quaderno di traduzioni

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quaderno di traduzioni
Andrea Valenti
Quaderno di traduzioni
Simon Armitage
Samuel Beckett
Elizabeth Bishop
Emily Bronte
George Byron
Raymond Carver
E.E. Cummings
Emily Dickinson
Thomas Stearns Eliot
Robert Frost
Seamus Heaney
Gerald Manley Hopkins
James Joice
Jack Kerouac
Robert Lowell
Edgar Lee Masters
James Merrill
Silvya Plath
Ezra Pound
Robin Robertson
William Shakespeare
Percy Bysshe Shelley
Wallace Stevens
Mark Strand
Dylan Thomas
Derek Walcott
Charles Wright
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Simon Armitage
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"My party piece"
Il mio pezzo forte:
accendo un fiammifero, e da quando balugina
la fiamma, a quando la luce supera
se stessa e muore, io racconto la storia
della mia vita data e luoghi, le verità portate,
nomi e volti, tanti, chi
mi ha dimostrato amore, chi c'è andato vicino,
i cambiamenti fatti, le lezioni prese poi trovo pure il tempo di esitare e arrossire
prima che la fiamma morda e bruci.
Ma un consiglio a chi culli
una sola oncia di tristezza, a chi è solo:
non fatelo; è pericoloso,
folle.
I am very bothered when I think
Mi rattrista davvero ricordare
tutto il male che ho fatto.
Anche la volta al laboratorio di chimica
quando presi per le lame un paio di forbici
e ho temuto l'impugnatura
sulla viva fiamma lilla di un becco Bunsen;
poi ho chiamato te e te le ho passate.
O, il tanfo della pelle bruciata,
quando infilasti pollice e medio
senza a riuscire a liberarti dai due anelli
roventi. Segnata, disse il dottore,
eternamente.
Ma ti prego di non credermi, se dico
che era il mio modo da tredicenne maldestro
di chiederti in sposa.
No convictions
Senza convinzioni - questo il mio unico grande difetto.
Nulla che mi spinga ad urlare, nulla
per scatenare un inferno o fare una canzone
per ballarci su.
Potrei essere incontenibile,
uno che di notte s'impregna di benzina,
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uno che s'infiamma per il mondo intero,
il sangue che ribolle, capelli che s'arricciano.
Ho un neo tre pollici a sud est
del naso, un cuore che gareggia
con un orologio da taschino, un pugno
che s'apre come un coltellino svizzero,
e trucchetti che che fan scattare applausi
spontanei.
Ma non ho causa, nessuna causa.
Some unimportant
A volte una parola non importante
o una frase mi ronza in testa per giorni.
Accendere e rimanere a distanza.
Non avvicinarsi ad una girandola accesa.
Stasera sono vuoto fuso parcheggiato
in garage con il motore acceso al buio.
Chi mi conosce mi tiene a distanza
gli altri mi vorrebbero veder morto.
Non ancora.
Strappo dal libro l'ultimo fiammifero
un'unica strisciata secca
sul parabrezza. Sul vetro
c'è la mia immagine colta sul fatto conduce luce fino a quando il calore
sfiora il pollice e le dita, sblocca
la mano, mi scuote, attiva
qualcosa nel flash del mio cuore.
To poverty
Sei qui di nuovo, dopo essere stata per anni
nei paraggi. Accomodati.
Ne riconosco l'ombra ovunque, quella silhouette
senza volto, quella forma. Sii mia ospite,
vivremo fianco a fianco
come siamesi uniti alla tasca.
Troppo a lungo ho tentato di evitarti.
L'inverno scorso quando avesti l'influenza
avrei dovuto svignarmela, e invece
ti ho dato ogni responsabilità, la malattia, sangue marcio.
È freddo di nuovo, avvicinati al fuoco, alla luce,
fatti riconoscer meglio.
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Quanto male mi hai fatto:
tutte quelle domeniche
che m'hai lasciato al buio
al rosso a terra senza lavoro.
Interminabili settimane a pane senza burro,
a letto senza cena.
La volta in cui sfondando il capodanno di Schofield
mi spezzai entrambe le gambe,
e Schofield non poteva staccare
una gamba dal tavolo per farci una stecca.
Rimasi immobile tredici settimane.
Un povero può solo aspettare. E aspettare.
Perché mi stai addosso? Va dalla Regina,
premi sul dotore, sul decano,
alita sul maggiore,
spremi il massone o il manager,
va a Londra, o da un romanziere
da scocciare e prosciugare.
Ma ripensandoci, resta.
Tutti dobbiamo avere qualcuno vicino
da accoltellare alla schiena.
L'ha detto Robert Frost. E poi
è meglio averti sott'occhio
che alle spalle
ad ogni svolta in ogni strada in ogni città.
Siediti, va. Ho detto siediti.
White christmas
E per una volta è bianco Natale,
tanto bianco che le strade sono impraticabili,
e mia moglie è bloccata in una città
non percorsa da trattori o spazzaneve.
È a letto sveglia e sola. Chiama
e ci passiamo i regali al telefono.
Il mio è un orologio, proprio quello
che avrei scelto. Il suo è una canzone,
quella che fa Here come the hills of time
e resta nella copertina
nessuno la canta, la scarta. Il cane di sotto
però sbuffa, rosicchia, latra
così lo porto sulla neve limpida
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lungo il canale fino alla rimessa delle barche
poi fino a casa dei miei
dove mia madre è Marie Curie che scopre
il radio in cucina e mio padre è Fred Flinstone,
e un'ospite del passato con un'espressione
che dice, menti, ragazzo: farò una collana
coi tuoi denti e orecchini coi tuoi occhi,
e colazione con le cazzate che racconti,
poi c'è Gesù, la mia nipotina di due anni,
passa tra noi con il frutto della terra
e la luce del mondo - Christingle - un'arancia rossa
infilzata con una candale accesa.
Mangiamo, ma il cane questua
beve dal cesso, canta in cantina.
Solo Gesù m'accompagna sotto le scale
con un osso.
Poi, quando sto per andarmene
vuole stringermi la mano, ma mi pesano
le braccia, fatte di vile metallo,
e il cane mi trascina verso la strada buia,
di nuovo alla casa vuota. Passa
mia sorella in auto
e per darmi la buonanotte
solleva un braccio del Gesù che dorme,
ma io guardo l'ora e mi sento
come il tizio della barzelletta, quello
che in un mondo d'amici con gli orologi
fermi
sincronizza il suo.
Song of the west men
Nel lontano del lontano
dalle isole delle isole
accanto alle rocce delle rocce
che le urie striano
con la merda della loro merda,
un peschereccio colò a picco
nell'onda delle onde,
e un pescatore nuotò
per la vita della sua vita
attraverso il crescere dell'acqua
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a temperatura un grado.
E le ossa delle sue ossa
erano più fredde della pietra
ed il suo sangue andava
più lento del lento.
Arrivò a terra
dove le scogliere delle scogliere
erano più ripide del ripido,
dove pascolavano pecore
con i denti dei loro
denti.
Allora puntò di nuovo
verso la spiaggia,
e si ritrovò tra la lava
che lo scarnificò
fino ai piedi dei suoi piedi
e arrivò a una porta
con il decimo di un racconto
più inverosimile dell'inverosimile,
freddo e sanguinante come un uomo
uscito dal frigo. Eppure vivo.
Il bene del bene
verrà per questa strada, dicono:
logoro e lacero,
improbabile e fuori dalla tempesta
sempre che venga.
For the record
È da quando brutalmente
m'hanno estratto quattro denti del giudizio
che mi sono ritrovato a parlare
con la bocca di un altro, come dire,
e la mia lingua è diventata un mollusco
simile a un'ostrica o a una vongola
violata, penetrata, che si lecca
le ferite dentro la conchiglia.
M'ha intrappolato nel sonno uno sorridente,
che m'ha passato la dose
come uno zio passa al nipote preferito
dieci sterline, proprio così,
col dorso della mano e l'occhiolino.
Sono finito nel mondo dei sogni,
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ma mi sono risvegliato urlando,
desiderando stringere la mano all'infermiera.
Prima di questa, l'unica esperienza
sotto i ferri risale ai miei cinque anni,
quando le tonsille appese in gola
come pipistrelli in fondo ad una caverna
andavano stanate. Ma fu
una stronzata in confronto a questa:
tra le altre cose ci sono voluti
tre uomini bene in carne, una chiave inglese
e la lussazione della mandibola.
Non è forse un abuso della forza?
Un po' come cacciare una famiglia
di quattro persone trascinandole fuori
mentre strillano e tirano calci aggrappandosi
ai mobili.
Come voler far passare i quattro angoli
della terra attraverso l'Arco di Trionfo.
Si potrebbe anche pensare che il progresso
medico
possa estrarre denti come quelli
dalle orecchie o dall'ano,
o frantumarli come calcoli renali
con il laser a sicura distanza.
Ma pare
non ci siano stati i barcollanti passi in avanti
rispetto a quando il dentista piazzava scranni
alle fiere
o in circhi itineranti.
Mi torna in mente anche Jhon Henry Small
di Devizes, che si ficcò un pugno in bocca
e non riusciva a risputarlo
e quando gli rimossero la mano
vennero fuori anche canini e incisivi.
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The ram
Mezzo morto, travolto da un'auto, in ogni sua forma
scattavano i nervi, come un pesce sul prato.
Per finirlo, mi chiede di salire
sulla sua gola, come chiedesse ad un amico
di tenere stretto con un dito, un nodo da stringere.
Poi gli sollevò la testa, la fece ruotare mezzo giro
usando le ammoniti, membrane spirografidi delle corna
fino agli occhi, su filamenti, guardavano indietro le ossa.
Canis major
A piedi lungo le colline, un cane
si unì a noi e per oltre venti miglia
non volle tornare nonostante uno di noi lo picchiasse.
A disagio, pensammo di pagargli un taxi
che lo riportasse a sud, ma mezzo morto zoppicò
verso la casa dove guarda caso abitava,
la stessa, guarda caso, dove avremmo dormito.
Così morì quieto sotto il tavolo mentre cenavamo.
Leo minor
Quando arrivarono le foto storiche
del primo gatto verde autentico,
non ero rintracciabile, guardavo
in bianco e nero un set preso a nolo.
E pensai a mia madre dentro casa
il giorno in cui assassinarono Kennedy,
guanti di plastica, a pianger vere lacrime
sui piatti da lavare.
Canis minor
Avevamo preso dalla credenza il cane
di porcellana che predice il tempo:
azzurro per la neve oro d'estate.
Luce invernale quando mia sorella si chiede
se il suo Einstein di due anni sia adatto
a segni e stagioni di questo o di un altro mondo.
Il cimelio di famiglia, il suo senso di futuro
dov'è ora, nelle mani di chi e di che colore?
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Incredible
Dopo la prima fase e la grande caduta
tra le assi del pavimento al piano di sotto,
l'atterraggio morbido e in piedi alto un pollice
nel maestoso tempio tra le gambe del tavolo
o, sempre un pollice, nel letto di una scatola di cerini…
E dopo le guerre ben documentate:
il gatto in mimetica da deserto
il ragno nel suo carro d'arti,
il passero nel suo aereo ad un posto solo…
Dopo quello, di nuovo tutto in scala.
Sorgere di ultimo sorriso umano.
La pura inconseguenza della nudità,
l'obsolescenza poi di carne ed ossa.
Gonfio ogni atomo, quelle molecole
divennero palle da biliardo e passarono come lune.
Neutrini spuntati e sbocciati, ogni capocchia di spillo
divenne portale vicino e spalancato.
Ma le stecche da una iarda, sostegni per fossi,
si torsero, fallirono.
Passarono vite. Con la massa critica
poco più di un pensiero di pensiero
andai avanti fino al punto di cessazione.
Cercai una fine, una dimensione
per resistere, ma ancora esisto.
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Samuel Beckett
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All strange away
Morta immaginazione immagina. Un luogo, lo stesso. Mai un nuovo quesito. Un
luogo. E lì qualcuno, lo stesso. Striscia fuori dal sudicio letto di morte e spingilo
altrove e muòrici. Fuori, giù in strada, nel vecchio cappotto cappello come dopo la
guerra, no, non lo stesso. Cinque piedi quadrati, altezza sei, senza ingresso, senza
uscita, prova a cercarlo lì. Sgabello, pareti spoglie quando la luce s’accende. Volti di
donna alle pareti quando la luce s’accende.
Buio, e fa che lui sia sullo sgabello che parla da solo all’ultima persona, mormorando,
suono alcuno, Ora dove è, no, Ora è qui. Seduto, fermo, camminando, in ginocchio,
trascinandosi, giacente, arrampicato, al buio e alla luce, tu prova tutto. Immagina la
luce.
Roundelay
lungo tutta la spiaggia
al termine del giorno
i passi unico suono
unico lungo suono
finchè spontaneamente non si fermano
e allora nessun suono
lungo tutta la spiaggia
a lungo nessun suono
finchè spontaneamente non riprendono
i passi unico suono
unico lungo suono
lungo tutta la spiaggia
alla fine del giorno
Song
L’età è quando un uomo
raggomitolato vicino al fuoco
rabbrividisce, cosicchè la strega
si ricordi di portar lo scaldino
ed il grog fumante.
E viene tra le ceneri
lei, l’amata mai posseduta
o l’altra, posseduta senza amore
o qualcosa di simile
arriva dalle ceneri
in quella vecchia luce
quel volto nelle ceneri
vecchia luce di stelle
di nuovo sulla terra.
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Cascando
I
perché no semplice disperar di
occasione
di pronunciarsi
non è meglio l’aborto che esser sterili
dopo che te ne vai le ore son plumbee
e sempre troppo presto esse cominciano
One night as he sat at his table…
Mentre sedeva al suo tavolo di notte
la testa tra le mani
vide se stesso
alzarsi e andarsene.
Una notte o un giorno.
Perché
quando l'unica luce si spense
non restò al buio.
Una specie di luce arrivava
dall'unica alta finestra.
Ancora lì sotto lo sgabello
sul quale finchè non poteva
o non voleva più
era solito salire per vedere il cielo.
Perché non si sporgesse per vedere
cosa giacesse sotto
era forse perché
la finestra
non si poteva aprire
o perché
egli non poteva
o non voleva aprirla.
Forse sapeva
anche troppo bene
cosa giacesse sotto
e non desiderava vederlo ancora.
Semplicemente voleva restarsene
là in alto
sopra la terra a vedere
attraverso il vetro sporco
il cielo privo di nuvole.
La sua immutabile debole luce
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diversa da ogni altra luce
poteva ricordarla
dai giorni e dalle notti
quando il giorno diventava notte all'improvviso
e la notte
giorno.
Quella luce fuori
che da quando la sua s'era spenta
divenne la sua unica luce
finchè anch'essa
a sua volta
si spense
lasciandolo al buio.
Finchè anch'essa a sua volta si spense.
Dunque
una notte
o un giorno
mentre sedeva al suo tavolo
la testa tra le mani
vide se stesso
alzarsi e andarsene.
Prima alzarsi
restando aggrappato al suo tavolo
Poi sedere ancora
Alzarsi ancora
aggrappato
al tavolo ancora.
Poi andarsene.
Incominciare ad andarsene.
Su piedi invisibili
incominciare ad andarsene.
Così piano
che solo il cambiamento
di posto dimostrava
che se ne andava.
Come quando spariva
solo per riapparire
più tardi
in un altro posto.
Poi spariva ancora
per riapparire ancora
più tardi
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in un altro posto
ancora.
Così ancora e ancora
spariva ancora
solo
per riapparire ancora
più tardi
in un altro posto
ancora.
Un altro posto
nel posto
dove sedeva al suo tavolo
la testa tra le mani.
Lo stesso posto
e lo stesso tavolo
per esempio
di quando Darly morì
e lo lasciò.
Come quando anche altri
a loro volta
prima e dopo.
Come quando anche altri
anche loro a loro volta
lo avrebbero lasciato
finchè anche lui
a sua volta.
La testa tra le mani
a metà sperando
di sparire
ancora
senza riapparire
ancora
e metà spaventato
di non riapparire.
O semplicemente domandando.
O semplicemente aspettando.
Aspettando
di vedere
se sarebbe
o non sarebbe.
Lasciarlo o meno da solo
di nuovo
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ad aspettare il nulla
di nuovo.
Visto sempre da dietro
ovunque andasse.
Stesso cappello e mantello
come ai tempi
in cui vagava per le strade.
Le strade remote.
Ora come uno in un posto ignoto
che cerca l'uscita.
Nel buio.
In un posto ignoto
ciecamente
nel buio di una notte
o di un giorno
alla ricerca dell'uscita.
Un'uscita.
Verso le strade.
Le strade remote.
Un orologio lontano suonava ore
e mezzore.
Lo stesso di quando
fra gli altri
Darly una volta morì
e lo lasciò solo.
Rintocchi ora chiari
come portati da un vento
ora deboli
nell'aria calma.
Lontane grida
ora deboli ora chiare.
La testa tra le mani
mezzo sperando
quando l'ora suonava
che non suonasse la mezz'ora
e mezzo temendo
che non sarebbe suonata.
Allo stesso modo
quando le grida un attimo cessavano.
O soltanto domandando
O soltanto aspettando.
Aspettando di sentire.
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C'era stato un tempo
in cui qualche volta sollevava la testa
abbastanza per vedersi le mani.
Ciò che di esse
si poteva vedere.
La prima
appoggiata sul tavolo
e l'altra
sulla prima.
A riposo
dopo tutto ciò che avevano fatto.
Sollevava
la sua testa di un tempo
un momento
per vedere
le sue mani di un tempo.
Poi l'appoggiava di nuovo
su di esse
per riposare
anch'essa.
Dopo tutto ciò che aveva fatto.
As one in his right mind
Come uno con la testa a posto
quando fu fuori ancora
senza sapere
come mai fosse fuori ancora, ma non da molto,
allora cominciò
a domandarsi
se avesse la testa a posto.
E fu al modo
di un uomo più o meno ragionevole
che alla fine egli emerse
senza sapere come
al mondo esterno
e non c'era rimasto
più di sei - sette ore d'orologio
quando non potè
non cominciare a domandarsi
se avesse la testa a posto.
I rintocchi dello stesso orologio
erano quelli uditi
innumerevoli volte
nella sua reclusione
al rintocco delle ore
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e delle mezz'ore
e così forse prima
una fonte di sicurezza
e poi
una fonte d'inquietudine
non essendo ora più nitidi
di quando venivano
smorzati e spenti dalle quattro mura.
Allora
sperò soccorso
nel pensiero di uno
che la sera s'affretta
al tramonto
cercando una vista migliore
di Venere
e non la trova.
L'unico altro suono
le grida
che animavano la sua solitudine
mentre perso nella sofferenza
sedeva al suo tavolo
la testa tra le mani
era vera la stessa cosa.
Della loro provenienza
quella dei rintocchi
e delle grida
era vera la stessa cosa:
che non era più determinabile
ora
di quanto fosse naturalmente allora.
Forzando
i suoi rimasugli di ragione
per tirare avanti
cercò conforto nel pensiero
che la sua memoria
dell'interno
fosse forse in errore
e non ne trovò.
E s'aggiunse
al suo smarrimento
il suo passo silenzioso
come quando
a piedi scalzi
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camminava sul pavimento.
Così
ciò che udiva
di male in peggio
finchè non cessò
se non di udire
di ascoltare
e cominciò a guardarsi intorno.
Alla fine
era su un prato
d'erba
ciò almeno
sembrava
al suo passo silenzioso
e poi
poco più tardi
come per compensare
un modo di accrescere il suo turbamento.
Poiché
non poteva ricordare alcun prato
d'erba
dal cui cuore
diventasse introvabile
qualsiasi confine
ma sempre
da una parte o da un'altra
qualche visibile confine,
un recinto o una staccionata
o qualcos'altro
da cui far ritorno.
Né guardando
più da vicino
a peggiorar le cose
questa era l'erba verde e corta
che gli sembrava di ricordare
brucata
da greggi e mandrie
una lunga e grigio pallido
qua e là quasi bianca.
Poi
ciò che vedeva
di male in peggio
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finchè non cessò
se non di vedere
di guardare
(intorno a sé o più vicino)
e cominciò a meditare.
A questo scopo
mancando una pietra
dove sedere
come Walter
e incrociare le gambe
non potè fare meglio
che immobilizzarsi
cosa che fece dopo un istante di esitazione
e naturalmente piegare
la testa
come in profonda meditazione
cosa che fece
dopo un altro istante
di esitazione.
Ma presto stanco di cercare invano
in quelle rovine
s'incamminò
tra le lunghe erbe biancastre
rassegnato a non sapere
dove si trovasse
o come ci fosse arrivato
o dove stesse andando
o come tornare indietro
là
dove non sapeva come fosse venuto.
Andava
così, nulla sapendo e senza meta
in vista.
Non sapendo e
per di più
senza desiderio di sapere
anzi senza desideri
di alcun tipo
e perciò senza alcuna pena
salvo che
avrebbe desiderato
che i rintocchi cessassero
e le grida
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ed era dispiaciuto
che non succedesse.
I rintocchi
ora deboli ora nitidi
come portati dal vento
e invece
non un alito
e le grida
ora deboli ora nitide.
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Elizabeth Bishop
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The map (Ultima strofe)
I mari sulle mappe sono calmi
più della terra, prestando alla terra
la forma stessa di onde: corre a sud
come lepre turbata la Norvegia,
dov’è terra i profili indagano il mare.
Sono assegnati, o scelgono i colori
i paesi sulle mappe? Per carattere
proprio a risaltar le acque costiere.
La topografia esclude favori
il Nord è vicino quanto l’Ovest
ed i cartografi usano i colori
molto più delicati degli storici.
Chemin de fer
Sola, lungo i binari
camminavo con il cuore in tumulto.
Troppo ravvicinate le traverse
o forse troppo distanti tra loro.
Lo scenario era proprio impoverito:
soltanto cespugli di pini e quercie;
oltre il folto di foglie grigio-verdi
vidi il piccolo stagno
dove vive quel sudicio eremita,
stendersi come una lacrima antica
e stringendo a sé le proprie ferite
lucidamente, un anno dopo l’altro.
Scaricò l’eremità il suo fucile
vicino alla capanna tremò l’albero.
Sullo stagno passò un’increspatura,
chiocciò la gallinella.
“L’amore dev’ essere esercitato!”
gridò il vecchio eremita.
Un’eco attraversando quello stagno
tentò e ritentò di confermare.
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At the fishouses
Nonostante sia freddo questa sera,
laggiù vicino auno dei magazzini
un vecchio siede e cuce la sua rete,
che è quasi invisibile nel crepuscolo,
un’oscurità bruno-rossastra
e la sua spola rosa e levigata.
L’aria puzza tanto di merluzzo
che il naso pizzica e gli occhi lacrimano.
I cinque magazzini hanno aguzzi tetti a punta
e strette passerelle oblique agganciate
che fan da ponte ai depositi in alto
per le carriole che vanno su e giù.
Tutto è d’argento: la pesante superficie dell’acqua,
che lenta si gonfia come per traboccare,
è opaca, ma l’argento dei banchi,
dei secchi d’aragoste, delle alberature, sparso
tra le rocce selvagge e frastagliate,
è d’una lucentezza trasparente
come i minuscoli vecchi edifici
con muschio di smeraldo sui muri volti a riva.
Le grandi vasche striate di bellissime
scaglie di aringhe e le carriole
sono anch’esse coperte
da iridescenti cotte di maglia
dove arrancano insetti iridescenti.
Sul piccolo pendio dietro le case,
tra i radi luminosi ciuffi d’erba
c’è un vecchissimo argano di legno,
crepato, con due lunghe maniglie bianche
e con alcune macchie malinconiche
come di sangue secco
dove il ferro battuto è arrugginito.
Il vecchio accetta una Lucky Strike.
È stato un amico di mio nonno.
Parliamo del calo demografico,
di merluzzi e di aringhe
mentre aspetta la barca delle aringhe.
Luccica la sua maglia e il suo pollice.
Ha raschiato le scaglie, la cosa più bella,
di tantissimi pesci con la scura
vecchia lama ormai consumata.
A pelo d’acqua, dove si sollevano
le barche, sulla lunga rampa
che discende nell’acqua, tronchi argentei
e sottili sono posati
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orizzontalmente su pietre grigie
a intervalli di quattro o cinque piedi.
Freddo scuro profondo e limpidissimo,
elemento tollerabile non per gli uomini
ma per pesci e foche… Una foca in particolare
ho visto per molte sere di seguito
la incuriosivo e amava la musica;
come me credeva nell’immersione totale,
e così le cantavo inni battisti.
O: “Il nostro Dio è Salda Fortezza”.
Stava dritta nell’acqua e mi guardava
attenta, muovendo appena la testa.
Poi spariva, ma riemergeva rapida
in quello stesso punto, scrollando le spalle
come a dire che è meglio metter giudizio.
Fredda scura profonda e limpidissima,
limpida acqua grigia ghiacciata… Dietro
cominciano gli alti abeti solenni,
azzurri alberi di Natale in piedi
che aspettano il Natale. L’acqua sembra sospesa
sopra le tonde pietre grigio azzurre.
Ho riguardato questo stesso mare
oscillare lieve e indifferente sulle pietre
gelido e libero sopra le pietre,
sopra le pietre e poi sul mondo.
E se tu ci immergessi la tua mano,
sentiresti al tuo polso un dolore immediato,
ti dorrebbero le ossa e ti brucerebbe la mano
come un’acqua tramutata in fuoco
alimentato dal fuoco grigio delle pietre.
Ti sembrerebbe amaro il suo sapore
prima, poi salato, poi ti brucerebbe la lingua.
È come immaginiamo la conoscenza:
scura, salata, limpida, libera e mobile
attinta dalla fredda dura brocca
del mondo, scesa da seni di roccia,
scorre sempre ed è attinta, e poiché
la nostra conoscenza è storica,
scorrendo è già trascorsa.
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Manners
Mio nonno mi ammonì
mentre eravamo seduti a cassetta
- E ricordati sempre
di salutare chiunque tu incontri –
Quando incontrammo un forestiero a piedi
con la frusta si toccò il cappello.
- Buon giorno a voi, signore, il tempo è splendido –
E dicevo così con un inchino.
Poi incontrammo un giovane vicino
che teneva una gazza sulla spalla.
- Offri sempre un passaggio, sempre e a chiunque;
e non dimenticarlo, quando cresci –
disse mio nonno. Fu così che Willy
saltò su, ma la gazza
gracchiò e volò via. Mi preoccupai.
Come avrebbe capito dove andare?
Ma svolazzò piano davanti a noi
da uno steccato all’altro
e se Willy fischiava, rispondeva.
- È un buon uccello – disse mio nonno,
- ed è stato educato bene. Guarda,
risponde a tono quando gli si parla.
Uomo o bestia, l’educazione è una.
Ed entrambi dovete ricordarvene. –
Se passava qualche auto
la polvere nascondeva ogni volto
ma noi si gridava
- Buon giorno a voi, signore! Il tempo è splendido! –
Quando arrivammo a Hustler Hill il nonno
disse che la giumenta era sfinita,
così scendemmo tutti e andammo a piedi,
come le buone maniere esigevano.
27
Visit to St. Elizabeths
Qui abitano i pazzi.
È questo l’uomo
che vive nella casa dei pazzi.
È questo il tempo
del tragico uomo
che vive nella casa dei pazzi.
È questo l’orologio
che segna il tempo
di quell’uomo loquace
che vive nella casa dei pazzi.
È questo il marinaio,
al polso ha l’orologio
che segna il tempo
dell’uomo onorato
che vive nella casa dei pazzi.
È questo il molo, tutto fatto d’assi
che accoglie il marinaio
che al polso ha l’orologio
che segna il tempo
del coraggioso vecchio
che vive nella casa dei pazzi.
Son questi gli anni e i muri del reparto,
i venti e le nubi del mare di assi
corsi dalle vele del marinaio
che al polso ha l’orologio
che segna il tempo
dell’uomo capriccioso
che vive nella casa dei pazzi.
È questo un mondo di libri scoppiato
Quest’è l’ebreo dal cappello di carta
che danza piangendo lungo il reparto
sul cigolante mare d’assi
del marinaio strambo
che carica l’orologio
che segna le ore
dell’uomo indaffarato
che vive nella casa dei pazzi.
28
Faustina, or rock roses
L’aiuto di Faustina
in una casa folle
sopra un letto da folli
e fragile, con lo smalto scheggiato
che fiorisce sopra la sua testa
in quattro vaghe forme
simili a rose,
la donna bianca bisbiglia a se stessa.
Le assi del pavimento si sconnettono
qua e là. Sopra il tavolo
coperto da un asciugamano resta
la scatola di talco
e cinque confezioni di pastiglie,
per lo più quasi cristallizzate.
La visitatrice siede e osserva
brillare la rugiada alla parete
e due lucciole di un verde smorzato.
Ma la lampadina da ottanta watt
tradisce tutti quanti,
manifestando l’ansia
assieme allo stupore;
illumina le teste di puntine
sulla carta da parati, con violette
in rilievo, che luccicano
con le scaglie di mica.
29
Letter to N.Y.
Nella tua prossima lettera scrivimi
dove vai, cosa fai;
che commedie ci sono,
e quali altri piaceri vai cercando:
se prendi taxi di notte e vai rapida
come volessi mettere in salvo l’anima
dove la strada gira attorno al parco
e il tassametro brilla come un gufo
moralista; e così strani, così
verdi sembrano gli alberi, così soli in grandi antri neri
e all’improvviso sei in un altro luogo
e tutto sembra avvenire a ondate
e non riesci a cogliere le battute
come le parolacce cancellate
alla lavagna, e la musica è al massimo
ma il senso resta oscuro ed è tardissimo,
e uscendo da una casa in pietra rossa
sul marciapiede grigio, la strada umida,
un lato dei palazzi con il sole
risorge come in un campo che luccica.
- Grano o loglio che sia, mia cara, temo
non sia stata tua cura seminare,
ciononostante vorrei sapere
cosa vuoi fare e dove vuoi andare.
30
Brazil
Gennaio, la Natura appare agli occhi
nostri proprio com’è apparsa ai loro:
ciascun centimetro fitto di foglie –
grandi, piccole, enormi,
blu blu-verdi e oliva,
a volte venature e bordi chiari
o con la parte inferiore di raso;
felci mostruose in rilievi argentati,
e anche fiori, come ninfee giganti
su nell’aria – o piuttosto tra le foglie –
viola, gialli, due gialli, rosa, rosso
ruggine e bianco verdi;
solidi ma leggeri; freschi, come
finiti da poco e tolti dal quadro.
Un cielo blu e bianco, un velo semplice
che fa da sfondo a dettagli di piume:
brevi archi, rotte ruote verde pallido,
palme, basse e scure, ma delicate;
e appollaiati di profilo, a becco
aperto, i grandi quieti uccelli simbolo,
e ciascuno mostra solo a metà
il petto gonfio e ovattato, puro
il colore, o a macchie.
Eppure in primo piano c’è il Peccato:
cinque draghi fuliggine
vicino ad alcune rocce massicce.
Le rocce lavorate dai licheni,
grigi squarci di luna
spruzzati e sovrapposti,
minacciati dal muschio sotterraneo
in splendide fiamme verdi d’inferno,
e sopra i rampicanti
come scale di corda, oblique e in ordine,
“una foglia sì e una foglia no”
(come si dice in lingua portoghese)
le lucertole respirano appena;
tutti gli occhi rivolti alla più piccola,
la femmina, voltata,
con la coda cattiva rivolta in alto
e rossa come un filo incandescente.
31
Emily Bronte
32
Stanzas
Spesso respinta, eppure torno sempre
a quei sentimenti nati con me,
e rinuncio a ricchezza e conoscenza
per vani sogni di cose possibili:
oggi rinuncio alla terra dell’ombra;
troppo opprimente il suo vasto vuoto
qui s’inseguono legioni d’immagini
portando l’irreale troppo vicino.
Non seguirò antiche tracce eroiche
né sentieri d’alta moralità
né tra quei volti ormai indistinguibili
forme vaghe di storia troppo antica.
Non vorrò in alcun modo altra guida
che non sia quella della mia natura:
dove le greggi pascolano tra felci
e tra i monti battuti dai venti.
Che rivelano i monti solitari?
Più gloria, più dolore del dicibile:
terra capace di destare un cuore
è terra che ha in sé l’Inferno e il Cielo.
33
Death
Morte, che hai colpito quando più fidavo
nella fede della gioia a venire,
spezza il ramo ormai arido del Tempo
dalla fresca radice dell’Eterno!
Le foglie su quel ramo erano splendide,
piene di linfa e fresche di rugiada;
ogni notte eran rifugio di uccelli;
e attorno ai fiori volavan le api.
Arrivò il dolore e colse il fiore;
la colpa strappò le foglie orgogliose;
ma continuava nel suo seno a scorrere
il flusso indomabile della vita.
Non piansi a lungo per la gioia persa,
per la canzone muta e il nido vuoto;
un riso di speranza mi guarì
sussurrando: “L’inverno finirà!”
Tornò la primavera più feconda,
ed ornò di bellezza piena il ramo;
vento e pioggia e la fervida carezza
del sole incoronarono maggio.
Fiorì, lontano dal dolore alato;
e il peccato temette il suo splendore;
la vita, l’amore avrebber potuto
salvarlo da ogni male – non da te!
Morte crudele! Foglie fresche languono;
la brezza serale potrà salvarle –
no! Il sole dell’alba irride il pianto –
Non fiorirà mai più per me il Tempo!
Abbàttilo, che altri rami fioriscano
dove sorgeva il ramo inaridito;
ed il suo corpo decomposto nutra
l’Eternità da cui ebbe vita.
34
Hope
La speranza è stata un’amica timida;
seduta fuori la mia cella cupa,
spiava la direzione del destino,
come fanno gli egoisti.
E la sua timidezza fu crudele;
un giorno tristemente la cercai
con lo sguardo al di là delle mie sbarre,
e lei distolse il viso!
Guardia bugiarda che tradì la veglia,
sussurrava di pace nella guerra,
se piangevo cantava,
se ascoltavo taceva.
Fu spietata impostora
quando le mie ultime gioie stremavano,
perfino il Dolore fissò il pentito
quelle tristi rovine sparse ovunque;
La Speranza, che con un sol sussurro
avrebbe consolato le mie pene,
stese le sue ali e si librò in cielo,
volò via e non fece più ritorno!
The starry night
La notte stella porterà nuove:
vai fuori, nella landa ventilata,
aspetta un uccello dall’ala scura,
con becco e artigli macchiati di sangue.
E non guardare attorno, né a terra,
ma muto segui la sua traccia in cielo;
osserva il punto della sua picchiata,
poi, vagabondo, inginocchiati e prega.
Quale sorte potrebbe attender te
io non so predire,
ma il cielo ascolta una preghiera fervida
Dio è clemenza – addio!
35
George Byron
36
Stanzas to Augusta
I
Quando tutto divenne triste e buio,
la ragione privata del suo raggio
e la speranza una scintilla flebile
che confondeva la mia solitudine;
II
In quella fonda notte della mente,
e quella sotterranea guerra in cuore,
quando, per non sembrare troppo buoni,
il freddo va via e il fiacco dispera
III
quando il fato mutò – e l’amor fuggì
e le frecce dell’odio fitte corsero,
diventasti la stella solitaria
che sorse per non tramontare più
IV
Benedetta la tua luce infinita!
Che vegliò me con uno sguardo angelico,
per rimanere tra me e la notte,
rilucendo per sempre dolcemente
V
E quando su di noi scese la nube
che cercò d’oscurare il tuo raggio,
più pura diffondesti la tua luce
che riuscì a dissipare le tenebre.
VI
Rimanga il tuo spirito nel mio,
per insegnargli audacia e tolleranza:
c’è più in una tua dolce parola
che in tutto il biasimo del mondo che odio.
VII
Rimanesti, come rimane un albero
capace di piegarsi senza rompersi
delicato fedele e amoroso
mentre ondeggia i suoi rami su una tomba
VIII
Potevano straziarti venti e piogge
ma tu restavi là e rimarrai
sempre, anche nell’ora più tempestosa
37
a piangere le tue foglie su me.
IX
Ma tu e i tuoi non andrete in rovina,
qualunque fato cada su di me;
perché il cielo splendido compensa
il buono, e tu lo fosti più degli altri.
X
Dunque i legami di un amore fragile
prima o poi si spezzano – i tuoi mai:
il tuo cuore è sensibile ma saldo;
tenera la tua anima, ma ferma.
XI
E ciò, quando tutto era già perduto,
io lo trovai, e ancora ciò è in te;
e nonostante il mio cuore sfinito
neppur per me la terra è un deserto.
A spirit pass’d before me
I
Uno spirito mi passò innanzi:
e contemplai l’immortalità –
soltanto io non sprofondai nel sonno
che piombò là, informe, ma divino:
lungo le ossa la carne mi tremò,
e i capelli si rizzarono. Parlò:
II
“È l’uomo più giusto di Dio? Più puro
di chi giudica incerti i Serafini?
Nati dal fango, abitate la polvere!
La tarma sopravvive a voi, e voi
siete più giusti? Vizzi con la notte,
ciechi alla luce vana del Giudizio!”
38
Bright be the place of thy soul
I
Risplende la dimora della tua anima!
Mai spirito più amabile del tuo
infranse i limiti dell’uomo e corse
a brillare nelle orbite beate.
Sfiorasti la divinità in terra,
come immortale sarà la tua anima;
il dolore può smettere di affliggerci
perché sappiamo che il tuo dio è con te.
II
Lieve ti sia la zolla sulla tomba!
E che diventi il prato di smeraldo!
Non devono rimanre ombre tristi
in tutto ciò che resta a noi di te.
L’albero sempreverde e fiori giovani
spuntino dalle zolle dove sei;
ma non ci siano tassi, né cipressi;
perché dovremmo piangere i beati?
Remember
Ricordati! Ricorda! Fino a quando
il Lete non estinguerà il fiume
ardente della vita come un’onda
febbrile, proverai rimorso e infamia.
Ricordati! Sì, senza dubitare.
Ti penserà tuo marito, come
me, entrambi non potremo scordare:
con lui falsa, e diabolica con me.
Improptu
Quando dal cuore il Dolore prolunga
la sua nera ombra troppo in alto, e offusca
la fronte, aleggiando sul volto mutevole,
o colma l’occhio; non immalinconirti,
vedrai che presto sparirà da sola:
i miei pensieri conoscono bene
la loro prigione; tornano in petto,
dopo aver un poco vagabondato,
a languire nella cella silente.
39
I if sometimes in the haunts of men
Se quando mi ritrovo tra la folla
la tua immagine diventa pallida
mi riporta nel cuore, l’ora sola,
l’immagine dell’ombra tua gentile:
e adesso, l’ora triste e silenziosa
può ancora una volta restituirti
a me, e il dolore, appartato, può
effondersi in lamenti senza voce.
Perdonami se a volte tra la folla
sciupo un pensiero che era solo tuo,
e condannandomi sembro sorridere
ormai infedele alla tua memoria:
non diventa meno caro il ricordo
quando non sembro afflitto;
non voglio che gli sciocchi mi sorprendano
in sospiri rivolti solo a te.
Se vuoto avidamente ciascun calice
non lo faccio per scacciare l’affanno;
deve avere bevanda più mortale
la coppa che dà un Lete a chi dispera.
Se Oblio liberasse la mia anima
da ogni sua visione ed inquietudine,
spezzerei al suolo la coppa più dolce
che affogasse un solo tuo pensiero.
Se tu fossi svanita dalla mente
mia, dove andrebbe il mio cuore vuoto?
E chi, chi rimarrebbe ad onorare
la tua urna abbandonata? È onore
del mio dolore adempiere
questo caro ufficio ultimo.
Io ricorderò ciò
che tutto il mondo può dimenticare.
Perché so bene che saresti stata
altrettanto gentile con colui
che illacrimato lascerà il mondo
dove soltanto tu te e curavi:
e capisco che in ciò m’era concessa
una grazia che non sembrava mia;
troppo simile eri a un sogno del cielo
per meritarti un amore terreno. (march 14, 1812)
40
And thou art dead
Così giovane e bella tu sei morta
bella come nessuna nata in terra;
di forme così soavi e grazie rare
troppo presto restituite alla terra!
Benchè la terra l’abbia nel suo letto
e su quel luogo la folla cammini
spensierata e allegra,
c’è un occhio che non può tollerare
di guardar quella tomba per un attimo.
Io non chiederò dove tu giaci
né guarderò quel luogo;
ci posson crescere fiori ed erbacce,
io non li guarderò.
A me basta sapere
che ciò che ho amato, e a lungo amerò,
può corrompersi come terra vile.
A me non serve che una pietra dica
che ciò che ho tanto amato ora è nulla.
Eppure fino all’ultimo ti ho amato
ardente come te,
tu che restasti uguale nel passato
e non puoi più cambiare.
L’amore che la Morte ha sigillato
il tempo non lo gela né lo ruba.
Un rivale, né la memoria falsa
e, ciò che è peggio, tu non puoi vedere
o torto o mutamento o colpa, in me.
I giorni belli della nostra vita furono
nostri; miei i peggiori:
il sole che riallieta, la tempesta
che rattrista, non sono più per te.
Il silenzio del sonno senza sogni
lo invidio troppo per poterlo piangere,
non serve che lamenti la scomparsa
di tutte quelle grazie, anche se avrei
potuto attraversare il suo declino.
Il fiore inarrivabile per fresco
splendore deve cadere per primo;
e se una mano non l’ha colto prima,
i petali dovranno volar via.
Ma sarebbe un dolore ben più grande
guardarlo appassire di giorno in giorno,
41
l’occhio terreno non sopporta il marcio
scaturito dal bello.
Non so se avrei potuto sopportare
di veder svanire le tue bellezze;
la notte succeduta a tale giorno
avrebbe avuto un’ombra troppo cupa:
il tuo giorno è trascorso senza nubi
e fino all’ultimo sei stata bella,
estinta ma incorrotta, come stelle
che precipitano nel cielo e splendide,
più luminose cadono dall’alto.
Come piansi, potessi ancora piangere,
verserei volentieri le mie lacrime
ripensando che non ti fui vicino
quando c’era da vegliare il tuo letto
per contemplar fino in fondo il tuo volto,
per restare in un abbraccio sfinito
per sostenere il tuo capo piegato
e mostrarti un amore che pur vano
né tu né io potremo più provare.
E quanto meno pesano le cose –
da quando tu mi hai lasciato libero,
le cose più amabili che restano –
se le confronto al ricordo di te!
Tutto ciò che di te non può morire,
attraversando l’Eternità buia
e tremenda, ritorna ancora a me,
ed eterna di nuovo il nostro amore
ma non come quando era ancora vivo.
42
When we two parted
Quando noi ci lasciammo
in silenzio e in lacrime,
spezzato a mezzo il cuore
nel doverci dividere per anni,
divenne la tua guancia fredda e pallida
e più freddo il tuo bacio;
quell’ora fu vero presagio
del dolore di questa!
La rugiada dell’alba
scese gelida sulla mia fronte:
io sentii come il monito
di ciò che sento adesso.
Son spezzati i tuoi voti,
hai fama di volubile:
sento dire il tuo nome
e ne divido l’onta.
Chi innanzi a me ti nomina
suona a morto al mio orecchio;
e un brivido mi scuote:
perché eri così cara?
Loro non sanno che ti ho conosciuta,
e che ti ho conosciuta troppo bene:
a lungo a lungo avrò di te un rimpianto
troppo profondo a dirsi.
C’incontrammo in segreto
ora muto mi dolgo
perché mi ha dimenticato il tuo cuore,
tradito la tua anima.
Se dovessi incontrarti
dopo lunghi anni, come salutarti?
Con silenzio
e con lacrime.
43
The destruction of Sennacherib
I
L’assiro calò come il lupo al gregge
brillavano le schiere d’oro e porpora
e come stelle sul mare splendevano
le lance, quando a notte l’onda azzurra
si rifrange sull’alta Galilea.
II
Come le foglie nel bosco d’estate,
furon viste al tramonto le bandiere
delle schiere: come foglie in autunno
quando il vento ha soffiato l’indomani
giacque l’esercito esangue e disperso.
III
Perché spiegò nel vento le sue ali
l’Angelo della Morte e alitò
sul volto del nemico. Freddi e immobili
diventarono gli occhi dei dormienti;
e la quiete fermò per sempre i cuori.
IV
Giace il destriero con le froge aperte,
ma non le attraversa il fiato orgoglioso
e sulla zolla rimane la schiuma
bianca del suo rantolo, fredda come
lo spruzzo che s’infrange sullo scoglio.
V
E laggiù giace il cavaliere pallido,
la rugiada sul ciglio, sulla maglia
la ruggine: abbandonati i vessilli
mute le tende, abbassate le lance,
le trombe senza suono.
VI
Altissimi i lamenti delle vedove
assire, e gli idoli son stati infranti
nel tempio di Baal; scilta come neve –
e non sconfitta da armi, la potenza
dei Gentili – allo sguardo del Signore!
44
By the rivers of Babylon we sat down and wept
I
Piangevano seduti presso le acque
di Babilonia, e pensavamo al giorno
in cui il nemico, al grido della strage
s’impossessò delle alture di Salem;
e figlie desolate,
voi tutte, piangenti, foste scacciate!
II
E mentre guardavamo tristi il fiume
che libero scorreva sotto a noi,
essi chiesero un canto: ma mai, mai
lo straniero otterrà tale trionfo!
Che mi si secchi per sempre la destra
prima che suoni l’arpa al mio nemico.
III
Quell’arpa è appesa al salice, o Salem!
Libero dovrebbe essere il suo suono;
e l’ora in cui ebbe fine la tua gloria
mi ha lasciato di te quel solo pegno:
mai per mia causa le sue dolce note
si uniranno alla voce di chi preda!
Were my bosom as false as…
I
Se il mio cuore mentisse come credi,
non mi sarei dovuto allontanare
dalla Galilea; bastava abiurare
la mia fede per toglier l’anatema
che incrimina, tu dici, la mia razza.
II
Se il Male non trionfa, Dio è con te!
Se peccano gli schiavi e tu sei puro,
tu sei libero! Se l’Esule in terra
è bandito dal cielo, vivi in fede,
ma lascia che io muoia per la mia.
III
Per quella fede ho perso più di quanto
hai, come sa il Dio che ti fa prospero;
in Lui sono speranza e cuore miei
nelle tue mani invece terra e vita
a cui io debbo rinunziar per Lui.
45
Herod’s lament for Mariamne
I
Oh Marianna, ora sanguina per te
il cuore che t’ha fatto sanguinare;
la vendetta è un’agonia perduta,
che porta il rimorso dopo la rabbia.
Marianna dove sei?
Non puoi udire la mia amara supplica:
se potessi, ora tu perdoneresti,
anche se il cielo rimanesse sordo.
II
Ed è morta davvero? Ed obbedirono
al geloso odio del mio delirio?
L’ira mia mi condanna alla mia angoscia:
su me oscilla la spada che l’uccise.
Ora sei fredda, amore assassinato
e invano questo cuore triste ora arde
per lei che sola vola in cielo e lascia
la mia anima indegna di salvezza.
III
Se ne andò colei che tenne il mio scettro;
cadde, e con lei la mia gioia è sepolta;
dallo stelo di Giuda colsi il fiore
le cui foglie fiorivano per me.
E mia è la colpa, mio l’inferno
il vuoto cui è dannato questo cuore
e ho ben meritato queste torture
che non consumate ora mi consumano!
Sun of the sleepless!
Sole d’insonnia, stella malinconica
il cui raggio di luce e pianto trema
e svela il buio che non può schiarire
quant’è piacevole, poi, ricordarti!
Così brilla la luce del passato
che splende ma non scalda, troppo debole.
notturno, un Dolore veglia e contempla,
distinto e chiaro, ma distante e gelido!
46
Vision of Belshazzar
I
Il Re era sul trono,
i Satrapi affollavano la sala:
brillavano miriadi di lampade
su quella festa splendida
e mille coppe d’oro,
in Giudea considerate divine –
vasi di Geova – pieni
del vino dei Pagani senza dio!
II
Alla stessa ora e nella stessa sala
le dita di una mano
apparvero sul muro
come su sabbia scrissero
dita d’uomo – una mano solitaria
che sulle lettere scorreva sola
e le tracciava come una bacchetta.
III
Il Monarca tremò,
interruppe la festa;
il suo volto sbiancò
e con voce tremante:
“Conducetemi i saggi,
i migliori del mondo,
spieghino queste terribili parole
che guastano così la nostra festa”.
IV
I veggenti di Caldea sono bravi
ma qui non sono in grado;
paurose e inesplicabili
resterebbero le lettere ignote.
Sono saggi gli anziani
di Babilonia e profondi in dottrina
ma non hanno ora scienza,
vedono e non comprendono.
V
Là c’era un prigioniero
giovane e forestiero
sentì anche lui gli ordini del Re,
e fu lui a decifrare lo scritto.
Tutt’intorno splendevano le lampade
la profezia era chiara;
47
la lesse quella notte
e l’indomani provò che era vera.
VI
“È scavata la fossa a Baldassarre,
il suo regno è passato;
pesato alla bilancia
non è che argilla lieve e senza pregio.
Il sudario sarà il suo nuovo abito,
suo baldacchino il sasso:
sono arrivati i Medi,
e sul suo trono ci sono i Persiani!”
It cannot die, it cannot stay
I
Se il gelo avvolge la creta dolente,
ah! dove vaga l’anima immortale?
Non può perire, non può rimanere
ma lascia dietro a sé polvere buia.
Priva di corpo segue le celesti
vie dei pianeti? Osubito
occupa invece i reami dello spazio
forza dello sguardo che ovunque vigila?
II
Eterna, sconfinata, incorruttibile,
invisibile pensiero che vede
tutto ciò che la terra o il cielo mostra
tutto saprà osservare e ricordare:
tale memoria trattiene ogni traccia
nelle tenebre degli anni trascorsi,
con ampio sguardo l’anima l’abbraccia
e tutto ciò che fu subito appare.
III
Attraversando il caos, il suo sguardo
tornerà a prima della Creazione,
e dove nacque il cielo più lontano
lo Spirito troverà la prima orma
e dove il futuro crea o distrugge,
illumina il suo sguardo l’avvenire
pur senza sole o a sistema infranto,
mentre egli è fisso nell’eternità.
48
IV
Oltre Amore, Speranza, Paura o Odio,
riesce a vivere puro e imperturbato:
scorrerà l’eracome in terra un anno
ed i suoi anni dureranno istanti.
E via, via, senz’ali su tutto
ed il suo pensiero volerà
senza nome ed eterno
dimentico di ciò che fu morire.
All is vanity, saith the preacher
I
Eran miei fama, amore e forza saggia,
possedevo salute e giovinezza;
tutti i vini han macchiato il mio calice,
e amorevolmente mi hanno carezzato.
Ho esposto il cuore ai raggi di occhi belli
e l’anima sentivo intenerirsi;
tutto ciò che i mortali in terra apprezzano
accrebbe il mio splendore regale.
II
Ora vorrei elencare tutti i giorni
che la memoria mia può ricordare
i giorni dispiegati dalla terra
che desidero viver di nuovo.
Non un giorno spuntò, né corse un’ora
di piacere priva dell’amarezza;
III
il serpente del campo, grazie ad arte
ed incantesimi, non nuoce più
ma quello che s’avvolge al tuo cuore
oh, chi potrà riuscire ad ammaliarlo?
Non sente ciò che insegna la saggezza
né l’alletta la voce della musica,
e invece resta eternamente e morde
quell’anima costretta alla tortura.
49
My soul is dark
I
a mia anima è cupa – accorda subito
l’arpa che ascolterò finchè potrò
e lascia che le sue dita gentili
mormorino le note al mio orecchio.
Se in questo cuore una speranza è cara,
quei suoni l’ammalieranno di nuovo:
se in questi occhi si nasconde una lacrima,
scorrerà, e più m’arderà la mente.
II
Ma il canto sia profondo e appassionato
e che non sia gioioso il suo principio:
te l’ho detto, cantore, devo piangere
o questo cuore gonfio scoppierà
perché è stato nutrito da lacrime,
e patì nel silenzio dell’insonnia;
ora è destino che conosca il peggio,
e al più presto si spezzi, o ceda al canto.
I saw the weep
I
Vidi una grande lacrima lucente
velare quel tuo occhio così blu;
finchè non mi sembrò
una viola che stilla la rugiada.
E ti vidi sorridere – una fiamma
di zaffiro sembra non brillare più;
non potrebbe eguagliare i raggi vividi
che colmano il tuo sguardo.
II
Come la nube riceve dal sole
un colore così intenso e caldo
che neanche l’ombra della sera sembra
riuscire a cancellare dall’azzurro,
i tuoi sorrisi riescono ad infondere
pura gioia anche all’animo più triste;
la loro luce sèguita
a brillare nel cuore.
50
On Jordan’s banks
I
Vagano sulle sponde del Giordano
i cammelli degli Arabi,
e sul colle di Sion
pregano i seguaci del Falso Dio,
e sull’erta del Sinai s’inginocchiano
i devoti di Baal
ma anche là Dio Mio! dormono i tuoi tuoni.
II
Là, dove il tuo dito ardente marchiò
le tavole di pietra!
Là, dove la Tua ombra
illuminò un Popolo!
In un manto di fuoco
s’avvolse il tuo splendore:
Tu, che nessuno vivo può vedere,
senza morire!
III
Oh! Compaia nel lampo il tuo sguardo;
e strappa dalla sua mano tremante
la lancia che ci opprime!
Per quanto tempo ancora la tua terra
sarà calpestata dai tiranni?
Per quanto tempo ancora il tempio Tuo
rimarrà senza culto?
51
If that high world
I
Se in quel mondo alto, dove si va a vivere
oltre il nostro l’amore si conserva,
se il cuore amato anche là resta tenero,
e resta l’occhio, ma senza più lacrime,
quanto gradite, quelle sfere intatte!
Quanto dolce morire anche in quest’ora!
Volar via dalla terra e perder paure
nella luce dell’Eterno!
II
Così dev’essere: non è per noi
che restiamo, tremanti, sulla sponda;
e già impegnandoci a varcar l’abisso
ci stringiamo ancora al flebile esistere.
Oh! Poter credere che in quel futuro
resti ogni cuore assieme al cuore amato;
Con loro bere alle fonti immortali,
E rifiorir là, anima nell’anima!
Thy day are done
I
Finiti I giorni, inizia la tua fama:
inneggiano i canti della tua terra
celebrano i trionfi del Figlio eletto,
le stragi compiute dalla sua spada!
Le sue imprese e i campi di vittoria
la libertà che ci ha restituito.
II
Anche se sei caduto,
finchè saremo liberi
non sentirai la morte!
Il sangue generoso che spargesti
non accettò di bagnare la terra:
e finchè ci scorrerà nelle arterie
il tuo spirito è nel nostro respiro.
III
E sferrando l’attacco il tuo nome
sarà il nostro grido di battaglia;
la tua caduta, tema di canzone
per un coro di vergini!
Piangere insulterebbe la tua gloria:
mai tu sarai compianto.
52
The wild gazelle
I
La gazzella selvaggia può saltare
con gioia sulle colline di Giuda,
e bere ancora alle fonti che sgorgano
dal suolo sacro: i suoi passi agili alzano
indomabili slanci
e con ochi splendenti.
II
Di un passo così svelto, di uno sguardo
più brillante, fu testimone Giuda.
E in quei luoghi privati della gioia
conobbe abitanti migliori. In Libano
i cedri ondeggiano, ma le più nobili
vergini di Giudea sono via!
III
Più beata ogni ombra di palma sul piano,
della stirpe dispersa d’Israele:
perché là loro restano
in grazia solitaria;
non può lasciare il luogo dov’è nata,
altrove la radice non vivrebbe.
IV
Ma noi dobbiam vagare inaridendo,
per morire nelle terre straniere
e dove i nostri padri sono in cenere,
le nostre, invece, non potran giacere:
del tempio nostro non rimane pietra,
siede lo Scherno sul trono di Salem
53
To the countess of blessington
Chiedete a me dei versi: rifiutare,
per me che ne scrivo, sarebbe insolito;
ma il mio Ippocrene era il mio cuore,
mentre i miei sentimenti ora son soli.
Se fossi come un tempo, canterei
ciò che Lawrence dipinse così chiaro,
ma tra le labbra mi morrebbe l’aria
e troppo dolce è il tema alla mia lira.
Dove ero fuoco rimane la cenere,
ormai è morto il bardo al mio petto.
Ciò che amavo posso solo ammirare,
perché grigio il mio cuore s’è ridotto.
Non puoi cantar con gli anni la mia vita:
ci sono momenti che sono aratri;
e i segni che appaiono sulla fronte
solcano l’anima in profondità.
Chi è giovane e brillante aspiri pure
a cantare quel che io contemplo invano;
il dolore ha strappato alla mia lira
quella corda unica che era il mio suono.
Stanzas for music
La Beltà non ha figlia
che come te ammalia;
come musica d’acqua
è per me la tua voce:
l’oceano, affascinato,
si ferma al suo suono;
scintilla calma l’onda,
sogna placato il vento:
Tesse trame di luce
la luna a mezzanotte,
solleva il petto il mare
come un bimbo che dorme:
l’anima a te s’inchina,
per udirti e adorarti;
l’emozione è profonda
come è d’estate l’onda.
54
Darkness
Non si limitava ad essere un sogno…
Il sole non splendeva più, le stelle
buie erravano nello spazio eterno
senza luce o destino; la terra era
gelida, e cieca andava in cieli ciechi;
di giorno in giorno non veniva luce
e gli uomini scordavano ogni loro
passione in tale desolazione
e i cuori un tempo freddi, ora pregavano
per la luce: vivendo accanto ai fuochi
venivano bruciati troni e regge,
ogni tipo di casa e di capanna,
tutto veniva bruciato perché
potessero gli uomini guardarsi in faccia
ancora; le foreste d’ora in ora
incenerivano e tutto s’oscurava
ultimi lampi disperati davano
ai volti le fattezze degli spettri;
qualcuno a terra nascondeva il pianto,
qualcuno sorrideva con il mento
sulle mani serrate; altri guardavano
il cielo sordo, folli d’inquietudine
e bestemmiando si scaraventavano
nella polvere digrignando i denti:
stridevano gli uccelli, svolazzando
terrorizzati a terra; diventavano
timorose le belve; serpeggiavano
tra la folla le vipere senza morderee venivano uccise come cibo.
E ritornò ben presto a bere il sangue
la Guerra: ne beveva ciascun uomo
in solitudine rabbiosa. Senza
amore un unico pensiero: morte,
immediata e ingloriosa; attanagliati
dalla fame, si moriva insepolti;
il magro divorava il magro, i cani
i padroni. Soltanto uno, fedele,
ringhiava, per difendere il cadavere
del padrone, a uccelli, bestie e uomini.
Morì in un lamento sconsolato,
leccando quella mano che non poteva
accarezzarlo. Piano piano uccise
tutti la fame. Rimasero in due,
nemici, in una città enorme:
si videro vicino ad un fumante
cumulo di oggetti sacri. Frugarono
55
le fioche ceneri con mani fredde
e scheletriche; ottennero una fiamma
che era una beffa; come crebbe, videro
i propri volti, urlarono, morirono
terrorizzati dalla ripugnanza
dei loro aspetti demoniaci. Il mondo
popoloso e potente ora era vuoto
privo d’erba alberi uomini stagioni,
un cumulo di morte, caos di creta secca.
L’oceano i laghi i fiumi erano calmi,
immobile il silenzio degli abissi;
in abbandono le navi marcivano
e cadevano a pezzi, addormentandosi
sul fondo. Morte le maree, le onde,
la loro regina, la luna, spenta;
priva di venti ristagnava l’aria,
morte le nuvole inutili al buio,
l’Universo era il Buio.
To time
Tempo! sulle cui ali mutevoli
le ore possono languire o volare,
i cui irti inverni e le primavere
rapide ci trascinano a morire,
Salute a te! Che alla nascita desti
quei doni noti a chi ti conosce;
ma ora è più sopportabile il tuo peso
perché ora a portarlo sono solo.
Non vorrei un cuore entusiasta qui,
a divider con me gli istanti amari;
e ti ringrazio per aver concesso
cielo o pace a coloro che ho amato.
Se loro sono allegri o se riposano
invano peserà il male prossimo;
non ti devo più nulla, se non gli anni,
debito già pagato con la pena.
Ma quella pena un po’ mi confortava,
tangibile, scordava il tuo potere:
il tormento operante del dolore
rallenta le ore ma non sa contarle.
56
Nella gioia ho sperato che il tuo volo
potesse molto presto rallentare;
la tua nube poteva ancora oscurare,
ma non aggiunger notte alla sventura;
era allora che l’anima mia cupa
e triste si nutriva del tuo cielo;
e soltanto il bagliore di una stella
provava che non eri Eternità.
Quel raggio s’è dissolto. Ora sei vuoto,
la cosa che si conta e maledice
per le troppe sgradevoli e noiose
e tristi tue parti che ripetiamo.
To the author of a sonnet
Oh sì, è triste il tuo verso, è triste:
dannatamente più triste che arguto!
Non capisco perché dovremmo piangere,
se non un pianto di pietà per te.
Ma qualcun altro va più compatito,
e molto più compatito di te!
Perché è lui che soffre più di tutti,
lui che per sua disgrazia sta leggendoti.
Rime senza l’aiuto di magiale tue- da leggere una volta sola:
ma non è l’effetto loro esser tragiche
e non riescono ad essere ridicole.
Ma se vuoi il sangue dei nostri petti
e infliggerci un tormento non comune,
se davvero vuoi provocarci il pianto,
diccelo, che le leggerai da capo.
57
Prometeus
I
Titano! I tuoi occhi immortali videro
le sofferenze dei mortali in tutta
la loro inconsolabile realtà
e non ci disprezzasti come gli altri dei.
Ma la tua pietà che cosa ottenne?
Un’estenuante sofferenza muta,
la roccia l’avvoltoio e la catena,
e ciò che il valoroso può penare,
tormenti d’agonia che non esprime
il senso soffocante del dolore
che innalza il suo lamento in solitudine,
e poi teme un testimone in cielo
o quando non ha eco lui sospira.
II
Titano! A te affidarono il conflitto
tra la volontà e la sofferenza
che torturano quando non uccidono;
e il cielo inesorabile,
la tirannia sorda del destino,
la legge che ci domina dell’odio
che a suo piacere crea
le cose che potrebbe annichilire
neanche ti concessero di morire
anzi, l’eternità fu il maledetto
dono loro, ma sopportasti quieto.
Tutto ciò che il Tonante potè estorcerti
non fu che la minaccia ricaduta
su di lui dello strazio e del tormento;
tu prevedesti bene il suo destino
ma non lo rivelasti per placarlo;
e il silenzio tuo fu la sua condanna,
e un vano pentimento ebbe nell’anima
e un timore malvagio mal celato
gli fecer fremere in mano le folgori.
III
Il tuo crimine fu d’esser pietoso,
e di far diventare le miserie
nostre più lievi grazie ai tuoi precetti.
Tu c’insegnasti l’uso della mente
e nonostante gli alti impedimenti
fidando nella tua paziente forza
nella tua resistenza, nella tua
capacità d’opporti con lo Spirito,
58
che Terra e Cielo non poteron scuotere,
tu ci concedesti una lezione unica:
tu sei per noi il simbolo ed il segno
della forza divina e del suo Fato;
come te, l’uomo è in parte divino
fiume agitato ma sorgente pura
e l’uomo in parte può intravedere
il suo destino funebre
e i suoi infelici sforzi per resistere
alla sua esistenza triste e sola:
a ciò il suo Spirito può opporre
se stesso, che è pari a tutti i dolori,
ed un volere fermo, e conoscenza,
e pure torturato può distinguere
la propria ricompensa, perché trionfa,
quando finalmente osa
e fa della Morte la sua Vittoria.
59
Raymond Carver
60
Two worlds
Aria greve
nell'aroma dei crochi,
il profumo sensuale dei crochi;
guardo un sole limone scomparire,
mutare il mare
da blu a nero oliva.
Vedo fulmini balzar dall'Asia mentre
nel sonno
il mio amore si agita e sospira e
riaddormenta,
parte di questo mondo eppure
parte dell'altro.
This word love
Non andrò quando lei mi chiamerà
anche se dirà ti amo,
e soprattutto se dirà così,
anche se giura
e promette
soltanto amore amore.
La luce qui
copre ogni
cosa allo stesso modo;
e neppure il mio braccio fa ombra,
anch'esso consumato dalla luce.
Ma la parola amore parola che si oscura
diventa pesante e si scuote, inizia
a mordere a rabbrividire e sconvolgere
attraverso questa pagina
finchè anche noi ci perdiamo
nella sua gola trasparente e ancora
siamo separati, lucidi, le cosce affiancate
i tuoi capelli sciolti che non hanno
esitazioni.
61
Caution
Provava a scrivere una poesia mentre fuori era ancora buio,
quando sentì la netta sensazione
di essere osservato.
Posò la penna e si guardò attorno. Poi
si alzò e fece il giro delle stanze.
Frugò gli armadi. Naturalmente niente.
Ma non voleva correre rischi.
Spense tutte le luci e sedette al buio.
Fumò la pipa fino a quando
non se ne andò quella sensazione e ben presto
albeggiò. Poi si mise a guardare
il foglio bianco davanti a sé. Rifece
ancora una volta il giro della casa.
Accompagnato dal suono del suo respiro.
Altrimenti niente. Ovviamente.
Niente.
Out
Fuori dalla bocca nera del gran re
salmone vengon fuori le teste delle aringhe,
tagliate di traverso:
lavoro quasi perfetto del vero
pescatore di salmoni, suo e dell'elegante, affilato coltello da esca.
Il corpo dell'aringa senza testa è stato fissato
a quaranta centimetri dal cucchiaino d'argento,
e le teste gettate fuori dalla barca
per affondare vorticando nell'acqua maculata.
Come hanno fatto quelle teste a riapparire
nella barca fuori dalla bocca lacerata straordinario! - versione distorta
di una pessima favola, dove nessun desiderio
verrà mai esaudito, nessun patto stretto,
alcuna promessa mantenuta.
Ne abbiamo contate nove di teste, come se
contarle fosse già raccontarle dopo. - Gesù esclamasti - Gesù - prima di rigettarle fuori
che è dove dovrebbero rimanere.
Ho riacceso il motore e abbiamo lanciato di nuovo
in acqua gli ami con le esche d'aringhe.
Tu raccontavi le tue storie con i Mormoni
quando abbattevi alberi sulla Prince of Wales Island
(niente alcol, né donne, né bestemmie. Niente
e basta, a parte lavoro e paga) Poi sei rimasto
in silenzio, hai pulito il coltello sui calzoni
guardando l'orizzonte verso il Canada e oltre.
62
È tutta la mattina che volevi dirmi qualcosa
ed ora cominci:
tua moglie ti vuole fuori dalla sua vita, vuole
che te ne vada, vuole soltanto che tu sparisca.
Perché non sparisci e non ti fai mai più vedere?
Così ti ha detto lei. "Ci crederesti? Mi sa che
spera che un tronco mi faccia fuori." E proprio
in quel momento qualcosa di grosso abbocca.
L'acqua ribolle e la lenza fila via. E continua
a filar via, fuori.
What the doctor said
Ha detto che non va bene
per niente bene, anzi, proprio male
ne ho contati trentadue su un polmone solo prima
di smetterli di contarli
Ho detto megli così, non vorrei sapere
quanti ancora ce ne sono
e lui ha chiesto lei è religioso, s'inginocchia
nelle radure, invoca aiuto
vicino a una cascata mentre gli spruzzi
colpiscono viso braccia
Io ho detto non ancora ma intendo farlo
lui ha detto mi dispiace veramente
vorrei tanto avere altre notizie da darle
Io ho detto amen e lui qualcos'altro
che non ho capito
ma non volevo fargliela ripetere
e doverne digerirne un'altra
così l'ho solo guardato
per un po' lui ha guardato me
sono saltato in piedi ho stretto la mano
di quest'uomo che mi aveva appena dato
qualcosa che nessuno al mondo mi aveva dato prima
mi sa che l'ho pure ringraziato tanta è
la forza dell'abitudine.
Cherish
Dalla finestra la guardo chinarsi sulle rose
reggendole vicino al fiore per non pungersi.
Con l'altra mano taglia, si ferma, taglia,
più sola al mondo
di quanto pensassi. Non alzerà
lo sguardo, non ora, sola
con le rose e qualcos'altro che posso solo
immaginare senza dire. Se il nome di quei cespugli,
regalo per le nostre nozze tardive: Ama, Onora, Abbi Cura 63
è quest'ultima che mi porge all'improvviso,
dopo esser entrata in casa. Ci affondo
il naso, ne aspiro la dolcezza, profumo
di promessa e tesoro.
La mia mano sul suo polso avvicina
i suoi occhi verdi come muschio di fiume. Poi
la chiamo, contro ciò che avverrà: moglie,
finchè posso, finchè il mio respiro, petalo
affannato dopo l'altro, riesce ancora a raggiungerla.
Gravy
Non c'è altra parola. Perché quella è ciò ch'è stata. Una pacchia
una pacchia questi ultimi dieci anni.
Vivo, sobrio, lavoratore, amante riamato
di una brava donna. Undici anni
fa gli dissero che aveva sei mesi di vita
se continuava. E sarebbe
ancora peggiorata. Così cambiò vita
in qualche modo. Smise di bere! E per il resto?
Dopo questo fu tutto una pacchia, ogni minuto,
fino a quando e anche quando gli dissero che,
be' - qualcosa si stava rompendo e qualcosa
gli stava crescendo in testa "Non piangete"
disse ai suoi amici "Sono fortunato.
Ho avuto dieci anni in più di quanto io o
chiunque altro s'aspettasse. Vera pacchia.
Non lo dimenticate."
No need
Vedo un posto vuoto a tavola.
Di chi? Di chi altro? Chi prendo in giro?
La barca aspetta. Non servono i remi
né il vento. Ho lasciato la chiave
al solito posto. Tu sai dove.
Ricordami e tutto ciò che abbiamo fatto insieme.
Ora abbracciami forte. Sì, così. Baciami
forte sulle labbra. Sì. Ora lasciami
andare, cara. Lasciami andare.
Non c'incontreremo più in questa vita,
allora dammi un bacio d'addio. Baciami ancora.
E ancora. Sì, così. Ora basta.
Ora, cara, lasciami andare.
È tempo d'avviarsi.
64
After-glow
Viene il crepuscolo dopo un po' di pioggia.
Aperto un cassetto ne salta fuori
la foto di un uomo, e solo ora si sa
che gli rimangono due anni.
Lui ancora non lo sa, è chiaro,
per questo può sorridere all'obiettivo.
Come può sapere cosa mette radici nella sua testa
in quel momento? Se si guarda a destra
tra i rami e i tronchi, si intravedono
macchie cremisi di chiarore ultimo. Senza ombre
né chiaroscuri. L'aria è umida e calma…
La posa dell'uomo continua a sorridere.
Rimetto la foto con le altre e fisso
il chiarore ultimo lungo i monti lontani
che riluce dorato sulle rose in giardino.
Poi dò un'altra occhiata alla foto. Ammicca,
il gran sorriso, inclinata spavalda
la sigaretta.
Late fragment
Hai avuto ciò che
volevi, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Dirmi amato, sentirmi
amato sulla terra.
65
E.E. Cummings
66
“IS 5”, 40
I nostri cuori toccanti sottilmente comprendono
(fusi come dita, amandosi
fino a diventare mani) sottomessi
all’immane disastro dell’anno:
come questa precoce e solitaria stella
si trascina gracile al crepuscolo, colti
da paura densa i nostri spiriti languono e soffocano;
finchè rapido l’autunno non abbraccia
i nostri pensieri silenti, che mano nella mano,
morendo tentano di comprendere
il
(per pallide distanza d’aria caduca, satura
d’infinita malinconia priva di speranza,
lumeggia di colpo esatto e sprezzante)
chiaro terzo di luna che lento cade
“IS 5”, 37
È molto che il mio cuore fu con il tuo
stretto nel nostro abbraccio in quella tenebra
dove sorgono nuove luci e
s’espandono,
da tempo la tua mente ha percorso il
mio bacio come uno straniero
per le vie e i colori di una cittàche probabilmente ho dimenticato
come, sempre (da
questa precipitosa brutalità
di sangue e carne) Amore
conia il suo atto più graduale,
e affila la vita a eternità
- poi le nostre metà separate diventano musei
colmi di bei ricordi imbalsamati
67
Da W(ViVa), 42
Coltiverò in me
con scrupolo l’Inimitabile che
è solitudine, questi sogni unici
non sporcheranno i loro abiti
con i fenomeni: essendo
tale la degna condotta per
più ponderose
ambizioni o
speranze meno
alte delle mie (spalancando le finestre)
“e c’è una filosofia” proprio
nello stesso istante (si buttò
in
strada) questa profonda immediata maschera e
esprimendo “per me, siccome io
sono fragile ed esile
prendo in prestito contatti da quel tu e da
questo tu sensazioni, imitandole, un po’ fatalmente
raffinate” avvolgendosi con cura nella Propria
sciarpa)
Pioggia non rispetta la gente
e la neve se ne frega un soffice bianco
di chi tocca.
68
Emily Dickinson
69
How many times
Solo una bocca chiusa può dir quanto
Vacillarono questi piedi deboli.
Tenta –Tu puoi smuovere un chiodo orribile,
O scardinare fibre d’acciaio?- Tenta!
Accarezza la fronte sempre gelidaAlza –se puoi i capelli più distrattiRiscalda quelle dita di diamante
Che mai, mai più porteranno un ditale.
Ronzano sui vetri le mosche idioteE mentre il sole splende, ecco che, ardito,
Cola il filo di un ragno dal soffittoSta –la pigra massaia- tra le margherite.
It’s such a little thing to weep
É un’inezia tale, piangereE così incerto un sospiroMa è proprio in tali occupazioni
Che, uomo o donna, si muore!
Adrift!
Una piccola barca è alla deriva!
E la notte sta già calando!
Non c’è nessuno che possa condurla
Fino alla città più vicina?
Fu ieri –raccontano i marinaiAll’imbrunire. E sconfitta dal vortice
La piccola barca cessò la lotta
Gorgogliando, fino al fondo del mare.
Ma gli angeli raccontano che ieri,
non appena l’alba diventò vermiglia,
una piccola barca in preda al vento
con le sartie tese e vele in alto
salpò –trionfante!
70
Summer for thee
Lascia che sia io la tua estate,
quando più non sarà giorno d’estate!
E la tua musica, quando Rigogolo
e Fanello diventeranno muti!
Rifiorire tua, fuggendo la tomba
Ti raggiungerò splendida!
Ti prego, coglimiAnemoneIn eterno, tuo fiore!
Before the ice
Prima che sia ghiaccio la palude
Prima che partano i pattinatori
O qualche viso si appanni di neve
All’imbrunirePrima che siano appassiti i prati
E prima dell’albero di natale
Prodigi su prodigi
Arriveranno a me!
Hearth! We will forget him!
Cuore! Dimentichiamo –
Tu ed io- stanotte!
Tu puoi dimenticare il suo calore
Ed io la luce!
Quando avrai fatto, dimmelo,
che comincerò io!
Ma fa presto: se indugi
Potrei ricordarlo!
71
I hav’not told my garden yet
Non l’ho detto ancora al mio giardino
Temendo d’esser vinta
E non ho più la forza
Di confidarlo all’apeNé parlerò per strada
Perfino le botteghe stupirebbero,
che qualcuno così timido e stolto
provi a morire.
Non devono saperlo le colline
Dove vagai a lungo
Né dirlo alle foreste innamorate
Il giorno che dovrò andarmeneNé sussurrarlo a tavolaInsinuando distrattiChe forse oggi qualcuno
Percorrerà l’enigma-
Virtù
Oh, nothing new
Nothing that lasts
An eternity, nothing worth
Putting out to interest,
NothingBut the fixing of an eye
Concretely upon emptiness!
Oh, nulla da aggiungere
nulla che duri
un’eternità, e nulla che meriti
lo sforzo della sollecitudinenullache il concreto fissarsi dello sguardo
Sul vuoto.
72
Success is counted sweetest
Dolcissimo è il successo
Per chi non l’ha trovato.
Si,per capire il nettare
Occorre l’aspra fame.
Non uno del purpureo plotone
Che strappò la bandiera
Può definire meglio
la vittoria, del vinto
che agonizza ascoltando
da lontano le note
così chiare e crudeli
del trionfo nemico!
Our share of night to bear
A ognuno la sua notteEd il suo mattino
Per colmare il suo vuoto
Con la gioia e lo schernoUna stella…e un’altra…
Alcune si perdono!
Poi la foschia ovunque,
ed eccolo il giorno!
Good night
Buona notte, è dovere,
com’è complicata la polvere!
Sì, vorrei già partire per sapere!
Oh Incognito!
Insolente d’un angelo
Evitarmi così!
Padre! Non vuol parlarmi,
vuoi dirgli qualche cosa?
73
I prayed, at first, a little girl
Quand’ero una bambina io pregavo,
ma perché mi dicevano di farloe mi fermai quando mi resi conto
cosa significasse la preghiera.
Credevo in Dio che si guarda attorno
quando lo fisso con occhi infantili,
ogni volta con solenne onestàe Lui si guarda attorno- mentre elenco
i desideri quotidiani
o confondo le parti
dei suoi piani lontani
e DiviniE spesso, nel pericolo,
considero la forza
che potrebbe concedermi
un Dio così forte,
capace di sorreggermi
quando vacillo,
capace di ridarmi l’equilibrio
che non conservo mai.
74
I had been hungry, all the years
Sono rimasta affamata dalla nascitama venne anche il mio tempo per mangiare:
tremante m’avvicinai alla tavola
e potei toccare uno strano vino.
Era su tavoli che avevo visto
ritornando affamata a casa, quando
fissavo le vetrine e l’abbondanza
non osavo desiderare mia.
Non riuscivo a riconoscer quel pane,
così diverso dalla mia briciolacosì frequentemente condivisa
con gli uccelli nella nostra natura.
Tutta quell’opulenza nuova offese
la mia persona – mi sentii male
come accade alla bacca di montagna
trapiantata dal cespuglio alla strada.
E non avevo più fame – scoprii
che essere affamati è la condizione
di coloro che rimangono fuori –
ed entrati la fame se ne va.
I found the words to every thought
Io ho trovato sempre la parola
per esprimere ogni pensiero – tranne
uno – che mi provoca,
come una mano che osa disegnare
il Sole per chi si nutre di tenebre.
Come cominci?
Può il carminio esprimere la fiamma –
O il blu il pomeriggio?
75
Of nearness to her sundered things
Quando si riavvicina alle sue cose
l’anima può vivere momenti unici –
quando nella penombra si contempla
qualche stranezza che diventa nitida.
Riemergono figure seppellite
e tornano tranquille nelle camere.
E, non contaminato dal sepolcro
ma diventato polvere, ritorna
il vecchio amico, nella stessa giacca
che noi gli abbottonammo nella tomba,
la giacca che portava quando bimbi
negli antichi mattini giocavamo.
I see thee better-in the dark
Ti vedo meglio – nell’oscurità –
non m’occorrono lumi.
L’amor per te sia un prisma
che supera il violetto.
Riesco a vederti meglio grazie agli anni
che si sono curvati tra di noi –
la lampada del minatore basti
ad annullarne il buio.
Ora che sei sepolto – riconoscerti
è più facile – e ardente
diventi la tua tomba
della luce che innalzai per te.
Di che giorno necessitano
coloro che hanno un sole eterno –
sulle loro tenebre – e che risplende
al Meridiano?
76
The brain – is wider than sky
Il cervello è più spazioso del cielo –
prova a metterli accanto,
e l’uno conterrà leggero l’altro
e inoltre pure te –
Il cervello è più profondo del mare –
se li leghi blu a blu,
uno assorbirà l’altro
come immergendo la spugna nel secchio –
Il cervello ha lo stesso peso di Dio –
tu sollevali entrambi –
ti accorgerai che si differenziano
come Sillaba e Suono.
A little road
Una piccola strada –
non opera dell’uomo – realizzata
dallo sguardo e accessibile soltanto
a stanga d’ape o cocchio di farfalla –
Non so dirti se arrivi
fino in città – so solo
che nessuno dei carri che ci corrono
trasporta me.
I dwell in possibility
Abito nel possibile –
una casa migliore della prosa –
ha le porte più alte,
tantissime finestre –
Camere come cedri –
l’occhio non può entrarvi –
e sul suo tetto eterno
comignoli d’azzurro –
L’unica occupazione per chi visita –
stendere le mie mani strette – E cogliere
il Paradiso.
77
A prison gets to be a friend
Una prigione ci diventa amica
tra il suo volto ponderoso e il nostro
si forma un legame di parentela –
la fessura del suo sguardo di luce
andiamo a guardare con gratitudine
all’ora concessaci – come il pane,
di cui siamo ugualmente affamati.
Impariamo a conoscerne le tavole,
le quali rispondono ai nostri piedi –
un suono che al principio ci risulta
così miserabile, mentre ora è –
così dolce – anche se non proprio come
il rumore di guazza nelle pozze –
ormai memoria di bambino – ma è
la geometrica gioia di un circuito
più tranquillo. Mentre la posizione
della chiave che sbarra la fatica
ogni giorno ha un aspetto più reale
del viso stesso della libertà –
spettro d’acciaio, i cui lineamenti
sono sempre presenti – come i nostri,
e come i nostri non possiam sfuggire –
il dovere prescritto, il breve cerchio,
il lento barattare le speranze
con cose più passive –
E la gioia, la gioia troppo ripida
per poterla vedere – Libertà
un tempo nota – sogno troppo vasto
per ogni notte senza redenzione.
78
Natures is what we see
La natura si vede –
É il colle – il pomeriggio e lo scoiattolo –
l’eclisse e l’ape –
È tutto il cielo –
La natura la udiamo –
è mare e dolico,
grillo e tuono –
è tutta l’armonia –
La natura ci è nota –
ma non sappiamo dirla –
È così impotente la saggezza
nostra di fronte alla sua semplicità.
Each life converges to same center
Ogni vita converge verso un centro –
sopito o manifesto,
in ogni essere umano puoi trovare
un fine
che forse non saprà neanche ammettere –
troppo bello
per essere creduto da un’ingenua
fede –
da adorare cautamente – come un Cielo
fragile –
come le vesti dell’arcobaleno irraggiungibile –
Verrà cercato quanto più distante –
quanto alto
per la lenta diligenza dei santi –
il Cielo –
Potrebbe rimanere inconcluso
per l’intera ventura di una vita –
ma in eterno – la prova –
ritorna –
79
Because I could not stop for death
Siccome non potei fermarmi e morire –
gentilmente fu la morte a fermarsi –
eravamo noi due sulla carrozza –
e l’Immortalità.
S’andava piano – Non aveva fretta
avevo abbandonato
ormai lavori e ozio
per la sua gentilezza –
Superammo la scuola, dove i bimbi
lottavano in cortile – a ricreazione –
Superammo i campi e gli occhi del grano
e superammo il sole del tramonto –
O forse fu lui che superò noi –
Le rugiade gelate m’attrappivano
perché avevo una gonna leggera
e la mia stola era solo di tulle –
Ci fermammo di fronte ad una casa
simile ad un gonfiore della terra.
Il soffitto si vedeva a fatica –
la cornice era in terra –
Sono già secoli da allora – ma
mi sembrano più corti di quel giorno
in cui ebbi il sospetto che le teste
dei cavalli eran rivolti all’eterno –
The world – feels dusty
Il mondo sa di polvere –
quando dobbiamo fermarci e morire –
desideriamo la rugiada – allora –
Gli onori sono aridi –
Giova un vessillo a un volto in agonia?
Anche un ventaglio piccolo
è meglio, mosso da una mano amica,
fresco come la pioggia.
Mio sia il compito – quando verrà
la tua sete – di prendere
rugiade di Tessaglia –
o i balsami dell’Ibla –
80
She rose to his requirement – dropt
Innalzandosi al suo volere – caddero
I giocattoli vecchi
e assunse l’onorevole lavoro
di donna e sposa –
Se in questa nuova vita fu costretta
a rinunciare ad un po’ d’ampiezza o paura
della prima Prospettiva – Se l’oro
con l’uso si corrose,
non se ne parli – così come al mare
colmo di perle e alghe –
e solo a lui – son note
le profondità loro.
You taught me waiting with myself
Tu mi dicesti d’aspettare sola –
severa rispettai l’appuntamento –
mi parlasti della forza del fato –
e anche questo imparai –
Altezza della morte che non può
ostacolare maggiori amarezze
di quelle che per prima dà la vita –
Eppure c’è qualcosa da imparare:
comprendere il cielo che tu conosci
perché non ti vergogni
di me – nel regno luminoso in Cristo –
nel luogo più lontano –
Drama’s vitallest expression is the common day
La più vitale espressione del Dramma
È il Giorno Comune – Che con noi
sorge e tramonta sempre –
L’altra tragedia muore con la recita –
Questa invece si rappresenta meglio
quando non c’è il pubblico
e i palchi sono chiusi.
81
From blank to blank
Da vuoto a vuoto –
una via senza senso.
Mossi passi meccanici –
fermandomi per morire o avanzare
indifferentemente
Se arrivai a un termine,
questo termina in una rivelazione
indefinita –
Chiusi gli occhi – e barcollai ancor meglio
forse sarebbe meglio nascer ciechi –
When I hoped, I recollect
Ricordo bene il posto dove stavo
quando anche io sperai –
era una camera affacciata ad ovest –
ed era buona la più inclemente aria –
Non poteva infastidirmi il nevischio
e né fermarmi il gelo –
perché era la speranza a scaldarmi
non lo scialle merino.
Ricordo bene il giorno in cui temei
Il mondo si sdraiava
al sole – ma era gelo
la natura –
Freddi ghiaccioli blu
mi pungevano l’anima –
ovunque andavano cantando uccelli –
e solo io – ero muta.
E se il giorno in cui dovetti disperare
dimenticassi – così come vuole
la natura – che sia
notte quando è già tramontato il sole –
e il buio è sopra il colle –
e in cielo – la natura
esisterà di fronte alla memoria
e a me –
82
The only news I know
Le uniche novità che io conosco
sono i comunicati quotidiani
dall’Immortalità.
L’unico spettacolo a cui assisto –
si chiama Oggi e Domani –
forse l’Eternità –
E l’unico che incontro
è Dio – su un’unica
Via, che è l’Esistenza –
Attraversàtala, se ci saranno
novità – o spettacoli migliori –
te lo dirò.
Crisis is a hair
La crisi è un capello
verso cui ogni nostra forza striscia
o può allontanarsene.
Se ci trova nel sonno
trattenere il respiro
è il meglio che possiamo
ignorando se sia vita o morte
in esatto equilibrio.
Un istante può urgere
od un atomo premere
od un cerchio esitare
nella circonferenza.
Ciò – può scuoter la mano
che sistema il capello
e assicura l’eterno
dall’attimo di qui che lo rivela –
Love
L’amore resta anche dopo la morte –
e precede la vita –
prima per confermarla
dopo per usurparla –
83
My best acquaintances are those
I miei migliori amici
sono quelli con cui non ho parlato –
le stelle che ritornano puntuali
non mi hanno mai considerata rozza
Se non ho ricambiato,
andando in cielo, le visite loro –
Il mio volto – fedele e riverente
come cortesia basta.
This dust, and it’s feature
La forma della polvere –
che guardiamo oggi
domani
non potrai riconoscerla –
Questa mente e il suo spazio –
Son troppo, troppo angusti
per come appare ampliata
la vastità di questa sua indagine –
Il mondo e le sue specie
troppo limitati come spettacolo
per l’attenzione assorta
della remota minuziosa cura –
What I see not, I better see
Io vedo meglio ciò che non guardo –
grazie alla fede – I miei occhi nocciola
qualche volta si chiudono –
Purtroppo la memoria non ha palpebre –
It is an honorable thought
É nobile pensiero
e fa pensare a chi, per salutare,
leva il cappello in strada
quando incontra i signori
Che si abbia un’anima immortale
sebbene le piramidi
rovinino. E i regni.
E anche il frutteto perda ogni colore.
84
Death is a dialogue
La morte è un dialogo che dura tra
lo spirito e la polvere
“Sparisci” dice la morte. E lo Spirito
“Ho fede in un altrove”
La morte dubita – con argomenti –
Lo Spirito va via
lasciando come prova
un cappotto di creta.
I heard, as if I had no ear
Udivo come priva delle orecchie
finchè una parola necessaria
corse la strada dalla vita a me
e imparai a udire.
Guardavo come se i miei occhi fossero
altrui, finchè qualcosa
non li trafisse, e ora so che fu
la Luce, perché vedo.
Me ne stavo come senza me stessa,
soltanto corpo, finchè una forza
non m’invase, fissando
anche in me il mio nucleo.
E lo spirito si volse alla polvere
“Oh vecchia amica, tu mi riconosci”
Subito il tempo corse per diffondere
la nuova. Ma incontrò l’eternità.
No ordinance be seen
Non è visibile l’ordine,
La grazia sì graduale
da diventare un’abito gentile
che amplia la solitudine.
85
The bustle in a house
L’agitazione in casa
già all’alba, dopo la morte,
è la più solenne opera
che si realizzi in terra –
Spazzare bene il cuore,
e riporre l’amoreùche non s’userà più
fino all’eternità.
That odd old man is dead a year
L’anno scorso è morto quel vecchietto
bizzarro – ora ci manca il suo cappello
puntuale. Era chiara e fredda la notte
quando si spense l’esile fiammella.
Chi rimpiange più quel vecchio lucignolo?
C’è più qualche vecchietto amico suo?
Attende qualche tenace compagna
il raggrinzito ritornare suo?
Oh, vita, che cominci con un sangue
impetuoso, e poi ti consumi opaca!
Guardandoti, qualsiasi impresa langue
sentendosi già gelida e fugace!
The smouldering embers blush
Piano le braci sfrigolano –
O cuore nel carbone
ancora vivi, dopo tante notti?
Le braci ora sorridono –
blando vibra l’annuncio della luce,
si accendono gli stolidi secondi –
il fuoco che non muore ha una virtù
ma Prometeo non la conobbe mai –
86
A spider sewed at night
Un ragno nella notte
cuciva senza luce
sopra un arco chiarissimo.
Fosse gala di dama
o sudario di gnomo
lo sa soltanto lui.
Ma la sua strategia
era fisionomia
d’eterno.
The props assist the house
I puntelli sostengono la casa
fino a quando la casa è terminata.
Poi i puntelli si tolgono
e, adeguata, sta dritta
reggendosi, la casa
e non ricorda più
trivella e falegname –
Lo stesso sguardo volge
una vita compiuta
alla propria esistenza –
Un passato di tavole, di chiodi
e lentezza – poi cade l’armatura
ad affermare l’anima.
The clouds their backs together laid
Si rincorrevano serrate nubi.
Sopraggiungeva a premere anche il vento
di settentrione. Le foreste corsero
fino a cadere.
E giocavano i lampi come sorci
il tuono rotolò come inutile.
Quanto dolce dovrà essere la tomba
dove non può arrivare l’ira del cielo
e neanche la vendetta.
87
There is no frigate like a book
Non c’è fregata che ci porti altrove
rapida come un libro
né c’è un cavallo ardito
come una poesia quando s’impenna –
questo viaggio è possibile anche al povero
perché è senza pedaggi –
Quant’è frugale il carro
che porta all’anima.
So proud she was to die
Era tanto orgogliosa di morire
che ci fece arrossire di vergogna.
Ciò che noi speravamo, le sembrava
lontanissimo dal suo desiderio
d’andarsene
dove non c’è nessuno di noialtri
ancora. Cosicchè la nostra Angoscia
svilì in Gelosia.
Death’s way layng
L’agguato della morte
non è il furto più netto del tempo.
Ci depreda un brigante più estremo,
Silenzio è il suo nome –
Se arriva, né assale né minaccia,
ma dal grappolo della nostra vita,
perfetto ottiene un balsamo.
88
How lonesome the wind must feel nights
Dovrà sentirsi molto solo il vento
quando si spengono le luci e tutto
ciò che trova riparo le persiane
chiude, e sparisce –
Dovrà sentirsi molto grande il vento
nel pomeriggio: andando verso musiche
incorporee e correggendo gli errori
del cielo schiara immagini –
Dovrà sentirsi molto fiero il vento
al mattino: s’accampa in mille aurore
sposandole e ripudiandole tutte –
Sale poi sulla Torre –
The devil – had he fidelity
Fosse fedele il diavolo
diverrebbe il migliore degli amici –
perché è abile –
Ma i diavoli non cambiano –
è la perfidia la sua virtù
e se ci rinunciasse
il Diavolo – davvero
sarebbe Dio.
Glass was the street
La via era di vetro – l’evidenza
del pericolo, l’albero e il viandante –
Si respirava un’aria d’avventura
gaia e gagliarda, in strada tra i monelli –
Spento il rumore delle slitte, simile
ad un vibrar di zoccoli più intenso –
È il corsivo supremo del passato
che fa diventar misero il presente.
89
Elysium is far as to
Il Paradiso nonè più lontano
della stanza qui accanto
se in quella stanza un nostro amico aspetta
la sua felicità o la sua sventura –
Quanta forza è nell’anima
se può sopportar tanto,
l’accento di un passo che s’avvicina,
l’aprirsi di una porta –
90
Thomas Stearns Eliot
91
Spleen
Domenica: la sazia processione
di definite facce domenicali;
cuffie, cilindri e consci, sistematici
ossequi che soppiantano
la vostra padronanza razionale
con questa incontrollabile digressione.
Sera, luci e tè!
Bambini e gatti svicolano;
e la malinconia non può nulla
per fronteggiare tale stolta intesa.
La vita, lievemente immiserita,
grigia, languida, infastidita e mite
attende, con cappello e guanti in mano,
cerimoniosamente in giacca e cravatta
(soltanto un po’ seccata dal ritardo)
sulla soglia dell’Assoluto.
92
A note on war poetry
Non l’espressione dell’emozione collettiva
Imperfettamente riflessa dai giornali
ma il punto in cui la mera, individuale
esplosione s’infrange.
Nella traiettoria di un’azione,
che crea l’universale originando un simbolo
dall’impatto? È una coincidenza
a cui si presta attenzione
di forze al di là del controllo sperimentaledi Natura e Spirito. L’esperienza individuale
è per lo più o troppo vasta o troppo misera
le nostre emozioni sono semplici incidenti
nello sforzo di combinare il giorno con la notte.
Sembra possibile che una poesia possa venire
da un bambino: ma un componimento
non è poesia perché occorre una vita.
La guera non è vita: è una situazione
che non puoi nè ignorare né accettare,
un problema di tranelli e stratagemmi,
da accerchiare o disperdere.
Ciò che dura non sostituisce il transitorio,
no, non l’uno per l’altro. Ma il concetto
astratto dell’esperienza propria, che diventa
universale quando è maggiormente intenso,
e che chiamiamo “poesia”, questa,
va affermata in versi.
93
The hollow men
I
Siamo gli uomini vuoti
Siamo uomini impagliati
Che appoggiano vicine
Teste piene di paglia. Ahimè!,
le nostre aride voci,
che bisbigliano insieme
sono quiete e insensate
come vento sull’erba secca
o zampe di topo sui vetri rotti
delle nostre cantine vuote
figura senza forma, ombra incolore,
forza paralizzata, gesto immobile;
chi ha attraversato
con sguardo diretto l’altro regno della morte
ci ricorda –se capita- non come anime
violente e perdute,
ma solo come gli uomini impagliati
gli uomini vuoti.
II
Gli occhi che non oso incontrare in sogno
Non appaiono
Nel regno di sogno della morte:
là gli occhi sono
luce di sole su colonne infrante
là un albero ondeggia
e voci cantano
nel vento
più distanti e solenni
di una stella che cade.
Non lasciate che m’avvicini
Al regno di sogno della morte
E lasciate che indossi
Deliberatamente tali maschere
Pelli di topo, di cornacchia, doghe
In croce, comportandomi come il vento
Non più vicinoNon l’incontro finale
Nel regno del crepuscolo
94
III
Questa è la terra morta,
la terra dei cactus
qui s’innalzano immagini
di pietra, qui ricevono
la supplica della mano di un morto
sotto lo scintillio di una stella che langue
ed è così
nell’altro regno della morte
svegliandoci soli
nell’ora in cui tremiamo,
ancora fragili,
le labbra che vorrebbero baciare
formulano preghiere per quella pietra spezzata.
IV
Gli occhi non sono qui
Non ci sono occhi qui
In questa valle di stelle che muoiono
In questa valle vuota
Questa fauce spezzata dei nostri regni perduti
In quest’ultimo luogo di contatto
Noi brancoliamo assieme
Senza parlare
Radunati su questa riva del tumido fiume
Accecati, a meno che
Gli occhi non riappaiano
Come la stella eterna
Rosa colma di foglie
Del regno di tramonto della morte
È la sola speranza
Di questi uomini vuoti.
V
Qui noi giriamo attorno al fico d’India
Fico d’India fico d’India
Qui noi giriamo attorno al fico d’India
Alle cinque del mattino
Fra l’idea
E la realtà
Fra il movimento
E l’atto
Cade l’ombra
95
Perché tuo è il regno
Fra il concepimento
E la creazione
Fra l’emozione
E la reazione
Cade l’ombra
La vita è molto lunga
Fra il desiderio
E lo spasmo
Fra la potenza
E l’esistenza
Fra l’essenza
E la discendenza
Cade l’ombra
Perché tuo è il regno
Perché tuo è
La vita è
Perché tuo è il
Così finisce il mondo
Così finisce il mondo
Così finisce il mondo
Non in un colpo, ma in un piagniucolio.
96
Mercoledì delle ceneri
Perché non spero più di ritornare
Perché non spero
Perché non spero di tornare
Desiderando il talento dell’uno e lo scopo dell’altro
Non posso più insistere per arrivare a tanto
(perché dovrebbe l’aquila antica tendere le ali?)
Perché dovrei rimpiangere
Il potere svanito del solito regno?
Perché non spero di conoscere ormai
La debole gloria dell’ora certa
Perché non penso
Perché so che non potrò più conoscere
Il caduco, unico e vero potere
Perché non posso bere
Là, dove gli alberi fioriscono e le fonti scorrono,
poiché laggiù, ora, non c’è più nulla
perché so che il tempo rimane tempo
e lo spazio rimane solo spazio
e ciò che è lo è soltanto per un tempo
e soltanto per uno spazio
godo di ciò che esiste,
rinuncio al sacro volto
e rinuncio alla voce
perché non posso sperar di tornare
quindi gioisco, dovendo costruir qualcosa
di cui godere
e prego Dio d’aver pietà di noi
e prego di poter dimenticare
questi problemi, che troppo discuto
con me stesso e troppo giustifico
poiché non spero più di tornare,
che queste parole rispondino
per ciò che è fatto e non potrà ripetersi.
Non sia troppo severo con noi il giudizio
Perché queste ali non bastano per volare,
capaci soltanto di batter l’aria
l’aria che ora è troppo poca e troppo secca
più limitata e secca della volontà
insegnaci ciò di cui aver cura
insegnaci la quiete.
Prega per noi peccatori
97
Ora e nell’ora della nostra morte.
II
Signora, tre leopardi bianchi sedevano sazi
Sotto un ginepro, sazi delle mie braccia
Del mio cuore e del mio fegato e di quanto
C’era
Nel cavo del mio cranio. E Dio disse
Vivranno queste ossa? E ciò che era nelle ossa
(che già erano aride) disse stridendo:
noi risplendiamo tanto per la bontà
di questa Signora, per la sua bellezza
che in meditazione onora la Vergine.
E io che son qui smembrato
Offro le mie gesta all’oblio e l’amore
Alla posterità del deserto
E al frutto della zucca. E ciò ristora
Le mie viscere, le fibre dei miei occhi
E le parti indigeste
Che i leopardi rifiutano. La Signora
Se n’è andata in bianca veste a contemplare
Che la luce delle ossa espii fino all’oblio.
Non c’è vita in loro. E come sono dimenticato
E vorrei essere dimenticato, così vorrei dimenticare
Così devoto e saldo nel proposito.
E Dio disse Profetizza al vento
Perché soltanto lui ti ascolterà
E stridenti le ossa cantarono
A ritmo di cavalletta, dicendo
Signora dei silenzi
Quieta nell’angoscia
Lacerata e più integra
Rosa della memoria
E rosa dell’oblio
Esausta e feconda
Tormentata e serenatrice
L’unica Rosa
Ora è giardino
Dove ogni amore termina
Terminato il tormento
D’insoddisfatto amore
Tormento ancor più grave
D’amor soddisfatto
Fine dell’infinito
Viaggio verso l’ignoto
Fine di tutto ciò
98
Che non si può concludere
Lingua senza parole e
Parola senza lingua
Grazie alla Madre
Per il Giardino, dove
Tutto l’amore termina.
Sotto un ginepro le ossa cantarono, sperse e lucenti
È meglio esser disperse, per il poco bene
Che facemmo l’un l’altra
Sotto un albero, al fresco, benedetti
Dalla sabbia,
dimentiche di noi e delle altre, unite
nella quiete del deserto. È questa la terra
che vi dividerete. E non più contano
l’unità e la parte. Questa è la terra,
la nostra eredità.
III
Alla prima rampa della seconda scala
Mi volsi e vidi in basso
Lo stesso spettro attorto alla ringhiera
sotto il vapore di una fetida aria
in lotta con il demonio delle scale
dal volto falso della speranza e disperazione.
Alla seconda rampa
Li lasciai avvinghiati, volti in basso;
non c’erano più facce e la scala era buia,
scheggiata e umida, come la bocca guasta
e bavosa di un vecchio
o la gola dentata di un vecchio squalo.
E sulla prima rampa della terza scala
C’era una finestra barrata gonfia come un fico
E aldilà del biancospino in fiore e della scena pastorale
La figuara dalle spalle ampie in blu e verde
Incantò maggio con un flauto antico
Sono dolci i capelli al vento, i capelli bruni
Che svolazzano sulla bocca, lillà e chiome brune;
svago, la musica del flauto, pause e passi
dello spirito sulla terza scala,
languono, languono; al di là di speranza
e disperazione la forza sale sulla terza scala.
Signore, non son degno
Signore, non son degno
99
Ma dí soltanto una parola
IV
Chi camminò tra viola e viola
Chi camminò
Tra i vari gradi del verde mutevole
In bianco e azzurro, colori di Maria,
parlando di banalità
conoscendo e ignorando l’eterno dolore
che si mosse tra chi già camminava
che un tempo fece forti le fontane
e fresche le sorgenti
rese fredda la roccia arida e ferma la sabbia
nel blu, blu di Maria
sovegna vos
è questo il tempo della transizione
che porta via violini e flauti, che rende viva
una che avanza tra la veglia e il sonno,
che indossa
bianca luce che avvolge, inguainandola,
avanzano i nuovi anni, e rendono
con una vivida nube di lacrime, gli anni,
rendono con un verso nuovo rime antiche.
Redimi il tempo. Redimi
La visione ignota nel sogno più alto
Mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d’oro.
La silente sorella in veli bianchi e blu
Fra i tassi, dietro il dio del giardino,
il cui flauto è sfiatato, piegò la testa
e accennò, ma senza dire parola.
Ma la fontana zampillò e l’uccello cantò
Redimi tempo e sogno
Il segno del discorso non detto né udito
Finchè il vento non scuota mille bisbigli dal tasso
E dopo questo nostro esilio
V
Se è persa la parola, se è spesa
La parola, non detta
100
Né udita;
sempre è la parola non detta, il Verbo non udito,
il Verbo senza parola, il Verbo
nel mondo e per il mondo
e la luce scintillò nelle tenebre
e ancora attorno al centro silenzioso del Verbo
ruotava il mondo, inquieto per il verbo.
O mio popolo, che cosa ti ho fatto.
Dove ritroveremo la parola, dove, la parola
Risuonerà? Non qui dove il silenzio non basta
Non sul mare o sulle isole,
né sulla terraferma, nel deserto o nelle terre
della pioggia, per coloro che camminano
giorno e notte nel buio
non sono qui il luogo e il tempo giusto
non c’è luogo di grazia per chi schiva il volto
non c’è tempo di gioia per chi cammina
nella confusione e nega la voce
La sorella velata pregherà
per colui che cammina nelle tenebre, per colui che ti scelse
e ti si oppone
101
da Choruses from “The rock”
L’aquila spicca il volo in cima al cielo,
il cacciatore con i cani insegue.
O, moto perpetuo di stelle fisse
O, ritorno perpetuo di stagioni,
O, autunno e primavera, morte e nascita!
Eterno ciclo di idea ed azione
infinita invenzione, esperimento.
Conoscenza del moto e del linguaggio,
non dell’immobilità del silenzio;
Tutta la nostra conoscenza porta
noi più vicini alla nostra ignoranza,
l’ignoranza porta moi alla morte
ma vicino alla morte e non a Dio.
Dov’è la vita perduta vivendo?
Dov’è la saggezza persa sapendo?
Dov’è la sapienza persa informandoci?
Tutti i Cicli del Cielo in venti secoli
allontanano tutti noi da Dio
portandoci più vicino alla polvere.
…
Il mondo ruota e cambia.
Soltanto una cosa in tutti i miei anni
non è mai cambiata,
comunque la mascheriate, non cambia:
l’eterna lotta del Bene e del Male.
Voi trascurate gli altari e le chiese
voi siete gli uomini che oggi deridono
tutto ciò che è stato fatto di buono,
trovate spiegazioni per soddisfare
la mente razionale e illuminata.
Trascurate e disprezzate il deserto.
Il deserto non è così remoto
e non è soltanto voltato l’angolo.
Il deserto è pressato accanto a voi
in metropolitana.
Il deserto è nel cuore del fratello.
Buono è colui che costruisce il bene.
102
FOUR QUARTETS
Burnt Norton
I
Il presente, il passato
forse sono presenti nel futuro
ed il futuro è tutto nel passato.
Se tutto il tempo è eterno presente
il tempo è irredimibile
ciò che poteva essere è un’astrazione
che resta possibilità perpetua
in un mondo d’ipotesi.
La possibilità e ciò che è stato
giungono sempre allo stesso presente.
Nella memoria resta un’eco d’atti
che attraversa il corridoio non preso
verso quella porta che mai aprimmo
nel giardino di rose. Così l’eco
delle mie frasi nella vostra mente.
Ma perché
esse alzino la polvere
su una coppa di foglie di rose
non lo so.
Altre eco
vivono nel giardino. Da seguire?
Trovatele, presto, disse l’uccello
girato l’angolo, al primo cancello
nel nostro primo mondo, seguiremo
l’inganno del tordo? Nel nostro primo
mondo erano dignitosi, invisibili,
andavano senza schiacciar le foglie
morte nel caldo autunno che vibrava
e l’uccello chiamava, in risposta
a musica inaudita tra i cespugli
ma doveva esserci uno sguardo nascosto,
se le rose sembravano guardate.
Là erano, accettati e accettanti ospiti.
…
II
…
Al punto fermo del mondo che ruota.
Corporeo e incorporeo;
Non viene e non va; la danza è immobile
non si ferma, non si muove. E non è
fissità dove passato e futuro
convergono. Né moto da né verso.
Senza ascesa o declino.
103
Tranne che per quel punto, il punto fermo,
non ci sarebbe danza,
e lì c’è solo danza
posso soltanto dire, là siam stati
ma non so dire dove
né quanto a lungo, perché in tal modo
l’introdurrei nel tempo.
La libertà dal desiderio pratico,
liberarsi di azione e sofferenza,
di slanci interni, esterni
anche se circondate dalla grazia
del senso, luce bianca ferma e mobile
Ehreburg senza moto, concentrazione
senza eliminazione, il mondo nuovo
e il vecchio reso esplicito, capito
nel completarsi d’ogni parziale estasi
nel risolversi d’ogni suo orrore.
Ma l’unione di passato e futuro
nel fiacco nostro fisico che muta
ci protegge da cielo e dannazione
che la carne non riesce a sopportare.
Il passato e il futuro
ci danno poca consapevolezza.
Esser consci è non essere nel tempo
ma soltanto nel tempo è il momento
del giardino di rose
il momento di pioggia sulla pergola
il momento della corrente in chiesa,
aria nell’ora in cui il fumo ristagna
e ricordati mischiano passato
e futuro: soltanto con il tempo
puoi conquistare il tempo.
III
È questo un luogo di disaffezione
tempo del prima e del dopo
luce fioca: né la luce del giorno
che veste le forme di quiete lucida
dando all'ombra una bellezza sfuggente
e con moto lento offre permanenza
né il buio a purificare l'anima
che con le privazioni svuota i sensi
togliendo transitorietà all'affetto
né pienezza né vuoto. Solo un fremito
sugli straniti volti logorati
distratte distrazioni
fatte di voglie e svuotate di senso
104
gonfia apatia senza concentrazione
uomini e pezzi di carta nel vento
che mulina freddo prima e dopo il vento,
che polmoni malati aspirano espirano
tempo del prima e dopo.
Eruttazione d'anime malsane
nell'aria che sbiadisce e intorpidisce
mossa dal vento che spazza le tristi
colline di Londra, Hampstead e Cerkenwell,
Campden e Putney, Highgate, Primrose e Lugdate.
Non qui, non qui il buio in questo mondo
che cinguetta.
Scendi di più, scendi solo
nel mondo di perpetua solitudine.
Buio interiore, privazione
e spoliazione di ogni proprietà
aridità del senso
evacuazione della fantasia
inattività dello spirito;
questa è una via, e l'altra
è simile, ma non nel movimento
ma nell'astensione dal movimento.
E mentre il mondo muove i suoi appetiti
sulle strade asfaltate
di passato e futuro.
IV
Il tempo e la campana han seppellito il giorno,
la nube non porta via il sole.
Si volgerà a noi il girasole,
scenderà la clematide,
i vilucchi e i rametti
ci stringeranno forte abbracciandoci?
Fredde
dita di tasso ci si arricceranno
intorno? Dopo, l'ala del martin
pescatore che dice luce a luce
e tace, luce ferma.
Al punto fermo del mondo che ruota.
V
Le parole si muovono, e la musica,
solo nel tempo; ciò che sta soltanto
vivendo può scomparire.
Le parole, dopo il discorso tacciono
solo grazie alla forma e alla trama.
105
Le parole o la musica raggiungono
la quiete, vaso cinese in perpetuo
movimento nella sua propria quiete.
Non quiete di violino mentre termina
la nota. Non solo, ma coesistenza
o, meglio, fine che precede inizio
e la fine e l'inizio furon sempre
prima dell'inizio e dopo la fine
Tutto è sempre ora. Le parole forzano,
si scheggiano, talvolta si frantumano
per la tensione, sgusciano, si guastano
e marciscono nell'imprecisione
non vogliono restare al loro posto
non vogliono star ferme. Voci stridule
che sgridano, deridono,
o solo chiacchierano, sempre le assalgono.
Il Verbo nel deserto
è preda delle voci tentatrici,
l'ombra che piange nella danza funebre,
alto lamento di chimera triste.
Si muove ogni dettaglio della trama
come le dieci scale dell'immagine.
Il desiderio stesso è movimento,
indesiderabile per se stesso;
l'amore invece è immobile,
solo causa e fine del movimento,
al di fuori del tempo, non desidera
eccetto che per l'aspetto del tempo
catturato nella forma del limite
tra non essere ed essere.
All'improvviso in un raggio di sole
proprio mentre la polvere si muove
si alza il riso dei bimbi
nascosti tra le foglie
Presto, ora, qui, ora, sempre È ridicolo il vasto triste tempo
che s'estende tra un prima ed un dopo.
East coker
I
Nel mio inizio è la mia fine. Case
sorgono e cadono, crollano o s'ampliano,
demolizioni, distruzioni, restauri
o, al posto loro, campi aperti, fabbriche
o circonvallazioni
da vecchie pietre nuove costruzioni
dal legno vecchio il fuoco rinnovato
106
da vecchi fuochi, cenere e poi la terra
che è carne pelo e feci
ossa d'uomo e di bestia, stelo e foglia.
La casa vive e muore: c'è un tempo
per costruire, vivere e generare
c'è un tempo perché il vento spacchi
il vetro ormai sconnesso e scuota lo zoccolo
lungo il quale scappa il topo campagnolo
e scuota il logoro arazzo, il suo tacito
motto ricamato.
Nel mio inizio è la mia fine. Cade
ora la luce sopra i campi aperti,
lascia la via profonda nella sera
oscurata, dove ti fai da parte
se passa un carro e la via profonda
continua avanti dritta
fino al villaggio, in un calore elettrico,
ipnotizzata. Luce afosa in foschia
calda, assorbita, non rifratta dalle pietre grigie.
Le dalie dormono in silenzi vuoti
e la civetta arriverà puntuale
in quell'aperto campo
se non vi avvicinate troppo, troppo
a mezzanotte estiva puoi udire
(…)
Alzando pesanti le goffe scarpe
piedi di terra e argilla, allegramente,
allegria di chi è sotto la terra
a nutrire il grano. Attenti al tempo,
attenti al ritmo della loro danza
come al vivere le vive stagioni
tempo di stagioni e costellazioni
tempo di mungitura e di raccolto
tempo d'accoppiarsi di uomini e donne
e tempo delle bestie. Piedi s'alzano,
cadono. Nutrirsi. Letame e morte.
Spunta l'alba ed il giorno
si prepara al calore ed al silenzio
sul mare un vento d'alba increspa e scivola.
Io sono qui
o là, o altrove. Nel mio principio.
II
Che cosa ci fa il tardo novembre
107
coi turbamenti della primavera
e le creature di calura estiva
e i bucaneve schiacciati dai piedi
e i rampicanti che s'alzano troppo
dal rosa al grigio, e rovesciano giù
rose tardive coperte di neve?
Rotolato tuono tra astri cadenti,
suono simile ai carri in trionfo
schierati in guerre tra costellazioni.
Lo Scorpione si scontra con il Sole
finchè il Sole e la Luna tramontano
comete piangono e Leonidi volano
cacciano per i cieli e le pianure
presi da un vortice che porterà
il mondo al fuoco della distruzione
che brucia prima del regno di ghiaccio.
E questo era un modo di presentare
la cosa non molto soddisfaciente:
uno studio perifrastico in modi
poetici d'altri tempi,
che ci fa rimanere nella lotta
intollerabile tra le parole
e i significati. Non che preoccupi
la poesia, non era (per riprendere)
ciò che ci si aspettava.
Qual'era il valore dell'agognata
calma, la serenità autunnale
e la saggezza dell'età?
Avevano ingannato noi, o se stessi
le quiete voci antiche
lasciandoci come eredità
solo la ricevuta di un inganno?
Serenità, deliberata ebetudine.
Saggezza, conoscer segreti morti,
inutili nel buio dove gli occhi
smarrivano lo sguardo o si volgevano.
Ci sembra che ci sia, a dire tanto,
solamente un valore limitato
nel sapere che ci offre l'esperienza.
Il sapere impone una trama, e falsa
perché la trama ogni momento è nuova
e ogni momento è nuova, sconcertante
valutazione di ciò che siam stati.
Solo non c'inganna ciò che ingannandoci
non potrebbe più nuocerci.
Non soltanto nel mezzo del cammino
108
ma per tutto il cammino, in una selva
oscura, tra rovi e orli di paludi
dove non va sicuro nessun passo
tra minacce di mostri e luci folli,
a rischio d'incantesimi.
Non m'interessa la saggezza antica,
ma la loro pazzia,
il loro temer paura e frenesia
la loro paura della possessione,
di appartenere a un altro, a altri, o a Dio.
E l'unica saggezza in cui speriamo
è quella dell'umiltà: è sconfinata.
Le case sono finite tutte in mare.
I danzatori sono andati tutti
sotto la collina.
III
O buio, buio. Tutti a te dirigono,
vuoti spazi tra stelle, vuoto in vuoto.
Capitani, uomini d'affari e lettere
patroni d'arte e uomini di Stato
governanti funzionari presidenti
capitani d'industria e imprenditori
tutti vanno nel buio. Buio. Sole,
Luna, Almanacco di Gotha e Gazzetta
l'annuario delle Società anonime
freddo il senso, perduta ogni ragione
d'agire. E tutti andiamo al funerale
silente, funerale di nessuno,
perché nessuno c'è da seppellire.
Dissi alla mia anima: taci e lascia
che la tenebra scenda su di te,
sarà il buio di Dio, come in teatro
spengono le luci per cambiar scena,
con un cupo rombo d'ali, nel muoversi
del buio sopra il buio,
e noi sappiamo che colline e alberi
e tutto il panorama,
tutta l'ardita facciata imponente
viene spazzata via o come quando la metropolitana
si ferma troppo tra due stazioni
e la conversazione lentamente
svanisce nel silenzio,
vedi, dietro ogni volto, spalancarsi
la profondità del vuoto mentale
109
e non resta che il crescente terrore
di non avere nulla a cui pensare;
o quando, sotto l'etere, la mente
è cosciente, ma cosciente di nulla ho detto alla mia anima, sta quieta
e aspetta silente senza speranza
perché potrebbe essere una speranza
mal riposta: allora aspetta senza amore
e l'amore sarebbe mal riposto.
Resta la fede. Ma fede e amore
e speranza sono soltanto attesa.
Attendi, non pensare, non sei pronta
al pensiero: così il buio e la quiete
saranno luce e danza.
Mormorii di scorrevoli ruscelli,
lampi d'inverno.
L'introvabile timo selvatico,
la selvatica fragola, le risa
in giardino, eco d'estasi non persa,
ma che richiede e tende all'agonia
di nascita e di morte.
Voi dite che ripeto
ciò che ho già detto. Lo dirò di nuovo.
Devo dirlo di nuovo? Per andarci,
per arrivare dove voi siete
per andare via da dove non siete,
dovrete fare una strada senza estasi.
Per arrivare a ciò che non sapete
dovrete percorrere l'ignoranza.
Per ottenere ciò che non avete,
dovrete percorrere la privazione.
Per arrivare a quello che non siete
si deve andare per le strade ignote
vostra compagna sarà l'ignoranza
e ciò che avete è ciò che non avete
e dove siete è là dove non siete.
IV
Il chirurgo ferito usa l'acciaio
per indagare la parte malata;
sotto mani insanguinate sentiamo
la compassione che punge e guarisce
sciogliendoci l'enigma della febbre.
L'unica salute è la malattia
se obbediamo all'infermiera morente
a cui non sta a cuore di piacere
ma ricordarci la maledizione
110
di Adamo, per ricordarci che il male,
perché guarisca, deve peggiorare.
Tutta la terra è il nostro ospedale
pagato da un milionario in miseria,
dove, se ci va bene, moriremo
tra indissolubili cure cure paterne
che non ci lasceranno mai, ma mai
ci faranna raggiungere un altrove.
Il freddo va dai piedi alle ginocchia,
la febbre canta in mentali circuiti.
Se voglio avere caldo devo gelare,
tra i purgatoriali fuochi frigidi
tra fiamme di rose e fumo di spini.
Beviamo soltanto il sangue che stilla,
la carne insanguinata è il nostro cibo:
ciononostante ci piace pensare
che siam proprio fatti di carne e sangue…
Ma ciononostante, ancora parliamo
del venerdì santo.
V
Dunque eccomi, a metà cammino, vent'anni dopo.
Vent'anni per lo più dilapidati,
gli anni tra le due guerre…
Passati ad imparar delle parole
l'uso rifacendo sempre da capo
è un modo diverso di fallire
perché s'è imparato a dire bene
soltanto ciò che non si ha più da dire
o il modo che ci è diventato inutile.
Così ogni impresa è un ricominciare,
avventura tra l'inarticolato
con strumenti che sempre più si logorano,
in un caos di sentimenti imprecisi,
squadre indisciplinate di emozioni.
E quello che abbiamo da conquistare
con la forza, con la sottomissione,
è del resto già stato scoperto, una
due, innumerevoli volte, da uomini
che non si può sperare di emulare non c'è competizione - solo lotta
per recuperar ciò che s'è perduto
e perdere e trovare senza fine,
ed ora, che le condizioni sembrano
sfavorevoli.
111
Ma forse nulla si guadagna o si perde
non resta che tentare. Non c'è altro.
Si parte dalla casa, più s'invecchia
più il mondo ci sembra strano, la trama
di vivi e di morti più complicata.
Non il momento intenso, senza prima
né poi, isolato, ma un'intera vita
che brucia in ogni istante, e non la vita
di un uomo solo, ma di vecchie pietre
che non si riescon più a decifrare.
C'è un tempo per la sera stellata,
un tempo per la sera al paralume
(La sera con l'album di fotografie).
L'amore si avvicina più a se stesso
quando il luogo e l'ora non contan più.
I vecchi dovrebbero diventare
esploratori, qui o là non conta
noi dobbiamo muoverci senza fine
verso altre intensità
per un'unione più piena e profonda
attraverso il buio, il freddo, la vuota
desolazione, l'urlo d'onda e vento
le immense acque di tempeste e focene.
Nella mia fine è il mio principio.
112
The dry salvages
I
Non so gran che di dei, ma il fiume sembra
un dio bruno e forte, rude e intrattabile,
paziente fino a un limite, dapprima
riconosciuto come una frontiera;
utile, senza fidarsene troppo,
come mero veicolo di commerci
poi soltanto un problema da risolvere
tra ingegneri pontili.
Sciolto il problema, il dio è dimenticato
dai cittadini, ma resta implacabile,
fedele a stagioni e furie, ricorda
a noi ciò che vorremmo dimenticare.
Non sanno onorarlo né propiziarlo
gli adoratori di tecnologie,
ma aspettando, vegliando ed aspettando
c'era il suo ritmo nella stanza dei bimbi,
nel fetido ailanto in mezzo al cortile
nell'odore dell'uva sulla tavola d'autunno,
e nella luce a gas di veglie invernali.
Il fiume è dentro noi, il mare intorno;
il mare è anche il bordo della terra,
il granito in cui riesce ad addentrarsi
le spiagge dove scaglia testimonianze
di creazioni diverse e più antiche:
stelle di mare, granchi a ferro di cavallo, ossi di balena
pozze dove offre alla curiosità
le alghe più delicate e anemoni marini
sputa ciò che perdiamo, lacerate
reti, rotte trappole d'aragoste,
remi spezzati, utensili stranieri.
Il mare ha molte voci,
molti dei e molte voci.
Il sale è sulle rose della macchia,
la nebbia tra gli abeti.
L'ululato del mare
e il guaito del mare son differenti
voci che spesso si sentono insieme:
il pianto del cordame. La minaccia
e carezza dell'onda che si rompe
sull'acqua. Poi lontano
il brontolio tra denti di granito,
il monito dolente del promontorio,
tutte voci del mare,
il fischio della boa sballottata,
113
doppiata nel ritorno, ed il gabbiano:
e sotto l'oppressione della nebbia,
un tocco di campana
misura un tempo non nostro, la risacca
la muove lenta, un tempo
che è più vecchio del tempo dei cronometri
e più vecchio del tempo
contato dalle donne in inquietudine
che insonni indagano il futuro e cercano
di disfare, sdipanare, districare
rappezzare il passato ed il futuro,
fra mezzanotte e l'alba,
quando il passato è soltanto un inganno
ed il futuro non ha più futuro,
prima dell'alba, quando il tempo è fermo
e non ha fine;
e alla risacca, che è e che è da sempre,
rintocca
la campana.
II
Terminerà mai il muto lamento,
lo sfiorire silente dell'autunno
quando il fiore immoto abbandona i petali?
Dove i rottami alla deriva approdano
e la preghiera d'ossa sulla rena
al terribile annuncio impronunciabile?
Non c'è fine, ma aggiunta: si trascina
la conseguenza d'altri giorni ed ore,
se l'emozione priva d'emozione
tutti gli anni trascorsi tra rovine
di ciò a cui si dava più fiducia
e dunque può meglio esser ripudiato.
Alla fine un'aggiunta: viene meno
l'orgoglio o il risentimento al cedere
delle forze, la devozione astratta
può sembrar mancanza di devozione,
barca alla deriva che piano affonda
il tacito ascoltare l'innegabile
scampanio dell'ultima annunciazione.
Non finiranno mai le vele mosse
da un po' di vento nella nebbia che ansima?
Non si può pensare un tempo senza oceano,
o un oceano che non abbia più rottami
114
o un futuro che non sia capace,
come il passato, d'essere
senza destinazione.
Noi dobbiamo pensare che aggottano
calano e tirano, al vento di nord est
sui banchi non erosi a pelo d'acqua
o che ritirano la paga, asciugano
le vele; e non durante un viaggio inutile
con reti che non possono pesare.
Non ha fine il lamento senza voce
né l'appassire di fiori già appassiti
né il moto del dolore che immobile non duole,
né la deriva in mare e i suoi rottami
né la preghiera delle ossa al Dio Morte.
Solo una preghiera mal pronunciabile,
preghiera dell'unica annunciazione.
Sembra, quando s'invecchia,
che il passato abbia un'altra trama, e cessi
la sua mera sequenza o il suo sviluppo: quest'ultimo, in parte,
è un errore dato da nozioni
superficiali dell'evoluzione
e diventa, nell'opinione pubblica,
un modo per rinnegare il passato.
I momenti della felicità non la sensazione di stare bene,
appagamento, sicurezza, affetto,
neanche un pranzo eccellente
bensì l'illuminazione improvvisa pur avutane esperienza, il senso
ci è ormai sfuggito,
ma avvicinarsi al senso
riporta l'esperienza in forma nuova,
oltre il senso della felicità.
Ho già detto che rivivere esperienze
nel significato non è l'esperienza
di una vita, ma di generazioni senza dimenticare qualche cosa
che probabilmente è inesprimibile:
lo sguardo indietro al di là di certezze
e documenti. È la timida occhiata
alle spalle, al terrore primitivo.
Ora eccoci a scoprire che i momenti
di estrema sofferenza (Non importa
115
se dovuti o meno al malinteso
di aver temuto o sperato le cose
sbagliate) sono anch'essi permanenti,
ed hanno la permanenza del tempo.
Ciò lo capiamo meglio
quando soffre qualcuno a noi vicino,
non noi, ma con conseguenze anche nostre.
Perché il nostro passato è coperto
dal corso delle azioni
mentre il tormento altrui è un'esperienza
non corrosa da attriti successivi.
La gente cambia, ride: ma rimane
la sofferenza. Il tempo che distrugge
è il tempo che conserva, come il fiume,
con il suo carico di negri morti,
mucche e gabbie di polli
la mela amara e il morso nella mela
e lo scoglio nell'acqua senza pace
le onde coprono, la nebbia nasconde.
III
A volte mi domando se questo è
ciò che Krishna intendeva tra l'altro - è un altro modo di dire
la stessa cosa:
il futuro è un canto già svanito,
Rosa Reale o una spiga di lavanda
d'inquieto rimpianto per tutti quelli
che non son qui a rimpiangere,
schiacciata tra le pagine ingiallite
di un libro mai aperto.
E l'ascesa è discesa,
il progresso regresso.
Non c'è certezza che l'affronti: il tempo,
però, non può guarire proprio nulla:
non c'è più il paziente.
Il treno parte, i passeggeri a posto
con la frutta i periodici e le lettere
d'affari (e le persone sono andate
via dai marciapiedi dopo i saluti)
I volti si rilassano, il dolore
al ritmo di tante ore sonnolente
diventa sollievo. Va, viaggiatore!
senza sfuggire al passato, va
verso vite diverse, altri futuri.
Mentre i binari sfuggono, si stringono
dietro a voi, non siete la stessa gente
116
che è partita da quella stazione,
che arriverà in un luogo qualsiasi;
non pensate che "il passato è finito"
o che "il futuro sta davanti a noi"
mentre guardate il solco dietro voi
sul ponte del transatlantico pulsante.
Al far della notte, tra antenne e cordame
una voce canta (non all'orecchio,
ed in nessuna lingua, mormorante
conchiglia del tempo) "Venite avanti
o voi tutti che credete nel viaggio;
non siete gli stessi che videro il porto
indietreggiare, né voi sbarcherete.
Ma tra queste due sponde
mentre il tempo è sospeso
considerate passato e futuro
con la mente imparziale.
Quando non c'è azione, né inazione
potete capir ciò: 'qualunque sfera
dell'essere occupi la mente di un uomo
al tempo della morte' - questa è l'unica
azione (Ogni momento è tempo di morte)
che darà frutto nella vita altrui:
e non pensate al frutto dell'azione.
Andate avanti.
O viaggiatori, o naviganti, voi
che raggiungete il porto, o il cui corpo
soffrirà prove e giudizi del mare
o qualsiasi altra fine
è questa la destinazione vera"
Così Krishna, quando ammoniva Arjuna
sul campo di battaglia.
Non addio,
ma avanti, viaggiatori.
IV
Dal tuo sacro altare sul promontorio
prega Signora per chi è in mare,
per chi pesca e per chi onestamente
è impegnato nei traffici e per chi
lo guida.
Ripeti una preghiera anche per donne
che videro i loro figli e mariti
partire e non tornare:
figlia del tuo figlio,
O Regina del cielo
117
E prega per coloro che erano in nave
e finirono il viaggio sulla sabbia,
sulle labbra del mare
o nella gola buia che mai più
ce li restituirà
o dovunque la campana del mare,
eterno angelus, non potrà raggiungerli.
V
Comunicare con Marte, con spiriti,
dir le gesta del serpente marino,
scrivere oroscopi, indagar la sfera,
osservare i malanni nelle firme,
biografare le linee della mano,
far profezie con le foglie del tè
o con i sortilegi, perscrutare
l'inevitabile con le carte
scherzar con pentagrammi o barbiturici
analizzar terrori dell'inconscio
dissezionando ricorrenti immagini…
Esplorare viscere, tombe o sogni;
questi son tutti passatempi, droghe,
rubriche sui giornali:
e lo saranno sempre, soprattutto
quando le nazioni sono in pericolo,
e c'è perplessità su spiagge asiatiche
o sulle nostre strade.
L'uomo è curioso e cerca
tra passato e futuro
le nuove dimensioni. Ma comprendere
dove toccano senza tempo e tempo
è un'occupazione per i santi…
Nemmeno occupazione: qualcosa
dato e tolto, annientata vita in amore
e ardore, in altruismo e dedizione.
Per la maggior parte di noi non c'è
che il momento trascurato, momento
dentro e fuori del tempo, distrazione
che già si perde in un raggio di sole,
nascosto timo selvatico, lampo
d'inverno, o cascata, musica udita
così nell'intimo e inavvertibile,
ma finchè dura siete anche voi musica.
E questi sono accenni e congetture,
accenni seguiti da congetture;
poi è la preghiera, la disciplina,
118
l'osservanza, il pensiero e l'azione.
L'accenno mezzo indovinato, il dono
compreso a metà è l'Incarnazione.
Qui, l'unione impossibile
delle sfere dell'essere agisce,
qui, passato e futuro
sono conquistati, e riconciliati,
qui, dove l'atto sarebbe altrimenti
movimento di ciò che è solo mosso,
senza la fonte in sé del movimento,
spinto da sotterranee forze demoniache.
L'azione giusta è libera
da passato e futuro.
Per molti di noi è questo lo scopo
che qui non si può raggiungere mai
noi che, soltanto perché tentammo,
non siam stati sconfitti, contenti
alla fine del ritorno nel tempo
(non lontano dal tasso)
per dare la vita al suolo del senso.
119
Robert Frost
120
Desert place
Neve che cade fitta come la notte
Lasciandolo alle spalle guardai un campo,
e la terra appianata dalla neve
non lasciava intravedere che stoppie.
Attorno non è che dominio di boschi.
Gli animali si stringono nelle tane.
Io sono troppo assente per far parte;
la solitudine m’include inavvertitamente.
E, solitaria com’è, la solitudine
Non potrà diminuire, e diverrà
Bianco vuoto di neve colto dal buio,
senza espressione, inespressivo nulla.
Non mi impauriscono gli spazi vuoti
Tra stella e stella, dove non c’è uomo,
se così vicino a casa, in me stesso,
posso impaurirmi con i miei deserti
Time out
Fu quando si fermò che lui comprese
La pendenza del monte che risaliva
Come un libro tenuto innanzi agli occhi
(e era un testo, seppur fatto di piante)
Corniolo, filodoro maiantemo,
legge, e seguono riga a riga le dita,
fiori appassiti nel seme a venire…
121
Happiness makes up in height for what it lacks in lenght
Oh, mondo tempestoso,
I giorni senza vortici
Tra nuvole e foschie,
o, avvolta in un sudario
l’alta ruota del sole
non fu in parte o tutta
oscura al nostro sguardo,
furono così rari,
che mi chiedo come
si possa conservare
il senso della luce.
Se è giusto questo dubbio
Potrebbe esser che tutto
Sia frutto di un giorno unico,
quando già chiaro all’alba,
il giorno venne chiaro
per chiaro terminare.
E davvero io credo
Che l’impressione splendida
Nasca da un giorno unico
Privo d’ombre che mia,
quando da casa a bosco
tra fiori fiammeggianti
mutammo solitudine.
To a moth seen in winter
E ora ti prego, dimmi, che t’allettò
Con falsa speranza a tentare l’eterno,
a cercare l’amore in questo inverno?
Ma aspetta, ascoltami: sono convinto
Che troppa è la fatica del tuo volo,
così non puoi incontrare l’amore.
ma c’è qualcosa in te che mi commuove,
quell’antica e incurabile stonatura,
principio di ogni male.
ma vai, hai ragione: la pietà non serve,
vai, finchè non avrai ali fradicie e fredde.
Io non ho la tua semplice saggezza,
e come posso toccarti, salvarti,
io, che già stento a salvare me stesso?
122
Directive
Via da questo ora che è troppo per noi,
via, in un tempo fatto semplice, per la perdita
di dettagli, arsi, dissolti e disfatti
come statua mortuaria dalle intemperie.
C’è una casa che non è più casa
in un podere che non è più podere
ed in una città che non c’è più.
On looking up by chance at the constellation
A lungo occorre attendere che oltre le nuvole
qualcosa accada in cielo. Sole e luna
s’incrociano senza toccarsi mai,
né sprizzano scintille con fragore.
Pianeti paiono sfiorarsi in orbita
ma nulla accade mai e non c’è danno.
E allora ci conviene pazientare,
e cercare non in cielo le pene
e i mutamenti che per non impazzire
ci divengono necessari. Certo,
certo, l’aridità diventa pioggia,
come la più lunga pace discordia.
Ma non verrà premiata l’attesa di chi veglia
Nella speranza che s’infranga la quiete celeste.
Il cielo sembra salvo questa notte.
Fire and ice
Qualcuno dice che il mondo brucerà.
E altri che sarà ghiaccio.
Per quanto ne so io del desiderio
Preferirei il fuoco.
Ma se dovesse accadere due volte,
l’odio non ha mai limiti,
anche il ghiaccio sarebbe
una catastrofe
sufficiente.
123
The road not
Due strade divergenti nel giallo del bosco.
Ed io, triste di non poterle percorrere entrambe,
essendo uno, restai a lungo a guardare,
fino al termine dello sguardo, dove una
andava a curvare nel sottobosco.
Poi presi l’altra, buona anch’essa, forse
Migliore, per l’erba meno battuta;
benchè in realtà fossero tracciate
entrambe dalle stesse passeggiate,
ed entrambe, quel mattino, sembravano
ancora non segnare il passo nero
dell’uomo tra le foglie. Già, potevo
lasciar la prima per un giorno avenire,
perché ogni strada conduce all’altra,
ma dubitavo di poter tornare.
Sì, racconterò ciò con un sospiro,
in qualche luogo fra chissà quanto tempo:
due strade divergevano nel bosco
ed io presi quella che mi sembrava
più ignota, e qui fu la differenza.
The armful
Per ogni pacchettino che raccolgo
Me ne cade un altro
E la pila intera perde equilibrio;
bottiglie, ciambelline,
estremi difficili a conciliare…
Eppure nulla voglio dimenticare.
Con tutto ciò che li può sostenere,
mani e mente e cuore, se serve, tento
di conservarli interi sul mio petto.
Ma è inutile piegar le ginocchia
A prevenire il crollo: così mi siedo
In mezzo a loro. Ed ora non mi resta
Che d’ammucchiarli meglio…
On the hearth’s beginnings to cloud the mind
Qualcosa vidi (o mi sembrò soltanto?)
Nel deserto dell’Utah a mezzanotte,
guardando fuori dalla mia cuccetta,
cielo e terra al chiarore della luna.
Il cielo aveva stelle qua e là;
124
la terra una sola luce lontana,
patetica, tremante luce umana,
mantenuta accesa contro la notte,
da qualcuno laggiù, disperatamente,
da sembrarmi abbandonato da Dio.
Avrebbe tremolato ancora un po’,
per cadere come un ultimo petalo.
Ma il cuore cominciò a confondermi la menteE conoscevo una storia migliore.
Sono le fronde a far tremare la luce;
e possono tenerla ben accesa:
e quando non interessa più loro,
possono lasciarla alle cure di altri.
E un’estate, ripassando qui,
di sicuro la ritroverei identica.
It is almost the year two thousand
Per cominciare, il mondo
ebbe un’età dell’oro
privo delle miniere,
e qualcuno parla dei segni
della prossima età che viene,
il vero Millennio,
il finale scintillio dorato
per concluderlo. E se è così
(E la scienza dovrebbe dircelo)
dovremmo tirar sù la testa
dal manto del giardino da sarchiare,
o dai libri chiosati,
per vegliare questa fine di lusso.
125
Seamus Heaney
126
Settings XXI
Una volta, una soltanto ho sparatocon un calibro 22, al quadro
di un fazzoletto inchiodato ad un ramo
a sessanta yarde. M’inebriò il suono
del proiettile alla facile pressione,
la breve contrazione del bersaglio,
capire all’improvviso cos’è
un fucile. E da allora vidi l’anima
come uno straccio bianco rapinato
via in buie galassie. Nello sparo
c’era il peccato contro la vita eternafrase che si dilata in luce nuova.
settings XXIV
Calma del porto deserto. Ogni pietra
Chiarificata dorme sotto l’acqua,
il molo una muratura di quiete.
Pienezza. Bagliore. Alto Atlantico carico,
gli ormeggi tesi appena, leggerissimo
il chiocciare delle onde sul fasciame.
Ultimi tocchi: minareti di molluschi
laggiù, tra lisci cocci di bottiglia,
detriti di conchiglie e una gemma di arenaria.
Aria e oceano consapevoli di chi
precede l’altro. In opposizione a
Onnipresenza, l’equilibrio e il margine.
127
crossings XXVIII
Ghiaccio come bottiglia. In coda, avidi
Di rientrare ancora nel lungo scivolo
Perfezionandoci a ogni tentativo
Correndo, preparandoci, lasciandoci
Su una verticale fine a se stessa:
addio alla stabilità, un lancio
oltre l’usuale presa su se stessi.
E via di nuovo, dalla presa al perdersi,
stretta via lattea nel ghiaccio nero,
salir su, cosa libera e ritornoripetendo, come un cerchio di luce
superato e verso cui salpare.
A postcard from iceland
Tastando la corrente a qualche passo
dalla sorgente calda, era possibile
udir soltanto il fango ribollire.
Poi la mia guida dietro di me disse,
“Lukewarm. E forse vorreste sapere
che luk significava un tempo umano”
E vi racconterò (già lo sapete)
quanta pressione e carezza sembrarono
consuete, quando l’intima palma acquea
trovò la mia palma.
128
Glanmore sonnets (I)
Vocali arate in altre: terre aperte.
Il più mite febbraio da vent’anni
Brume a bande sui solchi, assenza di suoni
Vulnerabile al lontano gorgoglio dei trattori.
La nostra strada fuma, le zolle volte fiatano.
Buono sarebbe ora traversare un campo
e arte un paradigma di terra al tornio
degli aratri. È ben svelto il mio podere
vecchi vomeri ingoiano il sottosuolo dei sensi
ma mi risveglia una fragranza di terra
coltivata, come una rosa scura non sbocciata.
Appaiono, di fronte alla nebbia, in grembiule
da semina, alle stazioni primaverili,
i miei fantasmi in marcia. Vortica il grano
del sogno come un capriccio di neve a Pasqua.
Da Glanmore sonnets (IV)
Mi sdraio con l’orecchio sulla linea
Perché dicono che si sente un suono
Che corre avanti, un tuono di metallo,
flange e pistoni picchiati sul suolo.
Ma non mi è mai capitato. E invece,
due miglia oltre, colpi di cambi e agganci
sopra i tronchi. La testa di un cavallo
turbina da un cancello,
grigio giro di fianco e di criniera
e io lì a guardarlo apparire.
Due campi prima, in casa, piccole onde
Tremavano silenti nel bicchiere
(mentre adesso mi tremano nel cuore)
Per sparire dove sembravano iniziare.
129
Glanmore sonnets (VI)
Visse là, tra intraducibili luci.
Vide il fucsia di un giorno piovigginoso,
il sambuco al tramonto come una luna che sorge
e i verdi campi farsi grigi al vento sui dossi.
“Verrò fuori da questa glassa”, ripetè
“Di pacifiche assenze e perfette foschie”
Sicuro come l’uomo che sfidò il ghiaccio
e attraversò il fiume Moyola in bicicletta.
Non lo vedemmo mai. Ma in quell’inverno
del quarantasette, quando la neve,
come uno studio, i campi illuminava,
e le cose o cristallizzavano o affondavano,
la sua storia ci animava, bianca oca selvatica
che vola nel buio, oltre la neve dei tetti.
Glanmore sonnets (VIII)
Lampi, su ciocchi a pezzi: grosse gocce
Sul corpo caldo, e impregnate d’indizi
Che schizzano ombre sul ferro dell’ascia.
Oggi la gazza ispezionava a balzi
Un cavallo nel sonno presso il bosco,
pensai a rugiada su armatura e carogna.
Che pretendevo, in strada, sangue fresco?
Fin dov’è giunto, il rospo, sotto la legna?
Che s’avvolge nel silenzio dei campi?
Ti ricordi quella pensione a Les Andes
Dove una vecchia cullava tutto il tempo,
con una canzoncina, un mongoloide
tra le braccia? Son sopra, vieni, io tremo.
Tuo, bosco di betulle tra i lampi.
130
A New song
Ho incontrato una ragazza di Derrygarve
E il nome, muschio potente perduto,
richiamava il lontano perdersi del fiume,
il balzo blu del martin pescatore
o le pietre, che come neri molari
affondano nel guado, il vetro mutevole
dei gorghi, il Moyola che va a scorrere
piacevolmente fin sotto agli ontani.
E Derrygarve, pensavo, era soltanto
musica svanita, acqua del crepuscolofluida libagione del passato
versata per caso da questa figlia vestale.
Ma ora si levino le nostre lingue
di fiume dalle dimore native
e profonde, dilaghino in abbracci
di vocali su terre di consonanti…
Squaring (XLVIII)
Strano come le cose al largo, intuite,
si convertano in cose prevedute;
e come ogni evento ci sia chiaro
solo alla luce di vecchie esperienze.
Forse il settimo cielo è verità
Di un sesto senso già prestabilito.
Ad ogni modo, quando m’investirà
la luce, come sulla strada oltre Colerain
dove il vento si fece più salato, il cielo più precipitoso
e un argento lamè tremolò sulla Barm
tra le pertiche tinte del canale,
quel giorno sarò al passo con quanto m’è sfuggito.
Squarings (XXXVII)
In famose poesie del saggio Han Shan,
Fredda Montagna è un luogo che può significare
Uno stato della mente. O differenti stati
in tempi differenti, perché sembrano poesie
uniche e impulsive, come quelle che iniziano
“Sto seduto qui, di fronte a Cold Mountain
131
Da ventinove anni”, o “Non c’è cammino
che termini”, sostanza invidiabile,
semplice e credibile.
Ma parlarne non basta. Citarle
almeno ci dimostrerà la virtù
di un’arte che conosce il suo progetto.
Squarings (XLVII)
Il mare visibile all’orizzonte
O oltre la rada all’ancora
Si nominava il largo.
Più rimaneva vuoto, più forzava
Lo sguardo a scandagliarlo.
Ma appena gli voltavi la tua schiena,
la tua schiena s’empiva d’occhi come Argo.
Poi, tornando a guardare, il largo sembrava
Sempre inviolato, quasi abbandonato,
come se una truppa in esercitazione
al bordo della visione si fosse ritirata
dietro l’orizzonte a organizzar manovra.
In memoriam: Robert Fitzgerald
I fori in testa alle scuri, squadrati
come ingressi di tombe megalitiche
il passaggio lastricato che si apre
davanti alle pietre di un’altra porta
che si apre su una terza. Non c’è l’ultima,
solo pietra di soglie, di montanti
che ripetono entra entra entra entra…
stipiti e architravi volano nel buio.
Da corda d’arco la nota di rondine
freccia di migrazione il cui bersaglio
lascia un soffio sussurro in ogni foro.
Terminata è la Prova, i nervi ronzano,
viaggia ora fuori da ogni conoscenza
mira perfettamente al centro vuoto.
From the canton of expectation
132
I
La nostra era la terra degli ottativi
sotto nuvole e banchi di rassegnazione.
Fruscii di perdita nelle parole
Non nella nostra vita,
poi l’avvilimento quando si pregava
Concedete o degnate,
ci facevano onore, bastava al giorno.
Ci radunavamo in un campo ogni anno
per danzare in tende dove i bimbi cantavano
canti imparati a voce nel vecchio linguaggio.
Un banditore che aveva combattuto
nella confraternita elencava umiliazioni
da noi date per scontate, ma neanche lui,
penso, le considerava come un appello.
Voci d’acciaio dagli altoparlanti
frustavano l’aria, ma nessuno di noi
si sentiva in colpa. Lui ci confermava.
Quando il nostro inno di rivolta chiudeva
l’incontro, si tornava alle vessazioni
solitite di miliziani ai posti di blocco.
II
Ma all’improvviso questi cambiamenti.
Libri aperti in cucine con gli impianti elettrici nuovi.
Giovani menti pronte a sonnecchiare
tutta la vita al fianco delle mucche
s’impegnavano a tracciare le strade
lungo i testi prescritti. Poi arrivarono
le pietre nei cortili delle scuole
e una grammatica di imperativi,
nuova epoca di rivendicazioni.
Volle bandire ogni condizionale
questa generazione nata impervia
trionfo nelle nostre grida de profundis.
Fece anatema della nostra fede
nella vittoria di chi più sopporta,
menti brillanti e grezze come piedi di porco.
III
Ciò che sembra più forte ha fatto il tempo suo.
Il futuro è in ciò che viene dal basso.
Ciò ci corroborava dimorando
con il nostro patrono clandestino,
l’angelo custode della passività
ora una zanna di minaccia affonda
nella mia spalla. “Colpito”, ripeto
133
stando nudo sotto banchi di nuvole
luccicanti metalliche di tempesta.
Bramo martellare il tavolato
del fasciame, l’indiscutibile resoconto
degli scalmi avvitati, per sapere
se c’è qualcuno che ha mai deviato
dal suo istinto per l’azione migliore,
che non è caduto nell’indicativo,
che salpa quando le nuvole esplodono.
The spoonbait
Ed èccoci ad un’altra similitudine,
così diciamo: l’anima è comparabile
all’esca a cucchiaino che un bimbo scopre
tra le matite sparse nel suo astuccio,
vista per caso, ricordata per sempre
alta e libera srotolarsi dal nulla –
una stella cadente che risale il buio.
Lo sfugge e lo brucia in una volta sola
come la sola goccia implorata da Dives
precipitando nel suo grande abisso.
Poi exit, l’elmo splendente di un eroe
che comanda la nave sul mare schiumante.
Exit, in alternativa, gioco di luce
avvolto a lui controcorrente, impigliato a niente.
clearances (4)
La paura d’ostentare produceva
inadeguatezza quando doveva
pronunciare parole “superiori”
Bertold Brek.
Le usciva qualcosa d’impacciato
e obliquo ogni volta, come se un troppo
ben appropriato vocabolario
tradisse inadeguatezza e impaccio.
Più per sfida che orgoglio, mi diceva “Tu
sai tutte quelle cose”. E governavo
così la mia lingua davanti a lei,
genuino ben appropriato adeguato
134
tradimento di ciò che ben sapevo.
Naw e aye dicevo. Ed educatamente
tornavo agli errori della grammatica
che ci tenevano in stallo ed alleati.
From the land of the unspoken
Ho saputo di una barra di platino
custodita in una nazione logica
e loquace a campione di misura,
sala del trono e camera mortuaria
di ogni calcolo, di ogni predizione.
Sarei a casa in quel cuore metallico,
assopito nel fulcro del sistema.
Siamo gente dispersa, la cui storia
è un senso di fedeltà opaca.
Quando o perché l’esilio cominciò
tra gli uomini sedotti dal linguaggio
non sapremmo dire, ma la marea
della solidarietà cresce in noi
quando sentiamo le loro leggende
di trovatelli su barche di giunco
verso il destino o di bare di re
alzate e portate via sulle spalle
del fiume o per le strade del mare aperto.
Se ci riconosciamo, andiamo al passo,
ma nel complesso non andiamo insieme.
Il mio contatto più profondo fu
in metropolitana all’ora di punta
tenendomi a un sostegno, schiena a schiena,
e una volta in un museo ho inalato
primavera da un collo e una spalla
fingendo attenzione all’esposizione
di assolutamente mute macine.
I nostri assunti non detti hanno forza
di rivelazione. Altrimenti come
capiremmo che chi tra noi cerchi
consenso e voti in ricche democrazie
tradirebbe noi e la nostra lingua?
Intanto, se manchiamo di vedere
un pesce di cui vediamo i cerchi
significa che un altro di noi
da qualche parte muore.
Hailstones
135
I
Il mio volto colpito e ricolpito
all’improvviso i chicchi della grandine
colpivano e rimbalzavano in strada.
Quando schiarì di nuovo
qualcosa di sferzante e di sapiente
si era allontanato
lasciandomi alle mie sole risorse.
Ho fatto una piccola palla dura
di acqua ardente che mi scorreva dalla mano
proprio come sto facendo ora
dalla fusione della cosa reale
soffrendo la sua assenza.
II
Sono da considerare, però,
questi monellacci di acquazzoni
per come non hanno chiesto permesso,
bacchettando la finestra dell’aula
come un righello sulle nocche
e se prima erano forme perfette
in un attimo sono fango sporco.
Thomas raherne aveva grano orientale
a prova e meraviglia
ma per noi c’era la frusta della grandine
e le mani antipuntura di Eddie Diamond
che fruga nell’ortica.
III
Arnia e capezzolo, mole di un morso
piccole ghiande di piacere probabile
promesso e disatteso
quando l’acquazzone finì
ed ogni cosa disse aspetta.
Cosa? Quarant’anni
per dire soltanto allora d’avere
avuto l’unico vero anticipo
in quel dilatarsi
136
quando la luce si aprì in silenzio
e un’auto con i tergicristalli ancora in moto
lasciò impronte perfette sul fango.
A daylight art
Il giorno in cui doveva avvelenarsi
Socrate confessò di avere scritto:
volgeva in versi le favole di Esopo.
E non perché amasse la saggezza
ed invitasse ad indagar la vita.
In verità aveva avuto un sogno.
Anche Cesare Erode o Costantino
e un buon numero di re di Shakespeare
esplodono alla fine come chiuse
dove giacciono i panorami originari
che devono riemergere ogni volta
e prima della scena della morte –
nei sogni in cui loro credono puoi credere
ma con Socrate non è la stessa cosa
perché il suo sogno è stato ricorrente:
Esercita l’arte, arte che lui
considerava la filosofia.
Felice l’uomo, dunque, con il dono
d’esercitar subito l’arte giusta –
fosse la poesia o la pesca; senza sogni;
i cui profondi panorami sorgano
come luce del giorno che attraversa
l’occhio della canna o del pennino.
Two quick notes
I
Mio vecchio duro amico, come hai cercato
occasioni di rabbia giustificata!
Chi sapeva picchiarmi come te
quando volevi un’anima dal suono vero
e semplice come un secchio galvanizzato
e la prendevi a calci per provarla?
137
O la battevi come un tappeto per pulirla.
Così quando ti voltasti contro te stesso
diventasti feroce.
II
Brusco, provato dalle spine, solo.
Un incursore dell’antica terra
di preghiera notturna e sfida di principio,
che si getta contro gli ostacoli
tu che pensavi fossero ancora là
continuando a sparare all’aria vuota.
O retto autolesionista prie-dieu
in rovinosa libera caduta:
Hail and farewell.
The stone grinder
Penelope lavorava ad un piano:
tutto ciò che disfaceva di notte
faceva avanzare il piano di un giorno.
mentre io molo le stesse pietre da cinquant’anni
e quello che disfo non è mai ciò che ho fatto.
Senza compensi, oscurità allo specchio.
Terminus
I
Se frugavo, trovavo
una ghianda e un bullone arrugginito.
Se alzavo lo sguardo, ciminiere
e montagne assopite.
Se ascoltavo, c’era un cavallo al trotto
od uno scambio di locomotiva
C’è da meravigliarsi se ho pensato
che m’occorreva pensarci due volte?
II
Le prudenti scorte dello scoiattolo
come doni di nascita lucevano.
Le storie del mammone d’iniquità
138
m’infuocavano le monete in tasca come cerchi di stufa.
Della marca ero il canale di scolo e l’argine
soffrendo il limite di entrambe le rivendicazioni.
III
Era più facile portare due secchi che uno.
Io son cresciuto in mezzo.
La mano sinistra metteva il peso
sul piatto, la destra ribilanciava.
Baronie e parrocchie s’incontravano
quando ero sulla pietra al centro del guado
ero l’ultimo conte a cavallo della corrente
che discuteva ancora, udito dai suoi pari.
The disappearing island
Sembravamo decisi a stabilirci
tra le sue spiagge senza sabbia e le colline azzurre
dove una notte disperata pregammo,
attorno a un fuoco di sfasciumi, il nostro
calderone appeso come un firmamento,
l’isola si spezzò sotto di noi come un’onda.
La terra che ci sosteneva sembrò restare ferma
solo quando l’abbracciammo in extremis.
Tutto quello che avvenne poi mi sembrò una visione.
A shooting script
Pedalano via da ciò che poteva essere
verso ciò che non sarà mai, in ripresa continua:
insegnanti in bicicletta, che salutano in madrelingua,
che vanno nel 1920 come nel futuro
Pedalano fino all’uscita dall’obiettivo,
non vanno in qualche posto, né vanno via.
Missaggio con fucsia che “segue il parlato”
lunga sequenza muta. Panoramica, dissolvenza.
Poi voci in diversi accenti irlandesi,
che discutono prezzi di traduzioni
come secolari pietre miliari
appaiono nomi come R M Ballantyne.
139
The rain stick
Rovescia il bastone della pioggia e subito
è musica che non avresti immaginato
di ascoltare. Nel fusto di un cactus
scroscio rovescio e risacca rifluiscono.
Sei lì, come una canna
suonata dall'acqua, la agiti piano
e un diminuendo corre per le scale
come una grondaia che cessa di gocciare.
E uno spruzzo di gocce dalle foglie umide,
goccia dall'erba e dalle margherite,
pioggia-luce, semirespiri d'aria.
E di nuovo capovolgi il bastone
Ciò che accade non lo sminuisce l'essere
accaduto una, dieci, mille volte.
Che importa se tutta la musica che traspira
è sabbia o semi secchi in un cactus?
Sei come un ricco che entra in cielo
dall'orecchio di una goccia di pioggia.
Ascolta ancora.
140
To a dutch potter in Ireland
Poi entrai in una stanza blindata del vocabolario
dove parole come unrne venute dal fuoco
stavano in alcove asciutte accanto a un forno
e ne uscii mutato, come la guardia che aveva veduto
la pietra muoversi nella fiamma diamante dell'aria
o le porte di corno dietro le porte d'argilla.
I suoli noti divennero sudici. La sabbia del fiume
era l'unica cosa che si conservava pulita
in quel pantano invernale di melma e fango.
Finchè trovai l'argilla di Baun. agnata luce diurna
o raso viscoso sotto il feltro o la rascia
di strati di humus. La vera diatomite
scoperta in una piccola buca succhiante,
grigio-blu, opaca, inodore, tangibile come la vecchia scatola d'unguento della terra,
viscosa e fredda.
A quell'età tu nuotavi nel mare
o già ne uscivi, luminoso di plancton,
ninfa di fosforo del Norder Zee,
vestale della dea Silice,
sta sotto l'erba, il vetro e la cenere
negli infiammati ventricoli di Ceramica.
Potevamo conoscerci, in quel freddo,
allora, fuori d'acqua sotto terra,
barlume di vita, strani gemelli
di pozzanghera, sguazzante splash splash,
e far le piccole cose proibite,
infangarci o volar troppo in alto con l'altalena,
il gioco dei "segreti" o "toccarci la lingua",
ma non fu così, tra eventi terribili:
notte dopo notte hai guardato i bombardieri
uccidere nei Paesi Bassi; poi, spinta dal cielo
attraverso la guerra in tempo di guerra
col fuoco alle spalle ogni benedetta volta
arrivavi attraverso smalti di quarzo infuocato e ferro.
E se, come dici, gli smalti portano
141
giù il sole, la ruota del tuo vasaio alza la terra
Hosannah ex infernis. Pozzi in fiamme.
Osanna nella sabbia pulita e nel caolino
e, "ora che la segale ondeggia accanto alle rovine",
nelle cave di cenere, negli ossidi, nei cocci e clorofille.
Mint
Sembrava un cespuglio di piccole polverose ortiche
selvatiche, arrampicate sul muro del retro,
là dove ammucchiano immondizie e vecchie bottiglie:
mai verde né quasi degno di nota.
Ma tuttavia era come una promessa,
una novità nel retrocortile della nostra vita
come se qualcosa d'incerto ma tenace
crescesse girando tra i vialetti.
Il click delle cesoie, la luce delle domeniche
mattina, quando la menta era tagliata e amata:
le mie ultime cose saranno le prime a sfuggirmi.
Ma ciò che ha saputo sopravvivere vada libero.
Che gli aromi della menta vadano ebbri ed indifesi
come reclusi liberati in quel cortile.
Come chi abbiamo sdegnato ed ignorato,
quando li deludemmo con la nostra indifferenza.
After liberation
I
Assoluta primavera, come un tempo,
chiarosplendente, ma quando il giorno si distende
il cielo eterno meraviglia
i sopravvissuti.
In chiarità di perla che bagna i campi
le cose sembrano tornare come erano: lenti cavalli
arano il maggese, s'allontanano
rombi di guerra
qui vicino.
Averlo vissuto e ora essere liberi di offrire
espressione, corpo e anima, svegliarsi e sapere
che è finita davvero, stavolta, la cosa
che stava per spezzarti,
142
ne valeva la pena, cinque anni di tortura,
la reazione, diventar rassegnati, e non
uno dei non nati apprezzerà
una libertà simile.
II
Ritmi di maree, loro regolarità!
Che cos'è il cuore, che ebbe paura,
pur sapendo del ritorno liberatorio della primavera
cuore che splende, cuore costante come la marea?
Onnipresente e imperturbabile
è la vita da cui nasce la morte.
E lamentarsi è male, anche il minimo lamento,
ora che la segale ondeggia accanto alle rovine.
A sofa in the forties
Tutti in fila sul divano, in ginocchio
uno dietro l'altro, dal più grande al più piccolo,
gomiti in movimento come pistoni di treno
e tra lo stipite e la porta della camera da letto
velocità e distanza erano inestimabili.
Prima lo scambio, poi il fischio, poi
qualcuno controllava gli invisibili
biglietti con fare grave, perforandoli
mentre vagono dopo vagone sotto di noi
filava rapido, ciuf ciuf, le gambe del divano
vorticavano e le carrozze irraggiungibili
ondeggiavano fino al pavimento della cucina.
Treno fantasma? Gondola della morte?
La similpelle nera e la desolazione ornata,
sembrava che il divano avesse raggiunto
il galleggiamento. Le rotelle in punta di piedi,
il gallone e lo schienale a onda gli davano
un'aria di fasti ormai datati:
quando gli ospiti lo sopportavano a schiena impalata,
quando s'erigeva nella sua lontananza,
quando giocattoli insufficienti vi apparivano
il mattino di Natale, resisteva immutabile,
143
volto in potenza al cielo, di certo alla terra,
tra cose che potevano quadrarti o deluderti.
Entrammo nella storia e nell'ignoranza
sotto la mensola della radio. Yippie-ia-ie,
cantavano i "Riders of the Range". Giornale radio,
diceva imperioso lo speaker. Tra lui e noi
si fissava un grande golfo dove la pronuncia
regnava tirannica. Il filo dell'antenna
scendeva dalla cima di un albero ed entrava
per un foro all'infisso della finestra. Quando il vento lo scuoteva
l'imperio della lingua, i suoi progressi
ci fluttuavano dentro come reti nell'acqua
o l'astratta curva solitaria di treni lontani
mentre entravamo nella storia e nell'ignoranza.
Occupavamo i nostri posti con tutta la nostra forza,
pronti ad ogni scomodità.
La costanza era già ricompensa.
In testa, sul grande bracciolo imbottito,
qualcuno si sporgeva da un lato, macchinista
o fuochista, e si tergeva la fronte asciutta
come chi l'ha scampata bella. E noi,
ultimo suo pensiero, avvertivamo
un'improvvisa galleria dove sprofondare
come vagoni spenti attraverso la notte,
unico nostro compito star seduti, occhi avanti,
essere trasportati e fare il rumore del treno.
Two lorries
Piove sul carbone nero e sulle calde ceneri bagnate.
Segni di gomme in cortile, il vecchio camion di Agnew
ha tutte le sponde giù e Agnew il carbonaio
con il suo accento di Belfast corteggia mia madre:
andiamo al cinema a Magherafelt?
Ma sta piovendo e c'è mezzo carico ancora
da consegnare. Il filone del nostro carbone
stavolta era nero seta, così le ceneri
saranno del bianco più serico. Il bus per Magherafelt
(via Toomebridge) va. Il camion mezzo vuoto
144
con i secchi vuoti piegati commuove mia madre:
fascino di un carbonaio dal grembiule di cuoio!
Perfino i film! La presunzione di un carbonaio…
Lei rientra e prende il piombo nero
o la carta smerigliata, madre del quaranta,
che sfaccenda sulla stufa, togliendo la cenere
dalla guancia con il dorso della mano, mentre sgasando
riparte l'autocarro sprangato, gira verso Magherafelt
e l'ultima consegna. Oh Magherafelt!
Oh sogno di velluto rosso e di un carbonaio di città
mentre il tempo accelera e un altro camion
geme su per Broad Street, con carico utile
che ridurrà la stazione dei bus in polvere e cenere…
Dopo che avvenne ebbi una visione di mia madre,
un fantasma sulla panchina dove l'incontravo,
a Magherafelt in quella sala d'aspetto col pavimento gelido,
le borse della spesa piene di cenere a palate.
La morte le arrivò accanto col volto sporco di un carbonaio
che ripiega sacchi per cadaveri, facendo la spola,
vuoto su vuoto, in un turbine
di grani di polvere e sgasate, ma che autocarro
era, adesso? Del giovane Agnew? O l'altro,
di morte, pronto a scoppiare
in un tempo oltre il tempo in Magherafelt…
Così, riscontra i sacchi e corteggia il buio, carbonaio.
Ascolta lo sputo della pioggia sulle nuove ceneri
mentre sollevi un carico di polvere che fu Magherafelt,
poi riappari dal tuo camion come l'affascinante
carbonaio di mia madre, filmato in ceneri bianco-seta.
Weighing in
Il peso da 56 libbre. Unità di negazione
in ferro solido. Stampata e fusa
con un inserto, barretta spessa come un piolo,
come una maniglia. Squadrata, dall'aspetto innocuo,
finchè non provavi a sollevarla, strappo nell'incavo,
forza che diminuisce la vita,
scatola nera della gravità, inamovibile
impronta, radice quadrata del peso morto.
Eppure a bilanciarla
145
con un'altra sulla bascula
ben regolata e oliata
nel dare e prendere tutto fremeva fluido.
*
Le buone notizie son tutte qui:
il principio di sostenere, resistere
e confermare, soltanto
per bilanciare l'intollerabile negli altri
con il nostro, il dover sopportare
tutto ciò che hai accettato
contro ciò che sentivi davvero. La sofferenza
passiva fa girare il mondo.
Pace in terra, uomini di buona volontà,
e tutto tiene solo se la bilancia resiste
con l'equilibrio dei piatti e la fatica angelica
persevera ad un livello non terreno.
*
Non porger l'altra guancia. Scagliare la pietra
non farlo qualche volta, non rompere
l'obbedienza appresa con dolore,
è un venir meno al dolore, alla regola endogena:
"Profeta, chi ti ha colpito!" Quando i soldati
schermirono Gesù bendato e lui non rese il colpo
non ebbero vergogna né edificazione,
anche se qualcosa fu manifesto - il potere
del potere non esercitato, della speranza implicita
data per sempre a chi non ha potere.
Ma per una volta, Cristo, fammi un favore,
Profetizza, dà scandalo, scaglia la pietra.
*
Le due facce di ogni problema, sì sì…
Ma si deve arrivare almeno una volta
a gettare il proprio peso sulla bilancia
senza provare rimorsi e sensi di colpa.
Ma una sera al momento di concludere
e un colpo secco avrebbe bruciato,
146
replicasti che solo i miei limiti
mi mantenevano acuto e avesti una prima sottomissione
e quando doveva esser sangue mi trattenni.
Fu così che persi (mea culpa) un vantaggio.
Cavalleria fraintesa, vecchio mio.
E ormai solo il gioco sporco dà vita.
The flight path
1
La prima piega prima, poi un comprimersi di altre pieghe
più tese, più esatte, fino
a quando l'intero foglio era ridotto
ad un quadrato piegato che lui stringeva per due angoli,
come una promessa che si può infrangere
ma che lui non infranse.
Nel mio petto s'alzava una colomba
quando dalle mani di mio padre nasceva
una barca di carta, arca nell'aria,
le linee tese come una tenda ai paletti:
alta la poppa, il fondo piatto, piccola piramide
con ogni piccolo spazio al centro vuoto
come una parte di me che affondava sapendo
che al primo varo tutto si sarebbe inzuppato.
2
Uguale e opposta, la parte che s'alza
fino a quei cieli stellati che vede l'inverno
quando sono a Wicklow sotto la traiettoria di volo
di un jet serale partito da Dublino, la sua alta luce
a prua lampeggia a quanto trascina via:
potente il rombo del motore estinguendosi
s'allarga scendendo, scia tra le stelle.
Il buio sicomoro parla sicomorese,
la luce alle mie spalle è quella della lampada del cottage.
Al tramonto sono già sulla porta
al posto di coloro che stanno in posizione
perpetua: quelli restati a casa
a guardare e aspettare appoggiati allo stipite,
quelli che imparammo ad amare nel commiato,
o incontrandoli ancora con abiti diversi,
che un po' l'intimidivano.
Quelli che non dimenticarono
un nome o un volto, né guardato giù subito
quando l'aereo raggiungeva la velocità di crociera,
per capire che la casa appena superata
troppo lontana ora per vederla - era la stessa
147
che lasciarono un'ora prima, ultimo bacio, un altro,
mentre il taxista caricava i bagagli.
3
Su e lontano. Il ronzio del duty free.
Black Velvet. Bourbon. Lettere d'amore in cielo.
La passeggiata spaziale di Manhattan. Il rientro.
Poi la California. La rilassata Tiburon.
Hamburger da Sam, nel patio, e champagne,
e in più un gabbiano strabico, furbo a squadrarti.
Altro rientro. Promesse ripromesse. E via…
Reculer pour santer, a meno di un anno,
più stallo che lungo addio.
Così verso Glaumore. Glaumore. Glaumore.
Alle strette, in pace, al lavoro, a rischio e al sicuro.
Nido appartamento. Quercia, lauro e sicomoro.
Tra poco il jet. Da una parte e dall'altra.
A ovest, a est, jumbo scuola bus,
"The Yard" un po' fattoria un po' campus,
volo circolare d'attesa e appiglio più convulso Sweeney smarrito tra familiari verità oraziane:
i cieli mutano, non le anime, di chi attraversa il mare.
4
Quanto segue è la cronaca, alla luce
di ciò che è accaduto prima e da allora:
bella mattina di maggio, 1979,
appena arrivato col volo notturno da New York
sono sul treno per Belfast. Pura, elementare
euforia del ritorno: il mare
a Skerries, il biancospino nuziale in fiore,
il viaggio a nord che ingrana, dolce catena,
su ogni dente del corpo.
Entra in scena, poi,
come in un noir una guardia di frontiera l'avevo già incontrato in sogno
ma ora ancor più truce che nel sogno stesso,
fermandomi in una stradina di montagna
mi ha spiegato che potevo guidare un furgone
fino alla seguente dogana, a Pettigo,
spegnere il motore, allontanarmi
come per portare bolle di carico in ufficio,
e invece andare avanti dieci metri
verso la strada principale, salire 148
e qui il nome di un altro compagno di scuola,
occhiolino e sorriso e sarei arrivato con la sua Ford fino a casa,
in tre ore, sano e salvo…
Poi entra e si siede
di fronte a me, m'attacca:
"Quando cazzo scrivi qualcosa per noi?"
"Se scriverò qualcosa, lo farò solo per me"
E questo è tutto. O qualcosa di simile.
I muri della prigione in quei mesi erano sporchi di merda
finite le sporche proteste di Long Kesh
ci furono gli occhi iniettati di sangue di Ciaran Nugent
come qualcosa sbucato dal cisposo inferno dantesco,
che trapanava la strada con rime e immagini
dove anch'io seguivo il pio Virgilio,
sicuro, traducendo liberamente:
Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese 'l teschio misero co' denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti.
5
Quando risposi "Vengo da lontano"
Il poliziotto al posto di blocco fu brusco "Dove lontano?"
M'aveva sentito a metà e pensato
che fosse il nome di qualche posto.
Ora lo è - sia dove ho vissuto
sia da dove partii, distanza ancora irraggiungibile
come la luce stellare lontana anni luce
che impiega anni luce ad arrivare.
6
Dunque sereno, ricordo esaltato
dell'ascesa a zig zag sui tiepidi scalini,
fino all'eremo di Rocamadour.
Alto stormo di corvi veleggianti,
una lucertola pulsante sulla ghiaia,
le zampe anteriori come montanti anteriori
di un'auto lunare.
E tenera e piena come il respiro vitale
in un respiro d'aria una farfalla verde-cedro
incrocia l'assolata via crucis dei pellegrini.
Undici del mattino, scrissi un appunto:
"Ciao a tutti, dall'amante solitario della roccia,
sentinella del cielo!"
E da qualche parte la colomba seguitò a salire.
149
The gravel walks
Ghiaia di fiume. Così in principio.
Piena estate, la moto del pescatore
tra i fiori al bordo della strada, cavaliere caduto,
e al suo spettro chiedemmo: “Preso qualcosa?”
Un'invocazione
Non avercela con me, dalle Shetland, Mac Diarmid,
il tuo sguardo fatto di pietra fissando la pietra,
sobrio e irritabile. Non il vecchio vigilante
che ce l'ha con noi dall'angolo del camino,
parte lui, il re dei bevitori; no,
comprendi, come il saggio dei venti che si burla della roccia,
come il gabbiano sulla brezza marina, custode
dei cancelli aperti dietro la fronte degli uccelli non voglio sentirmi rimangiare le mie note acute
sul tuo stile spesso alla Mac Gonagall,
no, ma aggiungo, nel mezzo del cammino:
ho sottovalutato il tuo eccessivo genio trombone.
Soprattutto gli anni in cui vivevi in riva al mare.
Più capro intellettuale che capro espiatorio,
oltre i limiti pietrosi, pazzo della scrittura.
L'orgoglio di cimento e solitudine.
La tua grande fronte pallida al vetro della finestra
come la curva della terra all'orizzonte nord.
Eri in panne, avanti e indietro
dalla spiaggia, sceglievi di slancio
tra orizzonte e dizionario,
intransigente sulla faccia rocciosa delle vecchie
domande e risposte, a cui aggiungo la mia:
- Chi è il mio vicino? Tutta l'umanità E se non vorrai esser conciliante, rimani
ad una distanza di comprensione. Sii il piccolo
bastian contrario che sempre sei stato,
l'occhio alla poesia con qualsiasi tempo,
forza che muta, fattore incluso nel calcolo,
che prevalga o meno, costantemente
150
la funzione del proprio tempo e luogo
e talvolta anche del nostro. Mai, comunque,
oltre noi, anche se straniera.
Nell'accento, nell'idioma, nell'idea, come un cardo al vento,
catechismo che occorre ripetere.
Remembered columns
Le solide lettere del mondo divennero aeree.
Le grazie di marmo, i montanti squadrati di netto
costruiti su rocce e messi sulle cime,
sorsero come colonne ricordate in una storia
sulla casa della Vergine, che salì, fluttuò
per atterrare sulla collina di Loreto.
Alzo gli occhi in un credo delirante,
scoprendo ciò che di vero resta tradotto.
Poet's chair
Leonardo disse: il sole non ha mai
visto un'ombra. Ora osserva la scultrice
muoverai attorno alla prossima opera,
come un'amante degli angoli in moto e del fisso amore.
1
Ombre angolo di se stessa, la tua “Sedia del Poeta”
s'innalza e resta contro loro
nel suo cortile del centro inseguito dal sole.
Sempre sul qui vive, le sue quattro zampe
che atterrano sui piedi – piede di gatto, di capra
e anche grande, morbido, valgo;
lo schienale dritto germoglia in fronde bronzee.
Ogni persona frivola in città,
vecchi e ubriaconi, chi piscia di notte o si bacia,
almeno una volta ci si sono seduti.
E' come l'aria, alata e piena, vola dietro a loro
o come un innesto tocca le loro scapole
a farli felici. Mutata natura
tornano foglia e fiore
e passo d'angelo. O qualcosa di simile. Foglie
su una sedia di sangue. Puoi crederci?
2
Poi la sedia è in una prigione bianca
seduto e calvo come un uovo c'è Socrate,
151
sta discorrendo al sole con gli amici.
Gli resta poco tempo. Il giorno del processo
una verde nave salpò dal tempio di Apollo
a Delo, per il rito di commemorazione
annuale. Finchè il sartiame frondoso
non rientrerà al porto di Atene
la vita della città sarà sacra.
Nessuna esecuzione, né coppa di cicuta o lacrime
mentre il veleno fa il suo dovere
e l'esperto aguzzino parla accompagnandoli
lungo le fasi del torpore. Socrate
al centro della città e del giorno
ha dimostrato che l'anima è immortale.
Le foglie di bronzo odono incredule l'alto silenzio.
Presto Critone gli chiuderà occhi e bocca,
ma al momento ogni cosa è un dolore
differito previsto immaginato verissimo.
3
Mio padre ara ogni lato del prato
dove siedo nel mezzo, onniveggente,
la schiena al biancospino mai tagliato.
I cavalli son zoccoli e fianchi di bronzo,
io sono tutto preveggenza.
Della poesia, come un vomere che muove il tempo
e lo rivolta. Dalla sedia con foglie
che la spina fatata iscrive ora al futuro.
D'esser qui, per sempre, in ogni senso.
TWO STICK DRAWINGS
1
Claire O'Really usava il bastone di sua nonna
- con il collo curvo - per arrivare ai rovi più alti
dove crescevano le more più mature.
Quando era ora di raccoglierle, Persefone
non era niente in confronto a Claire.
Scavalcava cancelli, passava sui binari fuliggine soffiava sul convolvolo
come un re impotente dal suo carro di ferro.
2
Con i bastoni da mandriano e di susino e di frassino,
il ripiano posteriore dell'auto di mio padre
sembrava una vetrina di bastoni,
ma l'unico che curiosava era Jim
mascella cadente, perché era un semplice
e pioggia o luce non fermavano il suo disperato
avanti e indietro dal parabrezza al lunotto,
152
le mani sul volto, scrutando e gemendo.
Così ogni tanto i bastoni venivano tirati fuori
per lui, e appoggiati al parafango
uno dopo l'altro. Jim li misurava
ad uno ad uno, li puntava, brandiva
affettava, attaccava, parava
con aria inoffensiva;
finchè in uno non trovava l'esatta
estensione di se stesso. Gioiva, allora,
e correva cantando vittoria, si piegava
in avanti con il bastone tenuto
parallelo al suolo, come se fosse tirato,
come un cavallo alla stanga dell'inesorabile.
A call
- Aspetta - mi disse - che corro a chiamarlo.
Il tempo è così bello, che ne ha approfittato
per togliere un po' di erbacce Così lo vidi
in ginocchio vicino alla fila dei porri,
toccare, ispezionare, separare uno
dall'altro ogni gambo strappando con gentilezza
ogni stelo non rastremato, fragile e senza foglie,
compiaciuto di romper le radici
ma nello stesso tempo dispiaciuto…
Poi ascoltavo il grave
ticchettio degli orologi nell'atrio
col telefono in attesa nella quiete
di specchi e pendoli colpiti dal sole…
E cominciai a pensare: se fosse il momento,
così la Morte ci convocherebbe…
Poi parlò, quasi gli dissi di averlo amato.
The walk
153
A dog was crying tonight in wicklow also
Quando gli uomini si resero conto della morte
mandarono il cane con un messaggio per Chukwn:
volevano tornare alla casa della vita.
Non volevano finire persi per sempre
come legno arso sparso in fumo, o cenere
soffiata via nel nulla.
Vedevano invece le loro anime al tramonto
gracchiare appollaiate allo stesso trespolo,
la stessa aria frizzante, e stiracchiarsi
d'ali di ogni mattina.
Morte simile ad una notte nel bosco,
per tornare alla casa della vita all'alba.
(Il cane avrebbe dovuto dire tutto ciò a Chukwn)
Ma non si curò molto di morte ed umani
quando trotterellò via, abbaiando
dalla riva di un fiume.
Così da Chukwn arrivò prima il rospo,
che aveva ascoltato per caso ciò
che il cane aveva da dire. "Gli uomini"
riferì (e fu subito creduto)
"vogliono che la morte duri per sempre"
Allora Chukwn vide le anime umane in uccelli
volare a lui come macchie nere fuori dal tramonto,
andare dove non c'erano alberi o trespoli,
senza via di ritorno alla casa del giorno.
E la sua mente tramontò di colpo,
nulla di ciò che disse poi il cane
potè mutare la visione. Grandi capi e grandi amori
nella luce calata, il rospo nel fango,
il cane latra al buio dietro la casa dei morti.
154
Gerald Manley Hopkins
155
The windhover
Fu stamane che vidi il falco screziare l’alba;
ruotare saldo in aria liscia; in alto,
torcere la briglia d’un’ala crespa.
In un’estasi sua. E via nell’impeto,
stridere lieve di pattino in curva:
slancio e planata senza giogo di vento.
Il mio cuore tremò per lui – gesto
e maestria.
Bellezza bruta e valore e atto, oh, aria fierezza e piume
fuse! E il fuoco che tu puoi sprigionare
pericoloso incantevole cavaliere!
Non stupire: l’aratro un solo istante
lùccica, e blu brulle braci, mio caro,
cadono, per squarciare il rosso d’oro
156
James Joice
157
Sweethheart, hear you
Ascolta dolce cuore
le parole del tuo amante;
un uomo avrà pena
quando gli amici l’abbandonano
Ma allora lui saprà
che son loro i bugiardi
e diverrà di cenere
ogni loro parola.
Ma con passo leggero
verrà avvicinato da una
che leggera lo condurrà
per le vie dell’amore.
Ora la sua mano resta
sotto il suo rotondo, morbido seno;
così colui che ha pianto
si queterà.
He who hath glory lost nor hath
Colui che avrà perduto la gloria
e non avrà trovato un’anima accanto,
sdegnoso e irato tra i suoi stessi nemici
onorando una nobiltà antica,
quell’altero asocialeavrà per amico soltanto il suo amore.
158
Lightly come or lightly go
Vai o vieni leggera
anche se il tuo cuore preveda ogni pena
per ogni valle e ogni sole deserto
Oreade lasci libero il tuo riso
finchè ondula i tuoi capelli sciolti
l’aria irriverente dei monti.
Ah, leggera, sempre così leggera:
quando le nubi colmano le valli
all’ora del crepuscolo
son le guardie più umili:
amore e riso svelati dal canto
quando il cuore più pesa.
Though I thy Mithridates were
Anche fossi il tuo Mitridate
uso a sfidare il dardo avvelenato,
dovresti pur sempre abbracciare me ignaro
per conscere l’estasi del tuo cuore
ed io non avrei abbastanza forza
per oppormi ad ogni tua tenera malizia.
Cara, l’antica frase elegante
rende le mie labbra troppo prudenti;
non conosco un amore che i flautati poeti
celebrassero con frasi adornate,
né conosco un amore dove non sia
qualche piccola ipocrisia.
159
Jack Kerouac
160
123 chorus
L’essenza è realizzabile a parole
Che si sfaldano appena s’avvicinano.
Che fare Bodhisattva?
Vivi quieto, vivi per amare
Chiunque.
Sii devoto steso a terra
Sotto gli alberi a mezzanotte.
Non sperare di dissolvere
In una stanza la tristezza
Accumulata dai tempi di Mosè.
La vita è come la morte
Ma l’anima continua
Nella solita luce che t’accieca.
Mangiare è come non mangiare
Ma c’è lo stomaco
Si continua a pensare.
Interrompi il pensiero,
il respiro.
Come fai a viaggiare da Muzzy
a Muzzy?
Perdona a ognuno i tuoi peccati
E bada di dir loro
Che ciò che fai è amarli.
da Prelude
Duro compito analizzare un’anima:
perché non solo desideri e abitudini,
ma anche il più ovvio e singolo pensiero,
e non in senso mistico e generico
ma di sagge parole ragionevoli
è privo di un inizio.
(321-330)
Mi piaceva camminare da solo,
tra bufere e tempeste, o notti di stelle
sotto un cielo acquietato, e a quel tempo
ho compreso che ogni suono ha il potere
d’infondere uno stato d’animo alto,
non violato da immagine o da forma;
e sotto una roccia ascoltavo suoni
spettrali, lingua antica della terra
che ha vaga, alta dimora anche nel vento.
E assorbii il potere visionario.
161
Robert Lowell
162
Insonnia
A casa per la notte nel decimo anno del mio letto di fogli
dove chiedevo voce ai muri di fronte. E ritrovare
al risveglio il mio sorriso conscio che m’incriminava
ascoltando la solita sirena, ansimante
ed esile, come di un vaporetto di pattuglia sull’Hudson,
lamento costante senza cima né fondo
attraverso le ore dell’insonnia.
Ascolto questa blanda monotonia, voce
che resta ma non trova trascendenza
troppo a lungo corteggiata, e con arroganza.
Tutti scrittori i miei amici. Non merito
di dormire, dopo aver colto le occasioni,
premuroso in questa duratura tenerezza
di rivali prodighi come fratelli?
Natale
Il tedio e le abitudini di casa
Me la rendono cara. Verrà la malinconia
Ad acclimatare i regali di Natale:
un orso di legno, lo sciampo all’uovo,
un proiettore, un grande libro rosso tramonto
con la dedica di Lizzie: “Perché non perderti
scrivendo un dramma sulla caduta del Giappone?”
Lievi spiriti d’uccelli, miseri fardelli, è facile
apparire socievole e gentile…
Siamo a casa al caldo,
come appena scampati a fauci prontema sotto di noi nuota,
come un sottomarino nucleare e materno,
il vero squalo, l’ombra della fuga
Foche
Potendo rinascere sceglieremmo
le foche, per trattarci meglio:
capaci di trastulli, capaci di lanciarsi
come siluri, sicure nei nostri tre elementi,
scoglio acqua cielo – Ah, poter frenare la mano…
Pagaiamo per il porto tra le chiazze di petrolio,
più blu dell’acqua, da crederle cielo.
È così che la creatura potrebbe incontrare il creatore,
pescatori di pesci, mica d’uomini. Un qualche agosto
la quieta foca potrebbe dire: -La scorsa notte
non ho potuto dormire: improvvisamente
potevo scrivere il mio nome…-
163
Necrologio
Non tornerà sulla ruota della fortuna il nostro amoreAlla fine ci prende, sebbene l’uomo conosca ciò che desidera:
vecchie auto, vecchio denaro, vecchio argento,
ma non il rame argentato…vecchie mogli;
potrei restare tanto di quel tempo con la mia…
Alla fine, ogni ipocondriaco diventa profeta di se stesso.
Prima del riposo definitivo, c’è il riposo
Della trascendenza in un modo di essere, che soffoca
Qualsiasi divenire. Ma per me preferisco essere altro,
nell’eterno ritorno dei figli più belli della terra,
il giglio, la rosa, il sole che tramonta sul mattone,
l’amato e l’amante, e la loro paura della vita,
il loro flusso indomabile, l’insensata unità, il patetico “Fu così…”
Dopo averti amato tanto, come dimenticarti
Per sempre e senza scelta?
Tornando a casa
Che è stato…dal 1930;
i ragazzi della banda
son diventati soci maggioritari. S'allungano
calvi come uccellini appena nati
verso la pensione.
All'altare della resa
t'incontrai all'ora credula.
Com'era evidente la tua sfortuna
a vent'anni.
Al casinò di marzapane
com'erano innocenti quelle notti in cui lo facevamo
coi nostri martini Vesuvio
senza vermouth ma vodka
per addolcire il gin secco la sferzata al volto
quella notte che pregammo…
ben presto ogni notte,
quando la tua dolce, amorosa
ripetizione cambiò.
La fertilità non è dei precoci,
né la bellezza dei precipitosi le cose andate male
vestono l'estate
164
con foglie d'oro.
A volte
sorprendo la mia mente
aggirarsi con occhio vitreo
in cerca di te,
il mio amore perduto a caccia
del tuo volto perduto.
Estate all'estate,
i pioppi riarsi
nel bagliore è una città per i giovani,
che si frangono contro la risacca.
Nessun cane mi riconosce a fiuto.
Last walk?
Insperato giorno d'aprile in Irlanda,
viziato da un sole annunciato il giorno prima
dai cavaturaccioli dell'eterna
neve che vortica, si scioglie, muore
e infanga pascoli dipinti verde e lo stesso verde… Potevamo anche illuderci
di star assaporando la gran svolta della nostra vita mano nella mano con sorrisi dolci
sottovalutando garbatamente
il nostro rovinoso precipizio.
Arrivammo a piedi fino a un lago artificiale
arginato per riflettere il Castello una composizione naturale per uno sbiadito acquerello
in calmi giorni radiosi o più radiose notti.
All'inizio il lago ci sembrò un'ansa del fiume selvaggio torrenziale Liffey
accelerato per uccidere,
più largo qui che venti miglia più a valle verso Dublino nero, le ginocchia di pietra, che si schianta sulle rocce in un eccesso di coraggio che sposa l'oceano.
Tu: "Quei cigni… se uno perde il compagno
l'altro muore. Questa primavera un esule persiano
ne uccise uno per crudeltà, ed il compagno
smise di mangiarequando morì
ci fu un'esplosione di xenofobia"
Sempre più frequenti qui le esplosioni;
165
e tutte queste storie sul cigno reale
diventano sciocche ed esagerate,
un lussuoso giocattolo
che non si può permettere neanche
il bimbo fortunato.
Ci sedemmo a guardare una mamma cigno
seduta sul suo trono, come la testa
colossale di un faraone,
le sue uova il doppio di quelle dell'oca.
Il cigno maschio era scappato
dal loro sicuro, stagnante, matriarcale laghetto
giù, galantemente verso Dublino
tra rapide ricche di birra scura,
sorridendo ubriaco, sobbalzando,
come per dimostrare che un re
aveva il diritto di essere troppo felice.
Desideravo soltanto scrivere
di questa nostra ultima passeggiata
non c'era nulla da fare,
se non guardare fisso sette anni, ora nulla se non un sorriso distratto
amoreggiare lungo il fiume, un cigno che sfreccia…
L'ingannevole promessa di gioia,
di durare quanto i nostri stessi corpi,
nostalgia polverizzata dal pensiero,
nomade come la neve che vorticava ieri,
la bianca lucentezza inzaccherata.
Departure
Aspettando che spiova
ma cosa stai aspettando?
Il temporale può fermarsi,
prender fiato, e riprendere…
sempre in sospeso per colpire
il fuggitivo in volo.
I tuoi vestiti, come tarmati
dalle bruciacchiature delle sigarette
incurvano l'asta dell'armadio.
I tuoi libri son file di vuoti abiti;
"Chi ci vive?"
chiediamo acidi,
e li tiriamo giù
battendo via la polvere.
Sono tanti i disturbi secondari,
curar il corpo è una distrazione;
166
ma cosa importa,
se uno è se stesso
non c'è perfezione con cui scambiarsi.
Adesso non si è più come da giovani…
Orazio a cinquant'anni aveva
una fanciulla ligure
prigioniera nel sonno della notte,
inseguì il suo volo sull'erba
del Campo Marzio, la vide persa
nel Tevere senza poterla salvare.
Riesci a sentire la mia prima voce,
divertita nel dolore
drammatica nel divertimento…
Catastrofi di descrizioni
sapendo quando fermarsi
e quando continuare.
Non si può ripetere;
soltanto esagerando
potrei essere sincero.
Non mi furono d'aiuto né un giovane
né una donna.
Preso nel temporale che cresce
la scelta è in sé sbagliata,
il detto e il non detto non parlano scroscio di pioggia informe sul terreno…
Perché Amore, perché ci sono lacrime
sparse sulle mie guancie?"
Our afterlife I
Verso sud coppia di passo
due cardinali del Tennesseee
fuori, nel verde dicembre
sfrecciano si toccano s'accoppiano giovani quanto vogliono.
Noi no.
Da quando ho avuto il mio secondo figlio
e vivo in Inghilterra
sono più vecchio di una generazione.
Siamo pericolosamente felici i nostri volti dissanguati dai libri
van via come uccelli rossi,
sfrecciano instabili,
orecchie dritte a cogliere
il primo sussulto di sordità.
Quest'anno ha ucciso
Pound, Wilson, Auden…
167
la promessa ha perso il suo fiore,
l'erede rosseggia
come una rosa finta s'appisola e s'appisola e s'appisola.
Peter, quando eravamo ancora giovani,
dai 30 ai 40,
quando Cupido era ancora il Cristo
della religione amorosa,
il tempo si reggeva
sulle sue stesse mani.
Un gioco di prestigio.
C'imbeviamo del calore centrale
per tener fuori l'onda fredda.
Il telefono sordo che mi squilla
nell'orecchio non c'è.
Dopo i cinquanta
gli orologi non fanno più fermate,
ogni salvifico respiro
ti toglie qualcosa. Ecco la ricchezza:
l'eminenza che non devi invidiare,
il conto
che accumula strato e angolo
volto e profilo,
50 anni d'istantanee
scala di somiglianze che maturano.
Siamo cose lanciate in aria
vive in volo…
la nostra ruggine color camaleonte.
In the ward
Dieci anni più vecchio in un'ora.
Sì vedo la tua faccia che sorride,
la bocca calpestata senza un livido.
La corsia ti spaventa
con i compagni scelti per età;
tu sei il più giovane
e giochi a flirtare con l'infermiera ma il tuo primo pensiero è di tramare
la sorpresa elaborata dalla tua fuga.
Essere vecchi in tempi buoni è peggio
che essere giovani in tempi peggiori.
Cinque giorni
168
su questa griglia, questo materasso
sopra niente la saggezza di questa malattia
è piamente fisica,
e sventra la memoria
per trovarti un futuro vecchie bellezze, vecchi maestri
che sperano di perdere la testa prima degli amici.
I tuoi giorni scuri,
le tue notti immaginarie dice la bimba,
grande casa è il cielo
piena d'acqua e di fiori ci si va con il camion.
I tuoi piedi fissi sopra la testa con un filo.
Potessi sentire la lampadina sfolgorante
cantare
i tuoi vecchi classici moderni ma loro sono per un perso pubblico.
L'anno scorso
allegramente inquieto,
hai portato due o tre amici
nella stanza dello champagne
nel tuo appartamento senz'acqua calda,
per esplorare la precisione
e la demonica assenza di leggi
di Arnold Schonberg, nato
quando la musica ancora era una scienza
imperfetta la Musica,
dai confini che indietreggiano sempre
ingannevole, forse, per i sistemi,
per la fecondità,
come per il silenzio.
Die Sprache ist unverstanden
doch nicht unverstandlich?
Se continui a darci un taglio
non ti rimarrà più nulla da perdere.
Nulla di ciò che vedi in quest'istante
ha un significato;
la tua volontà fissa la lampadina,
sua accecante impassibilità
169
che ferma l'inquietudine,
l'arte del possibile
che l'arte aborrisce.
È un'illusione che l'arte o la tecnica
possa strizzarci la verità come acqua.
Quanto è inerme la carta
se vocazione
è soltanto gridare qualsiasi cosa.
Da qualche parte il tuo spirito
visse la vita più alta;
ogni luogo
a confronto
si riduce a niente.
Endings
Da tre aggettivi ad un oggetto il salto
è impossibile Gambe porpora e bianche
come grappoli porpora sul marmo.
Il cambiamento fu sorprendente
anche se ridicolo
nei 24 anni della mia prima visita
a te, ero piccolo a Washington il mio piede toccò il primo piolo della scala
la riga di matita più affilata,
lontana dalla mia Scuola Potomac, il mio ABC
con miss Locke e miss Gay.
Le nostre braccia si cercarono,
troppo colme di bicchieri…
Scherzasti sui tuoi momenti neri,
le tue distrazioni,
comiche e monumentali
anche per Washington.
Ti svegliavi chiedendoti perché
eri finita in un'altra stanza,
ti svegliavi quando ti sembrava di affogare.
Gli effetti sono senza causa
170
The day
È sorprendente
il giorno è ancora qui
come un lampo su un campo aperto,
terraferma e fugace
che nuota in variazioni,
fresco come il primo uomo quando eruppe
ovunque sulla terra, come il croco.
Da un treno vedemmo vacche
in file sulla collina
a differenti altezze,
ogni sesso una mandria,
repliche in gerarchia il sole le aveva trasformate
nello splendore pomeridiano.
Erano scarabocchi di un bambino
in un libro letto prima che imparassi a leggere.
Volan come finestrini di un treno:
sprazzi di luce
del Grande Giorno,
il dies illa,
quando vivevano nel momento
insieme per sempre
innamorati della nostra natura come se alla fine,
nel matrimonio col nulla,
potessimo mai sfuggire
dall'esser del tutto al sicuro.
We took our paradise
Prendemmo il nostro paradiso qui dove, altrimenti, amore?
Queste tre settimane il tempo
ha accumulato vapore
come lo specchio di un bagno:
colline vacche collinette di talpe,
entroterra senza oceano…
il raccolto
che fischiano dall'erba.
La quercia fulminata ha perso
171
un ramo di una tonnellata
ma scuote ancora foglie verdi,
prende luce
come se fosse viva.
Ciascuno può sopportarlo; la natura
non ha tragedia dal seme alla pula?
La follia verrà pure da qualcosa il presente, sì,
ci siamo dentro;
è l'infezione
delle cose passate…
la carta crepitante dell'Atlantico
che non sento da tre anni.
Perché un uomo ama una donna
più delle donne?
Lives
L'estate è come la Speranza
di incidere nel bronzo versi liberi in questa stanza,
l'aria è bloccata dalle sue pareti;
non posso raggiungere i vecchi amici
come se ci fossero porte.
Alla fine,
quando sto per esserci
ho paura di cedere
e ritornare un bambino evangelico,
agendo con più pretese
di quante abbia saputo far fiorire insomma
il Grande Ciclo è lo strimpellio greve
di questo anno ultimo.
Come potevi amare, e tu così giovane?
La mia generazione cagionevole vite loro che non finivan mai
di finire,
con passo orsino,
un piede sanguinante,
senza una gruccia bocche di leone,
quasi amabili e galanti…
172
la loro settimana era così breve
che potevano vederla muoversi.
Realities
Aggiungerà domani
al presente questa stagione viva?
Da giovani riconoscevamo
i rumori della notte estiva,
gli uccelli in amore
spider e sesso
della generazione che incombe.
E poi si costa così poco e così tanti si sottoposero al dolore,
ed alla gioia, per portarci qui solidi loro ora
perché noi siamo solidi,
noi che siamo il loro unico fine.
I loro volti, non a lungo volti,
adornano l'età dell'oro in foto pensando - come noi - al loro autunno
come all'autunno del mondo.
Le case s'ingrandivano con loro,
crescendo come la grande conchiglia
gugliata e dalle labbra rosa lasciata nei giardini a calcificare,
dove i loro figli si moltiplicavano…
Non posso mettermi a confronto con loro,
i miei figli più scettici di me,
fraintendendo coloro che fraintesero trattenendo il potere con un'unghia.
Se potessi ritornarci di nuovo,
sottili pioli di ferro del crescere,
sarei giovane come tutti,
bimbo perduto
nell'irreale e la musica alta.
Sheridan
Un altro giorno di calore immobile,
vecchia estate americana e bandiere
solo le molli, pigolanti pavoncelle
e la garrula colonia di taccole
sono inglesi, tutto il resto è americano.
173
Fioriscono i castagni in mezzo al pascolo,
ed anche durante il raccolto giurano,
"Sempre abbiamo avuto foglie, sempre le avremo".
Sheridan, ti stagli e splendi nel calore,
smarrendo le cose come le persone;
tutte le tue armi di plastica, brando,
elmetto nazista, cappa, non si trovano
ma chi nasconderebbe armi che fanno
tutto come le vere, tranne il male?
"Tu sei Perditutto" dici "Hai perso le nostre pistole"
Lo dici nel dialetto del Kent: weir, non our.
Come diventa labile la memoria,
eppure, come te, stranamente nudi. Oggi
solo l'eterno mezzogiorno separa
te da noi, volti accesi dal tramonto
e dal fegato. Appesa
s'inargenta al sole la falce di luna,
un taglio affilato, un confine,
tra il mondo del bimbo e la terra.
La precoce scoperta
nostra che soltanto i bambini crescono.
The withdrawal
I
Solo oggi e solo per questo minuto,
quando il sole trova la sua giusta luce obliqua,
puoi vedere foglie gialle e rosate costellare
il nostro gentile albero lanuginoso d'improvviso è momentanea la verde estate…
l'autunno è la mia stagione preferita forse perché cambia abiti, si ritira…
Abbiamo messo in vendita la casa all'improvviso mi sveglio tra estranei;
mentre entro in una stanza, questa si muove
con imbarazzo e va in un'altra.
Non ho bisogno di parlare, ma ridere tu e una stanza e un fuoco,
fredda luce di stelle che attraversa
la finestra aperta dove?
174
II
Dopo il tramonto il cielo è melodrammatico,
un corrucciato, provvisorio verde in fiamme.
La quercia rattoppata
e i pini più neri e indelebili
hanno la magrezza indigesta delle spine.
Perché il cielo non è meno solenne?
Una tavola sensuale
con cinque bottiglie di rosso mezze piene
attorno all'arrosto al sangue ben affettato boheme per noi
e gli amici di una vita
incanto di comunione resurrezionale correndo insieme sotto la pioggia per spedire
un'unica lettera,
non il prurito appiccicoso
di questa pula avvilita.
…
III
Se mi volto, vedo svanire le mie case
in lontananza, collasso di fisarmonica,
ed io che indietreggio
ad un ragazzo di venticinque-trent'anni,
troppo sciupato per averne meno,
troppo impressionabile per averne di più chioma nera, decadente
in una camicia blu slavata
e pantaloni neri come il carbone
che si muove di casa in casa,
cercando ancora un giovane permesso
di vedere la campagna senza arrivo.
L'inferno?
Cara,
il terrore durante la felicità può non curare
il futuro affannato,
o il tempo, quando diventa cronico ogni male
e gli anni della discrezione si spendono
nel lamento finchè l'orologio da polso
ci è tolto dal polso.
175
Wellesley
I
Il nuovo aspiratore
si gonfia di foglie sparse in cortile
con un rumore sordo che mi ronza in testa come il barbiere
quando i miei capelli erano abbastanza corti
per le forbici.
La macchina migliore può rompersi
a 56 anni.
Mi bilancio sul mio squilibrio,
e conto i gradini bianchi e neri
fino alla mia camera singola.
Lo spazio è mero progressivo vuoto
da quando sei volata in Europa.
Il treno della nostra scuola maschile superava
Wellesley senza rallentare. Non eravamo liberi.
Le ragazze vagano gaie nella notte;
i ragazzi sono temporanei,
girano le loro auto
e se ne vanno schiarendo le campane
di mezzanotte
e lasciano il collegio femminile
più leggero senza uomini.
II
Coleridge,
l'autore di Dejection,
pensava
che il genio è la scoperta
di soggetti lontani
dalla mia vita.
Non posso leggere
Tutto ciò che ho scritto
è bruno verdastro,
come se le parole
rifiutassero il suono.
Una notte da spremerlo tutto Non posso dormire solo,
odio l'età con terrore,
e sarà così…
mangerò il coraggio del mio egoismo
non riscattato dal potenziale
interrogativo dello studente…
19° fuori e quasi dicembre
176
For Sheridan
Si vive solo fra
il prima che siamo e come eravamo.
Nel negativo perduto
esisti,
un sorriso, una cifra,
un volto antiquato
in un cappello antiquato.
Tre età in un lampo:
lo stesso bambino nella stessa
fotografia
Lui Io Tu
stipati in un solo lampo
come l'argenteria nuziale di mamma
guano, pesce, angelica forza bruta.
Potevamo vedere chiaramente
e tutti le stesse cose
prima che il vetro venisse urtato.
Passati i cinquanta, impariamo con sorpresa
ed un senso d'assoluzione suicida
che ciò che intendevamo e in cui fallimmo
non sarebbe mai potuto succedere
e deve essere fatto meglio
Bright day in Boston
Gioia di non andare dal dentista,
radiografia, acropoli in sfacelo…
E la gioia di vagare per Boston,
con la testa rivolta al giovane Adams
alla sua fascia di seta bianca al braccio
portata un giorno intero per gli schiavi
e inosservata.
Un'epoca fa l'istante
in cui si poteva vivere ovunque
senza pericoli
se non per il rispetto.
Impregnabile e fuori posto
sul lato soleggiato del vecchio mercato,
ora casa dello studente,
177
camicie che civettano ai vetri viola
della grande magione fortificata
di Augustus Lowell,
despota in opificio e amante delle rose.
Nessuno s'è preoccupato di limare
le nere sbarre di ferro alle finestre
ed il loro sarcasmo d'arte morta.
Senza ragione, gli snelli lampioni
d'identico ferro delicato
deboli come candele
brillano anche di giorno.
In una città assassina, città americana.
Questa casa, quella
ho abitato in tutte,
dritto mattone privo di figura.
Ho fluidi che comandano al cuore
d'avvicinarsi sempre ai perdenti;
ma è un delitto aver pietà dei ricchi
anche quando sono come scomparsi
come Ettore, domatore di puledri
destinati a tornare
ad esser sempre con noi come i poveri.
To Frank Parker
Quarant'anni fa eravamo
dove siamo ora,
questo stesso vento erotico di maggio
che piega gli alberi da là a qui lo stesso sapore di metallo nella bocca,
il legno pregno dello sporco di Cambridge.
A volte
sei così più giovane del tuo volto,
so che sto vedendo il tuo vecchio volto
l'imbarazzata beffa, alla Henry James,
della tua balbuzie
la tua paura quotidiana di soffocare e morire e a scuola il clamore della voce,
non le parole, distingueva il leader.
Ci guardavamo in faccia
178
per quello che eravamo.
Una volta nel solito caldo record
di giugno in Massachussetts,
sedemmo ai bordi della piscina scolastica
e parlammo sotto la luce notturna
dell'anima, ascoltando l'annuale
insofferente voce delle rane
sveglie senza uno scopo:
"Voglio scrivere" "Voglio dipingere"
Ero io a volere che tu dipingessi?...
L'età è un'altra specie,
voce del niente. I più vecchi
facevano sembrare il nonno volgarmente giovane,
quando andavamo a portar loro da mangiare.
Avremo il loro sguardo pensieroso,
come incerti
su chi abbia vissuto la nostra vita.
Il passato cambia più del presente.
Dove è erba c'è polline
asma di piena estate la tendenza a bere senza mangiare…
E perché sopravvivere,
se due calici di vino avvelenano?
Turtle
Prego per la memoria vecchia tartaruga
distratta e impacciata,
tenuta a galla perdendo contatto…
incapace ormai di sibilare, o alzare
contro l'uccisore uno scudo inutile.
Le tartarughe invecchiano, ma avanzano amorosamente
fossili semi congelati, ma cavalieri erranti
in un'illusione di corazza.
Le più piccole s'arrampicano sulle rocce.
Quelle che azzannano stanno sommerse.
Sopravvissute… non per la filantropia dell'uomo.
Le cacciavo durante le vacanze scolastiche.
Calpestavo il campo di paglia galleggiante
che si staccava dai nidi molli dei topi muschiati.
179
Qua e là una tartaruga solitaria
allungava il suo scuro cappuccio francescano
da uno dei venti buchi nell'acqua.
In quel miscuglio, misi il piede
sul dorso liscio e invisibile di una tartaruga.
Fu come scappare dalle sabbie mobili.
La tirai su per ciò che mi sembrava la coda coda? Era una zampa… Avrei
potuto perdere un dito.
Questa mattina che
la doppia lucentezza del sole invernale
mi sveglia dalla pellicola del giorno,
la mia camera non mi è più familiare. Vedo
tre tartarughe azzannatrici acquattate sui miei vestiti in disordine due rozzi ceppi neri… la terza mi strofina il muso addosso,
ha il guscio giallo trasparente,
un cucciolo che guaisce e pizzica
la mia camicia vuota in cerca di latte.
Sono ansimanti e stantie;
ciò che in me è morto risveglia il loro appetito.
Quando respirano sembrano spaccarsi in due,
accucciate immobili sulle punte dei piedi
con sghembi sorrisi
e sulla lingua nomignoli liceali,
come per rivivere
la crudezza che ci fece incontrare
da animali.
Soltanto il tempo è passato tra noi.
- Ti sei chiesto dove eravamo in tutti questi anni?
Eccoci Restano ferme come un bagaglio tartaruga, vecchia amica mia… Troppi film
hanno urlato di nuovo alla seconda visione,
l'azzannatrice non molla fino al tramonto nella terribile istantaneità dello sguardo retrospettivo,
il suo becco
mi preme il collo sott'acqua annegandomi,
mentre con gli artigli mi spolpa
riducendomi a pezzi da inghiottire.
Seventh year
Sette anni fa il sogno di un istante
svanito, restituir ordine al luogo 180
mai più - lo vedo chiaramente,
ma con gli occhi di vetro di una bambola cieca.
In questo inizio di gennaio
laghi bruni poco profondi sulla strada
prendono presto
il primo negativo di primavera degli uccelli.
Le mucche brunite, massicce come buoi
ora ci si avvicinano e scalpitano
su rampicanti e vetri muggendo l'una all'altra con ansiosa
voce umana di ragazzo che richiama le vacche.
Alla fine siamo meno ridotti male noi
che la casa di Longfellow in Brattle street,
dove soltanto il suo busto barbuto di Zeus,
il suo io dei tempi della scuola, è giovane,
dove il lungo volto di sua moglie
morta bruciata
invecchia come ancora vivo
come Longfellow, la cui mano teneva
il ramo d'alloro
che nasconde la sua tomba.
I classici del New England
vivevano così a lungo da far pensare
che la neve sulle loro teste
non si sarebbe mai sciolta.
Dov'è Hart Crane,
il diseredato che vola nella notte,
che diede
a Dioniso ubriaco piedi più fermi?
A ciascuno il naturale marcire
della sua età.
Dividendo il minuto improrogabile
resto in piedi a stento alla fine della festa,
con un bicchiere mezzo pieno in ogni mano scosso anch'io
dal duro, infatuato vento dell'amore
che essi non odono.
181
Shaving
Solo quando mi rado vedo il mio volto,
lo guardo di traverso, come un problema di carpentiere anche se sono un po' smagrito,
sempre lo stesso volto
segue la mia mano con occhi assetati.
Mai abbastanza ore al giorno giaccio confinato e annaspo,
monomaniaco,
geloso anche dell'intrusione di un'ombra un'ortica
che non si può toccare…
incapace di seguire il viavai
dei bimbi, l'improvviso terzo grado loro.
Per me
una pietra è infiammabile
come un fiammifero di carta.
La casa poi si ferma tu pure, a capo chino,
annerendo e cancellando…accigliandoti
con una faccia aperta a girasole.
Siamo fortunati ad aver fatto casa assieme.
Stars
I
Intrappolato nelle ferree celle
della finzione, t'offro questa voce
tragica, che rimprovera le stelle non sei tu ma sei tu.
"Anche tu, come Goethe,
cadrai nell'oblio fra le mie braccia
e parlerai di stelle?
Dirai che illuminano i campi in guerra
ed assaltano il cielo mentre dormo?
Non adesso mi duole la schiena
riesco a stendermi solo a faccia in giù,
grosso peso innocente se mi lascerai dormire di seduzione, parola o panico.
Ho preso troppe medicine per far qualcosa,
o aiutarti a guardare il cielo.
182
Non m'interessano le stelle le fila troppo docili e matematiche
per riformarsi se disperse
come assonnate pecore…
quale donna può valutare un uomo
che deve preoccuparsi solo di sé
e seguire il viaggio
stravagante e inutile delle stelle
per distrarmi dall'assenza del sole?
Non potendo amare, non serve loro amore."
II
Se tu sentissi che Dio è morto,
il vecchio monopolista
che ci ha creati per separarci,
ti raddrizzeresti anche con il mal di schiena?
"Dormo,
vecchia noce inzuppata nel rhum,
troppo scivolosa per essere schiacciata tra le ruote
di vetro delle stelle, uguali, rigide…
Se Dio è morto,
chi m'assicura che un altro vecchio
cadrà di nuovo dalle stelle,
dall'alto di sessanta mila braccia,
per fermarsi
alla colonna del mio letto - immobile
con infausta potenza?
Un nuovo vecchio amante
potrebbe farmi mille volte più male…
Ma il mio amato
è tentatore divino
fatto a immagine di un uomo
troppo giovane per spaventarsi
di fronte alle donne.
Può solo apparirmi in sogno."
Shadow
Dovrei lodare come Whitman questa notte
che mi sveglia due volte col sorriso,
misteriosamente in piena salute,
che mi richiama due volte al mondo delicatamente.
Sia lode al sonno e al solo dio del sonno,
il Voyeur, la Madre,
il tempestoso incostante IO SONO di Giobbe…
che placa gli indecisi mormorii del cuore.
183
Ma non puoi che adorare, lassù,
per comprender soltanto la notte invisibile fortunatamente il narcotizzato
cielo cristiano non può esser sognato o assunto.
Se avessi un sogno dell'inferno
sarebbe di riempire una casa
di demoni che in eterno domandano
qualcosa di stimolante.
Ho osservato l'ombra del corvo,
presagio romano,
attraversar la mia mano tremante,
un enigma anche per noi da leggere,
scarabocchio grinzoso quando ero col mio amico,
non sapevo di avere le mani.
Un uomo senza moglie
è come una tartaruga senza guscio quest'ora che incombe con minuti che consumano
questo minuto che incombe mentre aspetto che tu suoni entrambi in cattiva salute.
Eppure il giorno è troppo aureo per dormire,
il traffico troppo sostenuto…
i suoni metallici della clinica candide gerarchie
che si muovono come bianchi addetti in ospedale,
con l'unico compito di rassicurare i malati.
Epilogue
Quelle strutture beate d'intrecci e rime perché non mi aiutano, ora
che vorrei produrre
qualcosa d'immaginato, non ricordato?
Sento il suono della mia stessa voce:
La visione del pittore non è una lente,
trema nell'accarezzare la luce.
Ma a volte ciò che scrivo
con la logora arte del mio occhio
sembra un'istantanea
livida, rapida, abbagliante e vasta
più intensa della vita,
eppure paralizzata dal fatto.
Tutto è masalliance,
eppure perché non dire ciò che accade?
Prega per la grazia della cura
184
con cui Veermer illuminò il sole,
furtivo come una marea
fino alla sua solida ragazza che si strugge.
Noi siamo poveri fatti che passano,
e perciò dobbiamo dare
ad ogni figura della fotografia
il suo nome vivente.
185
Edgar Lee Masters
186
Da Spoon River
C. Hately
Spoon River lodi il mio sacrificio
per aver allevato Mary e Irene
rimaste orfane di mia sorella.
E Irene e Mary biasimi
perché mi disprezzarono.
Ma non lodare il mio sacrificio
e non biasimare il loro disprezzo;
io le allevai, è vero –
ma quanto costò loro
se avvelenai il bene rinfacciandolo!
Johnnie Sayre
Tu padre non potrai mai conoscere
tutta l’angoscia che mi strinse il cuore
quando disubbidii, e mi sentii
divorare la carne della gamba
dalla ruota della locomotiva.
E mentre mi portavano alla casa
della vedova Morris
rividi nella valle la mia scuola
che marinavo per salir sui treni.
Pregai di poter vivere
per chiederti perdono.
Giunsero le tue lacrime a conforto,
la felicità di quell’ora sola
mi donò il sollievo e l’infinito.
Saggiamente tu facesti scolpire:
“Strappato al male a venire”
187
Zena Witt
A sedici anni avevo sogni orribili,
vedevo le macchie davanti agli occhi,
avevo i nervi stanchi.
Non ricordavo nulla dei miei libri
mentre Drummer ricordava ogni pagina.
La mia schiena era debole,
non capivo e balbettavo a lezione,
se provavo a ripetere,
dei miei studi non ricordavo nulla.
Vidi l’annuncio del dottor Weese,
sembrava conoscesse il mio stato:
ci trovai tutto scritto,
anche i sogni che non mi davan pace.
Capii che dovevo morire giovane.
Mi tormentai, finchè presi la tosse,
e fu allora che i sogni cessarono.
E dormii, infine, un sonno senza sogni,
quassù, sulla collina presso il fiume.
Louise Smith
Herbert ruppe con me
dopo otto anni di fidanzamento
quando Annabella tornò dal collegio.
Se avessi rispettato il mio amore,
sarebbe diventato un bel dolore,
forse, con un profumo tutto suo.
Ma io lo mutai in odio, accecandolo
con torture e veleni –
mortale edera invece di clematide.
E cadde l’anima dal suo sostegno,
i suoi viticci diventaron rovi.
Non lasciate a giardiniere dell’anima
la volontà, se non siete sicuri
che è più saggia dell’anima.
188
George Gray
Molte volte ho studiato
la lapide che m’avete scolpito:
la barca con le vele ammainate.
Dall’inganno d’amore mi ritrassi;
ebbi paura al bussare del dolore
e temetti i rischi dell’ambizione.
Ma volevo conoscere la vita,
e il suo significato.
Ora lo so che occorre alzar le vele
ai venti del destino:
dare un senso alla vita può condurre
alla follia,
ma senza un senso tremi d’inquietudine
e desiderio, barca
che teme e anela il mare.
Fallas
Io brandivo il flagello e la bilancia,
percuotevo con la frusta e la spada.
Io, il legale che puniva il reo,
e che odiavo, inesorabile e amaro.
Io, che spinsi ad impiccare Barry Holden,
io fui svegliato dalla Verità.
Ma il lampo della sua luce acceca:
il forcipe impacciato del dottore
fece del mio figliolo
un idiota.
Per curarlo mi dedicai alla scienza
e il mondo dei malati
divenne il mio compito e il mio mondo.
Caro ragazzo, tu poi diventasti
il vasaio. E la mia carità
il tuo vaso.
189
James Merrill
190
The book of Ephraim
Probabilmente è un errore intraprendere
il lavoro al presente. La più spoglia
prosa giornalistica, ci voleva,
che raggiunge prima più vasto pubblico.
Trapelava che il Tempo è l’essenziale.
Il Tempo, vera essenza della Rosa
che fugge. Ma da tempo mi sfuggono
le scadenze. Anche il tema, così nuovo
e intimo mi frenava l’entusiasmo.
Forse era meglio farne un romanzo?
Attorno a me c’erano personaggi
umani e non umani (Se è possibile
distinguere parlando di finzione).
Trovai la mia strada per una trama
o almeno la sorpresa ed il piacere
di cominciare. Vidi il luogo; e subito
ebbi il tema, la cui luce splendeva
sicura da ogni minimo dettaglio.
Mi diventò un vecchio caro tema:
l’incarnarsi e il ritrarsi di un Dio.
Quest’ultima frase è di Northrop Frye.
E poi speravo nello stile. Sazio
di fantasiose narrazioni odierne
servite in ogni stile tanto a lungo
191
Variations (frammento)
Non ora la risposta,
perché naturalmente non ce n’erano
di pronte. Però tutti si ricordano
quell’aria di domanda
che vaga ancora chiara tra le stanze,
dove il piccolo tonfo della pena
echeggia.
Venerdì. Freddo. Limpido. Tuo è il giorno.
Stendhal a colazione. Le metafore
d’amore. Grande, fortunate Beyle
forse, per cui l’amore era il più ovvio
e alto bene, da inghirlandare, senza
rimedio, senza oblio.
Sua vigile botanica: non l’amore
grande perla cresciuta intorno a un piccolo
sgradevole bisogno;
né quell’amore le cui dita legano
ad un mesto presente il fiocco di un dono
di compleanno. L’amore,
semplicemente, come il meglio che c’è,
e per farlo diventare migliore
basta dire come cresce, in che climi,
cercando di distinguere i cristalli
dal ramo ed allungando la bacchetta
all’onda che scintilla.
Per dire infine che comunque sembri,
buono, cattivo, indifferente, aiuta
e lì l’aria è più dolce. Aria dolcissima.
192
Angel
Compunto vibrava sul mio tavolo
(Ma poco più grande di un colibrì)
vestito finemente alla Van Eyck,
sembra proprio un visitatore angelico.
Indica con l’indice alla finestra
l’inverno che si stringe al suo cuore
la cristallina assenza,
i vapori esalati dalle case
e dalla gente che ripara in casa
infreddolita, duro sole batte
il mare. L’altra mano
indica il pianoforte
dov’era aperta la Sarabande n.1,
ad un passo per me troppo difficile
ma che mi domina da troppo tempo.
Sembra voler dir qualcosa, o cantare:
- Fra il mondo che è stato creato da Dio
e la musica creata da Satie,
entrambi intravisti attraverso veli,
ma pieni e luminosi
ti domandano desiderio e lode,
pretendono la resa
e tu resti lì con il tuo taccuino?
Cosa credi di fare? –
Ma saggiamente non mi dice nulla:
potrei citare qualche pecca in terra
o di Satie; e poi mi chiedo come
gli è nato tanto amore per Satie.
Un po’ per provocarlo
ritorno alla mia pagina, alle frasi
ancora così sconnesse e grumose.
L’angelo sottile scuote la testa
non sorride il suo volto tondo e liscio.
Non vuol vedermi scrivere.
193
Silvya Plath
194
Edge
La donna ora è perfetta.
Morto,
il suo corpo sorride in plenitudine,
l’illisione di una necessità greca
scorre tra le pieghe della sua toga.
Nudi,
i suoi piedi sembrano dire:
basta, siamo andati troppo oltre.
Ciascun bambino morto è rannicchiato,
bianco serpente, vicino a ciascuna
piccola ciotola del latte ormai vuota.
Lei li ha avvolti
Nel suo corpo, come petali
Di una rosa che si chiude in giardino,
quando cola l’odore intorpidito
dalle gole profonde e dolci del fiore della notte
non ha motivo d’essere triste la luna,
guarda fisso dal suo cappuccio d’osso.
Ormai è abituata anche a questo.
Le sue ombre si tendono, crepitando.
Finisterre
Questo era il confine: le ultime dita a nocche,
reumatiche, strette sul nulla. Nere,
perentorie scogliere, e il mare esplode
senza fondo, o nulla dall’altra parte,
sbiancato dai volti dei sommersi.
Ora è soltanto cupo mucchio di rocceSpersi soldati di guerre confuse.
Il mare esplode nelle orecchie, ma non si muovono.
Sott’acqua celano altre rocce: loro rancori.
195
Sheep in fog
Le colline diventano pallore.
Persone o stelle
Mi guardano, tristemente delusi.
Il treno traccia una linea di respiro.
O lento
Cavallo tinto di ruggine,
zoccoli, dolenti campaneè da questa mattina
che annera,
come un fiore dimenticato.
Le mie ossa sostengono la quiete,
i campi laggiù sciolgono il mio cuore.
Minacciano
Di portarmi in un cielo senza stelle,
senza padre, acqua buia.
The moon and yew tree
La luce della mente è fredda e planetaria,
i suoi alberi neri e blu la luce.
L’erba libera le sue pene ai miei piedi,
come fossi Dio, punge le mie caviglie, mormora umiltà.
Brume spiritali abitano il luogo
Che una fila di lapidi separa dalla mia casa.
Quindi non posso vedere dove andare.
La luna non ha porte, è una faccia,
bianca come una nocca e troppo turbata.
Quieta, trascina dietro a sé il mare
Come un cupo delitto nella O della sua bocca
Disperata. Io abito qui. Di domenica due volte
Le campane spaventano il cielo annunciando Resurrezione.
Per finire risuonano i loro nomi.
Mira in alto il cipresso dal profilo gotico.
Gli occhi salgono dietro lui fino alla luna.
È mia madre la luna. Non è dolce come Maria.
196
Ezra Pound
197
Villanella
Avevo predisposto tutto quanto
Da sembrare sinistro.
Come uno di mezza età
Avevo sparso solo i libri adatti
Piegandone le pagine.
La bellezza è sì rara…
Tanto pochi bevono alla mia fonte…
Ah, l’arido rimpianto,
quante, le ore buttate!
Ora guardo la pioggia alla finestra,
e gli autobus che vagano…
“Il loro mondo piccino ora è scosso”L’aria è pregna del fatto.
Ciascuno nel suo luogo
e vedersela con un’ossessione.
Come faccio a saperlo?
Ah, ne so abbastanza.
A sentir loro qualcosa si muove.
Anche per me;
ma avevo predisposto troppo.
La bellezza è sì rara…
Tanto pochi bevono alla mia fonte…
Due amici, un alito nella foresta…
Amici? Si è meno amici
Quando ci si è appena incontrati?
Promisero due volte di venire.
“Tra la notte e il mattino?”
Berrebbe alla mia mente la Bellezza.
La gioventù dimentica,
dov’è la mia?
2
(“Dì, hai ballato sì rigidamente?
Qualcuno ha ammirato la tua opera
E l’ha detto chiaro.
Hai detto stupidaggini,
la prima notte
o la seconda sera?”
198
“Ma promisero ancora:
“Domani all’ora del tè”)
3
Ora è il terzo giornoSenza parole;
parole alcune lui, alcune lei,
soltanto una nota di qualcun altro:
“Caro Pound, sto andandomene”.
motif
I have heard a wee wind searching
through still forests for me,
I have seen a wee wind searching
O’er still sea.
Thru woodland dim
have I taken my way,
and o’er silent waters, night and day,
have I sought the wee wind.
Ho udito un vento lieve frugare
le immobili foreste per cercarmi,
ho guardato un vento lieve frugare
su un mare immobile.
Per cupi boschi
ho intrapreso il cammino
e su acque silenziose, giorno e notte,
cercando il vento lieve.
199
A pact
I make a pact with you, Walt WhitmanI have detested you long enough.
I come to you as a grown child
who has had a pig-headed father;
I am old enough now to make friends.
It was you to broke the new wood,
now it is a time for carving.
We have one sap and one rootlet there be commerce between us.
vengo a patti con te Walt Whitman:
ti ho detestato abbastanza.
Torno a te come un figlio cresciuto
che ha sopportato un padre testardo;
oramai sono così vecchio che posso esserti amico.
Tu abbattesti il legno nuovo,
ora occorre scolpirlo.
Abbiamo un solo fusto, la radice è unica:
lasciamo che ci sia tra noi un patto.
200
Robin Robertson
201
New gravity
Attraversando la luce fioca di edere
e lapidi, ti vedo in lontananza
mentre spiego a nostra figlia
questo luogo e l'intera faccenda:
della sorellina che sta per nascere,
di come la nuova gravità di una vita stia nell'acqua.
Sotto la quercia, le foglie cadute
sono pezzi del puzzle dell'albero;
presso la tomba di tuo padre schiacci ghiande
e dentro l'ombra semini.
Tokens
Tetti uniti in terrazze, contro
il muro di contenimento del mare:
dove i gabbiani scricchiolano
nel vento che batte
e il mare risale le pietre delle scale.
Restai
contando onde al buio:
pulsare visibile di un nascosto tamburo.
Facendo rimbalzare le sei pietre bianche fino a lei,
i pegni.
Camminando ampio lungo una curva fredda,
orlo di mare e pietra collidono: la notte arriva
come una roccia inondata, il vento vortica;
le onde diventano volti che gridano
maree.
Aberdeen
Il mare grigio torna al sonno
e disturba i gabbiani fin della verde roccia.
Guardammo il lungo crollo, la nera caduta
che schiuma e rovescia in onda; guardammo fuori
il buio che arriva in Norvegia.
Restammo stesi in una barca aperta
tutta la notte, a dondolare in porto le gomme scricchiolavano sul molo
di pietra, tentando di andare a tempo finchè i pescatori arrivarono nel loro arco,
il loro lembo di luce: il grasso
schiocco delle onde, il vacillare dell'acqua,
l'acqua e scomparti di luce.
202
A show of signs
Ibisco carnoso, il primo in cinque anni,
si schiude come sangue nell'acqua.
Nel solaio s'è rannicchiato un tordo.
Un pavone va dietro i lecci.
La notte passata a cucire dolore:
un bordo che ci stringe e ci chiude.
E la paura frullava, come l'ala
di un uccello in trappola, come noi, in trappola.
Prima la morte è assenza, poi presenza
della morte presso chi vive:
il calcio del dolore come una pinna
che increspa la superficie senza romperla.
Mesi prima di vedere, la nostra bimba sente:
lo smorzarsi del mare alla banchina.
Ricorderà soltanto la paura,
il suo suono di latta sbattuta,
e il dolore che le nuota accanto:
per cui grida, scambiandolo per fame.
Abbiamo assaporato il sale,
gli occhi ci brillano.
Nel solaio s'è rannicchiato un tordo.
Un pavone va dietro i lecci.
Ciò che abbiamo conosciuto è la vita, spezzata:
ciò che abbiamo visto è un rosso fiore
che schiude il suo volto e poi muore.
Retreat
Nella casa abbandonata
le sedie sono ribaltate,
le tazze da caffè incrostate;
i materassi arrotolati si sformano, suonano
sulle molle adattandosi
al corpo di chi dorme.
Ho portato il freddo da fuori
così cerco stecchi per il focolare
e ci butto i miei diari,
uno dopo l'altro,
dall'86 al '74.
Gli anni bruciano bene, il legno schianta,
203
il fuoco volta le pagine,
e legge ogni libro al rovescio.
Fuori gli alberi sembrano fumo;
la luna declina
dietro una sciarpa di nuvole.
Voglio andare dove sono sconosciuto,
dove non ci sono segni,
dove la neve scricchiola
come polistirolo
su un sentiero abbandonato
verso l'oscuro nodo della foresta.
Voglio andare in un posto
dove la vita defluisce come acqua calda
e restarmene lì
pulito e freddo:
il diminuendo del cuore regolare,
il gemito decrescente di una cornamusa.
Fugue for Phantoms
Questa è la spina in cuore: il rosso risciacquo
della memoria;
questo è il richiamo del canto funebre - gemiti
gemiti sull'acqua, acqua stregata,
grigio pece e gabbiani sopra il mare.
Questa è la rete e il tridente, scagliato e ripreso,
scagliato ancora: e questa è la morte che viviamo:
i nostri stessi pensieri sono la rete gettata,
che il passato attraversa come un colpo di lancia.
Queste sono le strane stimmate, le memorie
che sanguinano;
questi sono gli spettri luminosi:
esche sull'amo, che porta in superficie
il cuore, fuori dal buio e dal silenzio.
Feeding the fire
Ciocchi duri, consumati a metà,
restano a galleggiare nella cenere:
neri, tra i bioccoli di grigio fatuo.
Rimane solo una fiammella incrta,
l'occasionale schiocco di un tizzone.
Ma ci butto uno pagina del Times,
un polmone di carta risucchiato
che s'illumina dietro all'improvviso:
204
un rombante diorama;
le voraci, lunghe gole di fuoco
affamate di notizie. La pagina
è letta, poi rossa, poi consumata.
The spanish dancer
Tiene il pubblico in mano,
lei diventa un fiammifero sfregato,
scintille, e la bianca fiamma del fosforo:
la danza accende un incanto di fuoco,
che rapido si sparge.
E ad un tratto lei è soltanto fiamma.
Sfrontata si guarda intorno ed impudica
incendia i suoi capelli, le sue vesti
diventano un inferno ribollente
da cui stende le lunghe braccia bianche,
e nacchere, serpenti a sonagli
destati ai loro scatti ed ingranaggi.
E così rapida, come costretta
dalle guaine di fuoco, lo raccoglie,
lo getta con un solo gesto altero
e guarda giù: giace furioso a terra
fiamma sparsa cocciutamente in vita.
Con il mento alto saluta radiosa,
poi lo finisce con un colpo di piedi:
lo pesta schiaccia e spegne.
Moving house
I Middle watch, Battersea
Sciacquio del traffico: rincorrersi
di onde contro una riva di finestre;
dalle finestre frantumate piove.
Il vento imbuca cartacce sotto la porta.
ietro i becchi a gas nel focolare
cade cenere, schiarisce la gola del camino
e il vento intona canti a fili, soffi
come carbone a un sospiro bianco.
Un tramestio nello zoccolo di legno
come qualcosa che si libera da altro.
205
Il bulbo dondola e la stanza si sposta
due volte verso la porta della cantina.
II Defrosting
Scricchiola e viene via gradevole
un'altra piastra bianca: corrugata,
tettonica, ha la forma della ghiacciaia
nella curvatura; come se il polistirolo
che prima imballava il frigo
ora fosse imballato, appesantito e freddo.
Ghiaccioli cadono nello scomparto dell'insalata
mentre scavo in alto con un coltello,
mani ruvide e calde nella neve che punge.
Annoiato, porto di là una birra calda e scrivo.
Mentre il frigo ticchetta sgocciolando,
la cucina muove verso me nella notte.
Circus on Calton hill
Edimburgo brucia
in un giorno ardente
dov'è fiamma invisibile e onda scura
che lambisce la vena della benzina, e i mangiafuoco
appagano la loro sete.
Le braci della città sfrigolano
come carte di caramelle, caldo
che gratta nel carbone.
Sedendo sotto il colonnato, siamo
così vicini che quasi ci tocchiamo.
Saltano acrobati, fanno capriole,
distratti nell'erba secca
i gabbiani salmodiano nel caldo
e fendono l'aria sopra di noi,
sopra le pietre cotte di Craighleith,
e virano nel vento verso il Firth
e l'isola di Inchleith,
il Traghetto e May.
Ti guardo guardare i giocolieri,
gli immancabili innamorati e la donna serpente
mentre ingoia una spada.
Diventi eliotropica in quest'acropoli
di luce e sudi appena.
Alzando le mani ai capelli una goccia
scorre lungo un tuo braccio fino alla curva
del seno. Io trabocco, brucio,
206
mi torturano il caldo e la voglia
di te fino alla radice della lingua.
Ma non ti trovo; guardi la giovane
di sotto, sul prato: ha gli occhi socchiusi
la bocca morbida s'avvicina a quella di lui.
Potrei trovare il tuo volto, o il mio
in questi specchi? E ricondurti a me
in questa luce coerente?
The gift of Tantalus
Immagini che restano, di vite
vissute qui, e turbano la luce.
Come la terra resa scura da battaglie,
torniamo nei luoghi
dove avvennero i fatti
forse solo per sentire l'aria vibrare,
per vedere ciò che cerchiamo
dissolversi mentre il luogo c'irride,
illuminando la nostra mortalità,
i nostri giovani fantasmi
in un film a fotogrammi singoli
di fiori e frutti che marciscono.
Il buio occupa luce,
la traccia della felicità è dolore.
Restiamo sulle nostre orme
aspettando risate, affamati
di una gioventù irraggiungibile.
Amnesty in the garden
Un orlo di luce cola nel mare,
angola l'onda in una lente d'acqua,
tutto muove di nuovo:
le rughe della terra di nuovo in fiori
d'oro, ginestre gialle e di carbonai.
Gabbiani cuciono cerniere di luce
sull'acqua sciolta e chiamano,
mi chiamano giù dalla cima del colle
e son lì le pietre alte,
i segni incisi ormai cancellati.
La foresta scricchiola come una porta.
Qui verranno i bambini stamattina
portando doni alla Regina di Maggio
- raccoglieranno fiori di bosco
per ottenere il raccolto del mare scappa un coniglio fra mucchi di foglie
207
scoiattoli rotolano in cima agli alberi,
un fagiano ciancia come un giocattolo.
Un ragazzo affonda ancora nel verde
ed entra nel giardino con le mura.
Vento. Lillà, laburni
si agitano, si placano. Su lui,
i germogli son gonfi e semiaperti;
sotto, getti rossi si slanciano verso il sole
del mattino. Radici sciamano.
Nel giardino cintato la forma è imposta
al verde sfuggente, luce che sciacqua:
racchiudere è rendere sacro,
incorniciare il caos per riparare
lentamente, arte della guarigione,
del riscatto, un'amnistia contro
la disperazione.
208
William Shakespeare
209
Sonnet I
Alle creature più belle chiediamo
progenie, e che la Rosa di bellezza
non muoia, ma più piena al tempo ceda
cosicchè lamemoria serbi eredi.
Ma il tuo sguardo, contratto nei tuoi occhi,
nutre la tua fiamma con la tua luce
e riduce a carestia l’abbondanza
crudele con la tua stessa dolcezza.
Tu che oggi sei un fresco ornamento in terra
e araldo della primavera splendida
rendi il bocciolo tomba di se stesso,
e tenero avaro sprechi chiudendoti:
abbi pietà del mondo, o così ghiotto
sarai, da divorarlo, tra te e la tomba.
Sonnet VII
Guarda ad Oriente , la luce felice
solleva la sua testa ardente, ogni occhio
rende omaggio alla vista che riappare
con sguardi che la maestà sacra ossequiano.
E quando è salito sul colle azzurro
simile a gioventù nell’età piena,
i nostri occhi mortali ancora adorano
riverenti l’aureo pellegrinaggio.
Ma dal punto più alto il carro stanco
come un debole vecchio il giorno cede.
Gli occhi, prima devoti, si distolgono
dal suo corso stanco e guardano altrove:
così per te, che diserti il meriggio
e senza prole muori, abbandonato.
210
Sonnet XVIII
Saprò comparirti in un giorno estivo?
Sei più amabile e più temperato:
rozzi venti i boccioli di maggio agitano,
e troppo breve è il nome dell’estate:
a volte arde troppo l’occhio del cielo
e spesso si vela il suo aureo aspetto
e ogni leggiadria se ne va da sola
per caso, o per capriccio di natura:
ma non cadrà la tua eterna estate,
né perderà la bellezza già sua,
né la morte t’avvolgerà nell’ombra,
perché tu crescerai in versi eterni;
fino a quando l’uomo potrà guardare,
queste rime continueranno a viverti.
Sonnet XXII
Non crederò d’esser vecchio allo specchio
finchè tu e gioventù siete assieme,
ma quando in te vedrò del tempo i solchi
lascerò che la morte espii i miei giorni.
Perché la bellezza che ti ricopre
è anche l’unica veste del mio cuore
che vive nel tuo petto, e il tuo in me.
Come potrei allora essere più vecchio?
Abbi dunque amor mio cura di te
la stessa che ti do dimenticando me,
custodendo il tuo cuore che terrò
come una balia che protegge il piccolo,
e non contar più sul tuo cuore, se
morirò, perché non potrà tornarti.
211
Sonnet XXIV
Il mio occhio d’artista ha già tracciato
le tue forme sul quadro del mio cuore,
e il mio corpo è cornice che racchiude
in prospettiva, la migliore pittura.
Perché attraverso il quadro vedrai l’arte,
e troverai la tua reale immagine
che fa mostra di sé nel mio petto,
e ha gli occhi tuoi per vetri alle finestre.
Guarda ora cosa gli occhi fanno insieme
i miei han tracciato la tua forma, i tuoi
spalancano il mio petto, così il Sole
risplende affacciandosi ad ammirarti.
Ma all’occhio manca l’arte della grazia:
ritrae, ma ciò che vede, e non il cuore.
Sonnet XXV
Chi gode del favore delle stelle
vanti pubblici onori e alti titoli,
ma io, che non ottengo tali glorie
godo in disparte ciò che solo onoro.
L’amato dal principe schiude i petali
come calendule all’occhio del sole
ma devono nascondere ogni orgoglio
perché basta un accenno per ucciderli.
Il soldato famoso per valore
che ha perduto dopo mille vittorie
viene escluso per sempre da ogni libro
e quindi cancellata ogni sua impresa:
felice dunque io che amo riamatoù
dove nessuno viene mai scacciato.
212
Sonnet LXXI
Quando sarò morto non pianger più
a lungo di quella tetra campana
che avverte il mondo della mia fuga
da questo mondo abitato da vermi:
anzi, se leggi qui, non ricordarti
della mano che scrisse, perché t’amo
tanto da preferir che mi dimentichi
piuttosto che addolorarti pensandomi.
Se il tuo sguardo cadrà su questi versi
quando forse sarò già nell’argilla
non rievocare il mio misero nome;
lascia morire il tuo amore con me
non lasciare che il mondo spii il pianto
tuo e che a causa mia ti schernisca.
Sonnet LXXIII
Puoi contemplarmi come la stagione
in cui le foglie gialle non rimangono
su quei rami che tremano di freddo,
nudi cori in rovina, dove dolci
cantarono gli uccelli fino all’ultimo.
Tu vedi in me il giorno che svanisce
ad occidente, avvolto in nera notte
come morte che ferma col riposo.
Tu vedi in me il languire di quel fuoco,
che sulla gioventù aleggia in cenere,
e sul letto su cui deve spirare
già consunto da ciò che fu suo cibo.
Tanto vedi, per fare il tuo amore
più forte, per colui che stai per perdere.
213
Sonnet LXXIV
Ma sii contenta: anche se il tristo arresto
mi trascinerà via senza riscatto,
la mia vita conserva in questi versi
qualcosa che ti rimarrà vicino.
Quando li leggerai potrai riavere
il meglio che ho potuto dedicarti.
Alla terra la terra, a lei dovuta,
il mio spirito a te, parte migliore.
Così, solo la feccia della vita
pasto per vermi, avrai perso di me,
vile trionfo di un coltello assassino,
cosa spregevole da ricordare.
L’unica cosa buona che ha, è dentro,
ed è questo che rimane con te.
Sonnet LXXVI
Perché mai il mio verso non riluce,
privo di variazioni e agilità?
Perché non seguo le mode e i metodi
più nuovi, e gli espedienti più curiosi?
Perché scrivo tutto allo stesso modo
tanto che ogni parola ha il mio nome,
svelando la sua origine e il destino?
Sappi amor mio che scrivo di te sempre
Tu e l’amore siete il mio argomento:
non so che rivestir vecchie parole,
spendendo ancora quanto è stato speso:
come il sole ogni giorno è nuovo e vecchio,
così il mio amor ripete quanto detto.
214
Sonnet LXXVII
Mostri lo specchio la bellezza andarsene
e il quadrante la fuga dei minuti;
i fogli bianchi accolgano la tua anima,
e da questo album abbi questo monito:
le rughe che lo specchio mostrerà
ti ricorderanno le tombe aperte,
e l’ombra sul quadrante ti dirà
il furto dell’Ora che va all’Eterno.
Lascia ciò che non potrai ricordare
in questi fogli vuoti, troverai
di nuovo questi figli del tuo ingegno.
E questi impegni, frequentati a lungo
faranno crescer te, ed il tuo libro.
Sonnet LXXX
Sento mancarmi se scrivo di voi
e so che il vostro nome viene lodato
da uno spirito migliore, così
che io non riesco più neanche a parlare.
Ma poiché il vostro merito (ampio Oceano)
sostien l’umile vela e la superba,
la mia barchetta, così inferiore,
tenta lo stesso le vostre correnti.
Il vostro lieve aiuto mi sostiene
mentre lui riesce a sondare gli abissi;
se naufrago, son una barca inutile
mentre egli ha la struttura più superba.
Se egli ha fortuna ed io finisco via
il peggio è che il mio amore mi distrugge.
215
Sonnet LXXXI
O che sia io a scriver l’epitaffio
tuo, o tu sopravviva al mio marcire,
la morte non avrà il tuo ricordo
anche se io sarò dimenticato.
Qui il tuo nome avrà vita immortale
quando già io sarò morto al mondo
e avrò avuto una fossa comune.
La tua tomba saranno gli occhi umani
e il tuo sepolcro i miei versi gentili
che occhi ancora non nati leggeranno
e lingue nuove parleran di te
quando chi respira sarà già morto,
tu sopravviverai grazie al mio verso
nella parola, che è alito vitale.
Sonnet LXXXVIII
Quando verrà il momento dello sdegno,
per rivolgere al mio merito il disprezzo,
contro me stesso mi vedrai al tuo fianco,
e dirò che è virtù la tua slealtà:
conoscendo ogni mia debolezza
meglio di te, potrei diffamarmi
con vecchie mie storie di disonore,
così, perdendomi, ne avrai gloria:
ma anch’io ne trarrei lieto guadagno
perché volgendo a te ogni mio pensiero,
le ingiurie che volgerò a me stesso
a te daran vantaggio, ma a me doppio.
Poiché, tale è l’amore che mi lega
al tuo bene, che sopporterò tutto.
216
Sonnet XC
E odiami quando vuoi, se non subito,
ora che il mondo intero mi contrasta,
colpisci con la rabbia del destino
ma fa che non accada solo all’ultimo,
quando avrò superato queste lacrime.
Non venir dopo un cordoglio già vinto,
non portar dopo il vento anche la pioggia,
non tardar la rovina già decisa.
Se mi devi lasciare, fallo subito
e non dopo queste misere pene
così fin dal principio proverò
la peggiore potenza della Sorte.
Così, in confronto, ogni altro dolore
sparirà, di fronte alla tua perdita.
Sonnet XCIII
Così vivrò, credendoti fedele,
come un uomo tradito, e mi parrà
amorevole il tuo volto straniato:
qui i tuoi occhi, e il tuo cuore altrove.
Poiché non c’è mai odio nel tuo sguardo
non potrò leggerci il tuo mutamento.
Nell’aspetto di molti un cuore falso
è scritto in smorfie aggrottamenti e umori.
Ma per te è stato deciso in cielo
che sul tuo volto fosse sempre amore:
nonostante i pensieri e i moti in cuore,
il tuo aspetto rimane sempre dolce.
Ma rassomiglierai al frutto di Eva,
se la bellezza è senza forza d’animo.
217
Sonnet XCIV
Coloro che potendo non feriscono
per cogliere l’occasione evidente,
quando gli altri si avventano, rimangono
gelidi e lenti ad ogni tentazione:
giustamente, celesti grazie ereditano
e assistono allo sperpero dei doni;
è a loro che si attribuisce un volto,
gli altri sono ministri d’eccellenza.
È dolce per l’estate il fiore estivo
anche se per se stesso vive e muore.
Ma se lo stesso fiore guardi infetto,
qualsiasi erba diventa più degna.
Perché l’atto fa agra la dolcezza
e un giglio sfatto puzza, non l’erbacce.
Sonnet CIII
Ah, che povertà offre, la mia Musa,
pur avendo di che ben figurare!
Il soggetto ha più pregio quando è spoglio
di quando aggiungo le mie belle frasi.
Non biasimatemi quando non scrivo!
È nello specchio che vedrete un volto
migliore di qualsiasi mia invenzione,
recando a me discredito e ai miei versi.
È soltanto un peccato deturpare
il soggetto che prima era perfetto,
perché i versi miei solo desiderano
decantare le grazie e i doni vostri.
E molto, molto meglio che nel verso
vi vedrete riflessa nello specchio.
218
Sonnet CXIII
Da quando t’ho lasciato, ho un occhio fermo
nell’anima, mentre l’altro non riesce
a governare il mio passo, quasi cieco.
Sembra vedere, in verità è morto:
perché non trasmette immagini al cuore,
di nessun’ombra, che sia fiore o uccello,
riesce a rendere partecipe l’anima,
non riesce a trattenere ciò che coglie
sia che guardi la cosa più gentile,
o più rozza, un volto nobile o ignobile,
la montagna o il mare, il giorno o la notte,
il corvo o la colomba: a voi ogni cosa
assomiglia. Ed è incapace d’altro,
conducendo la mia anima al falso.
Sonnet CXVI
Non sarò io ad impedir le nozze
delle anime costanti. Amor non è
se muta quando scopre mutamenti
o si separa, se altri si separano.
No, perché è un faro sempre fisso
di fronte alla tempesta, e mai scosso;
astro cui si volge ogni nave persa,
il cui merito è ignoto pur se noto,
l’Amore non è lo zimbello del Tempo,
anche se falcia labbra rosa e guance.
L’amor non è roso dall’ora breve,
resisterà fino alla fine fermo
e se ciò è errore confutabile
non ho mai scritto e mai nessuno amò.
219
Sonnet CXXI
Meglio essere vile che farselo dire,
se un innocente è accusato a torto,
perdendo un piacere intimo, perché
lo si è giudicato senza ascoltarlo.
E perché gli occhi corrotti degli altri
devono giudicarmi uomo lascivo?
O i miei falli spiati da occhi falsi,
condannando ciò che per me è buono?
No, sono quel che sono, e chi mi giudica
vuole solo attribuirmi i suoi eccessi;
io vado dritto e loro vanno sghembi,
così con menti distorte mi giudicano.
Se non ammettono il male comune,
fra tutti gli uomini è il male che regna.
Sonnet CXXIX
Spreco d’anima in arida vergogna
è l’atto lussurioso, e già al principio
è spergiura, assassina e traditrice,
rozza, estrema, crudele e senza fede,
disprezzata non appena goduta,
disprezzata come un’esca inghiottita
che vuol render furioso chi la cerca.
Fa impazzir prima, fa impazzire dopo,
dà piacere che diventa dolore,
speri una gioia che diventa un sogno;
chiunque sa tutto ciò, ma nessun sa
sfuggire quest’inferno celestiale.
220
Da Troilo e Cressida
I 1 (Troilo)
I greci sono forti di astuta forza,
feroci nell'astuzia di coraggiosa ferocia;
io invece sono più debole di una lacrima,
più mansueto del sonno, più credulone dell'ignoranza,
meno coraggioso di una vergine di notte
e ignaro come l'infanzia inesperta.
…e mentre il mio cuore
sta per esser spaccato da un sospiro,
per non farmi accorgere da Ettore e mio padre,
io seppellisco il sospiro nella grinza di un sorriso,
come il sole quando s'affaccia nel temporale
…Tu rispondi che è bella,
versi nella ferita del mio cuore
occhi capelli guance portamento e voce
infili in ogni mia ferita d'amore
il coltello che l'ha inferta.
I 2 (Cressida)
Pandaro offre per conto di un altro parole
voti regali e lacrime, tutto il cerimoniale
dell'amore; ma io vedo in Troilo
più che nello specchio delle lodi di Pandaro.
Ma mi controllo: corteggiate le donne sono angeli,
possedute diventano perdute.
Tutto il piacere sta nella conquista.
Una donna non sa nulla se non sa
che gli uomini apprezzano di più ciò
che non hanno ancora potuto avere
ed è il desiderio a far più dolce l'amore.
È questa la ricetta:
se ci possiedono gli uomini ci comandano,
se ci desiderano invece ci implorano.
Perciò, anche se colma di passione
nulla i miei occhi lasceran vedere.
I 3 (Agamennone)
Cos'è quest'affanno?
Gli ampi propositi della speranza
non si realizzano mai nell'ampiezza promessa:
scacchi e disastri crescono nelle vene
dell'azione più ambiziosa
(Ulisse)
221
Scusa le mie parole,
ma è meglio che Achille non incontri Ettore:
come i mercanti, è meglio per noi mostrar prima
la merce da meno sperando di venderla.
Se non va, la merce migliore spiccherà di più
dopo aver mostrato la peggiore.
Ettore e Achille non devono scontrarsi:
sia l'onore che la vergogna
che ne possono conseguire
potrebbero essere controproducenti.
II 2 (Ettore)
La piaga della pace è la sicurezza,
la spavalda sicurezza, mentre il faro del saggio
è il dubbio modesto, bisturi che scerne
in fondo al peggio. Lasciamo andare Elena.
(Troilo)
O, furto vigliacchissimo,
aver rubato ciò che si teme di conservare!
Siamo ladri indegni dell'oggetto rubato
se col furto infliggemmo in terra altrui
una punizione che in patria ci fa tremare!
II 3 (Tersite)
O tu, grande scorreggione dell'Olimpo che ti fai nominare Giove,
e tu, Mercurio, che dimentichi l'astuzia velenosa del tuo caduceo,
perché non togliete ad Achille ed Aiace quel poco,
meno che pochissimo cervello che rimane loro?
Così abbondantemente scarso, da sfoderare montagne d'armi
per cavare una mosca dalla tela difesa dal ragno!
III 3 (Ulisse ad Achille)
Signore, il tempo ingrato ha una borsa sulla schiena
dove getta le elemosine solo per dimenticarle.
Ciò che scarta sono le azioni eroiche,
le dimentica appena avvengono.
Solo la perseveranza mantiene lustro l'onore:
Aver agito è rimanere appesi fuori moda
come un'armatura arrugginita.
Occorre continuare sulla via offerta
perché la gloria segue una via tanto stretta
che ci si passa uno per volta.
Il tempo è un padrone di casa mondano,
stringe appena la mano e chi se ne va
e accoglie a braccia aperte l'ultimo arrivato.
La virtù non s'aspetti ricompensa
per ciò che era, perché l'intelligenza,
222
la bellezza, la nobiltà, il merito,
il vigore, l'amore, l'amicizia,
la carità, tutto, viene corrotto
dall'invidia e dalle calunnie del tempo.
Tutti gli uomini hanno questo in comune,
che impazziscono solo per il nuovo,
anche se il nuovo imita ciò che è antico
e lodano la polvere appena dorata
più dell'oro impolverato. L'occhio
vive e vuole il presente, non stupirti
se i greci ora idoleggiano Aiace;
le cose che si muovono attirano
lo sguardo molto più che quelle immobili.
IV 1 (Paride-Diomede)
P: Ditemelo da amico, o Diomede,
secondo voi chi merita di più
la bella Elena, io o Menelao?
D: Entrambi: lui merita di riprenderla,
visto che continua a desiderarla
senza temer la vergogna, ed a costo
di tutti i guai e di tutte queste perdite;
altrettanto voi che la difendete
senza sentir sapore di vergogna
e a costo di tanti amici e di beni.
Lui, da cornuto lacrimoso, berrebbe
il fondo andato a male della botte.
Voi, da dissoluto, vorreste eredi
da un ventre di puttana.
L'uno vale l'altro, dunque,
perché la zavorra è sempre la stessa puttana.
Da All's well that ends well
I1
Contessa:
È figlia unica, signore, e affidata a me.
L'istruzione dàtale accresce i suoi doni ereditari, migliorando le sue doti.
Perché dove una mente corrotta avesse nobili qualità,
diventano virtù traditrici e ci rammaricano molto.
In Elena, invece, le nobili qualità sono migliori
grazie alla sua mente diretta: è onesta per eredità,
ma è sua propria la bontà d'animo.
223
Lafeu:
Un compianto moderato è un diritto dei morti;
un dolore eccessivo è nemico dei vivi.
Contessa:
Ama tutti, o figlio, fidati di pochi, non far torto a nessuno.
Làsciati criticare per il tuo mutismo anziché per le tue parole.
Parolles:
Perder la verginità accresce la razionalità,
infatti, non perdendola, non si può dar vita ad una vergine.
Dunque la verginità perduta rinasce dieci volte,
mentre se la si conserva, se ne perde per sempre lo stampo.
È una compagna troppo frigida, occorre liberarsene!
Difendere la verginità è accusare la propria madre;
la verginità è suicida, fa i vermi e consuma;
è stizzosa superba oziosa ed egoista:
non conservatela, non fareste che rimetterci.
È una merce che si deteriora se resta in magazzino:
più si conserva e meno vale.
I3
Contessa:
Sì, Elena, puoi diventare mia figlia come nuora.
Che Dio non ti permetta un rifiuto!
Ti sconvolgono così i nomi di "figlia" e "madre"? Impallidisci?
Il mio timore scopre la tua follia: ora capisco
il mistero della tua malinconia e l'origine delle tue lacrime salate.
Tutto è chiaro: ami mio figlio: le tue guance se lo confessano a vicenda;
solo l'ostinazione ti lega la lingua, da lasciar sospettare la verità. Parla, è così?
Elena:
Oh, abbiate pietà di me che dono, sapendo di non ottenere ritorno.
Abbiate pietà, se cerco non per trovare, e vivo dove dolcemente muoio.
224
Percy Bysshe Shelley
225
Himn to intellectual beauty
I
L’ombra enorme di una forza invisibile
visita il vario mondo con un volo
incostante – come i venti d’estate
che si sparpagliano di fiore in fiore,
come i raggi di luna che in montagna
piovono dentro i pini – Va, con sguardo
incostante nei cuori ed occhi umani;
come tinte ed armonie della sera,
come nubi perse in cieli di stelle,
o un ricordo di musica svanita,
o qualcosa che è caro per la grazia
o ancor più caro, per il suo mistero.
II
Spirito di Bellezza, che consacri
splendendo ogni pensiero e forma umana –
perché sei andata via dal nostro regno,
deserta e desolata, vasta valle
di lacrime? Ti chiedi come mai
non tessa sempre arcobaleni il sole?
O perché Ciò che apparve si fa fievole
e svanisce? Perché la paura, il sogno,
la nascita e la morte gettan buio
sulla luce del giorno, ed il destino
d’ogni uomo non è che amore e odio,
non è che speranza e disperazione?
226
Prometeo liberato
IV
Come uno spirito o un pensiero, affolli
d’ignote lacrime occhi quasi fissi
e fai tornare vivo un cuore solo
che doveva già conoscere la quiete:
cullata da tempeste sei discesa
finalmente ti svegli, o Primavera!
O figlia d’innumerevoli venti!
Come la memoria di un sogno arrivi,
ormai triste perché è stato dolce;
come uno spirito, o gioia che si eleva
dalla terra, per vestire di nuvole
d’oro il deserto della nostra vita.
È questa la stagione e il giorno e l’ora;
al sorgere del sole tu dovresti
venire, dolce sorella bramata
troppo a lungo, troppo a lungo in ritardo.
Come verme tra morti striscia l’attimo!
Il punto di una stella bianca trema
in fondo alla luce arancio dell’alba
che s’amplia al di là dei monti porpora:
attraversa la nebbia fino al baratro
fino al lago, che cupo la riflette:
ora svanisce. Brilla come le onde
che s’assottigliano e come le file
fiammeggianti di nubi si disperdono
nell’aria pallida.
V
Echi: ascolta! Non possiamo restare
come stelle di brina che risplendono
e si sciolgono – Figlia dell’Oceano!
Sèguici sèguici, mentre la nostra
voce si perde nelle grotte vuote
e dove la foresta si propaga.
Segui, attraverso le caverne vuote
come il canto che ondeggia tu insèguilo
dove l’ape selvatica non vola
nella profonda oscurità del giorno,
nel profumato respiro dormiente
di quei fragili fiori della notte
e acque in caverne accese dalle fonti,
mentre la nostra musica selvatica e dolce
imita il buon battito del tuo piede,
227
Figlia dell’Oceano!
Nel mondo ignoto dorme una parola
mai parlata; dal tuo passo soltanto
può essere spezzata la tua quiete,
Figlia dell’Oceano!
VI
ASIA: Chi regna? Prima c’erano Terra e Cielo,
Luce e Amore; dal trono di Saturno
cadde il Tempo, la sua ombra invidiosa:
e dominò le prime anime in Terra
con la gioia dei fiori e delle foglie
prima che vento e sole li seccassero
o i vermi ne intaccassero la vita.
Ma non permise la riproduzione,
vietò la conoscenza ed il potere,
il governo degli elementi, il lampo
del pensiero capace di raggiungere
con la sua luce l’opaco universo,
il dominio di sé e la maestà
dell’amore; di ciò avevan sete
e languivano. Allora Prometeo
diede a Zeus la sapienza, che è vigore,
ma gli ordinò di lasciar l’uomo libero
poi gli consegnò il dominio dei cieli.
Senza lealtà, amore e legge, senza
amicizia è la forza del potere
e ora è Giove che regna sulla stirpe
dell’uomo, con fatiche, carestie,
malattie, ferite, guerre e l’orrida
morte; stagioni senza tempo guidarono
con frecce alterne di gelo e di fuoco
le pallide tribù nelle caverne
e nei cuori vuoti il desiderio
e l’inquietudine di beni falsi
depose, che li spinse a mutua guerra.
II, iv
Fu lui ad addomesticare il fuoco,
fiera tremenda e splendida, che freme
sotto il ciglio dell’uomo: e soggiogò
il ferro e l’oro, segni del potere,
gemme e veleni, e le sottili forme
nascoste sotto le onde e le montagne.
Diede all’uomo il linguaggio che è l’idea
e l’idea misurò l’universo.
228
La Scienza scosse i troni in cielo e in terra
che vacillarono senza cadere
e la mente armoniosa si profuse
in profetici canti; poi la musica
innalzò l’anima in ascolto, fino
al cammino senz’affanni mortali,
sulle chiare onde dei dolci suoni.
E mani umane imitaron prima,
poi riprodussero le forme umane
con braccia modellate come vere
finchè il marmo divenne divino;
e le madri, contemplandole, bevvero
la bellezza riflessa nella razza,
guarda finchè non muore. Rivelò
il potere celato di erbe e fonti
la Malattia divenne un sonno. Un sonno
diventò la Morte. Ci insegnò le orbite
che s’intrecciano tessute da stelle
vaganti nell’immenso; e come il sole
muti la sua dimora, e qual segreto
muti la luna pallida, se l’occhio
non guarda più sul mare interlunare:
insegnò il governo, come membra
guidate dalla vita, degli oceanici
carri dalle ali di tempesta, e il Celta
potè incontrar l’Indiano. Città crebbero,
e furon attraversate da venti
tiepidi le colonne color neve
e brillò l’aria azzurra; i colli ombrosi,
il blu del mare furono veduti.
Se così alleviò lo stato umano
Prometeo, eterna fu la sua pena.
VII
La mia anima è un battello incantato
che come un cigno addormentato fluttua
sulle onde d’argento del tuo canto;
e la tua anima, simile ad un angelo
siede accanto al timone e lo conduce
mentre i venti fischiano melodiosi.
Sembra che fluttui per sempre, per sempre
sopra quel fiume serpeggiante,
in mezzo a montagne, foreste e abissi
un paradiso di luoghi selvaggi!
Finchè, come confinato nel sonno,
portato a oceanico fluttuare ovunque
nel profondo mare che sparge i suoni.
229
La mia anima è un battello incantato
che come un cigno nel sonno fluttua
sulle onde d’argento del tuo canto;
e la tua anima, simile ad un angelo
siede accanto al timone e lo conduce
mentre i venti fischiano melodiosi.
Sembra che fluttui per sempre, per sempre
sopra quel fiume così serpeggiante,
in mezzo a montagne, foreste e abissi
un paradiso di luoghi selvaggi
finchè, come confinato nel sonno,
portato all’oceano fluttuo ovunque
nel profondo mare che sparge i suoni:
intanto il tuo spirito eleva le ali
nei sereni domini della musica;
cattura i venti di quel cielo beato.
E apriamole le vele, via, lontano,
senza seguire rotte, senza stelle,
ma guidate da musiche indistinte;
fino alle isole dei giardini elisi
tu, il pilota più bello che scese
da veliero mortale guiderai
il battello del mio desiderio:
nei reami dove si respira amore
che si muove nei venti e sopra le onde,
e armonizza la terra, e il celestiale.
VIII
Sono fuggite le pallide stelle
il sole, loro rapido pastore,
le spinge nelle grotte dell’aurora
affrettandosi, in vesti che eclissano
meteore, oltre la sua dimora azzurra,
come scappano i daini dal leopardo.
Ma voi, dove siete?
Nuvole luminose in cielo fluttuano,
stelle di brina brillano in terra
e le onde s’adunano sull’oceano,
riunite e spinte da uragani d’estasi,
dal panico di gioia,
scosse dall’emozione
gioiosamente danzano.
Ma voi, dove siete?
I rami dei pini stan cantando
230
canzoni antiche con un nuovo slancio
le onde e le fonti fresca musica aprono
come un unico spirito
che fluttua in terra e in acqua;
le tempeste irridono le montagne
con i tuoni di gioia.
Ma voi, dove siete?
IX
Tessiamo danze su un suolo di brezza,
foriamo il cielo muto con il canto,
e incantiamo il giorno che vola in fretta,
per fermare il suo volo prima di essere
nell’antro della notte.
Le ore erano levrieri affamati
alla caccia del cervo sanguinante
del giorno, che zoppica, che inciampa,
ferito, per le vallate notturne
dell’anno solitario.
Ma ora, oh, tessiamo mistiche misure
di musica e danza, forme di luce,
siano uniti Ore, spiriti di forza
e di piacere come nubi e raggi.
X
THE MOON
O sorella mia, calma vagabonda,
felice sfera fatta d’aria e terra,
come raggi hai scoccato qualche Spirito,
che penetra nel mio corpo gelato
e l’attraversa con calor di fiamma,
odor d’amore e fonda melodia
m’attraversano!
Le nevi sulle mie aride montagne
si sono sciolte in fontane di vita,
il mio solido oceano scorre e splende
uno spirito erompe dal mio cuore
e veste con la forza della nascita
inattesa il mio petto nudo. Tu,
Tu su me!
XI
Sopportare dolori ritenuti
infiniti pure dalla speranza;
231
perdonar torti bui come la morte;
sfidar l’Ira che pare onnipotente;
soffrire, amare: sperar fino a quando
la Speranza non crei dal suo naufragio
qualche cosa da poter contemplare;
non cambiare, mancare, né pentirsi.
Questo, come la gloria, Titano, è essere
buoni grandi e gioiosi, splendidi e liberi;
soltanto ciò è la Gioia di vivere.
232
Wallace Stevens
233
One of the inhabitants of the west
Nostre divinazioni,
I meccanismi di un pensiero angelico,
Mezzi di profezia,
Ci allertano di più
All’unica stella della sera
E al suo testo pastorale,
Quando le creazioni
Di vento luce e nube
Attendono una fine,
Un lettore del testo,
lettore senza corpo,
Che legge nel silenzio:
“Le orride figure di Medusa,
Tutti questi accenti esplicano
La discesa di scintille notturne
Sull’Europa, sull’Alpe più lontana
Sull’Atlantico oscuro.
Queste non sono banlieuse
Senza uomini di pietra,
In doppia luce rosea
Completamente loro.
Sono l’arcangelo serale e prego
Il lampo di questa stella sola.
Pensiamola come goccia di sangue…
Ma giace troppa colpa, seppellita
sotto l’innocenza
Dei giorni di autunno”.
234
Lebensweishitspielerei
Sempre più debolmente brilla il sole
pomeridiano. I forti e gli orgogliosi
sono partiti.
Rimangono i mediocri,
Quelli definitivamente umani,
Nati in sfere ridotte.
L’indigenza loro è un’indigenza
Che è indigenza della luce,
Un pallore stellare appeso ai fili.
Così, a poco a poco, la miseria
dello spazio autunnale diverrà
Soltanto sguardo, o qualche stenta frase.
Ciascuno può toccarci
davvero, con ciò che è, così com’è,
Nella vecchia grandezza che si estingue.
Prologue to what is possible
I
C’era una quiete, come stando soli
in una barca al mare,
barca mossa da onde simili a lucide
schiene di rematori,
che stringevano i propri remi, certi
della scia da seguire,
curvi e eretti, sui loro scalmi in legno,
spruzzati d’acqua, brillando in un unico
simultaneo gesto.
Una barca di pietre senza peso
che, non pesando più,
avevano una luce non comune.
Così, colui che stava sulla barca
fissando avanti a sé
non sembrava uno che viaggiasse fuori
l’ambito familiare.
Sembrava appartenere alla straniera
rotta del suo vascello,
e parte della specola di fuoco
sulla prua, suo simbolo,
235
parte dei fianchi vitrei che solcavano
l’acqua, sporchi di sale.
Viaggiava solo, come fisso ad una
sillaba senza senso,
una sillaba in cui però voleva
ad ogni costo entrare, per il senso
che avrebbe infranto barca e rematori,
come un punto d’arrivo al centro, istante
grande o piccolo,
lontano da ogni sponda, donna o uomo,
liberato da tutti.
La metafora mosse la sua paura.
L’oggetto a cui veniva comparato
era fuori ogni sua cognizione.
Così capì che le similitudini
non arrivavano lontano. E oltre,
solo riconoscendone ogni tratto,
questo e quel tratto incluso nelle ipotesi
su cui, uomini mezzo addormentati
speculano d’estate.
Quale se stesso, per esempio, ancora
restava imprigionato
e ringhiava per essere scoperto,
ampliando la veglia,
come se le sue luci ereditarie
sbocciassero in un accesso di colore,
un nuovo, inosservato tremolio,
la più piccola lampada, la più
potente sua scintilla,
a cui lui attribuiva privilegio
e nome superiore all’ordinaria
sua vita quotidiana:
la scintilla che aggiunge al reale e al suo
vocabolario il modo
in cui le novità arrivano agli alberi
del Nord con I vocaboli del Sud.
ome la prima luce solitaria
nel cielo della sera a primavera,
crea un universo nuovo dal nulla,
aggiungendo se stessa.
Come uno sguardo o un contatto svelano
grandezze inaspettate.
236
The world as meditation
É Ulisse che s’approssima da est,
l’eroe senza fine? Mondi gli alberi.
Quell’inverno, lavato via. Qualcuno
si muove all’orizzonte e s’alza su esso.
Un qualche fuoco cerca le cretonnes
di Penelope, ma la sua presenza
mera e selvaggia anima il mondo che abita.
A lungo ha creato un io per accoglierlo,
una compagna per lui, come li immagina,
due amici capaci di proteggersi.
Gli alberi, mondi per il solito fare
la vasta meditazione inumana.
Neanche un cane di vento l’ha vegliata.
Voleva lui, solamente lui.
Le sue braccia sarebbero diventate
la sua collana, la sua cintura,
fortuna ultima di ogni desiderio.
Ma era Ulisse? O era il calore del sole
sul cuscino? Il pensiero le batteva
in petto come il cuore. Solo il giorno.
Era Ulisse e non era. Ma l’incontro
era avvenuto, amici incoraggiati
da un pianeta. La forza sua selvaggia
non avrebbe mai più potuto spegnersi.
Parlava un po’ tra sé pettinandosi
paziente sillabando il nome suo,
non dimenticando mai che era lui
ad avvicinarsi costantemente.
I
Seventy years later
É un’illusione essere stati vivi,
abitato le case delle madri,
organizzato noi nell’aria libera.
Guarda alla libertà di settanta anni fa.
Non è durata l’aria. Case restano,
ma irrigidite in un rigido vuoto.
237
Pure le ombre nostre, le loro, sfuggono.
Le vite che sognarono son chiuse.
Mai avvenute… Suoni di chitarra
non furono non sono. Assurdo Frasi
non furono non sono. È incredibile.
L’incontro al limite del campo sembra
un’invenzione, abbraccio disperato
di zolle in una coscienza fantastica,
bizzarra affermazione dell’umano:
un teorema proposto fra le due –
due figure nella natura del sole,
del suo progetto di felicità,
come se il nulla contenesse un mètier,
un assunto vitale e caducità
nel suo freddo di sempre, un’illusione
tale da coprir la roccia di foglie
e far fiorir lillà, cecità mondata,
sguardo che si rischiara soddisfatto
dalla nascita dello sguardo. Il muschio
e il fiorire eran vivere, incessante,
particolare, del rozzo universo.
238
Note on moonlight
Solo il chiaro di luna – nella notte
di semplici colori, come un poeta
che rimugina le similitudini
del suo vario universo – risplende
sulla mera oggettività del tutto.
Come se esser fosse essere osservati
come se scopo della superficie
fosse semplicemente d’esser vista,
la proprietà della luna e cosa evoca.
Forse darci la presenza essenziale
di un monte, espanso ed elevato quasi
a senso, un oggetto di meno; oppure
rivelare in quella figura in strada
qualcosa in più, forma indeterminata
tra l’amante e il bandito dinoccolato,
un gesto nel buio, paura provata
nelle vaste visuali d’aria notturna,
come dalle pergole di Saturno.
Così questa calda ampia quiete è piena
di forza e di una sua vita intrinseca,
a dispetto dell’oggettività
mera delle cose, come le nuvole
nello specchio, un cambiare di colore
nella mente del poeta, notte e silenzio
turbati da una musica interiore,
solo il chiaro di luna, l’universo,
soltanto da guardare: scopo assurdo,
oh, certo, ma uno scopo sempre nuovo…
239
The planet on the table
Ariel si rallegrava dei suoi scritti.
Restavano, d’un tempo memorabile
o per testimoniare cose belle.
Altre opere del sole
diventavano spreco,
scompiglio. E intristivano gli arbusti.
Ma uno diventano il suo io e il sole
e la sua opera, le sue poesie,
anche loro opera del sole.
Non che dovessero sopravvivere.
Ciò che importava era che mostrassero
qualche lineamento, qualche carattere,
qualche abbondanza a metà percepibile,
nella miseria delle loro frasi,
del pianeta di cui erano parte.
As at a theatre
Un altro sole per un altro mondo,
verde, forse, nel verde, e blu nel blu,
come nauseato dal vino novello,
o un occhio troppo giovane per combattere
il primitivo. Come l’artificio
di una nuova realtà, o il calendario
cromatico del tempo a venire.
Potrebbe essere la candela d’altro,
ancora avviluppato in percezioni
confuse, e medita una propria immagine,
cerea, brulicante di afrori ignoti,
immagine prismatica che brulica,
come una bolla di sapone priva
della superficie su cui appoggiarsi.
Oltre il sipario scostato un altrove,
un oltremondo azzurro rosa e arancio,
a gomito a gomito con Copernico,
un universo senza questo zoppo
languire, meta di tutti i filosofi…
Che differenza fa la sua distanza,
se una volta la mente è esaudita?
240
The sail of Ulysses
I
All’ombra della sua vela, Ulisse,
simbolo di chi cerca, traversando
di notte il mare immenso, meditava.
E disse: “Se so, sono, e ho diritto
d’esistere”. Guidando la sua barca
sotto le stelle medie, disse ancora:
“Se scienza e noto è una cosa sola
e dunque se conscer qualcuno è esserlo,
conoscere un luogo, è esser quel luogo,
e tutto sembra ricondurci a ciò;
e se conoscer uno è conoscer tutti,
e se il senso di uno di un posto singolo
è ciò che conosce dell’universo,
dunque conoscere è l’unica vita,
l’unico sole dell’unico giorno,
l’unico accesso alla tranquillità,
profondo conforto di vita e fato.
II
Esiste anche un’umana solitudine
che è parte dello spazio e isolamento,
dove la conoscenza non si nega,
dove la conoscenza è infallibile,
il compagno illuminato, la mano,
il braccio che fortifica, il profondo
responso, voce di risposta piena,
ciò che è più di qualsiasi altra cosa
il diritto in noi e che riguarda noi,
congiunto, trionfo di vigore, prova
direzione interiore che ci guida,
che trattiene quel poco che noi siamo,
aiuto e forza di grandezza prossima.
241
III
Questo è il vero artefice, segnala
arrossando l’aria, è un pensatore
che ha d’oro sia i pensieri che la mente,
pensieri che tintinnano radiosi,
la gioia di strappare al caos la forma
del significato. La quieta lampada
di quest’artefice è una lampada
che allarga, come un raggio della notte,
lo spazio dov’è posta, è il bagliore
delle tenebre, che ricrea dal nulla
le nere costruzioni, le ombre pubbliche
le cupe murature e può stupire
il dito che scansa via tutto questo,
enorme in tutto, fuorchè la misura.
V
Un più lungo, più ampio alito alza
l’eloquenza del diritto: conoscere
e essere son tutt’uno; e il diritto
di conoscere e essere sono unici.
Alla nascita veniamo al conoscere,
ma c’è sempre anche un’altra esistenza,
sta oltre questo presente conoscere,
una vita più lieve del presente
splendore, più lucente, piena e lontana,
troppo lontana ma conoscibile,
non una cognizione di ragione
ma qualcosa ricevuto di illogico,
divinazione, o scendere
di grandezza, timori, che trovati
luminosi riportano alla luce.
Non ci son mappe per il paradiso.
Il grande Omnium discende su di noi
come una razza libera.
242
Presence of an external master of knowledge
Sotto la propria vela lesse Ulisse,
simbolo di chi cerca la propria mente.
Attraversava il mare aperto, di notte.
Disse: “In quanto conosco, sono. E ho
il diritto di esistere”. Guidò
la sua barca sotto le stelle medie:
“Qui sento la solitudine umana
e ciò che, nello spazio solitario,
è conoscenza: mondo e sorte,
il mio diritto e di chi mi circonda,
riuniti in un trionfo del vigore,
come una direzione da cui dipendere…
Su un respiro più lungo e ampio sta
l’eloquenza del diritto: conoscere
ed essere, il diritto di conoscere
e il diritto di essere son tutt’uno.
Il grande Omnium discende su di me,
dall’eloquenza, come un assoluto”
Sembrava, l’affilata vela di Ulisse,
negli intervalli di quel soliloquio,
vivere del battito di un enigma,
e prender corpo, ed essere presente,
mentre andava diritto, sempre avanti,
tra aggregazioni di stelle sospese.
243
Vocal object
Sapeva di essere uno spirito senza foyer
e che per lui gli oggetti locali erano
migliori dei migliori oggetti domestici:
oggetti locali di un mondo senza foyer,
senza un passato ricordato, un presente passato,
o un futuro presente, sperato al presente.
Oggetti non presenti per proprio corso
nel lato buio o chiaro dei cieli,
in quella sfera così povera di oggetti suoi.
Per lui poco esisteva: rare cose
per cui trovava sempre un nome nuovo
come se inventandole non perissero,
le rare cose, oggetti dell’intuito, integrazioni
del sentimento, cose che venivano dal sole
desiderando, senza sapere bene cosa,
i momenti del classico e del bello.
Questa era la serenità cercata
come un foyer assoluto oltre il romanzo.
The region november
È duro udir di nuovo il vento del nord
guardando cime d’alberi ondeggiare.
ondeggiar forte e greve, in uno sforzo
lontano da parole e sentimenti,
ma che ripete, come quelle cose
che sanno esprimere senza sapere:
una rivelazione inintenzionale.
È come un critico di Dio, mondo
e natura umana, che sta pensoso
sul suo trono di desolazione.
Più e più forte, più e più grevi
gli alberi ondeggiano, ondeggiano, ondeggiano.
244
Abecedarium of finesoldiers
I
Mi sento come costretto dagli altri
II
Uno è lo scopo, ma non è il mio
III
Impalare me stesso alla realtà
IV
L’invisibil fato si fa visibile
V
Grida al comandante perché io obbedisca
VI
Nel tumulto dei cembali star immobili
VII
La totale sfortuna d’ogni numero
VIII
La narrativa cessa…Addio alla narrazione
IX
Grande come un dardo e vecchio e futile
X
Ma come uomo valeva qualche cosa?
XI
245
L’uomo dalla chitarra azzurra
Non parlarci di nobiltà poetica,
né di torce danzanti sotto terra,
né di volte sopra un ponte di luce.
Non ha ombre il nostro sole,
è desiderio il giorno e sonno la notte.
Ovunque nessun’ombra.
Per noi la terra è liscia e spoglia.
E senza ombre. La poesia
Supera la musica per prendere il posto
Del vuoto cielo e dei suoi inni,
da soli in poesia si deve prender posto
e nelle ciarle della tua chitarra.
Lenta edera sul muro si fa muro
E le donne diventano città,
il bimbo diventa erba,
e gli uomini tra le onde si fanno mare.
Sì, la corda falsifica.
Il mare torna sopra gli uomini,
i campi intrappolano i bimbi, il muro
s’infradicia e le mosche prese languono
senz’ali, ancora vive. Semplicemente
aumenta la discordia.
Nel profondo, scuro ventre del tempo,
il tempo rigermoglia sulla roccia.
246
L’uomo dalla chitarra azzurra (XXIV)
Poesia simile a un messale affondato
nella melma, un messale per quel giovane,
quello scolaro che vuole quel libro,
soltanto quello, o almeno una pagina,
o, alla fine, una frase, quella frase,
falco di vita, frase latineggiante:
conoscere; un messale di meditazioni.
Sussultare di fronte all’occhio del falco
Ma non per l’occhio, per la sua gioia.
Suono. Ma è questo che io medito.
The snowman
Occorre avere un’anima invernale
Per fissare il gelo e i rami di pino
Incrostati di neve;
e avere avuto freddo molto a lungo
per osservare il ghiaccio sui ginepri,
i rudi abeti nel brillio remoto
del sole di gennaio; e non pensare
alla miseria quando il vento vibra
fra le foglie rimaste,
suono di una regione
dove lo stesso vento
ansima sullo stesso luogo nudo
per chi resta all’ascolto nella neve,
per chi nulla contempla più in sé,
ma il nulla, che non è là, nulla che è.
247
The ash plant
Non s’alzerà mai più, però è pronto.
Invaso dalla luce come uno specchio,
guarda curioso dalla grande finestra,
senza curarsise c’è sole o nuvolo.
Un alto sguardo sull’intera regione.
Primi carri del latte, primo fumo, alberi,
opulenza umida, sopra umide siepitutto per sé, è come una sentinella
dimenticata, che ha dimenticato
i come e perché del suo alto stato,
svegliandosi alleviato ma già pronto,
liberato come un’onda che frange.
4 1973
Venne marzo, un rumore di lamiere
aumentò come un tuono. Poi tornò caldo
e tornarono fuori i bulbi e gli invalidi;
io restai ibernato, all’abbaino
fissavo il colle tra i rami tremanti,
dissociato, come un fattore malato,
cloroformizzato contro la stagione
dalla puzza di mozziconi e di cenere.
poi venne la quaresima, come un leonedisciplina del selvaggio vigoredentro il corpo sentii un desiderio
saldo, che io schernii con scie
di nicotina, accendendone troppe,
per sentirmi un temerario eccitato
nel profondo disordine del mio studio.
Parte di Wheels within wheels
La prima vera presa sulle cose
Fu quando imparai a pedalare
(con la mano) una bicicletta rovesciata,
mandando la sua ruota posteriore
a velocità preternaturale.
Amavo la scomparsa dei suoi raggi,
il modo in cui lo spazio tra cerchione
e mozzo mormorava trasparenza.
248
Lightening
Mutabili brillii. E luce invernale
in un arco; sulla soglia di pietra
il profilo di un povero che trema.
Se ne potrebbe anche trarre un giudizio:
pareti nude e un focolare umido –
vita di nubi che erra priva d’anima.
E dopo il viaggio comandato, cosa?
Nulla d’ignoto, nulla di magnifico.
Un solitario sguardo da lontano.
E non c’è nulla di particolare,
come si dice: non c’è volta prossima.
Intenzione scoperta. Una rinfrescata
Lightnings XII
E il lampo? Uno dei significati
Oltre l’usuale senso di sollievo,
illuminazione, e ancora, è questo:
brillare puro d’istante unico nell’anima,
fronteggiando la morte con gioia – il buon
ladrone in noi che ascolta la promessa!
Dunque dipingilo alla Sua destra,
su un promontorio che misura il vuoto,
martoriato a tal punto, che non comprendi
la gioia agognata nel cerchio lunare
della fronte, i crateri dei chiodi
sulla parte buia del suo cervello:
oggi sarai con me in Paradiso.
249
Infanta Marina
È, la sua, una terrazza
Di sabbia con le palme e il crepuscolo.
Lei trasformava i moti del suo polso
Nei magnifici gesti
Del pensiero.
Il muoversi di piume
Di questa creatura serale
Diveniva destrezza di vele
Sul mare.
E così lei vagava
Nel vagare del suo ventaglio,
partecipe del mare
e della sera
che si spargevano attorno a lei
disperdendo suoni sempre più flebili.
250
Mark Strand
251
The untelling - La denarrazione
Chinandosi sul foglio
a lungo non potè vedere nulla.
Poi lentamente il lago fu aperto
come un bianco occhio
e lui tornò bambino
a giocar coi cugini,
e c'era un prato inglese
e un filare di piante
che andava fino all'acqua.
Era un caldo pomeriggio di agosto
e c'era una festa
che doveva iniziare.
Allora, chinandosi su quel foglio
egli scrisse:
Con i miei cugini, di là dal lago
guardavamo gli adulti passeggiare
sulla riva distante, sotto gli olmi.
Era caldo, sereno. Io e i cugini
rimanemmo ore tra i rami a guardare
i nostri genitori, che sembravano
immutabili, nonostante l'uomo
che correva sul prato
e urlava e agitava un foglio di carta.
E loro si muovevano al di là
delle pretese del clima, al di là
di qualsiasi notizia ci fosse
e non vedevano il buio addensarsi
tra le piante e i cespugli, risalire
tra le pieghe dei loro abiti e sul bianco severo
delle loro camicie. Onde di risate erano portate
dall'acqua fino a noi bambini che continuavamo a guardarli.
Non era una scena nostra. Eravamo
troppo lontani, e presto saremmo partiti.
Si appoggiò allo schienale.
Come poteva sapere
che non era sua la scena?
L'estate era con lui,
le voci erano tornate, vedeva i volti.
Il giorno era cominciato prima della festa;
era piovuto al mattino
e all'improvviso schiarì.
Gli orli degli abiti erano bagnati.
Le scarpe dei maschi brillavano.
C'era una nuvola a forma di mano
252
che continuava a scendere.
Non c'era modo di sapere
perché c'erano istanti del pomeriggio
in cui il prato sembrava vuoto, o perché già allora
le voci dei grandi vi indugiassero.
Prese quanto aveva scritto
e lo mise da parte.
Si sedette e ricominciò:
Scendemmo tutti al lago, superando il prato inglese,
camminando senza parlare, lontani
dalla casa, lungo l'ombra degli olmi.
Il sole filtrò, sollevando l'umidità, lasciando
risplendere il lago come un piatto pulito, circondato
di bruma. Ci sedemmo, guardammo l'acqua, poi
ci sdraiammo e ci addormentammo. L'aria diventò più fresca,
il vento scuoteva gli alberi. Restammo sdraiati così a lungo
da immaginare una mano togliere foglie cadute dai nostri volti.
Ma non era autunno, e alcuni di noi, i più giovani,
si alzarono per andare dall'altra parte del lago
e fissare gli uomini e le donne addormentati, gli uomini
con le bianche, severe camicie, le donne con gli abiti pallidi.
Restammo a guardare tutto il pomeriggio. E un uomo corse giù
dalla casa, urlando, e agitava un foglio di carta.
E i dormienti si rialzarono come non fosse successo nulla,
come se la notte non avesse iniziato a muoversi
tra gli alberi. Sentimmo le loro risate, poi
i loro sospiri. Si sdraiarono di nuovo e venne il buio
sul prato a coprirli. Per quel che ne sappiamo
sono ancora là, con le braccia incrociate sul petto,
con i severi abiti gualciti. Noi mai ci tornammo.
Rilesse quanto aveva scritto.
Dov'era arrivato?
E perché si fece buio proprio allora?
E non era solo mentre guardava gli altri
stesi sul prato?
Fissò fuori dalla finestra,
sperando che la gente al lago,
il lago stesso, svanissero.
Voleva andare oltre il suo passato.
Pensò che l'uomo
che correva sul prato gli fosse familiare.
Rilesse quanto aveva scritto
e si chiese come avesse attraversato il lago,
e se i cugini fossero con lui.
Qualcuno aveva chiamato?
Qualcuno aveva fatto un cenno di saluto?
253
Quello che aveva scritto non gli diceva più nulla.
Lo buttò per ricominciare da capo:
Aspettai sotto gli alberi di fronte alla casa,
non pensando, guardando la luce del sole lambire
il tetto. Non udivo, non provavo
nulla, neanche quando lei apparve in un lungo
abito giallo, con bianche scarpe a punta, i suoi capelli
tesi in uno chignon; neanche quando
mi prese per mano e mi condusse lungo il filare
di piante alte verso il lago dov'erano riuniti gli altri,
gli uomini nelle loro camicie inamidate, le donne
nei loro abiti estivi, i bambini che guardavano l'acqua.
Anche allora, la mia vita sembrava lontana
come se aspettasse che io la scoprissi.
Tenendomi per mano lei mi condusse verso l'acqua.
L'orlo della sua gonna si era bagnato. Non disse nulla
quando mi lasciò con i miei cugini e si unì
agli altri. Sapevo che parlavano
di ciò che sarebbe successo, che alcuni di noi,
i più piccoli, se ne sarebbero andati quel pomeriggio
e non sarebbero più tornati. Mentre attraversavo il bosco
verso la riva opposta del lago, le loro voci sbiadivano
nel rumore dei miei passi su rami e foglie.
Sebbene mi allontanassi, mi sentivo immobile.
Mi sedetti a guardare la scena al di là del lago,
Guardavo e non facevo nulla. Brevi onde di risa
si smorzavano sull'acqua.
Non ne ero commosso. Anche quando l'uomo
corse attraverso il prato, urlando, non mi mossi.
Sembrava che il vento trascinasse il buio
dagli alberi all'erba. Gli adulti restarono
assieme. Non si sarebbero mai allontanati da quella riva.
Io guardavo la donna con l'abito giallo il cui nome
avevo cominciato a dimenticare, aspettava con
gli altri e fissava nella mia direzione
senza potermi vedere. Già la luna piena
era sorta e si lasciava cadere in ceneri bianche sul lago.
E la donna e gli altri lentamente cominciarono
a spogliarsi, e le miti folate del vento
sciacquavano loro la pelle, i corpi risplendettero pallidi
brevemente tra le ombre, prima di sdraiarsi
sull'erba umida. E i bambini se n'erano andati tutti.
E questo fu tutto. E anche allora non provai
nulla. Sapevo che non avrei mai più rivisto
la donna con l'abito giallo,
e che la scena presso il lago non si sarebbe ripetuta,
e che quell'estate sarebbe diventata un luogo troppo remoto
per ritrovarmici di nuovo.
254
Per quanto ci abbia provato, mi sono sempre
ritrovato qui, dove sono ora. Il lago
c'è ancora, e il prato, anche se le persone
che dormirono quel pomeriggio lì non si sono più viste.
Lo infastidiva,
come se troppo fosse stato detto.
Avrebbe preferito
il lago senza una storia,
oppure nessuna storia e nessun lago.
Il suo impegno divenne una forma di evasione:
più tentava di svelare
più c'era da nascondere
e meno comprendeva.
Se avesse continuato così,
avrebbe perso tutto.
Lo sapeva
così ricordava ciò che poteva sempre distante,
dall'altra parte del lago,
o oltre il prato,
sempre svanendo, sempre lì.
E la donna con gli altri l'avrebbero salvato
e lui avrebbe salvato loro.
Mise la mano sul foglio.
Avrebbe scritto una lettera all'uomo
che correva sul prato.
Avrebbe detto ciò che sapeva.
Appoggiò la testa sulle braccia e tentò di dormire.
Sapeva che la notte era scesa una volta,
che una volta era accaduto qualcosa.
Voleva sapere ma senza sapere.
Forse era successo qualcosa,
un pomeriggio di agosto.
Forse lui era là o in attesa di esserci,
aspettando di correre sul prato
verso un lago dove della gente guardava
al di là dell'acqua.
Lui sarebbe arrivato di corsa
ma sarebbe stato troppo tardi.
Le persone sarebbero stae già addormentate.
I loro figli sarebbero stati lì a guardarli.
Egli avrebbe portato quanto aveva scritto
e poi si sarebbe sdraiato con gli altri.
Lui sarebbe stato l'uomo
che era diventato, l'uomo
che avrebbe attraversato di corsa il prato.
Ricominciò:
255
Sedevo nella casa affacciata al lago,
al prato, ai boschi lungo il prato. Sentivo
i bambini sulla riva, le loro voci si alzavano
fin dove nessuna memoria del luogo poteva raggiungerle.
Io guardavo le donne, gli uomini in abiti bianchi passeggiare
al caldo di agosto. Io chiusi la finestra
e dal vetro silente li vidi passare
ogni volta più distanti. Gli alberi cominciarono
a scurirsi e i bambini se ne andarono. Vidi
l'acqua lontana ingrigirsi nell'ombra
dell'erba e del sottobosco al di là dal lago.
Pensai di vedere i bambini seduti a guardare
i loro genitori in lento corteo lungo
la riva. Le forme tra le piante mutavano.
Forse ho visto un solo bambino, il suo volto.
O potrebbe essere stato il mio volto che mi guardava.
Sentii me stesso scendere nel futuro.
Vidi oltre il prato, oltre il lago,
oltre il buio che attendeva la fine dell'estate,
la fine dell'autunno, l'aria ghiacciata, il silenzio,
e poi, di nuovo, il vetro. Ero
dove ero, dove sarei stato, dove sono.
Guardavo uomini e donne mentre l'occhio
bianco del lago cominciava a chiudersi per sprofondare
nel blu, poi nel nero. Era troppo tardi
per richiamare i bambini. Restavano sull'erba
e il vento soffiando staccava le prime foglie.
Volevo dirgli qualcosa. Vedevo me stesso
correre, agitando un foglio, urlando,
dicendogli che dovevo consegnar loro qualcosa,
ma quando fui lì, loro non c'erano più.
Alzò lo sguardo dal foglio
e si vide nella finestra.
Era una sera d'agosto
e lui era stanco,
e gli alberi ondeggiavano,
e il vento sbatteva la finestra.
Era tardi.
Non era importante.
Non si sarebbe mai messo in pari
con il suo passato. La sua vita
stava rallentando.
Se ne stava andando.
Lo percepiva,
lo sentiva nelle proprie parole.
256
Sembrava una cosa da nulla
eppure l'avrebbe tramandata.
E i suoi figli sarebbero vissuti in essa
e l'avrebbero tramandata anche loro,
e sarebbe sempre parso
come se la speranza morisse, lo spazio si schiudesse,
come un prato, o un lago,
o un pomeriggio.
E il dolore non gli avrebbe potuto dare
il significato che le mancava;
non c'era dolore,
solo la scomparsa.
Per prima cosa, perché aveva cominciato?
Era stanco,
e si abbandonò al sonno
e dormì lì,
e dormì senza sognare,
così, quando si svegliò
fu come non fosse successo nulla.
Il lago si aprì come un occhio bianco,
gli olmi sorsero sul prato inglese,
e il sole sopra gli olmi.
Era come lo ricordava la foschia, il buio, il caldo,
il bosco di là dal lago.
Sedette a lungo
e vide che loro erano arrivati
ed erano sul prato.
Lo stavano aspettando,
guardando verso la finestra.
Il vento li spettinava
ma loro restavano immobili.
Lui aveva paura di seguirli.
Sapeva già cosa stava per accadere.
Sapeva che i bambini se ne sarebbero andati
e che lui si sarebbe sdraiato con i loro genitori.
E aveva paura.
Quando si voltarono
e s'incamminarono verso il lago
all'ombra degli olmi
i bambini vagarono senza meta.
Lui li vide, lontani,
al di là del lago e si chiese se uno
sarebbe tornato un giorno
per essere dove era lui ora.
Vide gli adulti sul prato,
che cominciavano a sdraiarsi.
257
E voleva avvertirli,
dire loro ciò che sapeva.
Corse dalla casa giù fino al lago,
sapendo che sarebbe arrivato troppo tardi,
che sarebbe stato abbandonato.
Quando arrivò laggiù
se n'erano andati,
e lui fu solo al buio,
senza parole.
Restò lì.
Sentì il mondo risucchiato
dalle nuvole,
in scaffali d'aria.
Chiuse gli occhi.
Pensò al lago,
alle madie di alghe.
Pensò alla falena assopita
nella polvere delle sue ali,
al pipistrello appeso nelle cavità degli alberi.
In quel momento sentì di essere
più del suo istinto di sopravvivenza,
più dei suoi lutti,
perché era diventato meno di qualsiasi cosa.
Oscillò.
Il silenzio era in lui
e sorgeva come gioia,
come l'inizio.
Quando aprì gli occhi,
il silenzio era dilagato, i fogli
di buio sembravano infiniti,
i fogli che aveva in mano.
Si volse per tornare in casa.
Entrò nella stanza
che si affacciava sul prato.
Si sedette e cominciò a scrivere:
LA DENARRAZIONE
Alla Donna con il Vestito Giallo
258
Dylan Thomas
259
Especially when the october wind
Specialmente quando il vento d’ottobre
batte i capelli con dita gelate
preso dal sole cammino sul fuoco
e getto sulla terra un granchio d’ombra,
in riva al mare, udendo la gazzarra
degli uccelli, la tosse del corvo
il cuore indaffarato trema se parla
sparge sangue in sillabe e drena frasi.
Rinchiuso in una torre di parole
traccio orizzonti d’alberi in cammino,
verbali forme femminili e file
di bimbi al parco dai gesti di stella.
Ve ne farò con vocali di faggi,
voci di quercia, note di radici
che giungono da regioni di spine
ne farò pure con parole d’acqua.
Dietro un vaso la pendola che oscilla
mi parla la lingua dell’ora, il nervo
vola sul disco d’asta, chiama l’alba
e annuncia il gallo banderuola.
260
Derek Walcott
261
Winding up
Vivo sull’acqua,
solo. Senza moglie e figli.
Ho circoscritto ogni possibilità
per arrivare a questo:
una casa bassa sull’acqua grigia,
con le finestre sempre aperte sul mare
solito. Talvolta noi non scegliamo,
ma siamo sempre ciò che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano,
perdiamo cose, ma non il bisogno
di nuovi pesi. L’amore è una pietra
che si è posata in fondo,
sotto acqua grigia. Non chiedo più nulla
alla poesia, solo puro sentire:
non pietà, fama o cure. Muta sposa,
possiamo sedere guardando acqua grigia,
e in questa vita su cui galleggiano
solo mediocrità e spazzatura,
vivremo come rocce.
Imparerò a rimanere sordo,
dimenticando il mio dono. È più grande
e duro di ciò che chiamiamo vita.
262
Endings
Le cose non esplodono,
lentamente sbiadiscono.
Come il sole sbiadisce dalla pelle,
come la schiuma asciugata alla riva,
così il lampo di luce amorosa
non termina nel tuono,
perisce con un suono
di fiori sbiaditi, come la pelle
sotto la pietra pomice che suda.
E tutto si riduce a questo modo,
finchè si resta soli nel silenzio
che circonda la testa di Beethoven.
Air
Le inaudite, onnivore
fauci di questa foresta pluviale
non soltanto divorano ogni cosa,
ma non lasciano nulla di inutile;
inarrestabili, maciullano ogni
dolore, rifiutandoci.
Molto prima di noi
quelle mascelle calde come un forno
fumante erano pronte
al genocidio; divorarono
due razze gialle minori, e metà
di una nera; Parola
fatta carne di Dio,
tutti entrarono indiscriminatamente
in quell’enorme stomaco;
la foresta rimane senza fede,
perché quel suono di conchiglia
che rimbomba come il silenzio,
o come i cori in rotte dell’oceano
quando oltrepassano la sua navata
dove fumiga un incensiere di nebbie,
non è il mormorio della preghiera,
ma del troppo vasto nulla che è qui.
263
Charles Wright
264
Laguna blues
È sabato pomeriggio al confine del mondo.
S'alzano al vento pagine bianche e cadono.
Fili di polvere staccati dal cuore, fluttuano e cadono.
Resta nella mia mente qualcosa di stonato,
non so che sia, ma mi disturba sempre.
È caldo e il vento soffia sulle cose da dire.
Ballo un piccolo ballo.
I corvi raccolgono una brezza virata dal mare.
Canto una canzoncina.
Non so che sia, ma mi disturba sempre.
Sabato pomeriggio, i corvi planano,
pagine nere che s'alzano e cadono.
Il ricino e la pianta del pepe piegano le loro teste stanche.
Qualcosa di stonato, di crudele.
Non so che sia, ma mi disturba sempre.
Laguna dantesca
Voglio isolarmi, come una barchetta piccola,
e scivolar su un elemento
all'orizonte, le cui labbra sanno qualcosa, ma tacciono
sotto il cielo della luna.
C'è qualcosa che voglio guardare bene in faccia.
Come una roccia, qualcosa di pesante, per scendere
nell'acqua limpida
per sempre,
svanire come fece lei,
dissolta, linea dopo linea, negli abissi lunari.
Voglio, come queste campanule viola di iacaranda,
brillare con le stelle fisse,
sfinito e soddisfatto.
Gracidano rane nel buio. Il piccolo ottone del mondo
naturale gracida e quel che voglio io
non è nulla per loro.
Sopra di me il gran cane accucciato nel cielo
basso del sud attende il suo momento.
Voglio tornare, come un pezzetto di carta bruciata.
C'è qualcosa che voglio guardar bene in faccia,
sale e scende come una fiamma.
Voglio sedermi là, il cane addormentato ai miei piedi.
265
Hawaii dantesca
Dal fianco della collina spunta il bianco dei fiori,
vuote lettere d'amore dai morti.
È autunno, e a nessuno sembra interessare.
O le rotte ombre di chi manca da secoli
che si muovono sulla canna da zucchero
come cicogne, e nessuno nota o ricuce.
È questo il filo della storia.
E i verdeggianti abiti di luce che indossano gli alberi.
E i cerchi-sutra di garzetta roteanti dopo scrosci
di pioggia.
E gli acuti marimba dell'alba che rotolano i loro amuleti…
Verrà presto il tempo del lungo cammino sotterraneo
verso il mare.
E il tempo di rimettersi il costume giallo
e le scarpette, come nelle foto del '38 a Knoxville.
L'ora di raccogliere il fuoco nella sua ciotola di quarzo.
Spero verrà quello con le ali bianche.
Spero che l'isola di giunchi sia lontana come credo.
Quando sarò là, spero mi perdoneranno se il mio nodo
è il nodo sbagliato.
Night journal
Penso a Issa, uomo di poche parole:
Il mondo di rugiada
è il mondo di rugiada.
Eppure…
Eppure…
- Tre parole contengono
tutte le certezze della vita prossima
o dell'ultima: chiudi gli occhi.
Tutto il resto son chiacchiere,
falsi specchi, finestre cieche
abbaglianti come vetro istoriato
nel sole irriducibile
- Scrivo, l'inchiostro è visibile
parole nere che scompaiono alla luce Scrivo
266
non per ricordare, ma per dimenticare
parole come pezzi di pellicole
esposti al sole.
Non vedo altro che il fondo.
Tutti vogliono raccontare la loro storia.
I cinesi dicono che questo è il mondo delle diecimila cose,
Ognuna delle diecimila cose
ci urla
precisamente nulla,
melodia di un silenzio che cominciamo a capire,
parole contrassegno,
tramonti embolici che si seccano dietro la lingua.
Se fossimo così eloquenti,
potessimo sparger la lieta novella
come fa quella passiflora,
le sue candele votive
fosforescenti e articolate nell'alone verde
di primavera, sicuramente qualcosa sentiremmo.
Anche soltanto una scheggia di bellezza
è bellezza che la mente fatica a capire,
parole color del vento
che si muovono sui campi, laggiù,
confuse sbalzate dal vento
astratte come luccichii d'acqua
campi color leone, color della corda
come in un dipinto del Paradiso,
i corpi che languono sopra il cielo
trascinando le buie identità,
vanno alla deriva e colano nel nulla
dietro di loro
in movimento là sui campi
come si muovono lente le parole, strascicando
le loro buie identità.
Le nostre parole, come baci sfiniti,
sono inghiottite da fantasmi lungo il cammino,
le loro mete smarrite
in un tocco di splendore infinito:
quant'è distante sempre ogni cosa,
e tuttavia quanto vicina,
musica che comincia a salire come fumo sotto gli alberi.
Gli uccelli cantano un baccano atonale
non sincopato
da un albero all'altro,
canti di rugiada
le cui canzoni non hanno parole
267
da un albero all'altro
quando la notte indossa le sue lenti scure,
una su questa fronda, altre due là dietro.
- Le parole, come tutte le cose, còlte nella loro finitudine.
Qui iniziano, qui finiscono
non importa quanto in alto vadano il mio castigo è che lo so
e non amo mai abbastanza
da rimanerne marchiato
e calarmi di colpo nella beatitudine.
May journal
Le note provinciali sempre iniziano
con la meteorologia qui non cambia, il sole
spazza il meriggio di pieno maggio con la sua scopa dorata
i tulipani lampeggiano
come insegne ai nostri occhi indagatori,
tutto il pavimento dell'essere
pulito e sgombro,
il cristallo una similitudine dove quasi risplende il paesaggio
immagine nell'immagine, motto come mondo
o meglio come nota musicale,
una suscettibilità nelle ossa.
Poi cominciano a parlare
di morte dell'anima
(Ma senza tante parole) o della morte del cuore
con i termini della nuova stagione un iris, diciamo, col suo orecchio blu
che sorveglia il battito cardiaco del futuro.
La nota odierna, da Charlottesville, non è
proprio così, nonostante l'abbondanza d'iris
ed il rigoglio metaforico di cipolla e rododendro.
Questo messaggio non ha messaggio,
staccato dal suo significato,
il paesaggio attento nel suo primo fuoco e splendore.
Il mondo visibile non è più di un trompe l'oeil
di chi desidera un momento di fuga
dalla legge del Paradiso
in cui ci ritroviamo.
Lessi che il Paradiso non è una meta
(O qualcosa così), e mi sembra vero:
ciò che perdemmo non è stato ritrovato,
non c'è rifugio nella trascendenza,
268
scrisse qualcuno altrove,
certo, anche se qui nell'orticello non sembra,
tra i fiori di pesco che cominciano a tinger
le ali di rosa,
qui, dove cadute non si prevedono.
Che cosa ci riporta il mito
dal mondo dei morti?
Cosa comincia come una verosimiglianza
e finisce in estasi,
prendendoci per mano, portandoci
dal silenzio all'afasia?
Cosa ci scardina dalla roccia con tanto dolore,
come se le sirene avesser qualcosa da dirci
dalle loro spiagge di trifoglio,
le parole di quella loro canzone
traducibili, nota dopo nota?
Come se l'inesprimibile fosse reso inesprimibile…
A journal of souther rivers
Ciò che rimane è ciò con cui inizi.
Che c'entri, o anima mia, col Paradiso, ad esempio,
è dove iniziai io, nel marzo 1959 la mia domanda non è mai cambiata,
l'angelo nero ha sempre dormito sulle mie labbra,
sempre
il lamento della colomba nella mimosa
i volti blu dei trasfigurati due volte
che chiudono i loro occhi di pietra.
Amore per il mondo fisico,
una gloria liquida,
invece di un'eternità misurata
dipinta e paralizzata
da una fine all'altra,
l'angelo nero ha sempre dormito sulle mie labbra,
sempre
il lamento della colomba nella mimosa,
i volti blu dei trasfigurati due volte
che chiudono i loro occhi di pietra.
Viaggiamo con un piede in ciascun mondo,
l'esserci è in ogni cosa
come un sasso nelle scarpe, la via, e viaggiando
Cielo coperto, vento del sud,
il Montana al principio di luglio,
269
fuoco nella stufa,
cardo, millefoglie e trifoglio rosso
che risplendono sul vecchio sentiero.
Due beccacce sfilano veloci sul prato.
Uno richiama dall'acquitrino.
Freddo giovedì piovoso.
Se esistere è Essere, come dice Martin Heidegger,
non c'è altra domanda,
né altra risposta,
importante.
Attoniti, sgomenti, riguadagnamoci in questo mondo.
Non ce ne sono altri.
La luna intera e il cielo intero sono riflessi
in una goccia di rugiada nell'erba.
La profondità della goccia è l'altezza della luna
Tutto svanisce oltre l'io,
curvato o a picco.
La secca erba estiva è fragile come capelli.
Ammiriamo gli insetti che capiscono
le vie celesti,
la selva illuminata
che ci abbaglia di tanto in tanto,
la vicinanza del nulla,
il solo spirito che giace alle radici di ogni cosa.
Ogni agosto diventa simile all'altro,
così tanti anni posati nudi
sotto un cielo d'acqua.
I suoni dell'estate sono ovunque:
a cinquantadue anni, com'è difficile ancora
affrontare tutto e non tirarsi indietro.
Quante vite occorrono, quante occasioni
prima che quella giusta sia recitata fino in fondo?
Come fidarci delle parole certe e vere,
scritte con inchiostro blu?
L'ambra ricorda il pino?
Il tuono di settembre prepara
la barricata prima dell'attacco
dall'altra parte del Blue Ridge.
Le nuvole abbuiano strato a strato,
il muso flash del lampo
le brucia da sotto.
270
Il paesaggio si schiude
a poco a poco alle scintille,
alle leni sfere di pioggia.
Quanto facilmente una cosa viene e un'altra va
quanto presto diventiamo gli accoliti
del nulla. E l'altare del nulla
ci redime e ci rende compiuti
ora per la prima volta,
e ciò che siamo è ciò che non siamo,
estatici e sconosciuti.
Resiste soltanto ciò che iniziammo.
Di chi sono le ombre che danzano capovolte
nei fiumi del sud?
Cinquantadue anni sono passati
come il volgere di un palmo…
Ars poetica
Mi piace qui dietro
sotto il verde svariare dell'albero del pepe e dell'aloe.
Mi piace perché il vento sfronda le foglie
senza una parola.
Mi piace perché il vento si ripete
e anche le foglie.
Mi piace perché mi sento meglio qui che là,
circondato da feticci e figure retoriche:
dente di cane, dente di balena, scarpe paterne,
il morto peso
dell'inverno, l'indefinibile della gioia…
gli spiriti sono ovunque.
Ma quando li avrò richiamati dal cielo e volteggeranno
e balleranno nel palmo della mia mano,
cosa troverà soddisfazione?
Avrò di nuovo
le voci che s'alzano da terra,
la stella caduta che nutre il mio sangue,
questo traffico che mi logora il cuore.
E niente che la fermi.
271
Ars poetica II
Dopo tutti questi anni mi scopro credente credo a ciò che tuono e luce hanno da dire;
credo che i sogni siano veri,
e che le rappresaglie della morte siano due;
credo che il mio cuore sia colmo di foglie morte e acqua nera.
Morirò come una nuvola, bella, bianca, piena di nulla.
Il cielo notturno è un ideogramma,
una perforata carta in codice.
Penso di essere il verbo di ciò-che-verrà.
Lo pensa, ma è solo la Biblioteca dell'Ultima Spiaggia,
la luce riflessa del Grande Equivoco.
Dio è il fuoco da cui i miei piedi sono trattenuti.
Cicada
Ho gironzolato tutto il mattino,
aprendo e chiudendo libri,
sedendomi su questa e quella sedia
gocciolio continuo sul lucernaio,
continuo ronzio di rimpianto.
Ma chi ascolta il prossimo?
Attraversata la stanza, librerie,
attraversata la strada, alberi estivi.
Senti cosa dice il libro:
Questa luce terrestre
ha un gusto che seduce, dolce e pericoloso.
Resisti agli incanti dell'occhio.
Anche se hai piedi imbrigliati da reti
di bellezza terrestre,
resisti
alle gratificazioni dell'occhio.
Mezzogiorno piovoso ai primi di settembre.
Una cicala piagnucola,
la sua voce
comincia ad affogare nel mondo piovoso,
nulla increspa il vento,
nessun suono tranne la sua canzone d'ali nere,
nessuna canzone tranne la canzone delle sue ali nere.
Questo vuoto in cuore,
questo vuoto al cuore dell'essere,
ci riempe senza che possiamo recriminare,
272
modi immensi e senza nome,
guscio ardente come ambra
sulla corteccia, cicala fatta di vento,
foglie che soltanto ora frusciano
nell'albero scuro dell'io.
Se il tempo è acqua che appare e scompare
in un eliotropico ciclo,
questa pioggia
che scorre come in una clessidra
fuori dalle finestre nella grondaia
misura la nostra natura
muovendo il nostro corpo a tempo di musica.
Il libro però dice,
il tempo non è muoversi di corpi
ma memoria dei movimenti del corpo.
Il tempo non è acqua ma memoria d'acqua:
misuriamo quel che non c'è.
Misuriamo silenzi.
Misuriamo il vuoto.
Chickamauga
Frullo di colomba tra l'erba alta.
Smalto di fine estate accanto alla porta
sui guanti e sulle potature della magnolia.
Rumori d'opera: bip di camion in retromarcia,
mazzuolo, cicala, sirena di pompieri
La storia ha in mano il nostro passato come frutta avariata
luce a metà mattina di fine secolo,
stessa cotonina sotto i peschi
ci tocca qui. Ci tocca qui e qui.
La poesia è un codice senza messaggi:
l'essenza della maschera non è la maschera
ma la faccia che sta sotto,
assoluta segregata,
derelitta e peregrina.
Il pettine della storia ci strapperà ben presto
dalle acque fredde della soddisfazione che ci spingono
ad uno ad uno
nella sua soffocante luce e aria.
La struttura diventa un elemento di fede, sintassi
273
e grammatica un catechista,
le loro parole quel che dice il rosario,
parole sgranate per il nostro scontento.
Venexia II
Acqua alta, acqua alta,
gabbiano ancorato come il battello di Rimbaud
tra i detriti, gonfi sacchi di plastica sobbalzano come sugheri
all'austero, granitico sguardo di Nostra Signora,
Venezia Serenissima…
La marea rode la punta delle scarpe, poi le urta sotto
queste sono le acque scure, buia musica
che ci scora e svuota
solo per inondarci
di dolce e invisibile pienezza,
note di stupore, note nere per lasciar la vita.
L'angelo della Morte, corno d'oro, manto d'oro,
vacilla sulla prua della gondola,
scintillante di pioggia, quieto nella sferza.
Sotto la data del funesto destino in tempesta,
brilla la sua solitudine marina e scivola splendida.
Oltre la finestra, Rio San Paolo s'agita, fa burrasca.
La luce del traghetto
brucia come un'anima del Catar che torna
sulla stanca marea
che scende gli scalini inverditi della Salute.
Questa ora è terminale, la sua campana
roltola da Santa Maria Gloriosa dei Frari,
ultimo anello nella catena della Speculazione,
spingendoci sotto.
Viene dall'acqua. Va all'acqua.
Apologia pro vita sua
I
Come presto s'arriva alla fine della strada il fallimento, bidimensionale calcio ad un fianco,
piatta luce di sogno,
non ci sbloccherà o marchierà a fuoco,
insidiosi cornioli nelle loro costellazioni, punti d'incrocio
semicarbonizzati
dolorosa via della primavera
274
esplosa in terribile profusione,
nessuna direzione se non l'ascesa, nessuna verso cui voltarsi
peso morto del mondo,
se ne sono andati e l'hanno fatto ancora,
corniolo
mutilato arto della primavera, artritico, logoro d'inverno,
paralizzato,
le cui radici sono i capelli di mia madre.
Il paesaggio è una leva di trascendenza azionala qui,
o qui, e arretra di un passo,
sollevala, e una luce, una piccola luce diventerà
l'aureola al tuo procedere:
La goccia di rugiada, goccia ultima, schiude
un'intensa radiosità,
riquadro di sole sulla foglia di magnolia
c'invita ad entrare chi di noi avanzerà di un passo,
occhielli marroni di camelia
sotto i piedi, e rami di susino, cielo bianco,
mezzogiorno bianco,
Campane come il suono dell'inno su bocche di monaci?
Diario e paesaggio
- forma screditata, argomento screditato ho cercato di resuscitare entrambi,
respiro e sangue,
farli tornare interi
Con la lingua, in rigorosa attenzione Verona mi fe', disfecemi Verona, dice la canzone
l'ho canticchiata, ho ricucito lo strappo
Inutilmente.
Aprile. L'anno s'avvia oltre le parole,
oltre me e la mia immagine, oltre
il gelo della luna e il tuono dell'estate. Tutto.
La carne del sacramento è carne invisibile
e sostanza di spirito.
Appunto.
Come ogni cosa visibile,
sono sempre attratto dal basso, e presto sarò ucciso
e assimilato.
275
Vasello di vita, si dice, vasello di vita, distrutto
e riportato a visibilità.
Ed ecco, flagranza di primavera come lussuria
nel frutteto costellato di fiori,
L'informe forma del buio che comincia a filtrare
ed emergere,
il mondo visibile comincia a inclinarsi,
dove io siedo il punto fermo, immobile
sotto le onde del mondo.
Come son simili al passato le nuvole,
che s'ergono e spariscono all'orizzonte,
declinano le montagne,
posando l'ombra loro sotto i nostri piedi
per noi che l'attraversiamo.
Partoriscono fuoco e ghiaccio,
ciò che ricordiamo e ci ricorda, partoriscono terra e aria.
Ciononostante non possono resuscitarci o redimerci,
andando, come devono, verso angoli opposti.
Non sono mai state dove andiamo noi,
privi di un'attitudine.
Ametista, trasparenza cristallina,
anello Maya o di Faraone,
malocchio, antidoto alla malìa,
lampo e grandine, pietra zodiacale, redentrice
di ubriachezze.
Porpora, colore d'introspezione, chiara visione,
colore di memoria viola, che ricorda,
cristalli di stella sparsi nella penombra, stelle dure.
Chi può distinguere l'oscurità dall'oscuro, la luce dalla luce
l'argomento dalla trama,
la parte dal tutto
quando il tutto è parte della parte e la parte
è il suo tutto?
Solitudine. Morandi, Cezanne, tutto parla di solitudine.
E Rothko. Specialmente Rothko.
Separazione da ciò che ci guarisce,
oltre la pittura e l'arte.
276
Commiato
Ciò che un tempo era gradito, non lo è più.
Ciò che allietava, ora è cenere sulla lingua.
Ciò che un tempo abbracciavamo, ora ci abbraccia.
Le cose hanno un loro destino naturale,
on line e down load misteriosi come il linguaggio delle nuvole.
La mia vita è diventata così,
per metà indecifrabile, per metà geografia nuova,
paesaggi immobili e adombrati, memoria spanata,
la sua voce fuori campo non mia.
Intanto la talpa va tra fantasticherie sotterranee,
i cani si stendono come tappeti,
gli uccelli si nettano le piume e gli insetti lustrano i gusci.
Nessuna evasione qui, nessun'ansia nel formicaio.
Quel che accade accade,
e ciò che accadde, prima non fu mai.
Eppure chi vuole una vita così,
nessun dopo e nessun prima, nessun ieri, nessun oggi,
il domani un momento per nessuno?
Per me prenderò le cose che svaniscono,
il traffico che dirada sulla strada diritta, il buio e il resto,
le stelle erranti, da ovunque provengano,
ovunque vadano.
Apologia
Alcuni nomi sono ovunque - sopra sotto,
celati rivelati.
Li definiamo saggi, perché la saggezza della morte
è definita saggezza minore.
E il mio nome? E il tuo?
Dove li troveremo? In quale tasca?
Ovunque siano, è meglio lasciarli là ignoti Le parole parlano da sole, l'anonimità parla da sola.
Il Maestro Ignoto della Poesia Pura passeggia di notte
fra le sue rose,
nel giardino preparato proprio da suo figlio.
Ogni tanto si siede. Ogni tanto si rialza…
Pesante, pesante, pesante volta sospesa sulle nostre teste.
Colore di Giugno.
Quante vite occorrono per farne una?
277
Questa la conosco di sicuro,
altre, come insetti nell'ambra,
restano dorate in agguato nascoste.
Trentacinque gradi all'ombra, umidità vasta e compatta,
sole di mezzogiorno come un disco laser.
La gracola ancheggia nel suo abito di luci,
la crocifissione sulla sua schiena.
L'Affetto è l'assoluto
a cui tutto ascende,
dettaglio della devozione, somma di ogni nostra dispersione,
impronta che brilla e sgombra l'ombra della vita.
Forse è troppo facile, ma ancora vero,
viluppi di caprifoglio e edera sboccano dalla siepe,
becco e lingua bianca di magnolia, sgravio del paesaggio,
bisbiglio d'amore.
Meditation on Song and Structure
Amo svegliarmi al cu cu della colomba
che si lamenta all'alba come una droga che maschera i cattivi effetti di un'altra.
Mi dice che va tutto bene quando so che invece
è vero il contrario.
Riordina i segni del paesaggio,
le strutture del giorno.
Per un momento fa diventare impossibile
ciò che si era oscurato. E ciò, disse un tale, è la grazia
ma questo uccello è un'altra cosa.
Alba sulle colline umbre.
Nelle fessure delle persiane s'accumulano e colano
sottili lingotti di luce.
Quest'uccello ha qualcosa da dire una musica acquosa,
lunghe improvvisazioni, variazioni liquide
ma non per me, tirato fuori come un peso morto
dalle turbolenze del sonno, non per me,
il prediletto della depressione, masturbatore della storia, non per me…
Due volte, ora, ho udito l'usignolo.
Prima nella prima luce
di un'alba grigio-polvere,
poi a mezzanotte, dopo una settimana,
accompagnando il mio amico al pargheggio
di Todi, luna che seduce dietro cumuli fangosi di nubi,
278
un pentimento di luce improvvisa,
come l'opera di un ragno o di un uccello.
Senti, disse il mio amico, Shh,
è l'usignolo, the nightingale,
mentre l'uccello e il suo canto percorrevano la collina, come un brillio
lieve d'acqua
in onde e gorgoglii.
Silenzio. Nessuna luna, nessuna moto, nessun uccello.
Il silenzio di qualcosa arrivato e partito.
Usignolo, uccello fantasma, canto fantasma,
mano che cuci e trami la notte,
accendi un cero per me.
Rondini sugli spalti
e tegole rosse modellate da cosce,
merlature squadrate, città guelfa.
Rondini sullo sfondo affrescato di colline arate
come piccoli squali nell'aria dipinta,
come frenate dalla marea,
blocco d'onda colorata d'acqua.
Rondini che sfrecciano, pesci nell'aria alabastro,
puliscono il pulito nutrendosi di visibile e invisibile.
Tornare come una di loro!
Libero nella luce del paesaggio,
lingua senza parole,
parte ineffabile del dipinto ignorato,
trascinato dal moto lunare,
quasi un cittadino del divino
steso come una tovaglia dorata nell'ovunque
quale sentenza, quale opera di dolce magia.
Il canto di un merlo sull'acqua nera.
Sono a sud o a nord della mia morte,
a ovest o a est del colpo finale?
In North Caroline, mezzo secolo fa,
un canto d'uccello sull'acqua nera,
biblico lago Llewellyn color della notte,
merlo,
in gola l'anima, come luce, piccola luce nel buio grande.
Spento zodiaco, poi un click
e cieli coperti di nuvole.
Canto d'uccello sull'acqua nera.
Ricordo come una canzone conteneva molti canti,
come ora, la stessa canzone
sopra la pozza nel campo vicino, e la mia illanguidisce,
molti canti, una stagione intera,
279
molte voci, luce che riconduce
al silenzio, suono della prima voce.
Medievale, prelatizio, perché
il cardinale maschio canta quel canto, omissis
dall'eminente eucalipto?
Cosa sa?
Silenzio, omissis, silenzio
Pomeriggio che si sfalda a piccoli pezzi
dalla tangenziale squarci di sirena
il tatuaggio del vuoto, Nulla Importa,
un motto sui nostri cuori bianchi?
Secondo Cioran la natura aborre l'originalità.
Ma io dico che il paesaggio la desidera
resta in giardino un carico di solitudine
nella risacca dell'ultima luce cardinale esala i miei peccati,
aiutami a ridimensionare, ad eliminare,
ricordami che la visione è unica, che l'eccesso
è regresso, che più d'abbastanza è troppo, che
la concentrazione è tutto.
Black zodiac
Scuriti dal tempo i maestri si mischiano
e confondono. Come le nostre memorie
siedono sulle panchine in giardino, come aria
senza un senso, aria nella sua luminosa nullità
che dire a ciascuno di loro?
Come riescono ad essere così scuri e chiari allo stesso tempo?
Ci arruffano i capelli,
arruffano le foglie degli alberi in agosto.
All'improvviso, come il vento, si fermano.
Tornano le mosche e il caldo che dirgli?
Soltanto il cielo è infinito.
Tornano le mosche, e il pomeriggio
trema un po' sui suoi margini verdi
poi cade come un peso morto
accanto ai nostri ricordi, ai pallidi orli delle toghe dei maestri.
Coloro che cercheranno Dio grideranno preghiere.
Forse. O forse no polvere e cenere che siamo,
alcuni se ne andranno senza parole, altri
ascolteranno le loro ragioni uscire dalle loro bocche
280
dove li riduce il dolore ad un palmo e mezzo dal pavimento
e altri l'oltraggeranno per amore
e sdegno profondo.
I cancelli della grazia, come un eclisse, oscurano
ogni nostra cosa in basso.
File di lapidi fermano i nostri passi,
umidità di agosto
rifulge come aure attorno ai nostri corpi.
Altri pronunceranno le parole,
parlando spaventati,
odiando i loro abiti macchiati dalla carne.
Scelti dalla sorte, cancellati due volte.
Dante e Giovanni Crisostomo
forse scambierebbero questo pomeriggio per una mappa siderale
la via di un pellegrino…
Anche tu potresti
sotto il preitterico profilo del quarto di luna
nuvole vogano sotto la volta celeste come un racconto
di ciò che sarà,
ciò che non è accaduto da accadere ancora
che si nasconde ancora sotto le stelle,
31 agosto 1995…
Il dopo la vita di insetti, graffiti dello spazio,
buchi bianchi nel paesaggio,
cose tali, tali strade conducono alla polvere
e trattano con disinvoltura il nostro dolore.
Blu cielo, blu d'infinito, acque
blu sopra la terra
perché le grandi storie sono sempre al passato?
La vita inesplorata non è diversa dalla
vita esplorata Domande senza risposta, vaniloquio,
teoremi senza prove, questioni irrisolte da tanto
devi scrivere tutto.
Paesaggio o marina, distesa di luce sul verde
scuro sbarramento
della sera,
devi scrivere tutto.
Fazzoletto di memoria, sogno di morte e automobile
sonno di Dio,
devi ancora scrivere tutto,
luna mezza vuota, luna mezza piena,
notte senza stelle, senza ego, notte nero sangue,
nero preghiera,
ragno che tesse tra le siepi,
281
ultimo richiamo d'uccello,
un rospo tra l'umidità, una raganella al secco…
Andiamo alla tomba con affetti secondari,
soddisfazione di seconda mano, mezz'anima,
carte stellari smagnetizzate.
Ci andiamo con gli abiti migliori. Mentre gli uccelli
volano e le nuvole passano
sicuramente siamo freddi e intoccabili,
ma senza cattive intenzioni.
Nessun dente avvelenato di risentimento,
ne siamo ormai fuori, e carne dolce
calligrafi dei disincarnati, scrivani di Dio
quali lettere illumineremo?
Sopra noi l'atmosfera
il nulla che non c'è, dà il via, aspettando ordini
le grandi costellazioni scartano e sussultano sopra di noi,
le lettere tornano chiare, vengono avanti,
la tua x e la mia x.
Le lettere tornano chiare, vengono avanti.
Evasori di memoria, suono notturno della serra,
spirito di sdrucciolii e silenzi,
Mano Invisibile,
testimoniate e passate oltre.
Signori del discontinuo, signori dei piccoli gesti,
soccorretemi nella trasformazione, e salvatemi…
Tutto il pomeriggio è piovuto nella mente
e in giardino e nel frutteto.
Tutto il pomeriggio
il lessico di fine estate ha voltato le sue pagine
sotto la pioggia,
per la parola necessaria.
L'autunno è su noi.
La pioggia colma i nostri letti angusti.
La descrizione è un elemento come l'aria o l'acqua.
Ecco la parola.
Stray paragraphs
A est della città la campagna si spiana, scivola
liscia verso la battigia e l'aspro Atlantico
Ho scoperto che l'amore per il paesaggio è l'affetto del rimpianto:
uniti per sempre, da sempre separati,
fuori di noi eppure noi stessi.
La rinuncia è dura da imparare e ora è la nostra estasi.
282
Ma se Dio fosse nei paraggi
ingoierebbe i nostri sospiri nel suo nulla.
La feccia dell'infinito mi cola lenta nel sangue,
rami spezzati dai forti venti, erba morta e sottobosco il sicuro accumulo di tutto ciò che resta non rivelato
cresce come neve nei miei luoghi spogli.
Non si può vivere una vita in fiamme.
Le nostre vite s'illuminano come i cuori dei santi,
bruciati tra terra e cielo.
Febbraio, antico seduttore, ritagliaci un po' di spazio,
sgretolii d'osso su osso, malinconica musica.
Solleva quell'angolo lontano di paesaggio,
laggiù a ovest.
Dacci un po' di luce profonda arteriale.
Stray paragraphs in april
Solo i morti possono rinascere, e neanche tanto.
Vorrei essere una talpa sotterranea,
occhi capaci di vedere al buio.
Attento senza un oggetto d'attenzione,
infelice senza un oggetto d'infelicità preghiera di cane, diminuzione…
Se potessimo camminare per cent'anni,
non faremmo mai un passo verso il cielo occorre attendere l'adunata.
Due cardinali, due grumi di sangue
scagliati nelle fredde, invisibili arterie dell'aria.
Se mai si fermeranno, il cielo si fermerà.
L'afflizione è un dono, pensava Simon Weil il mondo diventa più ricco in una luce più severa.
Aprile, cortigiano antico, mese in gran stile, inumidisci
le nostre bocche.
Il denso e umido e freddo e scuro s'incontrano qui.
L'anima è aria e ci mantiene.
283
Ophus posthumos
Opera d'opossum, lussuria alla finestra bizantina venerdì in Appalachia.
Aspetta, vecchia vita scheletrica,
c'è dell'altro se ho capito bene.
Perfino l'angelo più radioso è oscurato dal tempo,
perfino la macchina più affilata
è smussata e superata dalla notte.
Malvagio fine agosto, perso peso malvagio di sospiro e
naufragio estivo.
Ora è settembre, messo in scena per metter piede sull'altra sponda,
mentre attorno al suo petto sbocciano uragani come
corolle di margherite.
Sappiamo dov'è stato. Sappiamo
il gran segreto che cela,
così buio e segregato e speriamo bene,
pregandolo che ce lo bisbigli
almeno una volta.
Il segreto della lingua è il segreto della malattia.
Opus posthumos II
Seduto ma come sospeso a qualcosa nella quiete
della mia sedia a sdraio,
ignorato e ultraterreno.
Non c'è assoluzione, né corpo di luce e elegia.
essun corpo di fuoco.
È come se un angelo avesse solcato il portico,
una conflagrazione amplificata, estinta, poi
di nuovo sepolta. Nessun perdono, né nutrimento.
È marzo, e i famelici si nutrono della mia bocca.
Ubi amor, ibi oculis,
l'amore vede ciò che l'occhio vede
più o meno ripetutamente.
Qui pare proprio così, i cancelli dell'harbor vitae
i cancelli della pietà guarda O guarda si nutrono dalla mia bocca.
284
Opus poshumos III
Fuso mezz'agosto, Assurbanipal a ovest,
arse torri di nubi, troni che crollano gli antichi sapevano esiger bilanci alla fine
di ogni cosa,
ardente cuore contro ardente piuma di verità.
Addolcite labbra,
grandi occhi di ibis, nei geroglifici d'acero
lo scriverò.
Da una vita attendo una luce lenta, questa, che
misera comincia a filtrare, blu rame,
dall'angolo alto destro delle cose,
giù fra gli alberi e oltre il giardino,
l'ho attesa innalzarsi e cadere, come ora
tra i lapislazzuli del tardo pomeriggio.
Fino a quando le nuvole si fermano e cacciono.
Fino a quando la siepe sinistra e la siepe destra,
gli insetti e i piccoli cani,
il porticato sul retro e le rondini
della rimessa si dissolvono e spariscono.
Fino a quando la tangenziale si gonfia
di silenzio, fino a quando l'erba
patisce.
E fino a quando più nulla rimane.
The appalachian book of the dead II
Tardo sabato pomeriggio a Charlotesville.
Giorno di Colombo,
senza vento o rimosso, giorno di Colombo,
sole come scotch
appiccicato alle foglie di magnolia malate d'occidente.
I bimbi fanno i loro giochi sciocchi
dietro il giardino,
monotono giorno di Colombo senza campane.
La disperazione è carne dolce che al via azzannerei
un paio di volte.
E l'ottobre rosso dov'è?
E il suo sbuffo di fumo bianco?
Un'altra pagina strappata
dal libro Appalachiano dei Morti,
indifferente silenzio dei cieli,
indifferente silenzio del mondo.
Gerusalemme, dico piano, Gerusalemme,
l'altare della sera stende piano il suo panno nero
sull'abside orientale delle cose 285
l'anima che desidera tornare a casa, desidera
la propria distruzione,
si sa, il che non fermò mai nessuno,
paura e terrore su ogni centimetro di terra,
benchè bella sia ancora, a ovest, la luce,
che s'innalza purpurea, bianco-scarlatta.
The appalachian book of dead III
Luna che illumina la sua maiuscola L
Libro appalachiano dei morti, 22 febbraio 1997 la luna piove, the moon rains antibiotica luce
sul triste settico mondo
geroglifici sul prato, sospiri supplicanti per l'altra sponda,
sono puro, puro, puro…
L'anima è nel corpo come la luce nell'aria,
pensa Plotino.
Non so che dire, ma
The moon rains, splendendo ovunque sotto di lei disordine, sopra
manciate di stelle qua e là
Se ci affligge qualcosa, lo fa per sempre.
Quest'Egittologia nel vento, tali pennellate dure,
luna che cala alle due dal suo lato sinistro.
Ancora la leggera mente di Dio,
antri silenziosi dove le stagioni non esistono.
Arriverà di sicuro un qualche splendore,
una qualche equazione ultima, chiarita, risolta.
Vento del sud e un lungo rifulgere, paradiso da poco…
The appalachian book V
Mezzo addormentato sulla veranda del retro,
ronzio di vespa lento, falciatrice
che va e viene nel giardino accanto,
ombre aggressive di foglie d'acero
muovono le chele nel timido sole
inquietudine che langue sulle tavole di pino appena tinte.
Mezzo silenzio, traffico delle 17, mezzo silenzio,
scale di violino.
286
,The appalachian book VI
Ultima pagina, Il libro appalachiano dei morti,
plenilunio
nessuno si abbraccia, nessun labbro all'orecchio,
barriere di nuvole
e voce bianca di soprano dal bordo orientale
delle cose
tonfo di pallone, ringhio d'autotreno a destra,
fuoriscena,
attesa, ago tremolante a nord nord ovest.
Ed ecco l'angelo, con tamburo e ali. Che ali.
I giorni perduti, come dice Meng Chiao, finestrella
di parole
attraverso cui sentiamo il buio. Al buio,
luna fermata dalla barriera di nuvole, luce
liscia che cade
e scivola a lungo,
né labbra né orecchie.
Distante mormorio di voci femminili.
Ho sentito che il verbo è facilitare. Facilitare.
Azzurro, salire, salire nell'azzurro. Gioia
illeggible
Nessun secondo cielo. Né primo.
Forse è meglio stendersi qui per un po', con la
schiena lungo il pavimento.
Si dice che il giorno sanguini.
Si dice che la parola giusta leverà il respiro.
Spring storm
Dopo la pioggia, un piccolo Buddha in ogni goccia,
dopo la pioggia, un piccolo arcobaleno in ognuna,
sole come monocolo, Doge veneziano
in rivista,
che poi spinge le nuvole a serrarsi.
I cinesi possono guidarti a molte cose,
ma non all'altra riva,
l'acqua prima riflette il fuoco del sole, poi non più.
E le stelle continuano ad andare nessuno può fissarle ad un punto.
Occhio di Doge da sotto le nubi, il cielo incolonna
ali di querce,
non viste, si muovono le stelle dietro l'onda di luce,
grande fiume.
La fine del desiderio è il principio della saggezza,
287
ci diciamo sempre,
corvo solitario
nella macchia di sole, nero su nero, ruota sul prato.
The writing life
Dammi i nomi delle cose, quelli veri,
non quelli che gli diamo noi, ma quelli
che usano tra loro quando nessuno le ascolta A mezzanotte, gli abeti placcati di luna come campane sospese,
e Dio che erra altrove senza una meta.
I nomi loro, i loro nomi segreti.
Dicembre. Ogni cosa nera e bruna. O metà nera e
metà bruna.
Ciò che vive ancora mi abbraccia,
amen dai sempreverdi
che vogliono il mio cuore sulle loro maniche nervate.
Perché non riesco ad ascoltarli?
Perché non riesco ad offrire il mio cuore
a ciò che esausto si mostra chiaramente?
Restituzione del divino in una circostanza secolare pagina 10, libro Appalachiano dei Morti,
quella con l'orecchia
luce a punta di laser che precede il solstizio invernale,
sole in Capricorno,
sporche foglie morte e ghiaccio, sul marciapiede, sul
vialetto.
Giorni brevi. Giorni brevi. Il buio sorprende la luce presto,
mozza la mano.
Landscape as metaphor
Agosto. Montana. Il taccuino nero ancora aperto.
Attraverso il blu-venato, piatta duna, intimo vuoto
della pagina,
un minuscolo insetto alato s'è messo in viaggio
a piedi.
Credo seguirò il suo sentiero bianco.
Fermar la mente alla linea dell'inchiostro,
affidare un cuore all'oscuro
inconoscibile non è vano e lontano?
Da qui le vite nostre continuano ad andare
come spore di foglie nel bagno lunare,
abeti e giovani ciente stanno a guardia come
288
cani egiziani
all'inizio del prato,
farfalle s'adunano come angeli,
ma Dio piega i nostri colli al suolo,
nonostante le stelle volino come cotone, propizie,
alte, nel vento di mezzanotte.
Non c'è vento che non raggiungano
e superino.
Tregua del vento, metà mattina, il cielo di stanotte
schermato, monastico, grandioso,
dietro l'iconostasi del bagliore, papaveri gialli
impronte di labbra sul muro di tronchi, parole
lunari della sorella defunta
come impronte di labbra… S'arriva a tanto?...
Il sole non splende sulla groppa dello stesso cane
ogni giorno.
Soltanto tu, Fragranza, puoi giudicarci e proseguire.
289
Indice
3
Simon Armitage
12
Samuel Beckett
23
Elizabeth Bishop
32
Emily Bronte
36
George Byron
60
Raymond Carver
66
E.E. Cummings
69
Emily Dickinson
91
Thomas Stearns Eliot
120 Robert Frost
126 Seamus Heaney
155 Gerald Manley Hopkins
157 James Joice
160 Jack Kerouac
162 Robert Lowell
186 Edgar Lee Masters
190 James Merrill
194 Silvya Plath
197 Ezra Pound
201 Robin Robertson
209 William Shakespeare
225 Percy Bysshe Shelley
233 Wallace Stevens
251 Mark Strand
259 Dylan Thomas
261 Derek Walcott
264 Charles Wright
290