Nuovi dubbi per adulti preoccupati e paurosi, nuove fatiche per

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Nuovi dubbi per adulti preoccupati e paurosi, nuove fatiche per
Conflitti DOSSIER
Nuovi dubbi per adulti preoccupati
e paurosi, nuove fatiche
per adolescenti fragili ma curiosi.
intervista a Matteo Lancini, psicologo
a cura di Elisa Mendola
Il mondo virtuale è senza dubbio la “casa” della maggior
parte degli adolescenti. Si comunica attraverso telefonini,
chat e network. È possibile
parlare di gruppo quando si
parla di comunità virtuale?
Esiste un apprendimento
gruppale quindi nei social forum?
È verissimo che il mondo degli
adolescenti odierni, spesso denominati “nativi digitali”
(espressione peraltro già superata
dal nuovo termine “touch generation” – bambini che crescono
in un mondo nel quale l’interazione passa attraverso il tocco)
pone delle nuove questioni rispetto ai processi di apprendimento e della socializzazione.
Se riflettiamo sulla presenza degli
strumenti tra le mani dei giovani
notiamo che la maggior parte di
questi vengono regalati dai genitori: l’immersione nella virtualità è paradossalmente sostenuta
dagli adulti che ne hanno timore
(un esempio sono i telefonini regalati sempre più precocemente,
anche a bambini delle elementari, per poter rimanere sempre
in contatto con i figli seppur a distanza(1) o la scelta di tariffe internet illimitate a favore dei figli).
Come cambia quindi il sistema di
apprendimento a livello cognitivo?
I bambini non sono arrivati alle
tecnologie come immigrati nel
mondo virtuale bensì sono nati
con questi strumenti già a loro disposizione. È vero che la dimensione di alcuni programmi - come
Messenger o Facebook - ha proposto un nuovo modo di relazionarsi, un nuovo modo di conoscersi: in rete, senza corpo, e
spesso in gruppo.
Il nostro compito è studiare quindi
cosa significa e quali sono i cambiamenti in atto.
I videogiochi sono molto utilizzati dai ragazzi di oggi e gli
schermi sono pane quotidiano
anche per i più piccoli. Sorge
spontanea una domanda: una
volta giunti a scuola, dove le
nuove tecnologie sono distanti
anni luce, questi bambini della
touch generation impareranno a
leggere, a scrivere, a fare i calcoli
e ad allenare la memoria senza
un touch su un computer?
Matteo Lancini è psicologo, psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano e professore incaricato di “Psicologia del ciclo di
vita” e di “Psicopatologia generale e dell’età evolutiva” presso
l’Università di Milano-Bicocca.
Questa è la questione della
scuola odierna, che in parte è restia alle novità e guarda con sospetto le tecnologie e in parte le
vorrebbe utilizzare. In generale,
in questo momento storico, il rischio della scuola è quello di arroccarsi in difesa di una tipologia
di apprendimento e di cultura
che solo la scuola può portare
avanti, in contrasto con una formazione “on line”, aggiornata
ma superficiale, come quella di
Wikipedia(2).
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Io difendo molto l’istituzione
scolastica e ne comprendo e sostengo appieno le potenzialità
formative, che penso debbano
trasformarsi per essere ancor più
efficaci. Un esempio: esiste un
regolamento scolastico formale
per il divieto dell’uso dei telefonini nelle scuole, che viene però
disatteso, perdendo in questo
modo il suo significato e la sostanza della regola, rendendo
cioè l’ intervento del mondo
adulto inattuabile.
Più che schermare la scuola con
l’idea che i ragazzi si concentrino
di più se “isolati” dal resto del
mondo, bisognerebbe prevedere
interventi di modernizzazione
che la aprano a nuovi strumenti
e la rendano più vicina ai ragazzi
(comunque con un adattamento
non seduttivo ma critico).
I ragazzi sono concentrati se motivati, instaurano relazioni significative se spinti a farlo, si pongono in modo positivo allo studio se hanno la percezione che
ciò che apprendono sia un sapere utile alla crescita e non una
cultura stereotipata... in questi
casi spengono i telefonini, ascoltano gli insegnanti e si mostrano
interessati.
Se oggi c’è una generazione motivata è quella degli adolescenti!!
Al contrario di quello che si
sente e che abbiamo scritto tutti
per anni, non sono più indifferenti bensì sono ragazzi meno
disposti a seguire gli adulti in
modo compiacente, ma desiderosi di avere uno spazio proprio
di espressione.
D’altra parte, proprio perché più
fragili narcisisticamente e sempre
protesi al mondo virtuale, fanno
più fatica a sostenere le modalità
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e le tempistiche di una tradizionale
lezione frontale (correndo spesso il
rischio di essere definiti erroneamente come “iperattivi”) e si prospetta agli educatori odierni una
nuova fatica nell’apprendimento.
C’è un’altra differenza sostanziale
rispetto al passato: una difficoltà
per le generazioni di oggi a studiare completamente da soli e in
silenzio (almeno una radio in sottofondo, o un pc acceso, o la
mamma in cucina, o un collaboratore domestico devono esserci).
Queste novità non sono da condannare (per esempio portando i
cavi del pc a lavoro per evitare che
il figlio si colleghi su web..) ma
dobbiamo studiarle, osservare i ragazzi e riflettere sulla ricerca di
nuove motivazioni condivise per
scuola e famiglie e su come aiutare
gli adolescenti odierni a tollerare la
sofferenza e la solitudine che inevitabilmente fanno parte dell’esperienza dello studio.
Se dovessimo dare, a genitori ed
educatori che si occupano di ragazzi, alcune indicazioni, che
cosa si sentirebbe di dire rispetto
al nuovo modo di essere giovani
oggi? Quali sono le modalità
“sostenibili” per entrambi per
entrare efficacemente in relazione?
Dipende da nuovi modelli educativi e da una trasformazione sociale ben nota; penso che il ruolo
adulto debba essere rigoroso, un
adulto senza riserve (come cita Jeammet(3)) che mantenga una certa
verticalità nella posizione.
Io sono molto critico quando sento
che famiglia e scuola devono riprendere il loro ruolo educativo…
è verissimo, ma cosa vuol dire?
Fare paura? Sottomettere? Punire? Questo sembra spesso un
modo finto di essere adulto autorevole che nasconde una difficoltà nell’individuare forme significative di relazione educativa.
Penso piuttosto ad un modello di
adulto rigoroso che debba adottare una nuova modalità di porsi,
tenendo conto di ragazzi contemporaneamente fragili, spregiudicati e relazionali, per esempio proponendo punizioni creative, con l’idea di una scuola che
non sia un posto dal quale venire
allontanati se ci si comporta
male, ma al contrario, un luogo
dove restare di più. Per fare questo bisogna lasciare stare gli slogan televisivi e lavorare invece su
un’ alleanza tra scuola e famiglia,
senza la quale non esiste la possibilità di effettuare interventi educativi, anche severamente sanzionatori, efficaci.
Se un preside decide di tenere
due ragazze in orari extrascolastici
a ripulire i muri dove vi sono
scritte contro un ragazzo che ha
lasciato una delle due, e il padre
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di una studentessa telefona dicendo che se sua figlia non fosse
tornata subito a casa avrebbe denunciato l’istituzione scolastica,
chiaro è che il valore dell’intervento educativo viene perso.
Da questo possiamo capire come
sarebbe utile se gli adulti, invece
che darsi la colpa a vicenda e ricorrere sempre più frequentemente alla denuncia, si trovassero di più la sera a discutere sul
nuovo ruolo genitoriale-educativo per cercare di dare delle risposte intelligenti e appropriate
ai ragazzi.
Vi è nel mondo adulto un forte
allarmismo nei confronti dei
social network e dei video giochi. Questo sentimento è
spesso legato all’ignoranza di
chi non ha dimestichezza con
questi strumenti e pensa che
possano portare solamente ad
un ritiro sociale e ad un disagio. Eppure, nel libro Sempre
in contatto, abbiamo letto che
le chat possono essere definite,
in certi casi, delle palestre sociali, e la realtà virtuale può in
realtà dare una mano a coloro
che faticano ad esprimersi e
mettersi in relazione con l’altro.
Questi dati presentati nel suo libro non sembrano andare in
contrasto con le convinzioni
della maggior parte degli adulti?
Senza sottovalutare il nuovo fenomeno delle dipendenze non chimiche(4) ma comportamentali che
stiamo studiando, confermo l’inadeguatezza di una condanna indistinta della rete e della tecnologia.
Infatti, nei grandi numeri, la nostra ricerca (come tante altre) dimostra che in adolescenza non si è
ancora sviluppata una vera e propria dipendenza. La domanda è
pertinente perché dovremmo capire, per ogni singolo caso, che significato ha l’uso dei videogames
piuttosto che della chat, provando
a comprendere quando questo utilizzo compie funzioni a sostegno
dei compiti evolutivi e quando si
intravedono invece segnali preoccupanti.
Teniamo conto, per esempio, che i
videogiochi sono un’area dove si
possono mettere in atto degli straordinari processi di simbolizzazione, luoghi dove un preadolescente maschio può identificarsi
con personaggi straordinari e potenti e lavorare simbolicamente
intorno al proprio sviluppo corporeo. Riduciamo l’allarmismo,
non è detto che un bimbo piccolo e timido che gioca ruoli violenti nei videogiochi poi nella
vita reale attui comportamenti
pericolosi, diverso è ovviamente
se rimane attaccato ad uno
schermo per l’intero pomeriggio.
Lo stesso si può dire delle chat,
un possibile momento di esplorazione per acquisire sicurezza
nella relazione e per verificare se
si è accettati dall’altro.
Senza banalizzare i rischi (che in
caso di abuso nell’esposizione ai
mezzi virtuali sono numerosi.) è
quindi importante tenere conto
anche degli aspetti evolutivi che
la tecnologia mette a disposizione, come dimostrano i recenti
studi adolescenziali(5) che confermano la prevalenza di un uso
fisiologico del Pc a sostegno dell’esplorazione del sé, e come
esperienza importante nel processo di crescita e di manutenzione delle relazioni dell’adolescente odierno.
(1) L’età media in cui si entra in possesso del primo cellulare è di circa 12 anni e la maggior parte dei ragazzi ritiene che la principale funzione del telefonino risieda nella possibilità che offre di essere sempre in contatto con gli amici (45%), seguita dall’opportunità di scambiarsi informazioni utili (34%). Una percentuale minoritaria dl campione indica, invece, l’essere rintracciabile dai genitori (16%) e il giocare e fare fotografie o ascoltare musica (4%). Sempre in contatto, M. Lancini e L. Turuani, Ed Franco Angeli,
Milano 2009. pag 75
(2) www.wikipedia.org : un’enciclopedia online, multilingue, a contenuto libero, redatta in modo collaborativo da volontari
(3) Jeammet Philippe Adulti senza riserve. Quel che aiuta un adolescente Ed Raffaello Cortina, Milano 2009
(4) Sebbene le dipendenze principali e più conosciute siano quelle che si riferiscono alle droghe, esiste un altro gruppo di dipendenze
legate a oggetti o attività non chimiche. Le Dipendenze Comportamentali (da alcuni chiamate in Italia New Addictions) comprendono tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica. L’oggetto della dipendenza è in questo caso un comportamento o un’attività molto spesso lecita e socialmente accettata.
(5) Secondo i punteggi ottenuti alla Ysr ( Youth Self Report) sono i ragazzi che non utilizzano mai Msn né gli Sms ad avere più problematiche di ritiro e difficoltà nelle relazioni, e non quelli che ne fanno ricorso quotidianamente.
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Niccolò Ammanniti
IO E T E
Einaudi, coll. Stile libero, Torino, 2010
Un ragazzo di quattordici anni è il protagonista di questa storia che ha dell’incredibile
ma è assolutamente realistica. Un disagio interiore che parte da lontano, viene esplorato tra le righe un rapporto madre figlio, la figura di un padre sottilmente assente nella
sua presenza e un amore molto forte, fraterno.
Non posso svelare oltre,perché ogni parola in più potrebbe fornire elementi al lettore
che inevitabilmente gli rovinerebbero la sorpresa.
Non so se si possa dire profondamente emozionante o che fa riflettere o ancora che lascia un vuoto dentro. Tutte queste cose si possono dire di questo libretto, perché si
tratta di un racconto lungo, più che di un romanzo. La copertina porta un enigmatico disegno dell’autore fatto a carboncino. E già questo lascia un preciso segno. Nero su
bianco.
Non svelo nulla di altro sul racconto, ma posso dire che Ammanniti ha scritto un piccolo
capolavoro, quasi una rassicurazione ai suoi lettori, probabilmente depistati dopo il romanzo Che la festa cominci, satira pseudo comica che ha messo al centro il paradosso e l’assurdo per raccontare, forse, una società
molto simile alla nostra.
Ammanniti è un personaggio famoso, scrittore di fama ma schivo, non avvezzo alle cronache né ai programmi televisivi; ha raccontato nei suoi romanzi soprattutto legami. Legami parentali, storie di padri e figli, di bambini
violati, di fatiche a crescere. Si percepisce una attenta sensibilità soprattutto nei confronti dell’infanzia. Qualcuno lo ha paragonato a Ian McEwan. A me piace pensarlo come a un attento ascoltatore e narratore di quotidianità. Estremo a volte, ma sempre molto coinvolgente. Io e te va bene per gli adolescenti e va bene per gli
adulti. Ad ognuno il suo carico di domande da porsi.
Angela Carlet
Gustavo Pietropolli Charmet, Loredana Cirillo
ADOLESCI ENZA
Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi.
San Paolo , Cinisello Balsamo, 2010
Anni fa si pensava che per stabilire una buona alleanza con l’adolescente in crisi gli psicologi dovessero tenere a distanza i genitori per documentare all’adolescente che era
lui il destinatario e il promotore dell’intervento e che non si stava lavorando per conto
dei genitori. Nulla di più sbagliato: è l’adolescente spesso a sperare che anche i genitori partecipino all’impresa e siano coinvolti nel tentativo di capire e risolvere ciò che
lo fa soffrire e ritarda lo slancio verso la crescita. Questo concetto, al Minotauro,
l’hanno capito e proprio da questo “patto” nasce Adolescienza, un libro che in sessantacinque punti essenziali affronta – con l’intervento di diversi esperti - i principali
problemi con cui mamme e papà devono fare i conti quotidianamente.
In questo libro, diviso in cinque capitoli, ampio spazio è dedicato ai cambiamenti dell’adolescente e alle prime trasgressioni, dal “bella ciao” al “bella zio”, dalla cameretta
off limits al diario segreto lasciato sulla scrivania, dal coprifuoco notturno ai compiti
e alle assenze scolastiche, dal “dopo” al “non rompere”, dalle amicizie virtuali alle sigarette,droga e alcool. E
l’elenco continua.
Una parte interessante è infine dedicata alla scoperta della sessualità, dell’amore e degli ideali dei ragazzi; molti
genitori dissentiranno leggendo che Il conflitto non esiste, ma saranno concordi quando leggeranno che si riferisce a un conflitto ideologico intergenerazionale che si è notevolmente attenuato e non all’attacco a quei comportamenti ribelli e ostili tipici dell’età adolescenziale (che portano invece a continue discussioni con le figure educative), poiché secondo i ragazzi se ci si stima (…bella zio) reciprocamente il passaggio all’età adulta (preferibilmente in una dimensione gruppale) potrà resistere agli eventuali scossoni all’autostima conservando una parte
di sé infantile onnipotente.
Con un taglio immediato e un linguaggio chiaro, con diversi esempi utili e racconti, G.P.Charmet e L.Cirillo ci illustrano il mondo degli adolescenti, sfatano vecchi miti, incoraggiano i nuovi genitori nel loro difficile ma affascinante ruolo.
Elisa Mendola
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