[nazionale - 12] giorn/esteri/pag01 01
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12 Esteri Marcello Foa 쎲 «Sarkozy stia attento; per vincere le presidenziali deve dare ascolto alla Francia che conta». AlainGérard Slama è uno dei grandi intellettuali della destra moderata francese. Membro del Comitato editoriale del Figaro, commentatore di France Culture, docente alla facoltà di Scienze Politiche la sua voce è molto ascoltata. Lui la Francia che conta la conosce benissimo, ma non è quella dell’élite uscite dalle Grandi Scuole, perlomeno non in un anno elettorale. È «la maggioranza silenziosa» che non fa mai parlare di sé. È quell’esercito di funzionari pubblici in grado di determinare il nome del successore di Chirac. A Milano per presentare il suo saggio La regressione democratica, pubblicato da Spirali, Slama ha concesso questa intervista al Giornale. Perché tanta cautela nella sua analisi? «Io mi auguro ovviamente un successo di Sarkozy, che in questa campagna elettorale sta dimostrando le sue notevoli doti politiche: è un eccellente comunicatore, è preparato e competente, ha un programma autenticamente liberale e sa restare in contatto con la società civile. Tuttavia temo che stia sottovalutando le capacità di resistenza di parti importanti dell’elettorato francese». Dove sta sbagliando? «Vedo due errori: il primo è di proporre il modello della discriminazione positiva per risolvere i problemi sociali. L’esperienza dimostra che queste soluzioni non risolvono nulla e anzi peggiorano la situazione. Si è creato nel Paese un meccanismo per cui si dà ascolto solo alle minoranze che alzano la voce, nonostante in realtà spesso non siano affatto rappresentative. Ho l’impressione che Sarkozy non il Giornale 쐌 Giovedì 1 marzo 2007 «Sarkozy stia attento: per vincere non trascuri la Francia che conta» abbia capito le insidie di questo processo: non è a quella Francia che deve rivolgersi ma a quella quieta, poco visibile, che però è maggioritaria. La Francia delle minoranze, del politicamente corretto, del multiculturalismo, dell’individualismo tribale, che è pericoloso per la stessa democrazia, vota a sinistra. La mia seconda inquietudine riguarda la reazione ad alcuni suoi progetti liberisti». Teme che Sarkozy finisca come la Merkel alle ultime elezioni tedesche? «È possibile, anche se paradossalmente in Germania Schroeder aveva già portato a compimento diverse riforme. Quando Sarkozy annuncia che non sostituirà L’intellettuale Alain-Gérard Slama: «Temo reazioni negative ai progetti liberisti. La paura dei dipendenti pubblici può condizionare il voto» un funzionario su due nell’amministrazione pubblica dimostra grande onestà intellettuale, ma rischia grosso. Questo è un Paese che ancora crede nel ruolo dello Stato e la prospettiva di una riduzione così netta dei di- pendenti rischia di provocare un rigetto massiccio, non fosse che per paura». Ma Ségolène Royal finora non è sembrata credibile... «Ha commesso l’errore di pensare di poter fare tutto da sola e ha pagato un caro prezzo. Ma poi è riuscita a riscattarsi dando buona prova di sé durante il dibattito televisivo con cento cittadini; sull’onda, ha ricucito i rapporti con i leader del Partito socialista correggendo il programma. Insomma, è tornata in corsa, anche se non può più permettersi errori». Il leader centrista Bayrou continua a salire nei sondaggi. Sarà lui la vera sorpresa? «Rappresenta la Francia cristiana e sociale, ancora «Miauguroilsuosuccesso,maSégolèneavràilvotodelle corporazioniedeifrancesichenonamanoicambiamenti» Prisma radicata in provincia. Al contempo Bayrou è profondamente ancorato ai valori della Repubblica. È molto ambizioso e questo finirà per costargli caro: non si può essere simultaneamente gollisti e democristiani. Otterrà un buon risultato al primo turno, ma non ha chances di arrivare al ballottagio». E dunque chi vincerà al secondo turno tra Sarkozy e la Royal? «La campagna è ancora lunga ed è azzardato fare pronostici. Sarkozy si muove con molta determinazione e gli è già riuscito un miracolo: di solito i candidati della maggioranza di governo uscente vengono puniti dagli elettori, questa volta no. Tuttavia la mia sensazione è che Ségolène sia leggermente avvantaggiata grazie al voto delle corporazioni, delle minoranze, delle comunità, dei francesi che hanno paura di un cambiamento troppo drastico. Ovviamente spero proprio di sbagliarmi». IL LEADER UMP «Amici degli Usa ma più autonomi» Parigi. Alleati degli Usa sì, ma «liberi»:per Sarkozy, la Francia e la Ue devono essere più «autonomi» da Washington. Il candidato dell’Ump all’Eliseo aveva detto in passato di voler rafforzare i legami con l’Americadopoil«grandefreddo»seguito alla crisi irachena, ma ieri a Parigi ha voluto affermare l’indipendenzadaivincolidell’atlantismo.«VogliounaFrancialibera, voglio un’Europa libera, chiedo quindi ai nostri amici americani dilasciarci liberi, liberidi essere loro amici» ha detto Sarkozy, per cui «l’amicizia non è sottomissione». L’amicizia fra l’Europa e gli Stati Uniti è «una necessità per l’equilibrio del mondo». PREOCCUPATO L’intellettuale francese Alain-Gérard Slama. A destra, Nicolas Sarkozy CLAMOROSA RICHIESTA DI GLOBUS, IL PRINCIPALE SETTIMANALE DI ZAGABRIA «Mesic sbaglia su foibe ed esodo, si dimetta» Fausto Biloslavo 쎲 Il presidente croato Stipe Mesic dovrebbe dimettersi per le sue dichiarazioni sulle foibe: Tito attuò la pulizia etnica ai danni degli italiani, con i quali Zagabria dev’essere solidale. La coraggiosa presa di posizione, assolutamente controcorrente in Croazia, è il riassunto dei passi più significativi di un articolo pubblicato da Globus, importante settimanale di Zagabria. Lo ha firmato il noto giornalista croato Denis Kuljis, dopo che Roma e Zagabria hanno ritrovato un’intesa al termine del braccio di ferro fra Mesic e Giorgio Napolitano sulle foibe e sull’esodo degli italiani da Istria, Fiume e Dalmazia alla fine della Seconda guerra mondiale. L’editorialista di Globus chiede l’impeachment per il presidente Dure critiche al presidente croato per avere contestato Napolitano: «Tito mise in atto una spietata pulizia etnica ai danni degli italiani» croato e sottolinea che le parole di Napolitano - pronunciate il 10 febbraio, giornata del ricordo della tragedia delle foibe e dell’esodo, che fecero infuriare Mesic - sono sostanzialmente giuste. «Quella attuata dall’esercito di Tito nei territori del Friuli-Venezia Giulia nel dopoguerra è stata null’altro che pulizia etnica, eseguita spietatamente – scrive Kuljis - e con l’intento di eliminare la popolazione autoctona da quelle aree. Un certo numero di italiani è finito nelle foibe, altri sono stati affogati in mare, ma la maggior parte è stata avviata all’esilio con una combinazione tra politiche repressive e rovina economica. Il tutto nell’ottica della cosiddetta tecnica rivoluzionaria del- INCOMPRENSIONE Stipe Mesic l’espropriare l’espropriatore». Kuljis spiega che nel 1910, nelle regioni fiumana, triestina, goriziana e zaratina, ben prima dell’avvento del fascismo, il 61% della popolazione era di madrelingua italiana, il 25% slovena e solo il 13,5% croata. «Dopo la guerra, e stando alle fonti croate, da quelle regioni i comunisti avevano cacciato 220–225mila persone (350mila per le fonti italiane), di cui 188mila dai territori ora Croazia», ricorda Kuljis. Il giornalista di Globus scrive che un destino simile, se non peggiore, toccò anche alla minoranza tedesca che viveva in Slovenia e nel- le regioni della Slavonia e della Vojvodina, oltre a turchi e albanesi in Macedonia e Kosovo. In tutto un milione di persone fu costretto ad emigrare da liquidazioni di massa, espropri e pressioni politiche. Un progetto pianificato dal regime di Tito, sottolinea Kuljis, piano di cui è doveroso parlare: «Non siamo noi i colpevoli per quanto perpetrato 60 anni fa, ci sentiamo invece solidali con gli italiani». Il giornalista croato fa notare, inoltre, che al fianco di Mesic, come consigliere per la politica estera, c’è Budimir Loncar. Classe 1924, fedelissimo di Tito, che era croato, ricoprì in Dalmazia ruoli di rilievo nel Partito comunista e secondo Kuljic era il capo dell’Ozna, la famigerata polizia segreta a Zara e dintorni. Ultimo ministro degli Esteri della Jugoslavia, Loncar è oggi consigliere di Mesic: si comincia a capire lo scivolone anti-italiano della Croazia. IL LÌDER MAXIMO TORNA A FAR SENTIRE LA SUA VOCE ISRAELE Bufera su neoministra: si era finta laureata Gerusalemme. Monta in Israele la polemica per la parlamentare Estherina Tartman, designataaministro del Turismodalsuopartito, Israel Beitenu, movimento di estrema destrarussofono:laTartmansièfattapassare per laureata senza esserlo. La stampa ha scopertoche,contrariamenteaquantoaffermato dall’interessata e a quanto appare nellasuabiografiaufficiale,l’esponentediIsraele Beitenu non solo non è laureata in economia, ma non ha neppure un diploma di ragioneria. L’imbarazzo della Tartman è tale che non si è fatta più vedere in pubblico. Castro: «Ora ho più energia» Dialogo alla radio col presidente venezuelano Chavez da Caracas 쎲 Dopo sette mesi di silenzio, la voce del dittatore cubano Fidel Castro torna ai microfoni. Non ai microfoni della radio dell’Avana, ma a quelli del «delfino» di Castro, il presidente venezuelano Hugo Chavez. Castro non aveva mai parlato pubblicamente dalla fine di luglio, quando si sottopose a un intervento chirurgico all’intestino che si è rivelato con il passare dei mesi ben più grave di quanto la dirigenza cubana avesse fatto trapelare nelle prime ore. La telefonata a sorpresa di Castro è stata un colpo a effetto della trasmissione di Chavez «Alò presidente», che ora va in onda tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, con alcune sortite del presidente anche la domenica. La conversazione è durata mezz’ora circa, con un tono spesso scherzo- so. «Perdonami, sono stato prolisso e ti ho rubato la metà del tuo programma», ha detto ad un certo punto Castro a Chavez. Il lider maximo, che ha ceduto temporaneamente il potere al fratello Raul, ha raccontato a Chavez di sentirsi «con più energia, con più forza» e, ha aggiunto, «ho più tempo per studiare. Sono tornato, in due parole, ad essere uno studente». ENTRO L’ANNO Bosnia, Londra ritira tutte le sue truppe Londra. Entro il 2007 tutte le truppe britanniche saranno ritirate dalla Bosnia. Secondo anticipazioni di Downing Street, l’annuncio dovrebbe esser dato oggi dal ministro della Difesa Adam Ingram ai Comuni. Nell’ex Repubblica jugoslava sono rimasti 600 militari, in gran parte Guardie gallesi, di stanza vicino a Banja Luka. Le truppe, parte della forza militare dell'Unione europea Eufor, sono impegnate in una missione di mantenimentodellapaceeinlavoridiricostruzione. L’Ue ha deciso di ristrutturare e ridimensionare le forze in Bosnia: da 6.500 a 2.500. w Se l’Occidente aiuta i talebani ROBI RONZA A l di là della crisi apertasi in Italia dopo il voto del Senato sull'Afghanistan, resta il fatto che quello della presenza di nostre forze a Kabul sarà un problema di lana caprina per qualunque governo italiano prossimo venturo, quale che sia la coalizione politica sulla quale si fonderà. Vale infatti la pena di ricordare qui gli elementi di fondo della situazione afghana in quanto tale. Sul piano militare il pasticcio comincia proprio quando, alla fine del 2001, le truppe degli Usa e dei guerriglieri afghani loro alleati entrano vittoriose in Kabul senza incontrare la minima resistenza. Come ciò sia potuto accadere è presto detto: abbandonata tempestivamente la città, le forze del regime talebano si stavano ritirando verso le loro roccaforti situate nell'Afghanistan sudorientale, al confine con il Pakistan. Avanzando verso Kabul le truppe Usa e i loro alleati afghani non erano mai entrati in contatto con i talebani in ritirata, e poi si fermarono a Kabul senza inseguirli. Né i talebani in ritirata subirono attacchi aerei di qualche rilievo. Considerando tutti questi elementi viene da pensare che ciò sia avvenuto in forza di qualche accordo segreto tra le due parti. Difficile dire se ciò sia vero. Restano però i fatti, ovvero il ritiro indisturbato dei talebani da Kabul, e il loro indisturbato riposizionamento nelle province sudorientali dell’Afghanistan. Controllando totalmente l’esportazione illegale dell’oppio e dei suoi derivati, di cui questi territori sono oggi i massimi produttori sulla scala planetaria, i talebani si pagano tranquillamente le loro spese di guerra. Nello scorso anno si calcola che dall’oppio afghano sia state estratte 672 tonnellate di eroina, pari al 90% del mercato mondiale di questa droga. Beninteso, in Afghanistan il papavero da oppio viene coltivato ovunque. Mentre però nelle zone sotto controllo governativo la sua coltivazione è combattuta (seppur in modo non molto rigoroso) nelle zone sotto controllo talebano i contadini sono non soltanto autorizzati ma anche incoraggiati a coltivarlo. Dal loro truce punto di vista l’esportazione di droga diventa così un’arma doppiamente efficace: da un lato snerva la gioventù occidentale e dall'altro rende denaro da spendere in armi e vettovagliamenti. Chi dunque in Italia, e ovunque in Occidente, compra l’eroina e suoi derivati non solo si autodistrugge, ma anche in pratica finanzia il terrorismo talebano. Se durante la «Guerra Fredda» i conflitti regionali nell’emisfero Sud, tra cui in primo luogo quello nel Vietnam, venivano finanziati a tempo indeterminato dall’Unione Sovietica, oggi in Afghanistan siamo di fronte a un altro conflitto anti-occidentale finanziato esso pure sine die. Paradossalmente, però, o meglio tragicamente, il grande finanziatore non è più una potenza avversaria come l’Urss, bensì lo stesso mercato occidentale della droga.