Le armi chimiche e gli effetti sull`uomo

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Le armi chimiche e gli effetti sull`uomo
Le armi chimiche e gli effetti sull’uomo.
Maurizio Ronchin, Marco Maroni*
Centro Internazionale per la Sicurezza degli Antiparassitari, ASL Provincia di Milano 1
* Direttore del Centro e Componente della Commissione Nazionale per la Previsione e la
Prevenzione dei Grandi Rischi - Dipartimento della Protezione Civile
Introduzione
L’attacco alle “Twin Towers” di New York dell’11 settembre 2001 e la successiva
comparsa di casi di carbonchio hanno suscitato grande preoccupazione per il possibile
verificarsi di altri attentati di matrice terroristica; tra gli scenari potenziali da considerare vi
è anche l’utilizzo di sostanze chimiche (cosiddette “armi chimiche”), già impiegate in
ambito bellico e terroristico, che possiedono capacità di determinare effetti dannosi, anche
mortali, per la salute umana, per gli animali, per le piante e di danneggiare generi
commestibili e materiali sino a renderli inutilizzabili.
Le caratteristiche ideali di una sostanza chimica per l’impiego suddetto sono diverse, e di
queste è utile ricordare soprattutto quelle che giocano un maggior ruolo nel determinare la
gravità degli effetti sull’uomo. Esse sono la capacità di produrre effetti sanitari rilevanti in
tempi brevi e con l’impiego di quantità minime, la disponibilità per l’assorbimento
attraverso più vie (inalazione, ingestione, assorbimento cutaneo), la difficoltà ad essere
identificata dalle persone aggredite e la scarsa disponibilità di efficaci dispositivi individuali
di protezione e di sistemi di bonifica. Ogni sostanze chimica manifesta un capacità
aggressiva diversa, caratterizzabile secondo le variabili suddette, in relazione alle proprie
caratteristiche tossicologiche, chimiche e fisiche. Tra quelle fisiche si sottolinea che la
tensione di vapore di una sostanza ne determina la volatilità e, insieme ad altre variabili
come le condizioni meteorologiche al momento dell’impiego e le caratteristiche del suolo,
la persistenza ambientale; la tensione di vapore è quindi una caratteristica importante nel
determinare la quantità dell’aggressivo chimico che è disponibile per essere assorbita
dall’uomo.
Alcuni indicatori epidemiologici correlati con l’impiego di armi chimiche (tabella 1)
permettono di riconoscere l’evento con sufficiente certezza; la loro conoscenza permette
di orientare e rendere più efficaci, gli interventi sanitari di soccorso in caso di evento
terroristico.
Tabella 1 - Indicatori epidemiologici correlati con l’impiego di armi chimiche
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Numerose persone coinvolte con sintomi simili
Richiesta simultanea di assistenza
Provenienza dalla stessa zona
Quadro sintomatologico in genere evidente
Presenza di animali morti o agonizzanti
Diminuzione o scomparsa di insetti
Classificazione
Gli aggressivi chimici possono essere classificati secondo la classe chimica (composti
fosforati, arsenicali, solforati, azotati, cloruri acidi), lo stato fisico (liquido, gassoso), la
persistenza ambientale (persistenti, non persistenti) e le vie di assorbimento prevalenti
(respiratoria, cutanea).
Nella tabella 2 viene presentata la classificazione che tiene conto degli effetti patologici
prodotti (più utile per trattare gli effetti sulla salute umana), elencando i principali composti
di ogni gruppo.
Tabella 2 – Classificazione delle armi chimiche in base agli effetti
sanitari e principali composti
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Nervini (sarin, soman, tabun, GF, VX)
Vescicanti (iprite, lewisite, oxime)
Pneumotossici soffocanti (fosgene, cloropicrina)
Aggressivi enzimatici (acido cianidrico, cloruro di cianogeno)
Irritanti (lacrimogeni, starnutatori)
Psicotropi incapacitanti (BZ, LSD)
Effetti sull’uomo
Nervini
Sono composti chimici organo fosforici che, tramite l’inibizione dell’enzima
acetilcolinesterasi, causano un accumulo di acetilcolina nelle sinapsi della placca neuromuscolare, del sistema nervoso parasimpatico, simpatico e centrale, determinando una
persistente trasmissione dell’impulso nervoso responsabile del tipico quadro
sintomatologico.
Gli organo fosforici si legano in modo irreversibile all’enzima acetilcolinesterasi
impedendone l’azione che porta all’idrolisi dell’acetilcolina in colina e acido acetico; un
meccanismo identico, ma reversibile, si osserva nei carbammati e spiega la loro
somministrazione per prevenire gli effetti degli organo fosforici in soggetti per cui è
ragionevolmente attesa una esposizione.
Gli organo fosforici possono legarsi all’enzima come tali o previa biotrasformazione.
Questi composti vennero individuati dall’industria chimica addetta alla produzione di
antiparassitari da impiegare per la protezione delle colture agricole dai danni causati dagli
insetti. Alcuni di questi mostravano caratteristiche particolarmente favorevoli per l’impiego
in ambito bellico, tra cui la capacità di portare a morte le persone esposte nel giro di pochi
minuti.
Nella figura 1 è mostrato il meccanismo d’azione descritto ad opera del paraoxon che è il
metabolita attivo dell’antiparassitario parathion.
Figura 1 - Reazione dell’enzima acetilcolina esterasi (AcHE).
A) Idrolisi del substrato acetilcolina; B) reazione con paraoxon
(metabolita del parathion).
Tratto da: Health Surveillance of Pesticide Workers, Elsevier 1994.
Il quadro clinico è caratterizzato da sintomi di tipo muscarinico (miosi, salivazione,
sudorazione, lacrimazione, bradicardia, bronco-costrizione, ipersecrezione bronchiale,
dolori addominali, vomito, diarrea) e nicotinico (astenia, tremori e fascicolazioni muscolari,
paralisi muscolare, tachicardia); questi ultimi compaiono a dosi maggiori e, quelli a carico
della muscolatura della gabbia toracica e del diaframma, sono responsabili della morte per
insufficienza respiratoria. Il quadro clinico è accompagnato da sintomi e segni di tipo
centrale (cefalea, agitazione, confusione, vertigini, iporeflessia, depressione del centro del
respiro, convulsioni e coma).
Vescicanti
I composti di questo gruppo sono caratterizzati dalla capacità di produrre estese vesciche
della cute con cui vengono in contatto. L’iprite è il capostipite di questi composti ed è
meglio nota come mostarda; venne usata sui campi di battaglia della Prima Guerra
Mondiale e prende il nome dal luogo (Ypres in Belgio) che ne vide il primo impiego. Un
esteso uso di questo composto è avvenuto anche durante la guerra tra Iran e Iraq negli
anni ’80. L’iprite è tuttora responsabile di incidenti a carico di pescatori operanti tra le coste
della Danimarca e la Svezia, che, tramite le reti da pesca, entrano in contatto con armi
chimiche affondate al termine della Seconda Guerra Mondiale.
Altri composti di questo gruppo sono la lewisite e le ossime di fosgene che si distinguono,
dal punto di vista clinico, soprattutto per la comparsa immediata del dolore e dei danni
cutanei, mentre nell’iprite compaiono a distanza di almeno due ore dall’applicazione.
I vescicanti agiscono principalmente tramite un meccanismo di alchilazione del DNA e di
altre strutture cellulari (ribosomi, menbrane cellulari) che è responsabile di effetti
citotossici, citostatici e mutageni che si rendono più evidenti sull’epitelio cutaneo e
sull’apparato gastro-intestinale.
Il quadro clinico interessa, in una prima fase, la cute, gli occhi e le vie aeree che entrano
per primi in contatto con i vescicanti; in una fase successiva si possono osservare effetti a
carico del sistema emopoietico, gastro-intestinale e nervoso centrale.
La cute interessata presenta eritema, vescicole, bolle accompagnate da prurito, bruciore e
dolore; le lesioni evolvono verso la necrosi e possono esitare in aree di ipo o
iperpigmentazione e di atrofia cutanea. I danni oculari consistono soprattutto in ulcerazioni
e erosioni corneali che possono esitare in opacità corneali di vario grado, sino a causare
cecità.
L’inalazione di vescicanti è causa di importanti effetti acuti e cronici. Nel primo caso
possono comparire tosse, afonia, anosmia, epistassi, oppressione respiratoria, dispnea; il
quadro clinico principale è quello di una bronchite o polmonite di tipo chimico che può
complicarsi con una infezione batterica dopo 4 o 5 giorni dall’esposizione.
I principali effetti di tipo cronico consistono nella comparsa di bronchiectasie, atelectasie e
enfisema polmonare.
La morte avviene in genere dopo alcuni giorni o settimane ed è in genere determinata dai
danni dell’apparato respiratorio cui segue una sepsi favorita dalla compromissione del
sistema immunitario.
Pneumotossici soffocanti
Fanno parte di questo gruppo il fosgene e la cloropicrina il cui organo bersaglio è
l’apparato respiratorio su cui agiscono prevalentemente tramite un’azione lesiva diretta
della mucosa bronchiale e degli alveoli polmonari.
Il quadro clinico insorge immediatamente dopo l’esposizione, accentuandosi nelle 4-6 ore
successive, ed è caratterizzato da tosse, afonia, bruciore delle prime vie aeree, tachipnea,
oppressione toracica, dispnea. La morte sopraggiunge nella maggior parte dei casi entro
le prime 24 ore per insufficienza respiratoria causata da edema polmonare acuto.
Nei pazienti che superano tale periodo si può osservare la comparsa di broncospasmo e
di una infezione bronco-polmonare di natura batterica.
Aggressivi enzimatici
In questo gruppo rientrano l’acido cianidrico e il cloruro di cianogeno (cianuri) che, data
l’elevata volatilità e bassa persistenza, si prestano per essere impiegati principalmente in
ambienti chiusi. Appartiene a questo gruppo lo Ziklon B che è stato impiegato dai nazisti
nelle camere a gas; il composto vede la presenza di acido cianidrico ed era stato
inizialmente individuato per le sue caratteristiche di fumigante e rodenticida.
Questi composti agiscono inattivando diversi enzimi con la presenza di metalli; l’effetto
letale è principalmente dovuto al blocco della citocromo ossidasi (contenente ferro),
responsabile della conseguente anossia istotossica.
L’avvelenamento da cianuri può colpire diversi organi ed apparati (cardiovascolare,
polmone, sistema nervoso centrale, endocrino, metabolismo); gli effetti variano a seconda
della dose, della via di assorbimento e della formula chimica. Nel caso la dose sia elevata,
oltre a sintomi irritavi agli occhi e alle prime vie aeree, compare inizialmente una tachipnea
rapidamente seguita da apnea e arresto cardiaco.
Esposizione a cianuri si può verificare per motivi occupazionali (produzione di materie
plastiche, trattamento di superficie dei metalli, metallurgia, estrazione di metalli), a causa
del fumo di tabacco e a seguito della combustione di materie plastiche in occasione di
incendi.
Irritanti
In questo gruppo sono compresi i lacrimogeni e gli starnutatori, ovvero sostanze impiegate
nel controllo di sommosse e rivolte per la loro capacità di provocare un quadro sintomatico
di rapida insorgenza che regredisce dopo 15-30 minuti garantendo un elevato rapporto tra
la dose incapacitante e la dose letale. Il meccanismo d’azione è legato alla capacità
irritante primaria di questi composti.
La sintomatologia dei lacrimogeni è caratterizzata principalmente da bruciore oculare,
profonda lacrimazione e fotofobia, mentre gli starnutatori provocano sintomi a carico delle
vie aeree quali salve di starnuti, rinorrea, bruciore nasofaringeo, senso di oppressione
toracica e tosse. Questi composti possono provocare anche irritazione ed eritema della
cute e sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale (nausea e vomito).
L’uso indiscriminato di alcuni composti in dosi elevate e in ambienti chiusi può causare
effetti più gravi a carico dell’apparato respiratorio, sino all’edema polmonare.
Psicotropi incapacitanti
In senso ampio tutti gli aggressivi chimici già descritti sono in grado di “incapacitare”
ovvero di indurre una limitazione funzionale delle attività umane; nell’accezione più
rigorosa del termine rientrano in questo gruppo le sostanze in grado di impedire in modo
temporaneo, e rapidamente reversibile, la capacità di prendere decisioni o di ridurre
l’efficienza degli aggrediti, compromettendo quindi la capacità di combattere, senza
provocare morte o danni permanenti. Considerate queste caratteristiche il teatro di
impiego usuale è quello bellico.
Appartengono a questa categoria i neurostimolanti (LSD o dietilamide dell’acido lisergico)
e gli anticolinergici (BZ o 3-chinoclidil benzilato) che agiscono rispettivamente interferendo
con le attività dopaminergiche del sistema nervoso centrale e con la trasmissione
dell’impulso nervoso a livello colinergico. La somministrazione volontaria di sostanze del
primo gruppo ha determinato la totale disorganizzazione di militari ben addestrati, sebbene
l’uso di LSD o analoghi in ambito bellico sembra improbabile; la sintomatologia è
caratterizzata da tachicardia, sudorazione, eccitazione psichica, distrazione, fuga delle
idee, allucinazioni ottiche e acustiche.
Nel caso del BZ i sintomi includono tachicardia, ipertensione arteriosa, disturbi visivi dovuti
alla perdita della capacità di accomodamento, perdita della capacità di attenzione,
sonnolenza, stupore, scoordinamento motorio, rallentamento ideativo sino a alla comparsa
di un quadro di delirio allucinatorio.
Episodi terroristici condotti con armi chimiche
La descrizione dell’impiego del gas nervino sarin avvenuto in Giappone nel 1994 e 1995
ad opera di un gruppo terroristico permette di fornire un idea più precisa sui danni
potenziali e sugli elementi critici dell’intervento di soccorso delle vittime civili.
Il primo episodio avvenne nel 1994 in un’area residenziale di Matsumoto con l’impiego di
un sistema di diffusione del gas non ottimale che, nel giro di circa 20 minuti, interessò
un’area ellittica di circa 800 metri per 570 metri. Gli effetti più rilevanti si osservarono in
una zona più piccola di 400 metri per 300 metri.
Al termine dell’azione si contarono 7 residenti morti, 54 ricoveri ospedalieri e 253 persone
coinvolte che non presentarono sintomi tali da rendere necessario il ricovero.
Gli interventi dei sanitari furono guidati dal quadro sintomatologico che era suggestivo per
una intossicazione da organofosforici; solo indagini condotte in seguito, con l’ausilio della
gas cromatografia di massa, confermarono l’utilizzo del sarin.
Paradossalmente la mancanza di una legislazione sulla produzione e il possesso di armi
chimiche determinò difficoltà nell’azione legale contro le persone sospettate.
Un secondo attacco fu attuato nel marzo del 1995 nella metropolitana di Tokio; per
amplificare gli effetti il sarin venne distribuito alle ore 8,00 di un giorno lavorativo in treni di
cinque diverse linee metropolitane convergenti nello stesso punto della capitale.
Questo episodio provocò danni maggiori; si contarono infatti 12 decessi, 500 ricoveri
ospedalieri e 480 casi di intossicazione con sintomi tali da non rendere necessario il
ricovero. Complessivamente le persone che richiesero l’assistenza dei soccorritori, senza
necessariamente mostrare segni di intossicazione, furono circa 5.000.
Le primissime informazioni sull’episodio indirizzavano verso per una intossicazione da
monossido di carbonio dovuta a un incendio determinato da un esplosione di gas; solo il
pronto riconoscimento del quadro tipico dell’intossicazione da organofosforici da parte dei
sanitari permise di fornire cure adeguate alle vittime.
L’esperienza del Giappone ci permette di individuare i seguenti elementi critici
nell’organizzazione di una risposta adeguata:
• Capacità di identificare la sostanza in causa.
Oltre che sulla capacità diagnostica dei sanitari si basa sulla disponibilità di
strumenti analitici portatili in grado di fornire informazioni sulla sostanza utilizzata.
• Capacità di decontaminazione delle vittime e protezione dei soccorritori.
Nel caso di Tokio si è osservato che circa 100 soccorritori, pari al 10% di quelli
impiegati, ebbero bisogno di cure a causa del carente impiego di dispositivi di
protezione.
• Capacità di mantenere le comunicazioni tra i soccorritori.
E’ fondamentale per orientare l’intervento dei soccorritori soprattutto in relazione
alla possibilità di somministrare antidoti.
• Formazione del personale sanitario e di soccorso.
Deve essere finalizzata al pronto riconoscimento del quadro clinico e alla
conoscenza dei protocolli di trattamento disponibili.
Conclusioni
L’impiego di armi chimiche in ambito terroristico o bellico può sicuramente essere
responsabile di gravi e diversi effetti sulla salute umana. Tuttavia, soprattutto per la
potenziale esposizione della popolazione civile, è opportuno far rilevare che la magnitudo
di eventi quali quelli descritti in Giappone è sicuramente inferiore ad episodi che hanno
visto centinaia di vittime a causa dell’impiego di sostanze esplosive convenzionali.
Oltre agli effetti sanitari descritti bisogna considerare anche i possibili effetti psicologici
sulla popolazione, determinati dalla paura circa il possibile impiego di armi chimiche, come
la comparsa di apprensione, ansia e, in taluni casi di panico, che costringono molto
spesso le persone a modificare abitudini e comportamenti.
Tra le principali variabili correlate con la protezione della popolazione si segnala
l’importanza della formazione del personale sanitario e di soccorso, la disponibilità e il
corretto impiego dei sistemi di bonifica e dei dispositivi individuali di protezione, la capacità
di mantenere adeguati flussi di comunicazione tra le strutture coinvolte nelle attività di
soccorso.