quaderno di traduzioni
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Andrea Valenti Quaderno di traduzioni Simon Armitage Samuel Beckett Elizabeth Bishop Emily Bronte George Byron Raymond Carver E.E. Cummings Emily Dickinson Thomas Stearns Eliot Robert Frost Seamus Heaney Gerald Manley Hopkins James Joice Jack Kerouac Robert Lowell Edgar Lee Masters James Merrill Silvya Plath Ezra Pound Robin Robertson William Shakespeare Percy Bysshe Shelley Wallace Stevens Mark Strand Dylan Thomas Derek Walcott Charles Wright 2 Simon Armitage 3 "My party piece" Il mio pezzo forte: accendo un fiammifero, e da quando balugina la fiamma, a quando la luce supera se stessa e muore, io racconto la storia della mia vita data e luoghi, le verità portate, nomi e volti, tanti, chi mi ha dimostrato amore, chi c'è andato vicino, i cambiamenti fatti, le lezioni prese poi trovo pure il tempo di esitare e arrossire prima che la fiamma morda e bruci. Ma un consiglio a chi culli una sola oncia di tristezza, a chi è solo: non fatelo; è pericoloso, folle. I am very bothered when I think Mi rattrista davvero ricordare tutto il male che ho fatto. Anche la volta al laboratorio di chimica quando presi per le lame un paio di forbici e ho temuto l'impugnatura sulla viva fiamma lilla di un becco Bunsen; poi ho chiamato te e te le ho passate. O, il tanfo della pelle bruciata, quando infilasti pollice e medio senza a riuscire a liberarti dai due anelli roventi. Segnata, disse il dottore, eternamente. Ma ti prego di non credermi, se dico che era il mio modo da tredicenne maldestro di chiederti in sposa. No convictions Senza convinzioni - questo il mio unico grande difetto. Nulla che mi spinga ad urlare, nulla per scatenare un inferno o fare una canzone per ballarci su. Potrei essere incontenibile, uno che di notte s'impregna di benzina, 4 uno che s'infiamma per il mondo intero, il sangue che ribolle, capelli che s'arricciano. Ho un neo tre pollici a sud est del naso, un cuore che gareggia con un orologio da taschino, un pugno che s'apre come un coltellino svizzero, e trucchetti che che fan scattare applausi spontanei. Ma non ho causa, nessuna causa. Some unimportant A volte una parola non importante o una frase mi ronza in testa per giorni. Accendere e rimanere a distanza. Non avvicinarsi ad una girandola accesa. Stasera sono vuoto fuso parcheggiato in garage con il motore acceso al buio. Chi mi conosce mi tiene a distanza gli altri mi vorrebbero veder morto. Non ancora. Strappo dal libro l'ultimo fiammifero un'unica strisciata secca sul parabrezza. Sul vetro c'è la mia immagine colta sul fatto conduce luce fino a quando il calore sfiora il pollice e le dita, sblocca la mano, mi scuote, attiva qualcosa nel flash del mio cuore. To poverty Sei qui di nuovo, dopo essere stata per anni nei paraggi. Accomodati. Ne riconosco l'ombra ovunque, quella silhouette senza volto, quella forma. Sii mia ospite, vivremo fianco a fianco come siamesi uniti alla tasca. Troppo a lungo ho tentato di evitarti. L'inverno scorso quando avesti l'influenza avrei dovuto svignarmela, e invece ti ho dato ogni responsabilità, la malattia, sangue marcio. È freddo di nuovo, avvicinati al fuoco, alla luce, fatti riconoscer meglio. 5 Quanto male mi hai fatto: tutte quelle domeniche che m'hai lasciato al buio al rosso a terra senza lavoro. Interminabili settimane a pane senza burro, a letto senza cena. La volta in cui sfondando il capodanno di Schofield mi spezzai entrambe le gambe, e Schofield non poteva staccare una gamba dal tavolo per farci una stecca. Rimasi immobile tredici settimane. Un povero può solo aspettare. E aspettare. Perché mi stai addosso? Va dalla Regina, premi sul dotore, sul decano, alita sul maggiore, spremi il massone o il manager, va a Londra, o da un romanziere da scocciare e prosciugare. Ma ripensandoci, resta. Tutti dobbiamo avere qualcuno vicino da accoltellare alla schiena. L'ha detto Robert Frost. E poi è meglio averti sott'occhio che alle spalle ad ogni svolta in ogni strada in ogni città. Siediti, va. Ho detto siediti. White christmas E per una volta è bianco Natale, tanto bianco che le strade sono impraticabili, e mia moglie è bloccata in una città non percorsa da trattori o spazzaneve. È a letto sveglia e sola. Chiama e ci passiamo i regali al telefono. Il mio è un orologio, proprio quello che avrei scelto. Il suo è una canzone, quella che fa Here come the hills of time e resta nella copertina nessuno la canta, la scarta. Il cane di sotto però sbuffa, rosicchia, latra così lo porto sulla neve limpida 6 lungo il canale fino alla rimessa delle barche poi fino a casa dei miei dove mia madre è Marie Curie che scopre il radio in cucina e mio padre è Fred Flinstone, e un'ospite del passato con un'espressione che dice, menti, ragazzo: farò una collana coi tuoi denti e orecchini coi tuoi occhi, e colazione con le cazzate che racconti, poi c'è Gesù, la mia nipotina di due anni, passa tra noi con il frutto della terra e la luce del mondo - Christingle - un'arancia rossa infilzata con una candale accesa. Mangiamo, ma il cane questua beve dal cesso, canta in cantina. Solo Gesù m'accompagna sotto le scale con un osso. Poi, quando sto per andarmene vuole stringermi la mano, ma mi pesano le braccia, fatte di vile metallo, e il cane mi trascina verso la strada buia, di nuovo alla casa vuota. Passa mia sorella in auto e per darmi la buonanotte solleva un braccio del Gesù che dorme, ma io guardo l'ora e mi sento come il tizio della barzelletta, quello che in un mondo d'amici con gli orologi fermi sincronizza il suo. Song of the west men Nel lontano del lontano dalle isole delle isole accanto alle rocce delle rocce che le urie striano con la merda della loro merda, un peschereccio colò a picco nell'onda delle onde, e un pescatore nuotò per la vita della sua vita attraverso il crescere dell'acqua 7 a temperatura un grado. E le ossa delle sue ossa erano più fredde della pietra ed il suo sangue andava più lento del lento. Arrivò a terra dove le scogliere delle scogliere erano più ripide del ripido, dove pascolavano pecore con i denti dei loro denti. Allora puntò di nuovo verso la spiaggia, e si ritrovò tra la lava che lo scarnificò fino ai piedi dei suoi piedi e arrivò a una porta con il decimo di un racconto più inverosimile dell'inverosimile, freddo e sanguinante come un uomo uscito dal frigo. Eppure vivo. Il bene del bene verrà per questa strada, dicono: logoro e lacero, improbabile e fuori dalla tempesta sempre che venga. For the record È da quando brutalmente m'hanno estratto quattro denti del giudizio che mi sono ritrovato a parlare con la bocca di un altro, come dire, e la mia lingua è diventata un mollusco simile a un'ostrica o a una vongola violata, penetrata, che si lecca le ferite dentro la conchiglia. M'ha intrappolato nel sonno uno sorridente, che m'ha passato la dose come uno zio passa al nipote preferito dieci sterline, proprio così, col dorso della mano e l'occhiolino. Sono finito nel mondo dei sogni, 8 ma mi sono risvegliato urlando, desiderando stringere la mano all'infermiera. Prima di questa, l'unica esperienza sotto i ferri risale ai miei cinque anni, quando le tonsille appese in gola come pipistrelli in fondo ad una caverna andavano stanate. Ma fu una stronzata in confronto a questa: tra le altre cose ci sono voluti tre uomini bene in carne, una chiave inglese e la lussazione della mandibola. Non è forse un abuso della forza? Un po' come cacciare una famiglia di quattro persone trascinandole fuori mentre strillano e tirano calci aggrappandosi ai mobili. Come voler far passare i quattro angoli della terra attraverso l'Arco di Trionfo. Si potrebbe anche pensare che il progresso medico possa estrarre denti come quelli dalle orecchie o dall'ano, o frantumarli come calcoli renali con il laser a sicura distanza. Ma pare non ci siano stati i barcollanti passi in avanti rispetto a quando il dentista piazzava scranni alle fiere o in circhi itineranti. Mi torna in mente anche Jhon Henry Small di Devizes, che si ficcò un pugno in bocca e non riusciva a risputarlo e quando gli rimossero la mano vennero fuori anche canini e incisivi. 9 The ram Mezzo morto, travolto da un'auto, in ogni sua forma scattavano i nervi, come un pesce sul prato. Per finirlo, mi chiede di salire sulla sua gola, come chiedesse ad un amico di tenere stretto con un dito, un nodo da stringere. Poi gli sollevò la testa, la fece ruotare mezzo giro usando le ammoniti, membrane spirografidi delle corna fino agli occhi, su filamenti, guardavano indietro le ossa. Canis major A piedi lungo le colline, un cane si unì a noi e per oltre venti miglia non volle tornare nonostante uno di noi lo picchiasse. A disagio, pensammo di pagargli un taxi che lo riportasse a sud, ma mezzo morto zoppicò verso la casa dove guarda caso abitava, la stessa, guarda caso, dove avremmo dormito. Così morì quieto sotto il tavolo mentre cenavamo. Leo minor Quando arrivarono le foto storiche del primo gatto verde autentico, non ero rintracciabile, guardavo in bianco e nero un set preso a nolo. E pensai a mia madre dentro casa il giorno in cui assassinarono Kennedy, guanti di plastica, a pianger vere lacrime sui piatti da lavare. Canis minor Avevamo preso dalla credenza il cane di porcellana che predice il tempo: azzurro per la neve oro d'estate. Luce invernale quando mia sorella si chiede se il suo Einstein di due anni sia adatto a segni e stagioni di questo o di un altro mondo. Il cimelio di famiglia, il suo senso di futuro dov'è ora, nelle mani di chi e di che colore? 10 Incredible Dopo la prima fase e la grande caduta tra le assi del pavimento al piano di sotto, l'atterraggio morbido e in piedi alto un pollice nel maestoso tempio tra le gambe del tavolo o, sempre un pollice, nel letto di una scatola di cerini… E dopo le guerre ben documentate: il gatto in mimetica da deserto il ragno nel suo carro d'arti, il passero nel suo aereo ad un posto solo… Dopo quello, di nuovo tutto in scala. Sorgere di ultimo sorriso umano. La pura inconseguenza della nudità, l'obsolescenza poi di carne ed ossa. Gonfio ogni atomo, quelle molecole divennero palle da biliardo e passarono come lune. Neutrini spuntati e sbocciati, ogni capocchia di spillo divenne portale vicino e spalancato. Ma le stecche da una iarda, sostegni per fossi, si torsero, fallirono. Passarono vite. Con la massa critica poco più di un pensiero di pensiero andai avanti fino al punto di cessazione. Cercai una fine, una dimensione per resistere, ma ancora esisto. 11 Samuel Beckett 12 All strange away Morta immaginazione immagina. Un luogo, lo stesso. Mai un nuovo quesito. Un luogo. E lì qualcuno, lo stesso. Striscia fuori dal sudicio letto di morte e spingilo altrove e muòrici. Fuori, giù in strada, nel vecchio cappotto cappello come dopo la guerra, no, non lo stesso. Cinque piedi quadrati, altezza sei, senza ingresso, senza uscita, prova a cercarlo lì. Sgabello, pareti spoglie quando la luce s’accende. Volti di donna alle pareti quando la luce s’accende. Buio, e fa che lui sia sullo sgabello che parla da solo all’ultima persona, mormorando, suono alcuno, Ora dove è, no, Ora è qui. Seduto, fermo, camminando, in ginocchio, trascinandosi, giacente, arrampicato, al buio e alla luce, tu prova tutto. Immagina la luce. Roundelay lungo tutta la spiaggia al termine del giorno i passi unico suono unico lungo suono finchè spontaneamente non si fermano e allora nessun suono lungo tutta la spiaggia a lungo nessun suono finchè spontaneamente non riprendono i passi unico suono unico lungo suono lungo tutta la spiaggia alla fine del giorno Song L’età è quando un uomo raggomitolato vicino al fuoco rabbrividisce, cosicchè la strega si ricordi di portar lo scaldino ed il grog fumante. E viene tra le ceneri lei, l’amata mai posseduta o l’altra, posseduta senza amore o qualcosa di simile arriva dalle ceneri in quella vecchia luce quel volto nelle ceneri vecchia luce di stelle di nuovo sulla terra. 13 Cascando I perché no semplice disperar di occasione di pronunciarsi non è meglio l’aborto che esser sterili dopo che te ne vai le ore son plumbee e sempre troppo presto esse cominciano One night as he sat at his table… Mentre sedeva al suo tavolo di notte la testa tra le mani vide se stesso alzarsi e andarsene. Una notte o un giorno. Perché quando l'unica luce si spense non restò al buio. Una specie di luce arrivava dall'unica alta finestra. Ancora lì sotto lo sgabello sul quale finchè non poteva o non voleva più era solito salire per vedere il cielo. Perché non si sporgesse per vedere cosa giacesse sotto era forse perché la finestra non si poteva aprire o perché egli non poteva o non voleva aprirla. Forse sapeva anche troppo bene cosa giacesse sotto e non desiderava vederlo ancora. Semplicemente voleva restarsene là in alto sopra la terra a vedere attraverso il vetro sporco il cielo privo di nuvole. La sua immutabile debole luce 14 diversa da ogni altra luce poteva ricordarla dai giorni e dalle notti quando il giorno diventava notte all'improvviso e la notte giorno. Quella luce fuori che da quando la sua s'era spenta divenne la sua unica luce finchè anch'essa a sua volta si spense lasciandolo al buio. Finchè anch'essa a sua volta si spense. Dunque una notte o un giorno mentre sedeva al suo tavolo la testa tra le mani vide se stesso alzarsi e andarsene. Prima alzarsi restando aggrappato al suo tavolo Poi sedere ancora Alzarsi ancora aggrappato al tavolo ancora. Poi andarsene. Incominciare ad andarsene. Su piedi invisibili incominciare ad andarsene. Così piano che solo il cambiamento di posto dimostrava che se ne andava. Come quando spariva solo per riapparire più tardi in un altro posto. Poi spariva ancora per riapparire ancora più tardi 15 in un altro posto ancora. Così ancora e ancora spariva ancora solo per riapparire ancora più tardi in un altro posto ancora. Un altro posto nel posto dove sedeva al suo tavolo la testa tra le mani. Lo stesso posto e lo stesso tavolo per esempio di quando Darly morì e lo lasciò. Come quando anche altri a loro volta prima e dopo. Come quando anche altri anche loro a loro volta lo avrebbero lasciato finchè anche lui a sua volta. La testa tra le mani a metà sperando di sparire ancora senza riapparire ancora e metà spaventato di non riapparire. O semplicemente domandando. O semplicemente aspettando. Aspettando di vedere se sarebbe o non sarebbe. Lasciarlo o meno da solo di nuovo 16 ad aspettare il nulla di nuovo. Visto sempre da dietro ovunque andasse. Stesso cappello e mantello come ai tempi in cui vagava per le strade. Le strade remote. Ora come uno in un posto ignoto che cerca l'uscita. Nel buio. In un posto ignoto ciecamente nel buio di una notte o di un giorno alla ricerca dell'uscita. Un'uscita. Verso le strade. Le strade remote. Un orologio lontano suonava ore e mezzore. Lo stesso di quando fra gli altri Darly una volta morì e lo lasciò solo. Rintocchi ora chiari come portati da un vento ora deboli nell'aria calma. Lontane grida ora deboli ora chiare. La testa tra le mani mezzo sperando quando l'ora suonava che non suonasse la mezz'ora e mezzo temendo che non sarebbe suonata. Allo stesso modo quando le grida un attimo cessavano. O soltanto domandando O soltanto aspettando. Aspettando di sentire. 17 C'era stato un tempo in cui qualche volta sollevava la testa abbastanza per vedersi le mani. Ciò che di esse si poteva vedere. La prima appoggiata sul tavolo e l'altra sulla prima. A riposo dopo tutto ciò che avevano fatto. Sollevava la sua testa di un tempo un momento per vedere le sue mani di un tempo. Poi l'appoggiava di nuovo su di esse per riposare anch'essa. Dopo tutto ciò che aveva fatto. As one in his right mind Come uno con la testa a posto quando fu fuori ancora senza sapere come mai fosse fuori ancora, ma non da molto, allora cominciò a domandarsi se avesse la testa a posto. E fu al modo di un uomo più o meno ragionevole che alla fine egli emerse senza sapere come al mondo esterno e non c'era rimasto più di sei - sette ore d'orologio quando non potè non cominciare a domandarsi se avesse la testa a posto. I rintocchi dello stesso orologio erano quelli uditi innumerevoli volte nella sua reclusione al rintocco delle ore 18 e delle mezz'ore e così forse prima una fonte di sicurezza e poi una fonte d'inquietudine non essendo ora più nitidi di quando venivano smorzati e spenti dalle quattro mura. Allora sperò soccorso nel pensiero di uno che la sera s'affretta al tramonto cercando una vista migliore di Venere e non la trova. L'unico altro suono le grida che animavano la sua solitudine mentre perso nella sofferenza sedeva al suo tavolo la testa tra le mani era vera la stessa cosa. Della loro provenienza quella dei rintocchi e delle grida era vera la stessa cosa: che non era più determinabile ora di quanto fosse naturalmente allora. Forzando i suoi rimasugli di ragione per tirare avanti cercò conforto nel pensiero che la sua memoria dell'interno fosse forse in errore e non ne trovò. E s'aggiunse al suo smarrimento il suo passo silenzioso come quando a piedi scalzi 19 camminava sul pavimento. Così ciò che udiva di male in peggio finchè non cessò se non di udire di ascoltare e cominciò a guardarsi intorno. Alla fine era su un prato d'erba ciò almeno sembrava al suo passo silenzioso e poi poco più tardi come per compensare un modo di accrescere il suo turbamento. Poiché non poteva ricordare alcun prato d'erba dal cui cuore diventasse introvabile qualsiasi confine ma sempre da una parte o da un'altra qualche visibile confine, un recinto o una staccionata o qualcos'altro da cui far ritorno. Né guardando più da vicino a peggiorar le cose questa era l'erba verde e corta che gli sembrava di ricordare brucata da greggi e mandrie una lunga e grigio pallido qua e là quasi bianca. Poi ciò che vedeva di male in peggio 20 finchè non cessò se non di vedere di guardare (intorno a sé o più vicino) e cominciò a meditare. A questo scopo mancando una pietra dove sedere come Walter e incrociare le gambe non potè fare meglio che immobilizzarsi cosa che fece dopo un istante di esitazione e naturalmente piegare la testa come in profonda meditazione cosa che fece dopo un altro istante di esitazione. Ma presto stanco di cercare invano in quelle rovine s'incamminò tra le lunghe erbe biancastre rassegnato a non sapere dove si trovasse o come ci fosse arrivato o dove stesse andando o come tornare indietro là dove non sapeva come fosse venuto. Andava così, nulla sapendo e senza meta in vista. Non sapendo e per di più senza desiderio di sapere anzi senza desideri di alcun tipo e perciò senza alcuna pena salvo che avrebbe desiderato che i rintocchi cessassero e le grida 21 ed era dispiaciuto che non succedesse. I rintocchi ora deboli ora nitidi come portati dal vento e invece non un alito e le grida ora deboli ora nitide. 22 Elizabeth Bishop 23 The map (Ultima strofe) I mari sulle mappe sono calmi più della terra, prestando alla terra la forma stessa di onde: corre a sud come lepre turbata la Norvegia, dov’è terra i profili indagano il mare. Sono assegnati, o scelgono i colori i paesi sulle mappe? Per carattere proprio a risaltar le acque costiere. La topografia esclude favori il Nord è vicino quanto l’Ovest ed i cartografi usano i colori molto più delicati degli storici. Chemin de fer Sola, lungo i binari camminavo con il cuore in tumulto. Troppo ravvicinate le traverse o forse troppo distanti tra loro. Lo scenario era proprio impoverito: soltanto cespugli di pini e quercie; oltre il folto di foglie grigio-verdi vidi il piccolo stagno dove vive quel sudicio eremita, stendersi come una lacrima antica e stringendo a sé le proprie ferite lucidamente, un anno dopo l’altro. Scaricò l’eremità il suo fucile vicino alla capanna tremò l’albero. Sullo stagno passò un’increspatura, chiocciò la gallinella. “L’amore dev’ essere esercitato!” gridò il vecchio eremita. Un’eco attraversando quello stagno tentò e ritentò di confermare. 24 At the fishouses Nonostante sia freddo questa sera, laggiù vicino auno dei magazzini un vecchio siede e cuce la sua rete, che è quasi invisibile nel crepuscolo, un’oscurità bruno-rossastra e la sua spola rosa e levigata. L’aria puzza tanto di merluzzo che il naso pizzica e gli occhi lacrimano. I cinque magazzini hanno aguzzi tetti a punta e strette passerelle oblique agganciate che fan da ponte ai depositi in alto per le carriole che vanno su e giù. Tutto è d’argento: la pesante superficie dell’acqua, che lenta si gonfia come per traboccare, è opaca, ma l’argento dei banchi, dei secchi d’aragoste, delle alberature, sparso tra le rocce selvagge e frastagliate, è d’una lucentezza trasparente come i minuscoli vecchi edifici con muschio di smeraldo sui muri volti a riva. Le grandi vasche striate di bellissime scaglie di aringhe e le carriole sono anch’esse coperte da iridescenti cotte di maglia dove arrancano insetti iridescenti. Sul piccolo pendio dietro le case, tra i radi luminosi ciuffi d’erba c’è un vecchissimo argano di legno, crepato, con due lunghe maniglie bianche e con alcune macchie malinconiche come di sangue secco dove il ferro battuto è arrugginito. Il vecchio accetta una Lucky Strike. È stato un amico di mio nonno. Parliamo del calo demografico, di merluzzi e di aringhe mentre aspetta la barca delle aringhe. Luccica la sua maglia e il suo pollice. Ha raschiato le scaglie, la cosa più bella, di tantissimi pesci con la scura vecchia lama ormai consumata. A pelo d’acqua, dove si sollevano le barche, sulla lunga rampa che discende nell’acqua, tronchi argentei e sottili sono posati 25 orizzontalmente su pietre grigie a intervalli di quattro o cinque piedi. Freddo scuro profondo e limpidissimo, elemento tollerabile non per gli uomini ma per pesci e foche… Una foca in particolare ho visto per molte sere di seguito la incuriosivo e amava la musica; come me credeva nell’immersione totale, e così le cantavo inni battisti. O: “Il nostro Dio è Salda Fortezza”. Stava dritta nell’acqua e mi guardava attenta, muovendo appena la testa. Poi spariva, ma riemergeva rapida in quello stesso punto, scrollando le spalle come a dire che è meglio metter giudizio. Fredda scura profonda e limpidissima, limpida acqua grigia ghiacciata… Dietro cominciano gli alti abeti solenni, azzurri alberi di Natale in piedi che aspettano il Natale. L’acqua sembra sospesa sopra le tonde pietre grigio azzurre. Ho riguardato questo stesso mare oscillare lieve e indifferente sulle pietre gelido e libero sopra le pietre, sopra le pietre e poi sul mondo. E se tu ci immergessi la tua mano, sentiresti al tuo polso un dolore immediato, ti dorrebbero le ossa e ti brucerebbe la mano come un’acqua tramutata in fuoco alimentato dal fuoco grigio delle pietre. Ti sembrerebbe amaro il suo sapore prima, poi salato, poi ti brucerebbe la lingua. È come immaginiamo la conoscenza: scura, salata, limpida, libera e mobile attinta dalla fredda dura brocca del mondo, scesa da seni di roccia, scorre sempre ed è attinta, e poiché la nostra conoscenza è storica, scorrendo è già trascorsa. 26 Manners Mio nonno mi ammonì mentre eravamo seduti a cassetta - E ricordati sempre di salutare chiunque tu incontri – Quando incontrammo un forestiero a piedi con la frusta si toccò il cappello. - Buon giorno a voi, signore, il tempo è splendido – E dicevo così con un inchino. Poi incontrammo un giovane vicino che teneva una gazza sulla spalla. - Offri sempre un passaggio, sempre e a chiunque; e non dimenticarlo, quando cresci – disse mio nonno. Fu così che Willy saltò su, ma la gazza gracchiò e volò via. Mi preoccupai. Come avrebbe capito dove andare? Ma svolazzò piano davanti a noi da uno steccato all’altro e se Willy fischiava, rispondeva. - È un buon uccello – disse mio nonno, - ed è stato educato bene. Guarda, risponde a tono quando gli si parla. Uomo o bestia, l’educazione è una. Ed entrambi dovete ricordarvene. – Se passava qualche auto la polvere nascondeva ogni volto ma noi si gridava - Buon giorno a voi, signore! Il tempo è splendido! – Quando arrivammo a Hustler Hill il nonno disse che la giumenta era sfinita, così scendemmo tutti e andammo a piedi, come le buone maniere esigevano. 27 Visit to St. Elizabeths Qui abitano i pazzi. È questo l’uomo che vive nella casa dei pazzi. È questo il tempo del tragico uomo che vive nella casa dei pazzi. È questo l’orologio che segna il tempo di quell’uomo loquace che vive nella casa dei pazzi. È questo il marinaio, al polso ha l’orologio che segna il tempo dell’uomo onorato che vive nella casa dei pazzi. È questo il molo, tutto fatto d’assi che accoglie il marinaio che al polso ha l’orologio che segna il tempo del coraggioso vecchio che vive nella casa dei pazzi. Son questi gli anni e i muri del reparto, i venti e le nubi del mare di assi corsi dalle vele del marinaio che al polso ha l’orologio che segna il tempo dell’uomo capriccioso che vive nella casa dei pazzi. È questo un mondo di libri scoppiato Quest’è l’ebreo dal cappello di carta che danza piangendo lungo il reparto sul cigolante mare d’assi del marinaio strambo che carica l’orologio che segna le ore dell’uomo indaffarato che vive nella casa dei pazzi. 28 Faustina, or rock roses L’aiuto di Faustina in una casa folle sopra un letto da folli e fragile, con lo smalto scheggiato che fiorisce sopra la sua testa in quattro vaghe forme simili a rose, la donna bianca bisbiglia a se stessa. Le assi del pavimento si sconnettono qua e là. Sopra il tavolo coperto da un asciugamano resta la scatola di talco e cinque confezioni di pastiglie, per lo più quasi cristallizzate. La visitatrice siede e osserva brillare la rugiada alla parete e due lucciole di un verde smorzato. Ma la lampadina da ottanta watt tradisce tutti quanti, manifestando l’ansia assieme allo stupore; illumina le teste di puntine sulla carta da parati, con violette in rilievo, che luccicano con le scaglie di mica. 29 Letter to N.Y. Nella tua prossima lettera scrivimi dove vai, cosa fai; che commedie ci sono, e quali altri piaceri vai cercando: se prendi taxi di notte e vai rapida come volessi mettere in salvo l’anima dove la strada gira attorno al parco e il tassametro brilla come un gufo moralista; e così strani, così verdi sembrano gli alberi, così soli in grandi antri neri e all’improvviso sei in un altro luogo e tutto sembra avvenire a ondate e non riesci a cogliere le battute come le parolacce cancellate alla lavagna, e la musica è al massimo ma il senso resta oscuro ed è tardissimo, e uscendo da una casa in pietra rossa sul marciapiede grigio, la strada umida, un lato dei palazzi con il sole risorge come in un campo che luccica. - Grano o loglio che sia, mia cara, temo non sia stata tua cura seminare, ciononostante vorrei sapere cosa vuoi fare e dove vuoi andare. 30 Brazil Gennaio, la Natura appare agli occhi nostri proprio com’è apparsa ai loro: ciascun centimetro fitto di foglie – grandi, piccole, enormi, blu blu-verdi e oliva, a volte venature e bordi chiari o con la parte inferiore di raso; felci mostruose in rilievi argentati, e anche fiori, come ninfee giganti su nell’aria – o piuttosto tra le foglie – viola, gialli, due gialli, rosa, rosso ruggine e bianco verdi; solidi ma leggeri; freschi, come finiti da poco e tolti dal quadro. Un cielo blu e bianco, un velo semplice che fa da sfondo a dettagli di piume: brevi archi, rotte ruote verde pallido, palme, basse e scure, ma delicate; e appollaiati di profilo, a becco aperto, i grandi quieti uccelli simbolo, e ciascuno mostra solo a metà il petto gonfio e ovattato, puro il colore, o a macchie. Eppure in primo piano c’è il Peccato: cinque draghi fuliggine vicino ad alcune rocce massicce. Le rocce lavorate dai licheni, grigi squarci di luna spruzzati e sovrapposti, minacciati dal muschio sotterraneo in splendide fiamme verdi d’inferno, e sopra i rampicanti come scale di corda, oblique e in ordine, “una foglia sì e una foglia no” (come si dice in lingua portoghese) le lucertole respirano appena; tutti gli occhi rivolti alla più piccola, la femmina, voltata, con la coda cattiva rivolta in alto e rossa come un filo incandescente. 31 Emily Bronte 32 Stanzas Spesso respinta, eppure torno sempre a quei sentimenti nati con me, e rinuncio a ricchezza e conoscenza per vani sogni di cose possibili: oggi rinuncio alla terra dell’ombra; troppo opprimente il suo vasto vuoto qui s’inseguono legioni d’immagini portando l’irreale troppo vicino. Non seguirò antiche tracce eroiche né sentieri d’alta moralità né tra quei volti ormai indistinguibili forme vaghe di storia troppo antica. Non vorrò in alcun modo altra guida che non sia quella della mia natura: dove le greggi pascolano tra felci e tra i monti battuti dai venti. Che rivelano i monti solitari? Più gloria, più dolore del dicibile: terra capace di destare un cuore è terra che ha in sé l’Inferno e il Cielo. 33 Death Morte, che hai colpito quando più fidavo nella fede della gioia a venire, spezza il ramo ormai arido del Tempo dalla fresca radice dell’Eterno! Le foglie su quel ramo erano splendide, piene di linfa e fresche di rugiada; ogni notte eran rifugio di uccelli; e attorno ai fiori volavan le api. Arrivò il dolore e colse il fiore; la colpa strappò le foglie orgogliose; ma continuava nel suo seno a scorrere il flusso indomabile della vita. Non piansi a lungo per la gioia persa, per la canzone muta e il nido vuoto; un riso di speranza mi guarì sussurrando: “L’inverno finirà!” Tornò la primavera più feconda, ed ornò di bellezza piena il ramo; vento e pioggia e la fervida carezza del sole incoronarono maggio. Fiorì, lontano dal dolore alato; e il peccato temette il suo splendore; la vita, l’amore avrebber potuto salvarlo da ogni male – non da te! Morte crudele! Foglie fresche languono; la brezza serale potrà salvarle – no! Il sole dell’alba irride il pianto – Non fiorirà mai più per me il Tempo! Abbàttilo, che altri rami fioriscano dove sorgeva il ramo inaridito; ed il suo corpo decomposto nutra l’Eternità da cui ebbe vita. 34 Hope La speranza è stata un’amica timida; seduta fuori la mia cella cupa, spiava la direzione del destino, come fanno gli egoisti. E la sua timidezza fu crudele; un giorno tristemente la cercai con lo sguardo al di là delle mie sbarre, e lei distolse il viso! Guardia bugiarda che tradì la veglia, sussurrava di pace nella guerra, se piangevo cantava, se ascoltavo taceva. Fu spietata impostora quando le mie ultime gioie stremavano, perfino il Dolore fissò il pentito quelle tristi rovine sparse ovunque; La Speranza, che con un sol sussurro avrebbe consolato le mie pene, stese le sue ali e si librò in cielo, volò via e non fece più ritorno! The starry night La notte stella porterà nuove: vai fuori, nella landa ventilata, aspetta un uccello dall’ala scura, con becco e artigli macchiati di sangue. E non guardare attorno, né a terra, ma muto segui la sua traccia in cielo; osserva il punto della sua picchiata, poi, vagabondo, inginocchiati e prega. Quale sorte potrebbe attender te io non so predire, ma il cielo ascolta una preghiera fervida Dio è clemenza – addio! 35 George Byron 36 Stanzas to Augusta I Quando tutto divenne triste e buio, la ragione privata del suo raggio e la speranza una scintilla flebile che confondeva la mia solitudine; II In quella fonda notte della mente, e quella sotterranea guerra in cuore, quando, per non sembrare troppo buoni, il freddo va via e il fiacco dispera III quando il fato mutò – e l’amor fuggì e le frecce dell’odio fitte corsero, diventasti la stella solitaria che sorse per non tramontare più IV Benedetta la tua luce infinita! Che vegliò me con uno sguardo angelico, per rimanere tra me e la notte, rilucendo per sempre dolcemente V E quando su di noi scese la nube che cercò d’oscurare il tuo raggio, più pura diffondesti la tua luce che riuscì a dissipare le tenebre. VI Rimanga il tuo spirito nel mio, per insegnargli audacia e tolleranza: c’è più in una tua dolce parola che in tutto il biasimo del mondo che odio. VII Rimanesti, come rimane un albero capace di piegarsi senza rompersi delicato fedele e amoroso mentre ondeggia i suoi rami su una tomba VIII Potevano straziarti venti e piogge ma tu restavi là e rimarrai sempre, anche nell’ora più tempestosa 37 a piangere le tue foglie su me. IX Ma tu e i tuoi non andrete in rovina, qualunque fato cada su di me; perché il cielo splendido compensa il buono, e tu lo fosti più degli altri. X Dunque i legami di un amore fragile prima o poi si spezzano – i tuoi mai: il tuo cuore è sensibile ma saldo; tenera la tua anima, ma ferma. XI E ciò, quando tutto era già perduto, io lo trovai, e ancora ciò è in te; e nonostante il mio cuore sfinito neppur per me la terra è un deserto. A spirit pass’d before me I Uno spirito mi passò innanzi: e contemplai l’immortalità – soltanto io non sprofondai nel sonno che piombò là, informe, ma divino: lungo le ossa la carne mi tremò, e i capelli si rizzarono. Parlò: II “È l’uomo più giusto di Dio? Più puro di chi giudica incerti i Serafini? Nati dal fango, abitate la polvere! La tarma sopravvive a voi, e voi siete più giusti? Vizzi con la notte, ciechi alla luce vana del Giudizio!” 38 Bright be the place of thy soul I Risplende la dimora della tua anima! Mai spirito più amabile del tuo infranse i limiti dell’uomo e corse a brillare nelle orbite beate. Sfiorasti la divinità in terra, come immortale sarà la tua anima; il dolore può smettere di affliggerci perché sappiamo che il tuo dio è con te. II Lieve ti sia la zolla sulla tomba! E che diventi il prato di smeraldo! Non devono rimanre ombre tristi in tutto ciò che resta a noi di te. L’albero sempreverde e fiori giovani spuntino dalle zolle dove sei; ma non ci siano tassi, né cipressi; perché dovremmo piangere i beati? Remember Ricordati! Ricorda! Fino a quando il Lete non estinguerà il fiume ardente della vita come un’onda febbrile, proverai rimorso e infamia. Ricordati! Sì, senza dubitare. Ti penserà tuo marito, come me, entrambi non potremo scordare: con lui falsa, e diabolica con me. Improptu Quando dal cuore il Dolore prolunga la sua nera ombra troppo in alto, e offusca la fronte, aleggiando sul volto mutevole, o colma l’occhio; non immalinconirti, vedrai che presto sparirà da sola: i miei pensieri conoscono bene la loro prigione; tornano in petto, dopo aver un poco vagabondato, a languire nella cella silente. 39 I if sometimes in the haunts of men Se quando mi ritrovo tra la folla la tua immagine diventa pallida mi riporta nel cuore, l’ora sola, l’immagine dell’ombra tua gentile: e adesso, l’ora triste e silenziosa può ancora una volta restituirti a me, e il dolore, appartato, può effondersi in lamenti senza voce. Perdonami se a volte tra la folla sciupo un pensiero che era solo tuo, e condannandomi sembro sorridere ormai infedele alla tua memoria: non diventa meno caro il ricordo quando non sembro afflitto; non voglio che gli sciocchi mi sorprendano in sospiri rivolti solo a te. Se vuoto avidamente ciascun calice non lo faccio per scacciare l’affanno; deve avere bevanda più mortale la coppa che dà un Lete a chi dispera. Se Oblio liberasse la mia anima da ogni sua visione ed inquietudine, spezzerei al suolo la coppa più dolce che affogasse un solo tuo pensiero. Se tu fossi svanita dalla mente mia, dove andrebbe il mio cuore vuoto? E chi, chi rimarrebbe ad onorare la tua urna abbandonata? È onore del mio dolore adempiere questo caro ufficio ultimo. Io ricorderò ciò che tutto il mondo può dimenticare. Perché so bene che saresti stata altrettanto gentile con colui che illacrimato lascerà il mondo dove soltanto tu te e curavi: e capisco che in ciò m’era concessa una grazia che non sembrava mia; troppo simile eri a un sogno del cielo per meritarti un amore terreno. (march 14, 1812) 40 And thou art dead Così giovane e bella tu sei morta bella come nessuna nata in terra; di forme così soavi e grazie rare troppo presto restituite alla terra! Benchè la terra l’abbia nel suo letto e su quel luogo la folla cammini spensierata e allegra, c’è un occhio che non può tollerare di guardar quella tomba per un attimo. Io non chiederò dove tu giaci né guarderò quel luogo; ci posson crescere fiori ed erbacce, io non li guarderò. A me basta sapere che ciò che ho amato, e a lungo amerò, può corrompersi come terra vile. A me non serve che una pietra dica che ciò che ho tanto amato ora è nulla. Eppure fino all’ultimo ti ho amato ardente come te, tu che restasti uguale nel passato e non puoi più cambiare. L’amore che la Morte ha sigillato il tempo non lo gela né lo ruba. Un rivale, né la memoria falsa e, ciò che è peggio, tu non puoi vedere o torto o mutamento o colpa, in me. I giorni belli della nostra vita furono nostri; miei i peggiori: il sole che riallieta, la tempesta che rattrista, non sono più per te. Il silenzio del sonno senza sogni lo invidio troppo per poterlo piangere, non serve che lamenti la scomparsa di tutte quelle grazie, anche se avrei potuto attraversare il suo declino. Il fiore inarrivabile per fresco splendore deve cadere per primo; e se una mano non l’ha colto prima, i petali dovranno volar via. Ma sarebbe un dolore ben più grande guardarlo appassire di giorno in giorno, 41 l’occhio terreno non sopporta il marcio scaturito dal bello. Non so se avrei potuto sopportare di veder svanire le tue bellezze; la notte succeduta a tale giorno avrebbe avuto un’ombra troppo cupa: il tuo giorno è trascorso senza nubi e fino all’ultimo sei stata bella, estinta ma incorrotta, come stelle che precipitano nel cielo e splendide, più luminose cadono dall’alto. Come piansi, potessi ancora piangere, verserei volentieri le mie lacrime ripensando che non ti fui vicino quando c’era da vegliare il tuo letto per contemplar fino in fondo il tuo volto, per restare in un abbraccio sfinito per sostenere il tuo capo piegato e mostrarti un amore che pur vano né tu né io potremo più provare. E quanto meno pesano le cose – da quando tu mi hai lasciato libero, le cose più amabili che restano – se le confronto al ricordo di te! Tutto ciò che di te non può morire, attraversando l’Eternità buia e tremenda, ritorna ancora a me, ed eterna di nuovo il nostro amore ma non come quando era ancora vivo. 42 When we two parted Quando noi ci lasciammo in silenzio e in lacrime, spezzato a mezzo il cuore nel doverci dividere per anni, divenne la tua guancia fredda e pallida e più freddo il tuo bacio; quell’ora fu vero presagio del dolore di questa! La rugiada dell’alba scese gelida sulla mia fronte: io sentii come il monito di ciò che sento adesso. Son spezzati i tuoi voti, hai fama di volubile: sento dire il tuo nome e ne divido l’onta. Chi innanzi a me ti nomina suona a morto al mio orecchio; e un brivido mi scuote: perché eri così cara? Loro non sanno che ti ho conosciuta, e che ti ho conosciuta troppo bene: a lungo a lungo avrò di te un rimpianto troppo profondo a dirsi. C’incontrammo in segreto ora muto mi dolgo perché mi ha dimenticato il tuo cuore, tradito la tua anima. Se dovessi incontrarti dopo lunghi anni, come salutarti? Con silenzio e con lacrime. 43 The destruction of Sennacherib I L’assiro calò come il lupo al gregge brillavano le schiere d’oro e porpora e come stelle sul mare splendevano le lance, quando a notte l’onda azzurra si rifrange sull’alta Galilea. II Come le foglie nel bosco d’estate, furon viste al tramonto le bandiere delle schiere: come foglie in autunno quando il vento ha soffiato l’indomani giacque l’esercito esangue e disperso. III Perché spiegò nel vento le sue ali l’Angelo della Morte e alitò sul volto del nemico. Freddi e immobili diventarono gli occhi dei dormienti; e la quiete fermò per sempre i cuori. IV Giace il destriero con le froge aperte, ma non le attraversa il fiato orgoglioso e sulla zolla rimane la schiuma bianca del suo rantolo, fredda come lo spruzzo che s’infrange sullo scoglio. V E laggiù giace il cavaliere pallido, la rugiada sul ciglio, sulla maglia la ruggine: abbandonati i vessilli mute le tende, abbassate le lance, le trombe senza suono. VI Altissimi i lamenti delle vedove assire, e gli idoli son stati infranti nel tempio di Baal; scilta come neve – e non sconfitta da armi, la potenza dei Gentili – allo sguardo del Signore! 44 By the rivers of Babylon we sat down and wept I Piangevano seduti presso le acque di Babilonia, e pensavamo al giorno in cui il nemico, al grido della strage s’impossessò delle alture di Salem; e figlie desolate, voi tutte, piangenti, foste scacciate! II E mentre guardavamo tristi il fiume che libero scorreva sotto a noi, essi chiesero un canto: ma mai, mai lo straniero otterrà tale trionfo! Che mi si secchi per sempre la destra prima che suoni l’arpa al mio nemico. III Quell’arpa è appesa al salice, o Salem! Libero dovrebbe essere il suo suono; e l’ora in cui ebbe fine la tua gloria mi ha lasciato di te quel solo pegno: mai per mia causa le sue dolce note si uniranno alla voce di chi preda! Were my bosom as false as… I Se il mio cuore mentisse come credi, non mi sarei dovuto allontanare dalla Galilea; bastava abiurare la mia fede per toglier l’anatema che incrimina, tu dici, la mia razza. II Se il Male non trionfa, Dio è con te! Se peccano gli schiavi e tu sei puro, tu sei libero! Se l’Esule in terra è bandito dal cielo, vivi in fede, ma lascia che io muoia per la mia. III Per quella fede ho perso più di quanto hai, come sa il Dio che ti fa prospero; in Lui sono speranza e cuore miei nelle tue mani invece terra e vita a cui io debbo rinunziar per Lui. 45 Herod’s lament for Mariamne I Oh Marianna, ora sanguina per te il cuore che t’ha fatto sanguinare; la vendetta è un’agonia perduta, che porta il rimorso dopo la rabbia. Marianna dove sei? Non puoi udire la mia amara supplica: se potessi, ora tu perdoneresti, anche se il cielo rimanesse sordo. II Ed è morta davvero? Ed obbedirono al geloso odio del mio delirio? L’ira mia mi condanna alla mia angoscia: su me oscilla la spada che l’uccise. Ora sei fredda, amore assassinato e invano questo cuore triste ora arde per lei che sola vola in cielo e lascia la mia anima indegna di salvezza. III Se ne andò colei che tenne il mio scettro; cadde, e con lei la mia gioia è sepolta; dallo stelo di Giuda colsi il fiore le cui foglie fiorivano per me. E mia è la colpa, mio l’inferno il vuoto cui è dannato questo cuore e ho ben meritato queste torture che non consumate ora mi consumano! Sun of the sleepless! Sole d’insonnia, stella malinconica il cui raggio di luce e pianto trema e svela il buio che non può schiarire quant’è piacevole, poi, ricordarti! Così brilla la luce del passato che splende ma non scalda, troppo debole. notturno, un Dolore veglia e contempla, distinto e chiaro, ma distante e gelido! 46 Vision of Belshazzar I Il Re era sul trono, i Satrapi affollavano la sala: brillavano miriadi di lampade su quella festa splendida e mille coppe d’oro, in Giudea considerate divine – vasi di Geova – pieni del vino dei Pagani senza dio! II Alla stessa ora e nella stessa sala le dita di una mano apparvero sul muro come su sabbia scrissero dita d’uomo – una mano solitaria che sulle lettere scorreva sola e le tracciava come una bacchetta. III Il Monarca tremò, interruppe la festa; il suo volto sbiancò e con voce tremante: “Conducetemi i saggi, i migliori del mondo, spieghino queste terribili parole che guastano così la nostra festa”. IV I veggenti di Caldea sono bravi ma qui non sono in grado; paurose e inesplicabili resterebbero le lettere ignote. Sono saggi gli anziani di Babilonia e profondi in dottrina ma non hanno ora scienza, vedono e non comprendono. V Là c’era un prigioniero giovane e forestiero sentì anche lui gli ordini del Re, e fu lui a decifrare lo scritto. Tutt’intorno splendevano le lampade la profezia era chiara; 47 la lesse quella notte e l’indomani provò che era vera. VI “È scavata la fossa a Baldassarre, il suo regno è passato; pesato alla bilancia non è che argilla lieve e senza pregio. Il sudario sarà il suo nuovo abito, suo baldacchino il sasso: sono arrivati i Medi, e sul suo trono ci sono i Persiani!” It cannot die, it cannot stay I Se il gelo avvolge la creta dolente, ah! dove vaga l’anima immortale? Non può perire, non può rimanere ma lascia dietro a sé polvere buia. Priva di corpo segue le celesti vie dei pianeti? Osubito occupa invece i reami dello spazio forza dello sguardo che ovunque vigila? II Eterna, sconfinata, incorruttibile, invisibile pensiero che vede tutto ciò che la terra o il cielo mostra tutto saprà osservare e ricordare: tale memoria trattiene ogni traccia nelle tenebre degli anni trascorsi, con ampio sguardo l’anima l’abbraccia e tutto ciò che fu subito appare. III Attraversando il caos, il suo sguardo tornerà a prima della Creazione, e dove nacque il cielo più lontano lo Spirito troverà la prima orma e dove il futuro crea o distrugge, illumina il suo sguardo l’avvenire pur senza sole o a sistema infranto, mentre egli è fisso nell’eternità. 48 IV Oltre Amore, Speranza, Paura o Odio, riesce a vivere puro e imperturbato: scorrerà l’eracome in terra un anno ed i suoi anni dureranno istanti. E via, via, senz’ali su tutto ed il suo pensiero volerà senza nome ed eterno dimentico di ciò che fu morire. All is vanity, saith the preacher I Eran miei fama, amore e forza saggia, possedevo salute e giovinezza; tutti i vini han macchiato il mio calice, e amorevolmente mi hanno carezzato. Ho esposto il cuore ai raggi di occhi belli e l’anima sentivo intenerirsi; tutto ciò che i mortali in terra apprezzano accrebbe il mio splendore regale. II Ora vorrei elencare tutti i giorni che la memoria mia può ricordare i giorni dispiegati dalla terra che desidero viver di nuovo. Non un giorno spuntò, né corse un’ora di piacere priva dell’amarezza; III il serpente del campo, grazie ad arte ed incantesimi, non nuoce più ma quello che s’avvolge al tuo cuore oh, chi potrà riuscire ad ammaliarlo? Non sente ciò che insegna la saggezza né l’alletta la voce della musica, e invece resta eternamente e morde quell’anima costretta alla tortura. 49 My soul is dark I a mia anima è cupa – accorda subito l’arpa che ascolterò finchè potrò e lascia che le sue dita gentili mormorino le note al mio orecchio. Se in questo cuore una speranza è cara, quei suoni l’ammalieranno di nuovo: se in questi occhi si nasconde una lacrima, scorrerà, e più m’arderà la mente. II Ma il canto sia profondo e appassionato e che non sia gioioso il suo principio: te l’ho detto, cantore, devo piangere o questo cuore gonfio scoppierà perché è stato nutrito da lacrime, e patì nel silenzio dell’insonnia; ora è destino che conosca il peggio, e al più presto si spezzi, o ceda al canto. I saw the weep I Vidi una grande lacrima lucente velare quel tuo occhio così blu; finchè non mi sembrò una viola che stilla la rugiada. E ti vidi sorridere – una fiamma di zaffiro sembra non brillare più; non potrebbe eguagliare i raggi vividi che colmano il tuo sguardo. II Come la nube riceve dal sole un colore così intenso e caldo che neanche l’ombra della sera sembra riuscire a cancellare dall’azzurro, i tuoi sorrisi riescono ad infondere pura gioia anche all’animo più triste; la loro luce sèguita a brillare nel cuore. 50 On Jordan’s banks I Vagano sulle sponde del Giordano i cammelli degli Arabi, e sul colle di Sion pregano i seguaci del Falso Dio, e sull’erta del Sinai s’inginocchiano i devoti di Baal ma anche là Dio Mio! dormono i tuoi tuoni. II Là, dove il tuo dito ardente marchiò le tavole di pietra! Là, dove la Tua ombra illuminò un Popolo! In un manto di fuoco s’avvolse il tuo splendore: Tu, che nessuno vivo può vedere, senza morire! III Oh! Compaia nel lampo il tuo sguardo; e strappa dalla sua mano tremante la lancia che ci opprime! Per quanto tempo ancora la tua terra sarà calpestata dai tiranni? Per quanto tempo ancora il tempio Tuo rimarrà senza culto? 51 If that high world I Se in quel mondo alto, dove si va a vivere oltre il nostro l’amore si conserva, se il cuore amato anche là resta tenero, e resta l’occhio, ma senza più lacrime, quanto gradite, quelle sfere intatte! Quanto dolce morire anche in quest’ora! Volar via dalla terra e perder paure nella luce dell’Eterno! II Così dev’essere: non è per noi che restiamo, tremanti, sulla sponda; e già impegnandoci a varcar l’abisso ci stringiamo ancora al flebile esistere. Oh! Poter credere che in quel futuro resti ogni cuore assieme al cuore amato; Con loro bere alle fonti immortali, E rifiorir là, anima nell’anima! Thy day are done I Finiti I giorni, inizia la tua fama: inneggiano i canti della tua terra celebrano i trionfi del Figlio eletto, le stragi compiute dalla sua spada! Le sue imprese e i campi di vittoria la libertà che ci ha restituito. II Anche se sei caduto, finchè saremo liberi non sentirai la morte! Il sangue generoso che spargesti non accettò di bagnare la terra: e finchè ci scorrerà nelle arterie il tuo spirito è nel nostro respiro. III E sferrando l’attacco il tuo nome sarà il nostro grido di battaglia; la tua caduta, tema di canzone per un coro di vergini! Piangere insulterebbe la tua gloria: mai tu sarai compianto. 52 The wild gazelle I La gazzella selvaggia può saltare con gioia sulle colline di Giuda, e bere ancora alle fonti che sgorgano dal suolo sacro: i suoi passi agili alzano indomabili slanci e con ochi splendenti. II Di un passo così svelto, di uno sguardo più brillante, fu testimone Giuda. E in quei luoghi privati della gioia conobbe abitanti migliori. In Libano i cedri ondeggiano, ma le più nobili vergini di Giudea sono via! III Più beata ogni ombra di palma sul piano, della stirpe dispersa d’Israele: perché là loro restano in grazia solitaria; non può lasciare il luogo dov’è nata, altrove la radice non vivrebbe. IV Ma noi dobbiam vagare inaridendo, per morire nelle terre straniere e dove i nostri padri sono in cenere, le nostre, invece, non potran giacere: del tempio nostro non rimane pietra, siede lo Scherno sul trono di Salem 53 To the countess of blessington Chiedete a me dei versi: rifiutare, per me che ne scrivo, sarebbe insolito; ma il mio Ippocrene era il mio cuore, mentre i miei sentimenti ora son soli. Se fossi come un tempo, canterei ciò che Lawrence dipinse così chiaro, ma tra le labbra mi morrebbe l’aria e troppo dolce è il tema alla mia lira. Dove ero fuoco rimane la cenere, ormai è morto il bardo al mio petto. Ciò che amavo posso solo ammirare, perché grigio il mio cuore s’è ridotto. Non puoi cantar con gli anni la mia vita: ci sono momenti che sono aratri; e i segni che appaiono sulla fronte solcano l’anima in profondità. Chi è giovane e brillante aspiri pure a cantare quel che io contemplo invano; il dolore ha strappato alla mia lira quella corda unica che era il mio suono. Stanzas for music La Beltà non ha figlia che come te ammalia; come musica d’acqua è per me la tua voce: l’oceano, affascinato, si ferma al suo suono; scintilla calma l’onda, sogna placato il vento: Tesse trame di luce la luna a mezzanotte, solleva il petto il mare come un bimbo che dorme: l’anima a te s’inchina, per udirti e adorarti; l’emozione è profonda come è d’estate l’onda. 54 Darkness Non si limitava ad essere un sogno… Il sole non splendeva più, le stelle buie erravano nello spazio eterno senza luce o destino; la terra era gelida, e cieca andava in cieli ciechi; di giorno in giorno non veniva luce e gli uomini scordavano ogni loro passione in tale desolazione e i cuori un tempo freddi, ora pregavano per la luce: vivendo accanto ai fuochi venivano bruciati troni e regge, ogni tipo di casa e di capanna, tutto veniva bruciato perché potessero gli uomini guardarsi in faccia ancora; le foreste d’ora in ora incenerivano e tutto s’oscurava ultimi lampi disperati davano ai volti le fattezze degli spettri; qualcuno a terra nascondeva il pianto, qualcuno sorrideva con il mento sulle mani serrate; altri guardavano il cielo sordo, folli d’inquietudine e bestemmiando si scaraventavano nella polvere digrignando i denti: stridevano gli uccelli, svolazzando terrorizzati a terra; diventavano timorose le belve; serpeggiavano tra la folla le vipere senza morderee venivano uccise come cibo. E ritornò ben presto a bere il sangue la Guerra: ne beveva ciascun uomo in solitudine rabbiosa. Senza amore un unico pensiero: morte, immediata e ingloriosa; attanagliati dalla fame, si moriva insepolti; il magro divorava il magro, i cani i padroni. Soltanto uno, fedele, ringhiava, per difendere il cadavere del padrone, a uccelli, bestie e uomini. Morì in un lamento sconsolato, leccando quella mano che non poteva accarezzarlo. Piano piano uccise tutti la fame. Rimasero in due, nemici, in una città enorme: si videro vicino ad un fumante cumulo di oggetti sacri. Frugarono 55 le fioche ceneri con mani fredde e scheletriche; ottennero una fiamma che era una beffa; come crebbe, videro i propri volti, urlarono, morirono terrorizzati dalla ripugnanza dei loro aspetti demoniaci. Il mondo popoloso e potente ora era vuoto privo d’erba alberi uomini stagioni, un cumulo di morte, caos di creta secca. L’oceano i laghi i fiumi erano calmi, immobile il silenzio degli abissi; in abbandono le navi marcivano e cadevano a pezzi, addormentandosi sul fondo. Morte le maree, le onde, la loro regina, la luna, spenta; priva di venti ristagnava l’aria, morte le nuvole inutili al buio, l’Universo era il Buio. To time Tempo! sulle cui ali mutevoli le ore possono languire o volare, i cui irti inverni e le primavere rapide ci trascinano a morire, Salute a te! Che alla nascita desti quei doni noti a chi ti conosce; ma ora è più sopportabile il tuo peso perché ora a portarlo sono solo. Non vorrei un cuore entusiasta qui, a divider con me gli istanti amari; e ti ringrazio per aver concesso cielo o pace a coloro che ho amato. Se loro sono allegri o se riposano invano peserà il male prossimo; non ti devo più nulla, se non gli anni, debito già pagato con la pena. Ma quella pena un po’ mi confortava, tangibile, scordava il tuo potere: il tormento operante del dolore rallenta le ore ma non sa contarle. 56 Nella gioia ho sperato che il tuo volo potesse molto presto rallentare; la tua nube poteva ancora oscurare, ma non aggiunger notte alla sventura; era allora che l’anima mia cupa e triste si nutriva del tuo cielo; e soltanto il bagliore di una stella provava che non eri Eternità. Quel raggio s’è dissolto. Ora sei vuoto, la cosa che si conta e maledice per le troppe sgradevoli e noiose e tristi tue parti che ripetiamo. To the author of a sonnet Oh sì, è triste il tuo verso, è triste: dannatamente più triste che arguto! Non capisco perché dovremmo piangere, se non un pianto di pietà per te. Ma qualcun altro va più compatito, e molto più compatito di te! Perché è lui che soffre più di tutti, lui che per sua disgrazia sta leggendoti. Rime senza l’aiuto di magiale tue- da leggere una volta sola: ma non è l’effetto loro esser tragiche e non riescono ad essere ridicole. Ma se vuoi il sangue dei nostri petti e infliggerci un tormento non comune, se davvero vuoi provocarci il pianto, diccelo, che le leggerai da capo. 57 Prometeus I Titano! I tuoi occhi immortali videro le sofferenze dei mortali in tutta la loro inconsolabile realtà e non ci disprezzasti come gli altri dei. Ma la tua pietà che cosa ottenne? Un’estenuante sofferenza muta, la roccia l’avvoltoio e la catena, e ciò che il valoroso può penare, tormenti d’agonia che non esprime il senso soffocante del dolore che innalza il suo lamento in solitudine, e poi teme un testimone in cielo o quando non ha eco lui sospira. II Titano! A te affidarono il conflitto tra la volontà e la sofferenza che torturano quando non uccidono; e il cielo inesorabile, la tirannia sorda del destino, la legge che ci domina dell’odio che a suo piacere crea le cose che potrebbe annichilire neanche ti concessero di morire anzi, l’eternità fu il maledetto dono loro, ma sopportasti quieto. Tutto ciò che il Tonante potè estorcerti non fu che la minaccia ricaduta su di lui dello strazio e del tormento; tu prevedesti bene il suo destino ma non lo rivelasti per placarlo; e il silenzio tuo fu la sua condanna, e un vano pentimento ebbe nell’anima e un timore malvagio mal celato gli fecer fremere in mano le folgori. III Il tuo crimine fu d’esser pietoso, e di far diventare le miserie nostre più lievi grazie ai tuoi precetti. Tu c’insegnasti l’uso della mente e nonostante gli alti impedimenti fidando nella tua paziente forza nella tua resistenza, nella tua capacità d’opporti con lo Spirito, 58 che Terra e Cielo non poteron scuotere, tu ci concedesti una lezione unica: tu sei per noi il simbolo ed il segno della forza divina e del suo Fato; come te, l’uomo è in parte divino fiume agitato ma sorgente pura e l’uomo in parte può intravedere il suo destino funebre e i suoi infelici sforzi per resistere alla sua esistenza triste e sola: a ciò il suo Spirito può opporre se stesso, che è pari a tutti i dolori, ed un volere fermo, e conoscenza, e pure torturato può distinguere la propria ricompensa, perché trionfa, quando finalmente osa e fa della Morte la sua Vittoria. 59 Raymond Carver 60 Two worlds Aria greve nell'aroma dei crochi, il profumo sensuale dei crochi; guardo un sole limone scomparire, mutare il mare da blu a nero oliva. Vedo fulmini balzar dall'Asia mentre nel sonno il mio amore si agita e sospira e riaddormenta, parte di questo mondo eppure parte dell'altro. This word love Non andrò quando lei mi chiamerà anche se dirà ti amo, e soprattutto se dirà così, anche se giura e promette soltanto amore amore. La luce qui copre ogni cosa allo stesso modo; e neppure il mio braccio fa ombra, anch'esso consumato dalla luce. Ma la parola amore parola che si oscura diventa pesante e si scuote, inizia a mordere a rabbrividire e sconvolgere attraverso questa pagina finchè anche noi ci perdiamo nella sua gola trasparente e ancora siamo separati, lucidi, le cosce affiancate i tuoi capelli sciolti che non hanno esitazioni. 61 Caution Provava a scrivere una poesia mentre fuori era ancora buio, quando sentì la netta sensazione di essere osservato. Posò la penna e si guardò attorno. Poi si alzò e fece il giro delle stanze. Frugò gli armadi. Naturalmente niente. Ma non voleva correre rischi. Spense tutte le luci e sedette al buio. Fumò la pipa fino a quando non se ne andò quella sensazione e ben presto albeggiò. Poi si mise a guardare il foglio bianco davanti a sé. Rifece ancora una volta il giro della casa. Accompagnato dal suono del suo respiro. Altrimenti niente. Ovviamente. Niente. Out Fuori dalla bocca nera del gran re salmone vengon fuori le teste delle aringhe, tagliate di traverso: lavoro quasi perfetto del vero pescatore di salmoni, suo e dell'elegante, affilato coltello da esca. Il corpo dell'aringa senza testa è stato fissato a quaranta centimetri dal cucchiaino d'argento, e le teste gettate fuori dalla barca per affondare vorticando nell'acqua maculata. Come hanno fatto quelle teste a riapparire nella barca fuori dalla bocca lacerata straordinario! - versione distorta di una pessima favola, dove nessun desiderio verrà mai esaudito, nessun patto stretto, alcuna promessa mantenuta. Ne abbiamo contate nove di teste, come se contarle fosse già raccontarle dopo. - Gesù esclamasti - Gesù - prima di rigettarle fuori che è dove dovrebbero rimanere. Ho riacceso il motore e abbiamo lanciato di nuovo in acqua gli ami con le esche d'aringhe. Tu raccontavi le tue storie con i Mormoni quando abbattevi alberi sulla Prince of Wales Island (niente alcol, né donne, né bestemmie. Niente e basta, a parte lavoro e paga) Poi sei rimasto in silenzio, hai pulito il coltello sui calzoni guardando l'orizzonte verso il Canada e oltre. 62 È tutta la mattina che volevi dirmi qualcosa ed ora cominci: tua moglie ti vuole fuori dalla sua vita, vuole che te ne vada, vuole soltanto che tu sparisca. Perché non sparisci e non ti fai mai più vedere? Così ti ha detto lei. "Ci crederesti? Mi sa che spera che un tronco mi faccia fuori." E proprio in quel momento qualcosa di grosso abbocca. L'acqua ribolle e la lenza fila via. E continua a filar via, fuori. What the doctor said Ha detto che non va bene per niente bene, anzi, proprio male ne ho contati trentadue su un polmone solo prima di smetterli di contarli Ho detto megli così, non vorrei sapere quanti ancora ce ne sono e lui ha chiesto lei è religioso, s'inginocchia nelle radure, invoca aiuto vicino a una cascata mentre gli spruzzi colpiscono viso braccia Io ho detto non ancora ma intendo farlo lui ha detto mi dispiace veramente vorrei tanto avere altre notizie da darle Io ho detto amen e lui qualcos'altro che non ho capito ma non volevo fargliela ripetere e doverne digerirne un'altra così l'ho solo guardato per un po' lui ha guardato me sono saltato in piedi ho stretto la mano di quest'uomo che mi aveva appena dato qualcosa che nessuno al mondo mi aveva dato prima mi sa che l'ho pure ringraziato tanta è la forza dell'abitudine. Cherish Dalla finestra la guardo chinarsi sulle rose reggendole vicino al fiore per non pungersi. Con l'altra mano taglia, si ferma, taglia, più sola al mondo di quanto pensassi. Non alzerà lo sguardo, non ora, sola con le rose e qualcos'altro che posso solo immaginare senza dire. Se il nome di quei cespugli, regalo per le nostre nozze tardive: Ama, Onora, Abbi Cura 63 è quest'ultima che mi porge all'improvviso, dopo esser entrata in casa. Ci affondo il naso, ne aspiro la dolcezza, profumo di promessa e tesoro. La mia mano sul suo polso avvicina i suoi occhi verdi come muschio di fiume. Poi la chiamo, contro ciò che avverrà: moglie, finchè posso, finchè il mio respiro, petalo affannato dopo l'altro, riesce ancora a raggiungerla. Gravy Non c'è altra parola. Perché quella è ciò ch'è stata. Una pacchia una pacchia questi ultimi dieci anni. Vivo, sobrio, lavoratore, amante riamato di una brava donna. Undici anni fa gli dissero che aveva sei mesi di vita se continuava. E sarebbe ancora peggiorata. Così cambiò vita in qualche modo. Smise di bere! E per il resto? Dopo questo fu tutto una pacchia, ogni minuto, fino a quando e anche quando gli dissero che, be' - qualcosa si stava rompendo e qualcosa gli stava crescendo in testa "Non piangete" disse ai suoi amici "Sono fortunato. Ho avuto dieci anni in più di quanto io o chiunque altro s'aspettasse. Vera pacchia. Non lo dimenticate." No need Vedo un posto vuoto a tavola. Di chi? Di chi altro? Chi prendo in giro? La barca aspetta. Non servono i remi né il vento. Ho lasciato la chiave al solito posto. Tu sai dove. Ricordami e tutto ciò che abbiamo fatto insieme. Ora abbracciami forte. Sì, così. Baciami forte sulle labbra. Sì. Ora lasciami andare, cara. Lasciami andare. Non c'incontreremo più in questa vita, allora dammi un bacio d'addio. Baciami ancora. E ancora. Sì, così. Ora basta. Ora, cara, lasciami andare. È tempo d'avviarsi. 64 After-glow Viene il crepuscolo dopo un po' di pioggia. Aperto un cassetto ne salta fuori la foto di un uomo, e solo ora si sa che gli rimangono due anni. Lui ancora non lo sa, è chiaro, per questo può sorridere all'obiettivo. Come può sapere cosa mette radici nella sua testa in quel momento? Se si guarda a destra tra i rami e i tronchi, si intravedono macchie cremisi di chiarore ultimo. Senza ombre né chiaroscuri. L'aria è umida e calma… La posa dell'uomo continua a sorridere. Rimetto la foto con le altre e fisso il chiarore ultimo lungo i monti lontani che riluce dorato sulle rose in giardino. Poi dò un'altra occhiata alla foto. Ammicca, il gran sorriso, inclinata spavalda la sigaretta. Late fragment Hai avuto ciò che volevi, nonostante tutto? Sì. E cos'è che volevi? Dirmi amato, sentirmi amato sulla terra. 65 E.E. Cummings 66 “IS 5”, 40 I nostri cuori toccanti sottilmente comprendono (fusi come dita, amandosi fino a diventare mani) sottomessi all’immane disastro dell’anno: come questa precoce e solitaria stella si trascina gracile al crepuscolo, colti da paura densa i nostri spiriti languono e soffocano; finchè rapido l’autunno non abbraccia i nostri pensieri silenti, che mano nella mano, morendo tentano di comprendere il (per pallide distanza d’aria caduca, satura d’infinita malinconia priva di speranza, lumeggia di colpo esatto e sprezzante) chiaro terzo di luna che lento cade “IS 5”, 37 È molto che il mio cuore fu con il tuo stretto nel nostro abbraccio in quella tenebra dove sorgono nuove luci e s’espandono, da tempo la tua mente ha percorso il mio bacio come uno straniero per le vie e i colori di una cittàche probabilmente ho dimenticato come, sempre (da questa precipitosa brutalità di sangue e carne) Amore conia il suo atto più graduale, e affila la vita a eternità - poi le nostre metà separate diventano musei colmi di bei ricordi imbalsamati 67 Da W(ViVa), 42 Coltiverò in me con scrupolo l’Inimitabile che è solitudine, questi sogni unici non sporcheranno i loro abiti con i fenomeni: essendo tale la degna condotta per più ponderose ambizioni o speranze meno alte delle mie (spalancando le finestre) “e c’è una filosofia” proprio nello stesso istante (si buttò in strada) questa profonda immediata maschera e esprimendo “per me, siccome io sono fragile ed esile prendo in prestito contatti da quel tu e da questo tu sensazioni, imitandole, un po’ fatalmente raffinate” avvolgendosi con cura nella Propria sciarpa) Pioggia non rispetta la gente e la neve se ne frega un soffice bianco di chi tocca. 68 Emily Dickinson 69 How many times Solo una bocca chiusa può dir quanto Vacillarono questi piedi deboli. Tenta –Tu puoi smuovere un chiodo orribile, O scardinare fibre d’acciaio?- Tenta! Accarezza la fronte sempre gelidaAlza –se puoi i capelli più distrattiRiscalda quelle dita di diamante Che mai, mai più porteranno un ditale. Ronzano sui vetri le mosche idioteE mentre il sole splende, ecco che, ardito, Cola il filo di un ragno dal soffittoSta –la pigra massaia- tra le margherite. It’s such a little thing to weep É un’inezia tale, piangereE così incerto un sospiroMa è proprio in tali occupazioni Che, uomo o donna, si muore! Adrift! Una piccola barca è alla deriva! E la notte sta già calando! Non c’è nessuno che possa condurla Fino alla città più vicina? Fu ieri –raccontano i marinaiAll’imbrunire. E sconfitta dal vortice La piccola barca cessò la lotta Gorgogliando, fino al fondo del mare. Ma gli angeli raccontano che ieri, non appena l’alba diventò vermiglia, una piccola barca in preda al vento con le sartie tese e vele in alto salpò –trionfante! 70 Summer for thee Lascia che sia io la tua estate, quando più non sarà giorno d’estate! E la tua musica, quando Rigogolo e Fanello diventeranno muti! Rifiorire tua, fuggendo la tomba Ti raggiungerò splendida! Ti prego, coglimiAnemoneIn eterno, tuo fiore! Before the ice Prima che sia ghiaccio la palude Prima che partano i pattinatori O qualche viso si appanni di neve All’imbrunirePrima che siano appassiti i prati E prima dell’albero di natale Prodigi su prodigi Arriveranno a me! Hearth! We will forget him! Cuore! Dimentichiamo – Tu ed io- stanotte! Tu puoi dimenticare il suo calore Ed io la luce! Quando avrai fatto, dimmelo, che comincerò io! Ma fa presto: se indugi Potrei ricordarlo! 71 I hav’not told my garden yet Non l’ho detto ancora al mio giardino Temendo d’esser vinta E non ho più la forza Di confidarlo all’apeNé parlerò per strada Perfino le botteghe stupirebbero, che qualcuno così timido e stolto provi a morire. Non devono saperlo le colline Dove vagai a lungo Né dirlo alle foreste innamorate Il giorno che dovrò andarmeneNé sussurrarlo a tavolaInsinuando distrattiChe forse oggi qualcuno Percorrerà l’enigma- Virtù Oh, nothing new Nothing that lasts An eternity, nothing worth Putting out to interest, NothingBut the fixing of an eye Concretely upon emptiness! Oh, nulla da aggiungere nulla che duri un’eternità, e nulla che meriti lo sforzo della sollecitudinenullache il concreto fissarsi dello sguardo Sul vuoto. 72 Success is counted sweetest Dolcissimo è il successo Per chi non l’ha trovato. Si,per capire il nettare Occorre l’aspra fame. Non uno del purpureo plotone Che strappò la bandiera Può definire meglio la vittoria, del vinto che agonizza ascoltando da lontano le note così chiare e crudeli del trionfo nemico! Our share of night to bear A ognuno la sua notteEd il suo mattino Per colmare il suo vuoto Con la gioia e lo schernoUna stella…e un’altra… Alcune si perdono! Poi la foschia ovunque, ed eccolo il giorno! Good night Buona notte, è dovere, com’è complicata la polvere! Sì, vorrei già partire per sapere! Oh Incognito! Insolente d’un angelo Evitarmi così! Padre! Non vuol parlarmi, vuoi dirgli qualche cosa? 73 I prayed, at first, a little girl Quand’ero una bambina io pregavo, ma perché mi dicevano di farloe mi fermai quando mi resi conto cosa significasse la preghiera. Credevo in Dio che si guarda attorno quando lo fisso con occhi infantili, ogni volta con solenne onestàe Lui si guarda attorno- mentre elenco i desideri quotidiani o confondo le parti dei suoi piani lontani e DiviniE spesso, nel pericolo, considero la forza che potrebbe concedermi un Dio così forte, capace di sorreggermi quando vacillo, capace di ridarmi l’equilibrio che non conservo mai. 74 I had been hungry, all the years Sono rimasta affamata dalla nascitama venne anche il mio tempo per mangiare: tremante m’avvicinai alla tavola e potei toccare uno strano vino. Era su tavoli che avevo visto ritornando affamata a casa, quando fissavo le vetrine e l’abbondanza non osavo desiderare mia. Non riuscivo a riconoscer quel pane, così diverso dalla mia briciolacosì frequentemente condivisa con gli uccelli nella nostra natura. Tutta quell’opulenza nuova offese la mia persona – mi sentii male come accade alla bacca di montagna trapiantata dal cespuglio alla strada. E non avevo più fame – scoprii che essere affamati è la condizione di coloro che rimangono fuori – ed entrati la fame se ne va. I found the words to every thought Io ho trovato sempre la parola per esprimere ogni pensiero – tranne uno – che mi provoca, come una mano che osa disegnare il Sole per chi si nutre di tenebre. Come cominci? Può il carminio esprimere la fiamma – O il blu il pomeriggio? 75 Of nearness to her sundered things Quando si riavvicina alle sue cose l’anima può vivere momenti unici – quando nella penombra si contempla qualche stranezza che diventa nitida. Riemergono figure seppellite e tornano tranquille nelle camere. E, non contaminato dal sepolcro ma diventato polvere, ritorna il vecchio amico, nella stessa giacca che noi gli abbottonammo nella tomba, la giacca che portava quando bimbi negli antichi mattini giocavamo. I see thee better-in the dark Ti vedo meglio – nell’oscurità – non m’occorrono lumi. L’amor per te sia un prisma che supera il violetto. Riesco a vederti meglio grazie agli anni che si sono curvati tra di noi – la lampada del minatore basti ad annullarne il buio. Ora che sei sepolto – riconoscerti è più facile – e ardente diventi la tua tomba della luce che innalzai per te. Di che giorno necessitano coloro che hanno un sole eterno – sulle loro tenebre – e che risplende al Meridiano? 76 The brain – is wider than sky Il cervello è più spazioso del cielo – prova a metterli accanto, e l’uno conterrà leggero l’altro e inoltre pure te – Il cervello è più profondo del mare – se li leghi blu a blu, uno assorbirà l’altro come immergendo la spugna nel secchio – Il cervello ha lo stesso peso di Dio – tu sollevali entrambi – ti accorgerai che si differenziano come Sillaba e Suono. A little road Una piccola strada – non opera dell’uomo – realizzata dallo sguardo e accessibile soltanto a stanga d’ape o cocchio di farfalla – Non so dirti se arrivi fino in città – so solo che nessuno dei carri che ci corrono trasporta me. I dwell in possibility Abito nel possibile – una casa migliore della prosa – ha le porte più alte, tantissime finestre – Camere come cedri – l’occhio non può entrarvi – e sul suo tetto eterno comignoli d’azzurro – L’unica occupazione per chi visita – stendere le mie mani strette – E cogliere il Paradiso. 77 A prison gets to be a friend Una prigione ci diventa amica tra il suo volto ponderoso e il nostro si forma un legame di parentela – la fessura del suo sguardo di luce andiamo a guardare con gratitudine all’ora concessaci – come il pane, di cui siamo ugualmente affamati. Impariamo a conoscerne le tavole, le quali rispondono ai nostri piedi – un suono che al principio ci risulta così miserabile, mentre ora è – così dolce – anche se non proprio come il rumore di guazza nelle pozze – ormai memoria di bambino – ma è la geometrica gioia di un circuito più tranquillo. Mentre la posizione della chiave che sbarra la fatica ogni giorno ha un aspetto più reale del viso stesso della libertà – spettro d’acciaio, i cui lineamenti sono sempre presenti – come i nostri, e come i nostri non possiam sfuggire – il dovere prescritto, il breve cerchio, il lento barattare le speranze con cose più passive – E la gioia, la gioia troppo ripida per poterla vedere – Libertà un tempo nota – sogno troppo vasto per ogni notte senza redenzione. 78 Natures is what we see La natura si vede – É il colle – il pomeriggio e lo scoiattolo – l’eclisse e l’ape – È tutto il cielo – La natura la udiamo – è mare e dolico, grillo e tuono – è tutta l’armonia – La natura ci è nota – ma non sappiamo dirla – È così impotente la saggezza nostra di fronte alla sua semplicità. Each life converges to same center Ogni vita converge verso un centro – sopito o manifesto, in ogni essere umano puoi trovare un fine che forse non saprà neanche ammettere – troppo bello per essere creduto da un’ingenua fede – da adorare cautamente – come un Cielo fragile – come le vesti dell’arcobaleno irraggiungibile – Verrà cercato quanto più distante – quanto alto per la lenta diligenza dei santi – il Cielo – Potrebbe rimanere inconcluso per l’intera ventura di una vita – ma in eterno – la prova – ritorna – 79 Because I could not stop for death Siccome non potei fermarmi e morire – gentilmente fu la morte a fermarsi – eravamo noi due sulla carrozza – e l’Immortalità. S’andava piano – Non aveva fretta avevo abbandonato ormai lavori e ozio per la sua gentilezza – Superammo la scuola, dove i bimbi lottavano in cortile – a ricreazione – Superammo i campi e gli occhi del grano e superammo il sole del tramonto – O forse fu lui che superò noi – Le rugiade gelate m’attrappivano perché avevo una gonna leggera e la mia stola era solo di tulle – Ci fermammo di fronte ad una casa simile ad un gonfiore della terra. Il soffitto si vedeva a fatica – la cornice era in terra – Sono già secoli da allora – ma mi sembrano più corti di quel giorno in cui ebbi il sospetto che le teste dei cavalli eran rivolti all’eterno – The world – feels dusty Il mondo sa di polvere – quando dobbiamo fermarci e morire – desideriamo la rugiada – allora – Gli onori sono aridi – Giova un vessillo a un volto in agonia? Anche un ventaglio piccolo è meglio, mosso da una mano amica, fresco come la pioggia. Mio sia il compito – quando verrà la tua sete – di prendere rugiade di Tessaglia – o i balsami dell’Ibla – 80 She rose to his requirement – dropt Innalzandosi al suo volere – caddero I giocattoli vecchi e assunse l’onorevole lavoro di donna e sposa – Se in questa nuova vita fu costretta a rinunciare ad un po’ d’ampiezza o paura della prima Prospettiva – Se l’oro con l’uso si corrose, non se ne parli – così come al mare colmo di perle e alghe – e solo a lui – son note le profondità loro. You taught me waiting with myself Tu mi dicesti d’aspettare sola – severa rispettai l’appuntamento – mi parlasti della forza del fato – e anche questo imparai – Altezza della morte che non può ostacolare maggiori amarezze di quelle che per prima dà la vita – Eppure c’è qualcosa da imparare: comprendere il cielo che tu conosci perché non ti vergogni di me – nel regno luminoso in Cristo – nel luogo più lontano – Drama’s vitallest expression is the common day La più vitale espressione del Dramma È il Giorno Comune – Che con noi sorge e tramonta sempre – L’altra tragedia muore con la recita – Questa invece si rappresenta meglio quando non c’è il pubblico e i palchi sono chiusi. 81 From blank to blank Da vuoto a vuoto – una via senza senso. Mossi passi meccanici – fermandomi per morire o avanzare indifferentemente Se arrivai a un termine, questo termina in una rivelazione indefinita – Chiusi gli occhi – e barcollai ancor meglio forse sarebbe meglio nascer ciechi – When I hoped, I recollect Ricordo bene il posto dove stavo quando anche io sperai – era una camera affacciata ad ovest – ed era buona la più inclemente aria – Non poteva infastidirmi il nevischio e né fermarmi il gelo – perché era la speranza a scaldarmi non lo scialle merino. Ricordo bene il giorno in cui temei Il mondo si sdraiava al sole – ma era gelo la natura – Freddi ghiaccioli blu mi pungevano l’anima – ovunque andavano cantando uccelli – e solo io – ero muta. E se il giorno in cui dovetti disperare dimenticassi – così come vuole la natura – che sia notte quando è già tramontato il sole – e il buio è sopra il colle – e in cielo – la natura esisterà di fronte alla memoria e a me – 82 The only news I know Le uniche novità che io conosco sono i comunicati quotidiani dall’Immortalità. L’unico spettacolo a cui assisto – si chiama Oggi e Domani – forse l’Eternità – E l’unico che incontro è Dio – su un’unica Via, che è l’Esistenza – Attraversàtala, se ci saranno novità – o spettacoli migliori – te lo dirò. Crisis is a hair La crisi è un capello verso cui ogni nostra forza striscia o può allontanarsene. Se ci trova nel sonno trattenere il respiro è il meglio che possiamo ignorando se sia vita o morte in esatto equilibrio. Un istante può urgere od un atomo premere od un cerchio esitare nella circonferenza. Ciò – può scuoter la mano che sistema il capello e assicura l’eterno dall’attimo di qui che lo rivela – Love L’amore resta anche dopo la morte – e precede la vita – prima per confermarla dopo per usurparla – 83 My best acquaintances are those I miei migliori amici sono quelli con cui non ho parlato – le stelle che ritornano puntuali non mi hanno mai considerata rozza Se non ho ricambiato, andando in cielo, le visite loro – Il mio volto – fedele e riverente come cortesia basta. This dust, and it’s feature La forma della polvere – che guardiamo oggi domani non potrai riconoscerla – Questa mente e il suo spazio – Son troppo, troppo angusti per come appare ampliata la vastità di questa sua indagine – Il mondo e le sue specie troppo limitati come spettacolo per l’attenzione assorta della remota minuziosa cura – What I see not, I better see Io vedo meglio ciò che non guardo – grazie alla fede – I miei occhi nocciola qualche volta si chiudono – Purtroppo la memoria non ha palpebre – It is an honorable thought É nobile pensiero e fa pensare a chi, per salutare, leva il cappello in strada quando incontra i signori Che si abbia un’anima immortale sebbene le piramidi rovinino. E i regni. E anche il frutteto perda ogni colore. 84 Death is a dialogue La morte è un dialogo che dura tra lo spirito e la polvere “Sparisci” dice la morte. E lo Spirito “Ho fede in un altrove” La morte dubita – con argomenti – Lo Spirito va via lasciando come prova un cappotto di creta. I heard, as if I had no ear Udivo come priva delle orecchie finchè una parola necessaria corse la strada dalla vita a me e imparai a udire. Guardavo come se i miei occhi fossero altrui, finchè qualcosa non li trafisse, e ora so che fu la Luce, perché vedo. Me ne stavo come senza me stessa, soltanto corpo, finchè una forza non m’invase, fissando anche in me il mio nucleo. E lo spirito si volse alla polvere “Oh vecchia amica, tu mi riconosci” Subito il tempo corse per diffondere la nuova. Ma incontrò l’eternità. No ordinance be seen Non è visibile l’ordine, La grazia sì graduale da diventare un’abito gentile che amplia la solitudine. 85 The bustle in a house L’agitazione in casa già all’alba, dopo la morte, è la più solenne opera che si realizzi in terra – Spazzare bene il cuore, e riporre l’amoreùche non s’userà più fino all’eternità. That odd old man is dead a year L’anno scorso è morto quel vecchietto bizzarro – ora ci manca il suo cappello puntuale. Era chiara e fredda la notte quando si spense l’esile fiammella. Chi rimpiange più quel vecchio lucignolo? C’è più qualche vecchietto amico suo? Attende qualche tenace compagna il raggrinzito ritornare suo? Oh, vita, che cominci con un sangue impetuoso, e poi ti consumi opaca! Guardandoti, qualsiasi impresa langue sentendosi già gelida e fugace! The smouldering embers blush Piano le braci sfrigolano – O cuore nel carbone ancora vivi, dopo tante notti? Le braci ora sorridono – blando vibra l’annuncio della luce, si accendono gli stolidi secondi – il fuoco che non muore ha una virtù ma Prometeo non la conobbe mai – 86 A spider sewed at night Un ragno nella notte cuciva senza luce sopra un arco chiarissimo. Fosse gala di dama o sudario di gnomo lo sa soltanto lui. Ma la sua strategia era fisionomia d’eterno. The props assist the house I puntelli sostengono la casa fino a quando la casa è terminata. Poi i puntelli si tolgono e, adeguata, sta dritta reggendosi, la casa e non ricorda più trivella e falegname – Lo stesso sguardo volge una vita compiuta alla propria esistenza – Un passato di tavole, di chiodi e lentezza – poi cade l’armatura ad affermare l’anima. The clouds their backs together laid Si rincorrevano serrate nubi. Sopraggiungeva a premere anche il vento di settentrione. Le foreste corsero fino a cadere. E giocavano i lampi come sorci il tuono rotolò come inutile. Quanto dolce dovrà essere la tomba dove non può arrivare l’ira del cielo e neanche la vendetta. 87 There is no frigate like a book Non c’è fregata che ci porti altrove rapida come un libro né c’è un cavallo ardito come una poesia quando s’impenna – questo viaggio è possibile anche al povero perché è senza pedaggi – Quant’è frugale il carro che porta all’anima. So proud she was to die Era tanto orgogliosa di morire che ci fece arrossire di vergogna. Ciò che noi speravamo, le sembrava lontanissimo dal suo desiderio d’andarsene dove non c’è nessuno di noialtri ancora. Cosicchè la nostra Angoscia svilì in Gelosia. Death’s way layng L’agguato della morte non è il furto più netto del tempo. Ci depreda un brigante più estremo, Silenzio è il suo nome – Se arriva, né assale né minaccia, ma dal grappolo della nostra vita, perfetto ottiene un balsamo. 88 How lonesome the wind must feel nights Dovrà sentirsi molto solo il vento quando si spengono le luci e tutto ciò che trova riparo le persiane chiude, e sparisce – Dovrà sentirsi molto grande il vento nel pomeriggio: andando verso musiche incorporee e correggendo gli errori del cielo schiara immagini – Dovrà sentirsi molto fiero il vento al mattino: s’accampa in mille aurore sposandole e ripudiandole tutte – Sale poi sulla Torre – The devil – had he fidelity Fosse fedele il diavolo diverrebbe il migliore degli amici – perché è abile – Ma i diavoli non cambiano – è la perfidia la sua virtù e se ci rinunciasse il Diavolo – davvero sarebbe Dio. Glass was the street La via era di vetro – l’evidenza del pericolo, l’albero e il viandante – Si respirava un’aria d’avventura gaia e gagliarda, in strada tra i monelli – Spento il rumore delle slitte, simile ad un vibrar di zoccoli più intenso – È il corsivo supremo del passato che fa diventar misero il presente. 89 Elysium is far as to Il Paradiso nonè più lontano della stanza qui accanto se in quella stanza un nostro amico aspetta la sua felicità o la sua sventura – Quanta forza è nell’anima se può sopportar tanto, l’accento di un passo che s’avvicina, l’aprirsi di una porta – 90 Thomas Stearns Eliot 91 Spleen Domenica: la sazia processione di definite facce domenicali; cuffie, cilindri e consci, sistematici ossequi che soppiantano la vostra padronanza razionale con questa incontrollabile digressione. Sera, luci e tè! Bambini e gatti svicolano; e la malinconia non può nulla per fronteggiare tale stolta intesa. La vita, lievemente immiserita, grigia, languida, infastidita e mite attende, con cappello e guanti in mano, cerimoniosamente in giacca e cravatta (soltanto un po’ seccata dal ritardo) sulla soglia dell’Assoluto. 92 A note on war poetry Non l’espressione dell’emozione collettiva Imperfettamente riflessa dai giornali ma il punto in cui la mera, individuale esplosione s’infrange. Nella traiettoria di un’azione, che crea l’universale originando un simbolo dall’impatto? È una coincidenza a cui si presta attenzione di forze al di là del controllo sperimentaledi Natura e Spirito. L’esperienza individuale è per lo più o troppo vasta o troppo misera le nostre emozioni sono semplici incidenti nello sforzo di combinare il giorno con la notte. Sembra possibile che una poesia possa venire da un bambino: ma un componimento non è poesia perché occorre una vita. La guera non è vita: è una situazione che non puoi nè ignorare né accettare, un problema di tranelli e stratagemmi, da accerchiare o disperdere. Ciò che dura non sostituisce il transitorio, no, non l’uno per l’altro. Ma il concetto astratto dell’esperienza propria, che diventa universale quando è maggiormente intenso, e che chiamiamo “poesia”, questa, va affermata in versi. 93 The hollow men I Siamo gli uomini vuoti Siamo uomini impagliati Che appoggiano vicine Teste piene di paglia. Ahimè!, le nostre aride voci, che bisbigliano insieme sono quiete e insensate come vento sull’erba secca o zampe di topo sui vetri rotti delle nostre cantine vuote figura senza forma, ombra incolore, forza paralizzata, gesto immobile; chi ha attraversato con sguardo diretto l’altro regno della morte ci ricorda –se capita- non come anime violente e perdute, ma solo come gli uomini impagliati gli uomini vuoti. II Gli occhi che non oso incontrare in sogno Non appaiono Nel regno di sogno della morte: là gli occhi sono luce di sole su colonne infrante là un albero ondeggia e voci cantano nel vento più distanti e solenni di una stella che cade. Non lasciate che m’avvicini Al regno di sogno della morte E lasciate che indossi Deliberatamente tali maschere Pelli di topo, di cornacchia, doghe In croce, comportandomi come il vento Non più vicinoNon l’incontro finale Nel regno del crepuscolo 94 III Questa è la terra morta, la terra dei cactus qui s’innalzano immagini di pietra, qui ricevono la supplica della mano di un morto sotto lo scintillio di una stella che langue ed è così nell’altro regno della morte svegliandoci soli nell’ora in cui tremiamo, ancora fragili, le labbra che vorrebbero baciare formulano preghiere per quella pietra spezzata. IV Gli occhi non sono qui Non ci sono occhi qui In questa valle di stelle che muoiono In questa valle vuota Questa fauce spezzata dei nostri regni perduti In quest’ultimo luogo di contatto Noi brancoliamo assieme Senza parlare Radunati su questa riva del tumido fiume Accecati, a meno che Gli occhi non riappaiano Come la stella eterna Rosa colma di foglie Del regno di tramonto della morte È la sola speranza Di questi uomini vuoti. V Qui noi giriamo attorno al fico d’India Fico d’India fico d’India Qui noi giriamo attorno al fico d’India Alle cinque del mattino Fra l’idea E la realtà Fra il movimento E l’atto Cade l’ombra 95 Perché tuo è il regno Fra il concepimento E la creazione Fra l’emozione E la reazione Cade l’ombra La vita è molto lunga Fra il desiderio E lo spasmo Fra la potenza E l’esistenza Fra l’essenza E la discendenza Cade l’ombra Perché tuo è il regno Perché tuo è La vita è Perché tuo è il Così finisce il mondo Così finisce il mondo Così finisce il mondo Non in un colpo, ma in un piagniucolio. 96 Mercoledì delle ceneri Perché non spero più di ritornare Perché non spero Perché non spero di tornare Desiderando il talento dell’uno e lo scopo dell’altro Non posso più insistere per arrivare a tanto (perché dovrebbe l’aquila antica tendere le ali?) Perché dovrei rimpiangere Il potere svanito del solito regno? Perché non spero di conoscere ormai La debole gloria dell’ora certa Perché non penso Perché so che non potrò più conoscere Il caduco, unico e vero potere Perché non posso bere Là, dove gli alberi fioriscono e le fonti scorrono, poiché laggiù, ora, non c’è più nulla perché so che il tempo rimane tempo e lo spazio rimane solo spazio e ciò che è lo è soltanto per un tempo e soltanto per uno spazio godo di ciò che esiste, rinuncio al sacro volto e rinuncio alla voce perché non posso sperar di tornare quindi gioisco, dovendo costruir qualcosa di cui godere e prego Dio d’aver pietà di noi e prego di poter dimenticare questi problemi, che troppo discuto con me stesso e troppo giustifico poiché non spero più di tornare, che queste parole rispondino per ciò che è fatto e non potrà ripetersi. Non sia troppo severo con noi il giudizio Perché queste ali non bastano per volare, capaci soltanto di batter l’aria l’aria che ora è troppo poca e troppo secca più limitata e secca della volontà insegnaci ciò di cui aver cura insegnaci la quiete. Prega per noi peccatori 97 Ora e nell’ora della nostra morte. II Signora, tre leopardi bianchi sedevano sazi Sotto un ginepro, sazi delle mie braccia Del mio cuore e del mio fegato e di quanto C’era Nel cavo del mio cranio. E Dio disse Vivranno queste ossa? E ciò che era nelle ossa (che già erano aride) disse stridendo: noi risplendiamo tanto per la bontà di questa Signora, per la sua bellezza che in meditazione onora la Vergine. E io che son qui smembrato Offro le mie gesta all’oblio e l’amore Alla posterità del deserto E al frutto della zucca. E ciò ristora Le mie viscere, le fibre dei miei occhi E le parti indigeste Che i leopardi rifiutano. La Signora Se n’è andata in bianca veste a contemplare Che la luce delle ossa espii fino all’oblio. Non c’è vita in loro. E come sono dimenticato E vorrei essere dimenticato, così vorrei dimenticare Così devoto e saldo nel proposito. E Dio disse Profetizza al vento Perché soltanto lui ti ascolterà E stridenti le ossa cantarono A ritmo di cavalletta, dicendo Signora dei silenzi Quieta nell’angoscia Lacerata e più integra Rosa della memoria E rosa dell’oblio Esausta e feconda Tormentata e serenatrice L’unica Rosa Ora è giardino Dove ogni amore termina Terminato il tormento D’insoddisfatto amore Tormento ancor più grave D’amor soddisfatto Fine dell’infinito Viaggio verso l’ignoto Fine di tutto ciò 98 Che non si può concludere Lingua senza parole e Parola senza lingua Grazie alla Madre Per il Giardino, dove Tutto l’amore termina. Sotto un ginepro le ossa cantarono, sperse e lucenti È meglio esser disperse, per il poco bene Che facemmo l’un l’altra Sotto un albero, al fresco, benedetti Dalla sabbia, dimentiche di noi e delle altre, unite nella quiete del deserto. È questa la terra che vi dividerete. E non più contano l’unità e la parte. Questa è la terra, la nostra eredità. III Alla prima rampa della seconda scala Mi volsi e vidi in basso Lo stesso spettro attorto alla ringhiera sotto il vapore di una fetida aria in lotta con il demonio delle scale dal volto falso della speranza e disperazione. Alla seconda rampa Li lasciai avvinghiati, volti in basso; non c’erano più facce e la scala era buia, scheggiata e umida, come la bocca guasta e bavosa di un vecchio o la gola dentata di un vecchio squalo. E sulla prima rampa della terza scala C’era una finestra barrata gonfia come un fico E aldilà del biancospino in fiore e della scena pastorale La figuara dalle spalle ampie in blu e verde Incantò maggio con un flauto antico Sono dolci i capelli al vento, i capelli bruni Che svolazzano sulla bocca, lillà e chiome brune; svago, la musica del flauto, pause e passi dello spirito sulla terza scala, languono, languono; al di là di speranza e disperazione la forza sale sulla terza scala. Signore, non son degno Signore, non son degno 99 Ma dí soltanto una parola IV Chi camminò tra viola e viola Chi camminò Tra i vari gradi del verde mutevole In bianco e azzurro, colori di Maria, parlando di banalità conoscendo e ignorando l’eterno dolore che si mosse tra chi già camminava che un tempo fece forti le fontane e fresche le sorgenti rese fredda la roccia arida e ferma la sabbia nel blu, blu di Maria sovegna vos è questo il tempo della transizione che porta via violini e flauti, che rende viva una che avanza tra la veglia e il sonno, che indossa bianca luce che avvolge, inguainandola, avanzano i nuovi anni, e rendono con una vivida nube di lacrime, gli anni, rendono con un verso nuovo rime antiche. Redimi il tempo. Redimi La visione ignota nel sogno più alto Mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d’oro. La silente sorella in veli bianchi e blu Fra i tassi, dietro il dio del giardino, il cui flauto è sfiatato, piegò la testa e accennò, ma senza dire parola. Ma la fontana zampillò e l’uccello cantò Redimi tempo e sogno Il segno del discorso non detto né udito Finchè il vento non scuota mille bisbigli dal tasso E dopo questo nostro esilio V Se è persa la parola, se è spesa La parola, non detta 100 Né udita; sempre è la parola non detta, il Verbo non udito, il Verbo senza parola, il Verbo nel mondo e per il mondo e la luce scintillò nelle tenebre e ancora attorno al centro silenzioso del Verbo ruotava il mondo, inquieto per il verbo. O mio popolo, che cosa ti ho fatto. Dove ritroveremo la parola, dove, la parola Risuonerà? Non qui dove il silenzio non basta Non sul mare o sulle isole, né sulla terraferma, nel deserto o nelle terre della pioggia, per coloro che camminano giorno e notte nel buio non sono qui il luogo e il tempo giusto non c’è luogo di grazia per chi schiva il volto non c’è tempo di gioia per chi cammina nella confusione e nega la voce La sorella velata pregherà per colui che cammina nelle tenebre, per colui che ti scelse e ti si oppone 101 da Choruses from “The rock” L’aquila spicca il volo in cima al cielo, il cacciatore con i cani insegue. O, moto perpetuo di stelle fisse O, ritorno perpetuo di stagioni, O, autunno e primavera, morte e nascita! Eterno ciclo di idea ed azione infinita invenzione, esperimento. Conoscenza del moto e del linguaggio, non dell’immobilità del silenzio; Tutta la nostra conoscenza porta noi più vicini alla nostra ignoranza, l’ignoranza porta moi alla morte ma vicino alla morte e non a Dio. Dov’è la vita perduta vivendo? Dov’è la saggezza persa sapendo? Dov’è la sapienza persa informandoci? Tutti i Cicli del Cielo in venti secoli allontanano tutti noi da Dio portandoci più vicino alla polvere. … Il mondo ruota e cambia. Soltanto una cosa in tutti i miei anni non è mai cambiata, comunque la mascheriate, non cambia: l’eterna lotta del Bene e del Male. Voi trascurate gli altari e le chiese voi siete gli uomini che oggi deridono tutto ciò che è stato fatto di buono, trovate spiegazioni per soddisfare la mente razionale e illuminata. Trascurate e disprezzate il deserto. Il deserto non è così remoto e non è soltanto voltato l’angolo. Il deserto è pressato accanto a voi in metropolitana. Il deserto è nel cuore del fratello. Buono è colui che costruisce il bene. 102 FOUR QUARTETS Burnt Norton I Il presente, il passato forse sono presenti nel futuro ed il futuro è tutto nel passato. Se tutto il tempo è eterno presente il tempo è irredimibile ciò che poteva essere è un’astrazione che resta possibilità perpetua in un mondo d’ipotesi. La possibilità e ciò che è stato giungono sempre allo stesso presente. Nella memoria resta un’eco d’atti che attraversa il corridoio non preso verso quella porta che mai aprimmo nel giardino di rose. Così l’eco delle mie frasi nella vostra mente. Ma perché esse alzino la polvere su una coppa di foglie di rose non lo so. Altre eco vivono nel giardino. Da seguire? Trovatele, presto, disse l’uccello girato l’angolo, al primo cancello nel nostro primo mondo, seguiremo l’inganno del tordo? Nel nostro primo mondo erano dignitosi, invisibili, andavano senza schiacciar le foglie morte nel caldo autunno che vibrava e l’uccello chiamava, in risposta a musica inaudita tra i cespugli ma doveva esserci uno sguardo nascosto, se le rose sembravano guardate. Là erano, accettati e accettanti ospiti. … II … Al punto fermo del mondo che ruota. Corporeo e incorporeo; Non viene e non va; la danza è immobile non si ferma, non si muove. E non è fissità dove passato e futuro convergono. Né moto da né verso. Senza ascesa o declino. 103 Tranne che per quel punto, il punto fermo, non ci sarebbe danza, e lì c’è solo danza posso soltanto dire, là siam stati ma non so dire dove né quanto a lungo, perché in tal modo l’introdurrei nel tempo. La libertà dal desiderio pratico, liberarsi di azione e sofferenza, di slanci interni, esterni anche se circondate dalla grazia del senso, luce bianca ferma e mobile Ehreburg senza moto, concentrazione senza eliminazione, il mondo nuovo e il vecchio reso esplicito, capito nel completarsi d’ogni parziale estasi nel risolversi d’ogni suo orrore. Ma l’unione di passato e futuro nel fiacco nostro fisico che muta ci protegge da cielo e dannazione che la carne non riesce a sopportare. Il passato e il futuro ci danno poca consapevolezza. Esser consci è non essere nel tempo ma soltanto nel tempo è il momento del giardino di rose il momento di pioggia sulla pergola il momento della corrente in chiesa, aria nell’ora in cui il fumo ristagna e ricordati mischiano passato e futuro: soltanto con il tempo puoi conquistare il tempo. III È questo un luogo di disaffezione tempo del prima e del dopo luce fioca: né la luce del giorno che veste le forme di quiete lucida dando all'ombra una bellezza sfuggente e con moto lento offre permanenza né il buio a purificare l'anima che con le privazioni svuota i sensi togliendo transitorietà all'affetto né pienezza né vuoto. Solo un fremito sugli straniti volti logorati distratte distrazioni fatte di voglie e svuotate di senso 104 gonfia apatia senza concentrazione uomini e pezzi di carta nel vento che mulina freddo prima e dopo il vento, che polmoni malati aspirano espirano tempo del prima e dopo. Eruttazione d'anime malsane nell'aria che sbiadisce e intorpidisce mossa dal vento che spazza le tristi colline di Londra, Hampstead e Cerkenwell, Campden e Putney, Highgate, Primrose e Lugdate. Non qui, non qui il buio in questo mondo che cinguetta. Scendi di più, scendi solo nel mondo di perpetua solitudine. Buio interiore, privazione e spoliazione di ogni proprietà aridità del senso evacuazione della fantasia inattività dello spirito; questa è una via, e l'altra è simile, ma non nel movimento ma nell'astensione dal movimento. E mentre il mondo muove i suoi appetiti sulle strade asfaltate di passato e futuro. IV Il tempo e la campana han seppellito il giorno, la nube non porta via il sole. Si volgerà a noi il girasole, scenderà la clematide, i vilucchi e i rametti ci stringeranno forte abbracciandoci? Fredde dita di tasso ci si arricceranno intorno? Dopo, l'ala del martin pescatore che dice luce a luce e tace, luce ferma. Al punto fermo del mondo che ruota. V Le parole si muovono, e la musica, solo nel tempo; ciò che sta soltanto vivendo può scomparire. Le parole, dopo il discorso tacciono solo grazie alla forma e alla trama. 105 Le parole o la musica raggiungono la quiete, vaso cinese in perpetuo movimento nella sua propria quiete. Non quiete di violino mentre termina la nota. Non solo, ma coesistenza o, meglio, fine che precede inizio e la fine e l'inizio furon sempre prima dell'inizio e dopo la fine Tutto è sempre ora. Le parole forzano, si scheggiano, talvolta si frantumano per la tensione, sgusciano, si guastano e marciscono nell'imprecisione non vogliono restare al loro posto non vogliono star ferme. Voci stridule che sgridano, deridono, o solo chiacchierano, sempre le assalgono. Il Verbo nel deserto è preda delle voci tentatrici, l'ombra che piange nella danza funebre, alto lamento di chimera triste. Si muove ogni dettaglio della trama come le dieci scale dell'immagine. Il desiderio stesso è movimento, indesiderabile per se stesso; l'amore invece è immobile, solo causa e fine del movimento, al di fuori del tempo, non desidera eccetto che per l'aspetto del tempo catturato nella forma del limite tra non essere ed essere. All'improvviso in un raggio di sole proprio mentre la polvere si muove si alza il riso dei bimbi nascosti tra le foglie Presto, ora, qui, ora, sempre È ridicolo il vasto triste tempo che s'estende tra un prima ed un dopo. East coker I Nel mio inizio è la mia fine. Case sorgono e cadono, crollano o s'ampliano, demolizioni, distruzioni, restauri o, al posto loro, campi aperti, fabbriche o circonvallazioni da vecchie pietre nuove costruzioni dal legno vecchio il fuoco rinnovato 106 da vecchi fuochi, cenere e poi la terra che è carne pelo e feci ossa d'uomo e di bestia, stelo e foglia. La casa vive e muore: c'è un tempo per costruire, vivere e generare c'è un tempo perché il vento spacchi il vetro ormai sconnesso e scuota lo zoccolo lungo il quale scappa il topo campagnolo e scuota il logoro arazzo, il suo tacito motto ricamato. Nel mio inizio è la mia fine. Cade ora la luce sopra i campi aperti, lascia la via profonda nella sera oscurata, dove ti fai da parte se passa un carro e la via profonda continua avanti dritta fino al villaggio, in un calore elettrico, ipnotizzata. Luce afosa in foschia calda, assorbita, non rifratta dalle pietre grigie. Le dalie dormono in silenzi vuoti e la civetta arriverà puntuale in quell'aperto campo se non vi avvicinate troppo, troppo a mezzanotte estiva puoi udire (…) Alzando pesanti le goffe scarpe piedi di terra e argilla, allegramente, allegria di chi è sotto la terra a nutrire il grano. Attenti al tempo, attenti al ritmo della loro danza come al vivere le vive stagioni tempo di stagioni e costellazioni tempo di mungitura e di raccolto tempo d'accoppiarsi di uomini e donne e tempo delle bestie. Piedi s'alzano, cadono. Nutrirsi. Letame e morte. Spunta l'alba ed il giorno si prepara al calore ed al silenzio sul mare un vento d'alba increspa e scivola. Io sono qui o là, o altrove. Nel mio principio. II Che cosa ci fa il tardo novembre 107 coi turbamenti della primavera e le creature di calura estiva e i bucaneve schiacciati dai piedi e i rampicanti che s'alzano troppo dal rosa al grigio, e rovesciano giù rose tardive coperte di neve? Rotolato tuono tra astri cadenti, suono simile ai carri in trionfo schierati in guerre tra costellazioni. Lo Scorpione si scontra con il Sole finchè il Sole e la Luna tramontano comete piangono e Leonidi volano cacciano per i cieli e le pianure presi da un vortice che porterà il mondo al fuoco della distruzione che brucia prima del regno di ghiaccio. E questo era un modo di presentare la cosa non molto soddisfaciente: uno studio perifrastico in modi poetici d'altri tempi, che ci fa rimanere nella lotta intollerabile tra le parole e i significati. Non che preoccupi la poesia, non era (per riprendere) ciò che ci si aspettava. Qual'era il valore dell'agognata calma, la serenità autunnale e la saggezza dell'età? Avevano ingannato noi, o se stessi le quiete voci antiche lasciandoci come eredità solo la ricevuta di un inganno? Serenità, deliberata ebetudine. Saggezza, conoscer segreti morti, inutili nel buio dove gli occhi smarrivano lo sguardo o si volgevano. Ci sembra che ci sia, a dire tanto, solamente un valore limitato nel sapere che ci offre l'esperienza. Il sapere impone una trama, e falsa perché la trama ogni momento è nuova e ogni momento è nuova, sconcertante valutazione di ciò che siam stati. Solo non c'inganna ciò che ingannandoci non potrebbe più nuocerci. Non soltanto nel mezzo del cammino 108 ma per tutto il cammino, in una selva oscura, tra rovi e orli di paludi dove non va sicuro nessun passo tra minacce di mostri e luci folli, a rischio d'incantesimi. Non m'interessa la saggezza antica, ma la loro pazzia, il loro temer paura e frenesia la loro paura della possessione, di appartenere a un altro, a altri, o a Dio. E l'unica saggezza in cui speriamo è quella dell'umiltà: è sconfinata. Le case sono finite tutte in mare. I danzatori sono andati tutti sotto la collina. III O buio, buio. Tutti a te dirigono, vuoti spazi tra stelle, vuoto in vuoto. Capitani, uomini d'affari e lettere patroni d'arte e uomini di Stato governanti funzionari presidenti capitani d'industria e imprenditori tutti vanno nel buio. Buio. Sole, Luna, Almanacco di Gotha e Gazzetta l'annuario delle Società anonime freddo il senso, perduta ogni ragione d'agire. E tutti andiamo al funerale silente, funerale di nessuno, perché nessuno c'è da seppellire. Dissi alla mia anima: taci e lascia che la tenebra scenda su di te, sarà il buio di Dio, come in teatro spengono le luci per cambiar scena, con un cupo rombo d'ali, nel muoversi del buio sopra il buio, e noi sappiamo che colline e alberi e tutto il panorama, tutta l'ardita facciata imponente viene spazzata via o come quando la metropolitana si ferma troppo tra due stazioni e la conversazione lentamente svanisce nel silenzio, vedi, dietro ogni volto, spalancarsi la profondità del vuoto mentale 109 e non resta che il crescente terrore di non avere nulla a cui pensare; o quando, sotto l'etere, la mente è cosciente, ma cosciente di nulla ho detto alla mia anima, sta quieta e aspetta silente senza speranza perché potrebbe essere una speranza mal riposta: allora aspetta senza amore e l'amore sarebbe mal riposto. Resta la fede. Ma fede e amore e speranza sono soltanto attesa. Attendi, non pensare, non sei pronta al pensiero: così il buio e la quiete saranno luce e danza. Mormorii di scorrevoli ruscelli, lampi d'inverno. L'introvabile timo selvatico, la selvatica fragola, le risa in giardino, eco d'estasi non persa, ma che richiede e tende all'agonia di nascita e di morte. Voi dite che ripeto ciò che ho già detto. Lo dirò di nuovo. Devo dirlo di nuovo? Per andarci, per arrivare dove voi siete per andare via da dove non siete, dovrete fare una strada senza estasi. Per arrivare a ciò che non sapete dovrete percorrere l'ignoranza. Per ottenere ciò che non avete, dovrete percorrere la privazione. Per arrivare a quello che non siete si deve andare per le strade ignote vostra compagna sarà l'ignoranza e ciò che avete è ciò che non avete e dove siete è là dove non siete. IV Il chirurgo ferito usa l'acciaio per indagare la parte malata; sotto mani insanguinate sentiamo la compassione che punge e guarisce sciogliendoci l'enigma della febbre. L'unica salute è la malattia se obbediamo all'infermiera morente a cui non sta a cuore di piacere ma ricordarci la maledizione 110 di Adamo, per ricordarci che il male, perché guarisca, deve peggiorare. Tutta la terra è il nostro ospedale pagato da un milionario in miseria, dove, se ci va bene, moriremo tra indissolubili cure cure paterne che non ci lasceranno mai, ma mai ci faranna raggiungere un altrove. Il freddo va dai piedi alle ginocchia, la febbre canta in mentali circuiti. Se voglio avere caldo devo gelare, tra i purgatoriali fuochi frigidi tra fiamme di rose e fumo di spini. Beviamo soltanto il sangue che stilla, la carne insanguinata è il nostro cibo: ciononostante ci piace pensare che siam proprio fatti di carne e sangue… Ma ciononostante, ancora parliamo del venerdì santo. V Dunque eccomi, a metà cammino, vent'anni dopo. Vent'anni per lo più dilapidati, gli anni tra le due guerre… Passati ad imparar delle parole l'uso rifacendo sempre da capo è un modo diverso di fallire perché s'è imparato a dire bene soltanto ciò che non si ha più da dire o il modo che ci è diventato inutile. Così ogni impresa è un ricominciare, avventura tra l'inarticolato con strumenti che sempre più si logorano, in un caos di sentimenti imprecisi, squadre indisciplinate di emozioni. E quello che abbiamo da conquistare con la forza, con la sottomissione, è del resto già stato scoperto, una due, innumerevoli volte, da uomini che non si può sperare di emulare non c'è competizione - solo lotta per recuperar ciò che s'è perduto e perdere e trovare senza fine, ed ora, che le condizioni sembrano sfavorevoli. 111 Ma forse nulla si guadagna o si perde non resta che tentare. Non c'è altro. Si parte dalla casa, più s'invecchia più il mondo ci sembra strano, la trama di vivi e di morti più complicata. Non il momento intenso, senza prima né poi, isolato, ma un'intera vita che brucia in ogni istante, e non la vita di un uomo solo, ma di vecchie pietre che non si riescon più a decifrare. C'è un tempo per la sera stellata, un tempo per la sera al paralume (La sera con l'album di fotografie). L'amore si avvicina più a se stesso quando il luogo e l'ora non contan più. I vecchi dovrebbero diventare esploratori, qui o là non conta noi dobbiamo muoverci senza fine verso altre intensità per un'unione più piena e profonda attraverso il buio, il freddo, la vuota desolazione, l'urlo d'onda e vento le immense acque di tempeste e focene. Nella mia fine è il mio principio. 112 The dry salvages I Non so gran che di dei, ma il fiume sembra un dio bruno e forte, rude e intrattabile, paziente fino a un limite, dapprima riconosciuto come una frontiera; utile, senza fidarsene troppo, come mero veicolo di commerci poi soltanto un problema da risolvere tra ingegneri pontili. Sciolto il problema, il dio è dimenticato dai cittadini, ma resta implacabile, fedele a stagioni e furie, ricorda a noi ciò che vorremmo dimenticare. Non sanno onorarlo né propiziarlo gli adoratori di tecnologie, ma aspettando, vegliando ed aspettando c'era il suo ritmo nella stanza dei bimbi, nel fetido ailanto in mezzo al cortile nell'odore dell'uva sulla tavola d'autunno, e nella luce a gas di veglie invernali. Il fiume è dentro noi, il mare intorno; il mare è anche il bordo della terra, il granito in cui riesce ad addentrarsi le spiagge dove scaglia testimonianze di creazioni diverse e più antiche: stelle di mare, granchi a ferro di cavallo, ossi di balena pozze dove offre alla curiosità le alghe più delicate e anemoni marini sputa ciò che perdiamo, lacerate reti, rotte trappole d'aragoste, remi spezzati, utensili stranieri. Il mare ha molte voci, molti dei e molte voci. Il sale è sulle rose della macchia, la nebbia tra gli abeti. L'ululato del mare e il guaito del mare son differenti voci che spesso si sentono insieme: il pianto del cordame. La minaccia e carezza dell'onda che si rompe sull'acqua. Poi lontano il brontolio tra denti di granito, il monito dolente del promontorio, tutte voci del mare, il fischio della boa sballottata, 113 doppiata nel ritorno, ed il gabbiano: e sotto l'oppressione della nebbia, un tocco di campana misura un tempo non nostro, la risacca la muove lenta, un tempo che è più vecchio del tempo dei cronometri e più vecchio del tempo contato dalle donne in inquietudine che insonni indagano il futuro e cercano di disfare, sdipanare, districare rappezzare il passato ed il futuro, fra mezzanotte e l'alba, quando il passato è soltanto un inganno ed il futuro non ha più futuro, prima dell'alba, quando il tempo è fermo e non ha fine; e alla risacca, che è e che è da sempre, rintocca la campana. II Terminerà mai il muto lamento, lo sfiorire silente dell'autunno quando il fiore immoto abbandona i petali? Dove i rottami alla deriva approdano e la preghiera d'ossa sulla rena al terribile annuncio impronunciabile? Non c'è fine, ma aggiunta: si trascina la conseguenza d'altri giorni ed ore, se l'emozione priva d'emozione tutti gli anni trascorsi tra rovine di ciò a cui si dava più fiducia e dunque può meglio esser ripudiato. Alla fine un'aggiunta: viene meno l'orgoglio o il risentimento al cedere delle forze, la devozione astratta può sembrar mancanza di devozione, barca alla deriva che piano affonda il tacito ascoltare l'innegabile scampanio dell'ultima annunciazione. Non finiranno mai le vele mosse da un po' di vento nella nebbia che ansima? Non si può pensare un tempo senza oceano, o un oceano che non abbia più rottami 114 o un futuro che non sia capace, come il passato, d'essere senza destinazione. Noi dobbiamo pensare che aggottano calano e tirano, al vento di nord est sui banchi non erosi a pelo d'acqua o che ritirano la paga, asciugano le vele; e non durante un viaggio inutile con reti che non possono pesare. Non ha fine il lamento senza voce né l'appassire di fiori già appassiti né il moto del dolore che immobile non duole, né la deriva in mare e i suoi rottami né la preghiera delle ossa al Dio Morte. Solo una preghiera mal pronunciabile, preghiera dell'unica annunciazione. Sembra, quando s'invecchia, che il passato abbia un'altra trama, e cessi la sua mera sequenza o il suo sviluppo: quest'ultimo, in parte, è un errore dato da nozioni superficiali dell'evoluzione e diventa, nell'opinione pubblica, un modo per rinnegare il passato. I momenti della felicità non la sensazione di stare bene, appagamento, sicurezza, affetto, neanche un pranzo eccellente bensì l'illuminazione improvvisa pur avutane esperienza, il senso ci è ormai sfuggito, ma avvicinarsi al senso riporta l'esperienza in forma nuova, oltre il senso della felicità. Ho già detto che rivivere esperienze nel significato non è l'esperienza di una vita, ma di generazioni senza dimenticare qualche cosa che probabilmente è inesprimibile: lo sguardo indietro al di là di certezze e documenti. È la timida occhiata alle spalle, al terrore primitivo. Ora eccoci a scoprire che i momenti di estrema sofferenza (Non importa 115 se dovuti o meno al malinteso di aver temuto o sperato le cose sbagliate) sono anch'essi permanenti, ed hanno la permanenza del tempo. Ciò lo capiamo meglio quando soffre qualcuno a noi vicino, non noi, ma con conseguenze anche nostre. Perché il nostro passato è coperto dal corso delle azioni mentre il tormento altrui è un'esperienza non corrosa da attriti successivi. La gente cambia, ride: ma rimane la sofferenza. Il tempo che distrugge è il tempo che conserva, come il fiume, con il suo carico di negri morti, mucche e gabbie di polli la mela amara e il morso nella mela e lo scoglio nell'acqua senza pace le onde coprono, la nebbia nasconde. III A volte mi domando se questo è ciò che Krishna intendeva tra l'altro - è un altro modo di dire la stessa cosa: il futuro è un canto già svanito, Rosa Reale o una spiga di lavanda d'inquieto rimpianto per tutti quelli che non son qui a rimpiangere, schiacciata tra le pagine ingiallite di un libro mai aperto. E l'ascesa è discesa, il progresso regresso. Non c'è certezza che l'affronti: il tempo, però, non può guarire proprio nulla: non c'è più il paziente. Il treno parte, i passeggeri a posto con la frutta i periodici e le lettere d'affari (e le persone sono andate via dai marciapiedi dopo i saluti) I volti si rilassano, il dolore al ritmo di tante ore sonnolente diventa sollievo. Va, viaggiatore! senza sfuggire al passato, va verso vite diverse, altri futuri. Mentre i binari sfuggono, si stringono dietro a voi, non siete la stessa gente 116 che è partita da quella stazione, che arriverà in un luogo qualsiasi; non pensate che "il passato è finito" o che "il futuro sta davanti a noi" mentre guardate il solco dietro voi sul ponte del transatlantico pulsante. Al far della notte, tra antenne e cordame una voce canta (non all'orecchio, ed in nessuna lingua, mormorante conchiglia del tempo) "Venite avanti o voi tutti che credete nel viaggio; non siete gli stessi che videro il porto indietreggiare, né voi sbarcherete. Ma tra queste due sponde mentre il tempo è sospeso considerate passato e futuro con la mente imparziale. Quando non c'è azione, né inazione potete capir ciò: 'qualunque sfera dell'essere occupi la mente di un uomo al tempo della morte' - questa è l'unica azione (Ogni momento è tempo di morte) che darà frutto nella vita altrui: e non pensate al frutto dell'azione. Andate avanti. O viaggiatori, o naviganti, voi che raggiungete il porto, o il cui corpo soffrirà prove e giudizi del mare o qualsiasi altra fine è questa la destinazione vera" Così Krishna, quando ammoniva Arjuna sul campo di battaglia. Non addio, ma avanti, viaggiatori. IV Dal tuo sacro altare sul promontorio prega Signora per chi è in mare, per chi pesca e per chi onestamente è impegnato nei traffici e per chi lo guida. Ripeti una preghiera anche per donne che videro i loro figli e mariti partire e non tornare: figlia del tuo figlio, O Regina del cielo 117 E prega per coloro che erano in nave e finirono il viaggio sulla sabbia, sulle labbra del mare o nella gola buia che mai più ce li restituirà o dovunque la campana del mare, eterno angelus, non potrà raggiungerli. V Comunicare con Marte, con spiriti, dir le gesta del serpente marino, scrivere oroscopi, indagar la sfera, osservare i malanni nelle firme, biografare le linee della mano, far profezie con le foglie del tè o con i sortilegi, perscrutare l'inevitabile con le carte scherzar con pentagrammi o barbiturici analizzar terrori dell'inconscio dissezionando ricorrenti immagini… Esplorare viscere, tombe o sogni; questi son tutti passatempi, droghe, rubriche sui giornali: e lo saranno sempre, soprattutto quando le nazioni sono in pericolo, e c'è perplessità su spiagge asiatiche o sulle nostre strade. L'uomo è curioso e cerca tra passato e futuro le nuove dimensioni. Ma comprendere dove toccano senza tempo e tempo è un'occupazione per i santi… Nemmeno occupazione: qualcosa dato e tolto, annientata vita in amore e ardore, in altruismo e dedizione. Per la maggior parte di noi non c'è che il momento trascurato, momento dentro e fuori del tempo, distrazione che già si perde in un raggio di sole, nascosto timo selvatico, lampo d'inverno, o cascata, musica udita così nell'intimo e inavvertibile, ma finchè dura siete anche voi musica. E questi sono accenni e congetture, accenni seguiti da congetture; poi è la preghiera, la disciplina, 118 l'osservanza, il pensiero e l'azione. L'accenno mezzo indovinato, il dono compreso a metà è l'Incarnazione. Qui, l'unione impossibile delle sfere dell'essere agisce, qui, passato e futuro sono conquistati, e riconciliati, qui, dove l'atto sarebbe altrimenti movimento di ciò che è solo mosso, senza la fonte in sé del movimento, spinto da sotterranee forze demoniache. L'azione giusta è libera da passato e futuro. Per molti di noi è questo lo scopo che qui non si può raggiungere mai noi che, soltanto perché tentammo, non siam stati sconfitti, contenti alla fine del ritorno nel tempo (non lontano dal tasso) per dare la vita al suolo del senso. 119 Robert Frost 120 Desert place Neve che cade fitta come la notte Lasciandolo alle spalle guardai un campo, e la terra appianata dalla neve non lasciava intravedere che stoppie. Attorno non è che dominio di boschi. Gli animali si stringono nelle tane. Io sono troppo assente per far parte; la solitudine m’include inavvertitamente. E, solitaria com’è, la solitudine Non potrà diminuire, e diverrà Bianco vuoto di neve colto dal buio, senza espressione, inespressivo nulla. Non mi impauriscono gli spazi vuoti Tra stella e stella, dove non c’è uomo, se così vicino a casa, in me stesso, posso impaurirmi con i miei deserti Time out Fu quando si fermò che lui comprese La pendenza del monte che risaliva Come un libro tenuto innanzi agli occhi (e era un testo, seppur fatto di piante) Corniolo, filodoro maiantemo, legge, e seguono riga a riga le dita, fiori appassiti nel seme a venire… 121 Happiness makes up in height for what it lacks in lenght Oh, mondo tempestoso, I giorni senza vortici Tra nuvole e foschie, o, avvolta in un sudario l’alta ruota del sole non fu in parte o tutta oscura al nostro sguardo, furono così rari, che mi chiedo come si possa conservare il senso della luce. Se è giusto questo dubbio Potrebbe esser che tutto Sia frutto di un giorno unico, quando già chiaro all’alba, il giorno venne chiaro per chiaro terminare. E davvero io credo Che l’impressione splendida Nasca da un giorno unico Privo d’ombre che mia, quando da casa a bosco tra fiori fiammeggianti mutammo solitudine. To a moth seen in winter E ora ti prego, dimmi, che t’allettò Con falsa speranza a tentare l’eterno, a cercare l’amore in questo inverno? Ma aspetta, ascoltami: sono convinto Che troppa è la fatica del tuo volo, così non puoi incontrare l’amore. ma c’è qualcosa in te che mi commuove, quell’antica e incurabile stonatura, principio di ogni male. ma vai, hai ragione: la pietà non serve, vai, finchè non avrai ali fradicie e fredde. Io non ho la tua semplice saggezza, e come posso toccarti, salvarti, io, che già stento a salvare me stesso? 122 Directive Via da questo ora che è troppo per noi, via, in un tempo fatto semplice, per la perdita di dettagli, arsi, dissolti e disfatti come statua mortuaria dalle intemperie. C’è una casa che non è più casa in un podere che non è più podere ed in una città che non c’è più. On looking up by chance at the constellation A lungo occorre attendere che oltre le nuvole qualcosa accada in cielo. Sole e luna s’incrociano senza toccarsi mai, né sprizzano scintille con fragore. Pianeti paiono sfiorarsi in orbita ma nulla accade mai e non c’è danno. E allora ci conviene pazientare, e cercare non in cielo le pene e i mutamenti che per non impazzire ci divengono necessari. Certo, certo, l’aridità diventa pioggia, come la più lunga pace discordia. Ma non verrà premiata l’attesa di chi veglia Nella speranza che s’infranga la quiete celeste. Il cielo sembra salvo questa notte. Fire and ice Qualcuno dice che il mondo brucerà. E altri che sarà ghiaccio. Per quanto ne so io del desiderio Preferirei il fuoco. Ma se dovesse accadere due volte, l’odio non ha mai limiti, anche il ghiaccio sarebbe una catastrofe sufficiente. 123 The road not Due strade divergenti nel giallo del bosco. Ed io, triste di non poterle percorrere entrambe, essendo uno, restai a lungo a guardare, fino al termine dello sguardo, dove una andava a curvare nel sottobosco. Poi presi l’altra, buona anch’essa, forse Migliore, per l’erba meno battuta; benchè in realtà fossero tracciate entrambe dalle stesse passeggiate, ed entrambe, quel mattino, sembravano ancora non segnare il passo nero dell’uomo tra le foglie. Già, potevo lasciar la prima per un giorno avenire, perché ogni strada conduce all’altra, ma dubitavo di poter tornare. Sì, racconterò ciò con un sospiro, in qualche luogo fra chissà quanto tempo: due strade divergevano nel bosco ed io presi quella che mi sembrava più ignota, e qui fu la differenza. The armful Per ogni pacchettino che raccolgo Me ne cade un altro E la pila intera perde equilibrio; bottiglie, ciambelline, estremi difficili a conciliare… Eppure nulla voglio dimenticare. Con tutto ciò che li può sostenere, mani e mente e cuore, se serve, tento di conservarli interi sul mio petto. Ma è inutile piegar le ginocchia A prevenire il crollo: così mi siedo In mezzo a loro. Ed ora non mi resta Che d’ammucchiarli meglio… On the hearth’s beginnings to cloud the mind Qualcosa vidi (o mi sembrò soltanto?) Nel deserto dell’Utah a mezzanotte, guardando fuori dalla mia cuccetta, cielo e terra al chiarore della luna. Il cielo aveva stelle qua e là; 124 la terra una sola luce lontana, patetica, tremante luce umana, mantenuta accesa contro la notte, da qualcuno laggiù, disperatamente, da sembrarmi abbandonato da Dio. Avrebbe tremolato ancora un po’, per cadere come un ultimo petalo. Ma il cuore cominciò a confondermi la menteE conoscevo una storia migliore. Sono le fronde a far tremare la luce; e possono tenerla ben accesa: e quando non interessa più loro, possono lasciarla alle cure di altri. E un’estate, ripassando qui, di sicuro la ritroverei identica. It is almost the year two thousand Per cominciare, il mondo ebbe un’età dell’oro privo delle miniere, e qualcuno parla dei segni della prossima età che viene, il vero Millennio, il finale scintillio dorato per concluderlo. E se è così (E la scienza dovrebbe dircelo) dovremmo tirar sù la testa dal manto del giardino da sarchiare, o dai libri chiosati, per vegliare questa fine di lusso. 125 Seamus Heaney 126 Settings XXI Una volta, una soltanto ho sparatocon un calibro 22, al quadro di un fazzoletto inchiodato ad un ramo a sessanta yarde. M’inebriò il suono del proiettile alla facile pressione, la breve contrazione del bersaglio, capire all’improvviso cos’è un fucile. E da allora vidi l’anima come uno straccio bianco rapinato via in buie galassie. Nello sparo c’era il peccato contro la vita eternafrase che si dilata in luce nuova. settings XXIV Calma del porto deserto. Ogni pietra Chiarificata dorme sotto l’acqua, il molo una muratura di quiete. Pienezza. Bagliore. Alto Atlantico carico, gli ormeggi tesi appena, leggerissimo il chiocciare delle onde sul fasciame. Ultimi tocchi: minareti di molluschi laggiù, tra lisci cocci di bottiglia, detriti di conchiglie e una gemma di arenaria. Aria e oceano consapevoli di chi precede l’altro. In opposizione a Onnipresenza, l’equilibrio e il margine. 127 crossings XXVIII Ghiaccio come bottiglia. In coda, avidi Di rientrare ancora nel lungo scivolo Perfezionandoci a ogni tentativo Correndo, preparandoci, lasciandoci Su una verticale fine a se stessa: addio alla stabilità, un lancio oltre l’usuale presa su se stessi. E via di nuovo, dalla presa al perdersi, stretta via lattea nel ghiaccio nero, salir su, cosa libera e ritornoripetendo, come un cerchio di luce superato e verso cui salpare. A postcard from iceland Tastando la corrente a qualche passo dalla sorgente calda, era possibile udir soltanto il fango ribollire. Poi la mia guida dietro di me disse, “Lukewarm. E forse vorreste sapere che luk significava un tempo umano” E vi racconterò (già lo sapete) quanta pressione e carezza sembrarono consuete, quando l’intima palma acquea trovò la mia palma. 128 Glanmore sonnets (I) Vocali arate in altre: terre aperte. Il più mite febbraio da vent’anni Brume a bande sui solchi, assenza di suoni Vulnerabile al lontano gorgoglio dei trattori. La nostra strada fuma, le zolle volte fiatano. Buono sarebbe ora traversare un campo e arte un paradigma di terra al tornio degli aratri. È ben svelto il mio podere vecchi vomeri ingoiano il sottosuolo dei sensi ma mi risveglia una fragranza di terra coltivata, come una rosa scura non sbocciata. Appaiono, di fronte alla nebbia, in grembiule da semina, alle stazioni primaverili, i miei fantasmi in marcia. Vortica il grano del sogno come un capriccio di neve a Pasqua. Da Glanmore sonnets (IV) Mi sdraio con l’orecchio sulla linea Perché dicono che si sente un suono Che corre avanti, un tuono di metallo, flange e pistoni picchiati sul suolo. Ma non mi è mai capitato. E invece, due miglia oltre, colpi di cambi e agganci sopra i tronchi. La testa di un cavallo turbina da un cancello, grigio giro di fianco e di criniera e io lì a guardarlo apparire. Due campi prima, in casa, piccole onde Tremavano silenti nel bicchiere (mentre adesso mi tremano nel cuore) Per sparire dove sembravano iniziare. 129 Glanmore sonnets (VI) Visse là, tra intraducibili luci. Vide il fucsia di un giorno piovigginoso, il sambuco al tramonto come una luna che sorge e i verdi campi farsi grigi al vento sui dossi. “Verrò fuori da questa glassa”, ripetè “Di pacifiche assenze e perfette foschie” Sicuro come l’uomo che sfidò il ghiaccio e attraversò il fiume Moyola in bicicletta. Non lo vedemmo mai. Ma in quell’inverno del quarantasette, quando la neve, come uno studio, i campi illuminava, e le cose o cristallizzavano o affondavano, la sua storia ci animava, bianca oca selvatica che vola nel buio, oltre la neve dei tetti. Glanmore sonnets (VIII) Lampi, su ciocchi a pezzi: grosse gocce Sul corpo caldo, e impregnate d’indizi Che schizzano ombre sul ferro dell’ascia. Oggi la gazza ispezionava a balzi Un cavallo nel sonno presso il bosco, pensai a rugiada su armatura e carogna. Che pretendevo, in strada, sangue fresco? Fin dov’è giunto, il rospo, sotto la legna? Che s’avvolge nel silenzio dei campi? Ti ricordi quella pensione a Les Andes Dove una vecchia cullava tutto il tempo, con una canzoncina, un mongoloide tra le braccia? Son sopra, vieni, io tremo. Tuo, bosco di betulle tra i lampi. 130 A New song Ho incontrato una ragazza di Derrygarve E il nome, muschio potente perduto, richiamava il lontano perdersi del fiume, il balzo blu del martin pescatore o le pietre, che come neri molari affondano nel guado, il vetro mutevole dei gorghi, il Moyola che va a scorrere piacevolmente fin sotto agli ontani. E Derrygarve, pensavo, era soltanto musica svanita, acqua del crepuscolofluida libagione del passato versata per caso da questa figlia vestale. Ma ora si levino le nostre lingue di fiume dalle dimore native e profonde, dilaghino in abbracci di vocali su terre di consonanti… Squaring (XLVIII) Strano come le cose al largo, intuite, si convertano in cose prevedute; e come ogni evento ci sia chiaro solo alla luce di vecchie esperienze. Forse il settimo cielo è verità Di un sesto senso già prestabilito. Ad ogni modo, quando m’investirà la luce, come sulla strada oltre Colerain dove il vento si fece più salato, il cielo più precipitoso e un argento lamè tremolò sulla Barm tra le pertiche tinte del canale, quel giorno sarò al passo con quanto m’è sfuggito. Squarings (XXXVII) In famose poesie del saggio Han Shan, Fredda Montagna è un luogo che può significare Uno stato della mente. O differenti stati in tempi differenti, perché sembrano poesie uniche e impulsive, come quelle che iniziano “Sto seduto qui, di fronte a Cold Mountain 131 Da ventinove anni”, o “Non c’è cammino che termini”, sostanza invidiabile, semplice e credibile. Ma parlarne non basta. Citarle almeno ci dimostrerà la virtù di un’arte che conosce il suo progetto. Squarings (XLVII) Il mare visibile all’orizzonte O oltre la rada all’ancora Si nominava il largo. Più rimaneva vuoto, più forzava Lo sguardo a scandagliarlo. Ma appena gli voltavi la tua schiena, la tua schiena s’empiva d’occhi come Argo. Poi, tornando a guardare, il largo sembrava Sempre inviolato, quasi abbandonato, come se una truppa in esercitazione al bordo della visione si fosse ritirata dietro l’orizzonte a organizzar manovra. In memoriam: Robert Fitzgerald I fori in testa alle scuri, squadrati come ingressi di tombe megalitiche il passaggio lastricato che si apre davanti alle pietre di un’altra porta che si apre su una terza. Non c’è l’ultima, solo pietra di soglie, di montanti che ripetono entra entra entra entra… stipiti e architravi volano nel buio. Da corda d’arco la nota di rondine freccia di migrazione il cui bersaglio lascia un soffio sussurro in ogni foro. Terminata è la Prova, i nervi ronzano, viaggia ora fuori da ogni conoscenza mira perfettamente al centro vuoto. From the canton of expectation 132 I La nostra era la terra degli ottativi sotto nuvole e banchi di rassegnazione. Fruscii di perdita nelle parole Non nella nostra vita, poi l’avvilimento quando si pregava Concedete o degnate, ci facevano onore, bastava al giorno. Ci radunavamo in un campo ogni anno per danzare in tende dove i bimbi cantavano canti imparati a voce nel vecchio linguaggio. Un banditore che aveva combattuto nella confraternita elencava umiliazioni da noi date per scontate, ma neanche lui, penso, le considerava come un appello. Voci d’acciaio dagli altoparlanti frustavano l’aria, ma nessuno di noi si sentiva in colpa. Lui ci confermava. Quando il nostro inno di rivolta chiudeva l’incontro, si tornava alle vessazioni solitite di miliziani ai posti di blocco. II Ma all’improvviso questi cambiamenti. Libri aperti in cucine con gli impianti elettrici nuovi. Giovani menti pronte a sonnecchiare tutta la vita al fianco delle mucche s’impegnavano a tracciare le strade lungo i testi prescritti. Poi arrivarono le pietre nei cortili delle scuole e una grammatica di imperativi, nuova epoca di rivendicazioni. Volle bandire ogni condizionale questa generazione nata impervia trionfo nelle nostre grida de profundis. Fece anatema della nostra fede nella vittoria di chi più sopporta, menti brillanti e grezze come piedi di porco. III Ciò che sembra più forte ha fatto il tempo suo. Il futuro è in ciò che viene dal basso. Ciò ci corroborava dimorando con il nostro patrono clandestino, l’angelo custode della passività ora una zanna di minaccia affonda nella mia spalla. “Colpito”, ripeto 133 stando nudo sotto banchi di nuvole luccicanti metalliche di tempesta. Bramo martellare il tavolato del fasciame, l’indiscutibile resoconto degli scalmi avvitati, per sapere se c’è qualcuno che ha mai deviato dal suo istinto per l’azione migliore, che non è caduto nell’indicativo, che salpa quando le nuvole esplodono. The spoonbait Ed èccoci ad un’altra similitudine, così diciamo: l’anima è comparabile all’esca a cucchiaino che un bimbo scopre tra le matite sparse nel suo astuccio, vista per caso, ricordata per sempre alta e libera srotolarsi dal nulla – una stella cadente che risale il buio. Lo sfugge e lo brucia in una volta sola come la sola goccia implorata da Dives precipitando nel suo grande abisso. Poi exit, l’elmo splendente di un eroe che comanda la nave sul mare schiumante. Exit, in alternativa, gioco di luce avvolto a lui controcorrente, impigliato a niente. clearances (4) La paura d’ostentare produceva inadeguatezza quando doveva pronunciare parole “superiori” Bertold Brek. Le usciva qualcosa d’impacciato e obliquo ogni volta, come se un troppo ben appropriato vocabolario tradisse inadeguatezza e impaccio. Più per sfida che orgoglio, mi diceva “Tu sai tutte quelle cose”. E governavo così la mia lingua davanti a lei, genuino ben appropriato adeguato 134 tradimento di ciò che ben sapevo. Naw e aye dicevo. Ed educatamente tornavo agli errori della grammatica che ci tenevano in stallo ed alleati. From the land of the unspoken Ho saputo di una barra di platino custodita in una nazione logica e loquace a campione di misura, sala del trono e camera mortuaria di ogni calcolo, di ogni predizione. Sarei a casa in quel cuore metallico, assopito nel fulcro del sistema. Siamo gente dispersa, la cui storia è un senso di fedeltà opaca. Quando o perché l’esilio cominciò tra gli uomini sedotti dal linguaggio non sapremmo dire, ma la marea della solidarietà cresce in noi quando sentiamo le loro leggende di trovatelli su barche di giunco verso il destino o di bare di re alzate e portate via sulle spalle del fiume o per le strade del mare aperto. Se ci riconosciamo, andiamo al passo, ma nel complesso non andiamo insieme. Il mio contatto più profondo fu in metropolitana all’ora di punta tenendomi a un sostegno, schiena a schiena, e una volta in un museo ho inalato primavera da un collo e una spalla fingendo attenzione all’esposizione di assolutamente mute macine. I nostri assunti non detti hanno forza di rivelazione. Altrimenti come capiremmo che chi tra noi cerchi consenso e voti in ricche democrazie tradirebbe noi e la nostra lingua? Intanto, se manchiamo di vedere un pesce di cui vediamo i cerchi significa che un altro di noi da qualche parte muore. Hailstones 135 I Il mio volto colpito e ricolpito all’improvviso i chicchi della grandine colpivano e rimbalzavano in strada. Quando schiarì di nuovo qualcosa di sferzante e di sapiente si era allontanato lasciandomi alle mie sole risorse. Ho fatto una piccola palla dura di acqua ardente che mi scorreva dalla mano proprio come sto facendo ora dalla fusione della cosa reale soffrendo la sua assenza. II Sono da considerare, però, questi monellacci di acquazzoni per come non hanno chiesto permesso, bacchettando la finestra dell’aula come un righello sulle nocche e se prima erano forme perfette in un attimo sono fango sporco. Thomas raherne aveva grano orientale a prova e meraviglia ma per noi c’era la frusta della grandine e le mani antipuntura di Eddie Diamond che fruga nell’ortica. III Arnia e capezzolo, mole di un morso piccole ghiande di piacere probabile promesso e disatteso quando l’acquazzone finì ed ogni cosa disse aspetta. Cosa? Quarant’anni per dire soltanto allora d’avere avuto l’unico vero anticipo in quel dilatarsi 136 quando la luce si aprì in silenzio e un’auto con i tergicristalli ancora in moto lasciò impronte perfette sul fango. A daylight art Il giorno in cui doveva avvelenarsi Socrate confessò di avere scritto: volgeva in versi le favole di Esopo. E non perché amasse la saggezza ed invitasse ad indagar la vita. In verità aveva avuto un sogno. Anche Cesare Erode o Costantino e un buon numero di re di Shakespeare esplodono alla fine come chiuse dove giacciono i panorami originari che devono riemergere ogni volta e prima della scena della morte – nei sogni in cui loro credono puoi credere ma con Socrate non è la stessa cosa perché il suo sogno è stato ricorrente: Esercita l’arte, arte che lui considerava la filosofia. Felice l’uomo, dunque, con il dono d’esercitar subito l’arte giusta – fosse la poesia o la pesca; senza sogni; i cui profondi panorami sorgano come luce del giorno che attraversa l’occhio della canna o del pennino. Two quick notes I Mio vecchio duro amico, come hai cercato occasioni di rabbia giustificata! Chi sapeva picchiarmi come te quando volevi un’anima dal suono vero e semplice come un secchio galvanizzato e la prendevi a calci per provarla? 137 O la battevi come un tappeto per pulirla. Così quando ti voltasti contro te stesso diventasti feroce. II Brusco, provato dalle spine, solo. Un incursore dell’antica terra di preghiera notturna e sfida di principio, che si getta contro gli ostacoli tu che pensavi fossero ancora là continuando a sparare all’aria vuota. O retto autolesionista prie-dieu in rovinosa libera caduta: Hail and farewell. The stone grinder Penelope lavorava ad un piano: tutto ciò che disfaceva di notte faceva avanzare il piano di un giorno. mentre io molo le stesse pietre da cinquant’anni e quello che disfo non è mai ciò che ho fatto. Senza compensi, oscurità allo specchio. Terminus I Se frugavo, trovavo una ghianda e un bullone arrugginito. Se alzavo lo sguardo, ciminiere e montagne assopite. Se ascoltavo, c’era un cavallo al trotto od uno scambio di locomotiva C’è da meravigliarsi se ho pensato che m’occorreva pensarci due volte? II Le prudenti scorte dello scoiattolo come doni di nascita lucevano. Le storie del mammone d’iniquità 138 m’infuocavano le monete in tasca come cerchi di stufa. Della marca ero il canale di scolo e l’argine soffrendo il limite di entrambe le rivendicazioni. III Era più facile portare due secchi che uno. Io son cresciuto in mezzo. La mano sinistra metteva il peso sul piatto, la destra ribilanciava. Baronie e parrocchie s’incontravano quando ero sulla pietra al centro del guado ero l’ultimo conte a cavallo della corrente che discuteva ancora, udito dai suoi pari. The disappearing island Sembravamo decisi a stabilirci tra le sue spiagge senza sabbia e le colline azzurre dove una notte disperata pregammo, attorno a un fuoco di sfasciumi, il nostro calderone appeso come un firmamento, l’isola si spezzò sotto di noi come un’onda. La terra che ci sosteneva sembrò restare ferma solo quando l’abbracciammo in extremis. Tutto quello che avvenne poi mi sembrò una visione. A shooting script Pedalano via da ciò che poteva essere verso ciò che non sarà mai, in ripresa continua: insegnanti in bicicletta, che salutano in madrelingua, che vanno nel 1920 come nel futuro Pedalano fino all’uscita dall’obiettivo, non vanno in qualche posto, né vanno via. Missaggio con fucsia che “segue il parlato” lunga sequenza muta. Panoramica, dissolvenza. Poi voci in diversi accenti irlandesi, che discutono prezzi di traduzioni come secolari pietre miliari appaiono nomi come R M Ballantyne. 139 The rain stick Rovescia il bastone della pioggia e subito è musica che non avresti immaginato di ascoltare. Nel fusto di un cactus scroscio rovescio e risacca rifluiscono. Sei lì, come una canna suonata dall'acqua, la agiti piano e un diminuendo corre per le scale come una grondaia che cessa di gocciare. E uno spruzzo di gocce dalle foglie umide, goccia dall'erba e dalle margherite, pioggia-luce, semirespiri d'aria. E di nuovo capovolgi il bastone Ciò che accade non lo sminuisce l'essere accaduto una, dieci, mille volte. Che importa se tutta la musica che traspira è sabbia o semi secchi in un cactus? Sei come un ricco che entra in cielo dall'orecchio di una goccia di pioggia. Ascolta ancora. 140 To a dutch potter in Ireland Poi entrai in una stanza blindata del vocabolario dove parole come unrne venute dal fuoco stavano in alcove asciutte accanto a un forno e ne uscii mutato, come la guardia che aveva veduto la pietra muoversi nella fiamma diamante dell'aria o le porte di corno dietro le porte d'argilla. I suoli noti divennero sudici. La sabbia del fiume era l'unica cosa che si conservava pulita in quel pantano invernale di melma e fango. Finchè trovai l'argilla di Baun. agnata luce diurna o raso viscoso sotto il feltro o la rascia di strati di humus. La vera diatomite scoperta in una piccola buca succhiante, grigio-blu, opaca, inodore, tangibile come la vecchia scatola d'unguento della terra, viscosa e fredda. A quell'età tu nuotavi nel mare o già ne uscivi, luminoso di plancton, ninfa di fosforo del Norder Zee, vestale della dea Silice, sta sotto l'erba, il vetro e la cenere negli infiammati ventricoli di Ceramica. Potevamo conoscerci, in quel freddo, allora, fuori d'acqua sotto terra, barlume di vita, strani gemelli di pozzanghera, sguazzante splash splash, e far le piccole cose proibite, infangarci o volar troppo in alto con l'altalena, il gioco dei "segreti" o "toccarci la lingua", ma non fu così, tra eventi terribili: notte dopo notte hai guardato i bombardieri uccidere nei Paesi Bassi; poi, spinta dal cielo attraverso la guerra in tempo di guerra col fuoco alle spalle ogni benedetta volta arrivavi attraverso smalti di quarzo infuocato e ferro. E se, come dici, gli smalti portano 141 giù il sole, la ruota del tuo vasaio alza la terra Hosannah ex infernis. Pozzi in fiamme. Osanna nella sabbia pulita e nel caolino e, "ora che la segale ondeggia accanto alle rovine", nelle cave di cenere, negli ossidi, nei cocci e clorofille. Mint Sembrava un cespuglio di piccole polverose ortiche selvatiche, arrampicate sul muro del retro, là dove ammucchiano immondizie e vecchie bottiglie: mai verde né quasi degno di nota. Ma tuttavia era come una promessa, una novità nel retrocortile della nostra vita come se qualcosa d'incerto ma tenace crescesse girando tra i vialetti. Il click delle cesoie, la luce delle domeniche mattina, quando la menta era tagliata e amata: le mie ultime cose saranno le prime a sfuggirmi. Ma ciò che ha saputo sopravvivere vada libero. Che gli aromi della menta vadano ebbri ed indifesi come reclusi liberati in quel cortile. Come chi abbiamo sdegnato ed ignorato, quando li deludemmo con la nostra indifferenza. After liberation I Assoluta primavera, come un tempo, chiarosplendente, ma quando il giorno si distende il cielo eterno meraviglia i sopravvissuti. In chiarità di perla che bagna i campi le cose sembrano tornare come erano: lenti cavalli arano il maggese, s'allontanano rombi di guerra qui vicino. Averlo vissuto e ora essere liberi di offrire espressione, corpo e anima, svegliarsi e sapere che è finita davvero, stavolta, la cosa che stava per spezzarti, 142 ne valeva la pena, cinque anni di tortura, la reazione, diventar rassegnati, e non uno dei non nati apprezzerà una libertà simile. II Ritmi di maree, loro regolarità! Che cos'è il cuore, che ebbe paura, pur sapendo del ritorno liberatorio della primavera cuore che splende, cuore costante come la marea? Onnipresente e imperturbabile è la vita da cui nasce la morte. E lamentarsi è male, anche il minimo lamento, ora che la segale ondeggia accanto alle rovine. A sofa in the forties Tutti in fila sul divano, in ginocchio uno dietro l'altro, dal più grande al più piccolo, gomiti in movimento come pistoni di treno e tra lo stipite e la porta della camera da letto velocità e distanza erano inestimabili. Prima lo scambio, poi il fischio, poi qualcuno controllava gli invisibili biglietti con fare grave, perforandoli mentre vagono dopo vagone sotto di noi filava rapido, ciuf ciuf, le gambe del divano vorticavano e le carrozze irraggiungibili ondeggiavano fino al pavimento della cucina. Treno fantasma? Gondola della morte? La similpelle nera e la desolazione ornata, sembrava che il divano avesse raggiunto il galleggiamento. Le rotelle in punta di piedi, il gallone e lo schienale a onda gli davano un'aria di fasti ormai datati: quando gli ospiti lo sopportavano a schiena impalata, quando s'erigeva nella sua lontananza, quando giocattoli insufficienti vi apparivano il mattino di Natale, resisteva immutabile, 143 volto in potenza al cielo, di certo alla terra, tra cose che potevano quadrarti o deluderti. Entrammo nella storia e nell'ignoranza sotto la mensola della radio. Yippie-ia-ie, cantavano i "Riders of the Range". Giornale radio, diceva imperioso lo speaker. Tra lui e noi si fissava un grande golfo dove la pronuncia regnava tirannica. Il filo dell'antenna scendeva dalla cima di un albero ed entrava per un foro all'infisso della finestra. Quando il vento lo scuoteva l'imperio della lingua, i suoi progressi ci fluttuavano dentro come reti nell'acqua o l'astratta curva solitaria di treni lontani mentre entravamo nella storia e nell'ignoranza. Occupavamo i nostri posti con tutta la nostra forza, pronti ad ogni scomodità. La costanza era già ricompensa. In testa, sul grande bracciolo imbottito, qualcuno si sporgeva da un lato, macchinista o fuochista, e si tergeva la fronte asciutta come chi l'ha scampata bella. E noi, ultimo suo pensiero, avvertivamo un'improvvisa galleria dove sprofondare come vagoni spenti attraverso la notte, unico nostro compito star seduti, occhi avanti, essere trasportati e fare il rumore del treno. Two lorries Piove sul carbone nero e sulle calde ceneri bagnate. Segni di gomme in cortile, il vecchio camion di Agnew ha tutte le sponde giù e Agnew il carbonaio con il suo accento di Belfast corteggia mia madre: andiamo al cinema a Magherafelt? Ma sta piovendo e c'è mezzo carico ancora da consegnare. Il filone del nostro carbone stavolta era nero seta, così le ceneri saranno del bianco più serico. Il bus per Magherafelt (via Toomebridge) va. Il camion mezzo vuoto 144 con i secchi vuoti piegati commuove mia madre: fascino di un carbonaio dal grembiule di cuoio! Perfino i film! La presunzione di un carbonaio… Lei rientra e prende il piombo nero o la carta smerigliata, madre del quaranta, che sfaccenda sulla stufa, togliendo la cenere dalla guancia con il dorso della mano, mentre sgasando riparte l'autocarro sprangato, gira verso Magherafelt e l'ultima consegna. Oh Magherafelt! Oh sogno di velluto rosso e di un carbonaio di città mentre il tempo accelera e un altro camion geme su per Broad Street, con carico utile che ridurrà la stazione dei bus in polvere e cenere… Dopo che avvenne ebbi una visione di mia madre, un fantasma sulla panchina dove l'incontravo, a Magherafelt in quella sala d'aspetto col pavimento gelido, le borse della spesa piene di cenere a palate. La morte le arrivò accanto col volto sporco di un carbonaio che ripiega sacchi per cadaveri, facendo la spola, vuoto su vuoto, in un turbine di grani di polvere e sgasate, ma che autocarro era, adesso? Del giovane Agnew? O l'altro, di morte, pronto a scoppiare in un tempo oltre il tempo in Magherafelt… Così, riscontra i sacchi e corteggia il buio, carbonaio. Ascolta lo sputo della pioggia sulle nuove ceneri mentre sollevi un carico di polvere che fu Magherafelt, poi riappari dal tuo camion come l'affascinante carbonaio di mia madre, filmato in ceneri bianco-seta. Weighing in Il peso da 56 libbre. Unità di negazione in ferro solido. Stampata e fusa con un inserto, barretta spessa come un piolo, come una maniglia. Squadrata, dall'aspetto innocuo, finchè non provavi a sollevarla, strappo nell'incavo, forza che diminuisce la vita, scatola nera della gravità, inamovibile impronta, radice quadrata del peso morto. Eppure a bilanciarla 145 con un'altra sulla bascula ben regolata e oliata nel dare e prendere tutto fremeva fluido. * Le buone notizie son tutte qui: il principio di sostenere, resistere e confermare, soltanto per bilanciare l'intollerabile negli altri con il nostro, il dover sopportare tutto ciò che hai accettato contro ciò che sentivi davvero. La sofferenza passiva fa girare il mondo. Pace in terra, uomini di buona volontà, e tutto tiene solo se la bilancia resiste con l'equilibrio dei piatti e la fatica angelica persevera ad un livello non terreno. * Non porger l'altra guancia. Scagliare la pietra non farlo qualche volta, non rompere l'obbedienza appresa con dolore, è un venir meno al dolore, alla regola endogena: "Profeta, chi ti ha colpito!" Quando i soldati schermirono Gesù bendato e lui non rese il colpo non ebbero vergogna né edificazione, anche se qualcosa fu manifesto - il potere del potere non esercitato, della speranza implicita data per sempre a chi non ha potere. Ma per una volta, Cristo, fammi un favore, Profetizza, dà scandalo, scaglia la pietra. * Le due facce di ogni problema, sì sì… Ma si deve arrivare almeno una volta a gettare il proprio peso sulla bilancia senza provare rimorsi e sensi di colpa. Ma una sera al momento di concludere e un colpo secco avrebbe bruciato, 146 replicasti che solo i miei limiti mi mantenevano acuto e avesti una prima sottomissione e quando doveva esser sangue mi trattenni. Fu così che persi (mea culpa) un vantaggio. Cavalleria fraintesa, vecchio mio. E ormai solo il gioco sporco dà vita. The flight path 1 La prima piega prima, poi un comprimersi di altre pieghe più tese, più esatte, fino a quando l'intero foglio era ridotto ad un quadrato piegato che lui stringeva per due angoli, come una promessa che si può infrangere ma che lui non infranse. Nel mio petto s'alzava una colomba quando dalle mani di mio padre nasceva una barca di carta, arca nell'aria, le linee tese come una tenda ai paletti: alta la poppa, il fondo piatto, piccola piramide con ogni piccolo spazio al centro vuoto come una parte di me che affondava sapendo che al primo varo tutto si sarebbe inzuppato. 2 Uguale e opposta, la parte che s'alza fino a quei cieli stellati che vede l'inverno quando sono a Wicklow sotto la traiettoria di volo di un jet serale partito da Dublino, la sua alta luce a prua lampeggia a quanto trascina via: potente il rombo del motore estinguendosi s'allarga scendendo, scia tra le stelle. Il buio sicomoro parla sicomorese, la luce alle mie spalle è quella della lampada del cottage. Al tramonto sono già sulla porta al posto di coloro che stanno in posizione perpetua: quelli restati a casa a guardare e aspettare appoggiati allo stipite, quelli che imparammo ad amare nel commiato, o incontrandoli ancora con abiti diversi, che un po' l'intimidivano. Quelli che non dimenticarono un nome o un volto, né guardato giù subito quando l'aereo raggiungeva la velocità di crociera, per capire che la casa appena superata troppo lontana ora per vederla - era la stessa 147 che lasciarono un'ora prima, ultimo bacio, un altro, mentre il taxista caricava i bagagli. 3 Su e lontano. Il ronzio del duty free. Black Velvet. Bourbon. Lettere d'amore in cielo. La passeggiata spaziale di Manhattan. Il rientro. Poi la California. La rilassata Tiburon. Hamburger da Sam, nel patio, e champagne, e in più un gabbiano strabico, furbo a squadrarti. Altro rientro. Promesse ripromesse. E via… Reculer pour santer, a meno di un anno, più stallo che lungo addio. Così verso Glaumore. Glaumore. Glaumore. Alle strette, in pace, al lavoro, a rischio e al sicuro. Nido appartamento. Quercia, lauro e sicomoro. Tra poco il jet. Da una parte e dall'altra. A ovest, a est, jumbo scuola bus, "The Yard" un po' fattoria un po' campus, volo circolare d'attesa e appiglio più convulso Sweeney smarrito tra familiari verità oraziane: i cieli mutano, non le anime, di chi attraversa il mare. 4 Quanto segue è la cronaca, alla luce di ciò che è accaduto prima e da allora: bella mattina di maggio, 1979, appena arrivato col volo notturno da New York sono sul treno per Belfast. Pura, elementare euforia del ritorno: il mare a Skerries, il biancospino nuziale in fiore, il viaggio a nord che ingrana, dolce catena, su ogni dente del corpo. Entra in scena, poi, come in un noir una guardia di frontiera l'avevo già incontrato in sogno ma ora ancor più truce che nel sogno stesso, fermandomi in una stradina di montagna mi ha spiegato che potevo guidare un furgone fino alla seguente dogana, a Pettigo, spegnere il motore, allontanarmi come per portare bolle di carico in ufficio, e invece andare avanti dieci metri verso la strada principale, salire 148 e qui il nome di un altro compagno di scuola, occhiolino e sorriso e sarei arrivato con la sua Ford fino a casa, in tre ore, sano e salvo… Poi entra e si siede di fronte a me, m'attacca: "Quando cazzo scrivi qualcosa per noi?" "Se scriverò qualcosa, lo farò solo per me" E questo è tutto. O qualcosa di simile. I muri della prigione in quei mesi erano sporchi di merda finite le sporche proteste di Long Kesh ci furono gli occhi iniettati di sangue di Ciaran Nugent come qualcosa sbucato dal cisposo inferno dantesco, che trapanava la strada con rime e immagini dove anch'io seguivo il pio Virgilio, sicuro, traducendo liberamente: Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese 'l teschio misero co' denti, che furo a l'osso, come d'un can, forti. 5 Quando risposi "Vengo da lontano" Il poliziotto al posto di blocco fu brusco "Dove lontano?" M'aveva sentito a metà e pensato che fosse il nome di qualche posto. Ora lo è - sia dove ho vissuto sia da dove partii, distanza ancora irraggiungibile come la luce stellare lontana anni luce che impiega anni luce ad arrivare. 6 Dunque sereno, ricordo esaltato dell'ascesa a zig zag sui tiepidi scalini, fino all'eremo di Rocamadour. Alto stormo di corvi veleggianti, una lucertola pulsante sulla ghiaia, le zampe anteriori come montanti anteriori di un'auto lunare. E tenera e piena come il respiro vitale in un respiro d'aria una farfalla verde-cedro incrocia l'assolata via crucis dei pellegrini. Undici del mattino, scrissi un appunto: "Ciao a tutti, dall'amante solitario della roccia, sentinella del cielo!" E da qualche parte la colomba seguitò a salire. 149 The gravel walks Ghiaia di fiume. Così in principio. Piena estate, la moto del pescatore tra i fiori al bordo della strada, cavaliere caduto, e al suo spettro chiedemmo: “Preso qualcosa?” Un'invocazione Non avercela con me, dalle Shetland, Mac Diarmid, il tuo sguardo fatto di pietra fissando la pietra, sobrio e irritabile. Non il vecchio vigilante che ce l'ha con noi dall'angolo del camino, parte lui, il re dei bevitori; no, comprendi, come il saggio dei venti che si burla della roccia, come il gabbiano sulla brezza marina, custode dei cancelli aperti dietro la fronte degli uccelli non voglio sentirmi rimangiare le mie note acute sul tuo stile spesso alla Mac Gonagall, no, ma aggiungo, nel mezzo del cammino: ho sottovalutato il tuo eccessivo genio trombone. Soprattutto gli anni in cui vivevi in riva al mare. Più capro intellettuale che capro espiatorio, oltre i limiti pietrosi, pazzo della scrittura. L'orgoglio di cimento e solitudine. La tua grande fronte pallida al vetro della finestra come la curva della terra all'orizzonte nord. Eri in panne, avanti e indietro dalla spiaggia, sceglievi di slancio tra orizzonte e dizionario, intransigente sulla faccia rocciosa delle vecchie domande e risposte, a cui aggiungo la mia: - Chi è il mio vicino? Tutta l'umanità E se non vorrai esser conciliante, rimani ad una distanza di comprensione. Sii il piccolo bastian contrario che sempre sei stato, l'occhio alla poesia con qualsiasi tempo, forza che muta, fattore incluso nel calcolo, che prevalga o meno, costantemente 150 la funzione del proprio tempo e luogo e talvolta anche del nostro. Mai, comunque, oltre noi, anche se straniera. Nell'accento, nell'idioma, nell'idea, come un cardo al vento, catechismo che occorre ripetere. Remembered columns Le solide lettere del mondo divennero aeree. Le grazie di marmo, i montanti squadrati di netto costruiti su rocce e messi sulle cime, sorsero come colonne ricordate in una storia sulla casa della Vergine, che salì, fluttuò per atterrare sulla collina di Loreto. Alzo gli occhi in un credo delirante, scoprendo ciò che di vero resta tradotto. Poet's chair Leonardo disse: il sole non ha mai visto un'ombra. Ora osserva la scultrice muoverai attorno alla prossima opera, come un'amante degli angoli in moto e del fisso amore. 1 Ombre angolo di se stessa, la tua “Sedia del Poeta” s'innalza e resta contro loro nel suo cortile del centro inseguito dal sole. Sempre sul qui vive, le sue quattro zampe che atterrano sui piedi – piede di gatto, di capra e anche grande, morbido, valgo; lo schienale dritto germoglia in fronde bronzee. Ogni persona frivola in città, vecchi e ubriaconi, chi piscia di notte o si bacia, almeno una volta ci si sono seduti. E' come l'aria, alata e piena, vola dietro a loro o come un innesto tocca le loro scapole a farli felici. Mutata natura tornano foglia e fiore e passo d'angelo. O qualcosa di simile. Foglie su una sedia di sangue. Puoi crederci? 2 Poi la sedia è in una prigione bianca seduto e calvo come un uovo c'è Socrate, 151 sta discorrendo al sole con gli amici. Gli resta poco tempo. Il giorno del processo una verde nave salpò dal tempio di Apollo a Delo, per il rito di commemorazione annuale. Finchè il sartiame frondoso non rientrerà al porto di Atene la vita della città sarà sacra. Nessuna esecuzione, né coppa di cicuta o lacrime mentre il veleno fa il suo dovere e l'esperto aguzzino parla accompagnandoli lungo le fasi del torpore. Socrate al centro della città e del giorno ha dimostrato che l'anima è immortale. Le foglie di bronzo odono incredule l'alto silenzio. Presto Critone gli chiuderà occhi e bocca, ma al momento ogni cosa è un dolore differito previsto immaginato verissimo. 3 Mio padre ara ogni lato del prato dove siedo nel mezzo, onniveggente, la schiena al biancospino mai tagliato. I cavalli son zoccoli e fianchi di bronzo, io sono tutto preveggenza. Della poesia, come un vomere che muove il tempo e lo rivolta. Dalla sedia con foglie che la spina fatata iscrive ora al futuro. D'esser qui, per sempre, in ogni senso. TWO STICK DRAWINGS 1 Claire O'Really usava il bastone di sua nonna - con il collo curvo - per arrivare ai rovi più alti dove crescevano le more più mature. Quando era ora di raccoglierle, Persefone non era niente in confronto a Claire. Scavalcava cancelli, passava sui binari fuliggine soffiava sul convolvolo come un re impotente dal suo carro di ferro. 2 Con i bastoni da mandriano e di susino e di frassino, il ripiano posteriore dell'auto di mio padre sembrava una vetrina di bastoni, ma l'unico che curiosava era Jim mascella cadente, perché era un semplice e pioggia o luce non fermavano il suo disperato avanti e indietro dal parabrezza al lunotto, 152 le mani sul volto, scrutando e gemendo. Così ogni tanto i bastoni venivano tirati fuori per lui, e appoggiati al parafango uno dopo l'altro. Jim li misurava ad uno ad uno, li puntava, brandiva affettava, attaccava, parava con aria inoffensiva; finchè in uno non trovava l'esatta estensione di se stesso. Gioiva, allora, e correva cantando vittoria, si piegava in avanti con il bastone tenuto parallelo al suolo, come se fosse tirato, come un cavallo alla stanga dell'inesorabile. A call - Aspetta - mi disse - che corro a chiamarlo. Il tempo è così bello, che ne ha approfittato per togliere un po' di erbacce Così lo vidi in ginocchio vicino alla fila dei porri, toccare, ispezionare, separare uno dall'altro ogni gambo strappando con gentilezza ogni stelo non rastremato, fragile e senza foglie, compiaciuto di romper le radici ma nello stesso tempo dispiaciuto… Poi ascoltavo il grave ticchettio degli orologi nell'atrio col telefono in attesa nella quiete di specchi e pendoli colpiti dal sole… E cominciai a pensare: se fosse il momento, così la Morte ci convocherebbe… Poi parlò, quasi gli dissi di averlo amato. The walk 153 A dog was crying tonight in wicklow also Quando gli uomini si resero conto della morte mandarono il cane con un messaggio per Chukwn: volevano tornare alla casa della vita. Non volevano finire persi per sempre come legno arso sparso in fumo, o cenere soffiata via nel nulla. Vedevano invece le loro anime al tramonto gracchiare appollaiate allo stesso trespolo, la stessa aria frizzante, e stiracchiarsi d'ali di ogni mattina. Morte simile ad una notte nel bosco, per tornare alla casa della vita all'alba. (Il cane avrebbe dovuto dire tutto ciò a Chukwn) Ma non si curò molto di morte ed umani quando trotterellò via, abbaiando dalla riva di un fiume. Così da Chukwn arrivò prima il rospo, che aveva ascoltato per caso ciò che il cane aveva da dire. "Gli uomini" riferì (e fu subito creduto) "vogliono che la morte duri per sempre" Allora Chukwn vide le anime umane in uccelli volare a lui come macchie nere fuori dal tramonto, andare dove non c'erano alberi o trespoli, senza via di ritorno alla casa del giorno. E la sua mente tramontò di colpo, nulla di ciò che disse poi il cane potè mutare la visione. Grandi capi e grandi amori nella luce calata, il rospo nel fango, il cane latra al buio dietro la casa dei morti. 154 Gerald Manley Hopkins 155 The windhover Fu stamane che vidi il falco screziare l’alba; ruotare saldo in aria liscia; in alto, torcere la briglia d’un’ala crespa. In un’estasi sua. E via nell’impeto, stridere lieve di pattino in curva: slancio e planata senza giogo di vento. Il mio cuore tremò per lui – gesto e maestria. Bellezza bruta e valore e atto, oh, aria fierezza e piume fuse! E il fuoco che tu puoi sprigionare pericoloso incantevole cavaliere! Non stupire: l’aratro un solo istante lùccica, e blu brulle braci, mio caro, cadono, per squarciare il rosso d’oro 156 James Joice 157 Sweethheart, hear you Ascolta dolce cuore le parole del tuo amante; un uomo avrà pena quando gli amici l’abbandonano Ma allora lui saprà che son loro i bugiardi e diverrà di cenere ogni loro parola. Ma con passo leggero verrà avvicinato da una che leggera lo condurrà per le vie dell’amore. Ora la sua mano resta sotto il suo rotondo, morbido seno; così colui che ha pianto si queterà. He who hath glory lost nor hath Colui che avrà perduto la gloria e non avrà trovato un’anima accanto, sdegnoso e irato tra i suoi stessi nemici onorando una nobiltà antica, quell’altero asocialeavrà per amico soltanto il suo amore. 158 Lightly come or lightly go Vai o vieni leggera anche se il tuo cuore preveda ogni pena per ogni valle e ogni sole deserto Oreade lasci libero il tuo riso finchè ondula i tuoi capelli sciolti l’aria irriverente dei monti. Ah, leggera, sempre così leggera: quando le nubi colmano le valli all’ora del crepuscolo son le guardie più umili: amore e riso svelati dal canto quando il cuore più pesa. Though I thy Mithridates were Anche fossi il tuo Mitridate uso a sfidare il dardo avvelenato, dovresti pur sempre abbracciare me ignaro per conscere l’estasi del tuo cuore ed io non avrei abbastanza forza per oppormi ad ogni tua tenera malizia. Cara, l’antica frase elegante rende le mie labbra troppo prudenti; non conosco un amore che i flautati poeti celebrassero con frasi adornate, né conosco un amore dove non sia qualche piccola ipocrisia. 159 Jack Kerouac 160 123 chorus L’essenza è realizzabile a parole Che si sfaldano appena s’avvicinano. Che fare Bodhisattva? Vivi quieto, vivi per amare Chiunque. Sii devoto steso a terra Sotto gli alberi a mezzanotte. Non sperare di dissolvere In una stanza la tristezza Accumulata dai tempi di Mosè. La vita è come la morte Ma l’anima continua Nella solita luce che t’accieca. Mangiare è come non mangiare Ma c’è lo stomaco Si continua a pensare. Interrompi il pensiero, il respiro. Come fai a viaggiare da Muzzy a Muzzy? Perdona a ognuno i tuoi peccati E bada di dir loro Che ciò che fai è amarli. da Prelude Duro compito analizzare un’anima: perché non solo desideri e abitudini, ma anche il più ovvio e singolo pensiero, e non in senso mistico e generico ma di sagge parole ragionevoli è privo di un inizio. (321-330) Mi piaceva camminare da solo, tra bufere e tempeste, o notti di stelle sotto un cielo acquietato, e a quel tempo ho compreso che ogni suono ha il potere d’infondere uno stato d’animo alto, non violato da immagine o da forma; e sotto una roccia ascoltavo suoni spettrali, lingua antica della terra che ha vaga, alta dimora anche nel vento. E assorbii il potere visionario. 161 Robert Lowell 162 Insonnia A casa per la notte nel decimo anno del mio letto di fogli dove chiedevo voce ai muri di fronte. E ritrovare al risveglio il mio sorriso conscio che m’incriminava ascoltando la solita sirena, ansimante ed esile, come di un vaporetto di pattuglia sull’Hudson, lamento costante senza cima né fondo attraverso le ore dell’insonnia. Ascolto questa blanda monotonia, voce che resta ma non trova trascendenza troppo a lungo corteggiata, e con arroganza. Tutti scrittori i miei amici. Non merito di dormire, dopo aver colto le occasioni, premuroso in questa duratura tenerezza di rivali prodighi come fratelli? Natale Il tedio e le abitudini di casa Me la rendono cara. Verrà la malinconia Ad acclimatare i regali di Natale: un orso di legno, lo sciampo all’uovo, un proiettore, un grande libro rosso tramonto con la dedica di Lizzie: “Perché non perderti scrivendo un dramma sulla caduta del Giappone?” Lievi spiriti d’uccelli, miseri fardelli, è facile apparire socievole e gentile… Siamo a casa al caldo, come appena scampati a fauci prontema sotto di noi nuota, come un sottomarino nucleare e materno, il vero squalo, l’ombra della fuga Foche Potendo rinascere sceglieremmo le foche, per trattarci meglio: capaci di trastulli, capaci di lanciarsi come siluri, sicure nei nostri tre elementi, scoglio acqua cielo – Ah, poter frenare la mano… Pagaiamo per il porto tra le chiazze di petrolio, più blu dell’acqua, da crederle cielo. È così che la creatura potrebbe incontrare il creatore, pescatori di pesci, mica d’uomini. Un qualche agosto la quieta foca potrebbe dire: -La scorsa notte non ho potuto dormire: improvvisamente potevo scrivere il mio nome…- 163 Necrologio Non tornerà sulla ruota della fortuna il nostro amoreAlla fine ci prende, sebbene l’uomo conosca ciò che desidera: vecchie auto, vecchio denaro, vecchio argento, ma non il rame argentato…vecchie mogli; potrei restare tanto di quel tempo con la mia… Alla fine, ogni ipocondriaco diventa profeta di se stesso. Prima del riposo definitivo, c’è il riposo Della trascendenza in un modo di essere, che soffoca Qualsiasi divenire. Ma per me preferisco essere altro, nell’eterno ritorno dei figli più belli della terra, il giglio, la rosa, il sole che tramonta sul mattone, l’amato e l’amante, e la loro paura della vita, il loro flusso indomabile, l’insensata unità, il patetico “Fu così…” Dopo averti amato tanto, come dimenticarti Per sempre e senza scelta? Tornando a casa Che è stato…dal 1930; i ragazzi della banda son diventati soci maggioritari. S'allungano calvi come uccellini appena nati verso la pensione. All'altare della resa t'incontrai all'ora credula. Com'era evidente la tua sfortuna a vent'anni. Al casinò di marzapane com'erano innocenti quelle notti in cui lo facevamo coi nostri martini Vesuvio senza vermouth ma vodka per addolcire il gin secco la sferzata al volto quella notte che pregammo… ben presto ogni notte, quando la tua dolce, amorosa ripetizione cambiò. La fertilità non è dei precoci, né la bellezza dei precipitosi le cose andate male vestono l'estate 164 con foglie d'oro. A volte sorprendo la mia mente aggirarsi con occhio vitreo in cerca di te, il mio amore perduto a caccia del tuo volto perduto. Estate all'estate, i pioppi riarsi nel bagliore è una città per i giovani, che si frangono contro la risacca. Nessun cane mi riconosce a fiuto. Last walk? Insperato giorno d'aprile in Irlanda, viziato da un sole annunciato il giorno prima dai cavaturaccioli dell'eterna neve che vortica, si scioglie, muore e infanga pascoli dipinti verde e lo stesso verde… Potevamo anche illuderci di star assaporando la gran svolta della nostra vita mano nella mano con sorrisi dolci sottovalutando garbatamente il nostro rovinoso precipizio. Arrivammo a piedi fino a un lago artificiale arginato per riflettere il Castello una composizione naturale per uno sbiadito acquerello in calmi giorni radiosi o più radiose notti. All'inizio il lago ci sembrò un'ansa del fiume selvaggio torrenziale Liffey accelerato per uccidere, più largo qui che venti miglia più a valle verso Dublino nero, le ginocchia di pietra, che si schianta sulle rocce in un eccesso di coraggio che sposa l'oceano. Tu: "Quei cigni… se uno perde il compagno l'altro muore. Questa primavera un esule persiano ne uccise uno per crudeltà, ed il compagno smise di mangiarequando morì ci fu un'esplosione di xenofobia" Sempre più frequenti qui le esplosioni; 165 e tutte queste storie sul cigno reale diventano sciocche ed esagerate, un lussuoso giocattolo che non si può permettere neanche il bimbo fortunato. Ci sedemmo a guardare una mamma cigno seduta sul suo trono, come la testa colossale di un faraone, le sue uova il doppio di quelle dell'oca. Il cigno maschio era scappato dal loro sicuro, stagnante, matriarcale laghetto giù, galantemente verso Dublino tra rapide ricche di birra scura, sorridendo ubriaco, sobbalzando, come per dimostrare che un re aveva il diritto di essere troppo felice. Desideravo soltanto scrivere di questa nostra ultima passeggiata non c'era nulla da fare, se non guardare fisso sette anni, ora nulla se non un sorriso distratto amoreggiare lungo il fiume, un cigno che sfreccia… L'ingannevole promessa di gioia, di durare quanto i nostri stessi corpi, nostalgia polverizzata dal pensiero, nomade come la neve che vorticava ieri, la bianca lucentezza inzaccherata. Departure Aspettando che spiova ma cosa stai aspettando? Il temporale può fermarsi, prender fiato, e riprendere… sempre in sospeso per colpire il fuggitivo in volo. I tuoi vestiti, come tarmati dalle bruciacchiature delle sigarette incurvano l'asta dell'armadio. I tuoi libri son file di vuoti abiti; "Chi ci vive?" chiediamo acidi, e li tiriamo giù battendo via la polvere. Sono tanti i disturbi secondari, curar il corpo è una distrazione; 166 ma cosa importa, se uno è se stesso non c'è perfezione con cui scambiarsi. Adesso non si è più come da giovani… Orazio a cinquant'anni aveva una fanciulla ligure prigioniera nel sonno della notte, inseguì il suo volo sull'erba del Campo Marzio, la vide persa nel Tevere senza poterla salvare. Riesci a sentire la mia prima voce, divertita nel dolore drammatica nel divertimento… Catastrofi di descrizioni sapendo quando fermarsi e quando continuare. Non si può ripetere; soltanto esagerando potrei essere sincero. Non mi furono d'aiuto né un giovane né una donna. Preso nel temporale che cresce la scelta è in sé sbagliata, il detto e il non detto non parlano scroscio di pioggia informe sul terreno… Perché Amore, perché ci sono lacrime sparse sulle mie guancie?" Our afterlife I Verso sud coppia di passo due cardinali del Tennesseee fuori, nel verde dicembre sfrecciano si toccano s'accoppiano giovani quanto vogliono. Noi no. Da quando ho avuto il mio secondo figlio e vivo in Inghilterra sono più vecchio di una generazione. Siamo pericolosamente felici i nostri volti dissanguati dai libri van via come uccelli rossi, sfrecciano instabili, orecchie dritte a cogliere il primo sussulto di sordità. Quest'anno ha ucciso Pound, Wilson, Auden… 167 la promessa ha perso il suo fiore, l'erede rosseggia come una rosa finta s'appisola e s'appisola e s'appisola. Peter, quando eravamo ancora giovani, dai 30 ai 40, quando Cupido era ancora il Cristo della religione amorosa, il tempo si reggeva sulle sue stesse mani. Un gioco di prestigio. C'imbeviamo del calore centrale per tener fuori l'onda fredda. Il telefono sordo che mi squilla nell'orecchio non c'è. Dopo i cinquanta gli orologi non fanno più fermate, ogni salvifico respiro ti toglie qualcosa. Ecco la ricchezza: l'eminenza che non devi invidiare, il conto che accumula strato e angolo volto e profilo, 50 anni d'istantanee scala di somiglianze che maturano. Siamo cose lanciate in aria vive in volo… la nostra ruggine color camaleonte. In the ward Dieci anni più vecchio in un'ora. Sì vedo la tua faccia che sorride, la bocca calpestata senza un livido. La corsia ti spaventa con i compagni scelti per età; tu sei il più giovane e giochi a flirtare con l'infermiera ma il tuo primo pensiero è di tramare la sorpresa elaborata dalla tua fuga. Essere vecchi in tempi buoni è peggio che essere giovani in tempi peggiori. Cinque giorni 168 su questa griglia, questo materasso sopra niente la saggezza di questa malattia è piamente fisica, e sventra la memoria per trovarti un futuro vecchie bellezze, vecchi maestri che sperano di perdere la testa prima degli amici. I tuoi giorni scuri, le tue notti immaginarie dice la bimba, grande casa è il cielo piena d'acqua e di fiori ci si va con il camion. I tuoi piedi fissi sopra la testa con un filo. Potessi sentire la lampadina sfolgorante cantare i tuoi vecchi classici moderni ma loro sono per un perso pubblico. L'anno scorso allegramente inquieto, hai portato due o tre amici nella stanza dello champagne nel tuo appartamento senz'acqua calda, per esplorare la precisione e la demonica assenza di leggi di Arnold Schonberg, nato quando la musica ancora era una scienza imperfetta la Musica, dai confini che indietreggiano sempre ingannevole, forse, per i sistemi, per la fecondità, come per il silenzio. Die Sprache ist unverstanden doch nicht unverstandlich? Se continui a darci un taglio non ti rimarrà più nulla da perdere. Nulla di ciò che vedi in quest'istante ha un significato; la tua volontà fissa la lampadina, sua accecante impassibilità 169 che ferma l'inquietudine, l'arte del possibile che l'arte aborrisce. È un'illusione che l'arte o la tecnica possa strizzarci la verità come acqua. Quanto è inerme la carta se vocazione è soltanto gridare qualsiasi cosa. Da qualche parte il tuo spirito visse la vita più alta; ogni luogo a confronto si riduce a niente. Endings Da tre aggettivi ad un oggetto il salto è impossibile Gambe porpora e bianche come grappoli porpora sul marmo. Il cambiamento fu sorprendente anche se ridicolo nei 24 anni della mia prima visita a te, ero piccolo a Washington il mio piede toccò il primo piolo della scala la riga di matita più affilata, lontana dalla mia Scuola Potomac, il mio ABC con miss Locke e miss Gay. Le nostre braccia si cercarono, troppo colme di bicchieri… Scherzasti sui tuoi momenti neri, le tue distrazioni, comiche e monumentali anche per Washington. Ti svegliavi chiedendoti perché eri finita in un'altra stanza, ti svegliavi quando ti sembrava di affogare. Gli effetti sono senza causa 170 The day È sorprendente il giorno è ancora qui come un lampo su un campo aperto, terraferma e fugace che nuota in variazioni, fresco come il primo uomo quando eruppe ovunque sulla terra, come il croco. Da un treno vedemmo vacche in file sulla collina a differenti altezze, ogni sesso una mandria, repliche in gerarchia il sole le aveva trasformate nello splendore pomeridiano. Erano scarabocchi di un bambino in un libro letto prima che imparassi a leggere. Volan come finestrini di un treno: sprazzi di luce del Grande Giorno, il dies illa, quando vivevano nel momento insieme per sempre innamorati della nostra natura come se alla fine, nel matrimonio col nulla, potessimo mai sfuggire dall'esser del tutto al sicuro. We took our paradise Prendemmo il nostro paradiso qui dove, altrimenti, amore? Queste tre settimane il tempo ha accumulato vapore come lo specchio di un bagno: colline vacche collinette di talpe, entroterra senza oceano… il raccolto che fischiano dall'erba. La quercia fulminata ha perso 171 un ramo di una tonnellata ma scuote ancora foglie verdi, prende luce come se fosse viva. Ciascuno può sopportarlo; la natura non ha tragedia dal seme alla pula? La follia verrà pure da qualcosa il presente, sì, ci siamo dentro; è l'infezione delle cose passate… la carta crepitante dell'Atlantico che non sento da tre anni. Perché un uomo ama una donna più delle donne? Lives L'estate è come la Speranza di incidere nel bronzo versi liberi in questa stanza, l'aria è bloccata dalle sue pareti; non posso raggiungere i vecchi amici come se ci fossero porte. Alla fine, quando sto per esserci ho paura di cedere e ritornare un bambino evangelico, agendo con più pretese di quante abbia saputo far fiorire insomma il Grande Ciclo è lo strimpellio greve di questo anno ultimo. Come potevi amare, e tu così giovane? La mia generazione cagionevole vite loro che non finivan mai di finire, con passo orsino, un piede sanguinante, senza una gruccia bocche di leone, quasi amabili e galanti… 172 la loro settimana era così breve che potevano vederla muoversi. Realities Aggiungerà domani al presente questa stagione viva? Da giovani riconoscevamo i rumori della notte estiva, gli uccelli in amore spider e sesso della generazione che incombe. E poi si costa così poco e così tanti si sottoposero al dolore, ed alla gioia, per portarci qui solidi loro ora perché noi siamo solidi, noi che siamo il loro unico fine. I loro volti, non a lungo volti, adornano l'età dell'oro in foto pensando - come noi - al loro autunno come all'autunno del mondo. Le case s'ingrandivano con loro, crescendo come la grande conchiglia gugliata e dalle labbra rosa lasciata nei giardini a calcificare, dove i loro figli si moltiplicavano… Non posso mettermi a confronto con loro, i miei figli più scettici di me, fraintendendo coloro che fraintesero trattenendo il potere con un'unghia. Se potessi ritornarci di nuovo, sottili pioli di ferro del crescere, sarei giovane come tutti, bimbo perduto nell'irreale e la musica alta. Sheridan Un altro giorno di calore immobile, vecchia estate americana e bandiere solo le molli, pigolanti pavoncelle e la garrula colonia di taccole sono inglesi, tutto il resto è americano. 173 Fioriscono i castagni in mezzo al pascolo, ed anche durante il raccolto giurano, "Sempre abbiamo avuto foglie, sempre le avremo". Sheridan, ti stagli e splendi nel calore, smarrendo le cose come le persone; tutte le tue armi di plastica, brando, elmetto nazista, cappa, non si trovano ma chi nasconderebbe armi che fanno tutto come le vere, tranne il male? "Tu sei Perditutto" dici "Hai perso le nostre pistole" Lo dici nel dialetto del Kent: weir, non our. Come diventa labile la memoria, eppure, come te, stranamente nudi. Oggi solo l'eterno mezzogiorno separa te da noi, volti accesi dal tramonto e dal fegato. Appesa s'inargenta al sole la falce di luna, un taglio affilato, un confine, tra il mondo del bimbo e la terra. La precoce scoperta nostra che soltanto i bambini crescono. The withdrawal I Solo oggi e solo per questo minuto, quando il sole trova la sua giusta luce obliqua, puoi vedere foglie gialle e rosate costellare il nostro gentile albero lanuginoso d'improvviso è momentanea la verde estate… l'autunno è la mia stagione preferita forse perché cambia abiti, si ritira… Abbiamo messo in vendita la casa all'improvviso mi sveglio tra estranei; mentre entro in una stanza, questa si muove con imbarazzo e va in un'altra. Non ho bisogno di parlare, ma ridere tu e una stanza e un fuoco, fredda luce di stelle che attraversa la finestra aperta dove? 174 II Dopo il tramonto il cielo è melodrammatico, un corrucciato, provvisorio verde in fiamme. La quercia rattoppata e i pini più neri e indelebili hanno la magrezza indigesta delle spine. Perché il cielo non è meno solenne? Una tavola sensuale con cinque bottiglie di rosso mezze piene attorno all'arrosto al sangue ben affettato boheme per noi e gli amici di una vita incanto di comunione resurrezionale correndo insieme sotto la pioggia per spedire un'unica lettera, non il prurito appiccicoso di questa pula avvilita. … III Se mi volto, vedo svanire le mie case in lontananza, collasso di fisarmonica, ed io che indietreggio ad un ragazzo di venticinque-trent'anni, troppo sciupato per averne meno, troppo impressionabile per averne di più chioma nera, decadente in una camicia blu slavata e pantaloni neri come il carbone che si muove di casa in casa, cercando ancora un giovane permesso di vedere la campagna senza arrivo. L'inferno? Cara, il terrore durante la felicità può non curare il futuro affannato, o il tempo, quando diventa cronico ogni male e gli anni della discrezione si spendono nel lamento finchè l'orologio da polso ci è tolto dal polso. 175 Wellesley I Il nuovo aspiratore si gonfia di foglie sparse in cortile con un rumore sordo che mi ronza in testa come il barbiere quando i miei capelli erano abbastanza corti per le forbici. La macchina migliore può rompersi a 56 anni. Mi bilancio sul mio squilibrio, e conto i gradini bianchi e neri fino alla mia camera singola. Lo spazio è mero progressivo vuoto da quando sei volata in Europa. Il treno della nostra scuola maschile superava Wellesley senza rallentare. Non eravamo liberi. Le ragazze vagano gaie nella notte; i ragazzi sono temporanei, girano le loro auto e se ne vanno schiarendo le campane di mezzanotte e lasciano il collegio femminile più leggero senza uomini. II Coleridge, l'autore di Dejection, pensava che il genio è la scoperta di soggetti lontani dalla mia vita. Non posso leggere Tutto ciò che ho scritto è bruno verdastro, come se le parole rifiutassero il suono. Una notte da spremerlo tutto Non posso dormire solo, odio l'età con terrore, e sarà così… mangerò il coraggio del mio egoismo non riscattato dal potenziale interrogativo dello studente… 19° fuori e quasi dicembre 176 For Sheridan Si vive solo fra il prima che siamo e come eravamo. Nel negativo perduto esisti, un sorriso, una cifra, un volto antiquato in un cappello antiquato. Tre età in un lampo: lo stesso bambino nella stessa fotografia Lui Io Tu stipati in un solo lampo come l'argenteria nuziale di mamma guano, pesce, angelica forza bruta. Potevamo vedere chiaramente e tutti le stesse cose prima che il vetro venisse urtato. Passati i cinquanta, impariamo con sorpresa ed un senso d'assoluzione suicida che ciò che intendevamo e in cui fallimmo non sarebbe mai potuto succedere e deve essere fatto meglio Bright day in Boston Gioia di non andare dal dentista, radiografia, acropoli in sfacelo… E la gioia di vagare per Boston, con la testa rivolta al giovane Adams alla sua fascia di seta bianca al braccio portata un giorno intero per gli schiavi e inosservata. Un'epoca fa l'istante in cui si poteva vivere ovunque senza pericoli se non per il rispetto. Impregnabile e fuori posto sul lato soleggiato del vecchio mercato, ora casa dello studente, 177 camicie che civettano ai vetri viola della grande magione fortificata di Augustus Lowell, despota in opificio e amante delle rose. Nessuno s'è preoccupato di limare le nere sbarre di ferro alle finestre ed il loro sarcasmo d'arte morta. Senza ragione, gli snelli lampioni d'identico ferro delicato deboli come candele brillano anche di giorno. In una città assassina, città americana. Questa casa, quella ho abitato in tutte, dritto mattone privo di figura. Ho fluidi che comandano al cuore d'avvicinarsi sempre ai perdenti; ma è un delitto aver pietà dei ricchi anche quando sono come scomparsi come Ettore, domatore di puledri destinati a tornare ad esser sempre con noi come i poveri. To Frank Parker Quarant'anni fa eravamo dove siamo ora, questo stesso vento erotico di maggio che piega gli alberi da là a qui lo stesso sapore di metallo nella bocca, il legno pregno dello sporco di Cambridge. A volte sei così più giovane del tuo volto, so che sto vedendo il tuo vecchio volto l'imbarazzata beffa, alla Henry James, della tua balbuzie la tua paura quotidiana di soffocare e morire e a scuola il clamore della voce, non le parole, distingueva il leader. Ci guardavamo in faccia 178 per quello che eravamo. Una volta nel solito caldo record di giugno in Massachussetts, sedemmo ai bordi della piscina scolastica e parlammo sotto la luce notturna dell'anima, ascoltando l'annuale insofferente voce delle rane sveglie senza uno scopo: "Voglio scrivere" "Voglio dipingere" Ero io a volere che tu dipingessi?... L'età è un'altra specie, voce del niente. I più vecchi facevano sembrare il nonno volgarmente giovane, quando andavamo a portar loro da mangiare. Avremo il loro sguardo pensieroso, come incerti su chi abbia vissuto la nostra vita. Il passato cambia più del presente. Dove è erba c'è polline asma di piena estate la tendenza a bere senza mangiare… E perché sopravvivere, se due calici di vino avvelenano? Turtle Prego per la memoria vecchia tartaruga distratta e impacciata, tenuta a galla perdendo contatto… incapace ormai di sibilare, o alzare contro l'uccisore uno scudo inutile. Le tartarughe invecchiano, ma avanzano amorosamente fossili semi congelati, ma cavalieri erranti in un'illusione di corazza. Le più piccole s'arrampicano sulle rocce. Quelle che azzannano stanno sommerse. Sopravvissute… non per la filantropia dell'uomo. Le cacciavo durante le vacanze scolastiche. Calpestavo il campo di paglia galleggiante che si staccava dai nidi molli dei topi muschiati. 179 Qua e là una tartaruga solitaria allungava il suo scuro cappuccio francescano da uno dei venti buchi nell'acqua. In quel miscuglio, misi il piede sul dorso liscio e invisibile di una tartaruga. Fu come scappare dalle sabbie mobili. La tirai su per ciò che mi sembrava la coda coda? Era una zampa… Avrei potuto perdere un dito. Questa mattina che la doppia lucentezza del sole invernale mi sveglia dalla pellicola del giorno, la mia camera non mi è più familiare. Vedo tre tartarughe azzannatrici acquattate sui miei vestiti in disordine due rozzi ceppi neri… la terza mi strofina il muso addosso, ha il guscio giallo trasparente, un cucciolo che guaisce e pizzica la mia camicia vuota in cerca di latte. Sono ansimanti e stantie; ciò che in me è morto risveglia il loro appetito. Quando respirano sembrano spaccarsi in due, accucciate immobili sulle punte dei piedi con sghembi sorrisi e sulla lingua nomignoli liceali, come per rivivere la crudezza che ci fece incontrare da animali. Soltanto il tempo è passato tra noi. - Ti sei chiesto dove eravamo in tutti questi anni? Eccoci Restano ferme come un bagaglio tartaruga, vecchia amica mia… Troppi film hanno urlato di nuovo alla seconda visione, l'azzannatrice non molla fino al tramonto nella terribile istantaneità dello sguardo retrospettivo, il suo becco mi preme il collo sott'acqua annegandomi, mentre con gli artigli mi spolpa riducendomi a pezzi da inghiottire. Seventh year Sette anni fa il sogno di un istante svanito, restituir ordine al luogo 180 mai più - lo vedo chiaramente, ma con gli occhi di vetro di una bambola cieca. In questo inizio di gennaio laghi bruni poco profondi sulla strada prendono presto il primo negativo di primavera degli uccelli. Le mucche brunite, massicce come buoi ora ci si avvicinano e scalpitano su rampicanti e vetri muggendo l'una all'altra con ansiosa voce umana di ragazzo che richiama le vacche. Alla fine siamo meno ridotti male noi che la casa di Longfellow in Brattle street, dove soltanto il suo busto barbuto di Zeus, il suo io dei tempi della scuola, è giovane, dove il lungo volto di sua moglie morta bruciata invecchia come ancora vivo come Longfellow, la cui mano teneva il ramo d'alloro che nasconde la sua tomba. I classici del New England vivevano così a lungo da far pensare che la neve sulle loro teste non si sarebbe mai sciolta. Dov'è Hart Crane, il diseredato che vola nella notte, che diede a Dioniso ubriaco piedi più fermi? A ciascuno il naturale marcire della sua età. Dividendo il minuto improrogabile resto in piedi a stento alla fine della festa, con un bicchiere mezzo pieno in ogni mano scosso anch'io dal duro, infatuato vento dell'amore che essi non odono. 181 Shaving Solo quando mi rado vedo il mio volto, lo guardo di traverso, come un problema di carpentiere anche se sono un po' smagrito, sempre lo stesso volto segue la mia mano con occhi assetati. Mai abbastanza ore al giorno giaccio confinato e annaspo, monomaniaco, geloso anche dell'intrusione di un'ombra un'ortica che non si può toccare… incapace di seguire il viavai dei bimbi, l'improvviso terzo grado loro. Per me una pietra è infiammabile come un fiammifero di carta. La casa poi si ferma tu pure, a capo chino, annerendo e cancellando…accigliandoti con una faccia aperta a girasole. Siamo fortunati ad aver fatto casa assieme. Stars I Intrappolato nelle ferree celle della finzione, t'offro questa voce tragica, che rimprovera le stelle non sei tu ma sei tu. "Anche tu, come Goethe, cadrai nell'oblio fra le mie braccia e parlerai di stelle? Dirai che illuminano i campi in guerra ed assaltano il cielo mentre dormo? Non adesso mi duole la schiena riesco a stendermi solo a faccia in giù, grosso peso innocente se mi lascerai dormire di seduzione, parola o panico. Ho preso troppe medicine per far qualcosa, o aiutarti a guardare il cielo. 182 Non m'interessano le stelle le fila troppo docili e matematiche per riformarsi se disperse come assonnate pecore… quale donna può valutare un uomo che deve preoccuparsi solo di sé e seguire il viaggio stravagante e inutile delle stelle per distrarmi dall'assenza del sole? Non potendo amare, non serve loro amore." II Se tu sentissi che Dio è morto, il vecchio monopolista che ci ha creati per separarci, ti raddrizzeresti anche con il mal di schiena? "Dormo, vecchia noce inzuppata nel rhum, troppo scivolosa per essere schiacciata tra le ruote di vetro delle stelle, uguali, rigide… Se Dio è morto, chi m'assicura che un altro vecchio cadrà di nuovo dalle stelle, dall'alto di sessanta mila braccia, per fermarsi alla colonna del mio letto - immobile con infausta potenza? Un nuovo vecchio amante potrebbe farmi mille volte più male… Ma il mio amato è tentatore divino fatto a immagine di un uomo troppo giovane per spaventarsi di fronte alle donne. Può solo apparirmi in sogno." Shadow Dovrei lodare come Whitman questa notte che mi sveglia due volte col sorriso, misteriosamente in piena salute, che mi richiama due volte al mondo delicatamente. Sia lode al sonno e al solo dio del sonno, il Voyeur, la Madre, il tempestoso incostante IO SONO di Giobbe… che placa gli indecisi mormorii del cuore. 183 Ma non puoi che adorare, lassù, per comprender soltanto la notte invisibile fortunatamente il narcotizzato cielo cristiano non può esser sognato o assunto. Se avessi un sogno dell'inferno sarebbe di riempire una casa di demoni che in eterno domandano qualcosa di stimolante. Ho osservato l'ombra del corvo, presagio romano, attraversar la mia mano tremante, un enigma anche per noi da leggere, scarabocchio grinzoso quando ero col mio amico, non sapevo di avere le mani. Un uomo senza moglie è come una tartaruga senza guscio quest'ora che incombe con minuti che consumano questo minuto che incombe mentre aspetto che tu suoni entrambi in cattiva salute. Eppure il giorno è troppo aureo per dormire, il traffico troppo sostenuto… i suoni metallici della clinica candide gerarchie che si muovono come bianchi addetti in ospedale, con l'unico compito di rassicurare i malati. Epilogue Quelle strutture beate d'intrecci e rime perché non mi aiutano, ora che vorrei produrre qualcosa d'immaginato, non ricordato? Sento il suono della mia stessa voce: La visione del pittore non è una lente, trema nell'accarezzare la luce. Ma a volte ciò che scrivo con la logora arte del mio occhio sembra un'istantanea livida, rapida, abbagliante e vasta più intensa della vita, eppure paralizzata dal fatto. Tutto è masalliance, eppure perché non dire ciò che accade? Prega per la grazia della cura 184 con cui Veermer illuminò il sole, furtivo come una marea fino alla sua solida ragazza che si strugge. Noi siamo poveri fatti che passano, e perciò dobbiamo dare ad ogni figura della fotografia il suo nome vivente. 185 Edgar Lee Masters 186 Da Spoon River C. Hately Spoon River lodi il mio sacrificio per aver allevato Mary e Irene rimaste orfane di mia sorella. E Irene e Mary biasimi perché mi disprezzarono. Ma non lodare il mio sacrificio e non biasimare il loro disprezzo; io le allevai, è vero – ma quanto costò loro se avvelenai il bene rinfacciandolo! Johnnie Sayre Tu padre non potrai mai conoscere tutta l’angoscia che mi strinse il cuore quando disubbidii, e mi sentii divorare la carne della gamba dalla ruota della locomotiva. E mentre mi portavano alla casa della vedova Morris rividi nella valle la mia scuola che marinavo per salir sui treni. Pregai di poter vivere per chiederti perdono. Giunsero le tue lacrime a conforto, la felicità di quell’ora sola mi donò il sollievo e l’infinito. Saggiamente tu facesti scolpire: “Strappato al male a venire” 187 Zena Witt A sedici anni avevo sogni orribili, vedevo le macchie davanti agli occhi, avevo i nervi stanchi. Non ricordavo nulla dei miei libri mentre Drummer ricordava ogni pagina. La mia schiena era debole, non capivo e balbettavo a lezione, se provavo a ripetere, dei miei studi non ricordavo nulla. Vidi l’annuncio del dottor Weese, sembrava conoscesse il mio stato: ci trovai tutto scritto, anche i sogni che non mi davan pace. Capii che dovevo morire giovane. Mi tormentai, finchè presi la tosse, e fu allora che i sogni cessarono. E dormii, infine, un sonno senza sogni, quassù, sulla collina presso il fiume. Louise Smith Herbert ruppe con me dopo otto anni di fidanzamento quando Annabella tornò dal collegio. Se avessi rispettato il mio amore, sarebbe diventato un bel dolore, forse, con un profumo tutto suo. Ma io lo mutai in odio, accecandolo con torture e veleni – mortale edera invece di clematide. E cadde l’anima dal suo sostegno, i suoi viticci diventaron rovi. Non lasciate a giardiniere dell’anima la volontà, se non siete sicuri che è più saggia dell’anima. 188 George Gray Molte volte ho studiato la lapide che m’avete scolpito: la barca con le vele ammainate. Dall’inganno d’amore mi ritrassi; ebbi paura al bussare del dolore e temetti i rischi dell’ambizione. Ma volevo conoscere la vita, e il suo significato. Ora lo so che occorre alzar le vele ai venti del destino: dare un senso alla vita può condurre alla follia, ma senza un senso tremi d’inquietudine e desiderio, barca che teme e anela il mare. Fallas Io brandivo il flagello e la bilancia, percuotevo con la frusta e la spada. Io, il legale che puniva il reo, e che odiavo, inesorabile e amaro. Io, che spinsi ad impiccare Barry Holden, io fui svegliato dalla Verità. Ma il lampo della sua luce acceca: il forcipe impacciato del dottore fece del mio figliolo un idiota. Per curarlo mi dedicai alla scienza e il mondo dei malati divenne il mio compito e il mio mondo. Caro ragazzo, tu poi diventasti il vasaio. E la mia carità il tuo vaso. 189 James Merrill 190 The book of Ephraim Probabilmente è un errore intraprendere il lavoro al presente. La più spoglia prosa giornalistica, ci voleva, che raggiunge prima più vasto pubblico. Trapelava che il Tempo è l’essenziale. Il Tempo, vera essenza della Rosa che fugge. Ma da tempo mi sfuggono le scadenze. Anche il tema, così nuovo e intimo mi frenava l’entusiasmo. Forse era meglio farne un romanzo? Attorno a me c’erano personaggi umani e non umani (Se è possibile distinguere parlando di finzione). Trovai la mia strada per una trama o almeno la sorpresa ed il piacere di cominciare. Vidi il luogo; e subito ebbi il tema, la cui luce splendeva sicura da ogni minimo dettaglio. Mi diventò un vecchio caro tema: l’incarnarsi e il ritrarsi di un Dio. Quest’ultima frase è di Northrop Frye. E poi speravo nello stile. Sazio di fantasiose narrazioni odierne servite in ogni stile tanto a lungo 191 Variations (frammento) Non ora la risposta, perché naturalmente non ce n’erano di pronte. Però tutti si ricordano quell’aria di domanda che vaga ancora chiara tra le stanze, dove il piccolo tonfo della pena echeggia. Venerdì. Freddo. Limpido. Tuo è il giorno. Stendhal a colazione. Le metafore d’amore. Grande, fortunate Beyle forse, per cui l’amore era il più ovvio e alto bene, da inghirlandare, senza rimedio, senza oblio. Sua vigile botanica: non l’amore grande perla cresciuta intorno a un piccolo sgradevole bisogno; né quell’amore le cui dita legano ad un mesto presente il fiocco di un dono di compleanno. L’amore, semplicemente, come il meglio che c’è, e per farlo diventare migliore basta dire come cresce, in che climi, cercando di distinguere i cristalli dal ramo ed allungando la bacchetta all’onda che scintilla. Per dire infine che comunque sembri, buono, cattivo, indifferente, aiuta e lì l’aria è più dolce. Aria dolcissima. 192 Angel Compunto vibrava sul mio tavolo (Ma poco più grande di un colibrì) vestito finemente alla Van Eyck, sembra proprio un visitatore angelico. Indica con l’indice alla finestra l’inverno che si stringe al suo cuore la cristallina assenza, i vapori esalati dalle case e dalla gente che ripara in casa infreddolita, duro sole batte il mare. L’altra mano indica il pianoforte dov’era aperta la Sarabande n.1, ad un passo per me troppo difficile ma che mi domina da troppo tempo. Sembra voler dir qualcosa, o cantare: - Fra il mondo che è stato creato da Dio e la musica creata da Satie, entrambi intravisti attraverso veli, ma pieni e luminosi ti domandano desiderio e lode, pretendono la resa e tu resti lì con il tuo taccuino? Cosa credi di fare? – Ma saggiamente non mi dice nulla: potrei citare qualche pecca in terra o di Satie; e poi mi chiedo come gli è nato tanto amore per Satie. Un po’ per provocarlo ritorno alla mia pagina, alle frasi ancora così sconnesse e grumose. L’angelo sottile scuote la testa non sorride il suo volto tondo e liscio. Non vuol vedermi scrivere. 193 Silvya Plath 194 Edge La donna ora è perfetta. Morto, il suo corpo sorride in plenitudine, l’illisione di una necessità greca scorre tra le pieghe della sua toga. Nudi, i suoi piedi sembrano dire: basta, siamo andati troppo oltre. Ciascun bambino morto è rannicchiato, bianco serpente, vicino a ciascuna piccola ciotola del latte ormai vuota. Lei li ha avvolti Nel suo corpo, come petali Di una rosa che si chiude in giardino, quando cola l’odore intorpidito dalle gole profonde e dolci del fiore della notte non ha motivo d’essere triste la luna, guarda fisso dal suo cappuccio d’osso. Ormai è abituata anche a questo. Le sue ombre si tendono, crepitando. Finisterre Questo era il confine: le ultime dita a nocche, reumatiche, strette sul nulla. Nere, perentorie scogliere, e il mare esplode senza fondo, o nulla dall’altra parte, sbiancato dai volti dei sommersi. Ora è soltanto cupo mucchio di rocceSpersi soldati di guerre confuse. Il mare esplode nelle orecchie, ma non si muovono. Sott’acqua celano altre rocce: loro rancori. 195 Sheep in fog Le colline diventano pallore. Persone o stelle Mi guardano, tristemente delusi. Il treno traccia una linea di respiro. O lento Cavallo tinto di ruggine, zoccoli, dolenti campaneè da questa mattina che annera, come un fiore dimenticato. Le mie ossa sostengono la quiete, i campi laggiù sciolgono il mio cuore. Minacciano Di portarmi in un cielo senza stelle, senza padre, acqua buia. The moon and yew tree La luce della mente è fredda e planetaria, i suoi alberi neri e blu la luce. L’erba libera le sue pene ai miei piedi, come fossi Dio, punge le mie caviglie, mormora umiltà. Brume spiritali abitano il luogo Che una fila di lapidi separa dalla mia casa. Quindi non posso vedere dove andare. La luna non ha porte, è una faccia, bianca come una nocca e troppo turbata. Quieta, trascina dietro a sé il mare Come un cupo delitto nella O della sua bocca Disperata. Io abito qui. Di domenica due volte Le campane spaventano il cielo annunciando Resurrezione. Per finire risuonano i loro nomi. Mira in alto il cipresso dal profilo gotico. Gli occhi salgono dietro lui fino alla luna. È mia madre la luna. Non è dolce come Maria. 196 Ezra Pound 197 Villanella Avevo predisposto tutto quanto Da sembrare sinistro. Come uno di mezza età Avevo sparso solo i libri adatti Piegandone le pagine. La bellezza è sì rara… Tanto pochi bevono alla mia fonte… Ah, l’arido rimpianto, quante, le ore buttate! Ora guardo la pioggia alla finestra, e gli autobus che vagano… “Il loro mondo piccino ora è scosso”L’aria è pregna del fatto. Ciascuno nel suo luogo e vedersela con un’ossessione. Come faccio a saperlo? Ah, ne so abbastanza. A sentir loro qualcosa si muove. Anche per me; ma avevo predisposto troppo. La bellezza è sì rara… Tanto pochi bevono alla mia fonte… Due amici, un alito nella foresta… Amici? Si è meno amici Quando ci si è appena incontrati? Promisero due volte di venire. “Tra la notte e il mattino?” Berrebbe alla mia mente la Bellezza. La gioventù dimentica, dov’è la mia? 2 (“Dì, hai ballato sì rigidamente? Qualcuno ha ammirato la tua opera E l’ha detto chiaro. Hai detto stupidaggini, la prima notte o la seconda sera?” 198 “Ma promisero ancora: “Domani all’ora del tè”) 3 Ora è il terzo giornoSenza parole; parole alcune lui, alcune lei, soltanto una nota di qualcun altro: “Caro Pound, sto andandomene”. motif I have heard a wee wind searching through still forests for me, I have seen a wee wind searching O’er still sea. Thru woodland dim have I taken my way, and o’er silent waters, night and day, have I sought the wee wind. Ho udito un vento lieve frugare le immobili foreste per cercarmi, ho guardato un vento lieve frugare su un mare immobile. Per cupi boschi ho intrapreso il cammino e su acque silenziose, giorno e notte, cercando il vento lieve. 199 A pact I make a pact with you, Walt WhitmanI have detested you long enough. I come to you as a grown child who has had a pig-headed father; I am old enough now to make friends. It was you to broke the new wood, now it is a time for carving. We have one sap and one rootlet there be commerce between us. vengo a patti con te Walt Whitman: ti ho detestato abbastanza. Torno a te come un figlio cresciuto che ha sopportato un padre testardo; oramai sono così vecchio che posso esserti amico. Tu abbattesti il legno nuovo, ora occorre scolpirlo. Abbiamo un solo fusto, la radice è unica: lasciamo che ci sia tra noi un patto. 200 Robin Robertson 201 New gravity Attraversando la luce fioca di edere e lapidi, ti vedo in lontananza mentre spiego a nostra figlia questo luogo e l'intera faccenda: della sorellina che sta per nascere, di come la nuova gravità di una vita stia nell'acqua. Sotto la quercia, le foglie cadute sono pezzi del puzzle dell'albero; presso la tomba di tuo padre schiacci ghiande e dentro l'ombra semini. Tokens Tetti uniti in terrazze, contro il muro di contenimento del mare: dove i gabbiani scricchiolano nel vento che batte e il mare risale le pietre delle scale. Restai contando onde al buio: pulsare visibile di un nascosto tamburo. Facendo rimbalzare le sei pietre bianche fino a lei, i pegni. Camminando ampio lungo una curva fredda, orlo di mare e pietra collidono: la notte arriva come una roccia inondata, il vento vortica; le onde diventano volti che gridano maree. Aberdeen Il mare grigio torna al sonno e disturba i gabbiani fin della verde roccia. Guardammo il lungo crollo, la nera caduta che schiuma e rovescia in onda; guardammo fuori il buio che arriva in Norvegia. Restammo stesi in una barca aperta tutta la notte, a dondolare in porto le gomme scricchiolavano sul molo di pietra, tentando di andare a tempo finchè i pescatori arrivarono nel loro arco, il loro lembo di luce: il grasso schiocco delle onde, il vacillare dell'acqua, l'acqua e scomparti di luce. 202 A show of signs Ibisco carnoso, il primo in cinque anni, si schiude come sangue nell'acqua. Nel solaio s'è rannicchiato un tordo. Un pavone va dietro i lecci. La notte passata a cucire dolore: un bordo che ci stringe e ci chiude. E la paura frullava, come l'ala di un uccello in trappola, come noi, in trappola. Prima la morte è assenza, poi presenza della morte presso chi vive: il calcio del dolore come una pinna che increspa la superficie senza romperla. Mesi prima di vedere, la nostra bimba sente: lo smorzarsi del mare alla banchina. Ricorderà soltanto la paura, il suo suono di latta sbattuta, e il dolore che le nuota accanto: per cui grida, scambiandolo per fame. Abbiamo assaporato il sale, gli occhi ci brillano. Nel solaio s'è rannicchiato un tordo. Un pavone va dietro i lecci. Ciò che abbiamo conosciuto è la vita, spezzata: ciò che abbiamo visto è un rosso fiore che schiude il suo volto e poi muore. Retreat Nella casa abbandonata le sedie sono ribaltate, le tazze da caffè incrostate; i materassi arrotolati si sformano, suonano sulle molle adattandosi al corpo di chi dorme. Ho portato il freddo da fuori così cerco stecchi per il focolare e ci butto i miei diari, uno dopo l'altro, dall'86 al '74. Gli anni bruciano bene, il legno schianta, 203 il fuoco volta le pagine, e legge ogni libro al rovescio. Fuori gli alberi sembrano fumo; la luna declina dietro una sciarpa di nuvole. Voglio andare dove sono sconosciuto, dove non ci sono segni, dove la neve scricchiola come polistirolo su un sentiero abbandonato verso l'oscuro nodo della foresta. Voglio andare in un posto dove la vita defluisce come acqua calda e restarmene lì pulito e freddo: il diminuendo del cuore regolare, il gemito decrescente di una cornamusa. Fugue for Phantoms Questa è la spina in cuore: il rosso risciacquo della memoria; questo è il richiamo del canto funebre - gemiti gemiti sull'acqua, acqua stregata, grigio pece e gabbiani sopra il mare. Questa è la rete e il tridente, scagliato e ripreso, scagliato ancora: e questa è la morte che viviamo: i nostri stessi pensieri sono la rete gettata, che il passato attraversa come un colpo di lancia. Queste sono le strane stimmate, le memorie che sanguinano; questi sono gli spettri luminosi: esche sull'amo, che porta in superficie il cuore, fuori dal buio e dal silenzio. Feeding the fire Ciocchi duri, consumati a metà, restano a galleggiare nella cenere: neri, tra i bioccoli di grigio fatuo. Rimane solo una fiammella incrta, l'occasionale schiocco di un tizzone. Ma ci butto uno pagina del Times, un polmone di carta risucchiato che s'illumina dietro all'improvviso: 204 un rombante diorama; le voraci, lunghe gole di fuoco affamate di notizie. La pagina è letta, poi rossa, poi consumata. The spanish dancer Tiene il pubblico in mano, lei diventa un fiammifero sfregato, scintille, e la bianca fiamma del fosforo: la danza accende un incanto di fuoco, che rapido si sparge. E ad un tratto lei è soltanto fiamma. Sfrontata si guarda intorno ed impudica incendia i suoi capelli, le sue vesti diventano un inferno ribollente da cui stende le lunghe braccia bianche, e nacchere, serpenti a sonagli destati ai loro scatti ed ingranaggi. E così rapida, come costretta dalle guaine di fuoco, lo raccoglie, lo getta con un solo gesto altero e guarda giù: giace furioso a terra fiamma sparsa cocciutamente in vita. Con il mento alto saluta radiosa, poi lo finisce con un colpo di piedi: lo pesta schiaccia e spegne. Moving house I Middle watch, Battersea Sciacquio del traffico: rincorrersi di onde contro una riva di finestre; dalle finestre frantumate piove. Il vento imbuca cartacce sotto la porta. ietro i becchi a gas nel focolare cade cenere, schiarisce la gola del camino e il vento intona canti a fili, soffi come carbone a un sospiro bianco. Un tramestio nello zoccolo di legno come qualcosa che si libera da altro. 205 Il bulbo dondola e la stanza si sposta due volte verso la porta della cantina. II Defrosting Scricchiola e viene via gradevole un'altra piastra bianca: corrugata, tettonica, ha la forma della ghiacciaia nella curvatura; come se il polistirolo che prima imballava il frigo ora fosse imballato, appesantito e freddo. Ghiaccioli cadono nello scomparto dell'insalata mentre scavo in alto con un coltello, mani ruvide e calde nella neve che punge. Annoiato, porto di là una birra calda e scrivo. Mentre il frigo ticchetta sgocciolando, la cucina muove verso me nella notte. Circus on Calton hill Edimburgo brucia in un giorno ardente dov'è fiamma invisibile e onda scura che lambisce la vena della benzina, e i mangiafuoco appagano la loro sete. Le braci della città sfrigolano come carte di caramelle, caldo che gratta nel carbone. Sedendo sotto il colonnato, siamo così vicini che quasi ci tocchiamo. Saltano acrobati, fanno capriole, distratti nell'erba secca i gabbiani salmodiano nel caldo e fendono l'aria sopra di noi, sopra le pietre cotte di Craighleith, e virano nel vento verso il Firth e l'isola di Inchleith, il Traghetto e May. Ti guardo guardare i giocolieri, gli immancabili innamorati e la donna serpente mentre ingoia una spada. Diventi eliotropica in quest'acropoli di luce e sudi appena. Alzando le mani ai capelli una goccia scorre lungo un tuo braccio fino alla curva del seno. Io trabocco, brucio, 206 mi torturano il caldo e la voglia di te fino alla radice della lingua. Ma non ti trovo; guardi la giovane di sotto, sul prato: ha gli occhi socchiusi la bocca morbida s'avvicina a quella di lui. Potrei trovare il tuo volto, o il mio in questi specchi? E ricondurti a me in questa luce coerente? The gift of Tantalus Immagini che restano, di vite vissute qui, e turbano la luce. Come la terra resa scura da battaglie, torniamo nei luoghi dove avvennero i fatti forse solo per sentire l'aria vibrare, per vedere ciò che cerchiamo dissolversi mentre il luogo c'irride, illuminando la nostra mortalità, i nostri giovani fantasmi in un film a fotogrammi singoli di fiori e frutti che marciscono. Il buio occupa luce, la traccia della felicità è dolore. Restiamo sulle nostre orme aspettando risate, affamati di una gioventù irraggiungibile. Amnesty in the garden Un orlo di luce cola nel mare, angola l'onda in una lente d'acqua, tutto muove di nuovo: le rughe della terra di nuovo in fiori d'oro, ginestre gialle e di carbonai. Gabbiani cuciono cerniere di luce sull'acqua sciolta e chiamano, mi chiamano giù dalla cima del colle e son lì le pietre alte, i segni incisi ormai cancellati. La foresta scricchiola come una porta. Qui verranno i bambini stamattina portando doni alla Regina di Maggio - raccoglieranno fiori di bosco per ottenere il raccolto del mare scappa un coniglio fra mucchi di foglie 207 scoiattoli rotolano in cima agli alberi, un fagiano ciancia come un giocattolo. Un ragazzo affonda ancora nel verde ed entra nel giardino con le mura. Vento. Lillà, laburni si agitano, si placano. Su lui, i germogli son gonfi e semiaperti; sotto, getti rossi si slanciano verso il sole del mattino. Radici sciamano. Nel giardino cintato la forma è imposta al verde sfuggente, luce che sciacqua: racchiudere è rendere sacro, incorniciare il caos per riparare lentamente, arte della guarigione, del riscatto, un'amnistia contro la disperazione. 208 William Shakespeare 209 Sonnet I Alle creature più belle chiediamo progenie, e che la Rosa di bellezza non muoia, ma più piena al tempo ceda cosicchè lamemoria serbi eredi. Ma il tuo sguardo, contratto nei tuoi occhi, nutre la tua fiamma con la tua luce e riduce a carestia l’abbondanza crudele con la tua stessa dolcezza. Tu che oggi sei un fresco ornamento in terra e araldo della primavera splendida rendi il bocciolo tomba di se stesso, e tenero avaro sprechi chiudendoti: abbi pietà del mondo, o così ghiotto sarai, da divorarlo, tra te e la tomba. Sonnet VII Guarda ad Oriente , la luce felice solleva la sua testa ardente, ogni occhio rende omaggio alla vista che riappare con sguardi che la maestà sacra ossequiano. E quando è salito sul colle azzurro simile a gioventù nell’età piena, i nostri occhi mortali ancora adorano riverenti l’aureo pellegrinaggio. Ma dal punto più alto il carro stanco come un debole vecchio il giorno cede. Gli occhi, prima devoti, si distolgono dal suo corso stanco e guardano altrove: così per te, che diserti il meriggio e senza prole muori, abbandonato. 210 Sonnet XVIII Saprò comparirti in un giorno estivo? Sei più amabile e più temperato: rozzi venti i boccioli di maggio agitano, e troppo breve è il nome dell’estate: a volte arde troppo l’occhio del cielo e spesso si vela il suo aureo aspetto e ogni leggiadria se ne va da sola per caso, o per capriccio di natura: ma non cadrà la tua eterna estate, né perderà la bellezza già sua, né la morte t’avvolgerà nell’ombra, perché tu crescerai in versi eterni; fino a quando l’uomo potrà guardare, queste rime continueranno a viverti. Sonnet XXII Non crederò d’esser vecchio allo specchio finchè tu e gioventù siete assieme, ma quando in te vedrò del tempo i solchi lascerò che la morte espii i miei giorni. Perché la bellezza che ti ricopre è anche l’unica veste del mio cuore che vive nel tuo petto, e il tuo in me. Come potrei allora essere più vecchio? Abbi dunque amor mio cura di te la stessa che ti do dimenticando me, custodendo il tuo cuore che terrò come una balia che protegge il piccolo, e non contar più sul tuo cuore, se morirò, perché non potrà tornarti. 211 Sonnet XXIV Il mio occhio d’artista ha già tracciato le tue forme sul quadro del mio cuore, e il mio corpo è cornice che racchiude in prospettiva, la migliore pittura. Perché attraverso il quadro vedrai l’arte, e troverai la tua reale immagine che fa mostra di sé nel mio petto, e ha gli occhi tuoi per vetri alle finestre. Guarda ora cosa gli occhi fanno insieme i miei han tracciato la tua forma, i tuoi spalancano il mio petto, così il Sole risplende affacciandosi ad ammirarti. Ma all’occhio manca l’arte della grazia: ritrae, ma ciò che vede, e non il cuore. Sonnet XXV Chi gode del favore delle stelle vanti pubblici onori e alti titoli, ma io, che non ottengo tali glorie godo in disparte ciò che solo onoro. L’amato dal principe schiude i petali come calendule all’occhio del sole ma devono nascondere ogni orgoglio perché basta un accenno per ucciderli. Il soldato famoso per valore che ha perduto dopo mille vittorie viene escluso per sempre da ogni libro e quindi cancellata ogni sua impresa: felice dunque io che amo riamatoù dove nessuno viene mai scacciato. 212 Sonnet LXXI Quando sarò morto non pianger più a lungo di quella tetra campana che avverte il mondo della mia fuga da questo mondo abitato da vermi: anzi, se leggi qui, non ricordarti della mano che scrisse, perché t’amo tanto da preferir che mi dimentichi piuttosto che addolorarti pensandomi. Se il tuo sguardo cadrà su questi versi quando forse sarò già nell’argilla non rievocare il mio misero nome; lascia morire il tuo amore con me non lasciare che il mondo spii il pianto tuo e che a causa mia ti schernisca. Sonnet LXXIII Puoi contemplarmi come la stagione in cui le foglie gialle non rimangono su quei rami che tremano di freddo, nudi cori in rovina, dove dolci cantarono gli uccelli fino all’ultimo. Tu vedi in me il giorno che svanisce ad occidente, avvolto in nera notte come morte che ferma col riposo. Tu vedi in me il languire di quel fuoco, che sulla gioventù aleggia in cenere, e sul letto su cui deve spirare già consunto da ciò che fu suo cibo. Tanto vedi, per fare il tuo amore più forte, per colui che stai per perdere. 213 Sonnet LXXIV Ma sii contenta: anche se il tristo arresto mi trascinerà via senza riscatto, la mia vita conserva in questi versi qualcosa che ti rimarrà vicino. Quando li leggerai potrai riavere il meglio che ho potuto dedicarti. Alla terra la terra, a lei dovuta, il mio spirito a te, parte migliore. Così, solo la feccia della vita pasto per vermi, avrai perso di me, vile trionfo di un coltello assassino, cosa spregevole da ricordare. L’unica cosa buona che ha, è dentro, ed è questo che rimane con te. Sonnet LXXVI Perché mai il mio verso non riluce, privo di variazioni e agilità? Perché non seguo le mode e i metodi più nuovi, e gli espedienti più curiosi? Perché scrivo tutto allo stesso modo tanto che ogni parola ha il mio nome, svelando la sua origine e il destino? Sappi amor mio che scrivo di te sempre Tu e l’amore siete il mio argomento: non so che rivestir vecchie parole, spendendo ancora quanto è stato speso: come il sole ogni giorno è nuovo e vecchio, così il mio amor ripete quanto detto. 214 Sonnet LXXVII Mostri lo specchio la bellezza andarsene e il quadrante la fuga dei minuti; i fogli bianchi accolgano la tua anima, e da questo album abbi questo monito: le rughe che lo specchio mostrerà ti ricorderanno le tombe aperte, e l’ombra sul quadrante ti dirà il furto dell’Ora che va all’Eterno. Lascia ciò che non potrai ricordare in questi fogli vuoti, troverai di nuovo questi figli del tuo ingegno. E questi impegni, frequentati a lungo faranno crescer te, ed il tuo libro. Sonnet LXXX Sento mancarmi se scrivo di voi e so che il vostro nome viene lodato da uno spirito migliore, così che io non riesco più neanche a parlare. Ma poiché il vostro merito (ampio Oceano) sostien l’umile vela e la superba, la mia barchetta, così inferiore, tenta lo stesso le vostre correnti. Il vostro lieve aiuto mi sostiene mentre lui riesce a sondare gli abissi; se naufrago, son una barca inutile mentre egli ha la struttura più superba. Se egli ha fortuna ed io finisco via il peggio è che il mio amore mi distrugge. 215 Sonnet LXXXI O che sia io a scriver l’epitaffio tuo, o tu sopravviva al mio marcire, la morte non avrà il tuo ricordo anche se io sarò dimenticato. Qui il tuo nome avrà vita immortale quando già io sarò morto al mondo e avrò avuto una fossa comune. La tua tomba saranno gli occhi umani e il tuo sepolcro i miei versi gentili che occhi ancora non nati leggeranno e lingue nuove parleran di te quando chi respira sarà già morto, tu sopravviverai grazie al mio verso nella parola, che è alito vitale. Sonnet LXXXVIII Quando verrà il momento dello sdegno, per rivolgere al mio merito il disprezzo, contro me stesso mi vedrai al tuo fianco, e dirò che è virtù la tua slealtà: conoscendo ogni mia debolezza meglio di te, potrei diffamarmi con vecchie mie storie di disonore, così, perdendomi, ne avrai gloria: ma anch’io ne trarrei lieto guadagno perché volgendo a te ogni mio pensiero, le ingiurie che volgerò a me stesso a te daran vantaggio, ma a me doppio. Poiché, tale è l’amore che mi lega al tuo bene, che sopporterò tutto. 216 Sonnet XC E odiami quando vuoi, se non subito, ora che il mondo intero mi contrasta, colpisci con la rabbia del destino ma fa che non accada solo all’ultimo, quando avrò superato queste lacrime. Non venir dopo un cordoglio già vinto, non portar dopo il vento anche la pioggia, non tardar la rovina già decisa. Se mi devi lasciare, fallo subito e non dopo queste misere pene così fin dal principio proverò la peggiore potenza della Sorte. Così, in confronto, ogni altro dolore sparirà, di fronte alla tua perdita. Sonnet XCIII Così vivrò, credendoti fedele, come un uomo tradito, e mi parrà amorevole il tuo volto straniato: qui i tuoi occhi, e il tuo cuore altrove. Poiché non c’è mai odio nel tuo sguardo non potrò leggerci il tuo mutamento. Nell’aspetto di molti un cuore falso è scritto in smorfie aggrottamenti e umori. Ma per te è stato deciso in cielo che sul tuo volto fosse sempre amore: nonostante i pensieri e i moti in cuore, il tuo aspetto rimane sempre dolce. Ma rassomiglierai al frutto di Eva, se la bellezza è senza forza d’animo. 217 Sonnet XCIV Coloro che potendo non feriscono per cogliere l’occasione evidente, quando gli altri si avventano, rimangono gelidi e lenti ad ogni tentazione: giustamente, celesti grazie ereditano e assistono allo sperpero dei doni; è a loro che si attribuisce un volto, gli altri sono ministri d’eccellenza. È dolce per l’estate il fiore estivo anche se per se stesso vive e muore. Ma se lo stesso fiore guardi infetto, qualsiasi erba diventa più degna. Perché l’atto fa agra la dolcezza e un giglio sfatto puzza, non l’erbacce. Sonnet CIII Ah, che povertà offre, la mia Musa, pur avendo di che ben figurare! Il soggetto ha più pregio quando è spoglio di quando aggiungo le mie belle frasi. Non biasimatemi quando non scrivo! È nello specchio che vedrete un volto migliore di qualsiasi mia invenzione, recando a me discredito e ai miei versi. È soltanto un peccato deturpare il soggetto che prima era perfetto, perché i versi miei solo desiderano decantare le grazie e i doni vostri. E molto, molto meglio che nel verso vi vedrete riflessa nello specchio. 218 Sonnet CXIII Da quando t’ho lasciato, ho un occhio fermo nell’anima, mentre l’altro non riesce a governare il mio passo, quasi cieco. Sembra vedere, in verità è morto: perché non trasmette immagini al cuore, di nessun’ombra, che sia fiore o uccello, riesce a rendere partecipe l’anima, non riesce a trattenere ciò che coglie sia che guardi la cosa più gentile, o più rozza, un volto nobile o ignobile, la montagna o il mare, il giorno o la notte, il corvo o la colomba: a voi ogni cosa assomiglia. Ed è incapace d’altro, conducendo la mia anima al falso. Sonnet CXVI Non sarò io ad impedir le nozze delle anime costanti. Amor non è se muta quando scopre mutamenti o si separa, se altri si separano. No, perché è un faro sempre fisso di fronte alla tempesta, e mai scosso; astro cui si volge ogni nave persa, il cui merito è ignoto pur se noto, l’Amore non è lo zimbello del Tempo, anche se falcia labbra rosa e guance. L’amor non è roso dall’ora breve, resisterà fino alla fine fermo e se ciò è errore confutabile non ho mai scritto e mai nessuno amò. 219 Sonnet CXXI Meglio essere vile che farselo dire, se un innocente è accusato a torto, perdendo un piacere intimo, perché lo si è giudicato senza ascoltarlo. E perché gli occhi corrotti degli altri devono giudicarmi uomo lascivo? O i miei falli spiati da occhi falsi, condannando ciò che per me è buono? No, sono quel che sono, e chi mi giudica vuole solo attribuirmi i suoi eccessi; io vado dritto e loro vanno sghembi, così con menti distorte mi giudicano. Se non ammettono il male comune, fra tutti gli uomini è il male che regna. Sonnet CXXIX Spreco d’anima in arida vergogna è l’atto lussurioso, e già al principio è spergiura, assassina e traditrice, rozza, estrema, crudele e senza fede, disprezzata non appena goduta, disprezzata come un’esca inghiottita che vuol render furioso chi la cerca. Fa impazzir prima, fa impazzire dopo, dà piacere che diventa dolore, speri una gioia che diventa un sogno; chiunque sa tutto ciò, ma nessun sa sfuggire quest’inferno celestiale. 220 Da Troilo e Cressida I 1 (Troilo) I greci sono forti di astuta forza, feroci nell'astuzia di coraggiosa ferocia; io invece sono più debole di una lacrima, più mansueto del sonno, più credulone dell'ignoranza, meno coraggioso di una vergine di notte e ignaro come l'infanzia inesperta. …e mentre il mio cuore sta per esser spaccato da un sospiro, per non farmi accorgere da Ettore e mio padre, io seppellisco il sospiro nella grinza di un sorriso, come il sole quando s'affaccia nel temporale …Tu rispondi che è bella, versi nella ferita del mio cuore occhi capelli guance portamento e voce infili in ogni mia ferita d'amore il coltello che l'ha inferta. I 2 (Cressida) Pandaro offre per conto di un altro parole voti regali e lacrime, tutto il cerimoniale dell'amore; ma io vedo in Troilo più che nello specchio delle lodi di Pandaro. Ma mi controllo: corteggiate le donne sono angeli, possedute diventano perdute. Tutto il piacere sta nella conquista. Una donna non sa nulla se non sa che gli uomini apprezzano di più ciò che non hanno ancora potuto avere ed è il desiderio a far più dolce l'amore. È questa la ricetta: se ci possiedono gli uomini ci comandano, se ci desiderano invece ci implorano. Perciò, anche se colma di passione nulla i miei occhi lasceran vedere. I 3 (Agamennone) Cos'è quest'affanno? Gli ampi propositi della speranza non si realizzano mai nell'ampiezza promessa: scacchi e disastri crescono nelle vene dell'azione più ambiziosa (Ulisse) 221 Scusa le mie parole, ma è meglio che Achille non incontri Ettore: come i mercanti, è meglio per noi mostrar prima la merce da meno sperando di venderla. Se non va, la merce migliore spiccherà di più dopo aver mostrato la peggiore. Ettore e Achille non devono scontrarsi: sia l'onore che la vergogna che ne possono conseguire potrebbero essere controproducenti. II 2 (Ettore) La piaga della pace è la sicurezza, la spavalda sicurezza, mentre il faro del saggio è il dubbio modesto, bisturi che scerne in fondo al peggio. Lasciamo andare Elena. (Troilo) O, furto vigliacchissimo, aver rubato ciò che si teme di conservare! Siamo ladri indegni dell'oggetto rubato se col furto infliggemmo in terra altrui una punizione che in patria ci fa tremare! II 3 (Tersite) O tu, grande scorreggione dell'Olimpo che ti fai nominare Giove, e tu, Mercurio, che dimentichi l'astuzia velenosa del tuo caduceo, perché non togliete ad Achille ed Aiace quel poco, meno che pochissimo cervello che rimane loro? Così abbondantemente scarso, da sfoderare montagne d'armi per cavare una mosca dalla tela difesa dal ragno! III 3 (Ulisse ad Achille) Signore, il tempo ingrato ha una borsa sulla schiena dove getta le elemosine solo per dimenticarle. Ciò che scarta sono le azioni eroiche, le dimentica appena avvengono. Solo la perseveranza mantiene lustro l'onore: Aver agito è rimanere appesi fuori moda come un'armatura arrugginita. Occorre continuare sulla via offerta perché la gloria segue una via tanto stretta che ci si passa uno per volta. Il tempo è un padrone di casa mondano, stringe appena la mano e chi se ne va e accoglie a braccia aperte l'ultimo arrivato. La virtù non s'aspetti ricompensa per ciò che era, perché l'intelligenza, 222 la bellezza, la nobiltà, il merito, il vigore, l'amore, l'amicizia, la carità, tutto, viene corrotto dall'invidia e dalle calunnie del tempo. Tutti gli uomini hanno questo in comune, che impazziscono solo per il nuovo, anche se il nuovo imita ciò che è antico e lodano la polvere appena dorata più dell'oro impolverato. L'occhio vive e vuole il presente, non stupirti se i greci ora idoleggiano Aiace; le cose che si muovono attirano lo sguardo molto più che quelle immobili. IV 1 (Paride-Diomede) P: Ditemelo da amico, o Diomede, secondo voi chi merita di più la bella Elena, io o Menelao? D: Entrambi: lui merita di riprenderla, visto che continua a desiderarla senza temer la vergogna, ed a costo di tutti i guai e di tutte queste perdite; altrettanto voi che la difendete senza sentir sapore di vergogna e a costo di tanti amici e di beni. Lui, da cornuto lacrimoso, berrebbe il fondo andato a male della botte. Voi, da dissoluto, vorreste eredi da un ventre di puttana. L'uno vale l'altro, dunque, perché la zavorra è sempre la stessa puttana. Da All's well that ends well I1 Contessa: È figlia unica, signore, e affidata a me. L'istruzione dàtale accresce i suoi doni ereditari, migliorando le sue doti. Perché dove una mente corrotta avesse nobili qualità, diventano virtù traditrici e ci rammaricano molto. In Elena, invece, le nobili qualità sono migliori grazie alla sua mente diretta: è onesta per eredità, ma è sua propria la bontà d'animo. 223 Lafeu: Un compianto moderato è un diritto dei morti; un dolore eccessivo è nemico dei vivi. Contessa: Ama tutti, o figlio, fidati di pochi, non far torto a nessuno. Làsciati criticare per il tuo mutismo anziché per le tue parole. Parolles: Perder la verginità accresce la razionalità, infatti, non perdendola, non si può dar vita ad una vergine. Dunque la verginità perduta rinasce dieci volte, mentre se la si conserva, se ne perde per sempre lo stampo. È una compagna troppo frigida, occorre liberarsene! Difendere la verginità è accusare la propria madre; la verginità è suicida, fa i vermi e consuma; è stizzosa superba oziosa ed egoista: non conservatela, non fareste che rimetterci. È una merce che si deteriora se resta in magazzino: più si conserva e meno vale. I3 Contessa: Sì, Elena, puoi diventare mia figlia come nuora. Che Dio non ti permetta un rifiuto! Ti sconvolgono così i nomi di "figlia" e "madre"? Impallidisci? Il mio timore scopre la tua follia: ora capisco il mistero della tua malinconia e l'origine delle tue lacrime salate. Tutto è chiaro: ami mio figlio: le tue guance se lo confessano a vicenda; solo l'ostinazione ti lega la lingua, da lasciar sospettare la verità. Parla, è così? Elena: Oh, abbiate pietà di me che dono, sapendo di non ottenere ritorno. Abbiate pietà, se cerco non per trovare, e vivo dove dolcemente muoio. 224 Percy Bysshe Shelley 225 Himn to intellectual beauty I L’ombra enorme di una forza invisibile visita il vario mondo con un volo incostante – come i venti d’estate che si sparpagliano di fiore in fiore, come i raggi di luna che in montagna piovono dentro i pini – Va, con sguardo incostante nei cuori ed occhi umani; come tinte ed armonie della sera, come nubi perse in cieli di stelle, o un ricordo di musica svanita, o qualcosa che è caro per la grazia o ancor più caro, per il suo mistero. II Spirito di Bellezza, che consacri splendendo ogni pensiero e forma umana – perché sei andata via dal nostro regno, deserta e desolata, vasta valle di lacrime? Ti chiedi come mai non tessa sempre arcobaleni il sole? O perché Ciò che apparve si fa fievole e svanisce? Perché la paura, il sogno, la nascita e la morte gettan buio sulla luce del giorno, ed il destino d’ogni uomo non è che amore e odio, non è che speranza e disperazione? 226 Prometeo liberato IV Come uno spirito o un pensiero, affolli d’ignote lacrime occhi quasi fissi e fai tornare vivo un cuore solo che doveva già conoscere la quiete: cullata da tempeste sei discesa finalmente ti svegli, o Primavera! O figlia d’innumerevoli venti! Come la memoria di un sogno arrivi, ormai triste perché è stato dolce; come uno spirito, o gioia che si eleva dalla terra, per vestire di nuvole d’oro il deserto della nostra vita. È questa la stagione e il giorno e l’ora; al sorgere del sole tu dovresti venire, dolce sorella bramata troppo a lungo, troppo a lungo in ritardo. Come verme tra morti striscia l’attimo! Il punto di una stella bianca trema in fondo alla luce arancio dell’alba che s’amplia al di là dei monti porpora: attraversa la nebbia fino al baratro fino al lago, che cupo la riflette: ora svanisce. Brilla come le onde che s’assottigliano e come le file fiammeggianti di nubi si disperdono nell’aria pallida. V Echi: ascolta! Non possiamo restare come stelle di brina che risplendono e si sciolgono – Figlia dell’Oceano! Sèguici sèguici, mentre la nostra voce si perde nelle grotte vuote e dove la foresta si propaga. Segui, attraverso le caverne vuote come il canto che ondeggia tu insèguilo dove l’ape selvatica non vola nella profonda oscurità del giorno, nel profumato respiro dormiente di quei fragili fiori della notte e acque in caverne accese dalle fonti, mentre la nostra musica selvatica e dolce imita il buon battito del tuo piede, 227 Figlia dell’Oceano! Nel mondo ignoto dorme una parola mai parlata; dal tuo passo soltanto può essere spezzata la tua quiete, Figlia dell’Oceano! VI ASIA: Chi regna? Prima c’erano Terra e Cielo, Luce e Amore; dal trono di Saturno cadde il Tempo, la sua ombra invidiosa: e dominò le prime anime in Terra con la gioia dei fiori e delle foglie prima che vento e sole li seccassero o i vermi ne intaccassero la vita. Ma non permise la riproduzione, vietò la conoscenza ed il potere, il governo degli elementi, il lampo del pensiero capace di raggiungere con la sua luce l’opaco universo, il dominio di sé e la maestà dell’amore; di ciò avevan sete e languivano. Allora Prometeo diede a Zeus la sapienza, che è vigore, ma gli ordinò di lasciar l’uomo libero poi gli consegnò il dominio dei cieli. Senza lealtà, amore e legge, senza amicizia è la forza del potere e ora è Giove che regna sulla stirpe dell’uomo, con fatiche, carestie, malattie, ferite, guerre e l’orrida morte; stagioni senza tempo guidarono con frecce alterne di gelo e di fuoco le pallide tribù nelle caverne e nei cuori vuoti il desiderio e l’inquietudine di beni falsi depose, che li spinse a mutua guerra. II, iv Fu lui ad addomesticare il fuoco, fiera tremenda e splendida, che freme sotto il ciglio dell’uomo: e soggiogò il ferro e l’oro, segni del potere, gemme e veleni, e le sottili forme nascoste sotto le onde e le montagne. Diede all’uomo il linguaggio che è l’idea e l’idea misurò l’universo. 228 La Scienza scosse i troni in cielo e in terra che vacillarono senza cadere e la mente armoniosa si profuse in profetici canti; poi la musica innalzò l’anima in ascolto, fino al cammino senz’affanni mortali, sulle chiare onde dei dolci suoni. E mani umane imitaron prima, poi riprodussero le forme umane con braccia modellate come vere finchè il marmo divenne divino; e le madri, contemplandole, bevvero la bellezza riflessa nella razza, guarda finchè non muore. Rivelò il potere celato di erbe e fonti la Malattia divenne un sonno. Un sonno diventò la Morte. Ci insegnò le orbite che s’intrecciano tessute da stelle vaganti nell’immenso; e come il sole muti la sua dimora, e qual segreto muti la luna pallida, se l’occhio non guarda più sul mare interlunare: insegnò il governo, come membra guidate dalla vita, degli oceanici carri dalle ali di tempesta, e il Celta potè incontrar l’Indiano. Città crebbero, e furon attraversate da venti tiepidi le colonne color neve e brillò l’aria azzurra; i colli ombrosi, il blu del mare furono veduti. Se così alleviò lo stato umano Prometeo, eterna fu la sua pena. VII La mia anima è un battello incantato che come un cigno addormentato fluttua sulle onde d’argento del tuo canto; e la tua anima, simile ad un angelo siede accanto al timone e lo conduce mentre i venti fischiano melodiosi. Sembra che fluttui per sempre, per sempre sopra quel fiume serpeggiante, in mezzo a montagne, foreste e abissi un paradiso di luoghi selvaggi! Finchè, come confinato nel sonno, portato a oceanico fluttuare ovunque nel profondo mare che sparge i suoni. 229 La mia anima è un battello incantato che come un cigno nel sonno fluttua sulle onde d’argento del tuo canto; e la tua anima, simile ad un angelo siede accanto al timone e lo conduce mentre i venti fischiano melodiosi. Sembra che fluttui per sempre, per sempre sopra quel fiume così serpeggiante, in mezzo a montagne, foreste e abissi un paradiso di luoghi selvaggi finchè, come confinato nel sonno, portato all’oceano fluttuo ovunque nel profondo mare che sparge i suoni: intanto il tuo spirito eleva le ali nei sereni domini della musica; cattura i venti di quel cielo beato. E apriamole le vele, via, lontano, senza seguire rotte, senza stelle, ma guidate da musiche indistinte; fino alle isole dei giardini elisi tu, il pilota più bello che scese da veliero mortale guiderai il battello del mio desiderio: nei reami dove si respira amore che si muove nei venti e sopra le onde, e armonizza la terra, e il celestiale. VIII Sono fuggite le pallide stelle il sole, loro rapido pastore, le spinge nelle grotte dell’aurora affrettandosi, in vesti che eclissano meteore, oltre la sua dimora azzurra, come scappano i daini dal leopardo. Ma voi, dove siete? Nuvole luminose in cielo fluttuano, stelle di brina brillano in terra e le onde s’adunano sull’oceano, riunite e spinte da uragani d’estasi, dal panico di gioia, scosse dall’emozione gioiosamente danzano. Ma voi, dove siete? I rami dei pini stan cantando 230 canzoni antiche con un nuovo slancio le onde e le fonti fresca musica aprono come un unico spirito che fluttua in terra e in acqua; le tempeste irridono le montagne con i tuoni di gioia. Ma voi, dove siete? IX Tessiamo danze su un suolo di brezza, foriamo il cielo muto con il canto, e incantiamo il giorno che vola in fretta, per fermare il suo volo prima di essere nell’antro della notte. Le ore erano levrieri affamati alla caccia del cervo sanguinante del giorno, che zoppica, che inciampa, ferito, per le vallate notturne dell’anno solitario. Ma ora, oh, tessiamo mistiche misure di musica e danza, forme di luce, siano uniti Ore, spiriti di forza e di piacere come nubi e raggi. X THE MOON O sorella mia, calma vagabonda, felice sfera fatta d’aria e terra, come raggi hai scoccato qualche Spirito, che penetra nel mio corpo gelato e l’attraversa con calor di fiamma, odor d’amore e fonda melodia m’attraversano! Le nevi sulle mie aride montagne si sono sciolte in fontane di vita, il mio solido oceano scorre e splende uno spirito erompe dal mio cuore e veste con la forza della nascita inattesa il mio petto nudo. Tu, Tu su me! XI Sopportare dolori ritenuti infiniti pure dalla speranza; 231 perdonar torti bui come la morte; sfidar l’Ira che pare onnipotente; soffrire, amare: sperar fino a quando la Speranza non crei dal suo naufragio qualche cosa da poter contemplare; non cambiare, mancare, né pentirsi. Questo, come la gloria, Titano, è essere buoni grandi e gioiosi, splendidi e liberi; soltanto ciò è la Gioia di vivere. 232 Wallace Stevens 233 One of the inhabitants of the west Nostre divinazioni, I meccanismi di un pensiero angelico, Mezzi di profezia, Ci allertano di più All’unica stella della sera E al suo testo pastorale, Quando le creazioni Di vento luce e nube Attendono una fine, Un lettore del testo, lettore senza corpo, Che legge nel silenzio: “Le orride figure di Medusa, Tutti questi accenti esplicano La discesa di scintille notturne Sull’Europa, sull’Alpe più lontana Sull’Atlantico oscuro. Queste non sono banlieuse Senza uomini di pietra, In doppia luce rosea Completamente loro. Sono l’arcangelo serale e prego Il lampo di questa stella sola. Pensiamola come goccia di sangue… Ma giace troppa colpa, seppellita sotto l’innocenza Dei giorni di autunno”. 234 Lebensweishitspielerei Sempre più debolmente brilla il sole pomeridiano. I forti e gli orgogliosi sono partiti. Rimangono i mediocri, Quelli definitivamente umani, Nati in sfere ridotte. L’indigenza loro è un’indigenza Che è indigenza della luce, Un pallore stellare appeso ai fili. Così, a poco a poco, la miseria dello spazio autunnale diverrà Soltanto sguardo, o qualche stenta frase. Ciascuno può toccarci davvero, con ciò che è, così com’è, Nella vecchia grandezza che si estingue. Prologue to what is possible I C’era una quiete, come stando soli in una barca al mare, barca mossa da onde simili a lucide schiene di rematori, che stringevano i propri remi, certi della scia da seguire, curvi e eretti, sui loro scalmi in legno, spruzzati d’acqua, brillando in un unico simultaneo gesto. Una barca di pietre senza peso che, non pesando più, avevano una luce non comune. Così, colui che stava sulla barca fissando avanti a sé non sembrava uno che viaggiasse fuori l’ambito familiare. Sembrava appartenere alla straniera rotta del suo vascello, e parte della specola di fuoco sulla prua, suo simbolo, 235 parte dei fianchi vitrei che solcavano l’acqua, sporchi di sale. Viaggiava solo, come fisso ad una sillaba senza senso, una sillaba in cui però voleva ad ogni costo entrare, per il senso che avrebbe infranto barca e rematori, come un punto d’arrivo al centro, istante grande o piccolo, lontano da ogni sponda, donna o uomo, liberato da tutti. La metafora mosse la sua paura. L’oggetto a cui veniva comparato era fuori ogni sua cognizione. Così capì che le similitudini non arrivavano lontano. E oltre, solo riconoscendone ogni tratto, questo e quel tratto incluso nelle ipotesi su cui, uomini mezzo addormentati speculano d’estate. Quale se stesso, per esempio, ancora restava imprigionato e ringhiava per essere scoperto, ampliando la veglia, come se le sue luci ereditarie sbocciassero in un accesso di colore, un nuovo, inosservato tremolio, la più piccola lampada, la più potente sua scintilla, a cui lui attribuiva privilegio e nome superiore all’ordinaria sua vita quotidiana: la scintilla che aggiunge al reale e al suo vocabolario il modo in cui le novità arrivano agli alberi del Nord con I vocaboli del Sud. ome la prima luce solitaria nel cielo della sera a primavera, crea un universo nuovo dal nulla, aggiungendo se stessa. Come uno sguardo o un contatto svelano grandezze inaspettate. 236 The world as meditation É Ulisse che s’approssima da est, l’eroe senza fine? Mondi gli alberi. Quell’inverno, lavato via. Qualcuno si muove all’orizzonte e s’alza su esso. Un qualche fuoco cerca le cretonnes di Penelope, ma la sua presenza mera e selvaggia anima il mondo che abita. A lungo ha creato un io per accoglierlo, una compagna per lui, come li immagina, due amici capaci di proteggersi. Gli alberi, mondi per il solito fare la vasta meditazione inumana. Neanche un cane di vento l’ha vegliata. Voleva lui, solamente lui. Le sue braccia sarebbero diventate la sua collana, la sua cintura, fortuna ultima di ogni desiderio. Ma era Ulisse? O era il calore del sole sul cuscino? Il pensiero le batteva in petto come il cuore. Solo il giorno. Era Ulisse e non era. Ma l’incontro era avvenuto, amici incoraggiati da un pianeta. La forza sua selvaggia non avrebbe mai più potuto spegnersi. Parlava un po’ tra sé pettinandosi paziente sillabando il nome suo, non dimenticando mai che era lui ad avvicinarsi costantemente. I Seventy years later É un’illusione essere stati vivi, abitato le case delle madri, organizzato noi nell’aria libera. Guarda alla libertà di settanta anni fa. Non è durata l’aria. Case restano, ma irrigidite in un rigido vuoto. 237 Pure le ombre nostre, le loro, sfuggono. Le vite che sognarono son chiuse. Mai avvenute… Suoni di chitarra non furono non sono. Assurdo Frasi non furono non sono. È incredibile. L’incontro al limite del campo sembra un’invenzione, abbraccio disperato di zolle in una coscienza fantastica, bizzarra affermazione dell’umano: un teorema proposto fra le due – due figure nella natura del sole, del suo progetto di felicità, come se il nulla contenesse un mètier, un assunto vitale e caducità nel suo freddo di sempre, un’illusione tale da coprir la roccia di foglie e far fiorir lillà, cecità mondata, sguardo che si rischiara soddisfatto dalla nascita dello sguardo. Il muschio e il fiorire eran vivere, incessante, particolare, del rozzo universo. 238 Note on moonlight Solo il chiaro di luna – nella notte di semplici colori, come un poeta che rimugina le similitudini del suo vario universo – risplende sulla mera oggettività del tutto. Come se esser fosse essere osservati come se scopo della superficie fosse semplicemente d’esser vista, la proprietà della luna e cosa evoca. Forse darci la presenza essenziale di un monte, espanso ed elevato quasi a senso, un oggetto di meno; oppure rivelare in quella figura in strada qualcosa in più, forma indeterminata tra l’amante e il bandito dinoccolato, un gesto nel buio, paura provata nelle vaste visuali d’aria notturna, come dalle pergole di Saturno. Così questa calda ampia quiete è piena di forza e di una sua vita intrinseca, a dispetto dell’oggettività mera delle cose, come le nuvole nello specchio, un cambiare di colore nella mente del poeta, notte e silenzio turbati da una musica interiore, solo il chiaro di luna, l’universo, soltanto da guardare: scopo assurdo, oh, certo, ma uno scopo sempre nuovo… 239 The planet on the table Ariel si rallegrava dei suoi scritti. Restavano, d’un tempo memorabile o per testimoniare cose belle. Altre opere del sole diventavano spreco, scompiglio. E intristivano gli arbusti. Ma uno diventano il suo io e il sole e la sua opera, le sue poesie, anche loro opera del sole. Non che dovessero sopravvivere. Ciò che importava era che mostrassero qualche lineamento, qualche carattere, qualche abbondanza a metà percepibile, nella miseria delle loro frasi, del pianeta di cui erano parte. As at a theatre Un altro sole per un altro mondo, verde, forse, nel verde, e blu nel blu, come nauseato dal vino novello, o un occhio troppo giovane per combattere il primitivo. Come l’artificio di una nuova realtà, o il calendario cromatico del tempo a venire. Potrebbe essere la candela d’altro, ancora avviluppato in percezioni confuse, e medita una propria immagine, cerea, brulicante di afrori ignoti, immagine prismatica che brulica, come una bolla di sapone priva della superficie su cui appoggiarsi. Oltre il sipario scostato un altrove, un oltremondo azzurro rosa e arancio, a gomito a gomito con Copernico, un universo senza questo zoppo languire, meta di tutti i filosofi… Che differenza fa la sua distanza, se una volta la mente è esaudita? 240 The sail of Ulysses I All’ombra della sua vela, Ulisse, simbolo di chi cerca, traversando di notte il mare immenso, meditava. E disse: “Se so, sono, e ho diritto d’esistere”. Guidando la sua barca sotto le stelle medie, disse ancora: “Se scienza e noto è una cosa sola e dunque se conscer qualcuno è esserlo, conoscere un luogo, è esser quel luogo, e tutto sembra ricondurci a ciò; e se conoscer uno è conoscer tutti, e se il senso di uno di un posto singolo è ciò che conosce dell’universo, dunque conoscere è l’unica vita, l’unico sole dell’unico giorno, l’unico accesso alla tranquillità, profondo conforto di vita e fato. II Esiste anche un’umana solitudine che è parte dello spazio e isolamento, dove la conoscenza non si nega, dove la conoscenza è infallibile, il compagno illuminato, la mano, il braccio che fortifica, il profondo responso, voce di risposta piena, ciò che è più di qualsiasi altra cosa il diritto in noi e che riguarda noi, congiunto, trionfo di vigore, prova direzione interiore che ci guida, che trattiene quel poco che noi siamo, aiuto e forza di grandezza prossima. 241 III Questo è il vero artefice, segnala arrossando l’aria, è un pensatore che ha d’oro sia i pensieri che la mente, pensieri che tintinnano radiosi, la gioia di strappare al caos la forma del significato. La quieta lampada di quest’artefice è una lampada che allarga, come un raggio della notte, lo spazio dov’è posta, è il bagliore delle tenebre, che ricrea dal nulla le nere costruzioni, le ombre pubbliche le cupe murature e può stupire il dito che scansa via tutto questo, enorme in tutto, fuorchè la misura. V Un più lungo, più ampio alito alza l’eloquenza del diritto: conoscere e essere son tutt’uno; e il diritto di conoscere e essere sono unici. Alla nascita veniamo al conoscere, ma c’è sempre anche un’altra esistenza, sta oltre questo presente conoscere, una vita più lieve del presente splendore, più lucente, piena e lontana, troppo lontana ma conoscibile, non una cognizione di ragione ma qualcosa ricevuto di illogico, divinazione, o scendere di grandezza, timori, che trovati luminosi riportano alla luce. Non ci son mappe per il paradiso. Il grande Omnium discende su di noi come una razza libera. 242 Presence of an external master of knowledge Sotto la propria vela lesse Ulisse, simbolo di chi cerca la propria mente. Attraversava il mare aperto, di notte. Disse: “In quanto conosco, sono. E ho il diritto di esistere”. Guidò la sua barca sotto le stelle medie: “Qui sento la solitudine umana e ciò che, nello spazio solitario, è conoscenza: mondo e sorte, il mio diritto e di chi mi circonda, riuniti in un trionfo del vigore, come una direzione da cui dipendere… Su un respiro più lungo e ampio sta l’eloquenza del diritto: conoscere ed essere, il diritto di conoscere e il diritto di essere son tutt’uno. Il grande Omnium discende su di me, dall’eloquenza, come un assoluto” Sembrava, l’affilata vela di Ulisse, negli intervalli di quel soliloquio, vivere del battito di un enigma, e prender corpo, ed essere presente, mentre andava diritto, sempre avanti, tra aggregazioni di stelle sospese. 243 Vocal object Sapeva di essere uno spirito senza foyer e che per lui gli oggetti locali erano migliori dei migliori oggetti domestici: oggetti locali di un mondo senza foyer, senza un passato ricordato, un presente passato, o un futuro presente, sperato al presente. Oggetti non presenti per proprio corso nel lato buio o chiaro dei cieli, in quella sfera così povera di oggetti suoi. Per lui poco esisteva: rare cose per cui trovava sempre un nome nuovo come se inventandole non perissero, le rare cose, oggetti dell’intuito, integrazioni del sentimento, cose che venivano dal sole desiderando, senza sapere bene cosa, i momenti del classico e del bello. Questa era la serenità cercata come un foyer assoluto oltre il romanzo. The region november È duro udir di nuovo il vento del nord guardando cime d’alberi ondeggiare. ondeggiar forte e greve, in uno sforzo lontano da parole e sentimenti, ma che ripete, come quelle cose che sanno esprimere senza sapere: una rivelazione inintenzionale. È come un critico di Dio, mondo e natura umana, che sta pensoso sul suo trono di desolazione. Più e più forte, più e più grevi gli alberi ondeggiano, ondeggiano, ondeggiano. 244 Abecedarium of finesoldiers I Mi sento come costretto dagli altri II Uno è lo scopo, ma non è il mio III Impalare me stesso alla realtà IV L’invisibil fato si fa visibile V Grida al comandante perché io obbedisca VI Nel tumulto dei cembali star immobili VII La totale sfortuna d’ogni numero VIII La narrativa cessa…Addio alla narrazione IX Grande come un dardo e vecchio e futile X Ma come uomo valeva qualche cosa? XI 245 L’uomo dalla chitarra azzurra Non parlarci di nobiltà poetica, né di torce danzanti sotto terra, né di volte sopra un ponte di luce. Non ha ombre il nostro sole, è desiderio il giorno e sonno la notte. Ovunque nessun’ombra. Per noi la terra è liscia e spoglia. E senza ombre. La poesia Supera la musica per prendere il posto Del vuoto cielo e dei suoi inni, da soli in poesia si deve prender posto e nelle ciarle della tua chitarra. Lenta edera sul muro si fa muro E le donne diventano città, il bimbo diventa erba, e gli uomini tra le onde si fanno mare. Sì, la corda falsifica. Il mare torna sopra gli uomini, i campi intrappolano i bimbi, il muro s’infradicia e le mosche prese languono senz’ali, ancora vive. Semplicemente aumenta la discordia. Nel profondo, scuro ventre del tempo, il tempo rigermoglia sulla roccia. 246 L’uomo dalla chitarra azzurra (XXIV) Poesia simile a un messale affondato nella melma, un messale per quel giovane, quello scolaro che vuole quel libro, soltanto quello, o almeno una pagina, o, alla fine, una frase, quella frase, falco di vita, frase latineggiante: conoscere; un messale di meditazioni. Sussultare di fronte all’occhio del falco Ma non per l’occhio, per la sua gioia. Suono. Ma è questo che io medito. The snowman Occorre avere un’anima invernale Per fissare il gelo e i rami di pino Incrostati di neve; e avere avuto freddo molto a lungo per osservare il ghiaccio sui ginepri, i rudi abeti nel brillio remoto del sole di gennaio; e non pensare alla miseria quando il vento vibra fra le foglie rimaste, suono di una regione dove lo stesso vento ansima sullo stesso luogo nudo per chi resta all’ascolto nella neve, per chi nulla contempla più in sé, ma il nulla, che non è là, nulla che è. 247 The ash plant Non s’alzerà mai più, però è pronto. Invaso dalla luce come uno specchio, guarda curioso dalla grande finestra, senza curarsise c’è sole o nuvolo. Un alto sguardo sull’intera regione. Primi carri del latte, primo fumo, alberi, opulenza umida, sopra umide siepitutto per sé, è come una sentinella dimenticata, che ha dimenticato i come e perché del suo alto stato, svegliandosi alleviato ma già pronto, liberato come un’onda che frange. 4 1973 Venne marzo, un rumore di lamiere aumentò come un tuono. Poi tornò caldo e tornarono fuori i bulbi e gli invalidi; io restai ibernato, all’abbaino fissavo il colle tra i rami tremanti, dissociato, come un fattore malato, cloroformizzato contro la stagione dalla puzza di mozziconi e di cenere. poi venne la quaresima, come un leonedisciplina del selvaggio vigoredentro il corpo sentii un desiderio saldo, che io schernii con scie di nicotina, accendendone troppe, per sentirmi un temerario eccitato nel profondo disordine del mio studio. Parte di Wheels within wheels La prima vera presa sulle cose Fu quando imparai a pedalare (con la mano) una bicicletta rovesciata, mandando la sua ruota posteriore a velocità preternaturale. Amavo la scomparsa dei suoi raggi, il modo in cui lo spazio tra cerchione e mozzo mormorava trasparenza. 248 Lightening Mutabili brillii. E luce invernale in un arco; sulla soglia di pietra il profilo di un povero che trema. Se ne potrebbe anche trarre un giudizio: pareti nude e un focolare umido – vita di nubi che erra priva d’anima. E dopo il viaggio comandato, cosa? Nulla d’ignoto, nulla di magnifico. Un solitario sguardo da lontano. E non c’è nulla di particolare, come si dice: non c’è volta prossima. Intenzione scoperta. Una rinfrescata Lightnings XII E il lampo? Uno dei significati Oltre l’usuale senso di sollievo, illuminazione, e ancora, è questo: brillare puro d’istante unico nell’anima, fronteggiando la morte con gioia – il buon ladrone in noi che ascolta la promessa! Dunque dipingilo alla Sua destra, su un promontorio che misura il vuoto, martoriato a tal punto, che non comprendi la gioia agognata nel cerchio lunare della fronte, i crateri dei chiodi sulla parte buia del suo cervello: oggi sarai con me in Paradiso. 249 Infanta Marina È, la sua, una terrazza Di sabbia con le palme e il crepuscolo. Lei trasformava i moti del suo polso Nei magnifici gesti Del pensiero. Il muoversi di piume Di questa creatura serale Diveniva destrezza di vele Sul mare. E così lei vagava Nel vagare del suo ventaglio, partecipe del mare e della sera che si spargevano attorno a lei disperdendo suoni sempre più flebili. 250 Mark Strand 251 The untelling - La denarrazione Chinandosi sul foglio a lungo non potè vedere nulla. Poi lentamente il lago fu aperto come un bianco occhio e lui tornò bambino a giocar coi cugini, e c'era un prato inglese e un filare di piante che andava fino all'acqua. Era un caldo pomeriggio di agosto e c'era una festa che doveva iniziare. Allora, chinandosi su quel foglio egli scrisse: Con i miei cugini, di là dal lago guardavamo gli adulti passeggiare sulla riva distante, sotto gli olmi. Era caldo, sereno. Io e i cugini rimanemmo ore tra i rami a guardare i nostri genitori, che sembravano immutabili, nonostante l'uomo che correva sul prato e urlava e agitava un foglio di carta. E loro si muovevano al di là delle pretese del clima, al di là di qualsiasi notizia ci fosse e non vedevano il buio addensarsi tra le piante e i cespugli, risalire tra le pieghe dei loro abiti e sul bianco severo delle loro camicie. Onde di risate erano portate dall'acqua fino a noi bambini che continuavamo a guardarli. Non era una scena nostra. Eravamo troppo lontani, e presto saremmo partiti. Si appoggiò allo schienale. Come poteva sapere che non era sua la scena? L'estate era con lui, le voci erano tornate, vedeva i volti. Il giorno era cominciato prima della festa; era piovuto al mattino e all'improvviso schiarì. Gli orli degli abiti erano bagnati. Le scarpe dei maschi brillavano. C'era una nuvola a forma di mano 252 che continuava a scendere. Non c'era modo di sapere perché c'erano istanti del pomeriggio in cui il prato sembrava vuoto, o perché già allora le voci dei grandi vi indugiassero. Prese quanto aveva scritto e lo mise da parte. Si sedette e ricominciò: Scendemmo tutti al lago, superando il prato inglese, camminando senza parlare, lontani dalla casa, lungo l'ombra degli olmi. Il sole filtrò, sollevando l'umidità, lasciando risplendere il lago come un piatto pulito, circondato di bruma. Ci sedemmo, guardammo l'acqua, poi ci sdraiammo e ci addormentammo. L'aria diventò più fresca, il vento scuoteva gli alberi. Restammo sdraiati così a lungo da immaginare una mano togliere foglie cadute dai nostri volti. Ma non era autunno, e alcuni di noi, i più giovani, si alzarono per andare dall'altra parte del lago e fissare gli uomini e le donne addormentati, gli uomini con le bianche, severe camicie, le donne con gli abiti pallidi. Restammo a guardare tutto il pomeriggio. E un uomo corse giù dalla casa, urlando, e agitava un foglio di carta. E i dormienti si rialzarono come non fosse successo nulla, come se la notte non avesse iniziato a muoversi tra gli alberi. Sentimmo le loro risate, poi i loro sospiri. Si sdraiarono di nuovo e venne il buio sul prato a coprirli. Per quel che ne sappiamo sono ancora là, con le braccia incrociate sul petto, con i severi abiti gualciti. Noi mai ci tornammo. Rilesse quanto aveva scritto. Dov'era arrivato? E perché si fece buio proprio allora? E non era solo mentre guardava gli altri stesi sul prato? Fissò fuori dalla finestra, sperando che la gente al lago, il lago stesso, svanissero. Voleva andare oltre il suo passato. Pensò che l'uomo che correva sul prato gli fosse familiare. Rilesse quanto aveva scritto e si chiese come avesse attraversato il lago, e se i cugini fossero con lui. Qualcuno aveva chiamato? Qualcuno aveva fatto un cenno di saluto? 253 Quello che aveva scritto non gli diceva più nulla. Lo buttò per ricominciare da capo: Aspettai sotto gli alberi di fronte alla casa, non pensando, guardando la luce del sole lambire il tetto. Non udivo, non provavo nulla, neanche quando lei apparve in un lungo abito giallo, con bianche scarpe a punta, i suoi capelli tesi in uno chignon; neanche quando mi prese per mano e mi condusse lungo il filare di piante alte verso il lago dov'erano riuniti gli altri, gli uomini nelle loro camicie inamidate, le donne nei loro abiti estivi, i bambini che guardavano l'acqua. Anche allora, la mia vita sembrava lontana come se aspettasse che io la scoprissi. Tenendomi per mano lei mi condusse verso l'acqua. L'orlo della sua gonna si era bagnato. Non disse nulla quando mi lasciò con i miei cugini e si unì agli altri. Sapevo che parlavano di ciò che sarebbe successo, che alcuni di noi, i più piccoli, se ne sarebbero andati quel pomeriggio e non sarebbero più tornati. Mentre attraversavo il bosco verso la riva opposta del lago, le loro voci sbiadivano nel rumore dei miei passi su rami e foglie. Sebbene mi allontanassi, mi sentivo immobile. Mi sedetti a guardare la scena al di là del lago, Guardavo e non facevo nulla. Brevi onde di risa si smorzavano sull'acqua. Non ne ero commosso. Anche quando l'uomo corse attraverso il prato, urlando, non mi mossi. Sembrava che il vento trascinasse il buio dagli alberi all'erba. Gli adulti restarono assieme. Non si sarebbero mai allontanati da quella riva. Io guardavo la donna con l'abito giallo il cui nome avevo cominciato a dimenticare, aspettava con gli altri e fissava nella mia direzione senza potermi vedere. Già la luna piena era sorta e si lasciava cadere in ceneri bianche sul lago. E la donna e gli altri lentamente cominciarono a spogliarsi, e le miti folate del vento sciacquavano loro la pelle, i corpi risplendettero pallidi brevemente tra le ombre, prima di sdraiarsi sull'erba umida. E i bambini se n'erano andati tutti. E questo fu tutto. E anche allora non provai nulla. Sapevo che non avrei mai più rivisto la donna con l'abito giallo, e che la scena presso il lago non si sarebbe ripetuta, e che quell'estate sarebbe diventata un luogo troppo remoto per ritrovarmici di nuovo. 254 Per quanto ci abbia provato, mi sono sempre ritrovato qui, dove sono ora. Il lago c'è ancora, e il prato, anche se le persone che dormirono quel pomeriggio lì non si sono più viste. Lo infastidiva, come se troppo fosse stato detto. Avrebbe preferito il lago senza una storia, oppure nessuna storia e nessun lago. Il suo impegno divenne una forma di evasione: più tentava di svelare più c'era da nascondere e meno comprendeva. Se avesse continuato così, avrebbe perso tutto. Lo sapeva così ricordava ciò che poteva sempre distante, dall'altra parte del lago, o oltre il prato, sempre svanendo, sempre lì. E la donna con gli altri l'avrebbero salvato e lui avrebbe salvato loro. Mise la mano sul foglio. Avrebbe scritto una lettera all'uomo che correva sul prato. Avrebbe detto ciò che sapeva. Appoggiò la testa sulle braccia e tentò di dormire. Sapeva che la notte era scesa una volta, che una volta era accaduto qualcosa. Voleva sapere ma senza sapere. Forse era successo qualcosa, un pomeriggio di agosto. Forse lui era là o in attesa di esserci, aspettando di correre sul prato verso un lago dove della gente guardava al di là dell'acqua. Lui sarebbe arrivato di corsa ma sarebbe stato troppo tardi. Le persone sarebbero stae già addormentate. I loro figli sarebbero stati lì a guardarli. Egli avrebbe portato quanto aveva scritto e poi si sarebbe sdraiato con gli altri. Lui sarebbe stato l'uomo che era diventato, l'uomo che avrebbe attraversato di corsa il prato. Ricominciò: 255 Sedevo nella casa affacciata al lago, al prato, ai boschi lungo il prato. Sentivo i bambini sulla riva, le loro voci si alzavano fin dove nessuna memoria del luogo poteva raggiungerle. Io guardavo le donne, gli uomini in abiti bianchi passeggiare al caldo di agosto. Io chiusi la finestra e dal vetro silente li vidi passare ogni volta più distanti. Gli alberi cominciarono a scurirsi e i bambini se ne andarono. Vidi l'acqua lontana ingrigirsi nell'ombra dell'erba e del sottobosco al di là dal lago. Pensai di vedere i bambini seduti a guardare i loro genitori in lento corteo lungo la riva. Le forme tra le piante mutavano. Forse ho visto un solo bambino, il suo volto. O potrebbe essere stato il mio volto che mi guardava. Sentii me stesso scendere nel futuro. Vidi oltre il prato, oltre il lago, oltre il buio che attendeva la fine dell'estate, la fine dell'autunno, l'aria ghiacciata, il silenzio, e poi, di nuovo, il vetro. Ero dove ero, dove sarei stato, dove sono. Guardavo uomini e donne mentre l'occhio bianco del lago cominciava a chiudersi per sprofondare nel blu, poi nel nero. Era troppo tardi per richiamare i bambini. Restavano sull'erba e il vento soffiando staccava le prime foglie. Volevo dirgli qualcosa. Vedevo me stesso correre, agitando un foglio, urlando, dicendogli che dovevo consegnar loro qualcosa, ma quando fui lì, loro non c'erano più. Alzò lo sguardo dal foglio e si vide nella finestra. Era una sera d'agosto e lui era stanco, e gli alberi ondeggiavano, e il vento sbatteva la finestra. Era tardi. Non era importante. Non si sarebbe mai messo in pari con il suo passato. La sua vita stava rallentando. Se ne stava andando. Lo percepiva, lo sentiva nelle proprie parole. 256 Sembrava una cosa da nulla eppure l'avrebbe tramandata. E i suoi figli sarebbero vissuti in essa e l'avrebbero tramandata anche loro, e sarebbe sempre parso come se la speranza morisse, lo spazio si schiudesse, come un prato, o un lago, o un pomeriggio. E il dolore non gli avrebbe potuto dare il significato che le mancava; non c'era dolore, solo la scomparsa. Per prima cosa, perché aveva cominciato? Era stanco, e si abbandonò al sonno e dormì lì, e dormì senza sognare, così, quando si svegliò fu come non fosse successo nulla. Il lago si aprì come un occhio bianco, gli olmi sorsero sul prato inglese, e il sole sopra gli olmi. Era come lo ricordava la foschia, il buio, il caldo, il bosco di là dal lago. Sedette a lungo e vide che loro erano arrivati ed erano sul prato. Lo stavano aspettando, guardando verso la finestra. Il vento li spettinava ma loro restavano immobili. Lui aveva paura di seguirli. Sapeva già cosa stava per accadere. Sapeva che i bambini se ne sarebbero andati e che lui si sarebbe sdraiato con i loro genitori. E aveva paura. Quando si voltarono e s'incamminarono verso il lago all'ombra degli olmi i bambini vagarono senza meta. Lui li vide, lontani, al di là del lago e si chiese se uno sarebbe tornato un giorno per essere dove era lui ora. Vide gli adulti sul prato, che cominciavano a sdraiarsi. 257 E voleva avvertirli, dire loro ciò che sapeva. Corse dalla casa giù fino al lago, sapendo che sarebbe arrivato troppo tardi, che sarebbe stato abbandonato. Quando arrivò laggiù se n'erano andati, e lui fu solo al buio, senza parole. Restò lì. Sentì il mondo risucchiato dalle nuvole, in scaffali d'aria. Chiuse gli occhi. Pensò al lago, alle madie di alghe. Pensò alla falena assopita nella polvere delle sue ali, al pipistrello appeso nelle cavità degli alberi. In quel momento sentì di essere più del suo istinto di sopravvivenza, più dei suoi lutti, perché era diventato meno di qualsiasi cosa. Oscillò. Il silenzio era in lui e sorgeva come gioia, come l'inizio. Quando aprì gli occhi, il silenzio era dilagato, i fogli di buio sembravano infiniti, i fogli che aveva in mano. Si volse per tornare in casa. Entrò nella stanza che si affacciava sul prato. Si sedette e cominciò a scrivere: LA DENARRAZIONE Alla Donna con il Vestito Giallo 258 Dylan Thomas 259 Especially when the october wind Specialmente quando il vento d’ottobre batte i capelli con dita gelate preso dal sole cammino sul fuoco e getto sulla terra un granchio d’ombra, in riva al mare, udendo la gazzarra degli uccelli, la tosse del corvo il cuore indaffarato trema se parla sparge sangue in sillabe e drena frasi. Rinchiuso in una torre di parole traccio orizzonti d’alberi in cammino, verbali forme femminili e file di bimbi al parco dai gesti di stella. Ve ne farò con vocali di faggi, voci di quercia, note di radici che giungono da regioni di spine ne farò pure con parole d’acqua. Dietro un vaso la pendola che oscilla mi parla la lingua dell’ora, il nervo vola sul disco d’asta, chiama l’alba e annuncia il gallo banderuola. 260 Derek Walcott 261 Winding up Vivo sull’acqua, solo. Senza moglie e figli. Ho circoscritto ogni possibilità per arrivare a questo: una casa bassa sull’acqua grigia, con le finestre sempre aperte sul mare solito. Talvolta noi non scegliamo, ma siamo sempre ciò che abbiamo fatto. Soffriamo, gli anni passano, perdiamo cose, ma non il bisogno di nuovi pesi. L’amore è una pietra che si è posata in fondo, sotto acqua grigia. Non chiedo più nulla alla poesia, solo puro sentire: non pietà, fama o cure. Muta sposa, possiamo sedere guardando acqua grigia, e in questa vita su cui galleggiano solo mediocrità e spazzatura, vivremo come rocce. Imparerò a rimanere sordo, dimenticando il mio dono. È più grande e duro di ciò che chiamiamo vita. 262 Endings Le cose non esplodono, lentamente sbiadiscono. Come il sole sbiadisce dalla pelle, come la schiuma asciugata alla riva, così il lampo di luce amorosa non termina nel tuono, perisce con un suono di fiori sbiaditi, come la pelle sotto la pietra pomice che suda. E tutto si riduce a questo modo, finchè si resta soli nel silenzio che circonda la testa di Beethoven. Air Le inaudite, onnivore fauci di questa foresta pluviale non soltanto divorano ogni cosa, ma non lasciano nulla di inutile; inarrestabili, maciullano ogni dolore, rifiutandoci. Molto prima di noi quelle mascelle calde come un forno fumante erano pronte al genocidio; divorarono due razze gialle minori, e metà di una nera; Parola fatta carne di Dio, tutti entrarono indiscriminatamente in quell’enorme stomaco; la foresta rimane senza fede, perché quel suono di conchiglia che rimbomba come il silenzio, o come i cori in rotte dell’oceano quando oltrepassano la sua navata dove fumiga un incensiere di nebbie, non è il mormorio della preghiera, ma del troppo vasto nulla che è qui. 263 Charles Wright 264 Laguna blues È sabato pomeriggio al confine del mondo. S'alzano al vento pagine bianche e cadono. Fili di polvere staccati dal cuore, fluttuano e cadono. Resta nella mia mente qualcosa di stonato, non so che sia, ma mi disturba sempre. È caldo e il vento soffia sulle cose da dire. Ballo un piccolo ballo. I corvi raccolgono una brezza virata dal mare. Canto una canzoncina. Non so che sia, ma mi disturba sempre. Sabato pomeriggio, i corvi planano, pagine nere che s'alzano e cadono. Il ricino e la pianta del pepe piegano le loro teste stanche. Qualcosa di stonato, di crudele. Non so che sia, ma mi disturba sempre. Laguna dantesca Voglio isolarmi, come una barchetta piccola, e scivolar su un elemento all'orizonte, le cui labbra sanno qualcosa, ma tacciono sotto il cielo della luna. C'è qualcosa che voglio guardare bene in faccia. Come una roccia, qualcosa di pesante, per scendere nell'acqua limpida per sempre, svanire come fece lei, dissolta, linea dopo linea, negli abissi lunari. Voglio, come queste campanule viola di iacaranda, brillare con le stelle fisse, sfinito e soddisfatto. Gracidano rane nel buio. Il piccolo ottone del mondo naturale gracida e quel che voglio io non è nulla per loro. Sopra di me il gran cane accucciato nel cielo basso del sud attende il suo momento. Voglio tornare, come un pezzetto di carta bruciata. C'è qualcosa che voglio guardar bene in faccia, sale e scende come una fiamma. Voglio sedermi là, il cane addormentato ai miei piedi. 265 Hawaii dantesca Dal fianco della collina spunta il bianco dei fiori, vuote lettere d'amore dai morti. È autunno, e a nessuno sembra interessare. O le rotte ombre di chi manca da secoli che si muovono sulla canna da zucchero come cicogne, e nessuno nota o ricuce. È questo il filo della storia. E i verdeggianti abiti di luce che indossano gli alberi. E i cerchi-sutra di garzetta roteanti dopo scrosci di pioggia. E gli acuti marimba dell'alba che rotolano i loro amuleti… Verrà presto il tempo del lungo cammino sotterraneo verso il mare. E il tempo di rimettersi il costume giallo e le scarpette, come nelle foto del '38 a Knoxville. L'ora di raccogliere il fuoco nella sua ciotola di quarzo. Spero verrà quello con le ali bianche. Spero che l'isola di giunchi sia lontana come credo. Quando sarò là, spero mi perdoneranno se il mio nodo è il nodo sbagliato. Night journal Penso a Issa, uomo di poche parole: Il mondo di rugiada è il mondo di rugiada. Eppure… Eppure… - Tre parole contengono tutte le certezze della vita prossima o dell'ultima: chiudi gli occhi. Tutto il resto son chiacchiere, falsi specchi, finestre cieche abbaglianti come vetro istoriato nel sole irriducibile - Scrivo, l'inchiostro è visibile parole nere che scompaiono alla luce Scrivo 266 non per ricordare, ma per dimenticare parole come pezzi di pellicole esposti al sole. Non vedo altro che il fondo. Tutti vogliono raccontare la loro storia. I cinesi dicono che questo è il mondo delle diecimila cose, Ognuna delle diecimila cose ci urla precisamente nulla, melodia di un silenzio che cominciamo a capire, parole contrassegno, tramonti embolici che si seccano dietro la lingua. Se fossimo così eloquenti, potessimo sparger la lieta novella come fa quella passiflora, le sue candele votive fosforescenti e articolate nell'alone verde di primavera, sicuramente qualcosa sentiremmo. Anche soltanto una scheggia di bellezza è bellezza che la mente fatica a capire, parole color del vento che si muovono sui campi, laggiù, confuse sbalzate dal vento astratte come luccichii d'acqua campi color leone, color della corda come in un dipinto del Paradiso, i corpi che languono sopra il cielo trascinando le buie identità, vanno alla deriva e colano nel nulla dietro di loro in movimento là sui campi come si muovono lente le parole, strascicando le loro buie identità. Le nostre parole, come baci sfiniti, sono inghiottite da fantasmi lungo il cammino, le loro mete smarrite in un tocco di splendore infinito: quant'è distante sempre ogni cosa, e tuttavia quanto vicina, musica che comincia a salire come fumo sotto gli alberi. Gli uccelli cantano un baccano atonale non sincopato da un albero all'altro, canti di rugiada le cui canzoni non hanno parole 267 da un albero all'altro quando la notte indossa le sue lenti scure, una su questa fronda, altre due là dietro. - Le parole, come tutte le cose, còlte nella loro finitudine. Qui iniziano, qui finiscono non importa quanto in alto vadano il mio castigo è che lo so e non amo mai abbastanza da rimanerne marchiato e calarmi di colpo nella beatitudine. May journal Le note provinciali sempre iniziano con la meteorologia qui non cambia, il sole spazza il meriggio di pieno maggio con la sua scopa dorata i tulipani lampeggiano come insegne ai nostri occhi indagatori, tutto il pavimento dell'essere pulito e sgombro, il cristallo una similitudine dove quasi risplende il paesaggio immagine nell'immagine, motto come mondo o meglio come nota musicale, una suscettibilità nelle ossa. Poi cominciano a parlare di morte dell'anima (Ma senza tante parole) o della morte del cuore con i termini della nuova stagione un iris, diciamo, col suo orecchio blu che sorveglia il battito cardiaco del futuro. La nota odierna, da Charlottesville, non è proprio così, nonostante l'abbondanza d'iris ed il rigoglio metaforico di cipolla e rododendro. Questo messaggio non ha messaggio, staccato dal suo significato, il paesaggio attento nel suo primo fuoco e splendore. Il mondo visibile non è più di un trompe l'oeil di chi desidera un momento di fuga dalla legge del Paradiso in cui ci ritroviamo. Lessi che il Paradiso non è una meta (O qualcosa così), e mi sembra vero: ciò che perdemmo non è stato ritrovato, non c'è rifugio nella trascendenza, 268 scrisse qualcuno altrove, certo, anche se qui nell'orticello non sembra, tra i fiori di pesco che cominciano a tinger le ali di rosa, qui, dove cadute non si prevedono. Che cosa ci riporta il mito dal mondo dei morti? Cosa comincia come una verosimiglianza e finisce in estasi, prendendoci per mano, portandoci dal silenzio all'afasia? Cosa ci scardina dalla roccia con tanto dolore, come se le sirene avesser qualcosa da dirci dalle loro spiagge di trifoglio, le parole di quella loro canzone traducibili, nota dopo nota? Come se l'inesprimibile fosse reso inesprimibile… A journal of souther rivers Ciò che rimane è ciò con cui inizi. Che c'entri, o anima mia, col Paradiso, ad esempio, è dove iniziai io, nel marzo 1959 la mia domanda non è mai cambiata, l'angelo nero ha sempre dormito sulle mie labbra, sempre il lamento della colomba nella mimosa i volti blu dei trasfigurati due volte che chiudono i loro occhi di pietra. Amore per il mondo fisico, una gloria liquida, invece di un'eternità misurata dipinta e paralizzata da una fine all'altra, l'angelo nero ha sempre dormito sulle mie labbra, sempre il lamento della colomba nella mimosa, i volti blu dei trasfigurati due volte che chiudono i loro occhi di pietra. Viaggiamo con un piede in ciascun mondo, l'esserci è in ogni cosa come un sasso nelle scarpe, la via, e viaggiando Cielo coperto, vento del sud, il Montana al principio di luglio, 269 fuoco nella stufa, cardo, millefoglie e trifoglio rosso che risplendono sul vecchio sentiero. Due beccacce sfilano veloci sul prato. Uno richiama dall'acquitrino. Freddo giovedì piovoso. Se esistere è Essere, come dice Martin Heidegger, non c'è altra domanda, né altra risposta, importante. Attoniti, sgomenti, riguadagnamoci in questo mondo. Non ce ne sono altri. La luna intera e il cielo intero sono riflessi in una goccia di rugiada nell'erba. La profondità della goccia è l'altezza della luna Tutto svanisce oltre l'io, curvato o a picco. La secca erba estiva è fragile come capelli. Ammiriamo gli insetti che capiscono le vie celesti, la selva illuminata che ci abbaglia di tanto in tanto, la vicinanza del nulla, il solo spirito che giace alle radici di ogni cosa. Ogni agosto diventa simile all'altro, così tanti anni posati nudi sotto un cielo d'acqua. I suoni dell'estate sono ovunque: a cinquantadue anni, com'è difficile ancora affrontare tutto e non tirarsi indietro. Quante vite occorrono, quante occasioni prima che quella giusta sia recitata fino in fondo? Come fidarci delle parole certe e vere, scritte con inchiostro blu? L'ambra ricorda il pino? Il tuono di settembre prepara la barricata prima dell'attacco dall'altra parte del Blue Ridge. Le nuvole abbuiano strato a strato, il muso flash del lampo le brucia da sotto. 270 Il paesaggio si schiude a poco a poco alle scintille, alle leni sfere di pioggia. Quanto facilmente una cosa viene e un'altra va quanto presto diventiamo gli accoliti del nulla. E l'altare del nulla ci redime e ci rende compiuti ora per la prima volta, e ciò che siamo è ciò che non siamo, estatici e sconosciuti. Resiste soltanto ciò che iniziammo. Di chi sono le ombre che danzano capovolte nei fiumi del sud? Cinquantadue anni sono passati come il volgere di un palmo… Ars poetica Mi piace qui dietro sotto il verde svariare dell'albero del pepe e dell'aloe. Mi piace perché il vento sfronda le foglie senza una parola. Mi piace perché il vento si ripete e anche le foglie. Mi piace perché mi sento meglio qui che là, circondato da feticci e figure retoriche: dente di cane, dente di balena, scarpe paterne, il morto peso dell'inverno, l'indefinibile della gioia… gli spiriti sono ovunque. Ma quando li avrò richiamati dal cielo e volteggeranno e balleranno nel palmo della mia mano, cosa troverà soddisfazione? Avrò di nuovo le voci che s'alzano da terra, la stella caduta che nutre il mio sangue, questo traffico che mi logora il cuore. E niente che la fermi. 271 Ars poetica II Dopo tutti questi anni mi scopro credente credo a ciò che tuono e luce hanno da dire; credo che i sogni siano veri, e che le rappresaglie della morte siano due; credo che il mio cuore sia colmo di foglie morte e acqua nera. Morirò come una nuvola, bella, bianca, piena di nulla. Il cielo notturno è un ideogramma, una perforata carta in codice. Penso di essere il verbo di ciò-che-verrà. Lo pensa, ma è solo la Biblioteca dell'Ultima Spiaggia, la luce riflessa del Grande Equivoco. Dio è il fuoco da cui i miei piedi sono trattenuti. Cicada Ho gironzolato tutto il mattino, aprendo e chiudendo libri, sedendomi su questa e quella sedia gocciolio continuo sul lucernaio, continuo ronzio di rimpianto. Ma chi ascolta il prossimo? Attraversata la stanza, librerie, attraversata la strada, alberi estivi. Senti cosa dice il libro: Questa luce terrestre ha un gusto che seduce, dolce e pericoloso. Resisti agli incanti dell'occhio. Anche se hai piedi imbrigliati da reti di bellezza terrestre, resisti alle gratificazioni dell'occhio. Mezzogiorno piovoso ai primi di settembre. Una cicala piagnucola, la sua voce comincia ad affogare nel mondo piovoso, nulla increspa il vento, nessun suono tranne la sua canzone d'ali nere, nessuna canzone tranne la canzone delle sue ali nere. Questo vuoto in cuore, questo vuoto al cuore dell'essere, ci riempe senza che possiamo recriminare, 272 modi immensi e senza nome, guscio ardente come ambra sulla corteccia, cicala fatta di vento, foglie che soltanto ora frusciano nell'albero scuro dell'io. Se il tempo è acqua che appare e scompare in un eliotropico ciclo, questa pioggia che scorre come in una clessidra fuori dalle finestre nella grondaia misura la nostra natura muovendo il nostro corpo a tempo di musica. Il libro però dice, il tempo non è muoversi di corpi ma memoria dei movimenti del corpo. Il tempo non è acqua ma memoria d'acqua: misuriamo quel che non c'è. Misuriamo silenzi. Misuriamo il vuoto. Chickamauga Frullo di colomba tra l'erba alta. Smalto di fine estate accanto alla porta sui guanti e sulle potature della magnolia. Rumori d'opera: bip di camion in retromarcia, mazzuolo, cicala, sirena di pompieri La storia ha in mano il nostro passato come frutta avariata luce a metà mattina di fine secolo, stessa cotonina sotto i peschi ci tocca qui. Ci tocca qui e qui. La poesia è un codice senza messaggi: l'essenza della maschera non è la maschera ma la faccia che sta sotto, assoluta segregata, derelitta e peregrina. Il pettine della storia ci strapperà ben presto dalle acque fredde della soddisfazione che ci spingono ad uno ad uno nella sua soffocante luce e aria. La struttura diventa un elemento di fede, sintassi 273 e grammatica un catechista, le loro parole quel che dice il rosario, parole sgranate per il nostro scontento. Venexia II Acqua alta, acqua alta, gabbiano ancorato come il battello di Rimbaud tra i detriti, gonfi sacchi di plastica sobbalzano come sugheri all'austero, granitico sguardo di Nostra Signora, Venezia Serenissima… La marea rode la punta delle scarpe, poi le urta sotto queste sono le acque scure, buia musica che ci scora e svuota solo per inondarci di dolce e invisibile pienezza, note di stupore, note nere per lasciar la vita. L'angelo della Morte, corno d'oro, manto d'oro, vacilla sulla prua della gondola, scintillante di pioggia, quieto nella sferza. Sotto la data del funesto destino in tempesta, brilla la sua solitudine marina e scivola splendida. Oltre la finestra, Rio San Paolo s'agita, fa burrasca. La luce del traghetto brucia come un'anima del Catar che torna sulla stanca marea che scende gli scalini inverditi della Salute. Questa ora è terminale, la sua campana roltola da Santa Maria Gloriosa dei Frari, ultimo anello nella catena della Speculazione, spingendoci sotto. Viene dall'acqua. Va all'acqua. Apologia pro vita sua I Come presto s'arriva alla fine della strada il fallimento, bidimensionale calcio ad un fianco, piatta luce di sogno, non ci sbloccherà o marchierà a fuoco, insidiosi cornioli nelle loro costellazioni, punti d'incrocio semicarbonizzati dolorosa via della primavera 274 esplosa in terribile profusione, nessuna direzione se non l'ascesa, nessuna verso cui voltarsi peso morto del mondo, se ne sono andati e l'hanno fatto ancora, corniolo mutilato arto della primavera, artritico, logoro d'inverno, paralizzato, le cui radici sono i capelli di mia madre. Il paesaggio è una leva di trascendenza azionala qui, o qui, e arretra di un passo, sollevala, e una luce, una piccola luce diventerà l'aureola al tuo procedere: La goccia di rugiada, goccia ultima, schiude un'intensa radiosità, riquadro di sole sulla foglia di magnolia c'invita ad entrare chi di noi avanzerà di un passo, occhielli marroni di camelia sotto i piedi, e rami di susino, cielo bianco, mezzogiorno bianco, Campane come il suono dell'inno su bocche di monaci? Diario e paesaggio - forma screditata, argomento screditato ho cercato di resuscitare entrambi, respiro e sangue, farli tornare interi Con la lingua, in rigorosa attenzione Verona mi fe', disfecemi Verona, dice la canzone l'ho canticchiata, ho ricucito lo strappo Inutilmente. Aprile. L'anno s'avvia oltre le parole, oltre me e la mia immagine, oltre il gelo della luna e il tuono dell'estate. Tutto. La carne del sacramento è carne invisibile e sostanza di spirito. Appunto. Come ogni cosa visibile, sono sempre attratto dal basso, e presto sarò ucciso e assimilato. 275 Vasello di vita, si dice, vasello di vita, distrutto e riportato a visibilità. Ed ecco, flagranza di primavera come lussuria nel frutteto costellato di fiori, L'informe forma del buio che comincia a filtrare ed emergere, il mondo visibile comincia a inclinarsi, dove io siedo il punto fermo, immobile sotto le onde del mondo. Come son simili al passato le nuvole, che s'ergono e spariscono all'orizzonte, declinano le montagne, posando l'ombra loro sotto i nostri piedi per noi che l'attraversiamo. Partoriscono fuoco e ghiaccio, ciò che ricordiamo e ci ricorda, partoriscono terra e aria. Ciononostante non possono resuscitarci o redimerci, andando, come devono, verso angoli opposti. Non sono mai state dove andiamo noi, privi di un'attitudine. Ametista, trasparenza cristallina, anello Maya o di Faraone, malocchio, antidoto alla malìa, lampo e grandine, pietra zodiacale, redentrice di ubriachezze. Porpora, colore d'introspezione, chiara visione, colore di memoria viola, che ricorda, cristalli di stella sparsi nella penombra, stelle dure. Chi può distinguere l'oscurità dall'oscuro, la luce dalla luce l'argomento dalla trama, la parte dal tutto quando il tutto è parte della parte e la parte è il suo tutto? Solitudine. Morandi, Cezanne, tutto parla di solitudine. E Rothko. Specialmente Rothko. Separazione da ciò che ci guarisce, oltre la pittura e l'arte. 276 Commiato Ciò che un tempo era gradito, non lo è più. Ciò che allietava, ora è cenere sulla lingua. Ciò che un tempo abbracciavamo, ora ci abbraccia. Le cose hanno un loro destino naturale, on line e down load misteriosi come il linguaggio delle nuvole. La mia vita è diventata così, per metà indecifrabile, per metà geografia nuova, paesaggi immobili e adombrati, memoria spanata, la sua voce fuori campo non mia. Intanto la talpa va tra fantasticherie sotterranee, i cani si stendono come tappeti, gli uccelli si nettano le piume e gli insetti lustrano i gusci. Nessuna evasione qui, nessun'ansia nel formicaio. Quel che accade accade, e ciò che accadde, prima non fu mai. Eppure chi vuole una vita così, nessun dopo e nessun prima, nessun ieri, nessun oggi, il domani un momento per nessuno? Per me prenderò le cose che svaniscono, il traffico che dirada sulla strada diritta, il buio e il resto, le stelle erranti, da ovunque provengano, ovunque vadano. Apologia Alcuni nomi sono ovunque - sopra sotto, celati rivelati. Li definiamo saggi, perché la saggezza della morte è definita saggezza minore. E il mio nome? E il tuo? Dove li troveremo? In quale tasca? Ovunque siano, è meglio lasciarli là ignoti Le parole parlano da sole, l'anonimità parla da sola. Il Maestro Ignoto della Poesia Pura passeggia di notte fra le sue rose, nel giardino preparato proprio da suo figlio. Ogni tanto si siede. Ogni tanto si rialza… Pesante, pesante, pesante volta sospesa sulle nostre teste. Colore di Giugno. Quante vite occorrono per farne una? 277 Questa la conosco di sicuro, altre, come insetti nell'ambra, restano dorate in agguato nascoste. Trentacinque gradi all'ombra, umidità vasta e compatta, sole di mezzogiorno come un disco laser. La gracola ancheggia nel suo abito di luci, la crocifissione sulla sua schiena. L'Affetto è l'assoluto a cui tutto ascende, dettaglio della devozione, somma di ogni nostra dispersione, impronta che brilla e sgombra l'ombra della vita. Forse è troppo facile, ma ancora vero, viluppi di caprifoglio e edera sboccano dalla siepe, becco e lingua bianca di magnolia, sgravio del paesaggio, bisbiglio d'amore. Meditation on Song and Structure Amo svegliarmi al cu cu della colomba che si lamenta all'alba come una droga che maschera i cattivi effetti di un'altra. Mi dice che va tutto bene quando so che invece è vero il contrario. Riordina i segni del paesaggio, le strutture del giorno. Per un momento fa diventare impossibile ciò che si era oscurato. E ciò, disse un tale, è la grazia ma questo uccello è un'altra cosa. Alba sulle colline umbre. Nelle fessure delle persiane s'accumulano e colano sottili lingotti di luce. Quest'uccello ha qualcosa da dire una musica acquosa, lunghe improvvisazioni, variazioni liquide ma non per me, tirato fuori come un peso morto dalle turbolenze del sonno, non per me, il prediletto della depressione, masturbatore della storia, non per me… Due volte, ora, ho udito l'usignolo. Prima nella prima luce di un'alba grigio-polvere, poi a mezzanotte, dopo una settimana, accompagnando il mio amico al pargheggio di Todi, luna che seduce dietro cumuli fangosi di nubi, 278 un pentimento di luce improvvisa, come l'opera di un ragno o di un uccello. Senti, disse il mio amico, Shh, è l'usignolo, the nightingale, mentre l'uccello e il suo canto percorrevano la collina, come un brillio lieve d'acqua in onde e gorgoglii. Silenzio. Nessuna luna, nessuna moto, nessun uccello. Il silenzio di qualcosa arrivato e partito. Usignolo, uccello fantasma, canto fantasma, mano che cuci e trami la notte, accendi un cero per me. Rondini sugli spalti e tegole rosse modellate da cosce, merlature squadrate, città guelfa. Rondini sullo sfondo affrescato di colline arate come piccoli squali nell'aria dipinta, come frenate dalla marea, blocco d'onda colorata d'acqua. Rondini che sfrecciano, pesci nell'aria alabastro, puliscono il pulito nutrendosi di visibile e invisibile. Tornare come una di loro! Libero nella luce del paesaggio, lingua senza parole, parte ineffabile del dipinto ignorato, trascinato dal moto lunare, quasi un cittadino del divino steso come una tovaglia dorata nell'ovunque quale sentenza, quale opera di dolce magia. Il canto di un merlo sull'acqua nera. Sono a sud o a nord della mia morte, a ovest o a est del colpo finale? In North Caroline, mezzo secolo fa, un canto d'uccello sull'acqua nera, biblico lago Llewellyn color della notte, merlo, in gola l'anima, come luce, piccola luce nel buio grande. Spento zodiaco, poi un click e cieli coperti di nuvole. Canto d'uccello sull'acqua nera. Ricordo come una canzone conteneva molti canti, come ora, la stessa canzone sopra la pozza nel campo vicino, e la mia illanguidisce, molti canti, una stagione intera, 279 molte voci, luce che riconduce al silenzio, suono della prima voce. Medievale, prelatizio, perché il cardinale maschio canta quel canto, omissis dall'eminente eucalipto? Cosa sa? Silenzio, omissis, silenzio Pomeriggio che si sfalda a piccoli pezzi dalla tangenziale squarci di sirena il tatuaggio del vuoto, Nulla Importa, un motto sui nostri cuori bianchi? Secondo Cioran la natura aborre l'originalità. Ma io dico che il paesaggio la desidera resta in giardino un carico di solitudine nella risacca dell'ultima luce cardinale esala i miei peccati, aiutami a ridimensionare, ad eliminare, ricordami che la visione è unica, che l'eccesso è regresso, che più d'abbastanza è troppo, che la concentrazione è tutto. Black zodiac Scuriti dal tempo i maestri si mischiano e confondono. Come le nostre memorie siedono sulle panchine in giardino, come aria senza un senso, aria nella sua luminosa nullità che dire a ciascuno di loro? Come riescono ad essere così scuri e chiari allo stesso tempo? Ci arruffano i capelli, arruffano le foglie degli alberi in agosto. All'improvviso, come il vento, si fermano. Tornano le mosche e il caldo che dirgli? Soltanto il cielo è infinito. Tornano le mosche, e il pomeriggio trema un po' sui suoi margini verdi poi cade come un peso morto accanto ai nostri ricordi, ai pallidi orli delle toghe dei maestri. Coloro che cercheranno Dio grideranno preghiere. Forse. O forse no polvere e cenere che siamo, alcuni se ne andranno senza parole, altri ascolteranno le loro ragioni uscire dalle loro bocche 280 dove li riduce il dolore ad un palmo e mezzo dal pavimento e altri l'oltraggeranno per amore e sdegno profondo. I cancelli della grazia, come un eclisse, oscurano ogni nostra cosa in basso. File di lapidi fermano i nostri passi, umidità di agosto rifulge come aure attorno ai nostri corpi. Altri pronunceranno le parole, parlando spaventati, odiando i loro abiti macchiati dalla carne. Scelti dalla sorte, cancellati due volte. Dante e Giovanni Crisostomo forse scambierebbero questo pomeriggio per una mappa siderale la via di un pellegrino… Anche tu potresti sotto il preitterico profilo del quarto di luna nuvole vogano sotto la volta celeste come un racconto di ciò che sarà, ciò che non è accaduto da accadere ancora che si nasconde ancora sotto le stelle, 31 agosto 1995… Il dopo la vita di insetti, graffiti dello spazio, buchi bianchi nel paesaggio, cose tali, tali strade conducono alla polvere e trattano con disinvoltura il nostro dolore. Blu cielo, blu d'infinito, acque blu sopra la terra perché le grandi storie sono sempre al passato? La vita inesplorata non è diversa dalla vita esplorata Domande senza risposta, vaniloquio, teoremi senza prove, questioni irrisolte da tanto devi scrivere tutto. Paesaggio o marina, distesa di luce sul verde scuro sbarramento della sera, devi scrivere tutto. Fazzoletto di memoria, sogno di morte e automobile sonno di Dio, devi ancora scrivere tutto, luna mezza vuota, luna mezza piena, notte senza stelle, senza ego, notte nero sangue, nero preghiera, ragno che tesse tra le siepi, 281 ultimo richiamo d'uccello, un rospo tra l'umidità, una raganella al secco… Andiamo alla tomba con affetti secondari, soddisfazione di seconda mano, mezz'anima, carte stellari smagnetizzate. Ci andiamo con gli abiti migliori. Mentre gli uccelli volano e le nuvole passano sicuramente siamo freddi e intoccabili, ma senza cattive intenzioni. Nessun dente avvelenato di risentimento, ne siamo ormai fuori, e carne dolce calligrafi dei disincarnati, scrivani di Dio quali lettere illumineremo? Sopra noi l'atmosfera il nulla che non c'è, dà il via, aspettando ordini le grandi costellazioni scartano e sussultano sopra di noi, le lettere tornano chiare, vengono avanti, la tua x e la mia x. Le lettere tornano chiare, vengono avanti. Evasori di memoria, suono notturno della serra, spirito di sdrucciolii e silenzi, Mano Invisibile, testimoniate e passate oltre. Signori del discontinuo, signori dei piccoli gesti, soccorretemi nella trasformazione, e salvatemi… Tutto il pomeriggio è piovuto nella mente e in giardino e nel frutteto. Tutto il pomeriggio il lessico di fine estate ha voltato le sue pagine sotto la pioggia, per la parola necessaria. L'autunno è su noi. La pioggia colma i nostri letti angusti. La descrizione è un elemento come l'aria o l'acqua. Ecco la parola. Stray paragraphs A est della città la campagna si spiana, scivola liscia verso la battigia e l'aspro Atlantico Ho scoperto che l'amore per il paesaggio è l'affetto del rimpianto: uniti per sempre, da sempre separati, fuori di noi eppure noi stessi. La rinuncia è dura da imparare e ora è la nostra estasi. 282 Ma se Dio fosse nei paraggi ingoierebbe i nostri sospiri nel suo nulla. La feccia dell'infinito mi cola lenta nel sangue, rami spezzati dai forti venti, erba morta e sottobosco il sicuro accumulo di tutto ciò che resta non rivelato cresce come neve nei miei luoghi spogli. Non si può vivere una vita in fiamme. Le nostre vite s'illuminano come i cuori dei santi, bruciati tra terra e cielo. Febbraio, antico seduttore, ritagliaci un po' di spazio, sgretolii d'osso su osso, malinconica musica. Solleva quell'angolo lontano di paesaggio, laggiù a ovest. Dacci un po' di luce profonda arteriale. Stray paragraphs in april Solo i morti possono rinascere, e neanche tanto. Vorrei essere una talpa sotterranea, occhi capaci di vedere al buio. Attento senza un oggetto d'attenzione, infelice senza un oggetto d'infelicità preghiera di cane, diminuzione… Se potessimo camminare per cent'anni, non faremmo mai un passo verso il cielo occorre attendere l'adunata. Due cardinali, due grumi di sangue scagliati nelle fredde, invisibili arterie dell'aria. Se mai si fermeranno, il cielo si fermerà. L'afflizione è un dono, pensava Simon Weil il mondo diventa più ricco in una luce più severa. Aprile, cortigiano antico, mese in gran stile, inumidisci le nostre bocche. Il denso e umido e freddo e scuro s'incontrano qui. L'anima è aria e ci mantiene. 283 Ophus posthumos Opera d'opossum, lussuria alla finestra bizantina venerdì in Appalachia. Aspetta, vecchia vita scheletrica, c'è dell'altro se ho capito bene. Perfino l'angelo più radioso è oscurato dal tempo, perfino la macchina più affilata è smussata e superata dalla notte. Malvagio fine agosto, perso peso malvagio di sospiro e naufragio estivo. Ora è settembre, messo in scena per metter piede sull'altra sponda, mentre attorno al suo petto sbocciano uragani come corolle di margherite. Sappiamo dov'è stato. Sappiamo il gran segreto che cela, così buio e segregato e speriamo bene, pregandolo che ce lo bisbigli almeno una volta. Il segreto della lingua è il segreto della malattia. Opus posthumos II Seduto ma come sospeso a qualcosa nella quiete della mia sedia a sdraio, ignorato e ultraterreno. Non c'è assoluzione, né corpo di luce e elegia. essun corpo di fuoco. È come se un angelo avesse solcato il portico, una conflagrazione amplificata, estinta, poi di nuovo sepolta. Nessun perdono, né nutrimento. È marzo, e i famelici si nutrono della mia bocca. Ubi amor, ibi oculis, l'amore vede ciò che l'occhio vede più o meno ripetutamente. Qui pare proprio così, i cancelli dell'harbor vitae i cancelli della pietà guarda O guarda si nutrono dalla mia bocca. 284 Opus poshumos III Fuso mezz'agosto, Assurbanipal a ovest, arse torri di nubi, troni che crollano gli antichi sapevano esiger bilanci alla fine di ogni cosa, ardente cuore contro ardente piuma di verità. Addolcite labbra, grandi occhi di ibis, nei geroglifici d'acero lo scriverò. Da una vita attendo una luce lenta, questa, che misera comincia a filtrare, blu rame, dall'angolo alto destro delle cose, giù fra gli alberi e oltre il giardino, l'ho attesa innalzarsi e cadere, come ora tra i lapislazzuli del tardo pomeriggio. Fino a quando le nuvole si fermano e cacciono. Fino a quando la siepe sinistra e la siepe destra, gli insetti e i piccoli cani, il porticato sul retro e le rondini della rimessa si dissolvono e spariscono. Fino a quando la tangenziale si gonfia di silenzio, fino a quando l'erba patisce. E fino a quando più nulla rimane. The appalachian book of the dead II Tardo sabato pomeriggio a Charlotesville. Giorno di Colombo, senza vento o rimosso, giorno di Colombo, sole come scotch appiccicato alle foglie di magnolia malate d'occidente. I bimbi fanno i loro giochi sciocchi dietro il giardino, monotono giorno di Colombo senza campane. La disperazione è carne dolce che al via azzannerei un paio di volte. E l'ottobre rosso dov'è? E il suo sbuffo di fumo bianco? Un'altra pagina strappata dal libro Appalachiano dei Morti, indifferente silenzio dei cieli, indifferente silenzio del mondo. Gerusalemme, dico piano, Gerusalemme, l'altare della sera stende piano il suo panno nero sull'abside orientale delle cose 285 l'anima che desidera tornare a casa, desidera la propria distruzione, si sa, il che non fermò mai nessuno, paura e terrore su ogni centimetro di terra, benchè bella sia ancora, a ovest, la luce, che s'innalza purpurea, bianco-scarlatta. The appalachian book of dead III Luna che illumina la sua maiuscola L Libro appalachiano dei morti, 22 febbraio 1997 la luna piove, the moon rains antibiotica luce sul triste settico mondo geroglifici sul prato, sospiri supplicanti per l'altra sponda, sono puro, puro, puro… L'anima è nel corpo come la luce nell'aria, pensa Plotino. Non so che dire, ma The moon rains, splendendo ovunque sotto di lei disordine, sopra manciate di stelle qua e là Se ci affligge qualcosa, lo fa per sempre. Quest'Egittologia nel vento, tali pennellate dure, luna che cala alle due dal suo lato sinistro. Ancora la leggera mente di Dio, antri silenziosi dove le stagioni non esistono. Arriverà di sicuro un qualche splendore, una qualche equazione ultima, chiarita, risolta. Vento del sud e un lungo rifulgere, paradiso da poco… The appalachian book V Mezzo addormentato sulla veranda del retro, ronzio di vespa lento, falciatrice che va e viene nel giardino accanto, ombre aggressive di foglie d'acero muovono le chele nel timido sole inquietudine che langue sulle tavole di pino appena tinte. Mezzo silenzio, traffico delle 17, mezzo silenzio, scale di violino. 286 ,The appalachian book VI Ultima pagina, Il libro appalachiano dei morti, plenilunio nessuno si abbraccia, nessun labbro all'orecchio, barriere di nuvole e voce bianca di soprano dal bordo orientale delle cose tonfo di pallone, ringhio d'autotreno a destra, fuoriscena, attesa, ago tremolante a nord nord ovest. Ed ecco l'angelo, con tamburo e ali. Che ali. I giorni perduti, come dice Meng Chiao, finestrella di parole attraverso cui sentiamo il buio. Al buio, luna fermata dalla barriera di nuvole, luce liscia che cade e scivola a lungo, né labbra né orecchie. Distante mormorio di voci femminili. Ho sentito che il verbo è facilitare. Facilitare. Azzurro, salire, salire nell'azzurro. Gioia illeggible Nessun secondo cielo. Né primo. Forse è meglio stendersi qui per un po', con la schiena lungo il pavimento. Si dice che il giorno sanguini. Si dice che la parola giusta leverà il respiro. Spring storm Dopo la pioggia, un piccolo Buddha in ogni goccia, dopo la pioggia, un piccolo arcobaleno in ognuna, sole come monocolo, Doge veneziano in rivista, che poi spinge le nuvole a serrarsi. I cinesi possono guidarti a molte cose, ma non all'altra riva, l'acqua prima riflette il fuoco del sole, poi non più. E le stelle continuano ad andare nessuno può fissarle ad un punto. Occhio di Doge da sotto le nubi, il cielo incolonna ali di querce, non viste, si muovono le stelle dietro l'onda di luce, grande fiume. La fine del desiderio è il principio della saggezza, 287 ci diciamo sempre, corvo solitario nella macchia di sole, nero su nero, ruota sul prato. The writing life Dammi i nomi delle cose, quelli veri, non quelli che gli diamo noi, ma quelli che usano tra loro quando nessuno le ascolta A mezzanotte, gli abeti placcati di luna come campane sospese, e Dio che erra altrove senza una meta. I nomi loro, i loro nomi segreti. Dicembre. Ogni cosa nera e bruna. O metà nera e metà bruna. Ciò che vive ancora mi abbraccia, amen dai sempreverdi che vogliono il mio cuore sulle loro maniche nervate. Perché non riesco ad ascoltarli? Perché non riesco ad offrire il mio cuore a ciò che esausto si mostra chiaramente? Restituzione del divino in una circostanza secolare pagina 10, libro Appalachiano dei Morti, quella con l'orecchia luce a punta di laser che precede il solstizio invernale, sole in Capricorno, sporche foglie morte e ghiaccio, sul marciapiede, sul vialetto. Giorni brevi. Giorni brevi. Il buio sorprende la luce presto, mozza la mano. Landscape as metaphor Agosto. Montana. Il taccuino nero ancora aperto. Attraverso il blu-venato, piatta duna, intimo vuoto della pagina, un minuscolo insetto alato s'è messo in viaggio a piedi. Credo seguirò il suo sentiero bianco. Fermar la mente alla linea dell'inchiostro, affidare un cuore all'oscuro inconoscibile non è vano e lontano? Da qui le vite nostre continuano ad andare come spore di foglie nel bagno lunare, abeti e giovani ciente stanno a guardia come 288 cani egiziani all'inizio del prato, farfalle s'adunano come angeli, ma Dio piega i nostri colli al suolo, nonostante le stelle volino come cotone, propizie, alte, nel vento di mezzanotte. Non c'è vento che non raggiungano e superino. Tregua del vento, metà mattina, il cielo di stanotte schermato, monastico, grandioso, dietro l'iconostasi del bagliore, papaveri gialli impronte di labbra sul muro di tronchi, parole lunari della sorella defunta come impronte di labbra… S'arriva a tanto?... Il sole non splende sulla groppa dello stesso cane ogni giorno. Soltanto tu, Fragranza, puoi giudicarci e proseguire. 289 Indice 3 Simon Armitage 12 Samuel Beckett 23 Elizabeth Bishop 32 Emily Bronte 36 George Byron 60 Raymond Carver 66 E.E. Cummings 69 Emily Dickinson 91 Thomas Stearns Eliot 120 Robert Frost 126 Seamus Heaney 155 Gerald Manley Hopkins 157 James Joice 160 Jack Kerouac 162 Robert Lowell 186 Edgar Lee Masters 190 James Merrill 194 Silvya Plath 197 Ezra Pound 201 Robin Robertson 209 William Shakespeare 225 Percy Bysshe Shelley 233 Wallace Stevens 251 Mark Strand 259 Dylan Thomas 261 Derek Walcott 264 Charles Wright 290