite (EDFs " Eisinger, 1988). www.slidetube.it E' interessante notare che il fattore di crescita alfa che agisce attraverso il recettore EGF, è in grado di indurre una espressione del gene che codifica per il TGFalfa suggerendo cosi un meccanismo di auto-induzione che puo' essere molto importante nella guarigione delle malattie iperproliferative della pelle come ad esempio la psoriasi (Elder 1989). Inoltre l'interleuchina-6 può essere prodotta da cheratinociti umani sotto la stimolazione dell'interleuchina-1 e puo' essere coinvolta nella patogenesi della psoriasi (Grosman, 1989). Un'ulteriore scoperta, effettuata da Fenjves nel 1989, dimostra che i cheratinociti umani normali in coltura sintetizzano attivamente e producono apolipoproteina-E e gli innesti epidermici non umani applicati su topi da laboratorio rilasciano in circolo apolipoproteina-E, suggerendo cosi un ruolo nuovo ed interessante dell'epidermide come potenziale regolatore dell'omeostasi e dei processi fisologici del corpo umano. Uno studio condotto alla fine degli anni novanta, presso il Laboratorio di Ingegneria dei Tessuti di Roma in collaborazione con il Centro Grandi Ustionati di Catania (Pellegrini et Al., 1999) dimostrò che: 1) la percentuale relativa di olocloni, merocloni, e paracloni è mantenuta quando i cheratinociti sono coltivati in fibrina ed inoltre essa non induce la conversione clonale e conseguente perdita di cellule epidermiche germinali. 2) quando, gli autoinnesti di cellule germinali coltivati con fibrina, vengono applicati su ustioni estese la "presa" o attecchimento dei cheratinociti è alta, riproducibile e permanente. 3) La fibrina permette una riduzione significativa del costo degli autoinnesti messi in coltura ed elimina il problema relazionato al loro uso e trasporto. I dati dimostrarono che gli autoinnesti che portano cellule germinali, messi in coltura possono coprire rapidamente e permanentemente grandi superficie corporee. La fibrina è un utile substrato per la coltivazione ed il trapianto di cheratinociti. Questi dati affermano che la percentuale di successo inerente la terapia cellulare è influenzata dalla quantità di cellule germinali presenti nel terreno di coltura. Tutto ciò ha suggerito come la proposta di un sistema di coltura che mira alla sostituzione di qualsiasi tessuto auto-rinnovantesi ma seriamente danneggiato, dovrebbe essere preceduta da una attenta valutazione della sua popolazione di cellule germinali. Per compiere il loro processo di auto-rinnovamento gli epiteli di rivestimento fanno affidamento sulla presenza di cellule germinali e cellule transitorie amplificate. Le cellule germinali possono essere definite come cellule dotate di un'alta capacità di divisione cellulare e capaci anche di generare una progenia differenziata. Il potenziale proliferativo è considerato la caratteristica di base della cellula germinale. Le cellule transitorie amplificate, che si originano dalle cellule germinali hanno un tasso proliferativo alto soltanto per periodi limitati e rappresentano il gruppo più ampio di cellule che si dividono. I cheratinociti autologhi messi in coltura sono stati usati per la copertura permanente di grandi ustioni a tutto spessore e la rigenerazione epidermica ottenuta con gli innesti in coltura può considerarsi tecnica in grado di salvare la vita dei pazienti gravemente ustionati. www.slidetube.it La "presa" o attecchimento permanente di autoinnesti in coltura è stata formalmente dimostrata dalla riespressione di "markers" o segnalatori di differenziazione sito specifici in vivo. Il controllo della ferita, dell'infezione, una buona preparazione del sito da innestare, permettono un ottimo trasferimento di auto-innesti di cheratinociti coltivati sull'area ustionata. La riuscita di questa tecnica di coltura è stata dimostrata dal graduale incremento dell'attecchimento di autoinnesti, preparati in coltura e impiantati su una ferita preparata con omoderma, tecnica dimostrata pure dall'adesione dei cheratinociti in un substrato naturale, dalla crescita e dalla loro differenziazione. La perdita di ocloni epidermici in coltura può essere dovuto a: condizioni di coltura non idonea; danno ambientale dello strato basale esposto degli innesti in coltura; uso di un nuovo substrato o tecnologie in coltura non testate per la prevenzione delle cellule germinali. Quest'ultima ipotesi è particolarmente importante poiché vi è un bisogno chirurgico continuo nell'utilizzo ed impiego delle cellule germinali; le colture cheratinocitiche hanno un costo intrinseco elevato; e vi sono problemi tecnici nel trasporto a lunga distanza in rapporto al mezzo di coltura. Tra i differenti sistema di "consegna" dei cheratinociti De Luca e coll. hanno evidenziato quello della fibrina isolante, poiché essa è disponibile facilmente in substrati naturali, è di solito abbondante nelle ferite che si rimarginano ed è facilmente degradata dall'ospite (G. Pellegrini et Al., 1999). Questi Autori hanno dimostrato, alla fine degli anni novanta, che l'abilità clonogenica dei cheratinociti, il tasso di crescita ed il potenziale proliferativo a lungo termine non sono influenzati dalla fibrina; le cellule germinali epidermiche umane si preservano quando i cheratinociti sono coltivati su di un substrato di fibrina; la conversione clonale non è accelerata dalla fibrina. Questi dati sostengono i requisiti più importanti per una coltura di cheratinociti usata per il trattamento delle ustioni. Hanno pure dimostrato che quando gli autoinnesti di cellule germinali epidermiche umane vengono trattati con fibrina in coltura, l'attecchimento finale dei cheratinociti è elevato (100%), riproducibile e permanente. L'utilizzo della fibrina nella coltura di cellule epidermiche umane ha permesso di ottenere dallo stesso numero di cellule clonogeniche, lamine cellulari di dimensioni maggiori e più maneggevoli. La fibrina isolante o sigillante utilizzata (Tissucol) è formata da due fibronogeni congelati e da soluzioni di trombina-I. Tecnica di coltura Il metodo di coltura classico, sviluppato da Reinwald e Green, è stato modificato nel tempo. Il prelievo di cute prelevato dal soggetto viene tagliato in strisce larghe 5 mm ed incubato per 30 minuti alla temperatura di 37°C in una soluzione di tripsina (0,25%) ed EDTA (0,1%) (Gibco, Grand Island, N.Y.) in modo da staccare l'epidermide dal derma. L'epidermide così ottenuta viene sottoposta ad un bagno a vortice al fine di staccare le singole cellule epidermiche che in seguito verranno raccolte attraverso la centrifuga e poste in sospensione nel Dulbecco's Modified Eagle's Medium (DMEN) contenente il 20% di siero fetale di bovino, penicillina (100 IU/ml), streptomicina (100µg/ml), anfotericina B (2.5 µg/ml), idrocortisone (1 µM), e la tossina del colera (0,1nM). Le cellule vengono quindi seminate in recipienti da coltura tondi di polistirene contenenti un monostrato di mitomycin-C-treated Swiss 3T3 fibroblasti. La densità di replicazione è di circa 5x105 cellule [n1] per ciascun recipiente. Le cellule sono alimentate ogni due giorni fino ad essere quasi confluenti (da 10 a 12 giorni) a quel punto trasferite in MCDB-153, un medium (terreno base) libero da siero, con supplementi e posti in recipienti freschi in assenza di 3T3 "feeder layer". In questo passaggio, un recipiente della coltura primaria fornisce un numero sufficiente di cellule per quattro recipienti di coltura secondaria, un rapporto variabile di 1:4. www.slidetube.it Queste cellule diventano confluenti generalmente entro sei giorni e si dividono nuovamente con un rapporto 1:4 nel medium in assenza di siero. Dopo altri sei giorni, le colture ora espanse in gruppi di sedici vengono spinte a stratificarsi sostituendo MCDB-153 con la tossina del colera. Dopo altri quattro giorni, questa coltura sono pronte per essere utilizzate come autotrapianti dell'epidermide. Quando le colture di cheratinociti stratificati sono pronte per l'innesto, il medium viene rimosso e lo strato di cellule staccato dal recipiente con Dispase, una proteasi neutra. Tecnica chirurgica Il trattamento delle gravi ustioni con terapia convenzionale, adottata da Gallico presso il Centro Ustioni di Boston, prevedeva che tutte le ustioni di terzo grado e quelle profonde di secondo grado venissero escarectomizzate fino alla fascia muscolare, (rimuovendo in tal modo il tessuto necrotico, ma anche tessuto vitale) e coperte con auto-innesti di pelle se disponibile oppure temporaneamente con alloinnesti di pelle di cadavere umano congelato o con un foglietto di Silastic, costituito da glicosamino-glicani, in modo tale da poter stimolare la ricrescita del cosidetto "mantello dermico" considerato da De Luca e Cancedda una vera porta d'ingresso per gli strati epidermici sovrastanti. Le ustioni superficiali di secondo grado venivano lasciate guarire spontaneamente e successivamente utilizzate come siti di donazione per autoinnesti. Cuono (1986) , evidenziò il significato del derma sulla ricostruzione ideale della pelle. Infatti da un punto di vista funzionale, il compito dell'epidermide è quello di controllare le perdite di vapore ed è utile per la sorveglianza immunologica, mentre il derma è il principale responsabile della durata. Cicatrizzazioni patologiche e contrazioni della lesione sono inversamente proporzionali allo spessore del derma residuo. La copertura delle ferite nelle grandi ustioni, da piccole aree donatrice, è limitata da due fattori: 1. l'incapacità del derma di rigenerarsi in, modo spontaneo 2. l'insufficienza delle papille dermiche nello strato profondo del derma. Il successo del trapianto di colture di cheratinociti autologhi direttamente nella lesione da ustione rappresenta una pietra miliare nel trattamento delle ferite gravi, anche se questa tecnica non restituisce il derma perduto. Sostituti acellulari biologicamente inerti derivati dal derma si sono rilevati efficaci solo se utilizzati unitamente ad innesti cutanei sottili. Ma i sostituti dermici acellulari forniscono soltanto una porzione nell'accrescimento dermico, essi dunque riducono, ma non eliminano le richieste di derma nella zona donatrice. Sulle basi dettate da Medawar, il quale si accorse nel 1945, che il derma dell'allotrapianto cutaneo era meno immunoreattivo dell'epidermide, Cuono aveva intuito che il derma presente in un allotrapianto di cute può essere reso immunologicamente inerte; egli descrisse la presenza di almeno due potenziali meccanismi in grado di modulare la tolleranza immunologica dell'ospite. Il primo meccanismo: è l'attenuazione dell'immuno-reattività dell'allotrapianto cutaneo, mediante crioconservazione (-70°C per mezzo di un congelamento non programmato, lento e controllato). Il secondo meccanismo: agisce sugli antigeni di II classe del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). www.slidetube.it Gli antigeni di classe I sono localizzati sulla superficie di tutte le cellule nucleate; gli antigeni di II classe si esprimono sulla superficie di un gruppo ristretto di cellule come ad esempio quelle linfoide, tra cui le cellule di Langerhans; queste, poste negli strati sovrabasali dell'epidermide, appartengono alla linea dei monociti/macrofagi; derivano cioè da precursori emopoietici presenti nel midollo osseo e possono considerarsi come parte della famiglia delle cellule capaci di riconoscere, captare e rielaborare, mediante il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC II), molecole "estranee" ad attività antigenica, per poi "presentarle" alle cellule immunocompetenti con conseguente reazione immune verso l'alloderma. Il derma dell'innesto cutaneo a spessore variabile (all'incirca 0,07mm) contiene fibroblasti, cellule endoteliali e cellule di congiunzione epiteliali. Nessuno di questi tipi di cellule rileva antigeni di II classe bensì rappresentano antigeni di I classe. Inoltre alcune cellule endoteliali rappresentano di norma un unico gruppo di antigeni noto come antigeni E. Il loro ruolo non è noto né nei casi di riconoscimento immune né in quelli di rigetto. L'assenza, rimozione o soppressione delle molecole MHC di classe II dal tessuto innestato, rappresenterebbe un mezzo efficace per raggiungere una sopravvivenza a lungo termine dell'alloderma trapiantato. L'attività funzionale delle molecole MHC II, può essere modulata mediante la crioconservazione, alterazione favorita dalla criosuscettibilità delle cellule di Langerhans. Cuono dimostrò pertanto che: la parte dermica di cute umana, vitale, allogenica e crioconservata, fornisce un sub-strato ideale per cheratinociti autologhi il derma allogenico e le colture di cheratinociti autologhi diventano strutturalmente integrate formando una ricostruzione di cute permanente e duratura. Il trattamento delineato da Cuono consiste nel coprire la superficie ustionata ed escarectomizzata, con cute allogenica crioconservata e vitale. Successivamente l'epidermide dell'allotrapianto viene rimossa per mezzo dell'abrasione. Secondo le teorie di Cuono la rimozione dell'epidermide allogenica, elimina gran parte delle cellule che sostanzialmente rappresentano gli antigeni di classe II, lasciando un strato allogenico vitale che non produrrà rigetto. Quindi il derma allogenico rappresenterebbe un substrato favorevole al trapianto di cheratinociti autologhi ottenuti per mezzo di coltura. Altro fattore da tenere in considerazione è da collegare alla proprietà dell'epidermide umana che si auto-rinnova ogni mese, pertanto la persistenza a lungo termine del tessuto rigenerato richiede il trapianto di cellule germinali. E' possibile allora ipotizzare che la mancanza di buoni risultati clinici degli innesti in coltura o la perdita degli innesti dopo un primo attecchimento sia da imputare alla mancanza di cellule germinali nella coltura. Attualmente il moderno trattamento delle ustioni estese ed a tutto spessore, prevede l'escissione del tessuto necrotico mediante dermotomi manuali od elettrici. Il sito della ferita viene coperto utilizzando omoinnesti cutanei a rete amplificati con rapporto di 1:1,5, prelevati da un donatore vivente o da cadavere (Vedi fig. 18) (Vedi fig. 19) (Vedi fig. 20) (Vedi fig. 21) . Lo spessore di tali innesti deve garantire la presenza, nel loro contesto di uno strato consistente di derma (0,60-0,80 mm.). Due settimane circa più tardi, l'epidermide del donatore che non è stata autonomamente rigettata, viene rimossa, sempre mediante dermatomo (0,10-0,20 mm.) o dermoabrasione allo scopo di mantenere sul letto della ferita l'omoderma, allogenicamente inerte, su cui applicare gli autoinnesti coltivati di cheratinociti su supporti di acido ialuronico, fibrina o altro (Vedi fig. 22) . www.slidetube.it Dopo la dermoabrasione il letto ricevente si presenta con un evidente aspetto di derma sano e punteggiato di sangue. La biopsia di tale letto non evidenzia la presenza di elementi epiteliali. L'emostasi è ottenuta grazie alla applicazione di soluzioni di epinefrina (1:200.000). I lembi di cheratinociti e il materiale di supporto si applicano sul letto dermico allogenico. Le aree trapiantate sono successivamente coperte con garze imbevute di petrolato o silicone e a riposo per circa sette giorni. Al primo cambio di medicazione dopo sette giorni, gli innesti appaiono con un caratteristico aspetto opalescente ed aderiscono al derma sottostante. Il migliore indicatore, di innesto ben riuscito, è lo sviluppo rapido dell'epidermide oltre il profilo marginale. A dodici settimane dall'innesto la cute recupera la normale resistenza al taglio e mostra una normale integrazione di fibrille di collegamento (Vedi fig. 23) (Vedi fig. 24) . Fibre collagene di IV tipo e laminina, elementi caratteristici della lamina basale ovvero connessione dermo-epidermica (DEJ), sono state dimostrate istologicamente a partire dal 14° giorno successivo all'innesto, entrambi sintetizzati dai cheratinociti. Alloinnesti di cute. La necessità di disporre di grandi quantità di cute omologa in caso di gravi ustioni o di vaste perdite di sostanza secondarie ad incidenti stradali, eventi bellici e disastri industriali ha stimolato le ricerche su questo argomento al fine di conoscere, oltre alle problematiche connesse al rigetto, anche gli aspetti clinici legati all'uso degli alloinnesti come copertura biologica temporanea. In effetti molto progresso è stato realizzato grazie alle tecniche di conservazione per raggiungere una maggiore permanenza nell'ospite. Gli alloinnesti di cute a spessore parziale vengono adoperati come sostituti temporanei della cute autologa nel trattamento di ustioni a tutto spessore interessanti piu del 60% della superficie corporea. Vengono solitamente applicati, dopo escarectomia, su zone riceventi per le quali non sono disponibili innesti autologhi, allo scopo di ridurre la termo-dispersione, la perdita di acqua, elettroliti e metaboliti, la contaminazione batterica e la sintomatologia dolorosa in attesa the si possano prelevare autoinnesti di cute a spessore parziale da zone donatrici o si rendano disponibili sostituti cutanei permanenti quali le colture di cheratinociti, o autoinnesti per la copertura definitiva delle piaghe. Le fonti degli alloinnesti di cute sono il prelievo dal cadavere, da pezzi operatori (ad esempio arti amputati o tessuti di scarto ottenuti da dermolipectomie addominali o interventi di mastoplastica riduttiva) e da donatori volontari che sono in genere consanguinei del paziente ricevente. Comunque, i soggetti donatori devono essere esenti da malattie infettive, oncologiche e dermatologiche e devono rispondere ai requisiti della vigente legge sulla donazione degli organi. In alcune comunità il prelievo di cute da cadavere e vietato o fortemente limitato per motivi di ordine legale, religioso, etico o semplicemente logistico. Per i prelievi da cadavere in Italia, a necessaria, secondo quanto disposto dalle leggi sui trapianti, 1'autorizzazione specifica del Ministero della Sanità (Legge 644 del 2/12/75 e D.P.R. 409 del 16/6/77), recentemente tale norma è stata derogata alle Regioni. Le tecniche di prelievo degli alloinnesti non differiscono da quelle del prelievo di cute autologa. Dal cadavere possono essere prelevati innesti di cute a medio spessore, sotto forma di strisce di cm 20 x 7, che possono giungere fino a complessivi 5.000 cm2. Gli alloinnesti possono essere impiegati freschi o conservati, in quanto si è dimostrato che i vari metodi di conservazione hanno la capacita di ridurre, in misura diversa fra loro, il potere antigenico degli allo- e degli eteroinnesti. Le tecniche di conservazione possono essere a breve o a lungo termine. www.slidetube.it Per brevi periodi, dopo il prelievo, la cute viene di norma avvolta in garza grassa, in garza imbibita di soluzione fisiologica ed in garza asciutta e quindi posta in busta di plastica e refrigerata alla temperatura di normali frigoriferi (+4 °C). Se le manovre di prelievo, manipolazione e conservazione vengono eseguite sterilmente e la temperatura viene mantenuta costante, gli alloinnesti si mantengono vitali per un periodo di 7-10 giorni (Waymack e Pruitt). Un'altra metodica di conservazione a breve termine prevede l'immersione degli innesti in un mezzo di coltura prima della refrigerazione a +4 °C. Normalmente si adoperano Soluzioni bilanciate di Earle e siero umano, in rapporto di 9:1, addizionate con antibiotici e rosso fenolo, quest'ultimo utilizzato come indicatore della presenza di metaboliti acidi. Quando il colorante si schiarisce e vira all'arancione, la soluzione va sostituita. In questa maniera la cute può essere conservata per 6-8 settimane (Mazzoleni). La vitalità e quindi la capacita di attecchimento degli alloinnesti refrigerati a +4°C decresce in misura direttamente proporzionale al tempo di conservazione. Data la incostante disponibilità di alloinnesti cutanei freschi e la ridotta sopravvivenza degli innesti conservati in frigorifero, dalla fine degli anni sessanta sono state tentate diverse metodiche di conservazione mediante congelamento, utilizzando temperature fino a -196 °C (Arhreya). Successivamente è stata proposta una tecnica di congelamento a -70 °C, che consente una conservazione degli innesti praticamente indefinita, a condizione che la sterilità e la temperatura di congelamento vengano mantenute nel tempo, riducendo nel contempo i danni cellulari prodotti da temperature troppo basse (Ninnemann). Al momento dell'impiego la cute è rigenerata mediante immersione in soluzione fisiologica a 37 °C. Due metodiche alternative di conservazione non votale degli alloinnesti sono la refrigerazione a +4 °C previo trattamento dell'innesto con glicerolo all'85% (Vloemans) e la liofilizzazione che determina la rimozione della componente acquosa dei tessuti e non consente la sopravvivenza cellulare, mentre mantiene intatte le capacità e le proprietà fisiche. Gli innesti di cute liofilizzata vengono rigenerati dopo immersione in soluzione fisiologica a 37 °C, il loro uso dopo reidratazione può essere considerato come medicazione biologica. La stimolazione immunologica provocata dall'alloinnesto nel ricevente è direttamente proporzionale alla vitalità, che dipende dal tipo di donatore e dalle modalità di conservazione ed e quindi massima per gli alloinnesti freschi, intermedia per quelli conservati a bassa temperatura e nulla per quelli liofilizzati. Gli alloinnesti conservati a +4 °C, a "70 °C ed a -196 °C senza crioprotettori, attecchiscono al fondo ed hanno aspetto roseo; mentre quelli conservati a -196 °C con crioprotettori e quelli liofilizzati semplicemente aderiscono al fondo mantenendo un colorito biancastro. E' bene ricordare che le proprietà antigeniche degli alloinnesti sono proprie della componente epidermica, più specializzata, mentre il derma allogenico ha mostrato essere quasi del tutto inerte. Allo stato attuale, l'impiego routinario degli omoinnesti come riparazione definitiva di perdite di sostanza cutanee appare solo come una possibilità sperimentale, mentre è ben collaudato l'utilizzo dell'omoderma come letto per l'attecchimento delle colture di cheratinociti, o il loro impiego come "medicazione biologica". Infatti, l'impiego degli omoinnesti su vaste superfici escarectomizzate riduce le perdite caloriche, proteiche, idro-elettrolitiche, prepara il fondo a ricevere il trapianto definitivo e quindi contribuisce a migliorare le condizioni generali del paziente. www.slidetube.it Più in particolare, gli alloinnesti trovano indicazione in: 1. ustioni dermiche superficiali nelle quali la medicazione previene l'essiccamento e favorisce una riepitelizzazione più rapida con risultati estetici migliori soprattutto alle mani ed al volto inducendo una più corretta e fisiologica disposizione delle fibre collagene del derma (Miller, 1967); 2. ustioni dermiche profonde gli alloinnesti proteggono i gettoni epiteliali integri del derma profondo e quindi favoriscono la riepitelizzazione spontanea; 3. ustioni a tutto spessore, invece, la protezione con alloinnesti va effettuata dopo 1'escarectomia con lo scopo di preparare il fondo deterso a ricevere la copertura con autoinnesti o nell'attesa della crescita dei cheratinociti autologhi e come fonte dell'omoderma; e comunque quando le zone donatrici risultano insufficienti a garantire la copertura totale delle superfici ustionate; 4. medicazione delle zone di prelievo del grande ustionato, con lo scopo di diminuire le perdite caloriche ed idroelettriche e favorire una più rapida guarigione. Va ricordato comunque che storicamente l'utilizzazione di alloinnesti di cute in associazione con gli autoinnesti fu descritta per la prima volta da Jackson nel 1954 come "tecnica delle strisce alternate" di allo- ed autoinnesti di cute a spessore parziale. Questo procedimento, noto anche come tecnica di Mowlem-Jackson, consisteva nell'applicare strisce di autoinnesti alternate a strisce di omoinnesti. Questi ultimi non andavano suturati al fondo ma lasciati esposti per valutare tempestivamente la comparsa dei processi infettivi. In questo modo, le strisce di autoinnesto attecchivano definitivamente mentre le strisce di alloinnesto dapprima attecchivano e successivamente, verso la 7a-10a giornata, l'alloepidermide veniva rigettata mentre viene tollerato l'alloderma. Su queste superfici alternate scoperte avanza lentamente la epidermizzazione degli autoinnesti già attecchiti, completando la guarigione. L'aspetto clinico era tipicamente "zebrato" per l'alternanza dei tessuti e dei fenomeni cicatriziali connessi. Una tecnica concettualmente similare è stata adoperata per più di 30 anni al Jui Chin Hospital di Shangai da Yang su circa 10.000 grandi ustionati. La metodica prevede l'utilizzazione di alloinnesti freschi a spessore parziale nei quali vengono praticate delle fenestrature di 0,25 cm2 alla distanza di 1,5 cm l'una dall'altra. Dopo la copertura delle piaghe con tali alloinnesti, nelle fenestrature vengono posti autoinnesti a spessore parziale di 0,25 cm2. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, gli alloinnesti cosi trattati non vengono, di norma, rigettati. Viceversa, entro 30 giorni dall'intervento, si assiste alla desquamazione spontanea della alloepidermide; simultaneamente si osserva la migrazione centrifuga di cellule autoepidermiche dagli autoinnesti nell'interstizio tra l'alloepidermide in necrosi e l'alloderma che invece si mantiene vitale, sino a formare uno strato continuo che successivamente si differenzia in una neoepidermide multistratificata con un caratteristico aspetto clinico a "ciottolato". Con questa metodica si riesce ad ottenere una espansione dell'autoepidermide di circa 1:20. Questo fenomeno, detto "effetto sandwich", si differenzia notevolmente della tipica reazione di rigetto sopra descritta. Infatti, mentre l'alloepidermide va incontro a necrosi, la matrice e gli elementi cellulari dell'alloderma rimangono inalterati. Nel 1989 Kistler ha documentato in un modello animale, dopo 111 giorni dall'intervento, la presenza nell'alloderma di un mosaico di elementi autogeni ed allogenici. Nel tentativo di spiegare questo fenomeno di "tolleranza", Hufnagel e Coll. (1989) ipotizzarono il ruolo di possibili immunosoppressori locali prodotti dall'autoepidermide, che potrebbero facilitare la sopravvivenza dell'alloderma. Tuttavia si potrebbe addurre come possibile interpretazione alternativa di questo evento, il precoce distacco dell'alloepidermide, determinato dallo scivolamento del-l'autoepidermide al di sotto di essa. www.slidetube.it Tale distacco porterebbe all'allontanamento delle cellule di Langerhans e quindi impedirebbe l'innesco della reazione di rigetto. D'altro canto, l'alloderma, caratterizzato in condizioni normali da una ricca antigenicità, non sarebbe in grado da solo di indurre una reazione di rigetto e quindi verrebbe tollerato e parzialmente ripopolato da gettoni fibrovascolari provenienti dal fondo. Una indagine condotta nel 1989 da Kristel sulla distribuzione dei linfociti T-helper e T-suppressor del paziente nei tessuti innestati, ha evidenziato una elevata concentrazione di cellule suppressor negli autoinnesti, ed in particolare a livello della giunzione dermo-epidermica. Inoltre, è stata documentata la presenza di un numero notevolmente ridotto di cellule di Langerhans nell'autoepidermide migrata sull'alloderma. Al momento non è tuttavia possibile alcuna interpretazione definitiva di questi dati. Una tecnica simile a quella di Yang e stata proposta da Zhang e coll. (1986). Secondo questa metodica un innesto di cute autologa viene ridotto con le forbici in minutissimi frammenti che poi vengono fatti aderire con la loro superficie epidermica alla superficie dermica degli alloinnesti e successivamente applicati sulle zone riceventi. Gli alloinnesti vengono rigettati normalmente ma al di sotto di essi l'autoepidermide migra dagli autoinnesti e ricopre le piaghe prima che il rigetto della cute allogenica si completi. Si tratta di una tecnica molto efficace, nonostante la metodica sia molto indaginosa, in quanto consente una espansione della autoepidermide di circa 1:15. Xenoinnesti. A completamento va ricordato che la moderna tecnologia mette a disposizione del chirurgo plastico numerosi materiali di copertura cutanei che possono essere classificati in: biologici, sintetici, biosintetici, naturali e cellulari, la cui composizione chimico-ficica è varia. II ruolo da essi svolto deve essere la limitazione delle perdite caloriche, idro-elettrolitiche e proteiche dalla piaga, un migliore detersione del fondo, una marcata riduzione del dolore ed una riduzione dei tempi di guarigione. Essi derivano dal concetto di "sostituti della cute" o "cute artificiale" che da tempo affascina i ricercatori. Una discussione esauriente sulle proprietà chimico-fisiche dei diversi prodotti disponibili in commercio esula dagli scopi di questa trattazione e pertanto per ciò si rimanda a specifiche pubblicazioni. Anche gli xenoinnesti vengono considerati tra i sostituti cutanei temporanei (Bromberg). Essi provengono in genere dal maiale, la cui cute ha affinità con quella umana, ma naturalmente, non possono essere utilizzati freschi in quanto possono determinare, oltre alla inevitabile reazione di rigetto, gravi reazioni anafilattiche. Pertanto gli xenoinnesti di cute di maiale vengono sottoposti ad un trattamento di conservazione (liofilizzazione) che ne annulla i poteri antigenici e quindi conservati a temperatura ambiente in contenitori di stagnola contenenti argento micronizzato, sostanza dotata di potere antisettico. In tal modo essi possono essere disponibili immediatamente e, dopo rigenerazione mediante immersione in soluzione fisiologica a 37 °C, vengono applicati sulla superficie della piaga. Essi non attecchiscono neppure temporaneamente ed hanno una scarsa aderenza al fondo, ma garantiscono la efficace copertura delle piaghe sottostanti qualora si abbia l'accortezza di rinnovarli frequentemente per prevenire le infezioni che si sviluppano nell'interfacie fra lo xenoinnesti ed il fondo. Questa complicanza ne limita, attualmente, la loro utilizzazione e la loro scelta è spesso solo dettata dal basso costo. www.slidetube.it Fig. 11: Ustione di 3° grado in 10^ giornata post ustione, sono evidenti le aree periferiche guarite spontaneamente e le aree centrali di distruzione dermica che necessitano di copertura chirurgica. Fig. 12: Ustione di 3° grado: stato del fondo dopo l'escarectomia tangenziale eseguita con il dermotomo elettrico www.slidetube.it Fig. 13: Ustione di 3° grado: guarigione dopo 7 giorni dall' autoinnesto di cute a medio spessore. Fig. 14: Ricostruzione del viso con autoinnesti di cute, prelevati dal cuoio capelluto, rispettando le unità estetiche. Visione destra www.slidetube.it Fig. 15: Ricostruzione del viso con autoinnesti di cute, prelevati dal cuoio capelluto, rispettando le unità estetiche. Visione sinistra Fig. 16: Ricostruzione del viso con autoinnesti di cute, prelevati dal cuoio capelluto, rispettando le unità estetiche. Visione anteriore Fig. 17: Innesto a rete: innesto ampliato (1:2) mediante utilizzo di mesh-graft in modo di ottenere la copertura di una superficie fino a sei volte maggiore rispetto all'aera di prelievo. www.slidetube.it Fig. 18: Paziente con 12 ore di vita, esposto alla nascita ad acqua bollente con conseguenti ustioni di 2° e 3° grado per il 50% della superficie cutanea (40% 3° grado). Il colorito rosso scuro delle escare è dovuto al minimo spessore cutaneo. Fig. 19: Visione delle regioni posteriori e laterali destre www.slidetube.it Fig. 20: Si esegue escarectomia chirurgica precoce in quinta giornata. Fig. 21: Copertura delle aree cruentate dopo escarectomia precoce con omoinnesti freschi a rete. Fig. 22: In diciannovesima giornata viene eseguita la rimozione chirurgica dell'omoepidermide e l'apposizione delle lamine di cheratinociti coltivati. www.slidetube.it Fig. 23: Aspetto delle lesioni guarite dopo 6 settimane dall'ustione. Fig. 24: Aspetto delle lesioni guarite a 6 settimane dall'ustione (particolare). www.slidetube.it Complicanze Complicanze precoci Le numerose complicanze che insorgono nel decorso della malattia da ustione possono essere sia la conseguenza diretta dell'evento termico che secondarie alla prolungata immobilizzazione, ai disturbi del metabolismo alle infezioni ed anche alle manovre terapeutiche, chirurgiche ed anestesiologiche. La Tabella I ne riassume le principali. Le più gravi e frequenti sono l'infezione e la sepsi, it polmone da shock, la coagulazione intravascolare disseminata (CID) e l'ulcera di Curling (ulcera da stress). Infezione e sepsi Per un breve periodo dopo il trauma termico la superficie ustionata è sostanzialmente sterile. La colonizzazione batterica avviene per via endogena ed esogena dopo le prime 48 ore. Ancora oggi è fonte di controversie quale fra i due sia il meccanismo predominante. Nel corso degli anni l'introduzione di nuovi antibiotici e di antibatterici topici ha modificato l'incidenza della flora patogena. Attualmente si assiste alla crescente incidenza delle infezioni da stafilococco aureo ed a quelle da gram-negativi (Acinetobacter, Escherichia, Klebsiella, Pseudomonas, Proteus, Providencia) ed all'aumento delle infezioni virali e micotiche. Holder ha evidenziato le fasi batteriologiche che caratterizzano it decorso del grande ustionato: " iniziale colonizzazione di germi gram+ (stafilococchi e streptococchi) " periodo della flora mista (gram+ e gram-): 4°-20° giorno; " ricomparsa degli stafilococchi durante il periodo di guarigione nel quale permangono aree di granulazione. TAB. I. Complicanze. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. CARDIACHE: infarto, aritmie DIGESTIVE: gastrite, ulcera di Curling, lesioni epatiche EMATOLOGICHE: anemia, CID POLMONARI: inalazione, broncopolmonite, embolia, edema, ARDS RENALI: insufficienza renale acuta URINARIE: cistiti, pieliti MUSCOLO-SCHELETRICHE SETTICHE: a focolaio, sepsi CUTANEE: retrazione, cancerizzazione TAB. II. Segni di infezione locale. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Aree di discromie focali (brune o nere) Trasformazione di ustioni superficiali in ustioni profonde Tessuto sottocutaneo con soffusione emorragica Aumentata essudazione Arrossamento e edema della cute sana circostante Ectima gangrenoso Essudazione azzurro-verdastra (infezione da pseudomonas aerug.) Formazione di ascessi e colliquazione dell'escara www.slidetube.it Indagini batteriologiche condotte presso il Centro Ustioni di Catania confermano la comparsa dello stafilococco patogeno prevalentemente in fase precoce, mentre lo Pseudomonas aeruginosa si evidenzia con maggiore frequenza in fase tardiva, cioè dopo la II-III settimana. In tale indagine è stata anche dimostrata la differente colonizzazione batterica nelle ustioni delle diverse aree anatomiche, con prevalenza degli stafilococchi patogeni all'estremo cefalico, agli arti superiori ed alla superficie posteriore del torace. All'addome predomina lo Pseudomonas, mentre nei glutei ed al perineo vi è una netta prevalenza di Proteus mirabilis ed Escherichia coli. I segni locali di infezione della superficie ustionata sono riassunti nella Tabella II. La setticemia si manifesta quando la concentrazione batterica nelle aree ustionate è maggiore di 100.000 germi per grammo di tessuto. In questo caso i germi si diffondono ai tessuti sani per via ematica e linfatica determinando linfangiti, localizzazioni secondarie e metastasi settiche. La sepsi generalizzata a pertanto la complicanza più frequente nei pazienti con ustioni superiori al 40-60% della superficie cutanea. Le manifestazioni cliniche insorgono in genere entro tre settimane dall'ustione. Il paziente presenta iper- o ipotermia, pallore, prostrazione, anemia, ileo paralitico. Nei casi di sepsi conclamata, particolarmente nei bambini, si possono osservare nella cute sana del tronco e degli arti, tipiche lesioni ecchimotiche con piccole "escare", definite da Enlens nel 1890 come "ectima gangrenoso" o "eritema a coccarda", determinate da microtrombosi settiche nei piccoli vasi. L'insuccesso della terapia antibiotica, fenomeno abbastanza frequente nel paziente ustionato, è influenzato da numerosi fattori che modulano l'interazione tra farmaco, microrganismo ed ospite, la cui conoscenza costituisce la base di una moderna antibioticoterapia. L'orientamento attuale a quello di praticare quotidianamente esami batteriologici su tamponi cutanei delle aree ustionate o su biopsie di tessuto ustionato e, dopo aver tipizzato il germe, di saggiarne la sensibilità ed utilizzare l'antibiotico più efficace. Attualmente sono di uso routinario, oltre all'associazione tra aminoglicosidi ed i glicopeptidi, le cefalosporine della 3a e 4a generazione, i chinolonici ed i fluorchinolonici. Un ruolo essenziale è però oggi attribuito alla rigorosa profilassi volta ad impedire la contaminazione batterica esogena, al potenziamento delle difese immunitarie, nonché ad un efficace trattamento locale. Questa complessa strategia che tende a ridurre la carica batterica poggia in gran parte sull'educazione del personale di assistenza e sull'adeguata strutturazione dei Centri per grandi ustionati che consente di diminuire la contaminazione crociata. L'ingegneria medica ha inoltre consentito di risolvere molti dei problemi connessi all'ottimizzazione dell'assistenza nei centri di terapia intensiva che ormai possono disporre di box a pressione positiva con porte automatiche, di letti ad aria fluida che regolano un microclima ottimale e consentono 1'essiccazione delle superfici ustionate (Fig.), di cappe a raggi UV, di flussi laminari, di sistemi di condizionamento con ricambio frequente e totale dell'aria introdotta sterilmente. L'ossigenoterapia iperbarica (OTI) può trovare valida indicazione nel trattamento delle infezioni sostenute da germi anaerobi. Questi moderni presidi peraltro non esimono il personale dall'adottare scrupolosamente tutte quelle precauzioni ormai codificate nel trattamento dell'ustionato (filtri millipore per i deflussi delle infusioni, materiale di medicazione monouso, vestiario e biancheria sterile e disposable) che consentono di diminuire ulteriormente le possibilità di infezione. www.slidetube.it Polmone da shock (ARDS) E' una sindrome definita come "insufficienza respiratoria acuta progressiva" che, sempre più frequentemente viene riscontrata a partire dalla 3a-4a giornata. E' caratterizzata dalla formazione in sede intra-alveolare di un essudato ricco di fibrina che successivamente, organizzandosi, conduce alla formazione di membrane ialine e ad una ridottissima compliance polmonare. L'eziologia sarebbe da attribuire ad una CID distrettuale conseguente alle alterazioni emodinamiche dello shock, spesso settico od a una sindrome da deficit multiorgano (MOFS). La sintomatologia a caratterizzata da ipossiemia, alcalosi respiratoria e tachipnea e, radiologicamente, dal reperto di "polmone bianco" o a "tempesta di neve" (Snow storm effect degli autori anglosassoni), per la presenza di vaste aree di atelettasia. Il decorso spesso infausto a rapidissimo. La terapia consiste nella correzione dello shock settico mediante infusione di liquidi ed antibiotico-terapia, ossigeno-terapia in maschera o nei casi più gravi mediante intubazione orotracheale e PEPP (respiratore a pressione positiva), antitrombina III ad alti dosaggi; controverso è l'uso dei corticosteroidi. La MOFS è una sindrome distinta clinicamente caratterizzata da una sepsi secondaria precoce, instabilità emodinamica, disfunzione renale, disfunzione intestinale, disfunzione epatica e progressiva infezione; attualmente è da ritenersi come il risultato non compensato della risposta immunologica dell'organismo al trauma severo (Goodwin, 1990), il mancato controllo immunologico, in termini di inappropriato rilascio di citochine, può contribuire all'insorgenza di questa sindrome (Meakins, 1990). Coagulazione intravascolare disseminata (CID) E' caratterizzata da una diffusa e progressiva coagulazione intravasale, soprattutto a livello del microcircolo. Le alterazioni della bilancia emostatica, susseguenti al trauma termico, con consumo dei fattori della coagulazione, determinano una ipercoagulabilità più o meno marcata con emorragie irrefrenabili nei focolai di ustione ed in altri distretti quale 1'apparato gastro-enterico, sino a quadri di gastrite acuta erosiva. La causa più probabile è lo shock settico, prevalentemente da germi gram negativi, per cui occorre istituire precocemente una terapia di prevenzione allo scopo di ripristinare il microcircolo, somministrando eparina o antitrombina III e terapia antibiotica mirata. I tests della coagulazione, effettuati routinariamente, possono svelare precocemente le alterazioni emocoagulative. Ulcera da stress Le ulcere da stress che compaiono nell'ustionato sono conosciute come ulcere di Curling, e comprendono le ulcerazioni acute che interessano sia il duodeno che lo stomaco. La formazione delle ulcere si presta a varie interpretazioni patogenetiche si pensa infatti che esse siano dovute ad alterazioni del muco gastrico, ad ipersecrezione di acido cloridrico, ad aumentata permeabilità della mucosa gastrica conseguente a diffusione retrograda di ioni idrogeno, a riflusso di bile, ad ischemia locale della mucosa da alterato flusso ematico. I reperti piu significativi, nei pazienti affetti da questa patologia, sono la necrosi locale, osservabile sia endoscopicamente che istologicamente e le alterazioni ischemiche della mucosa. Tutto ciò dimostra che nella formazione delle ulcere di Curling, il ruolo maggiore viene sostenuto, a livello della mucosa, dal flusso ematico. www.slidetube.it La terapia profilattica si basa sull'uso, sin dalla prima giornata, di farmaci H2-antagonisti o modulatori della pompa ioni H+, antiacidi e sulla precoce ripresa dell'alimentazione enterale precoce. La terapia medica delle emorragie in atto, utilizza i normali presidi terapeutici delle emorragie intestinali in pazienti non ustionati. Le misure terapeutiche prevedono emotrasfusioni, il lavaggio dello stomaco con soluzioni ghiacciate, la nutrizione parenterale totale, gli H2-antagonisti, la somatotropina. E' stata anche tentata la cateterizzazione regionale selettiva, con infusione arteriosa o venosa di pitressina, tuttavia se la terapia medica si dimostra insufficiente (emorragia non compensabile) è obbligatorio intervenire chirurgicamente. La vagotomia con antrectomia o la gastrectomia subtotale con resezione dell'ulcera sono gli interventi di scelta, anche se nel tempo e da diversi Autori sono stati proposti altri tipi di intervento che vanno dalla gastrectomia totale alla vagotomia superselettiva e piloro-plastica. E' bene comunque ricordare che la terapia chirurgica dell'ulcera da stress è gravata da una percentuale di insuccessi variabili tra il 75 ed il 100% dei casi. Complicanze tardive La cicatrice patologica La cicatrizzazione patologica è rappresentata da tutte quelle forme cliniche di riparazione cutanea, che assumono, dopo la guarigione, talora molto precocemente, aspetti anormali rispetto al processo regolare di cicatrizzazione. (Vedi fig. 25) E' ormai noto che nelle ustioni, tale tipo di patologia secondaria, trovi la sua più alta espressione per la varietà e la gravità dei quadri clinici, presentandosi, a volte nello stesso soggetto, nelle forme più diffuse di cicatrice ipertrofica, cheloidea e distrofica. Sebbene risulti difficile una netta distinzione tra cicatrice ipertrofica e cheloidea, bisogna tenere presenti alcuni caratteri differenziali nosografici e clinici, ai fini di un'esatta diagnosi e di un giudizio prognostico. La cicatrice ipertrofica è caratterizzata clinicamente da una formazione fibrosa di colorito rosso, rilevata sul piano cutaneo, a superficie irregolare, che si mantiene nei limiti della lesione e tende a regredire spontaneamente. E' molto frequente ad osservarsi nei bambini ed è caratterizzata da una sintomatologia pruriginosa insistente e molesta. L'aspetto istologico presenta un tessuto ricco di fibroblasti e "miofibroblasti". Questi ultimi, evidenziati da Gabbiani nel 1971, sono cellule simili ai fibroblasti ma contenenti fasci di elementi contrattili (filamenti di 40-80 A°) che si fissano alle fibre collagene adiacenti. E'opinione diffusa che tali elementi siano parzialmente responsabili dei fenomeni di retrazione cicatriziale e del disorientamento del collageno, caratteristico delle cicatrici ipertrofiche. La cicatrice cheloidea (dal greco chela), per la prima volta descritta dal dermatologo francese J.L. Alibert nel 1817, è clinicamente caratterizzata da una placca rilevata e ben demarcata, spesso pruriginosa e dolorosa che tende all'accrescimento laterale, non regredisce spontaneamente nella gran parte dei casi e, se escissa chirurgicamente, recidiva. L'aspetto istologico a caratterizzato dalla presenza di larghe bande collagene primitivo, vitree, ialine, acidofile, riunite spesso in strutture similnodulari o a spirale, ricche di sostanza fondamentale (ac. ialuronico, condroitinsolfato) e assai povere in componente cellulare fibroblastica. www.slidetube.it La cicatrice distrofica conseguente ad una epidermizzazione spontanea di vaste aree, si presenta biancastra con sottile epitelio senza annessi, è facilmente sede di lesioni ragadiformi ed ulcerative, soprattutto se posta in sedi di sollecitazione meccanica. Risulta pertanto imperativo riparare queste cicatrici, sede di ulcerazioni croniche, spesso recidive, al fine di sostituire il tessuto cicatriziale con cute normale. Ciò serve a prevenire la metaplasia tumorale (epitelioma baso- o spinocellulare, sarcoma) che si osservano con una certa incidenza (ulcera di Marjolin). Terapia. Il trattamento delle cicatrici ipertrofiche e cheloidee costituisce, ancora oggi, un problema attuale nei suoi vari aspetti, sebbene numerosi presidi terapeutici siano a disposizione (Tab. VI). TAB. VI. Trattamento locale delle cicatrici patologiche. Iniezioni intralesionali Radioterapia Crioterapia Chirurgia: plastiche a Z, innesti, trazione Massaggio Compressione L'incostante risultato dei vari trattamenti proposti dipende dal fatto che, mentre essi agiscono sufficientemente sulle cicatrici ipertrofiche, poca efficacia esercitano sulle cicatrici cheloidee. Merita di essere segnalato il trattamento più attuale mediante indumenti che esercitino una compressione elastica continua sulla cicatrice superiore ai 25 mmHg (pressione capillare) che, a nostro avviso, va attuata molto precocemente nelle ustioni in via di guarigione spontanea, nelle ustioni riparate con innesti per contrastare la retrazione tipica dopo l'attecchimento e nelle cicatrici ipertrofiche. La elasto-compressione consentirebbe un riorientamento dei fasci di fibre collagene linearmente e parallelamente al piano della superficie corporea, mentre l'ipoperfusione, conseguente alla compressione dei capillari del tessuto cicatriziale, creerebbe un ambiente poco favorevole alla moltiplicazione cellulare ed un'intensificarsi dell'attività collagenasica per aumento della pCO2 e diminuzione del pH col risultato clinico di uno spianamento della cicatrice. Anche se il meccanismo d'azione non è noto, buoni risultati si ottengono mediante l'applicazione, sulle cicatrici cheloidee, di lamine di silicone medicale, utilizzate singolarmente o insieme all'elasto-compressione. Recentemente sono stati messi in commercio preparazioni liquide di silicone che risultano più pratiche per piccole aree ed in zone del corpo, quali il viso o il collo, di difficile gestione. Trattamento delle cicatrici retraenti. Per comprendere il meccanismo di formazione delle cicatrici retraenti, bisogna ricordare l'evoluzione del processo di riparazione delle ustioni di 2° e 3° grado poste in particolari sedi, in corrispondenza cioè di pieghe naturali o articolari. In questi casi, dopo la demarcazione del tessuto necrotico, la contrazione dei margini, con il concorso attivo delle fibre connettivali, realizza cicatrici retraenti inestensibili ed invalidanti, che possono assumere anche l'aspetto clinico delle cicatrici ipertrofiche o cheloidee. Le sedi più frequentemente colpite sono le strutture nobili del viso (palpebre, labbra, vestibolo nasale), le pieghe della regione cervicale, le ascelle in toto o isolatamente i suoi pilastri, il gomito, l'inguine, il poplite, le pieghe della mano, la regione sternale o mammaria, dove le cicatrici, retraendosi, costringono o dislocano le mammelle, talora contemporaneamente. Pure se la condotta moderna del trattamento delle ustioni in queste sedi tende a prevenire o a ridurre la formazione delle cicatrici retraenti, limitando gli atteggiamenti eclatanti di un tempo, tuttavia ancora oggi, sia pure in grado minore, molti sono i casi che richiedono l'intervento correttivo. Si tratta per lo più di esiti cicatriziali in pazienti estesamente ustionati o che abbiano presentato particolari problemi nel decorso della malattia da ustione. www.slidetube.it Il trattamento delle cicatrici retraenti, come si può comprendere, varia a seconda della sede, della gravità e delle condizioni della cute delle regioni contigue. Vengono infatti utilizzate tecniche ricostruttive mediante l'impiego di autoinnesti spessi di cute, di plastiche a Z, o di mobilizzazione di lembi monopeduncolati di vicinanza, lembi muscolo-cutanei, lembi liberi (free flaps), metodi combinati. Infine, vanno ricordate le notevoli possibilità offerte in questo campo dall'utilizzazione degli espansori cutanei, possibile quando le aree contigue alla cicatrice retraente siano integre. Posizionando adeguatamente l'espansore del volume e della forma desiderati, è possibile ottenere in loco la quantità di cute necessaria al riparo. Questa procedura consente di ridurre l'entità delle cicatrici residue nelle aree donatrici e, molto spesso, evita al paziente i rischi connessi ad interventi maggiori e ripetuti nel tempo. Fig. 25: Retrazione cicatriziale del pilastro anteriore dell'ascella destra