documento - Francesco Fiumara
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© 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara La scuola italiana gratuita Sempre riferendosi al primo periodo dell’esilio inglese, Mazzini ricorda nelle sue “Note autobiografiche” che “Giornale, Scuola e Associazione operaia furono parte d’un solo disegno”. Abbiamo già visto come Londra offriva a Mazzini, pur in quella sua disagiata ambientazione, l’occasione e l’opportunità di addentrarsi nella conoscenza delle misere condizioni degli operai italiani ivi approdati per ragioni di lavoro. “Vi dirò – scriveva alla signora Quirina Magiotti, la “donna gentile” ch’era stata amica di Foscolo – che ho trovato qui contrade piene da capo a fondo d’italiani di tutti i paesi, occupati a buscarsi la vita come lavoranti in tutti i mestieri, in uno stato d’assoluta barbarie; non dirò che non sapevano leggere: dirò che non sapevano parlare, e ch’io mi frammisi fra loro senza raccapezzare per lungo tempo costrutto a un gergo mezzo comasco – i più sono lombardi – e mezzo inglese. D’Italia sapevano il nome come di paese straniero, e non di più”. Ma soprattutto in quella grande metropoli, che aveva fama di città del benessere, scopriva il calvario di molti ragazzi italiani, vittime d’un infame traffico di alcuni sfruttatori depravati e senza scrupoli. Italiani pur essi, questi loschi figuri avevano trovato in Londra terreno propizio allo sviluppo della loro criminosa attività. Esperti delle disagiate condizioni di certe zone agricole della Liguria o della Lombardia, si calavano come avvoltoi su certe designate famiglie povere, e riuscivano a farsi affidare, dagli ingenui genitori, i ragazzi vogliosi di lavorare e di guadagnare, ostentando promesse di ottimo trattamento e la stipula di un contratto che garantiva decorose condizioni di esistenza, di educazione, ed allettanti prospettive di lucro. Firmato il contratto (di cui per altro nessuna legge inglese garantiva la validità) l’inganno era perpetrato. Il ragazzo, sradicato dalla famiglia e condotto a Londra, veniva subito impiegato in espedienti e mansioni che tornavano lucrative soltanto all’ingaggiatore che li improvvisava spazzacamini, venditori ambulanti di statuine di gesso o di altre inezie, girovaganti per le vie di Londra vociferando la loro prestazione o la loro mercanzia, spesso a stomaco vuoto e col cuore proteso a una fruttuosa giornata, perchè ingiurie, maltrattamenti e digiuni venivano loro somministrati la sera, in proporzione alla scarsa misura degli utili procacciati. http://ffiumara.wordpress.com/ 1 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara Ma vi era di peggio: i ragazzi potevano venire adibiti in ipocrita attività d’accattonaggio per conto dell’impresario, che li forniva degli arnesi necessari alla bisogna: un flauto o un organetto, qualche scoiattolo o topo ammaestrato con cui attirare la curiosità ed impietosire le persone per l’offerta di qualche spicciolo. Ma alcuni venivano mandati in giro recitando la parte di finti zoppi o di malati cronici, sciogliendo un rosario di lamentazioni e di invocazioni di elemosine, inventando situazioni lacrimevoli di sofferenza e di precarietà. L’unico elemento veritiero era il pallore del volto, la denutrizione, il lacero vestimento e la paura negli occhi di ritirarsi la sera senza poter consegnare al padrone il gruzzolo stabilito. In tal caso il digiuno e la frusta sarebbero stati meritato compenso ad una giornata vuota o magra d’introiti. Un avvenire di menzogna e d’ipocrisia era per essi unica prospettiva di vita. Tutti venivano alloggiati in squallidi tuguri, su miseri giacigli, nutriti di scarse risorse alimentari al fine di tener bene in evidenza la sofferenza fisica e la precarietà della salute. In un lurido stanzone si ospitavano decine di queste vittime inermi, i cui padroni – almeno alcuni – avevano pur essi in origine saggiato la miseria e la sofferenza della emigrazione. Ma si sa: la miseria e la sofferenza a lungo andare abbruttiscono l’anima, e possono creare dei mostri in sembianze d’uomini. E il losco traffico veniva esercitato, si può dire, impunemente, perchè sempre al riparo da denunzie specifiche; ed anche quando qualche ragazzo moriva di stenti o di maltrattamenti, ai padroni rimaneva solo il rammarico di vedersi mancare una fonte di lucro. I lontani genitori, afflitti dalla miseria per conto proprio, non andavano tanto per il sottile nelle indagini, ed accettavano in parola il fatto compiuto, sia come accadeva spesso per il prolungamento all’infinito del rimpatrio del ragazzo, la cui data era stabilita nel contratto (passabile però di rimandi per applicazione di sanzioni disciplinari pur esse stabilite) sia, come a volte succedeva, per la morte fisica del ragazzo, che il padrone riusciva a giustificare legalmente. Londra contava allora circa un milione e ottocentomila abitanti. Le piaghe della miseria solcavano la squallida vita dei suoi bassifondi, ove prosperava il vizio, l’ignoranza e l’usura, tal quale che nelle altre metropoli europee, come Parigi, Napoli, Pietroburgo. Il cielo dei miseri era uniformemente nero su tutte le latitudini. E se pure sopperivano in parte le opere pie o le iniziative dei filantropi a lenire in qualche modo il lamento del povero, le provvidenze non erano mai adeguate a riscattare quegli infimi strati sociali della inesorabilità della miseria: un male endemico di cui era soprattutto l’infanzia ad essere maggiormente colpita. Di ciò è chiara testimonianza nelle famose pagine di scrittori più o meno illustri: Carlo Dickens per Londra, Hugo e Sue per Parigi, Mastriani per Napoli, Gorki per Pietroburgo ecc. L’infanzia era sempre la più disarmata e la più soggetta a subire l’impatto coi faccendieri ignobili e spregiudicati, coi comprachicos d’ogni tempo e d’ogni colore, di cui la penna di Victor Hugo ha bollato una vecchia tradizione inglese. http://ffiumara.wordpress.com/ 2 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara Mazzini penetrò nelle viscere di queste miserie; conobbe il male inesorabile della emarginazione e della degradazione sociale dei giovani, e sul ricordo remoto della tratta schiavista, bollò con l’appellativo di “tratta dei bianchi” quel losco traffico a danno di creature indifese di sesso maschile. “Io li vedeva – scrive – la sera in inverno, tremanti per freddo e digiuno, chiedenti, quando la giornata era stata poco proficua, l’elemosina di un soldo o di mezzo soldo agli affrettati pedoni, onde raggiungere la somma senza la quale non s’attentavano di ritornare a casa... Taluno di quegli infelici, sospinto sulla strada benchè consunto dal morbo e col pallore della morte sul volto, fu raccolto dagli uomini della polizia e portato all’ospedale dove morì senza proferire parola. A tal altro è ingiunto di fingersi mutolo, ferito in un piede o colto da convulsioni epilettiche. Costretti da minacce tremende a mentire per conto dei loro tiranni, quei giovani, usciti buoni dalle loro montagne, imparano a mentire e architettare inganni anche per conto proprio, e tornano in patria profondamente corrotti. Certo, arguisce l’Apostolo, se il clero italiano, o i governi italiani, si mostrassero interessati alla protezione di quei giovani sradicati, potrebbero in qualche modo mitigare le loro sofferenze, invocando sanzioni penali contro i trafficanti. Purtroppo la causa di quei derelitti non trovava solerti difensori nelle autorità rappresentative politiche o religiose, e il loro lamento si spegneva inascoltato nel cielo inclemente della più cieca indifferenza. “Tentai dunque – prosegue Mazzini – d’alleviare in altro modo quei mali, e istituii ad un tempo un’associazione per proteggere quei giovani abbandonati e una scuola gratuita per illuminarli sui loro diritti, onde rimpatriando ispirassero migliori consigli ai loro compaesani. E confessa d’essersi spesso adoperato a trascinare davanti ai tribunali quei padroni colpevoli di manifesta violenza o di maltrattamenti tutte le volte che ne veniva a conoscenza. L’odio contro di lui da parte degli sfruttatori era naturale e scontato, e non mancava di creargli noie. Era facile infatti, con la complicità degli avvocati senza scrupoli, recitare la parte di benefattori dell’infanzia abbandonata, e di capovolgere l’accusa di irriconoscenza contro gli stessi ragazzi, colpevoli d’indisciplina (e qualche volta anche di furto) e far passare Mazzini come protettore e difensore di elementi discoli o ladruncoli! La Scuola sorse il 10 novembre 1841, ed ebbe sede, in un primo tempo, al n. 5 di Hatton Garden: in uno dei maggiori centri di residenza degli emigrati italiani. Si componeva di appena due vani, comunemente arredati di banchi, lavagne, carte geografiche, un busto di Dante. Niente sfarzo, niente vistosità: l’unica dote evidenziata consisteva nella fede che viene da convinzione profonda, che animava i promotori e fondatori che, in numero di 40 (italiani e inglesi) si riunirono per la prima volta in un comitato presieduto da Mazzini qualche sera prima dell’apertura. Le lezioni avevano luogo dalle ore 8 alle 10 di sera. Agli analfabeti s’insegnava a leggere e scrivere; agli altri meno sprovveduti: geografia, storia, aritmetica, disegno. In seguito fu assunto un insegnante in lingua inglese. Tutte le domeniche si teneva un discorso d’argomento storico o morale. http://ffiumara.wordpress.com/ 3 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara La scuola era completamente gratuita, sia “perchè il popolo oggi non può pagar l’istruzione” sia anche perchè - secondo il pensiero mazziniano – “l’insegnamento elementare sarà, nell’ordinamento avvenire, dovere riconosciuto della Società verso tutti i suoi membri”. Mazzini si immergeva a capofitto in quest’opera di bonifica umana. Coadiuvato da amici e compagni d’esilio che avevano a cuore lo stesso problema, e tra questi il poeta e letterato Gabriele Rossetti che, pur adusato a tener lezioni da cattedre universitarie, non riteneva menomata la sua fama professorale, usando la forza dell’intelletto per far breccia nella mente e nel cuore dell’umile gente incolta; Filippo Pistrucci, esperto incisore e anch’esso poeta, che, nominato da Mazzini direttore della scuola, s’immedesimò in quell’opera con la dedizione d’un vero e proprio missionario, insieme al suo figliuolo Scipione, ch’era incaricato alle lezioni di disegno; Luigi Bucalossi che si occupava della parte amministrativa; custode della scuola il bresciano Celestino Vai. Tra gli insegnanti solo un paio, che si impegnavano di svolgere assiduamente, cioè tutte le sere, la loro mansione, venivano regolarmente ricompensati; i saltuari,ch’erano parecchi, svolgevano la loro prestazione gratuitamente. Oltre al Rossetti, al Pistrucci, al Bucalossi e allo stesso Mazzini (che spesso univano al ruolo di dirigenti anche quello d’insegnanti) si ricordano i nomi di Antonio Gallenga, Carlo Gonzales, Giglioli, Bompiani, il conte Pepoli. In seguito - sappiamo da Mazzini stesso – vi insegnò un certo Giuseppe Gandolfini di Perugia, semplice lavoratore, che oltre a prestare gratuitamente l’opera sua di maestro, faceva offerte in denaro. “Dov’è – si domandava Mazzini – una scuola che presenti esempi siffatti di zelo senza compenso? Dov’è la scuola che duri oltre l’anno, fidata alle cure d’uomini non pagati, non ricchi, occupatissimi e costretti a recarsi da lunghe distanze, a piedi, per notti d’inverno piovose al convegno?”. Al mantenimento della istituzione contribuivano offerte volontarie di amici facoltosi, specificatamente inglesi, che stimavano Mazzini, ne condividevano le aspirazioni, ne incoraggiavano le iniziative. Si ricordano i nomi famosi di scrittori, di politici o di professionisti inglesi, tra cui la vedova Lady Byron, i coniugi Carlyle, la contessa Pepoli, Stuart Mill, il Dott. Giuseppe Tonbee, Tomaso Campbel, Milner Gibson, i coniugi Wedgewood, Lady Barbarina Dacre, James Clark, medico della regina, e tanti altri. E del resto Mazzini era dotato di fervida fantasia per escogitare il rinvenimento di mezzi finanziari per mantenere la scuola, come suoleva fare anche per le iniziative di natura politica. Alla prima serata d’apertura parteciparono 51 allievi; alla seconda sera 65; alla fine di novembre i frequentanti erano 109. Tre mesi dopo, quando Mazzini faceva il punto della situazione, le frequenze raggiungevano il ragguardevole numero di 160: ragazzi, giovani, adulti. Mazzini, raggiante d’entusiasmo, annunziava nel gennaio 1842 (nel n. 4 dell’Apostolato Popolare) il successo dell’iniziativa, decisamente proiettata a più rilevanti sviluppi. E sosteneva che “i centosessanta alunni raccolti in meno di due mesi, tra i suonatori d’organetto, i venditori di gesso e simili”, erano http://ffiumara.wordpress.com/ 4 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara lampante smentita a coloro che consideravano indifferenti o refrattari ad ogni problema di elevazione e d’istruzione quella categoria d’emarginati. Inopportune e sprecate quindi – secondo loro – le preoccupazioni e le premure di chi volesse conquistarli a dignitose concezioni di vita. “Il popolo - scriveva - non è indifferente, è sconfortato, è impotente a conquistare da per sé, senza scosse violente, l’istruzione che nessuno gli offre fraternamente. Ognuno di quei suonatori d’organetto, ognuno di quei venditori di gessi, all’annunzio di una scuola italiana, s’è sentito fremer nell’anima il giusto orgoglio dell’umana natura”. Ed avvertiva già l’opportunità che l’esempio di scuole consimili si espandesse per tutte le contrade straniere, di modo che l’emigrazione italiana avrebbe avuto modo d’istruirsi e di educarsi fuori del territorio patrio, visto che non era consentito poterlo fare all’interno. Così quando questi italiani, dopo alcuni anni di soggiorno all’estero, sarebbero rimpatriati, avrebbero fatto diventare orgogliose le loro madri e avrebbero fatto stupire di meraviglia i loro conterranei nel vederli migliorati intellettualmente: veicoli d’idee nuove e di sentimenti di patria e d’umanità. Ed esortava letterati ed uomini di cultura ad imprendere, dovunque si trovassero, iniziative del genere: “Ripetete ogni giorno a voi stessi: L’opera ch’io tento è santa. Può mancarmi il plauso dei letterati; il plauso e l’amore del povero non mi mancheranno; il plauso e l’amore del povero che Cristo cercava”... Trascorreva così il primo anno di scuola. L’opera progrediva gradatamente: il numero degli allievi era salito a 230. La scuola aveva anche il suo giornaletto settimanale “Il Pellegrino”, diretto da Bucalossi: un benemerito della scuola, che pur avendo una famiglia a carico (ai cui bisogni sopperiva facendo l’insegnante d’italiano nelle scuole pubbliche) lavorava gratuitamente la sera per l’opera mazziniana. Al “Pellegrino”, dopo un anno succedeva “L’Educatore”, quindicinale, con finalità più formative, e che in un certo senso sopperiva ai ritardi molto lunghi dell’Apostolato Popolare, ch’era invece indirizzato agli operai. L’educatore era condotto a direzione collegiale. Vi collaboravano Gabriele Rossetti, il conte Pepoli, Gonzales, Giglioli, Pistrucci, Bompiani ecc. Si trattava sempre di giornali a diffusione gratuita, sussidi didattici che traevano sostenimento da donatori inglesi, e perciò destinati a vita breve. Era la malattia di tutta la stampa mazziniana. Il nuovo periodico infatti durava anch’esso un anno appena. La dolente nota delle passività si faceva sentire anche per il mantenimento della scuola, anno per anno, in occasione della ricorrenza della fondazione, che assumeva sempre tono di festa e che vedeva i locali affollati, oltre che dell’elemento scolastico, anche da famiglie di benefattori italiani e inglesi. La manifestazione si concludeva con un pasto consumato in comune tra invitati, insegnanti ed alunni. Si pronunciavano discorsi, si premiavano gli alunni più meritevoli, si toccavano corde d’entusiasmo e di commozione attraverso ricordi e testimonianze di alunni e maestri, col plauso e l’ammirazione soprattutto degli amici inglesi, che poi ne propagavano gli echi e contribuivano a far mutare opinione sull’indole degli emigrati http://ffiumara.wordpress.com/ 5 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara italiani. Ed ecco come veniva ricordato, in una lettera di Jane Carlyle, uno di questi momenti celebrativi: “Quando Mazzini ebbe finito, in mezzo a grida tali da far venire giù il soffitto, si avanzò dai banchi degli scolari il ragazzo più piccolo – sui dodici anni – che venne avanti arrossendo e pose un bouquet ai suoi piedi! poi mettendo la sua manina sul petto, tirò fuori un pezzettino di carta e si mise a leggere un sonetto in onore e gloria di Mazzini... Ne era l’unica prova cui la sua modestia doveva sottostare. Una bambina italiana si avanzò dai banchi degli scolari... una bambina molto bella anche – poiché questa parte dello spettacolo era spontanea – umilmente lo pregò di darle un fiore del suo mazzo! e una donna inglese, che non volle essere da meno della straniera, chiamò Dio a testimone che Mazzini era il profeta del suo tempo”. “Una di quelle sere – scrive Mazzini nelle sue note – era eguale, nelle conseguenze morali, a un anno d’insegnamento. Quei miseri, che i padroni trattavano come schiavi, si sentivano uomini, eguali e animati”. Tra i premi conferiti, durante queste celebrazioni (libri, medaglie, attestati) vi erano anche Bibbie e Vangeli. La Bibbia è sempre un testo ricorrente nei ricordi mazziniani; costituisce anzi una presenza costante nell’itinerario delle sue letture. Del vecchio testamento Mazzini preferiva i Profeti per la loro carica di protesta e di ammonimento contro gli oppressori dei poveri e degli indifesi; del Nuovo preferiva il Vangelo, da cui raccoglieva la legge di solidarietà, di fratellanza e di giustizia fra gli uomini predicata da Gesù, da lui ritenuto un distruttore di caste e di privilegi, l’instauratore d’una religione d’amore e d’eguaglianza, colui che “Gettò l’anatema agli Scribi e ai Farisei, che erano gli uomini di casta, i privilegiati del suo tempo... proclamò l’unità della natura umana, spezzò le catene del servaggio, rialzò il popolo e morì per esso”. E però Mazzini non credeva nella divinità di Cristo, pur essendo tenace assertore della trascendenza di Dio. Nell’Inghilterra protestante la Bibbia era il libro più diffuso e più popolare. Sono inglesi infatti le società missionarie più consistenti per la diffusione della Bibbia nel mondo: tipico esempio la Società Biblica Britannica e Forestiera (fondata nel 1804) che traduce la Bibbia in circa 750 idiomi e la diffonde si può dire per ogni angolo della terra. Certo, anche i negrieri esportatori di schiavi iniziarono con la predicazione della Bibbia la conquista inglese di tanti dominii coloniali: il rovescio storico della medaglia, tristemente famoso, che però non ha potuto cancellare le istanze di giustizia e di umanità suscitate da questo libro nel mondo. Mazzini ebbe contatti frequenti col mondo protestante, e fu maggiormente vicino ad esso che a quello cattolico. Del protestantesimo non condivideva la disintegrazione denominazionale, e spesso anche settaria, in cui a suo avviso veniva anche frantumato il concetto di verità. E d’altra parte non poteva far buon viso alla gerarchia cattolica, col suo papa infallibile, con le sue intolleranze, i suoi dogmi, i suoi centri di potere alleati sempre con le classi dominanti (quando non addirittura con gli oppressori e coi despoti) e che tra l’altro si mostrava irriducibile avversaria dell’unità d’Italia. Contro il http://ffiumara.wordpress.com/ 6 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara cattolicesimo retrogrado e reazionario egli ebbe sempre un’avversione profonda, e la sua lotta al papato ed al paternalismo del clero quietistico e rinunciatario fu un fatto costante e senza tregua in tutte le istanze agitatorie e rivoluzionarie della sua vita. Ma non condivideva l’anticlericalismo viscerale, e il più delle volte triviale (nel papa veniva spesso indicato l’anticristo prefigurato nell’Apocalisse!) di certa polemica astiosa ch’egli considerava esagerata ed ipocrita, specie quando agitava il fantasma degli abusi papali come alibi giustificativo di certi provvedimenti non sempre raccomandabili. Fu sua nel concetto, la Repubblica Romana del 1849, che mise in fuga Pio IX. E perciò nella lotta al papato potevano essere interessati, e quindi alleati, rivoluzionari mazziniani e protestanti di varie coloriture. Così Filippo Pistrucci, direttore della scuola di Mazzini, aveva potuto fare ufficiale adesione alla chiesa evangelica, la quale, per mezzo della “Missione della Città di Londra”, aveva impresso una fiorente opera di propaganda e di evangelizzazione tra le correnti italiane di emigrazione. Egli intendeva recare così un contenuto più concretamente cristiano nell’ambito di quella scuola, aprendo le anime di quei giovani alle massime del Vangelo, con una visione diciamo diversa da quella intellettualistica della religiosità mazziniana. Giovanni Luzzi, illustre teologo e pastore valdese, ben a ragione considerava la scuola mazziniana di Londra come “l’anello di congiunzione fra il movimento evangelico, che mirava alla redenzione morale e spirituale d’Italia, e il movimento politico, che mirava alla redenzione della patria dal giogo dei tranelli e delle armi straniere”. Ecco perchè nel primo anno di operosità la Scuola di Mazzini fu fatta segno a dimostrazioni di ostilità da parte del clero della Cappella Sarda, ch’era patrocinata e sussidiata dal Governo di Sardegna e godeva della protezione dell’ambasciata Sarda a Londra. L’iniziativa di Mazzini, proprio con quella scuola, si configurava, agli occhi del clero cattolico, doppiamente concorrenziale, sia per l’aspetto politico, sia per quello religioso. Avversario particolarmente accanito si dimostrò il prete Don Angelo Maria Baldacconi, il quale osò, durante il quaresimale di Pasqua, 1842, attaccare pubblicamente dal pulpito la scuola mazziniana, lasciandosi maldestramente andare ad una sequela di accuse e d’ingiurie. Con una logica assurda quanto banale, e che per di più ricalcava una prassi oscurantista, sosteneva che l’istruzione era un male, che chi cominciava a sapere un po’, finiva per voler sapere troppo; e che tutto sommato, scuola più o scuola meno, quei giovani sarebbero rimasti sempre garzoni quali erano. Aggiungeva che il direttore e i maestri erano empii, filosofi, anime perdute e peggio; e meno male, soggiungeva, che di quei filosofi di tanto in tanto se ne impiccava qualcuno (e accompagnava il discorso facendo con mano il gesto dell’impiccagione!). Si guardassero dunque bene dal frequentare quella scuola, genitori e figli, se non volevano vedersi rifiutati i sacramenti in punto di morte! http://ffiumara.wordpress.com/ 7 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara Questi attacchi si ripetevano tutte le domeniche, e il clima si avvelenava a tal punto che una sera un gruppo di giovani male intenzionati, aizzati da Don Baldacconi, irruppero nella scuola armati di bastone recando gran turbamento. Il fatto destò molto scalpore, e la stampa inglese biasimò duramente l’intolleranza di Don Baldacconi, il quale rimproverato dall’ambasciata sarda, fu rimpatriato. L’opinione pubblica londinese fu tutta a favore di Mazzini e della sua istituzione, tanto che il biasimevole episodio (che non era stato il solo a verificarsi) fruttò una cospicua sottoscrizione di offerte a beneficio dell’opera. E Mazzini poteva con soddisfazione concludere con queste parole una lettera alla già accennata Quirina Magiotti: “I preti della cappella sarda ci fecero guerra feroce dal pulpito, ma non riuscirono”. Don Baldacconi però non si dava per vinto. Visto che l’azione di disturbo e di provocazione s’era ritorta a proprio danno, fece di tutto per ritornare a Londra con l’intenzione di soppiantare la scuola mazziniana fondandone un’altra rivale nelle sue vicinanze. Pensava così di risucchiare a sé gli alunni di Mazzini, con adescamenti ed intimidazioni di vario genere. Vi furono nondimeno pochissime defezioni: “Chi abbandonò la Scuola Italiana – scrive Mazzini – lo fece con dolore, forzato non per propria intenzione” ma perchè impaurito da pesanti e crudeli minacce. “Nondimeno, qui stiamo: uniti a una solennità di famiglia; e il vostro numero è andato via via crescendo, cresce e crescerà”, diceva durante la manifestazione del primo anniversario della Scuola. Ed anche Gabriele Rossetti, in quell’occasione, biasimava il fatto che quei preti non avevano mai pensato di istituire una scuola prima di allora, ed ecco che ora ne aprivano una in opposizione e in concorrenza. “O magnanimi inglesi - diceva -, l’ingiuria è fatta più a voi che agli Italiani, poichè è un attentato contro l’inviolabile libertà del vostro paese... Sì, l’affronto è più vostro che nostro, e voi dovete vendicarlo... Compite ora la nobile vendetta col proteggere questa Scuola, sostenendola e promuovendola con quell’assistenza liberale ch’era una delle vostre più ammirate caratteristiche”. Ed erano parole che non cadevano nel vuoto. Anche la chiesa evangelica aveva fondato una scuola per analfabeti ed un asilo per bambini poveri. Ma qui il movente era caritativo e niente affatto concorrenziale. Si distingueva in quest’opera assistenziale il toscano Salvatore Ferretti, che tra gli evangelici italiani svolgeva opera di edificazione pastorale, sia come predicatore, sia come direttore del periodico “L’eco di Savonarola”, il mensile protestante in lingua italiana, che in molte occasioni pulsava all’unisono coi periodici di Mazzini, nell’azione di lotta che trovava evangelici e mazziniani accomunati contro i poteri oscurantisti del papato e dei vari tirannelli reazionari italiani. Al mensile protestante infatti prestava la sua collaborazione lo stesso Pistrucci della scuola di Mazzini; come pure molti inni religiosi, in uso nella chiesa evangelica, erano composti da Gabriele Rossetti, poeta e maestro molto stimato in quella stessa scuola. http://ffiumara.wordpress.com/ 8 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara Elementi evangelici e mazziniani giubilarono insieme quando nel 1849, fuggito pio IX, si instaurò a Roma la repubblica mazziniana. Fu un momento di grande euforia che coinvolse tutti fino al punto da sognare la caduta definitiva del potere temporale del papa, e la conversione, diremmo quasi estemporanea, del popolo italiano al protestantesimo. C’era nell’aria una generale ed ingenua illusione che ingigantiva le speranze e gli aneliti non solo della gente comune, ma anche di uomini d’azione e di intelletto, tra cui Garibaldi, il quale – come si narra in qualche aneddoto – avendo ricevuto in dono dal pastore ginevrino Richard una Bibbia, avrebbe esclamato: ”Ecco il cannone che distruggerà il Vaticano”. E Giacomo Manzoni, rappresentante della Repubblica Romana a Londra, che confessava candidamente: “ Per me ho la ferma convinzione che alla fine del 1850 tutta l’Italia sarà protestante, quantunque ella lo sia già fin da adesso”. Va ricordato che anche Mazzini riteneva salutare e dirompente la divulgazione del Vangelo tra il popolo, se consideriamo che fu proprio lui, nei pochi mesi del suo triunvirato, ad accordarsi col pastore ginevrino Teodoro Paul per la pubblicazione e la divulgazione del Nuovo Testamento del Diodati nella città dei papi: un gesto che disigillava una tradizione di chiusura all’attenzione del popolo del testo sacro. Pochi mesi dopo il papa ritornava a Roma, presidiato e protetto dalle armi francesi, e le nutrite euforie si spensero nel cuore di tutti gli entusiasti, protestanti e mazziniani, sia in patria che all’estero. Quanto durò la scuola londinese di Mazzini? Stando a quanto Mazzini stesso lasciò scritto nei suoi ricordi, la scuola durò sette anni, e cioè dal novembre 1841 al 1848, anno in cui, con l’allontanamento del fondatore per i noti avvenimenti italiani, fu determinata la chiusura. Del resto era convinzione comune, di tutti i dirigenti, che il moto italiano si sarebbe consolidato e avrebbe dato luogo a nuovi ordinamenti e sistemi di vita, avrebbe cioè “aperto tutte le vie dell’insegnamento popolare in Italia”. “In quei sette anni – dice Mazzini – la scuola diede insegnamento intellettuale e morale a parecchie centinaia di fanciulli e di giovani semibarbari che s’affacciavano, sulle prime sospinti da curiosità e quasi paurosi, alle modeste stanze del n. 5, Hatton Garden; poi s’addomesticavano a poco a poco, conquistati dall’amorevolezza dei maestri”. Risulta però, da altre testimonianze di Mazzini stesso e di altri, che la scuola funzionò, forse ad intervalli e sotto altri dirigenti e maestri, anche dopo il 1848. Già prima di lasciare Londra, alla vigilia del ’48, Mazzini era riuscito, con fervida fantasia e con l’aiuto delle amiche inglesi (la Milner Gibson, la Fletcher, le sorelle Ashurst ed altre) ad organizzare concerti, bazar, collette e simposi, allo scopo di procacciare aiuti alla scuola, sia in danaro che in oggetti da vendere o sorteggiare. Manifestazioni di tal genere riuscivano sempre fruttuose ed erano consuetudinarie nel costume inglese. Quella volta (1847) la manifestazione, tenuta in casa della Milner Gibson, aveva dato introiti cospicui:”V’erano sei o sette tavole coperte d’oggetti, tenute da signore, tra le quali la padrona di casa ed altre d’alto bordo. http://ffiumara.wordpress.com/ 9 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara Cinque o sei uomini, tra i quali io stesso, insigniti dalla padrona di un nastro rosso, incaricati di mantenere l’ordine. Dalle due alle sei, pien di gente. Signore le più; carrozze ecc...Tra questo e il concerto che daremo, spero d’aver procacciato tanto, per la scuola, da poterla mandare oltre per un anno e mezzo”. Purtroppo le provvidenze si esaurivano durante la sua assenza, e quando una lettera di Usiglio gli rendeva note le ristrettezze che angustiavano la vita della scuola, Mazzini ebbe un moto di sconforto tale da scrivere ad Emilia Ashurst parole, quasi definitive, di abbandono della scuola. Usiglio lo aveva sollecitato di chiedere ancora alla Milner Gibson (la nota protettrice) aiuti finanziari per la scuola. Mazzini esita: “ La Signora Gibson ha già fatto troppo perchè le si chieda di fare altro ancora; e mi sembra molto ingiusto che, con tanti italiani che abitano a Londra, si debba chiedere agli inglesi, che stanno adesso aiutando alacremente i nostri esuli, di aiutare la scuola...Sessantaquattro italiani che pagassero ogni mese due scellini e mezzo, basterebbero a coprire queste spese. Che non si debbano trovare a Londra sessantaquattro italiani capaci di fare uno sforzo così immane? Se non è possibile lasciate fallire la scuola”... E però prega Emilia di interporsi presso gli amici italiani al fine di reperire i fondi necessari alla sopravvivenza dell’opera: “E’ troppo giusto che venga chiesto ai nostri italiani di fare il loro dovere”. E ancora nel ’51, tornato a Londra, dove, pur non avendo stabile dimora come negli anni precedenti, è da pensare che la scuola continuasse a vivere, sotto la sua protezione, sia pure con difficoltà ed in modo precario, come del resto si arguisce da certe sue corrispondenze. In una letterina indirizzata al piccolo Jasper, figlio della Milner Gibson, datata 1 maggio 1855, Mazzini scrive: Caro Jasper, la tua mamma mi dice che ti interessi tanto della mia scuola Italiana, e ti dirò che l’offerta che tu hai mandato per i bambini italiani, mi ha fatto doppiamente piacere, perchè essa è molto utile ai miei piccoli protetti e soprattutto perchè, come mi dice la tua mamma, tu ti sei privato di varie cose interessanti per poter mandare quei venti scellini...Vieni a trovarmi alla scuola, caro piccolo amico. Ti farò conoscere vari bimbi, tra cui uno spazzacamino di dodici anni che colla creta fa delle bellissime cose. E ancora, qualche anno dopo, alla sorellina Sydney scriveva. “Se sapessi, cara Sydney, come vorrei che tu assistessi alle lezioni che i miei amici Ashurst e il Sig. Taylor e la buona Signorina Martineau fanno ai bimbi della Scuola italiana. Tu comprendi abbastanza l’italiano per intendere ogni cosa, e conosceresti così meglio la storia di tutte le sofferenze del mio paese e degli eroismi di tanti giovani e giovanetti italiani”... Sono due testimonianze che ci mostrano la scuola mazziniana ancora funzionante (e siamo nel 1857) e con la presenza di Mazzini, immerso come prima nell’attività di educatore e maestro. Forse qualcosa era mutata dalla primigenia ideazione; gli insegnanti certo erano altri, come pure la sede e forse anche gli indirizzi. Forse per Mazzini il 1848 segnava la fine del primo periodo di essa, ch’era stato certo il più prosperoso e ricco d’entusiasmo. http://ffiumara.wordpress.com/ 10 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara In una memoria storica, firmata da W. Enry Brown, celebre fondatore del cooperativismo inglese, leggiamo che “nel 1851 l’Istituto fondato da Roberto Owen per promuovere la comunità industriale celebrò l’ottantunesimo anniversario del grande riformatore. Mazzini fu invitato, ma non potè lasciare la scuola dei ragazzi italiani, che erano da lui preparati per la campagna di liberazione in patria, al loro ritorno. Dopo la caduta della Repubblica a Roma, nel 1849, - riferisce Brown – Mazzini era ritornato a Londra, alla scuola in Greville Street n. 5”. Ed afferma che “la scuola fu chiusa nel 1853”, ricordando con tristezza che “la sua sede in Greville Street n. 5 fu bombardata e distrutta dal cielo durante la seconda guerra mondiale”. E conclude dicendo che quel posto segna un evento importante nella storia dell’emancipazione sociale. Ed ancora una testimonianza sulla scuola mazziniana, raccolta da Terenzio Grandi, da cui apprendiamo che un certo Simone Nadale, falegname di Como, conosciuto ed intervistato dallo stesso Grandi nel 1912, “si recò a Londra nel 1858 all’età di anni diciassette; e nelle ore serali, volle frequentare la scuola italiana, della quale uno dei primi discepoli era stato un suo cugino che ora ha ottantatre anni... Merita attenzione il fatto che tra le cose udite da Mazzini più lo colpirono, e sono rimaste meglio impresse nella sua memoria, certe massime di moderazione, tolleranza e rispetto per gli avversari... Fu solo nel 1860, checchè altri abbia detto, che la Scuola Gratuita Italiana cessò del tutto; e cessò perchè i fondi, come pure i maestri italiani, vennero assorbiti nella guerra del ’59, e indi dalla spedizione in Sicilia e da altri avvenimenti dell’anno seguente. Al direttore, Celestino Vai, Mazzini disse di regalare agli scolari quei libri scolastici che non si potessero vendere a beneficio della causa italiana, ed alcuni ne toccarono anche a Pietro Nadale, che li conserva come cimeli”. Indipendentemente dalla durata della Scuola di Mazzini, la cui data di chiusura è contraddittoria, resta il riconoscimento meritevole di ricordo e d’imitazione, come abbiamo visto, che si leva a più voci a distanza di un secolo, quasi a ribadire il principio irreversibile della educabilità dell’uomo e l’instancabile vocazione di Mazzini, educatore nato, ad incarnarne tale principio nella prassi operativa. Pensiero ed azione in coerente ed armoniosa sintonia. Come sempre. Anche se Mazzini stesso, nel ricordare quella istituzione, non va oltre certi scopi di beneficenza e di solidarietà umana, dobbiamo riconoscere che al di là del fatto puramente filantropico e consolatorio, spirava in quella scuola il soffio vitale dei grandi convincimenti di elevazione umana, come matrici di storia e di civiltà. Mazzini dava all’educazione una grande importanza politica, poiché – diceva – “a fondare una nazionalità è necessaria la coscienza di questa nazionalità”; l’educazione, quindi la scuola, doveva costituire la base su cui poggiare l’edificio della nazionalità. Errava la stampa reazionaria italiana che presumeva burlarsi di Mazzini, ironizzando sulla sua intrapresa di improvvisarsi condottiero d’un esercito di piccoli mendicanti straccioni, organettari e figurinai, lanciati da Londra all’assalto della penisola italiana per conquistarla alla libertà repubblicana! Quei piccoli mendicanti stracciati e digiuni, in uno coi loro padri, sarebbero un http://ffiumara.wordpress.com/ 11 © 1987 Mazzini tra le brume di Londra Francesco Fiumara giorno serviti, se non come battaglione d’assalto, certamente come lievito di espansione rivoluzionaria, quando l’ora sarebbe giunta delle rivendicazioni indipendendiste e unitarie. Le correnti migratorie del popolo italiano, nei vari stati esteri d’approdo, costituivano, ben a ragione, agli occhi di Mazzini, un materiale umano molto consistente, per quanto disperso, e che, se educato all’idea nazionale, rappresentava l’anima della patria vera al di fuori del suo territorio naturale, “Un popolo in germe, l’Italia in miniatura”, com’egli diceva, in cui era presente “una promessa per l’avvenire”. Non s’era forse similmente adoperato Gramsci, nel carcere di Turi, istituendo una palestra di studio per i prigionieri politici, suoi compagni di cella e di partito? Il visionario Mazzini, pur nella incomprensione, e a volte anche nella derisione, vedeva forse più giusto di tanti altri che, sfoderando senno e saggezza, nulla concedevano alla fantasia nella ricerca d’una prospettiva che richiedeva sforzi di divinazione per essere scoperta ed assimilata: proprio come in un gioco in cui l’esito vincente riposa più sulla immaginazione che sulla logica. E perciò, con accento che si direbbe profetico, egli non cessava mai d’esortare quei suoi stessi amici e compagni d’esilio, che si mostravano increduli o indifferenti dall’efficacia del lavoro all’estero, sia, come abbiamo visto, per l’Unione Operaia e per l’Apostolato Popolare, sia per la fondazione delle scuole gratuite: “Pubblichiamo giornali coi princìpi nostri in ogni parte del mondo dove ci sono italiani; istruiamo, educhiamo, affezioniamoci gli operai, i fanciulli derelitti; teniamo sempre presente che là c’è l’Italia, la patria loro schiava, che essi devono liberare per potervi rientrare un giorno e vivere la vita di liberi e onesti cittadini”. Erano parole che, se non sempre, il più delle volte trovavano terreno fertile, se ad un anno di distanza, sull’esempio di Londra, scuole gratuite sorgevano a New York, a Boston, a Montevideo, alcune anche fornite di giornale periodico, con la collaborazione di Felice Foresti, di Giovanni Albinola, di G.B. Cuneo, dei siciliani Attinelli e Sartorio. E sollecitazioni venivano da Mazzini avanzate perchè anche Parigi e Lione (pur essi centri importanti di emigrazione italiana) potessero avere le loro scuole gratuite. Di tutte queste istituzioni, vibranti di spirito mazziniano, in paesi lontani che furono liberi approdi a molti lavoratori italiani, rimane l’eco malinconica di qualche sbiadito ricordo. Nessuno di noi ha la possibilità di misurare appieno il loro apporto positivo sulla bilancia della storia; nessuno di noi potrà avere il diritto di svalutarne o peggio deriderne l’efficacia, che pure, quelle istituzioni, avranno potuto avere nella loro funzione di elevazione umana e di emancipazione politica. http://ffiumara.wordpress.com/ 12