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Corte Suprema di Cassazione
Sezione prima penale
(Sentenza 12 febbraio 2014, n. 6734)
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente
Dott. VECCHIO Massimo - Consigliere
Dott. TARDIO Angela - Consigliere
Dott. BONITO Francesco M.S - Consigliere
Dott. CAPRIOGLIO Piera M. - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l'ordinanza
29/03/2013;
n.
765/2012
sentita la relazione fatta
SEVERINA CAPRIOGLIO;
dal
TRIBUNALE
Consigliere
Dott.
di
ROMA,
PIERA
del
MARIA
lette/sentite le conclusioni del PG di annullamento dell'ordinanza solo
in punto individuazione del reato piu' grave.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza depositata il 16.4.2013 il Tribunale di Roma
accoglieva parzialmente l'istanza interposta nell'interesse di
(OMISSIS), diretta a fare ravvisare: a) il ne bis in idem tra le
decisioni del Tribunale Centrale di Madrid 8.3.1996, n. 17/1996 e del
Tribunale di Roma 11.4.2003, divenuta definitiva il 17.2.2007, b) il
vincolo della continuazione tra tutti i reati giudicati oltre che con le
due sentenze suindicate, con le sentenze del Tribunale di Napoli
25.5.2001 e del Tribunale di Berlino 15.7.1999. In particolare il
Tribunale a quo rilevava che il Tribunale di Roma aveva giudicato il
(OMISSIS) per il reato sub b) (avente ad oggetto l'importazione via
nave di 12 chili di cocaina), reato che corrispondeva a quello
giudicato dall'AG madrilena, che ebbe a condannare il (OMISSIS) a
pena detentiva di anni otto e mesi sei di reclusione, cosicche' doveva
dichiararsi eseguita la pena inflitta relativamente a tale titolo di reato.
Aggiungeva pero' che il Tribunale di Roma, con la sentenza suindicata
(11.4.2003) aveva condannato il prevenuto anche per altri reati,
ovverosia per i reati rubricati sub d), e), f), g), h). In tale realta'
veniva quindi concluso in primis che non era possibile l'applicazione
della continuazione in executivis tra reati giudicati in Italia ed altri
giudicati all'estero, posto che il riconoscimento della sentenza penale
straniera produce nel nostro ordinamento solo gli effetti previsti
dall'articolo 12 c.p., tra cui non e' compresa la disciplina del reato
continuato; in secondo luogo che la richiesta di applicazione
dell'articolo 671 c.p.p. in executivis, con riferimento ai reati giudicati
con sentenze Tribunale di Roma e Tribunale di Napoli, era gia' stata
valutata e rigettata con provvedimento in data 20.4.2012, nulla
essendo stato offerto quale quid novum per dover ritornare sul
giudizio gia' espresso.
Per quanto riguarda la pena che veniva ritenuta gia' espiata, veniva
rilevato che la sentenza del Tribunale di Roma non aveva indicato la
pena piu' grave su cui operare l'aumento, cosicche' veniva stimata in
anni due di reclusione ed euro 10.000 di multa la sanzione per il
reato sub b) dell'imputazione della sentenza del Tribunale di Roma.
2. Avverso tale decisione, interponeva ricorso per cassazione
l'interessato pel tramite di difensore, sviluppando cinque motivi:
2.1 violazione dell'articolo 178 c.p.p., lettera c), articolo 179 c.p.p.,
comma 1, articolo 111 Cost.: l'ordinanza indicata dal Tribunale, che
costituisce precedente ostativo alla rivalutazione, non sarebbe mai
stata
comunicata
all'interessato,
che
non
ebbe
contezza
dell'incardinarsi del procedimento di esecuzione, cosicche' deve
essere dichiarata emessa in violazione dell'articolo 178 c.p.p., lettera
c) e articolo 179 c.p.p., nonche' dell'articolo 111 Cost.
2.2 violazione degli articoli 81 e 138 c.p., articoli 649, 657 e 669
c.p.p., articoli 54 e 56 Convenzione di applicazione dell'accordo di
Schengen, articolo 4 prot. 7 Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'Uomo e della Liberta' fondamentali, articoli 49, 50, 51, 52 e
53 Carta di Nizza: secondo la difesa, una volta accertata la
sussistenza dell'identita' tra il fatto sub b) della sentenza di Roma e
l'unico fatto relativo alla sentenza di Madrid, ed una volta riconosciuto
lo spazio di applicabilita' dell'articolo 669 c.p.p., il periodo di
carcerazione sofferto dal (OMISSIS) in Spagna doveva essere
interamente scomputato ex articolo 138 c.p, non avendo consistenza
l'opinare secondo cui non sarebbe stata indicata la pena per il reato
piu' grave su cui operare l'aumento ex articolo 81 c.p., atteso che la
sentenza del Tribunale di Roma aveva stabilito la pena complessiva di
anni dieci di reclusione ed euro 40.000 di multa, di cui anni due di
reclusione ed euro 10.000, a titolo di continuazione, considerato
come reato piu' grave il reato sub b). La pena di anni otto e mesi sei
inflitta in Spagna ed interamente scontata andava considerata come
presofferto fungibile.
2.3 Violazione degli articoli 12 e 81 c.p., articolo 671 c.p.p., articoli
54 e 56 Convenzione di Schengen, articolo 4 prot. 7 Convenzione per
la Salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali,
articoli 49, 50, 51, 52, 53 Carta di Nizza: l'ordinanza impugnata ebbe
a rigettare l'applicazione della disciplina del reato continuato con
sentenze straniere riconosciute, a fronte dei limiti indicati dall'articolo
12 c.p. ed in ragione del fatto che le sentenze straniere non possono
subire variazioni, quanto alla durata ed alla natura della sanzione. E'
stato fatto osservare che nel caso di specie la situazione sarebbe
differente, poiche' sia la sentenza spagnola che quella tedesca, gia'
avvinte dal vincolo della continuazione, sono state interamente
scontate nei rispettivi paesi, cosicche' e' impossibile che le pronunzie
subiscano una qualsiasi variazione per specie ed entita' della pena.
Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona e della Carta di Nizza, si
e' addivenuti ad una sostanziale equiparazione tra la sentenza
definitiva pronunciata da uno stato contraente e quella emessa dalle
proprie autorita' giudiziarie, in considerazione della sostanziale
omogeneita' degli ordinamenti dei paesi firmatari dell'accordo, per
effetto della comune adesione ai principi generali del diritto
comunitario. Sottesa alla prevenzione e soluzione dei conflitti di
giurisdizione non vi e' solo l'esigenza di evitare che per la stessa
vicenda vi sia dispersione di energie processuali, ma anche la
necessita' di impedire la violazione del divieto del bis in idem, quindi
di un principio posto a garanzia dell'individuo che e' stato elevato
dall'articolo 50 della Carta di Nizza tra quelli fondamentali dell'Unione
Europea e che con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e' da
ritenere direttamente applicabile in tutti i sistemi giuridici nazionali. Si
insiste quindi per la disapplicazione dell'articolo 12 c.p. o meglio
viene chiesto che gli effetti del ne bis in idem siano fatti rientrare
nella dizione dell'articolo 12 c.p. "o altro effetto penale della
condanna".
2.4 Violazione dell'articolo 81 c.p. e articolo 671 c.p.p.: dalla
sentenza emessa dal Tribunale di Napoli si poteva evincere con
tranquillita' che si aveva riguardo ad un traffico internazionale di
stupefacenti in corso con Spagna, Italia e Germania sulla base di
numerose indicazioni sfuggite al tribunale a quo.
2.5 Violazione dell'articolo 138 c.p. e articolo 657 c.p.p., articoli 54,
56 Convenzione di Schengen, articolo 4 prot. 7 Convenzione per la
Salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali, articoli
49, 50, 51, 52, 53 Carta di Nizza: non sarebbe stato esplicitato il
percorso logico argomentativo condotto dal Tribunale sulla disciplina
della fungibilita' della pena presofferta a titolo provvisorio e sulla
mancata applicazione dell'indulto.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto con parere motivato
l'annullamento dell'ordinanza impugnata solo in punto individuazione
del reato piu' grave nella sentenza 11.4.2003 Tribunale di Roma e
determinazione della relativa pena.
4. E' stata depositata medio tempore memoria con motivi aggiunti,
con cui e' stato evidenziato che la tesi secondo cui non sarebbe
possibile la continuazione con reati giudicati con sentenza straniera
riconosciuta,
seppure
astrattamente
condivisibile,
sarebbe
inconferente nella presente fattispecie in cui la richiesta di
applicazione dell'aumento a titolo di continuazione e' stato chiesto
sulla base di pena che e' gia' stata scontata, cosicche' non sarebbe
intaccata la statuizione del giudice straniero, ne' verrebbe operata
alcuna invasione in area straniera. Tanto piu' avendosi riguardo a
pena inflitta da autorita' di paese facente parte dell'Unione, nell'ottica
della cooperazione in materia giudiziaria e del mutuo riconoscimento
delle decisioni giudiziarie. Principio quest'ultimo che dovrebbe
spingere verso una completa equiparazione delle decisioni giudiziarie
adottate negli stati membri, ben al di la' dei limiti previsti dall'articolo
12 c.p.. Vien fatto rilevare che in materia di benefici penitenziari
(liberazione anticipata) questa stessa Corte ha ritenuto che si possa
considerare anche il periodo di detenzione espiato in un paese estero
della comunita' europea, quando l'espiazione venga poi completata
nello stato italiano. Ragion per cui si insiste per un'interpretazione
dell'articolo 12 c.p. piu' conforme ai principi enucleati in sede europea
sul mutuo riconoscimento di cui all'articolo 82 T.F.U.E., cosi' da
includere tra gli effetti del riconoscimento di sentenze penali straniere
la possibilita' per il giudice italiano di utilizzare la statuizione
contenuta nella sentenza comunitaria come base per applicare
l'aumento di cui all'articolo 81 c.p., comma 2 a fronte di reati
commessi all'estero in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
In caso contrario ritiene la difesa che questa Corte debba sollevare
questione alla Corte di giustizia europea, onde valutare se l'indirizzo
formatosi in relazione all'articolo 12 c.p. sia compatibile con il
principio del mutuo riconoscimento di cui all'articolo 82 paragrafo 2,
T.F.S.U.E. e con la decisione quadro 2008/909/GAI. Nell'ipotesi poi
che si escluda che l'articolo 82 T.F.S.U.E. sia direttamente applicabile
all'interno del nostro sistema giuridico nazionale, unica via sarebbe
quella di sollevare questione di legittimita' costituzionale dall'articolo
12 c.p., nella parte in cui si ritenga che i limiti fissati al
riconoscimento di sentenze penali straniere si applichino anche alle
decisioni emesse dal giudice nazionale comunitario. In particolare la
difesa ravvisa una frattura con gli articoli 11 e 117 Cost., quali norme
interposte rispetto all'articolo 82, paragrafo 2 T.F.S.U.E., posto che in
tale prospettiva l'articolo 12 c.p. opererebbe come fattore normativo
di diritto interno impeditivo a che il principio di mutuo riconoscimento
operi all'interno del nostro sistema processuale, finendo per
paralizzare l'attuazione di norme comunitarie. Sarebbe poi
apprezzabile la violazione dell'articolo 3 Cost., poiche' il (OMISSIS)
verrebbe a subire un trattamento piu' severo rispetto a quello che gli
sarebbe toccato se fosse stato giudicato solo dal giudice nazionale.
Secondo la difesa si tratta di prendere atto della intervenuta
creazione in materia penale di un patrimonio comune di principi e
valori che implica, se non una piena omologazione delle categorie di
diritto sostanziale, quantomeno una loro omogeneizzazione, con
conseguente equiparazione dei risultati, specie se relativi al
trattamento sanzionatorio del condannato.
Viene poi riformulata la doglianza sulla mancata notificazione
dell'ordinanza del 20 aprile 2010 emessa dal Tribunale di Napoli, con
richiesta di restituzione nel termine per impugnare: viene ribadito che
ne' l'interessato, ne' il suo difensore ebbero conoscenza del
procedimento, cosicche' veniva impugnata con il ricorso in cassazione
anche l'ordinanza del 20 aprile 2010 del Tribunale di Napoli, da
considerarsi adottata in violazione delle norme volte a garantire il
contraddittorio anche nella fase esecutiva.
Viene ancora ribadita l'illogicita' dell'ordinanza impugnata che
avrebbe ricalcato quanto disposto dal Tribunale di Napoli,
riproducendone i vizi. Si e' sostenuto che i reati non erano della
stessa indole, laddove trattasi di violazione del tutto omogenee e
lesive del medesimo bene giuridico protetto, risultando irrilevante che
i luoghi di consumazione dei reati non siano uguali. Vien fatto rilevare
che mentre nel processo di Roma si escluse l'ipotesi associativa e la
condanna riguardava soltanto reati di spaccio, nel processo di Napoli
gli episodi di spaccio vennero in rilievo come delitti-fine
dell'associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n.
309 del 1990, articolo 74 e veniva evidenziato come la parziale
difformita' in nessun modo si configurava quale ostacolo al
riconoscimento del vincolo.
E' stata infine ribadita la doglianza sulla illogicita' della motivazione in
punto determinazione della pena complessiva da scontare: i giudici a
quibus avrebbero fatto un calcolo arbitrario, nel senso che sarebbero
stati scomputati solo due anni di reclusione, corrispondente al valore
dell'episodio sub b), quale reato satellite della continuazione ritenuta
fra detto reato e quelli sub capi d, e, f, g, h, laddove per quello stesso
reato il (OMISSIS) fu condannato dal Tribunale di Madrid alla pena di
anni otto e mesi sei di reclusione che espio' e che trascorse anche
due anni presso il carcere di Berlino a seguito di condanna ad anni
quattro di reclusione, inflitta dal giudice tedesco per fatti in
continuazione rispetto a quelli accertati nella sentenza spagnola. I
Giudici a quibus non solo avrebbero effettuato un assurdo calcolo
circa il computo della pena da eseguire in astratto, ma avrebbero
omesso di considerare che la pena espiata nello stato estero di
condanna e' sempre computata ai fini dell'esecuzione a norma
dell'articolo 738 c.p.p.. Con il che una volta calcolata correttamente la
pena totale da espiare, data la piena fungibilita' delle pene e del
presofferto nello spazio comunitario, si sarebbe dovuto scomputare
l'intero ammontare di reclusione patita dal (OMISSIS), pari ad otto
anni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Premesso che il quinto motivo di ricorso appare generico; prima di
entrare nel merito delle plurime questioni di diritto sollevate dalla
difesa, deve essere affrontato il profilo dell'intervenuta definitivita'
dell'ordinanza emessa il 20.4.2010 dal Tribunale di Roma, con cui era
stata disattesa l'istanza di applicazione della disciplina del reato
continuato tra i reati giudicati con sentenze del Tribunale di Roma
11.4.2003, confermata dalla Corte d'Appello Roma il 22.12.2006, e
del Tribunale di Napoli 25.5.2001, irrevocabile il 16.1.2003, sul
presupposto del diverso locus commissi delicti e della distanza
cronologica tra i singoli reati, nonche' in ragione del fatto che i reati
giudicati dal Tribunale romano non furono apprezzati come reati fine
dell'associazione criminosa di cui si era occupata l'AG partenopea.
Dagli atti processuali - che possono essere esaminati in quanto la
Corte di Cassazione e' giudice anche del fatto ai fini dell'accertamento
dell'errar in procedendo e puo' accedere all'esame diretto dei relativi
atti processuali (Cass. Sez. Un., 31 ottobre 2001, Policastro; Cass.
Sez. Un., 30 ottobre 2002, Arrivoli) - emerge che detta ordinanza
venne notificata all'avvocato di fiducia e domiciliatario del (OMISSIS),
avv.to (OMISSIS), che accetto' la ricezione dell'atto in data
19.5.2010, sia come difensore che come domiciliatario del suo
assistito, non ritenendo per parte sua di esperire alcun mezzo di
impugnazione ed accettando cosi' il contenuto del provvedimento.
Non risulta che impugnazione sia stata interposta dall'interessato che
oggi lamenta di non averlo fatto perche' all'oscuro della esistenza
dell'ordinanza. La richiesta di restituzione nel termine che oggi il
(OMISSIS) avanza sul presupposto di aver avuto contezza
dell'ordinanza in parola solo in data 17.4.2013, con la notificazione
dell'ordinanza fatta oggetto della presente impugnazione, non puo'
essere presa in considerazione, essendo l'istante ormai ampiamente
decaduto dal proporla: infatti egli avrebbe dovuto attivarsi in tale
senso nei ristretti tempi stabiliti dall'articolo 175 c.p.p., comma 1,
termini decorrenti dal momento in cui era cessato il fatto costituente
caso fortuito o forza maggiore che ebbe ad impedire l'osservanza del
termine: e' stato detto dallo stesso ricorrente, pel tramite del suo
difensore, che solo il 17.4.2013 venne a conoscere l'ordinanza del
20.4.2010, quindi la richiesta di restituzione doveva essere formulata
nei dieci giorni successivi, laddove intervenne solo con la memoria
depositata il 10.1.2014.
Deve pertanto concludersi che, come correttamente opinato dal
Tribunale a quo, sulla richiesta di applicazione del regime della
continuazione tra i fatti giudicati con le due sentenze emesse dal
Tribunale di Napoli e dal Tribunale di Roma e' preclusa una nuova
valutazione, a causa del giudicato esecutivo formatosi a seguito del
non esperimento a suo tempo dei mezzi di impugnazione disponibili,
salva la deducibilita' di evidenze nuove che non furono fatte oggetto
di valutazione in precedenza. Evidenze che nel caso di specie non
sono state allegate.
2. Quanto al profilo della non applicabilita' in executivis della
continuazione tra i reati commessi in Italia e quelli commessi
all'estero, si deve ricordare che questa Sezione ancora recentemente
(Sez. 1, 24.10.2011, sent. 44604), pur a fronte del nuovo e piu'
ampio orizzonte in cui si e' mossa la legislazione comunitaria, ha
ribadito che non e' applicabile in sede di esecuzione la continuazione
tra il reato giudicato in Italia e il reato giudicato con sentenza
straniera riconosciuta nell'ordinamento italiano, alla luce del fermo
indirizzo seguito da questa Corte per il quale non e' predicabile
l'applicazione della continuazione in executivis tra reati giudicati in
Italia e reati giudicati all'estero, oggetto di sentenza riconosciuta in
Italia, posto che il riconoscimento della sentenza penale straniera
produce nell'ordinamento interno i soli effetti di cui all'articolo 12
cod.pen., tra i quali non e' compresa la continuazione tra reato
giudicato in Italia e reato giudicato all'estero, neanche "sub specie" di
effetto penale della condanna ai sensi dell'articolo citato, comma 1, n.
1, posto che la disciplina del reato continuato presuppone un giudizio
di merito e quindi il riferimento a categorie di diritto sostanziale (reati
e pene), che si qualificano soltanto in ragione del diritto interno (cfr.
tra le molte Sez. 1, 11.5.2006, n. 31422).
Tale interpretazione trova del resto il suo solido ancoraggio
nell'ordinanza n. 72/1997 della Corte Costituzionale, che ebbe ad
escludere che la non prevedibilita' di applicazione della disciplina del
reato continuato tra i reati giudicati da autorita' giudiziarie straniere e
quelli giudicati da autorita' giudiziarie italiane infrangesse principi a
rilevanza costituzionale, sul presupposto che "la disciplina del reato
continuato postula il riferimento a categorie di diritto sostanziale
(reati e pene), che si qualificano soltanto in ragione del diritto
interno" di guisa che "l'applicazione della continuazione tra la
condanna subita in Italia e la condanna subita all'estero,
determinerebbe un' automatica invasione del giudicato estero al di
fuori di qualsiasi meccanismo convenzionale, cosi' restando
totalmente eluso, fra l'altro, il principio della prevalenza delle
convenzioni
e
del
diritto
internazionale
generale,
programmaticamente assunto a chiave di volta (articolo 696 c.p.p.)
della disciplina dettata dal nuovo codice in tema di rapporti
giurisdizionali con autorita' straniere". Il fatto che lo stesso piu'
recente Decreto Legislativo 7 settembre 2010, n. 161, recante
disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione Quadro
20087909/GAI, relativa al principio del reciproco riconoscimento alle
sentenze penali che infliggono pene detentive ai fini della loro
esecuzione in ambito europeo, all'articolo 16 abbia ribadito che
quando e' pronunciata sentenza di riconoscimento la pena e' eseguita
secondo la legge italiana, applicandosi le disposizioni in materia di
amnistia, indulto e grazia, senza citare l'istituto della continuazione,
e' in linea con quanto a suo tempo affermato dalla Corte
Costituzionale.
A tali conclusioni e' dato addivenire non potendosi confondere il
profilo del riconoscimento della sentenza penale straniera ai fini della
sua esecuzione, che e' aspetto fuori da ogni discussione, con
l'operazione di riduzione unilaterale della pena che segue al
riconoscimento della continuazione in sede esecutiva e che
ragionevolmente non e' stata contemplata negli accordi tra stati, in
quanto comportante un giudizio comunque modificativo (in termini di
misura della sanzione) di quella sentenza di cui e' chiesto il
riconoscimento. Non solo, ma opinando nel senso sollecitato dalla
difesa non si vedrebbe confermata la finalita' che e' propria della
disciplina della continuazione in sede esecutiva, che come e' noto e'
quella di porre rimedio alla celebrazione di giudizi in separate sedi in
seguito ad evenienze del tutto imponderabili che ebbero ad impedire
una trattazione unitaria, evenienze che nel caso della sentenza
straniera non sussistono, perche' i giudicati promanano da
ordinamenti diversi.
Quindi deve concludersi che l'interpretazione offerta dalla Corte
Costituzionale continua ad essere attuale, nonostante l'intensificarsi
degli interventi di cooperazione tra Stati sul principio del mutuo
riconoscimento delle decisioni giudiziarie, avendo individuato lo
specifico profilo che non autorizza all'applicazione dell'istituto in
relazione alle sentenze straniere, se non a costo di ammettere un
intervento unilaterale modificativo, che non e' previsto da alcuna
fonte normativa europea.
Ad opinare diversamente non conduce neppure la tesi difensiva
secondo cui si avrebbe riguardo a pena gia' espiata nel paese
condannante, atteso che in ogni caso si tratterebbe di riconoscere al
condannato conseguenze non immediate rispetto alla entita' della
pena da espiare, ma che potrebbero dispiegare gli effetti benefici in
una periodo successivo, cosi' traducendosi ancora in un'unilaterale
modificazione di un pronuncia di Autorita' Giudiziaria di altro Paese.
In conclusione, non e' in gioco la libera circolazione ed il reciproco
riconoscimento di ogni tipo di decisione giudiziaria che sono valori
assodati e fatti propri dagli stati europei che si sono impegnati a
riconoscere le sentenze degli stati dell'Unione e ad eseguirle come se
fossero sentenze emesse nel proprio Stato, bensi' il potere
riconosciuto nel nostro stato al giudice dell'esecuzione di modificare
unilateralmente la misura della sanzione, in via del tutto sussidiaria al
giudice della cognizione straniero, che come e' stato detto non trova
alcun ancoraggio nella normativa dell'Unione - la generica norma di
cui all'articolo 82 del trattato dell'U.E. invocata nel ricorso limitandosi
all'evidenza, per cui non vi e' spazio per interventi interpretativi della
Corte di giustizia, a propugnare il riconoscimento delle sentenze
straniere che, lo si ribadisce, e' concetto diverso che non ne
pregiudica l'intangibilita' - ne' alcuna giustificazione, andando ben al
di la' degli intenti che si sono prefissi gli stati dell'Unione negli accordi
di collaborazione. Con il che non sono ravvisabili, ne' forzature ai
principi costituzionali interni (gia' disconosciute con il lontano
intervento della Corte Costituzionale), ne' profili di inadeguatezza
della norma interna (articolo 12 c.p.) rispetto alla normativa
internazionale, poiche' non compromette affatto l'esecuzione del
provvedimento di altro stato nel nostro paese ma salvaguarda il
potere dello stato estero di determinare la sanzione, senza incorrere
nel rischio di vederla modificata in forza di interventi unilaterali ad
opera del paese in cui l'esecuzione della condanna abbia luogo. Vanno
quindi disattese le ampie argomentazioni avanzate dalla difesa sul
punto, escludendo che vi sino snodi normativi interni incompatibili o
in dissonanza con la normativa europea.
3. Va quindi rilevato che il Tribunale di Roma ha correttamente
ravvisato la sovrapponibilita' di giudicati tra la sentenza di condanna
dell'Autorita' Giudiziaria di Madrid che ebbe a condannare il
(OMISSIS) alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione per un
episodio di importazione di dodici chili di cocaina in Italia, con il fatto
rubricato sub b) dell'imputazione giudicato con la pronuncia del
Tribunale di Roma 11.4.2003, sentenza che contemplava altre ipotesi
di reato sub lettere d), e), f), g), h) e ha inflitto al (OMISSIS)
condanna complessiva a dieci anni di reclusione.
Dunque e' intervenuto per impedire gli effetti distorti del bis in idem
in ossequio a principi condivisi a livello internazionale.
Orbene, al fine di determinare la sanzione espiata all'estero
dall'interessato, da detrarre alla pena inflitta con la sentenza
suindicata, correttamente il Tribunale ha considerato che la condanna
in Italia a dieci anni di reclusione fu inflitta per piu' reati in
continuazione, con il che la detenzione patita all'estero per un fatto
identico ad uno dei reati ritenuti dal giudice italiano avvinti da tale
vincolo, doveva essere presa in considerazione soltanto per esso e
non anche per gli altri, in quanto l'istituto della continuazione mira a
mitigare l'entita' della pena complessivamente inflitta, in relazione a
violazioni costituenti espressione di un identico disegno criminoso, ma
non sopprime la loro autonomia fenomenologica, cosi' ponendosi
correttamente nel filone interpretativo gia' segnato da questa Corte
(Sez. 1, 4.7.2008, n. 31943, RV 240682). Pertanto erra la difesa
quando pretende
che tutta la pena espiata in Spagna dal (OMISSIS) venga calcolata in
detrazione sulla pena a lui inflitta in Italia, per vari reati oltre che
quello sub b), gia' giudicato in Spagna.
4. Si deve invece convenire con la difesa sul punto della non
correttezza della operazione che ha condotto alla determinazione
della pena inflitta per il capo b), in sovrapposizione al reato per cui
intervenne condanna in Spagna, posto che e' mancata da parte del
giudice dell'esecuzione, che a cio' era tenuto non avendovi
provveduto il giudice della cognizione, la individuazione in concreto
del reato piu' grave tra quelli giudicati con la sentenza del Tribunale
di Roma, valutazione che, a parita' di gravita' formale, andava
condotta tenendo conto di tutti gli elementi significativi quali
certamente sono i quantitativi di stupefacente trafficato ed in
contestazione. In altre parole, se non si e' ravvisato nel reato sub b)
come sostiene la difesa quello piu' grave, ancorche' si fosse trattato
di traffico di ben dodici chili di cocaina, il giudice dell'esecuzione
avrebbe dovuto argomentare sulle ragioni per le quali andava
ritenuta piu' grave altra imputazione, che andava specificata.
Pertanto l'impugnata ordinanza deve essere annullata limitatamente
alla determinazione della pena gia' eseguita, con rinvio al Tribunale di
Roma che dovra' prima di tutto individuare il reato piu' grave tra
quelli per cui (OMISSIS) riporto' condanna in Italia da parte del
Tribunale di Roma, quindi dovra' determinare la misura della pena
riconducibile al reato sub b), che dovra' essere dichiarata interamente
o parzialmente espiata in Spagna. Solo dopo tale operazione, previo
accertamento della durata della detenzione sofferta all'estero a fini
estradizionali e con l'applicazione dei benefici indulgenziali
spettantigli, dovra' infine essere calcolata la pena residua che il
(OMISSIS) deve espiare.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto, cosi' come deve essere
rigettata la richiesta di restituzione nel termine per impugnare
l'ordinanza Tribunale di Roma 20.4.2010 per le motivazioni
suindicate.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione
della pena gia' eseguita e rinvia per nuovo esame al riguardo al
Tribunale di Roma;
rigetta nel resto il ricorso e rigetta la richiesta di restituzione nel
termine.