Korolev c Russia dec

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Korolev c Russia dec
CONSIGLIO D’EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
PRIMA SEZIONE
DECISIONE
DI RICEVIBILITÁ
Ricorso n° 25551/05
presentato da Vladimir Petrovich KOROLEV
contro la Russia
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunitasi l’1
luglio 2010 in una camera composta da:
Christos Rozakis, Presidente,
Anatoly Kovler,
Elisabeth Steiner,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou, giudici,
e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 27 luglio 2004,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:
IN FATTO
Il ricorrente, Vladimir Petrovich Korolev, è un cittadino russo nato nel
1954 e residente a Orenburg, Federazione Russa.
traduzione non ufficiale dal testo originale a cura dell'Unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo
DECISIONE KOROLEV c. RUSSIA
Le circostanze del caso di specie
I fatti del caso di specie, come allegati dal ricorrente, possono essere
riassunti nel modo seguente.
Il ricorrente conveniva in giudizio il Capo del Dipartimento sezione visti
e passaporti presso la Direzione regionale degli interni per avergli negato
l’accesso ai documenti relativi al ritardo nella concessione del suo nuovo
passaporto.
Il 25 settembre 2001 la corte distrettuale Verkh-Isetskiy di Ekaterinburg
rigettava la domanda del ricorrente. Il 13 novembre 2001 la corte regionale
di Sverdlovskiy cassava la sentenza in appello e rinviava il caso alla corte
distrettuale.
Il 16 aprile 2002 accoglieva la domanda del ricorrente, ordinando al
Capo del Dipartimento sezione visti e passaporti di consentire al ricorrente
l’accesso a tutti i documenti e il materiale relativo alla concessione del suo
passaporto. La corte condannava anche il Dipartimento sezione visti e
passaporti a pagare al ricorrente 22.50 rubli (RUB) a titolo di
compensazione per le spese processuali.
Il 4 luglio 2002 questa sentenza veniva confermata in appello e diventava
definitiva.
Non è evidente dal fascicolo del caso se e quando l’autorità convenuta
abbia osservato la sentenza nella parte riguardante l’accesso del ricorrente
alla sua documentazione. Tutte le riferite azioni attuate dal ricorrente in
seguito alla sentenza erano solo miranti a ottenere i 22.50 rubli concessi
dalla corte distrettuale.
Il 22 luglio 2002 la corte distrettuale emanava un decreto di esecuzione
che era esplicitamente limitato al solo pagamento dell’indennizzo di 22.50
rubli. Il 28 aprile 2003 l’ufficiale giudiziario iniziava la procedura esecutiva.
Il 15 dicembre 2003 il ricorrente impugnava l’inerzia dell’ufficiale
giudiziario presso la corte distrettuale. Il 22 dicembre 2003 il giudice
dichiarava che la domanda difettava dei presupposti processuali e richiedeva
al ricorrente di integrarla entro il 5 gennaio 2003. Al ricorrente veniva in
particolare richiesto di
provare la dedotta mancanza dell’ufficiale
giudiziario.
Il ricorrente integrava il suo ricorso il 31 dicembre 2003.
Il 6 gennaio 2004 la corte riteneva che il ricorrente non aveva rispettato i
richiesti adempimenti e rigettava il ricorso senza esaminarlo nel merito. Il
10 febbraio 2004 la corte regionale di Sverdlovskiy confermava quella
decisione.
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DOGLIANZE
Il ricorrente allega che il mancato pagamento delle autorità
dell’ammontare riconosciutogli dalle corti interne ha violato i suoi diritti
garantiti dall’articolo 6 della Convenzione e dall’articolo 1 del Protocollo
n°1. Egli si lamenta anche, sul terreno dell’articolo 6, dell’omissione delle
corti interne nell’esaminare il suo ricorso contro l’inerzia dell’ufficiale
giudiziario.
Riferendosi ancora all’articolo 6, inoltre, il ricorrente lamenta varie
violazioni delle norme processuali interne da parte delle corti nazionali,
specialmente in relazione ai limiti temporali stabiliti dall’ordinamento
interno.
IN DIRITTO
La Corte deve prima determinare se le doglianze sono ammissibili ai
sensi dell’articolo 35 della Convenzione, come modificato dal Protocollo
n°14 che è entrato in vigore l’1 giugno 2010.
Il Protocollo ha aggiunto una nuova condizione di ricevibilità all’articolo
35 che, per la parte che rileva, dispone nel modo seguente:
“3. La Corte non accoglie alcun ricorso inoltrato sulla base dell’articolo 34 se:
(...)
(b) il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio significativo, a meno che il
rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non
esiga l’esame del merito del ricorso e purché ciò non comporti la reiezione di un
ricorso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale nazionale.”
In conformità con l’articolo 20 del Protocollo, la nuova disposizione si
applicherà a partire dalla sua entrata in vigore a tutti i ricorsi pendenti
presso la Corte, eccetto quelli dichiarati irricevibili. Viste le circostanze del
caso di specie la Corte ritiene opportuno innanzitutto esaminare se le
domande del ricorrente rispettano la nuova condizione di ricevibilità.
Nel far ciò, la Corte ricorda che lo scopo del nuovo criterio di
ricevibilità, nel lungo termine, è di permettere un più rapido smaltimento dei
casi non meritevoli e così di consentire alla Corte di concentrarsi sul suo
compito principale di garantire la tutela dei diritti umani a livello europeo
(si veda la Relazione esplicativa al Protocollo n°14, CETS n°194 (di seguito
indicata come “Relazione esplicativa”), §§ 39 e 77-79). Le Alte Parti
Contraenti chiaramente si augurano che la Corte dedichi più tempo ai casi
che richiedono un esame nel merito, sia dal punto di vista dell’interesse del
ricorrente individuale sia considerando la più ampia prospettiva del diritto
della Convenzione e dell’ordine pubblico europeo al quale contribuisce (si
veda la Relazione esplicativa, § 77). Più recentemente, le Alte Parti
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contraenti hanno invitato la Corte a dare pieno effetto al nuovo criterio di
ammissibilità e a considerare altre possibilità di applicazione del principio
de minimis non curat praetor (si veda il Piano d’Azione adottato dalla
Conferenza di Alto Livello sul futuro della Corte europea dei diritti
dell’uomo, Interlaken, 19 febbraio 2010, § 9(c)).
A. Sulla questione del pregiudizio significativo subito dal ricorrente
L’elemento principale contenuto nel nuovo criterio di ammissibilità è la
questione di verificare se il ricorrente ha subito un “pregiudizio
significativo”. È opinione comune che questi termini siano aperti
all’interpretazione e che essi diano alla Corte un certo grado di flessibilità,
in aggiunta a ciò che è già previsto dai criteri di ricevibilità esistenti (si veda
la Relazione esplicativa, §§ 78 e 80).
Nell’opinione della Corte, questi termini non sono suscettibili di una
definizione esaustiva, così come molti altri termini utilizzati nella
Convenzione. Le Alte Parti Contraenti così aspettano che la Corte stabilisca
criteri oggettivi per l’applicazione della nuova disposizione attraverso il
graduale sviluppo della giurisprudenza (si veda la Relazione esplicativa, §
80).
Ispirati al sopra menzionato principio generale de minimis non curat
praetor, i nuovi criteri si incentrano sull’idea che una violazione di un
diritto, per quanto vera da un punto di vista strettamente giuridico, dovrebbe
raggiungere un minimo livello di serietà tale da autorizzare l’esame di una
corte internazionale. L’accertamento di questo livello minimo è, per sua
natura, relativo e dipende da tutte le circostanze del caso concreto (si veda,
mutatis mutandis, il caso Soering c. Regno unito, 7 luglio 1989, § 100, Serie
A n°161). La serietà di una violazione dovrebbe essere accertata prendendo
in considerazione sia le percezioni soggettive del ricorrente sia ciò che
oggettivamente è in gioco nel caso particolare.
Nelle circostanze del caso in esame, la Corte si è stupita del valore
minimo e, invero, quasi trascurabile perdita pecuniaria che ha spinto il
ricorrente a portare la sua causa dinanzi alla Corte. Le doglianze del
ricorrente erano esplicitamente limitate al mancato pagamento da parte
dell’autorità convenuta di una somma equivalente a meno di un euro
riconosciutagli dal giudice interno.
La Corte è consapevole che l’impatto di una perdita pecuniaria non deve
essere valutata in termini astratti; anche un danno pecuniario modesto può
essere significativo alla luce della condizione specifica di un individuo e
della situazione economica dello Stato o della ragione in cui lui o lei vive.
Tuttavia, con tutto il dovuto rispetto per le diverse condizioni economiche,
la Corte ritiene che al di là di ogni dubbio l’ammontare irrisorio in gioco nel
caso di specie era di minima importanza per il ricorrente.
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La Corte, allo stesso tempo, è consapevole che l’interesse pecuniario
implicato non è il solo elemento per determinare se il ricorrente ha subito un
significativo pregiudizio. Invero, una violazione della Convenzione può
riguardare importanti questioni di principio e, dunque, causare un
pregiudizio significativo senza involgere interessi patrimoniali. Ciò poteva
anche verificarsi nel caso in esame essendosi il ricorrente lamentato, per
esempio, della mancata realizzazione da parte delle autorità del suo
legittimo diritto a consultare la sua documentazione presso il Dipartimento
visti e passaporti. Ma, il ricorrente non ha contestato l’esecuzione della
sentenza nazionale per quella parte, limitando le sue doglianze solamente ai
danni patrimoniali. Così, la Corte non può esaminare l’ostacolo alla
realizzazione del diritto di accesso alla propria documentazione del
ricorrente, che era l’oggetto principale della causa nazionale in questione.
Certamente, l’insistenza del ricorrente circa il pagamento dei 22.50 rubli
da parte dell’autorità convenuta può essere stata indotta dalla sua percezione
soggettiva che si trattava di un’importante questione di principio. Sebbene
rilevante, questo elemento non basta alla Corte per concludere che egli ha
subito un pregiudizio significativo. La percezione soggettiva del ricorrente
circa l’impatto delle allegate violazioni deve essere giustificabile sulla base
di motivi oggettivi. Tuttavia, la Corte non riscontra una tale giustificazione
nel caso di specie, dato che la principale questione di principio, con ogni
probabilità, era stata decisa in favore del ricorrente.
Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude che il ricorrente non ha
subito un pregiudizio significativo quale effetto delle dedotte violazioni
della Convenzione.
B. Sulla questione del rispetto dei diritti umani come riconosciuti
dalla Convenzione e dai Protocolli i quali richiedono un esame del
ricorso nel merito
Il secondo elemento contenuto nel nuovo criterio è da intendersi come
una clausola di salvaguardia (si veda la relazione esplicativa, § 81) che
impone alla Corte di continuare l’esame del ricorso, anche in assenza di un
pregiudizio significativo causato al ricorrente, se il rispetto dei diritti umani,
come riconosciuti dalla Convenzione e anche dai Protocolli, lo richiede. La
Corte nota che la formulazione è tratta dal secondo periodo dell’articolo 37
§ 1 della Convenzione dove essa svolge una simile funzione nel contesto
delle decisioni di cancellazione dal ruolo della Corte dei ricorsi. La stessa
formulazione è usata nell’articolo 38 § 1 della Convenzione come base per
assicurare un regolamento amichevole fra le parti.
La Corte nota che gli organi della Convenzione hanno interpretato
costantemente quelle disposizioni nel senso di obbligarli a continuare
l’esame di un ricorso, nonostante un regolamento delle parti o l’esistenza di
altri motivi per la cancellazione del ricorso dal ruolo. Un esame ulteriore di
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un ricorso è dunque ritenuto necessario quando esso solleva questioni di
carattere generale riguardanti l’osservanza della Convenzione (si veda il
caso Tyrer c. Regno Unito, ricorso n° 5856/72, rapporto della Commissione
del 14 dicembre 1976, Serie B 24, p. 2, § 2).
Tali questioni di carattere generale potrebbero emergere, per esempio,
quando c’è bisogno di specificare gli obblighi degli Stati discendenti dalla
Convenzione o per indurre lo Stato convenuto a risolvere una deficienza
strutturale che si riferisce ad altri individui nella stessa posizione del
ricorrente. La Corte, quindi, è stata frequentemente indotta, sul terreno degli
articoli 37 e 38, a verificare se il problema generale sollevato dal ricorso era
stato o stava per essere risolto e se quella questione giuridica generale era
stata risolta dalla Corte in altri casi (si vedano, fra i molti altri precedenti, il
caso Can c. Austria, 30 settembre 1985, §§ 15-18, Serie A n° 96, e il caso
Léger c. Francia (cancellato dal ruolo) [GC], ricorso n° 19324/02, § 51,
ECHR 2009-...).
Valutando il caso in esame in questa direzione, come richiesto dal nuovo
articolo 35 § 3 (b), e avuto riguardo ai suoi doveri ai sensi dell’articolo 19
della Convenzione, la Corte non vede nessuna impellente ragione di ordine
pubblico (ordre public) che implica un suo esame nel merito. In primo
luogo, la Corte ha in numerose occasioni deciso questioni analoghe a quella
derivante dal presente ricorso e ha accertato nel dettaglio le obbligazioni
degli Stati derivanti dalla Convenzione rispetto ad esse (si vedano, fra i
molti altri precedenti, il caso Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, Reports of
Judgments and Decisions 1997-II; il caso Burdov c. Russia, ricorso n°
59498/00, ECHR 2002-III; e il caso Burdov c. Russia (n° 2), ricorso
n° 33509/04, ECHR 2009-...). In secondo luogo, sia la Corte che il comitato
dei Ministri hanno trattato del problema strutturale della mancata
esecuzione delle sentenze nazionali nella Federazione Russa e della
necessità di adottare misure generali per prevenire nuove violazioni della
stessa natura (si veda il caso Burdov (n° 2), sopra citato, e le Risoluzione
Interinali del Comitato dei Ministri CM/ResDH(2009)43 del 19 marzo 2009
e CM/ResDH(2009)158 del 3 dicembre 2009). Un esame nel merito del
presente ricorso non fornirebbe alcun nuovo elemento a riguardo.
La Corte conclude che il rispetto dei diritti dell’uomo, come riconosciuti
dalla Convenzione e anche dai Protocolli, non richiede un esame nel merito
del presente ricorso.
C. Sulla questione del debito esame da parte di un tribunale
nazionale
L’articolo 35 § 3 (b) non consente il rigetto di un ricorso sulla base delle
nuove condizioni di irricevibilità se il caso non è stato debitamente
esaminato da un tribunale interno. Qualificata dagli estensori come una
seconda clausola di salvaguardia (si veda la Relazione esplicativa, § 82), il
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suo scopo è quello di assicurare che ogni ricorso riceva un vaglio
giurisprudenziale sia a livello nazionale che a livello europeo, in altri
termini, quello di evitare un diniego di giustizia. La clausola è anche
conforme al principio di sussidiarietà, come riflesso soprattutto nell’articolo
13 della Convenzione, il quale richiede che un ricorso effettivo contro le
violazioni sia predisposto a livello nazionale.
Nell’opinione della Corte, i fatti del presente ricorso considerati nel
complesso non rivelano un diniego di giustizia a livello nazionale. Le
iniziali doglianze del ricorrente contro le autorità statali venivano esaminate
in due gradi di giurisdizione e le sue richieste venivano accolte. Il suo
successivo ricorso contro l’omissione dell’ufficiale giudiziario nel recupero
del risarcimento in suo favore veniva rigettato dalla corte distrettuale per il
mancato rispetto delle condizioni processuali interne. Il ricorrente non aveva
osservato quelle condizioni, non avendo ripresentato la sua domanda in
conformità alla richiesta del giudice. Questa situazione non costituisce un
diniego di giustizia imputabile alle autorità.
Con riguardo alle dedotte violazioni delle regole processuali nazionali da
parte delle due corti, la Convenzione non riconosce al ricorrente il diritto di
impugnazione una volta che la causa è stata decisa in ultima istanza (si veda
il caso Tregubenko c. Ucraina, ricorso n° 61333/00, 21 ottobre 2003, e il
caso Sitkov c. Russia (dec.), ricorso n° 55531/00, 9 novembre 2004). Che
queste doglianze non siano soggette ad un ulteriore vaglio giurisdizionale
per l’ordinamento interno non costituisce, nell’opinione della Corte, un
ostacolo per l’applicabilità del nuovo criterio di ricevibilità. Affermare il
contrario impedirebbe alla Corte di rigettare qualsiasi domanda,
quand’anche insignificante, riguardante le allegate violazioni imputabili ad
un’autorità nazionale di ultima istanza. La Corte ritiene che un tale
approccio non sarebbe né appropriato né conforme all’oggetto e allo scopo
della nuova disposizione.
La Corte conclude nel senso che la causa del ricorrente è stata
debitamente esaminata da un tribunale nazionale in conformità all’articolo
35 § 3 (b).
D. Conclusioni
Alla luce di quanto detto sopra, la Corte ritiene che il presente ricorso
deve essere dichiarato irricevibile in conformità all’articolo35 § 3 (b) della
Convenzione, come modificata dal Protocollo n°14. Questa conclusione
evita la necessità di esaminare se il ricorso rispetti le altre condizioni di
ricevibilità.
Per queste ragioni, la Corte all’unanimità
Dichiara il ricorso irricevibile.
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