RMP 2 colonne - Recenti Progressi in Medicina

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RMP 2 colonne - Recenti Progressi in Medicina
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Prospettive
Recenti Prog Med 2013; 104: 189-199
Proteomica e medicina personalizzata
Silvia Rocchiccioli1, Lorena Tedeschi1, Lorenzo Citti1, Antonella Cecchettini1,2
Riassunto. Con la pubblicazione del genoma umano è iniziata una nuova era per la bio-medicina, caratterizzata dalla
sfida di condurre studi sui meccanismi patogenetici indagando contemporaneamente metaboliti, DNA, RNA e proteine. È così esplosa la rivoluzione “omica” che ha dato il via
ad una nuova medicina per la quale è stato coniato il termine “omics-based medicine”. Tra le altre “omiche”, la proteomica è stata ampiamente utilizzata in medicina in quanto in
grado di dare una visione della malattia più “olistica” e quindi di fornire una “costellazione” di possibili marcatori specifici, un’impronta molecolare in grado di definire lo stato clinico di un individuo. Il punto di arrivo di un’analisi così completa e dettagliata sarà la “diagnostic-omica” e cioè l’ottenimento di protocolli diagnostici personalizzati con evidenti
vantaggi per la prevenzione e la terapia e sarà raggiungibile solo con una perfetta integrazione tra medico e proteomista. Per agire sui possibili protagonisti del processo patologico possono venire in aiuto gli approcci di knock-down
basati su oligonucleotidi, cioè su strumenti molecolari di derivazione “omica” (antisenso, siRNA, ribozimi, decoys e aptameri) che possono essere usati per colpire a livello trascrizionale o post-trascrizionale la serie di eventi che portano
alla proteina, riducendone conseguentemente la concentrazione. L’individuazione dei meccanismi chiave delle patologie mediante approcci “panoramici” come quelli delle
“omiche”, seguita dalla convalida e dalla descrizione dei processi coinvolti facendo uso di strumenti molecolari specifici,
può portare ad importanti risultati per una medicina sempre più preventiva, predittiva e personalizzata.
Summary. With the disclosure of the human genome a new
era for bio-medicine has arisen, characterized by the challenge to investigate pathogenic mechanisms, studying simultaneously metabolites, DNA, RNA, and proteins. As a result, the “omics” revolution boomed, giving birth to a new
medicine named “omics-based medicine”. Among the other “omics”, proteomics has been widely used in medicine,
since it can produce a more “holistic” overview of a disease
and provide a “constellation” of possible specific markers, a
molecular fingerprinting that defines the clinical condition
of an individual. Endpoint of this comprehensive and detailed analysis is the “diagnostic-omics”, i.e. the achievement
of personalized diagnoses with obvious benefits for prevention and therapy and this goal can be reached only with
a perfect integration between clinicians and proteomists.
To impact on the possible key factors involved in the pathological processes, oligonucleotide-based knock-down
strategies can be helpful. They exploit omics-derived molecular tools (antisense, siRNA, ribozymes, decoys, and aptamers) that can be used to inhibit, at transcriptional or
post-transcriptional levels, the events leading to protein
synthesis, thus decreasing its expression. The identification
of the pivotal mechanisms involved in diseases using global, “scenic” approaches such as the “omics” ones, and the
subsequent validation and detailed description of the
processes by specific molecular tools, can result in a more
preventive, predictive and personalized medicine.
Parole chiave. Genomica funzionale, medicina personalizzata, proteomica, spettrometria di massa.
Key words. Functional genomics, mass spectrometry, personalized medicine, proteomics.
La rivoluzione delle “omiche” in medicina
gna definire come un numero relativamente modesto di geni possa dare origine alla complessità
del fenotipo. Due sono gli errori da evitare: il determinismo – l’idea che tutte le caratteristiche
della persona siano direttamente collegate con il
genoma – e il riduzionismo, cioè la visione che la
comprensione delle funzioni dei geni e delle loro
interazioni possa fornire una descrizione completa e causale della variabilità umana»1. Da quella
data ad oggi la visione si è ulteriormente complicata. La stima del numero di geni codificanti contenuti nell’intero genoma umano si è considerevolmente ridotta. Nell’arco di pochi anni è passa-
Nel 2001, la pubblicazione del genoma umano
decretò l’inizio di una nuova era piena di aspettative e di speranze per la biologia e la medicina. In
realtà l’ottimismo che caratterizzò i primi momenti si smorzò rapidamente tanto che già Venter
et al. nella loro pubblicazione storica su Science
richiamavano alla cautela: «La sequenza del genoma umano non è altro che un primo, esitante,
passo lungo l’eccitante viaggio verso la comprensione del ruolo che il genoma può avere nella biologia dell’uomo. Il passo successivo è chiaro: biso1Istituto
Proteomics and personalized medicine.
di Fisiologia Clinica, CNR, Pisa; 2Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa.
Pervenuto il 26 febbraio 2013.
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Recenti Progressi in Medicina, 104 (5), maggio 2013
dono ad una “visione d’insieme”, facendo uso di
ta dai 36.000 del 2001 (pubblicazione del genoma
tecniche che permettono di individuare il comumano) ai 20.500 di oggi e si pensa che debba esplesso dei geni/proteine/metaboliti che caratterizsere ulteriormente ritoccata al ribasso. Ma la nozano uno specifico stato funzionale di cellule o testa più sconcertante deriva dal fatto che il numero
suti.
dei geni codificanti degli organismi eucariotici
In realtà, fino a pochi anni fa, la cosiddetta
cambia relativamente poco a dispetto delle enornuova fase si era scontrata con la difficoltà di tromi diversità. Il nematode C. Elegans, un organivare gli strumenti adeguati, in termini sia di strasmo che conta poco più di 1000 cellule e dotato di
tegie sperimentali sia di capacità di comprensiopochi organi rudimentali, dispone di un genoma
ne concettuale, necessari per affrontare la comcon circa 20.000 geni codificanti, un numero che si
plessità fisiologica e patologica del sistema vidiscosta di poco dai 20.500 geni del genoma umavente e dare un senso biologico alla quantità imno, una specie che è costituita da centomila mipressionante di dati che avrebbero dovuto essere
liardi di cellule ed è dotata del più complicato asaccumulati. Necessariamente la grande mole di
sortimento di organi e tessuti che si conosca. Codati che deriva dall’uso di questi approcci deve esme se non bastasse, una larghissima porzione del
sere elaborata ed organizzata facendo largo uso
genoma umano è trascritta in maniera pervasiva,
di strumenti bioinformatici. Ma siamo solo agli
ma di questo trascritto solo l’1,5% è tradotto in
inizi e manca ancora una metodologia consolidaproteina. Le funzioni del rimanente 98,5% sono
ta di integrazione delle “omiche”, anche se la
per la maggior parte sconosciute (dark matter)2.
bioinformatica sta facendo dei passi da gigante in
La prospettiva nell’avanzamento della conoscenquesto senso. Infatti, i diversi metodi di interpreza riguarda, pertanto, la comprensione del ruolo
tazione dei dati provenienti dalle “omiche” (oltre
dei cosiddetti “non-coding RNA” e dei meccanismi
che dalla clinica), intrecciati con le banche di daepigenetici che controllano in maniera fine
ti internazionali, stanno ponendo le basi di quell’espressione dei geni codificanti. Vi sarebbe un lila nuova disciplina di indagine definita “systems
vello esteso di modulazioni epigenetiche, di “RNAbiology”, biologia dei sistemi3,4. Questa impostaediting”, di mobilità controllata di elementi trasponibili che renderebbe ragione delle profonde
zione olistica e multidisciplinare consentirà di sudiversità fra le specie viventi. Gli organismi più
perare la visione riduzionistica dei più limitati
complessi sono, infatti, dotati di un corredo di
metodi di indagine convenzionali e fornirà ipotesi dinamiche di associazioni, interazioni, mecca“non-coding RNA” considerevolmente più elevato
nismi su cui poter basare le future interpretaziodegli organismi più semplici, a dispetto delle picni sia diagnostiche sia prognostiche delle patolocole differenze riscontrate nel numero dei geni codificanti. Alterazioni nell’espressione e nelle fungie con ricadute decisive anche sul piano terazioni di questi “non-coding RNA” potrebbero espeutico (figura 1).
sere coinvolte in manifestazioni patologiche2.
La sfida della nuova biomedicina sta nel condurre
gli studi dei meccanismi
della patogenesi indagando
contemporaneamente DNA,
RNA e proteine con nuove
tecnologie in grado di combinare in maniera integrata
analisi complessive ad ampio spettro del modello biologico in esame.
È così esplosa la rivoluzione “omica”, e alla genomica si è associata la proteomica (lo studio della
complessità proteica presente in un organismo), la
trascrittomica (lo studio degli RNA trascritti), l’epigenomica (lo studio dei meccanismi di modulazione dell’espressione dei geni condizionati anche dagli RNA
“non-coding”), la metabolomica (lo studio dei processi
Figura 1. La biologia dei sistemi e le analisi dei singoli dati.
metabolici) e così via. Si
tratta di approcci che ten-
S. Rocchiccioli et al.: Proteomica e medicina personalizzata
L’intervento del medico,
successivo ad un’analisi olistica ottenuta con uno studio globale dei sistemi, potrà
essere più sinergico ed individualizzato e soprattutto
più flessibile e aperto ad un
uso integrato dei farmaci.
Le informazioni relative
ad una condizione patologica
e derivate da studi “omici”
porteranno inevitabilmente
ad una nuova medicina, più
predittiva e preventiva, per
la quale è stato coniato anche
un nuovo termine: “omics-based medicine”5. Questa medicina post-genomica e basata sulle “omiche” dovrebbe
fornire informazioni più articolate e dettagliate sulle “cellule malate” e sulle loro interazioni con i tessuti circoFigura 2. Le “omiche” e la medicina personalizzata.
stanti. Informazioni che cambiano a seconda dello stato
di avanzamento della malatmenti; 9) studi dei circuiti di segnalazione e metatia e della sua distribuzione spaziale, e non risultabolici (signaling and metabolic pathways); 10) anano cristallizzate come quelle incentrate unicamente
lisi degli effetti dell’azione dei farmaci; 11) studi di
sulla genomica che, da sola, sarebbe in grado di pretossicità9. Una branca emergente della proteomidire in maniera parziale quando e come la malattia
si possa manifestare e progredire.
ca ha come obiettivo lo studio delle funzioni delle
Insomma, una medicina con le 4p (personalizzaproteine ed è quella disciplina che maggiormente si
ta, predittiva, preventiva e partecipativa)6,7 sogno
può integrare con la medicina molecolare allo scodi ogni medico, ricercatore e soprattutto paziente (fipo di individuare gli eventi causali responsabili
gura 2). In questo contesto si inserisce la proteomidell’insorgenza di una malattia10. Questo percorso
ci porta inevitabilmente ad un’altra “omica”, la feca, la disciplina che fra le diverse “omiche” riveste
nomica, e cioè lo studio delle variazioni fenotipiche
un interesse del tutto particolare perché descrive
di un individuo, per esempio il confronto tra i tratpiù da vicino il fenotipo istantaneo di una data conti patologici e quelli sani11. Fine ultimo di questa
dizione patologica. Infatti, l’insieme delle proteine
contenute in un determinato sistema cellulare è redisciplina è di costruire una rete di conoscenze mosponsabile dell’esecuzione del programma genetico
lecolari tale da permettere predizioni cliniche prevariamente regolato e, in ultima analisi, descrive
cise per una terapia personalizzata. Diventa così
l’omeostasi della cellula nel contesto in cui si trova.
essenziale ottenere profili proteomici di tessuti
normali e patologici per individuare la combinazione di proteine che fornisce un contributo sostanziale nello stabilire i due fenotipi nel contesto
La proteomica
genetico individuale specifico.
La proteomica ha il grosso vantaggio di poter
Il proteoma è l’insieme delle proteine di una celaspirare alla comprensione olistica delle funzioni e
lula o di un tessuto e la proteomica studia struttudella struttura delle proteine, informazioni che non
ra e funzioni delle proteine e come interagiscono
possono derivare da altre “omiche” che, per esempio,
tra loro. Mentre il genoma di un organismo non
non possono analizzare importanti campioni biolocambia ed è ereditariamente determinato, il progici e diagnostici come i fluidi cellulari, le piastrine,
teoma cambia nel tempo ed è specifico di ogni celle secrezioni ed escrezioni tessutali. Un ampio relula8. Il termine proteomica comprende molte aree
pertorio di informazioni può essere ottenuto dalla
di ricerca: 1) identificazione del proteoma del siproteomica attraverso lo sfruttamento di diverse tecstema e profilo proteico; 2) determinazione delle
nologie all’avanguardia e in espansione (figura 3).
funzioni delle proteine; 3) caratterizzazione delle
modificazioni post-traduzionali; 4) analisi struttuTra i molteplici obiettivi della proteomica quelrali; 5) studio della regolazione dell’attività delle
li più peculiari sono l’identificazione e il sequenziamento delle proteine. Il primo permette di indiproteine; 6) analisi delle interazioni tra le proteine;
viduare le proteine, mentre il sequenziamento ha
7) analisi della formazione dei complessi; 8) indacome scopo di determinare l’esatta sequenza pepgini del traffico intracellulare (intracellular traftidica nella proteina.
ficking) e della distribuzione nei diversi comparti-
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Figura 3. Le tecniche in proteomica per l’analisi del campione.
TECNICHE DI SEPARAZIONE DI PROTEINE E PEPTIDI:
LA PROTEOMICA D’ESPRESSIONE
La proteomica d’espressione non è altro che
l’analisi su larga scala dell’espressione proteica in
un sistema biologico, e quindi complesso per definizione, in cui la separazione delle proteine è la
condizione necessaria per ottenere il maggior numero di informazioni possibile.
Tradizionalmente, la proteomica d’espressione è
stata basata sulla separazione delle proteine tramite elettroforesi bidimensionale fino al punto da
essere definita come “lo spettro di massa di uno
spot su un gel”12. L’elettroforesi bidimensionale su
gel di acrilammide si chiama così in quanto permette di separare le proteine sulla base di due parametri ortogonali: nella prima dimensione la separazione avviene in base alla carica della molecola, mentre la seconda dimensione garantisce che le
proteine siano frazionate in base al peso molecolare13. Le proteine vengono quindi separate come
molecole intatte la cui digestione con enzimi noti
(il più comune la tripsina) avviene solo successivamente, al fine di ricostruire la sua sequenza tramite spettrometria di massa. Questa tecnica è stata ed è tutt’ora utilizzata in moltissimi laboratori
in tutto il mondo ed ha permesso la costituzione di
banche dati sempre più ricche che costituiscono
uno strumento indispensabile per tutti i ricercatori. Presenta però anche dei limiti legati soprattutto alla diversità chimica delle proteine presenti
nelle cellule e al loro diverso livello di espressione14. Non sono correttamente o facilmente rivelabili proteine spiccatamente idrofobiche, basiche, di
piccole o grandi dimensioni o scarsamente solubili. Proprio per superare questi limiti, sono state
sviluppate tecnologie alternative come la cromato-
grafia liquida combinata
con la spettrometria di massa (LC-MS/MS)15. Questo tipo di approccio, basato su
una separazione multidimensionale in fase liquida
interfacciata con lo spettrometro di massa, è stato nel
tempo ottimizzato, definito
con il termine di “shotgun
proteomics”16 e consente
l’identificazione di centinaia di migliaia di proteine
con un solo esperimento.
Il meccanismo di separazione dell’HPLC applicato
alla proteomica è basato
sull’instaurarsi di interazioni idrofobiche tra i peptidi e
la fase stazionaria, in genere apolare. La separazione
viene realizzata tramite
eluizione a gradiente con
eluenti che differiscono in
maniera significativa nella
loro polarità; in questo caso,
a differenza della gel-elettroforesi, le proteine devono prima essere digerite da un enzima e i peptidi così prodotti separati tramite HPLC. La proporzione in cui sono miscelati i due eluenti varia durante la corsa cromatografica secondo un particolare gradiente di concentrazione. Il sistema separa
i peptidi in base alle loro caratteristiche idrofile/lipofile. I peptidi meno lipofili saranno i primi ad essere eluiti perché più affini alla fase mobile con
un’alta percentuale di acqua. L’aumento della percentuale di solvente apolare durante la corsa cromatografica rende la fase mobile sempre più competitiva rispetto alla fase stazionaria lipofila. Cresce così la forza eluente necessaria per estrarre i
soluti più fortemente trattenuti dalla fase stazionaria perché lipofili. La presenza di un acido forte
è fondamentale in quanto tale acido aumenta l’efficienza di separazione dei peptidi: in particolare
consente di mantenere i peptidi in una forma ionica ben definita e di tenere protonati i gruppi silanolici liberi della silice di cui è costituita la colonna cromatografica, evitando così interazioni ioniche tra gli analiti e la fase stazionaria.
LA SPETTROMETRIA DI MASSA
Lo spettrometro di massa misura due parametri: la massa della molecola introdotta nello strumento (in questo caso le proteine come peptidi digeriti da tripsina) e l’intensità del segnale che rispecchia il numero di frammenti di stessa massa
rivelati dallo spettrometro. Di conseguenza i picchi di massa sono rappresentazioni (lo spettro) in
due dimensioni delle molecole17.
Due sono gli approcci principali utilizzati per
l’identificazione proteica tramite spettrometria di
S. Rocchiccioli et al.: Proteomica e medicina personalizzata
massa, definiti “bottom-up”
e “top-down” rispettivamente. Il “top-down” prevede
l’utilizzo di proteine intatte
che vengono frammentate
direttamente
all’interno
dello strumento. Il “bottomup” è l’approccio più comune e analizza peptidi derivanti dalla digestione delle
proteine. In questo caso la
metodica più diffusa si basa
sulla rilevazione dell’impronta digitale peptidica
(peptide mass fingerprinting) in cui le masse dei
peptidi vengono acquisite e
confrontate con una lista
generata dalla digestione in
silico di un database proteico o di un database contenente sequenze derivanti
dalla traduzione di sequenFigura 4. Lo spettro di massa e gli approcci di ricerca della sequenza aminoacidica: le banche dati e
ze geniche. Sono così valugli approcci de novo.
tati da software specifici i
candidati più specifici probabili per l’identificazione
ni normali e uno in condizioni patologiche è uno dedi una proteina18,19.
gli obiettivi principali della proteomica.
Se questa ricerca fallisce, o il suo risultato non
Una metodica tradizionalmente usata per moè univoco, è possibile provare a sequenziare la canitorare cambiamenti di espressione proteica è
tena polipeptidica attraverso esperimenti di
quella di sfruttare diverse procedure di coloraMS/MS: a) una completa ricerca tra tutte le sezione dei polipeptidi separati su gel di acrilamquenze di aminoacidi di una certa lunghezza20,21,
mide. Queste metodiche sono però molto lente,
oppure, b) analizzando il grafico dello spettro, indispendiose e di difficile standardizzazione e per
terpretando manualmente i dati MS/MS e realizsuperare questi limiti è stata sviluppata la teczando un sequenziamento de novo.
nica DIGE (Difference Gel Electrophoresis), che
Il primo approccio implica la generazione di
utilizza la possibilità di formare legami covalen200l sequenze di aminoacidi di lunghezza l e degli
ti tra gli ammino-gruppi della lisina con coloranspettri teorici corrispondenti, con l’obiettivo di troti fluorescenti. Vengono così marcate in modo difvare una sequenza con la miglior sovrapposizione
ferenziale le proteine di campioni diversi ed è
tra gli spettri sperimentali e gli spettri teorici.
quindi possibile utilizzare un solo gel per sepaL’approccio mediante l’utilizzo del grafico non imrare le proteine e quantificare le differenze tra
plica la generazione di tutte le sequenze aminoacicampioni, minimizzando la variabilità tra gel.
diche e offre un algoritmo veloce per il sequenziaL’ottimizzazione della metodologia 2D non risolmento del peptide costruendo un grafico dello spetve il problema sostanziale dovuto al fatto che
tro sperimentale. Sfortunatamente gli spettri spel’elettroforesi non è in grado di fornire una raprimentali sono di solito incompleti impedendo una
presentazione completa del proteoma e inoltre fericostruzione certa del peptide. Per questo oggi
nomeni di co-migrazione possono compromettere
molte proteine sono identificate attraverso la ril’analisi. Un passo significativo nella proteomica
cerca in database: uno spettro sperimentale può
differenziale è stato fatto quando è stato svilupessere confrontato con uno teorico, peptide per peppato il procedimento di marcatura isotopica. La
tide con quelli presenti sul database, e la voce nel
variazione di massa che subisce la proteina e/o il
database che coincide al meglio con lo spettro ospeptide così analizzato è rilevabile tramite spetservato fornisce la sequenza del peptide sperimentrometria di massa e sfruttabile per identificatale con un certo score a seconda della bontà delzione e quantificazione della proteina.
l’assegnazione (figura 4).
Le due principali tecniche di marcatura si basano su: a) marcatura biologica (SILAC); b) marcatura chimica (ICAT, iTRAQ).
TECNICHE DI MARCATURA ISOTOPICA PER ANALISI QUANTITATIVA:
La marcatura biologica, o “marcatura in vivo”,
LA PROTEOMICA DIFFERENZIALE
attraverso la crescita delle cellule in un mezzo contenente amminoacidi 13C e/o 15N è stata introL’analisi quantitativa e il confronto dell’espresdotta da Chait per la prima volta22 e poi applicata
sione proteica tra un sistema biologico in condizio-
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alla proteomica, anche quantitativa, tramite i mezzi definiti SILAC (Stable Isotope Labeling by Aminoacid in Cell culture), da Mann23.
La tecnica di marcatura in vivo è un mezzo potente e ben consolidato, grazie al fatto che le due
popolazioni cellulari differentemente marcate incorporano gli isotopi per lungo tempo e che i pellet
cellulari vengono combinati prima delle procedure
sperimentali di lisi, processamento e analisi delle
proteine. I principali limiti di questa tecnica sono:
l’elevato costo, la non prevedibilità della marcatura e la non applicabilità ad analisi tessutali. Proprio per superare questi limiti, sono state messe a
punto le tecniche di marcatura chimica. Nell’ICAT
(Isotope-Coded Affinity Tagging), i residui tiolici
delle cisteine vengono marcati con reagenti isotopicamente pesanti (deuterati) o leggeri. Questi reagenti contengono un tag per la biotina per cui i
peptidi ottenuti dopo proteolisi possono essere isolati tramite cromatografia di affinità semplificando notevolmente il sistema. Il rapporto tra l’intensità dei picchi a massa più bassa e quelli a massa
più alta fornisce l’abbondanza relativa dei peptidi
e di conseguenza delle proteine24.
iTRAQ è una nuova strategia che fa uso di un
reagente commerciale (Applied Biosystems) che
permette la marcatura dei campioni dopo la digestione dei campioni con un “reporter” carico che dà
origine ad uno ione di marcatura specifico nello
spettro MS/MS. Questo reporter può avere quattro
valori di massa diversi consentendo la marcatura
differenziale di quattro campioni. Accanto al reporter viene legata anche una massa “balance” che
ha il compito di bilanciare le differenze di massa
tra i vari reporter consentendo al binomio reporter/balance di essere un tag isobarico di 145 Da per
tutti i campioni. La frammentazione di un peptide
derivatizzato con l’iTRAQ determina la liberazione
in forma ionica dei diversi reporter che vengono rivelati nello spettro MS/MS. La stima dei rapporti
tra i segnali reporter permette di ricavare l’abbondanza relativa del peptide e quindi della proteina
a cui appartiene. Il principale limite di questo metodo è dato dall’estrema reattività dell’iTRAQ con
l’acqua.
LA PROTEOMICA IN MEDICINA
La proteomica è stata ampiamente utilizzata in
diverse aree per descrivere la patogenesi di malattie, caratterizzare nuovi bersagli terapeutici, scoprire potenziali biomarcatori diagnostici e prognostici, quando la tecnologia è in grado di identificare e quantificare proteine associate a una particolare malattia per livelli di espressione alterati rispetto ad un individuo sano. L’identificazione di
biomarcatori presenta in realtà molti ostacoli dovuti sostanzialmente ad uno scollamento tra la ricerca portata avanti utilizzando moderne tecnologie e la necessità di requisiti analitici e clinici molto stringenti. Questa discrepanza ha molteplici
cause, tra cui degne di nota sono: a) la variabilità
tecnologica tra le diverse piattaforme; b) l’inappropriatezza nella raccolta e processamento dei
campioni; c) la necessità di un disegno sperimentale idoneo; d) la mancanza di adeguati strumenti
di analisi di dati.
Proteine che presentano differenti livelli di
espressione fra la condizione patologica rispetto a
quella fisiologica non sono necessariamente dei
marcatori utili ai fini diagnostici. Infatti, in molti
casi, queste proteine riflettono meccanismi di risposta ad alterazioni metaboliche che sono ricorrenti in numerosi stati di disequilibrio comuni a
diverse malattie. Così, l’approccio della biologia di
sistema dovrà aiutare ad individuare quei circuiti
metabolici che meglio descrivono i tratti essenziali della patologia in esame. In altre parole, dovrà
individuare le ipotetiche connessioni funzionali e
di interazione che legano le diverse modulazioni
che la proteomica è in grado di descrivere. Le proteine appartenenti ad un ipotetico circuito metabolico/funzionale potranno nel loro insieme divenire un marcatore multiplo, una “costellazione” di
marcatori per quella data patologia. Ma, prima di
essere accettate come “costellazione” di marcatori,
l’ipotesi funzionale dovrà essere convalidata in modelli di malattia mediante tecniche specifiche di silenziamento genico (gene knock-down).
Se l’identificazione dei potenziali marcatori viene fatta sfruttando una piattaforma incentrata sulla spettrometria di massa, a questa fase segue necessariamente una validazione che di solito prevede l’utilizzo di protocolli basati su anticorpi come
Elisa o immunoblot. Questo processo è spesso lento (low throughput), costoso e richiede molto tempo.
Per risolvere questi grossi limiti, è importante
coinvolgere i laboratori clinici che possono avere
un ruolo attivo nella valutazione finale di un’analisi e nello studio dell’utilità clinica in relazione ai
pazienti25,26. È quindi importante una stretta collaborazione tra scienziati “omici”, clinici e industria per poter identificare marcatori reali di patologia27,28. Questa branca delle “omiche” si è soprattutto focalizzata sull’identificazione di singoli marcatori di patologia e in alcuni casi sono stati individuati; esempio tipico è quello della troponina. In generale, però, è difficile trovare singole
proteine che definiscano chiaramente una malattia distinguendola da altre condizioni cliniche. La
proteomica dà una visione della malattia più “olistica” e quindi può fornire una “costellazione” di
possibili marcatori specifici, un’impronta molecolare, in grado di definire lo stato clinico di un individuo.
L’impatto sulla clinica dipenderà dalla scelta appropriata dei campioni, dalla qualità tecnica delle
analisi, dalla definizione clinica precisa della problematica e dalla sensatezza scientifica delle domande a cui si cerca una risposta, in breve da una
perfetta integrazione tra medico e proteomista.
In prospettiva e come obiettivo ambizioso a cui
tendere, uno studio “omico” integrato personale
può portare a disegnare una carta “omica” che meglio della più classica carta natale può prevedere il
S. Rocchiccioli et al.: Proteomica e medicina personalizzata
destino di ogni individuo29. Il punto di arrivo di
un’analisi così completa e dettagliata sarà la “diagnostic-omica” e cioè l’ottenimento di protocolli diagnostici personalizzati con evidenti vantaggi per la
prevenzione e la terapia.
LA PROTEOMICA NELLA MEDICINA CARDIOVASCOLARE
Le malattie cardiovascolari sono state analizzate ampiamente con approcci proteomici. Condizioni croniche e stati patologici si manifestano
spesso con livelli proteici alterati dovuti a variazione delle isoforme o sintesi de novo di proteine.
Cambiamenti nel profilo proteico in seguito ad attacco cardiaco sono stati studiati30,31 e tra gli altri
fattori le heat shock protein sembrano avere un
ruolo protettivo importante nella patologia32-35.
Variazioni nelle isoforme proteiche sono state
riportate in un caso modello di ipertrofia fenilefrin-indotta in miociti neonatali di ratto dove a variare erano le proteine MCL1 e MCL236. Circa 50
isoforme della proteina HSP27 sono state, inoltre,
identificate tramite immuno-blot in tessuto miocardico umano con cardiomiopatia dilatativa. Nove di queste isoforme presentavano un consistente numero di modifiche post-traduzionali, ad indicare come anche questo evento possa variare la
funzione e la localizzazione della proteina37. Negli
eventi acuti o nelle fasi iniziali di un’attivazione
cellulare infatti, dove il tempo è poco per una sintesi de novo da parte delle cellule, le modifiche
post-traduzionali sono gli eventi principali che
modificano il proteoma. Un esempio di questo è lo
switch fenotipico (o attivazione) che porta le cellule muscolari lisce della parete vasale dal loro fenotipo contrattile ad un fenotipo attivato e proliferante. Questo evento inzia con l’attivazione di
importanti pathway di fosforilazione delle proteine cellulari38.
Per quanto riguarda l’aterosclerosi, è stato pubblicato39 il proteoma della placca aterosclerotica e
sono state identificate40-43 proteine differenzialmente espresse in vasi aterosclerotici rispetto a vasi normali. È stata pubblicata44 inoltre la mappa
bidimensionale delle cellule muscolari lisce di arterie umane e delle altre componenti cellulari dei
vasi, e più di 80 proteine di origine endoteliale alterate in modo significativo sono state identificate
in vasi aterosclerotici45.
Lo scopo più ambizioso di uno studio proteomico è quello di identificare biomarcatori di patologia
e, in effetti, molti studi si sono concentrati su questo aspetto. Molte variabili e molecole possono essere utilizzate come marcatori di uno stato cardiovascolare alterato e possono essere considerate generalmente come segnali di rischio, primi fra tutti
il colesterolo e la pressione sanguigna.
I vantaggi dei marcatori proteici, rispetto a
quelli più convenzionali, derivano da una maggiore sensibilità e specificità e, di conseguenza, dal
fatto che garantiscono maggiori informazioni per i
clinici. Lo scopo finale di un biomarcatore protei-
co è proprio quello di essere uno strumento con il
quale possano essere migliorate efficienza ed accuratezza di diagnosi e prognosi, e la progressione
della malattia possa essere controllata. Il campione ideale per la ricerca di biomarcatori è sicuramente il sangue, in quanto facilmente reperibile e
in modo non invasivo; inoltre, potrebbe fornire informazioni sullo stato fisiopatologico di tutti i tessuti del corpo. Tuttavia, la sua analisi è molto difficile e frustrante a causa della sua complessità e
del fatto che i putativi marcatori sono di solito presenti in bassa concentrazione e quindi inevitabilmente mascherati – se si utilizzano tecniche come
la spettrometria di massa – da altre proteine presenti a livelli di concentrazione molto alta, come
l’albumina e le immunoglobuline. Per superare
questi limiti, diversi ricercatori si sono concentrati sullo studio del secretoma, cioè delle proteine secrete da cellule o tessuti. È stato così analizzato il
secretoma di placche aterosclerotiche alla ricerca
di potenziali marcatori di aterosclerosi46 e sono
state identificate proteine che vengono rilasciate
in modo diverso da tessuti arteriosi normali o patologici47,48.
La proteomica è una disciplina ancora in espansione e sicuramente avrà maggiori applicazioni cliniche in futuro, soprattutto in seguito a sviluppi
tecnologici che permetteranno una maggiore processabilità e sensibilità garantendo la possibilità
di identificare proteine poco espresse e l’introduzione della tecnologia nella pratica clinica.
Dai biomarcatori ai target terapeutici:
strategie e prospettive
È ormai chiaro che, ad eccezione di rare malattie genetiche monogeniche (causate dall’alterazione di un unico gene) le cause primarie delle malattie sono da ricondursi ad alterazioni di “circuiti”
molecolari (pathways) che vedono coinvolte varie
proteine49. È ormai accettato infatti che vari geni
siano corresponsabili dell’insorgenza della maggior
parte delle patologie. Mutazioni che portano alla
formazione di proteine dotate di proprietà chimico-fisiche e/o catalitiche leggermente diverse da
quelle “normali” possono non avere effetto prese
singolarmente, ma concorrere alla manifestazione
di un fenotipo patologico se presenti contemporaneamente. Il fatto, inoltre, che la maggioranza delle proteine può far parte di più di un circuito, fa sì
che gli effetti di alterazioni a carico di una proteina possano ripercuotersi su diverse funzioni ed attività cellulari. L’approccio proteomico, riuscendo
a mettere in luce le differenze nel contenuto proteico tra cellule o tessuti patologici e quelli sani, è
particolarmente adatto ad evidenziare proteine, e
soprattutto gruppi di proteine, potenzialmente
coinvolti nella patologia in esame. Andando a valutare, con strumenti bioinformatici, se queste proteine sono accomunate dall’appartenenza ad un
dato pathway, si può ipotizzare il coinvolgimento
di questo nella patologia in esame50.
195
196
Recenti Progressi in Medicina, 104 (5), maggio 2013
Le proteine individuate come iper-espresse o
sotto-rappresentate nelle condizioni patologiche
possono essere sia causa sia conseguenza dell’alterata omeostasi cellulare/tessutale tipica della patologia. Gli strumenti propri dell’approccio integrato della biologia di sistema, che consentono di
collocare ciascuna delle proteine individuate (e potenzialmente significative) all’interno dei circuiti
in cui sono coinvolte, permettono di ipotizzare le
relazioni causa-effetto e prevedere quali potrebbero essere gli effettori chiave più probabili responsabili dell’affermazione del fenotipo patologico51,52.
A queste ipotesi deve, però, far seguito una fase di
convalida che consenta di provare in modelli cellulari/tessutali il reale coinvolgimento di una data
proteina e il livello gerarchico in cui essa si colloca
nella catena di eventi che porta alla dis-regolazione patologica. Si tratta cioè della proteina che, con
la sua espressione alterata, è il primum movens
dell’alterazione oppure è il prodotto proteico che si
accumula magari per un deficit nel catabolismo?
Dalla visione d’insieme si deve andare nello specifico e l’indagine deve a questo punto concentrarsi
sui circuiti nei quali è coinvolta la proteina per
“dissezionarli” e provare così l’effettivo ruolo dei
putativi attori chiave della dis-regolazione.
GLI OLIGONUCLEOTIDI COME STRUMENTI PER LA VALIDAZIONE
DI BERSAGLI TERAPEUTICI
Per agire sui possibili attori chiave del processo patologico possono a questo punto venire in aiuto gli approcci di knock-down basati su oligonucleotidi. Queste molecole, frammenti di DNA o
RNA al di sotto dei 100 nucleotidi (e quindi con un
peso molecolare dai 10 ai 30 kDa) con meccanismi
differenti ed a vari livelli del processo che porta
dall’informazione nel DNA alla proteina, possono
ridurre la concentrazione della molecola funzionalmente attiva che è oggetto di indagine.
Si tratta di strumenti molecolari di derivazione
“omica” che si basano per lo più sulle conoscenze
genomiche legate alle sequenze dei geni codificanti per i diversi trascritti di RNA e conseguentemente per le corrispondenti proteine. Queste molecole oligonucleotidiche (antisenso, siRNA, ribozimi, decoys e, più recentemente, anche aptameri)
possono essere usate per colpire a livello trascrizionale o post-trascrizionale la serie di eventi che
portano alla proteina, riducendone conseguentemente la concentrazione53-55.
Gli oligonucleotidi antisenso, detti anche ASO
(dall’inglese, AntiSense Oligonucleotides) sono corte molecole (25 nucleotidi in media) a singolo filamento di DNA (e in alcuni casi di RNA) complementari ad una determinata sequenza di RNA
messaggero. L’mRNA legato da un antisenso specifico non è più in grado di essere tradotto in proteina. I meccanismi attraverso cui gli antisenso
provocano il blocco della traduzione sono essenzialmente due: 1) l’attivazione di RNAsi, come le
RNAsi H o L, che degradano l’mRNA prima della
sua traduzione sul ribosoma; 2) il blocco meccanico del ribosoma, attraverso la formazione di un
doppio filamento sull’mRNA in via di traduzione56.
I siRNA (dall’inglese, short interfering RNA) sono corte molecole di RNA (circa 20 nucleotidi) a
doppio filamento in grado di avviare il meccanismo
cellulare della RNA interference. Sono infatti in
grado di reclutare, sul filamento di mRNA con cui
si appaiano, specificatamente il RISC (RNA interference silencing complex), un complesso proteico
che seleziona gli mRNA da avviare alla degradazione57.
I DNA decoy sono frammenti oligonucleotidici
a doppio filamento che sono in grado di legare, e
quindi rendere non disponibili per le normali funzioni cellulari, fattori di trascrizione. I decoys riproducono esattamente la sequenza di DNA riconosciuta dal fattore di trascrizione, e sono quindi
in grado di “distrarre” i fattori di trascrizione dai
loro bersagli naturali, cioè i promotori dei geni che
sono sotto il loro controllo. Anche se meno comuni,
esistono anche gli RNA decoy, molecole a singolo filamento che legano invece fattori di traduzione53.
Una classe di oligonucleotidi molto interessante è quella dei ribozimi, molecole a RNA dotate di
attività catalitica. Queste molecole hanno una porzione che lega una sequenza bersaglio di mRNA in
virtù della complementarietà in basi ed una porzione cataliticamente attiva che provoca la scissione della sequenza di mRNA bersaglio. Il messaggero così tagliato viene facilmente degradato e non
può venire tradotto in proteina58.
Queste molecole gene/trascritto/proteina specifiche possono essere progettate grazie alle conoscenze derivanti dalla genomica e dalla trascrittomica e sintetizzate chimicamente.
A queste classi di oligonucleotidi che legano acidi nucleici (o proteine che interagiscono con essi
nel caso dei decoy) e che vengono disegnati conoscendo la sequenza della molecola bersaglio (o la
sequenza che questa lega se si tratta di un fattore
di trascrizione) si possono aggiungere da qualche
anno anche molecole oligonucleotidiche che legano
proteine che di per sé non legano acidi nucleici. Si
tratta di oligonucleotidi che interagiscono con il loro bersaglio grazie alla loro strutturazione tridimensionale e che vengono selezionati partendo da
una vastissima collezione di sequenze (migliaia di
miliardi di sequenze diverse). Con questo approccio
è la molecola bersaglio stessa che, all’interno della
collezione, sceglie i suoi partner preferiti con i quali si lega preferenzialmente. La tecnica utilizzata,
chiamata SELEX (Sistematic Evolution of Ligands
by Exponential Enrichment), permette di isolare e
amplificare, cioè di riprodurre molte copie, le sequenze che legano la molecola bersaglio. Attraverso diversi cicli di selezione e amplificazione, gli aptameri dalle proprietà desiderate vengono isolati59.
Somministrando a cellule in coltura o tessuti
(sistemi modello della patologia) questi “farmaci
molecolari” a base oligonucleotidica, si può osservare l’effetto della riduzione della proteina oggetto di studio sul fenotipo patologico ed anche regi-
S. Rocchiccioli et al.: Proteomica e medicina personalizzata
strare se si inneschino meccanismi di feedback e di
compensazione. Si possono
confrontare cellule sane,
cellule patologiche e cellule
patologiche trattate con
l’oligonucleotide per evidenziare differenze a livello
morfologico e biochimico e,
utilizzando le tecnologie
proteomiche per il confronto del sistema modello prima e dopo la somministrazione dell’oligonucleotide, si
può valutare come la riduzione della proteina di interesse si ripercuota sulle altre proteine cellulari60,61.
Utilizzando farmaci molecolari che colpiscano elementi
diversi del circuito di interesse ed analizzando come il
sistema biologico risponda
alla loro riduzione si può
Figura 5. Gli approcci multi-omici e la biologia dei sistemi nella sperimentazione clinica.
riuscire a comprendere quali siano gli elementi chiave
riducendo i quali si riporta
In sintesi, con la combinazione di discipline e
il sistema biologico nello stato più simile a quello
competenze “omiche” (proteomica e genomica) si
fisiologico/sano. Questo “palleggio” tra la proteopossono realizzare avanzamenti sia diagnostici, con
mica e la post-genomica, con i suoi strumenti mol’individuazione di marcatori di patologia, sia teralecolari oligonucleotidici, consente quindi di valipeutici, con la simultanea individuazione di bersadare i putativi marcatori di patologia, confermangli terapeutici e di potenziali farmaci specifici.
done ed avvalorandone il coinvolgimento, e di inAttualmente sta emergendo sempre più la nedividuare anche possibili molecole bersaglio da colcessità di un’integrazione delle discipline che si ocpire per una terapia mirata (figura 5).
cupano dello studio di cellule e tessuti dal punto di
Una volta provata una correlazione tra l’increvista genetico, proteico e metabolico. L’individuamento nella concentrazione di una o più proteine
zione dei meccanismi chiave delle patologie meed una patologia, le proteine iper-espresse possono
diante approcci “panoramici” come quelli delle
essere ricercate come marcatori molecolari di quel“omiche”, seguita dalla convalida e dalla descriziola malattia. Se si tratta di proteine che si ritrovano
ne precisa dei processi coinvolti facendo uso di
secrete in fluidi biologici possono essere obiettivi di
strumenti molecolari specifici, può portare ad imtest diagnostici in vitro; se si tratta di molecole
portanti risultati per una medicina sempre più
esposte sulla superficie, o comunque accessibili su
preventiva, predittiva e personalizzata.
tessuti malati, si può invece pensare ad un loro utilizzo come bersaglio per imaging molecolare.
Quando le proteine iper-espresse nei tessuti patologici causano problemi rilevanti all’omeostasi
Bibliografia
tessutale possono essere anche bersagli per una te1. Venter C, Adams MD, Myers EW, et al. The sequence
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eccessiva attività, oppure può essere rilevante
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loro bersagli molecolari, queste molecole a base olimedicine with functional proteomics: realities and
gonucleotidica possono essere quindi utilizzate sia
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per provare relazioni e dissezionare pathway sia
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Silvia Rocchiccioli
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Fisiologia Clinica
Via Giuseppe Moruzzi, 1
56127 Pisa
E-mail: [email protected]
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