AltoVicentinOnLine - 23.01.2017 di A.Bianchini

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AltoVicentinOnLine - 23.01.2017 di A.Bianchini
Thiene. Stagione di Prosa: va
in scena Madame Bovary
AltovicentinOnline
23/01/2017
Il sesto appuntamento della 37^ Stagione di Prosa Thienese è con
Madame Bovary di Gustave Flaubert nella riscrittura di Letizia Russo
con Lucia Lavia, Woody Neri, Gabriele Portoghese, Mauro Conte,
Laurence Mazzoni, Roberta Zanardo, Elisa di Eusanio, Xhuljo Petushi e
la regia di Andrea Baracco, in scena martedì 24 e repliche mercoledì
25 e giovedì 26 gennaio 2017 al Teatro Comunale con inizio alle
20.45.
Diverse sfide letterarie, generazionali e psicologiche ruotano attorno a
uno spettacolo come ”Madame Bovary”, con il quale Letizia Russo ed il
regista Andrea Baracco affrontano uno dei personaggi più celebri della letteratura di tutti i tempi, nato dalle pagine
del romanzo di Gustave Flaubert del 1856; come i più grandi personaggi di ogni epoca, va riletto e reinterpretato a
ogni generazione. C’è in questa nuova versione la possibilità di immaginare una sfida attraverso il tempo e le
generazioni. In scena, nei panni della protagonista c’è infatti Lucia Lavia che prosegue con tenacia e talento
un’importante eredità del teatro italiano: figlia d’arte di Gabriele Lavia e di Monica Guerritore che interpretò la
stessa parte nel 1999.
Note di regia
Non conosci davvero un uomo fino alla notte o al giorno in cui vai a letto con lui. Non conosci davvero una donna
mai. Neanche se quella donna sei tu. Nel 1856 quando fu pubblicato, il romanzo Madame Bovary scosse
profondamente l’alto senso di rispettabilità dei guardiani della pubblica morale, e Flaubert fu processato come
autore di un’opera indecente, addirittura scandalosa. Perché tanto scalpore? Emma Bovary, come Don Chisciotte,
come Amleto è una sapiente fabbricatrice di illusioni, e pare mossa, sempre, da una folle, a tratti esasperante,
volontà di renderle concrete queste illusioni, di cucirsele addosso, indossarle senza curarsi delle evidenti
sproporzioni che portano in dote, di farne splendidi fondali a uso e consumo della propria sbiadita esistenza. La
signora Bovary, vittima delle proprie fantasie, nel desiderio di far del suo percorso sulla terra materia da romanzo,
nella ferma volontà di divenire protagonista indiscussa della vita che le hanno dato da vivere, inciampa
costantemente fino a perdere il ritmo dei propri passi, per poi sbagliare grossolanamente il tempo dell’ingresso in
scena, così, anziché precipitare in quell’orgia perpetua che crede aver diritto di abitare si ritrova in una stretta
gabbia piena di trappole, doppi fondi, bassezze e personaggi caricaturali; un luogo che non possiede né l’altezza
vertiginosa di un qualche paradiso né l’abisso profondo dell’inferno, ma solo l’insopportabile umida orizzontalità
di un acquitrino melmoso. E allora Emma Bovary si dimena forsennatamente per trovare almeno la giusta posa o
il profilo migliore, prova addirittura ad adeguare la sua immagine all’interno di un’inquadratura che però ha
sempre i bordi troppo stretti, con il risultato che anziché trovarsi sulla soglia della tanto agognata grazia, si ritrova
spesso a varcare un’altra soglia, molto più prossima alla condizione umana, quella del ridicolo.
Andrea Baracco
Note al testo
Emma Bovary, nata Rouault, tradisce suo marito con due uomini diversi. Partorisce una figlia che non ama.
Dilapida i soldi che ha e quelli che non ha. Sacrifica innocenti sull’altare della propria ambizione. E alla fine
muore di suo pugno, senza aver mai provato quell’indefinibile assoluto che pensava fosse l’amore. Ma Emma
tradisce costantemente anche il lettore, e di conseguenza chi, come me, le si avvicina per traghettarla dalla pagina
scritta all’azione del teatro. È un mistero, Emma Bovary. Un labirinto pieno di false piste, di inganni voluti e non
voluti: ogni volta che sembra vicina una soluzione, una spiegazione al suo mistero, il mistero riprende forza.
Perché non basta una vita noiosa, un marito non brillante, e l’essere nata donna per spiegare il fuoco che la
muove. Non bastano le letture sociologiche che, banalmente, interpretano Emma come paladina di una liberazione
che, nei fatti, non esiste, né quelle biografiche riguardanti Flaubert per contenerla in una logica. Nulla basta a
spiegare veramente questo personaggio e i suoi comportamenti, le sue smanie, le sue disperazioni, la sua ferocia,
la sua fragilità. Così, come succede a suo marito Charles, dopo la fascinazione, dopo il dubbio, dopo la rabbia,
non resta che contemplare Emma per quello che è: un abisso che disobbedisce alle regole della narrazione perché
troppo vicino al caos della vita. E non conta che l’azione si svolga in una realtà provinciale della Francia
dell’Ottocento: le sue voglie sconfinate, la necessità d’infinito, sono anche le nostre, così lontani dal suo tempo
eppure così vicini alla sua impossibilità di trovare pace.
Letizia Russo