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❚ Alimentazione
Patologie degli equini associate ai carboidrati:
introduzione a una problematica complessa
Paola Superchi
Dipartimento di Scienze Medico Veterinarie - Via del Taglio, 10 - 43126 Parma
Giuseppe Iardella
Medico Veterinario, Direttore Equidiets S.r.l. e Direttore Scientifico Programma Dieta Del Cavallo
Via del Montaleo, 21 - 56040 Casale Marittimo (Pisa) - Contatto editoriale: [email protected]
INTRODUZIONE
RIASSUNTO
Il problema dei carboidrati è un aspetto nutrizionale tuttora controverso poiché se da un lato essi rappresentano un’indispensabile fonte
energetica per il cavallo dall’altro possono indurre, in varia misura ed in una percentuale significativa di animali, l’insorgenza di patologie
eterogenee raggruppabili sotto la denominazione di ECAD (Equine Carbohydrate-Associated
Disorders). In considerazione di ciò si è ritenuto interessante, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, porre l’attenzione sui carboidrati idrolizzabili e su quelli non idrolizzabili
ma rapidamente fermentabili che costituiscono
la frazione glucidica non strutturale presente
nei vegetali, andando ad analizzare come essi si
distribuiscono e si accumulano nel vegetale, come vengono utilizzati dal punto di vista digestivo e le ripercussioni metaboliche che la loro
presenza nella dieta comporta.
Vengono, infine, suggerite alcune linee guida per
una corretta igiene alimentare di cavalli suscettibili a sindromi riconducibili all’assunzione di
carboidrati.
Il cavallo è, per sua natura, un erbivoro pascolatore in grado di consumare grandi quantità di alimenti ricchi di fibra nell’arco di 16-18 ore al
giorno (Hill, 2007). Tuttavia, in seguito alla scuderizzazione, le sue abitudini alimentari si sono profondamente modificate; per sostenere le
performances richieste in termini sportivo-lavorativi e di produzioni è
venuta a mancare la disponibilità foraggera continua e costante nell’arco della giornata, i pasti sono stati concentrati in precisi momenti della giornata e nella razione ha trovato posto un’ampia gamma di alimenti differenti fra loro per forma fisica, contenuto in umidità e apporto in
principi nutritivi (Kronfeld e Harris, 2003; Hoffman, 2009).
Le stesse essenze foraggere oggigiorno coltivate hanno caratteristiche
nutritive ben diverse da quelle native. La necessità di incrementare la
loro produttività, la resistenza alle malattie e la tolleranza alle diverse
temperature ha portato, nel tempo, a modificare anche la loro densità
nutritiva, tanto è vero che in certe condizioni colturali, le foraggere
possono apportare accanto a quote più o meno elevate di carboidrati
strutturali, concentrazioni di carboidrati di riserva superiori al 35% sulla sostanza secca (Watts, 2004).
In questo modo, i carboidrati di riserva sono andati sempre più a sostituire quelli strutturali come fonte di energia, creando spesso nell’animale quelle condizioni digestive e metaboliche che favoriscono la comparsa di quadri morbosi definiti dagli anglosassoni Equine Carbohydrate-Associated Disorders (ECAD) (AAVV, 2004).
Per far fronte a tali situazioni è necessario adottare una appropriata
strategia di controllo dei fattori di rischio che deve prevedere anche
una corretta gestione alimentare dell’animale.
Nella realtà degli allevamenti, non è però facile individuare il piano alimentare “ideale”, in grado cioè di preservare l’animale dall’insorgenza
di tali sindromi nel tempo poiché l’apporto glucidico, soprattutto quello in carboidrati non strutturali, va affrontato non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi e per far questo non si può prescindere dalla conoscenza dei suoi costituenti.
In ragione di ciò, si è voluto, in questa sede, focalizzare l’attenzione sulle
acquisizioni raggiunte in merito al frazionamento dei carboidrati alimentari e sulle implicazioni digestive e metaboliche che la loro presenza nella dieta comporta nei riflessi dello stato di benessere dell’animale.
“Articolo ricevuto dal Comitato di Redazione il 04/11/2011 ed accettato per la pubblicazione dopo revisione il 26/10/2012”.
Ippologia, Anno 23, n. 4, Dicembre 2012
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❚ Alimentazione
I CARBOIDRATI NELLA
CELLULA VEGETALE
Nella cellula vegetale i carboidrati sono distribuiti
nei tre comparti che la costituiscono (Fig. 1): intracellulare (citoplasma), extracellulare (lamella mediana) e parete cellulare (primaria e secondaria).
Di questi, i carboidrati che vanno a costituire la
parete cellulare sono definiti strutturali mentre
quelli presenti nel citoplasma e nella lamella mediana entrano a far parte dei carboidrati non
strutturali e di riserva.
I carboidrati di riserva
Nelle piante verdi il prodotto finale del processo
fotosintetico è rappresentato dagli zuccheri semplici, normalmente utilizzati dal vegetale per il proprio metabolismo. Tali zuccheri, se prodotti in eccesso rispetto ai fabbisogni di accrescimento e di
sviluppo della pianta, vengono accumulati e diventano carboidrati di riserva (Watts, 2004).
Tra i monosi il glucosio ed il fruttosio e tra i disaccaridi il saccarosio, sono gli zuccheri maggiormente rappresentati nei vegetali. Il cavallo produce enzimi digestivi in grado di idrolizzare i disaccaridi e
parte degli oligosaccaridi, trasformandoli in monosaccaridi disponibili per l’assorbimento.
Gli alfa-galatto-oligosaccaridi (raffinosio, stachiosio e verbascosio) sono carboidrati invece di dimensioni relativamente grosse, apportati per lo
più dai semi di leguminose (soia, fagiolo, ecc.), che
non vengono digeriti dagli enzimi gastrointestinali
ma sottoposti a fermentazione da parte della flora batterica residente. La produzione di CO2, di
idrogeno e in minor misura di metano che ne deriva può essere responsabile di fenomeni di flatulenza (Anisha e Prema, 2008).
Le comuni fonti di zuccheri semplici sono rappre-
sentate dalla frutta, dai sottoprodotti dell’estrazione dello zucchero (melassi di canna e di barbabietola) e della industria dolciaria mentre nei foraggi
la loro concentrazione raramente supera i 100
g/kg di sostanza secca (Cairns e Pollock, 1998).
L’amido
La maggior parte dei vegetali utilizza come polisaccaride di riserva l’amido il quale si accumula
prevalentemente nelle strutture della pianta non
direttamente esposte alla luce (frutti, semi, tuberi,
ecc.), pronto per essere rapidamente idrolizzato
ed utilizzato nei momenti in cui il fabbisogno aumenta (es. durante la germinazione).
La sintesi e l’accumulo di amido è un processo auto-limitante che avviene durante le ore diurne nei
cloroplasti delle foglie e dei fusti. A seguito della
saturazione dei cloroplasti, durante le ore notturne, l’amido viene depolimerizzato e trasportato
agli organi di riserva (frutti, semi, radici, ecc.).
Strutturalmente l’amido è costituito da molecole
di glucosio unite mediante legami alfa a formare
catene lineari (amilosio; circa 600 residui di glucosio) e catene ramificate (amilopectina; circa 6000
residui di glucosio) (Gray, 1992). I legami alfa possono essere scissi sia dagli enzimi digestivi (processo idrolitico) sia dai batteri gastro-intestinali (processo fermentativo).
Le diverse fonti alimentari di amido sono caratterizzate da un preciso rapporto amilosio/amilopectina il quale conferisce all’amido stesso una
maggiore o minore resistenza alla digestione; in linea generale, maggiore è la percentuale di amilopectina, maggiore sarà la digeribilità del tipo di
amido apportato (Vervuert e Coenen, 2006).
La quota di amido che l’animale è in grado di sottoporre ad idrolisi o a fermentazione dipende da
diversi fattori legati alla fonte vegetale, al proces-
CELLULA VEGETALE
Citoplasma
MONOSACCARIDI
Lamella mediana
Parete cellulare
Pectine
Cellulosa
β-glucani
Emicellulose
Gomme
Lignina
Glucosio
Fruttosio
DISACCARIDI
Saccarosio
OLIGOSACCARIDI
Oligo-fruttosil-saccarosio
Maltosio
Raffinosio
Verbascosio
Stachiosio
POLISACCARIDI
Amido
Fruttani
FIGURA 1 - Distribuzione dei carboidrati nella cellula vegetale.
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Patologie degli equini associate ai carboidrati: introduzione a una problematica complessa
❚ Alimentazione
so di lavorazione che esso subisce e alla sua concentrazione nella dieta.
Le più comuni fonti di amido per il cavallo sono
rappresentate dalle cariossidi di cereali (avena,
mais, orzo, ecc.) e, in minor misura, da alcuni semi
di leguminose quali le fave.
Tra i cereali, l’avena contiene la forma di amido
più digeribile per il cavallo, seguita dal mais e dall’orzo (Hussein et al., 2004). È stato osservato
che, a parità di amido apportato nella razione (2,0
g/kg di PV/d), quello dell’avena ha una digeribilità
pari all’84% mentre quello di mais del 29% (Meyer et al. 1993).
Nel cavallo, l’efficienza di utilizzazione dei carboidrati è maggiore se l’energia prodotta deriva dal
processo idrolitico nel piccolo intestino (35,5 moli di ATP) piuttosto che da quello fermentativo nel
grosso intestino con produzione principalmente
di propionato (18 moli di ATP) e acetato (10 moli di ATP) (Kronfeld, 1996).
In considerazione di ciò, al fine di limitare il processo fermentativo dell’amido nel grosso intestino, l’obiettivo da perseguire è quello di favorire la
sua digestione pre-cecale. Tuttavia, l’idrolisi enzimatica dell’amido in questa specie animale è relativamente limitata tanto è vero che il cavallo, rispetto ad altri monogastrici, quali ad es. il suino, ha
una produzione di amilasi inferiore dell’8-10% (Pa-
Processo
Trattamento
I fruttani
Se la maggior parte dei vegetali accumulano amido, vi è comunque circa un 15% di essi che depositano fruttani (Vijin e Smeekens, 1999).
I fruttani, oltre alla funzione di riserva energetica,
svolgono un’azione protettiva contro gli stress
ambientali (siccità, gelo, salinità del terreno, fertilizzanti, ecc.) ed osmoregolatrice (Watts, 2004;
Valluru e Van den Ende, 2008).
Il substrato per la loro sintesi è rappresentato dal
saccarosio, un disaccaride ottenuto a livello citoplasmatico a partire da glucosio e fruttosio che,
per azione di enzimi specifici (fruttosiltransferasi),
viene polimerizzato in fruttani.
In base al grado di polimerizzazione e alla struttura chimica i fruttani sono classificati in tre principali frazioni:
– il gruppo dell’inulina: legami β glucosidici 2 → 1
fruttosil-fruttosio;
Effetto sulla digeribilità pre-cecale
Riferimento bibliografico
↑ per rottura della macrostruttura
che collega i granuli di amido
Julliand et al., 2006
↑ per maggiore superficie di attacco
da parte degli enzimi se la granulometria
è < 2 a mm
Kienzle et al., 1992
Meyer et al., 1993
Rullatura
(schiacciatura)
Nessuno. La granulometria che si ottiene
non è inferiore a quella dovuta
alla masticazione del cereale intero
Kienzle et al.,1994
Micronizzazione
Vaporizzazione
Fioccatura
Espansione
Estrusione
↑ per maggiore suscettibilità all’idrolisi
enzimatica dovuta al rigonfiamento
e distruzione della struttura cristallina
dei granuli di amido (gelatinizzazione).
L’effetto è influenzato dalla temperatura
applicata, dalla durata del trattamento,
dall’impiego del vapore e, nel caso
della fioccatura, dallo spessore della
lamina ottenuta.
Nell’estrusione l’applicazione di alte
rispetto a basse temperature
(135-145 vs 83-94°C) aumenta la % di
amido rapidamente digeribile a scapito
di quello lentamente digeribile e
resistente alla digestione
Holm et al., 1988
Granfeldt et al., 2000
Murray et al., 2001
Vervuert et al., 2004
Vervuert e Coenen, 2006
Vervuert et al., 2008
Macinazione
A freddo
A caldo
gan, 1998). Per questo motivo i cereali vengono
spesso sottoposti a dei trattamenti tecnologici.
In linea generale, le modificazioni che i vari trattamenti inducono a carico della struttura cristallina
interna dei granuli di amido (gelatinizzazione) favoriscono l’azione delle amilasi con effetti più o
meno evidenti sulla digeribilità pre-cecale dell’amido (Fig. 2).
FIGURA 2 - Effetto dei trattamenti tecnologici sull’amido dei cereali.
Ippologia, Anno 23, n. 4, Dicembre 2012
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❚ Alimentazione
– il gruppo dei levani: legami β glucosidici 2 → 6
fruttosil-fruttosio;
– il gruppo dei ramificati: legami β glucosidici 2 →
1 e 2 → 6 fruttosil-fruttosio.
Di questi, gli appartenenti al gruppo dell’inulina, a
basso peso molecolare (3.000-5.000 Da), sono
sintetizzati soprattutto dalle Dicotiledoni e dalle
Monocotiledoni non graminacee mentre gli altri,
caratterizzati da un elevato peso molecolare
(16.600-33.200 Da), sono accumulati soprattutto
nelle graminacee.
Nei mammiferi gli enzimi digestivi non sono in
grado di attaccare i fruttani, i quali vanno incontro
ad un processo fermentazione nel grosso intestino. Tuttavia, una minima parte di essi può essere
sottoposta ad idrolisi acida (Longland e Byrd,
2006).
Le erbe in grado di adattarsi alle basse temperature ambientali sono quelle che accumulano maggiormente fruttani mentre le piante più attive dal
punto di vista metabolico, che quindi crescono
meglio in condizioni ambientali calde, secche e soleggiate, sfruttano più efficientemente l’amido (Vijin e Smeekens, 1999).
Concentrazioni elevate di fruttani sono state rilevate in piante appartenenti alla famiglia delle graminacee (Lolium spp., Bromus spp., Phleum spp., Dactylis glomerata, ecc.) e delle asteracee (Taraxacum
officinale, Sonchus spp., Cichorium intybus) (Vijin e
Smeekens,1999; Harris e Geor, 2007).
La capacità di accumulare fruttani da parte dei
foraggi rappresenta da diversi anni un argomento dibattuto anche perché da più parti è stata
messa in relazione la loro concentrazione nei foraggi con l’insorgenza nel cavallo di patologie legate a disfunzioni del metabolismo energetico
(Longland e Cairns, 2000; French e Pollitt, 2004;
Harris et al., 2006; Longland e Byrd, 2006; Van
Eps e Pollitt, 2006).
TABELLA 1
Frazionamento dei carboidrati (g/kg DM) di pascoli italiani
(Superchi et al., 2010)
Media
Valore minimo
Valore massimo
CAMPIONI N. 77
NDF
510.6
294.8
652.4
ADF
274.7
171.6
368.2
Lignina
31.5
12.0
71.1
NSC
199.9
77.0
340.8
CHO-H
36.8
12.7
68.3
CHO-Fr
163.2
64.3
272.5
Fruttani
37.7
15.5
138.2
NDF = fibra neutro detersa; ADF = fibra acido detersa; NSC carboidrati non strutturali;
CHO-H carboidrati idrolizzabili; CHO-Fr carboidrati non idrolizzabili ma facilmente
fermentabili.
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Patologie degli equini associate ai carboidrati: introduzione a una problematica complessa
A differenza di quanto avviene per l’amido, in cui la
sintesi e l’accumulo è un processo auto-limitante, i
fruttani vengono sintetizzati nei vacuoli delle foglie
e direttamente accumulati nei fusti (Longland e
Byrd, 2006). La loro concentrazione nei foraggi è
influenzata da molteplici fattori che agiscono direttamente sul metabolismo del vegetale, tra essi:
– la temperatura: il tenore di fruttani di diversi generi di graminacee, può variare da 32 a 439 g/kg
di s.s., se la temperatura ambientale è, rispettivamente, pari a 5-10°C o a 15-25°C (Chatterton et al., 1998);
– l’intensità luminosa: la concentrazione di fruttani
nei tessuti vegetativi di diverse cultivar di Lolium
perenne è pari a 160 g/kg di s.s nelle prime ore
del mattino e la stessa raggiunge i 240 g/kg di
s.s. durante le ore di massimo soleggiamento. In
condizioni di luce scarsa e di temperature calde
le variazioni nell’arco delle 24 ore sono invece
di minima entità (Longland e Byrd, 2006);
– l’andamento stagionale tipico dei diversi Paesi.
Come riportato in Tabella 1, il tenore medio di
fruttani è risultato, nel nostro Paese, pari a 38
g/kg s.s in pascoli in fase produttiva, con oscillazioni, in rapporto al mese di raccolta tra i 16 e
i 138 g/kg di s.s., toccando i valori più bassi nel
periodo estivo (Superchi et al., 2010). Nel Regno Unito, a fronte di un valore medio di fruttani di 177 g/kg s.s, il range è stato pari a 75-279
g/kg s.s. (Longland e Byrd, 2006).
DIFFERENZIAZIONE
ANALITICA DEI CARBOIDRATI
NON STRUTTURALI
Il sistema analitico più comunemente usato per
l’identificazione dei carboidrati vegetali è quello
inizialmente sviluppato da Van Soest (1963), secondo il quale essi vengono classificati in carboidrati strutturali (Fibra Neutro Detersa - NDF) e
in carboidrati non strutturali (NSC) o di riserva,
calcolati, questi ultimi, per differenza (NSC =100 umidità % - proteina greggia % - grassi greggi % ceneri gregge % - NDF %).
Gli NSC includono sia i carboidrati idrolizzabili
(CHO-H) rappresentati da zuccheri semplici, da
saccarosio, dalla quota di amido digerita nel piccolo intestino sia quelli non idrolizzabili ma rapidamente fermentabili (CHO-FR) comprendenti gli
oligosaccaridi, la quota di amido che sfugge alla digestione enzimatica, gran parte dei fruttani e un
insieme di composti complessi, tipici del mondo
vegetale, riconducibili alla struttura dei carboidrati (gomme, mucillagini, pectine).
Una determinazione analitica che distingua, tra gli
NSC, i CHO-H e i CHO-Fr può non essere necessaria nel caso del ruminante ma lo diventa se si
considera il processo digestivo tipico del cavallo
(Hoffman et al., 2001).
❚ Alimentazione
Infatti, mentre nel ruminante entrambe le frazioni
degli NSC sono rapidamente fermentate nel rumine, nel cavallo i CHO-H subiscono primariamente
un attacco enzimatico a livello di piccolo intestino
e, solo nel caso in cui essi vengano apportati in
quantità tali da superare le capacità digestive, sono sottoposti, unitamente ai CHO-FR, a fermentazione nel grosso intestino dove si ha produzione
principalmente di propionato.
Analisi chimiche volte a quantificare tali frazioni
nei componenti della razione hanno permesso di
accertare che la loro concentrazione nei foraggi
ma non nei mangimi, può variare anche in modo
sostanziale tra un campione e l’altro (Tab. 2).
Mediamente, i CHO-H rappresentano la quasi totalità degli NSC apportati dai mangimi (97-100%)
mentre nei fieni e nei foraggi verdi gli NSC sono
costituiti da una quota di CHO-H pari, rispettivamente, al 19% e al 38% e di CHO-FR dell’81% nei
fieni e del 62% nei foraggi verdi.
Una differenziazione analitica degli NSC apportati
con la dieta è quindi importante anche perché, come avremo modo di trattare successivamente,
brusche variazioni dell’una o dell’altra frazione aumentano nel cavallo i rischi di patologie (Dyer et
al., 2009).
IL RUOLO DEGLI NSC
NELL’INSORGENZA
DI PROBLEMI DIGESTIVI
E METABOLICI
La quantità di NSC apportati con la razione, può
determinare nel cavallo l’insorgenza di disturbi digestivi a carattere acuto, conseguenti ad una loro
rapida fermentazione oppure aumentare i rischi di
disordini metabolici a carattere cronico associati
ad una ridotta sensibilità all’insulina (Kronfeld e
Harris, 2003).
L’intestino tenue del cavallo possiede la capacità di
mettere in atto nel tempo delle strategie adattative alla presenza di elevati apporti alimentari di
CHO-H (6 g/kg PV) che portano ad una sovraregolazione dell’espressione di proteine trasportatrici il glucosio (SGLT1) attraverso la barriera intestinale, per cui mentre una loro somministrazione gradualmente crescente nel tempo non determinerebbe la comparsa di disfunzioni intestinali,
l’ingestione improvvisa di un’eccessiva quantità di
CHO-H, può mettere in crisi i meccanismi di digestione e di assorbimento dei carboidrati (Dyer
et al., 2009).
Ciò si può verificare anche quando il cavallo, pur
assumendo la stessa quantità quotidiana di cereali, viene lasciato libero di pascolare in prati ricchi
di carboidrati di riserva.
Quindi non solo i CHO-H ma anche i CHO-Fr,
fruttani nel caso specifico, possono innescare a livello di grosso intestino quei meccanismi patoge-
TABELLA 2
Contenuto di carboidrati idrolizzabili (CHO-H) (g/kg s.s.)
e di carboidrati rapidamente fermentabili (CHO-FR ) (g/kg s.s.)
in foraggi e mangimi. Valori espressi come intervallo di confidenza
del 90% (Hoffman et al., 2001 - modificata)
N. campioni
CHO-H
CHO-FR
Fieni
24
6,2 - 42,6
33,4- 178
Pascoli
83
17,2 - 84,1
22,9 - 145
mangime FF*
15
118 - 186
58 - 137
mangime SS**
10
554 - 726
0 - 55
* Mangime FF: mangime ad elevato contenuto di grassi e fibra.
** Mangime SS: mangime ad elevato contenuto di zuccheri ed amido.
netici, schematicamente riportati in Figura 3, che
esitano in disturbi digestivi acuti.
La somministrazione di diete a base di cereali, soprattutto se prolungata nel tempo ed effettuata al
massimo in due pasti al giorno, od il pascolamento di foraggi ricchi di amido, di zuccheri semplici
e/o di fruttani idrolizzabili possono inoltre portare a disordini metabolici cronici legati ad una alterata risposta glicemica ed insulinemica dell’animale (Harris e Geor, 2007).
La concentrazione plasmatica di insulina, che nei
cavalli a digiuno è normalmente inferiore ai 20
µU/mL, aumenta repentinamente dopo il pasto in
rapporto alla quantità di carboidrati idrolizzabili
assunta (Frank et al., 2010).
Nel tempo i ripetuti picchi glicemici ed insulinemi-
> Amido e Fruttani
< pH
< microbi fermentatori della fibra
> microbi produttori di acido lattico
↓ pH
↓↓↓ pH
Acidosi Sub-Clinica
Irritazione e danni
alla mucosa enterica
Disappetenza
Sintomi colici
< Digestione della fibra
Comportamenti anomali
Coliti-Tifliti
Diarrea
Coliche
Lisi batterica
Liberazione
endotossine
Laminite
FIGURA 3 - Meccanismi patogenetici dei disordini digestivi che avvengono nel
grosso intestino.
Ippologia, Anno 23, n. 4, Dicembre 2012
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❚ Alimentazione
ci che ne derivano possono ridurre la funzionalità
di proteine trasportatrici del glucosio e dei lipidi,
insulino-sensibili, presenti nelle cellule del tessuto
adiposo e muscolare e provocare nell’animale la
comparsa di uno stato di insulino-resistenza (IR)
(Suagee et al., 2011).
In questa situazione, nonostante l’insulina circolante non riesca a suscitare negli organi bersaglio
una risposta fisiologica, la sua concentrazione rimane elevata poiché il pancreas, aumentandone la
secrezione, cerca di compensare l’insensibilità dei
recettori tissutali (Kahn, 1978).
L’insulina è un ormone pleiotropico in grado di regolare il tenore del glucosio ematico, favorendone
l’assorbimento a livello tissutale (muscolare, scheletrico ed adiposo) ed epatico, lo stoccaggio come
glicogeno oppure la sua trasformazione in grasso.
Nel cavallo, la capacità di utilizzare l’acetilCoA derivato dal glucosio per la sintesi di nuovi lipidi è limitata per cui è ipotizzabile che, in questa specie
animale, l’insulina agisca a livello di tessuto adiposo, mettendo a disposizione un metabolita intermedio del glucosio, il glicerolo-3 fosfato, necessario alla sintesi dei trigliceridi (Suagee et al., 2011).
I meccanismi attraverso i quali si instaura l’IR possono essere ricondotti ad una riduzione della densità o del funzionamento dei recettori insulinici
cellulari, ad un difetto nei segnali coinvolti nel passaggio del glucosio dall’esterno all’interno della
cellula oppure ad una interferenza con l’attività di
proteine trasportatrici del glucosio (GLUT4)
(Frank, 2006).
Nel cavallo l’IR può essere considerata una condizione fisiologica legata alla presenza di eventi
stressanti o alla somministrazione di corticosteriodi; nelle cavalle, la ridotta sensibilità all’insulina,
che compare naturalmente negli ultimi due mesi
di gestazione, porta ad aumentare la disponibilità
di glucosio necessaria per l’accrescimento fetale
(Hoffman et al., 2003; Frank, 2007).
In animali obesi caratterizzati da valori basali già di
per sé alterati (Tab. 3), l’IR può aumentare i rischi
di insorgenza di patologie di origine metabolica.
L’IR si può tuttavia instaurare anche in cavalli ap-
TABELLA 3
Variabili misurate su cavalli obesi e non a riposo.
Tra parentesi i valori min e max (Frank et al., 2006 - modificata)
Variabile
Peso
kg
BCS
Obeso
473 (444 - 476)
518 (426 - 610)
scala 1 - 9
6 (4 - 6)
7 (7 - 9)
Circ. toracica
cm
179 (172 - 183)
189 (182 - 205)
Circ. collo
cm
87.7 (85.3 - 95.7)
105.8 (94.3 - 110.3)
ng/mL
0.8 (0.5 - 11.0)
11.0 (1.0 - 30.5)
Glucosio
mg/dL
66.9 (49.8 - 74.1)
83.9 (76.0 - 97.5)
Insulina
µU/mL
9.1 (6.4 - 21.1)
50.5 (17.0 - 93.4)
Leptina
14
Non obeso
Patologie degli equini associate ai carboidrati: introduzione a una problematica complessa
parentemente in normali condizioni corporee. In
questi soggetti, a differenza di quelli obesi, si ha
una diversa ripartizione del grasso tra i tessuti di
deposito e quelli non propriamente deputati ad
accumulare i grassi quali il muscolo scheletrico, il
fegato ed il pancreas; l’animale cerca di utilizzare i
grassi presenti in questi tessuti e organi incrementando la beta-ossidazione ma alla fine i grassi che
inevitabilmente si accumulano alterano la normale
risposta cellulare all’azione dell’insulina (Frank et
al., 2010).
Il tipico quadro riconducibile al disordine metabolico da carboidrati è la cosiddetta Sindrome Metabolica Equina (EMS), termine introdotto in medicina veterinaria nel 2002 che colpisce animali aventi generalmente in comune una condizione di IR
associata o meno ad elevata adiposità e a forme
ricorrenti di laminite.
Non bisogna infine dimenticare che l’IR può rappresentare un fattore predisponente l’insorgenza
di coliche (Hudson et al., 2001), di miopatie da
sforzo (Valentine et al., 2001) e di anomalie dello
sviluppo scheletrico (Ralston, 1996).
GESTIONE ALIMENTARE DEGLI
EQUINI SENSIBILI AGLI NSC
Alla luce di quanto sinora esposto è fuori di dubbio che prima di affrontare qualsiasi considerazione di carattere alimentare è necessario conoscere, attraverso analisi di laboratorio, sia la componente idrolizzabile sia quella non idrolizzabile ma
facilmente fermentabile dei carboidrati non strutturali presenti, in modo particolare, nei foraggi che
vengono utilizzati in allevamento. I foraggi, siano
essi impiegati come fieno, pascolo o fieno silo, denunciano da questo punto di vista, e non solo, una
composizione molto più variabile di quella dei
mangimi. È indubbiamente una prospettiva impegnativa dal punto di vista economico soprattutto
per quegli allevamenti non autosufficienti dal punto di vista foraggero ma è anche vero che il continuo passaggio da una partita di foraggio all’altra
espone gli animali a rischi non indifferenti.
I foraggi partecipano per almeno il 50% alla copertura della sostanza secca assunta giornalmente e
nella stragrande maggioranza dei casi di questi foraggi non se ne conosce la composizione chimica
che può discostarsi anche di molto dai valori medi
tabulati. A questo proposito, basti pensare alle differenze osservate tra il tenore medio in fruttani rilevato in pascoli del nostro Paese rispetto a quello che viene riportato per altre aree geografiche e
al ruolo che i futtani svolgerebbero nell’insorgenza
della laminite, come da più parti evocato.
Se non si trova una soluzione a questo problema
non si potranno mai dare delle indicazioni pratiche precise ma solo delle linee guida.
Esse dovranno puntare sulla somministrazione,
❚ Alimentazione
come fonte primaria di energia, di fieno e prevedere la riduzione nella dieta di alimenti apportatori di carboidrati di riserva (amido, fruttani e zuccheri più semplici) e la limitazione o l’eliminazione
dell’accesso al pascolo.
Nei cavalli in sovrappeso la quantità di fieno da
somministrare dovrà essere equivalente ad una
quota pari al 2% del peso corporeo e, solo nel caso di soggetti obesi, scendere all’1,5% del peso
corporeo.
Dal punto di vista qualitativo, ferma restando l’assenza di polveri indice della presenza di terra e/o
muffe e di piante velenose, un fieno è considerato
adatto ai cavalli a rischio, se esso è stato sfalciato
nelle prime ore della giornata, dopo una nottata
mite e se è composto da essenze foraggere a ridotta capacità di accumulo degli NSC (<11%).
L’apporto calorico fornito da cereali e/o mangimi
complementari a base di cereali deve essere evitato e sostituito da mangimi, cosiddetti “low NSC”,
contenenti fonti fibrose facilmente digeribili (polpe di bietola, buccette di soia, ecc.).
Una buona pratica alimentare da tenere sempre
presente, ma che è soprattutto valida per questo
tipo di soggetti, prevede la suddivisione della razione giornaliera in piccoli pasti multipli e la somministrazione del fieno seguita, a distanza di tempo, da quella del mangime.
In questo modo, oltre a ridurre la quota di alimento assunto e prolungare il tempo di svuotamento gastrico, si riduce al minimo l’incremento
della concentrazione ematica di glucosio ed insulina postprandiale.
Nel caso di cavalli a rischio che si presentano però in condizioni corporee da definirsi insufficienti
la gestione alimentare risulta più difficile poiché
l’apporto calorico deve essere tale da mantenere
o fare accrescere il peso senza esacerbare l’IR. Il
fieno da solo può non soddisfare il fabbisogno
energetico per cui per essi può risultare utile il ricorso come fonte energetica ai grassi in sostituzione dell’amido.
L’apporto energetico fornito dalle comuni fonti lipidiche utilizzate, olio di soia o di mais, è però elevato (circa 1,7 Mcal o 7,1 MJ di Energia Digeribile
per 210 g di olio) e pertanto, l’adattamento al dosaggio, che sarà calcolato in funzione delle calorie
supplementari richieste, dovrà avvenire gradualmente nel tempo (10-15 giorni). Un repentino apporto di grassi, in sostituzione di una pari quantità di energia fornita da amidi, può infatti aumentare il deposito di acidi grassi al muscolo e favorire
la comparsa di fenomeni lipotossici.
Un discorso a parte merita la gestione alimentare
del pascolo. È indubbio che lo sfruttamento del
pascolo comporta notevoli vantaggi psico-fisici
per l’animale, ma è anche vero che esso rappresenta una fonte estremamente variabile di NSC il
cui contenuto si modifica non solo in rapporto alla stagione ma oscilla anche tra un giorno e l’altro
e, addirittura, da un’ora all’altra nell’arco della
giornata.
Fermo restando che l’accesso al pascolo deve
sempre e comunque avvenire in modo graduale
nel tempo, ci sono momenti stagionali in cui il pascolamento deve essere particolarmente ridotto:
durante la primavera quando la crescita vegetativa
è particolarmente rigogliosa e l’autunno in cui, a
causa delle escursioni termiche giorno-notte, il
metabolismo del vegetale non avviene regolarmente. Per evitare un eccessivo consumo alimentare, il tempo di pascolamento deve essere limitato ad 1 ora ripetuto per due o tre volte al giorno.
CONCLUSIONI
Una utilizzazione irrazionale dei carboidrati nella
dieta degli equini può indurre la comparsa o aggravare il decorso, in una quota rilevante della popolazione, di un gruppo importante di forme morbose acute o croniche, a volte invalidanti ma sempre di elevato impatto economico.
Come avviene per tutte le patologie riconducibili
a cause alimentari anche in questo caso la strada
da perseguire è senza dubbio quella della prevenzione. Per fare questo ci si deve basare però su
concrete basi scientifiche che, al momento, hanno
permesso di identificare i vari costituenti dei carboidrati di riserva apportati dai vegetali, di comprendere come essi vengano utilizzati dal punto di
vista digestivo e le implicazioni metaboliche che la
loro presenza nella razione comporta. Una volta
acquisite tali conoscenze il passo successivo è rappresentato dalla valutazione della composizione
chimica degli alimenti disponibili.
Solo in questo modo si riusciranno ad adottare
dei piani alimentari diversificati e mirati per le diverse tipologie di soggetti cosiddetti a rischio di
patologie da carboidrati.
Parole chiave
Cavallo, carboidrati, alimentazione, ECAD.
❚ Equine carbohydrate-associated
disorders (ecad): introduction to
a manifold issue
Summary
The problem of carbohydrates is a still controversial nutritional aspect; on one hand, carbohydrates
are an indispensable source of energy for horse,
on the other may be in varying degrees and in a
significant proportion of animals, they also can be
the cause of the onset of heterogeneous disorders grouped under the name of ECAD (Equine
Carbohydrate-Associated Disorders).
In view of this, it was considered interesting, based
on current scientific knowledge, to focus on hydrolyzable carbohydrates and on non-hydrolyzaIppologia, Anno 23, n. 4, Dicembre 2012
15
❚ Alimentazione
ble but rapidly fermentable carbohydrates, which
constitute the non-structural glucidic fraction in
plants, by analyzing how they are distributed and
accumulate in plants, how they are digested and
the metabolic effects that their presence in the
diet entails.
Finally, some guidelines for proper food hygiene in
horses susceptible to syndromes related to carbohydrate intake are suggested.
Key words
Horse, carbohydrates, feeding, ECAD.
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