Il caos calmo della Siria degli Assad

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Il caos calmo della Siria degli Assad
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Il caos calmo della Siria degli Assad
In Siria le rivolte sono iniziate nell‟aprile del 2011, sulla scia dei movimenti rivoluzionari –noti come
“Primavera Araba” - che hanno investito i paesi arabi. Dopo 10 mesi di costante escalation del conflitto
innescato dalle richieste di una maggiore equità economica e sociale e di una reale apertura politica alle
opposizioni presenti nel paese, la situazione è ancora estremamente instabile e difficilmente decifrabile.
di Margherita Leone per Osservatorio Iraq
Anche in questi giorni di parla molto di Homs, considerata il simbolo la città simbolo della protesta
siriana, mentre le altre maggiori città, da Damasco ad Aleppo, sembrano essere state colpite solo
relativamente dalla rivolta1.
Dinanzi a questo scenario estremamente complesso, si può essere sicuri di una sola cosa: che quanto sta
accadendo alla Siria andrà irrimediabilmente a modificare i delicati equilibri geopolitici di tutto il Medio
Oriente. Damasco intrattiene rapporti con alcuni dei più importanti attori politici della regione, come ad
esempio l‟Iran di cui è il maggior alleato, o anche Hezbollah, il movimento politico sciita libanese.
Proprio queste due alleanze, alla base degli equilibri della regione, sarebbero molto probabilmente
messe in discussione dal nuovo governo siriano2, qualora dovessimo assistere alla caduta del regime
degli Assad.
Alla luce di quanto appena affermato è dunque possibile definire due principali chiavi di lettura della
rivoluzione siriana. La prima basata principalmente sull‟analisi del carattere nazionale della rivolta: il
ruolo del movimento di opposizione e l‟atteggiamento repressivo del regime di Bashar al-Assad. La
seconda prende invece in considerazione l‟aspetto regionale nonché internazionale della rivolta,
concentrandosi sulle reazioni della comunità internazionale e sul ruolo della Lega Araba, cercando di
analizzare le ripercussioni di una ipotetica caduta del regime sulla geopolitica regionale.
1
L’ultimo attentato ad Aleppo si è verificato soltanto pochi giorni fa (10 Febbraio 2012) e ha causato più di 30 vittime e
centinaia di feriti.
2
Paul Salem, “A New Balance of Power is Syria Shifts Away from Iran ”
http://carnegie-mec.org/publications/?fa=46195
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1. Il fronte interno
Per quanto riguarda il fronte nazionale della rivolta siriana si può affermare che lo scontro tra le forze di
sicurezza del regime e le forze di opposizione ha raggiunto una sorta di stallo. Uno stallo che sembra
limitato principalmente alla città di Homs, situata nel nord est del paese, dove i due schieramenti
continuano ad affrontarsi giornalmente causando centinaia di perdite tra le fila della popolazione siriana.
Il regime siriano non è stato in grado fino ad ora di porre fine alle rivolte e pare si stia lentamente
sgretolando3. Le strutture politiche del regime si sono infatti indebolite, l‟esecutivo è bloccato e il partito
al governo rappresenta ormai una scatola vuota.
In questo contesto soltanto le forze di sicurezza del regime sono rimaste coese e pronte a combattere,
mentre al contrario l‟esercito, per quanto vi siano state poche defezioni al suo interno, pare si stia
frammentando mantenendo con difficoltà il controllo territoriale. Da quando il movimento di
opposizione ha infatti cominciato ad organizzarsi anche “militarmente”, il regime ha aumentato a
dismisura la violenza degli attacchi contro la popolazione, senza tuttavia essere in grado di reprimere
definitivamente le proteste.
Da parte sua, il fronte sociale della rivolta è riuscito a non farsi schiacciare dalla violenta repressione del
regime, nonostante alcune delle figure-chiave della protesta si trovino all‟estero, fattore quest‟ultimo che
sta determinando un problema di legittimità dell‟opposizione. Inoltre, sebbene sia costituito da diverse
fazioni a volte in netto contrasto fra loro, il movimento è riuscito a dar vita a un Consiglio nazionale
siriano (CNS) con a capo Burhan Ghalioun4.
Secondo alcuni analisti la pericolosa situazione di stallo che si sta venendo a creare potrebbe trascinare
il paese nel baratro di una guerra civile5. In questo contesto la Lega Araba e la Comunità Internazionale
potrebbero sicuramente giocare un ruolo importante per far si che ciò non accada6.
Va ricordato infatti che, nonostante non sia stato raggiunto un accordo formale ed efficace per forzare il
regime di Assad a lasciare il potere e ad aprire una nuova fase democratica, ad oggi le potenze
internazionali stanno già intervenendo nel conflitto interno alla Siria: il regime saudita e quello del Qatar
stanno finanziando e fornendo armi all‟opposizione; l‟Esercito di Liberazione della Siria7 può agire
nello spazio aereo turco; le forze speciali occidentali stanno aiutando le forze di opposizione sul
territorio8.
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Peter Harling, “Collectively failing Syrian society”
http://www.crisisgroup.org/en/regions/middle-east-north-africa/egypt-syria-lebanon/syria/op-eds/harling-collectivelyfailing-syrian-society.aspx
4
Yezid Sayigh, “Syrian stalemate?” http://carnegie-mec.org/publications/?fa=46696#opposition
5
Cit. Peter Harling
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Ian Black, “Syria on brink of civil war as diplomacy fails to dislodge Assad”
http://www.guardian.co.uk/world/2012/feb/05/syria-brink-civil-war
7
Free Syrian Army
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Cit. Seuman Milne
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2. Il fronte internazionale
Dopo essersi duramente espressa contro la violenta repressione condotta dal regime di Bashar al-Assad
contro la popolazione siriana e dopo aver inviato sul territorio una missione di osservatori al fine di
controllare e limitare l‟uso della forza da parte delle forze di sicurezza, la Lega Araba ha recentemente
presentato una risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite chiedendo al presidente Assad il
passaggio di poteri ad un governo ad interim e, in vista di nuove e libere elezioni presidenziali da
tenersi entro 6 mesi dal passaggio di poteri9, l‟apertura di una fase di transizione democratica guidata
dalle forze politiche interne al Paese.
La risoluzione avrebbe rappresentato una presa di distanza netta e unitaria della Comunità
Internazionale dalle continue violenze del regime contro la popolazione siriana e avrebbe aperto la
possibilità a un reale cambiamento in accordo con le richieste legittime del movimento di opposizione al
regime. In questo contesto, il veto posto da Russia e Cina per l‟adozione della risoluzione in seno al
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha vanificato gli sforzi della Lega Araba ed ha, almeno
momentaneamente, allontanato la possibilità di fermare le violenze del regime tramite un‟azione unita e
condivisa della Comunità Internazionale.
Come accennato in precedenza, un‟ipotetica caduta del regime di Assad andrebbe a modificare i delicati
equilibri geopolitici della regione, e per questo il veto di Cina e Russia deve essere analizzato non solo
sotto un aspetto puramente economico10.
La Siria è infatti uno dei principali alleati strategici dell‟Iran nella regione e una “detronizzazione” di
Bashar al-Assad significherebbe per Teheran non solo perdere un alleato, ma perdere anche uno dei
canali di contatto, anche se minoritario, con Hezbollah in Libano, e quindi con Hamas, la causa
palestinese e con i confini israeliani11. Quest‟ultimo fattore è decisivo nel quadro politico della regione,
soprattutto alla luce di quanto dichiarato dal segretario della Difesa degli Stati Uniti Panetta riguardo a
un possibile attacco di Israele all‟Iran durante il prossimo mese di aprile, mese in cui probabilmente la
Repubblica islamica accuserà le sanzioni economiche dell‟Unione Europea legate al programma di
arricchimento nucleare12.
Inoltre, una detronizzazione del regime siriano potrebbe generare nuove dinamiche nel conflitto araboisraeliano. Senza la Siria, Hezbollah potrebbe diventare più vulnerabile13, situazione che potrebbe
portare a un nuovo conflitto tra Israele e Libano.
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Risoluzione firmata da tutti i Paesi appartenenti alla Lega Araba il 22 Gennaio 2012 in Marocco e presentata al Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite il 4 Febbraio 2012.
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La Siria infatti è uno dei maggiori acquirenti di armi dalla Russia e il terzo maggiore importatore di beni provenienti dalla
Cina. (Holly Yan, “Why China, Russia won’t condemn Syrian Regime” http://edition.cnn.com/2012/02/05/world/meast/syriachina-russia-relations/index.html)
11
Cit. Paul Salem
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Seuman Milne, “Intervention in Syria will escalate not stop the killing”
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/feb/07/syria-intervention-escalate-killing
13
Il segretario del Consiglio Nazionale Siriano ha dichiarato che il nuovo governo non solo prenderebbe le distanze dall’Iran
ma che taglierebbe la fornitura di armi ad Hezbollah (cit. Paul Salem)
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3. Conclusioni
Alla luce di quanto detto sinora, è quindi difficile prevedere se e quando la situazione in Siria andrà a
risolversi e soprattutto verso quale direzione.
La Comunità internazionale, nonostante le difficoltà, sta cercando di supportare le richieste della
popolazione siriana e parallelamente fermare la violentissima repressione del regime. A questo
proposito, va ricordato che alcuni paesi - tra cui Francia, Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti - hanno
richiamato i propri ambasciatori dalla Siria e si preparano a nuove azioni contro il regime di Assad, così
come molte di queste potenze sembrano ormai più che favorevoli all‟ipotesi di un intervento militare.
Ad aggiungere ulteriore tensione c‟è il nuovo pacchetto di sanzioni contro la Siria che l‟Unione Europea
si prepara a imporre: misure contro la commercializzazione di fosfati e metalli preziosi dal Paese, contro
la Banca siriana centrale e limitazione delle le transazioni bancarie. Il tutto pur cercando di non colpire,
seppure indirettamente, la popolazione.
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Dentro alla questione siriana: Campanini, Tripp, Adib-Moghaddam
e la blogger Sasha Gosh-Siminoff
Questa serie di interviste nascono dall‟esigenza di comprendere i movimenti rivoluzionari, meglio
conosciuti come la “Primavera Araba” che stanno scuotendo il Medio Oriente dall‟inizio del 2011 e che
ancora non si sono placati. Dopo la caduta del regime tunisino e di quello egiziano, e dopo la
drammatica cronaca della caduta di Gheddafi, oggi l‟attenzione è principalmente rivolta verso la Siria.
a cura di Margherita Leone*
Grazie all‟aiuto di diversi esperti di Medio Oriente, ho cercato di presentare un quadro completo della
situazione siriana, partendo dall‟intervista al Prof. Campanini, con il quale abbiamo approfondito la
componente islamista delle rivoluzioni arabe, così come la possibilità di una rinascita politica di questi
movimenti.
Con il Prof. Tripp abbiamo cercato di definire un quadro politico del regime degli Assad al governo in
Siria da circa 40 anni, mentre con l‟aiuto del Prof. Adib-Moghaddam abbiamo cercato d‟interpretare il
ruolo dell‟Islam politico nelle attuali rivoluzioni siriane, con particolare attenzione ai Fratelli
Musulmani.
Infine, con Sasha Gosh-Siminoff, Phd di Exeter e blogger della rivoluzione siriana, abbiamo disegnato
un quadro abbastanza completo delle componenti politiche che caratterizzano il movimento di
opposizione.
*Margherita Leone: dopo essersi laureata al Corso di Laurea Specialistico della Facoltà di Studi AraboIslamici di Napoli, la D.ssa Leone ha ottenuto un Master in Politiche del Medio Oriente presso “The
School of Oriental and African Studies” – University of London. Successivamente ha vissuto al Cairo
per diversi mesi, per continuare gli studi della lingua araba e per lavorare presso la sezione politica della
Ambasciata d‟Italia al Cairo ed è stata testimone dell‟inizio della rivoluzione araba in Egitto. Dopo aver
lavorato come Assistente Ricercatore presso l‟ONG “No Peace Without Justice” di Bruxelles, ad oggi è
EU Policy and Funding Assistant presso l‟organizzazione no-profit ECRAAL “European Centre for
Research in Asia Africa and Latin America” di Bruxelles e da Marzo lavorerà presso il Committee of
Foreign Affairs del Parlamento Europeo. Ha già collaborato con il CISIP, pubblicando una analisi del
regime degli Assad sul Working Paper n. 4.
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Intervista al Prof. Massimo Campanini*: “Islam politico e rivolte arabe”
Alla luce dei movimenti rivoluzionari che stanno scuotendo il Medio Oriente, secondo lei è possibile
parlare di una rinascita dell‟Islam politico?
Interpretando le rivolte (personalmente non le chiamerei rivoluzioni, perché, come diceva Gramsci, le
rivoluzioni avvengono quando si è verificato un cambiamento della classe dirigente, e questo non si è
ancora verificato in nessuno dei paesi coinvolti) del mondo arabo, Olivier Roy e altri studiosi anche
italiani hanno parlato di post-islamismo, intendendo che il carattere laico e secolare delle rivendicazioni
aveva (definitivamente) mandato in soffitta utopie come lo stato islamico o slogan come "l'Islam è la
soluzione".
Credo sia necessaria maggiore cautela. In Egitto e in Tunisia in special modo, ma anche in Libia
sebbene in una situazione più confusa e difficile da decifrare, le forze islamiste stanno svolgendo un
ruolo da protagoniste. Questo protagonismo dovrebbe ulteriormente accentuarsi in occasione delle
elezioni previste per la Tunisia nel mese di ottobre e per l'Egitto tra novembre e gennaio. Le forze
islamiste rappresentano probabilmente le organizzazioni maggiormente strutturate e più sicuramente
dotate di programmi e di un piano politico tra quelle che compongono il quadro interno sia in Tunisia sia
in Egitto. Vi sono elementi di novità del resto.
Se al-Nahda in Tunisia, con la leadership di Rashid Ghannushi, costituiva da tempo un partito politico
efficiente e propositivo, la novità principale consiste nella decisione dei Fratelli Musulmani egiziani di
creare il loro proprio partito politico (Libertà e giustizia) sfatando una tradizione decennale che li voleva
alieni dal perseguire qualsiasi organizzazione partitica, accusata di settarismo e di minare l'unità della
umma.
Ma accanto a Libertà e giustizia sono nate altre formazioni partitiche come quelle capeggiate da Ibrahim
al-Zaafarani e da 'Abd al-Mon'eim Abu'l-Futuh. Senza considerare realtà già preesistenti, come Wasat,
nato negli anni novanta come costola del movimento degli Ikhwan. Questo proliferare di organizzazioni
partitiche implica indubbiamente, a mio avviso, una rinascita dell'Islam politico. E' vero che pochi fanno
esplicito riferimento allo stato islamico, ma la tradizione rinnovata è pur sempre, mi sembra, quella di
al-Banna, che pressoché per primo negli anni Trenta ha (ri)proposto una chiave di lettura politica della
religione, rinnovando o forse meglio innovando il concetto basilare di Islam din wa dawla, che nell'età
classica dell'Islam era stato tutto sommato poco praticato e poco teorizzato.
In questo rinnovarsi dell'Islam politico, che sembra contestare l'ipotesi di Roy del post-islamismo, ci
sono alcuni problemi e aspetti che meritano di essere evidenziati. Il primo è che, a mio parere, la
(ri)proposta dell'Islam politico potrà aver successo solo se sarà accompagnata da una profonda revisione
dei pilastri concettuali del pensiero politico islamico classico.
Le nozioni di shurà, ijma', maslaha, ikhtiyar, eccetera, devono assumere nuovi contenuti e, non voglio
dire adattarsi alle necessità del mondo moderno, ma senza dubbio plasmarsi a seconda delle sfide e delle
richieste del mondo moderno. In questo senso, si fa urgente l'elaborazione, sul piano teorico e pratico,
della prospettiva della democrazia islamica, cui hanno offerto contributi importanti pensatori come alJabri (purtroppo scomparso) o Hasan Hanafi. La questione della proceduralità e/o della valorialità della
democrazia diviene centrale: accettare le forme procedurali della democrazia occidentali e inquadrarle in
un orizzonte valoriale islamico? sì, ma come?
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Questa è la sfida dell'Islam politico del Ventunesimo secolo, che dovrebbe sapere andare oltre le
limitazioni imposte da quei salafiti o revivalisti alla rovescia che, alla luce di una concezione di utopia
retrospettiva, si limitano a rimpiangere i tempi del profeta e a riproporre la società perfetta di Medina.
Ci sono stati, nell'ultimo scorcio del Ventesimo secolo, diversi esperimenti di nuovo "potere costituente
dell'Islam", a partire dal progetto di islamizzazione dal basso dell'eredità di al-Banna, passando per il
messaggio rivoluzionario jihadistico di Qutb, per arrivare alla velayat-e faqih di Khomeini. In
quest'ottica di grande interesse è l'esperienza politica di Hizballah che deve però sottrarsi ai rischi di
istituzionalizzazione che gli sono posti nel quadro politico libanese per conservare la forza e l'energia
del potere costituente. Il problema sarà vedere se e fino a che punto le organizzazioni partitiche islamiste
che stanno trovando spazio nei rivolgimenti della "primavera araba" sapranno sfruttare l'opportunità di
rinnovamento teorico e pratico che le circostanze di grande movimento attuale offrono.
Dunque, Islam politico sì, ma con una serie di specificazioni che dovranno trovare concreta attuazione
nell'arena politica sottraendosi alle lusinghe della tirannia per trovare nuovi spazi di partecipazione e di
trasformazione istituzionale.
Dinanzi alle numerose rivolte che hanno colpito i paesi arabi si è diffuso il timore che la caduta di
questi regimi, piuttosto che portare ad una transizione democratica, possa condurre piuttosto al
rafforzamento politico di un Islam più conservatore.
Il quadro precedentemente prevede un futuro per l'Islam progressista, all'interno dei quadri di
riferimento islamici. Progressista nel senso che dovrebbe o potrebbe superare la dicotomia tra Stato o,
meglio, sistema politico islamico e teocrazia.
Al proposito, è interessante la riflessione di Qaradawi che, come del resto Khomeini, ha sottolineato il
carattere costituzionale e non teocratico dell'Islam (sarebbe in quest'ottica interessante discutere della
teodemocrazia di Mawdudi o dello stato islamico come democrazia non fondata sulla sovranità popolare
di Turabi).
Ma, a prescindere da queste divagazioni di dottrina politica, cui indulgo volentieri, nei confronti di un
islamismo progressista e potenzialmente in grado di evolvere e di sviluppare nuove concezioni politiche,
vi è il rischio che si affermino tendenze di Islamismo conservatore, come quello neo-salafita, che
renderebbe ancora una volta predominante la distorsione del tempo storico implicita nell'utopia
retrospettiva.
Questo Islam conservatore tenderebbe a fossilizzare le strutture sociali e normative e a non lasciar
spazio al rinnovamento. Purtroppo non ho una percezione esatta di quanto l'islamismo neo-salafita, in
tutte le sue molteplici diramazioni, abbia seguito e si sia radicato nella società civile musulmana. Indizi
puntano nella direzione di una presenza non trascurabile.
E vi è anche un salafismo quietista e pacifista che è forse quello più intransigente nel negare i diritti
delle donne o delle minoranze. I leader "progressisti" dovrebbero saper far breccia nella coscienza delle
masse per far trionfare l'idea dell'evoluzione e dell'utopia costruttiva su quella dell'utopia retrospettiva.
Ma anche questo è tutto da costruire e realizzare, e le congetture non possono che essere confermate o
contestate alla luce dell'evoluzione reale dei fatti. Non credo invece, neppure questa volta, nelle
possibilità di radicamento di al-Qa'ida che la primavera araba rappresenta ancora una volta e ancor di
più come una sonfitta della storia.
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Definire le richieste democratiche dei popoli arabi e le conseguenti manifestazioni e rivoluzioni come
una „Primavera Araba‟ sottintende un approccio „orientalista‟ al fenomeno rivoluzionario?
Non credo che il concetto di primavera araba o di rivolta o ammettiamo di rivoluzione abbia connotati
orientalistici. L'interazione e il fecondo scambio di idee e di esperienze è sempre stato produttivo per
l'umanità e del resto caratteristico della flessibilità e del sincretismo della civiltà islamica classica. Per
cui ben vengano utili categorie euristiche (come anche quelle gramsciane) se aiutano a meglio catturare
e definire la realtà, anche se queste categorie euristiche derivano dall'Occidente.
Come diceva Averroè, per la validità di un sacrificio non importa se il coltello appartiene a un
musulmano o a un credente a un'altra religione, l'importante è che siano rispettate le condizioni del
sacrificio. Fuor di metafora: non ha importanza se alcune idee vengono mutuate dall'Occidente,
l'importante è che servano a svolgere una funzione ermeneutica.
*Dopo aver insegnato per molti anni a contratto presso le Università di Urbino e Milano, è stato
ricercatore all'Orientale per sei anni e dall'a.a. 2011-2012 è Professore associato a Trento. Si occupa
principalmente di movimenti islamici contemporanei, di pensiero politico e di studi coranici. Nel corso
della sua carriera accademica, ha pubblicato molti testi tra cui: Islam e politica (1999 e 2003 Mulino,
tradotto in spagnolo), Introduzione alla filosofia islamica (2004 Laterza, trad. in inglese, spagnolo e
portoghese), Il pensiero islamico contemporaneo (2005 e 2009 Mulino), The Qur'an: modern Muslim
interpretations (2010 Routledge).
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Intervista al Prof. Charles Tripp*: “Il clan Assad e il sistema Siria”
Potrebbe tracciare un profilo della struttura politica siriana degli ultimi 40 anni?
Dal 1963 la Siria è stata governata da un regime Ba‟thista militare, che è stato inizialmente testimone di
lotte interne tra diverse fazioni che tentavano di prendere il potere le une sulle altre. Nel 1970 Hafiz alAssad portò a termine un colpo di Stato deponendo il suo rivale Salah Jadi, divenendo
conseguentemente Presidente e controllando ogni ente dello Stato e del partito dando così il via ad una
gestione autocratica dello Stato Siriano. Uno Stato all‟interno del quale non esisteva alcuna istituzione
realmente rappresentativa, non vi erano libere elezioni e ogni forma di dissenso pubblico subiva una
violenta repressione.
La Siria è quindi diventato il primo esempio di ciò che è stato definito “dawlah almukhabirat” (Stato dei
servizi segreti) dato che, in ultima istanza, gli Assad e i servizi segreti (questi ultimi operanti sotto il
controllo diretto degli Assad), controllavano tutti gli enti dello stato e assicuravano l‟ordine se
necessario con ogni mezzo: dalla prigione alla tortura, all‟ omicidio, all‟esilio.
Questo sistema è perdurato fino all‟anno della morte di Hafiz al-Assad nel 2000. Al centro del potere si
trovavano coloro i quali godevano della fiducia del clan Assad e non necessariamente perché fossero
ideologicamente affidabili (questa affinità ideologica, infatti, è sempre stato un elemento problematico
del Ba‟th) ma piuttosto perché condividevano la sua visione del potere e a lui avevano legato i propri
destini. A volte dipendeva dal fatto che provenissero dalla sua numerosa famiglia o da clan imparentati
tra loro della zona rurale di Jabal Alawi nella Siria Occidentale.
Come lo stesso Assad, del resto, molti di loro facevano parte della comunità degli Alawiti gruppo
religioso, sincretico ed eterodosso legato ai seguaci dell‟Imam Ali, cognato del Profeta Maometto,
risalente al X-XI secolo.
L‟importanza di basare il proprio potere su una famiglia leale e su legami clanici fu rinforzata dalla
designazione da parte di Hafiz al-Assad di suo figlio maggiore, Basil, come suo successore. Quando
Basil rimase ucciso in un incidente d‟auto nel 1994 suo fratello più giovane, Bashar, fu
conseguentemente designato da suo padre come probabile successore. Bashar, ad oggi Presidente,
assunse la presidenza nel 2000, alla morte del padre.
Un potente incentivo per garantire la sua ascesa al potere fu la convinzione da parte del clan, del partito
Ba‟th, dell‟alto comando militare e dell‟apparato di sicurezza, che la successione di Bashar, per quanto
potesse apparire strana in una Repubblica nominalmente socialista, rappresentasse la miglior garanzia di
stabilità e continuità rispetto ad una probabile futura lotta per il potere. Esistevano infatti molti poteri
forti interessati a veder continuare il tipo di il regime costruito da Hafiz al-Assad.
Del regime non facevano parte soltanto le persone legate al Presidente o provenienti dalla sua stessa
comunità, ma erano inclusi anche membri della classe media urbana emergente, la quale aveva tratto
beneficio dall‟ Infitah (apertura) dell‟economia siriana, dalle opportunità di commercio in Libano (dove
erano stanziati circa 30mila soldati dal 1976) e dall‟ordine che il governo autoritario sembrava garantire.
Facevano inoltre parte di questi poteri forti anche molti membri della società multi-confessionale
siriana: cristiani, drusi e ismailiti, comunità che, insieme agli Alawiti, costituivano il 35% della
popolazione.
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I membri delle minoranze etnico religiose, già preoccupati dall‟emergere dell‟Islam politico (si erano
già verificate violente rivolte per 4 anni tra il 1978 e il 1982 durante cui frange armate dei Fratelli
Musulmani si erano opposte alle forze repressive del governo), pur non entusiasti della famiglia Assad o
del partito Ba‟th, temevano per la loro condizione in un Paese in cui rappresentavano una minoranza.
Difatti il governo, apertamente laico o comunque gestito dalla minoranza „Alawita, garantiva la non
discriminazione delle altre minoranze sulla base della loro identità religiosa, un rispetto che essi
temevano non sarebbe stato altrettanto garantito se un governo fortemente islamista avesse preso il
potere in Siria o e, come successo in Libano, le differenze confessionali avessero portato alla guerra
civile. Questo tipo di appoggio fu estremamente utile a Bashar al-Assad, almeno all‟inizio della sua
ascesa al potere. Nonostante durante i primi anni del suo governo si fosse parlato di una “Primavera di
Damasco” sulla base delle promesse di liberalizzazioni, questa apertura democratica non arrivò mai a
compimento. Piuttosto lo Stato si riorganizzò ed il clan occupò tutti le alte cariche statali. La repressione
divenne consuetudine e le opportunità di protezione e corruzione, come mezzi di cooptazione della
classe media siriana, divennero nuovamente preminenti.
L‟esplosione di proteste in diverse parti del paese, specialmente nelle città curde del nord-est insieme al
ritiro forzato delle truppe siriane dal Libano nel 2005, rappresentarono un colpo al prestigio di Bashir alAssad, creando di conseguenza un certo scompiglio all‟interno del partito: ci furono diverse defezioni
dalla cerchia più stretta del potere e si verificarono alcune morti sospette tra gli ufficiali più anziani.
Tuttavia, nonostante questi contrattempi ed una situazione economica in netto deterioramento, Bashar fu
in grado di riaffermare la sua autorità nel 2010.
A riprova della sicurezza di Bashar, fin dall‟inizio delle rivolte in Tunisia ed Egitto durante i primi mesi
del 2011, il governo siriano si è largamente vantato per l‟apparente calma siriana, sostenendo come
l‟assenza di chiare proteste nel Paese fosse dovuta sia alla ferma posizione anti-Imperialista e antiSionista del governo quanto alla legittimità di cui godeva il Presidente. Le cose sarebbero poi
tragicamente cambiate nel Marzo del 2011.
Dopo la caduta di Ben Ali in Tunisia, del regime di Mubarak in Egitto e di Gheddafi in Libia, è
impossibile non chiedersi quale sia la forza che permette agli Assad di continuare a governare da
oltre quattro decenni e di resistere agli ultimi mesi di rivoluzione.
Dal marzo 2011, il regime siriano sta fronteggiando in molte zone del paese una serie di manifestazioni
ostili, ma generalmente pacifiche, che si oppongono ad ogni elemento del governo. È stato evidente
all‟inizio, e forse lo è ancora adesso, che queste manifestazioni di protesta e di ostilità si sono verificate
da un lato all‟altro del Paese, in diversi centri, villaggi, paesi e città di provincia. Le grandi città, come
Aleppo e Damasco, non sono però state scenario di proteste di massa – sicuramente niente in confronto
a Tunisia, Egitto e Libia.
Durante gli ultimi sei mesi14, la gente è scesa pacificamente per le strade di queste città di provincia per
esprimere il proprio odio nei confronti del regime e di tutto quello che lo rappresenta. I manifestanti
sono stati fronteggiati dalla violenza concentrata e mirata delle forze di sicurezza del regime, sia in
uniforme che in borghese. Una violenza che ha causato, fino ad ora (Ottobre 2011), circa 3.000 vittime.
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Ndr. aprile – ottobre 2011
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Allo stesso tempo alcune decine di migliaia di siriani sono stati arrestati e imprigionati o alcune volte
rilasciati solo per fare spazio ad altre migliaia.
Nonostante la violenza usata contro di loro, i siriani hanno continuato a manifestare e, in alcune zone,
hanno cominciato ad armarsi per difendere le loro città e le loro comunità contro la violenza del regime.
Negli ultimi mesi questa frangia armata è diventata più forte in alcune zone, causando circa 400 perdite
alle forze del regime e rafforzandosi grazie alle defezioni e diserzioni nelle stesse forze armate.
In ogni caso è risaputo che il regime e le sue forze di sicurezza non sono crollate o non si sono ritirate,
come è successo in altre Nazioni della regione, quando si sono trovate ad affrontare le proteste di massa.
Questo può essere spiegato dalla natura stessa del regime e da come questo sia stato capace di
organizzare le forze di sicurezza. Nel corso degli ultimi mesi non si sono verificate grandi defezioni e,
sicuramente, non ve ne è stata alcuna tra gli alti comandi delle forze armate.
Si può affermare, quindi, che l‟opera di reclutamento e di monitoraggio come il rafforzarsi ed
intrecciarsi degli interessi dell‟alto comando dell‟Esercito, a cui Hafiz al-Assad si è dedicato con
particolare attenzione, ha funzionato. Allo stesso modo la cooptazione di questi uomini nel sistema di
benefici del regime e la paura di quanto si sarebbe potuto perdere se il centro del potere fosse crollato,
ha rappresentato un potente mezzo per assicurare, se non con la fedeltà ideologica, un senso di
appartenenza ad un regime che è ancora in grado di dispensare benefici.
L‟esempio dell‟Iraq e della sua deriva nella guerra civile settaria nel periodo 2005-2008, quando il
governo centrale era particolarmente debole, ha rappresentato una potente prospettiva dissuasiva e al
tempo spesso spaventosa e non solo per la cerchia più ristretta del regime siriano. Egualmente il destino
di Gheddafi e dei suoi seguaci ha rappresentato una chiara indicazione di cosa accade quando la
solidarietà della cerchia più stretta del regime si rompe. E' stato quindi interesse del regime dipingere i
manifestanti come soggetti guidati da pregiudizi settari, animati da una ideologia islamista estremista e
pronti ad usare la violenza per abbattere l‟attuale governo siriano. Sul piano generale questo non è
accaduto, ma il fatto che queste componenti siano apparse in diversi momenti e luoghi - qualcuno
aggiungerebbe con più frequenza nell‟ultimo mese15 – ha permesso al regime di portare avanti questo
genere di propaganda.
Il problema a medio termine del regime siriano è capire come confrontarsi con le manifestazioni
pubbliche di massa senza usare mezzi violenti e repressivi. I segnali dicono che ogni qualvolta le forze
del governo non intervengono contro le manifestazioni, il movimento di opposizione prende coraggio e
si rafforza, interpretando questa mancanza di azione come segno di debolezza e scendendo in piazza
ancora più numerosa.
Questo non accade solo in un luogo specifico, ma in tutta la Nazione. Di conseguenza il regime è
bloccato in un ciclo permanente di repressione. Per quanto riguarda Bashar la sua paura è che, dovesse
decidere di alleggerire la repressione, questo sarebbe interpretato come segno di debolezza personale da
parte di coloro che appartengono alla cerchia più ristretta del regime e, forse, principalmente dal suo
giovane, ambizioso e spietato fratello, Maher. Il problema a lungo termine, invece, riguarda l‟effetto che
queste rivolte stanno avendo sull‟economia siriana e la prospettiva futura delle stesse rivolte.
Fino ad ora molti sono stati contenti di accettare il carattere autoritario del regime in cambio di benefici
personali scaturiti dalle opportunità che le connessioni e il wasta (nepotismo) ha offerto. Ad oggi tutto
15
Ndr. ottobre 2011
11
In collaborazione con
ciò non è più scontato e questo potrebbe causare un ripensamento tra coloro i quali hanno appoggiato il
regime fino ad ora.
Nel contesto della rivoluzione cominciata ad aprile, e che continua ancora oggi, qual è il ruolo del
partito Ba‟th e del clan „Alawita. Secondo lei è possibile parlare di due posizioni differenti?
Il partito Ba‟th non è un attore unico o indipendente in Siria nonostante rispecchi gli schemi del potere
nel cuore del regime. A livello più alto è dominato da persone che devono tutta la loro fortuna al clan
degli Assad e al loro controllo del potere. Ai livelli più bassi è costituito da persone che hanno deciso di
farne parte perché rappresentava l‟opzione più sicura per ottenere promozioni ed avanzamenti di
carriera. Di conseguenza il regime resiste o cade insieme a quella piccola élite che domina il nucleo
dello Stato.
Questa élite non è esclusivamente „Alawita e d‟altro canto non tutti gli „Alawiti appoggiano il regime.
Molti si sono profondamente opposti ad esso sia perché gli Assad tendevano a favorire soltanto certi
clan e certe famiglie all‟interno della grande comunità Alawita, ed anche perché non si sentivano
prevalentemente „Alawiti nel senso della loro identità politica. In ogni caso il regime ha fatto tutto ciò
che era in suo potere per convincere tutti gli Alawiti (come anche i Drusi, i Cristiani e gli Ismailiti) che
sarebbero in grande pericolo qualora l‟attuale governo dovesse essere ribaltato, perché probabilmente
sarebbe sostituito da un regime uidato da una frangia islamista intollerante ed estremista.
Il governo ha ribadito il messaggio schierando la milizia al-Shabbiha (fantasmi) per reprimere i
manifestanti, particolarmente nella città di Latakia e Banias, ma anche altrove. Questa milizia è
notoriamente controllata dai giovani Alawiti che, a loro volta, controllano le reti di contrabbandieri,
estorsori e ladri a cui è stato concesso negli ultimi anni il diritto di agire liberamente nella zona di Jabal
Alawi e della pianura costiera.
*È professore di Politica, con un focus sul Medio Oriente, presso “The School of Oriental and African
Studies”-University of London. I suoi studi comprendono la natura della autocrazia, dello Stato e della
resistenza in Medio Oriente e le politiche dell‟identità Islamica. È autore di: Islam and the Moral
Economy: The Challenge of Capitalism (Cambridge University Press, 2006); A History of Iraq
(Cambridge University Press, 2007); al momento sta completando la stesura del suo prossimo libro,
intitolato: The Politics of Resistance in the Middle East
12
In collaborazione con
Intervista al Prof. Arshin Adib-Moghaddam*: “I Fratelli Musulmani in Siria”
E‟ possibile definire un ruolo chiaro dell‟Islam politico nella rivoluzione siriana? I Fratelli
Musulmani hanno avuto e stanno avendo un ruolo rilevante all‟interno dell‟opposizione ad Assad?
Forme politicizzate di Islam sono elementi che fanno parte dell‟intera politica della regione: Siria
inclusa. Piuttosto non esiste un fronte di confronto “laici VS islamisti”. Sicuramente, qui come altrove,
le rivolte sono guidate da richieste molto concrete: democrazia, diritti umani ed emancipazione socioeconomica. Questi sono obiettivi universali che si sono diffusi durante le rivolte arabe e hanno assunto
un enorme valore.
Di sicuro nella rivoluzione sono coinvolti estremisti che traggono ispirazione dal movimento wahabita e
sono finanziati dai sauditi, ma questi gruppi si posizionano ai margini della rivoluzione e non hanno un
chiaro elettorato politico in Siria.
Gli stessi Fratelli Musulmani sono profondamente cambiati dai tempi d‟oro dell‟Islamismo teorizzato da
Sayyid Qutb, arrivando ad avanzare le attuali richieste di un Islam civico (al-Islam al-madaniya) che
dovrebbe fungere da punto di riferimento culturale per la società piuttosto che come sistema totalitario.
Se dovessimo proporre un termine di paragone, l‟Islam politico siriano potrebbe assomigliare al modello
turco e a quello che si potrebbe configurare in Tunisia16.
Non stiamo assistendo a rivoluzioni islamiche modellate sull‟esperienza iraniana fondamentalmente
perché in queste rivolte post-moderne non vi è un Islam ideologico pronto a guidare le masse. Quello a
cui stiamo assistendo sono rivolte decentralizzate e nucleari che colpiscono i sistemi politici dal basso.
Sono delle micro-battaglie che si trasformano in movimenti di massa grazie alla legittimità di richieste
fondamentali quali democrazia, diritti umani ed equità economica. Richieste che, inoltre, toccano tutti
gli strati della società.
L‟assenza dei Fratelli Musulmani dall‟arena politica siriana durante gli ultimi anni, come anche
durante gli ultimi mesi di rivoluzione, è legata ancora alla dura repressione condotta dal regime
durante gli anni 80 o è legata “esclusivamente” ad una assenza di leadership sul territorio?
Lo stato siriano ha dovuto affrontare due dilemmi: in primis, ha dovuto sforzarsi per colmare la
divisione confessionale tra la minoranza alawita degli Assad al potere e la maggioranza Sunnita; in
secondo luogo, ha dovuto necessariamente trasformare un'ideologia militare, come il Ba‟thismo, in una
forma di governo che fosse responsabile dinanzi al popolo.
Durante l‟ultimo decennio il modello socialista del Ba‟th siriano ha perso una gran parte, se non la
totalità, del suo fascino ideologico. Dinanzi all‟assenza di una qualsivoglia forma ideologica e di una
legittimazione politica ottenuta grazie ad un processo democratico, il supporto politico si è concentrato
intorno alla figura del leader: Hafez al-Assad prima e Bashar al-Assad dopo di lui. Non c‟è da
meravigliarsi che gli slogan gridati dai manifestanti pro-regime – presenti in minoranza ma pur sempre
attivi – fossero unicamente rivolti alla persona di Bashar al-Assad, mentre l‟opposizione, dall‟altro lato,
sta portando avanti richieste concrete, incentrate sui concetti di democrazia e diritti umani.
16
Ndr. Dopo che le elezioni tenutesi nell’Ottobre del 2011 hanno portato alla vittoria dei partiti Islamisti
13
In collaborazione con
Anche prima della caduta di Ben-Ali e di Mubarak, era palese quanto non bastasse sviluppare uno stato
incentrato intorno alla figura mitizzata del leader. Di conseguenza durante il corso della storia
contemporanea siriana si è riproposto uno schema di violenza e reazione alla violenza.
L‟opposizione ha continuamente sfruttato l‟assenza di legittimità democratica dello Stato, che a sua
volta ha utilizzato la repressione sistematica per zittire la società. Senza un ordine democratico ogni
futuro governo siriano dovrà confrontarsi con simili periodi caratterizzati dal malcontento delle masse.
Non credo che le proteste siriane siano settarie. Piuttosto si fondano sulla condanna di una distribuzione
del potere e di benefici economici iniqui. Pertanto non sono dirette contro la minoranza alawita, ma
contro l‟oligarchia statale e contro il suo substrato economico rappresentato da una vasta rete di “amici”
che non sono stati in grado di rispondere alle richieste della società.
Lei pensa che Hamas stia avendo un ruolo attivo nella rivoluzione siriana?
Non credo che Hamas possegga le capacità operative per avere un ruolo diretto in Siria. Ma, d‟altro
canto, è noto come Khaled Meshaal e altri leader non abbiano appoggiato pubblicamente gli Assad.
Tuttavia, allo stesso tempo, Hamas ha represso ogni dimostrazione di sentimenti anti-siriani a Gaza.
Sicuramente il movimento di resistenza islamico non vuole la caduta del regime degli Assad,
principalmente a causa dell‟incertezza che ne seguirà per lo stesso movimento. Allo stesso modo non ha
però assunto una chiara posizione nei confronti delle repressioni e del futuro politico del regime siriano,
preoccupati per il proprio futuro nel paese.
Credo che qualunque governo prenda il posto del regime degli Assad dovrà dare risposte pronte circa la
critica questione palestinese. Ciò rifletterà la posizione dominante della maggior parte delle società
arabe, il che rende difficile per ogni governo ignorare i sentimenti pro-Palestina.
Hosni Mubarak e Zine El Abidine Ben-Ali lo hanno fatto e questo ha contribuito alla loro caduta: erano
considerati asserviti alle richieste di Israele e degli Stati Uniti. Del resto è proprio grazie al costante
supporto alla causa palestinese che forse Assad continua a meritare una minima lealtà in Siria e altrove.
Nonostante la violenza scatenata sulla sua gente, probabilmente questo è l‟ultimo baluardo ideologico da
difendere.
* Lettore in Politiche Comparative e Relazioni Internazionali presso “The School of Oriental and
African Studies” – University of London. È autore di: The International Politics of the Persian Gulf: A
cultural genealogy (Routledge, 2006, 2009), Iran in World Politics: The question of the Islamic
Republic(Columbia University Press/Hurst, 2008, 2010) e di più di una dozzina di articoli accademici.
La sua ultima pubblicazione è A Metahistory of the Clash of Civilisations: Us and them beyond
Orientalism (Columbia/Hurst, 2011). Dopo aver studiato presso le università di Amburgo, di
Washington DC e di Cambridge, è stato il primo Jarvis Doctorow Fellow in Relazioni Internazionali e
Studi di Pace presso la St. Hedmund Hall e il Dipartimento di Politica e Relazioni Internazionali
dell‟Università di Oxford. Presso l‟Università di Cambridge, dove ha ottenuto un MPhil e un PhD, è
stato eletto Honorary Fellow della Cambridge European Trust Society. I suoi scritti sono stati tradotti in
molte lingue e spesso collabora con eminenti testate giornalistiche ed emittenti televisive di tutto il
mondo. Il Prof. Adib-Moghaddam ha tenuto lezioni su scala mondiale su vari argomenti quali la politica
Iraniana e dell‟Asia Occidentale, l‟Islamofobia, la teoria critica e il mito dello scontro di civiltà.
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In collaborazione con
Intervista a Sasha Ghosh-Siminoff*: “Il ruolo delle opposizioni”
Quali sono, secondo la sua opinione, i reali motivi che hanno spinto il popolo siriano a ribellarsi al
regime degli Assad dopo 4 decenni di governo?
Esistono diverse cause che hanno portato alla rivoluzione in Siria. Detto questo mentre la Siria si faceva
influenzare dagli eventi che stavano accadendo nel resto della regione, generalmente conosciuti come
“Primavera Araba”, le problematiche proprie del paese, ed alcuni eventi, hanno portato la nazione alla
rivoluzione:
L‟apertura di Facebook a febbraio ha permesso agli attivisti di usare il social network per propagandare
la democrazia su internet, seguendo le stesse dinamiche dell‟attivismo tunisino ed egiziano: “Siria, il
giorno della rabbia17”.
La cattiva gestione delle rivolte da parte del regime degli Assad. La pesante risposta contro alcuni
bambini che avevano disegnato dei graffiti nella loro scuola (15 marzo) e la risposta ancora più pesante
alle proteste che ne sono scaturite, ha richiamato i siriani e li ha spinti ad agire.
La rivoluzione siriana è stata, fino ad ora, una rivoluzione “a fuoco lento”. E' infatti iniziata con
richieste di riforme interne e non per rovesciare il sistema, ma la dura risposta del regime a queste
proteste pacifiche ha spinto la gente a modificare le loro richieste verso un totale rovesciamento del
regime.
Alcuni problemi sociali hanno poi portato ad una maggiore pressione, producendo una “rivolta
demografica18”per la rivoluzione: l‟alta disoccupazione, anche i laureati; la difficoltà di sposarsi per gli
uomini tra i 20-30 anni (è l‟uomo a comprare casa e a pagare una dote di circa 500 $); la bassa
disponibilità di case (e quindi il loro alto prezzo). Di conseguenza, uomini disoccupati e non sposati, con
molto poco da perdere, hanno potuto, nonché voluto, scendere in piazza tutti i giorni manifestando
pacificamente e consapevoli che questo significava affrontare pallottole e carri armati.
Lo slogan ricorrente dei manifestanti è sempre stato legato alla loro frustrazione per essere
continuamente umiliati dal loro governo, e la violenta repressione delle proteste a Deraa ha
rappresentato, per molte persone, la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Pensa che sia presente una componente islamica nella rivoluzione?
Non esiste una componente esplicitamente islamica nella rivoluzione. Questa rivoluzione riguarda la
dignità, l‟onore e la richiesta di basilari diritti umani del popolo siriano. In molti modi, questa è una
rivoluzione nazionalista e “trascendentalista”, in cui l‟enfasi è sempre stata l‟identità nazionale e solo in
un secondo momento le identità etnico-confessionali.
17
Ndr. Sia in Tunisia che in Egitto, le proteste sono state lanciate tramite Facebook da gruppi di attivisti che
proponevano di scendere in piazza nel “Giorno della Rabbia” del popolo, contro le ingiustizie economiche, sociali e politiche
di cui è stato vittima per decenni
18
Ndr. Per “rivolta demografica” si intende la rivolta di un certa fascia di età della società maggiormente colpita dai
disagi sociali, economici e politici che hanno scatenato la rivolta. In Egitto la fascia di età interessata dal fenomeno è quella
dei giovani tra i 15 e i 29 anni, colpiti dai fenomeni elencati nel testo. ( fonte
http://www.insead.edu/facultyresearch/research/doc.cfm?did=47411)
15
In collaborazione con
Alcuni “Islamisti” fanno parte dell‟opposizione, ma con una connotazione religiosa che spazia dagli
islamisti simili al partito AKP turco al governo, ai Fratelli Musulmani, sino ai salafiti.
I Fratelli Musulmani non sono popolari in Siria e non lo sono fin dal 1980, quando il regime degli Assad
represse il loro ultimo tentativo di rivolta. Gli islamisti rappresentano una certa parte della società e, di
conseguenza, fanno parte dell‟opposizione siriana. In particolare ricoprono posizioni di rilievo nel
Consiglio nazionale siriano (CNS) e nell‟Assemblea Generale.
In generale, quali sono i diversi attori che stanno avendo un ruolo nella rivoluzione?
Esistono tre maggiori componenti della rivoluzione.
1.L’opposizione interna:
La nascita di un‟opposizione interna è stata naturale e spontanea, e ha rappresentato il bisogno dei
manifestanti di organizzarsi, rimanere in contatto e produrre materiale video e fotografico per i media.
Man mano che la rivoluzione si è evoluta questi gruppi di persone hanno iniziato a tenere il conto delle
vittime, riportando le notizie dei singoli eventi e mettendo i media in contatto con gli attivisti desiderosi
di testimoniare quanto stava accadendo, registrando - con fotografie e video - le brutalità del regime.
Alcuni membri delle stesse organizzazioni sono stati imprigionati, torturati e uccisi.
L‟opposizione interna si presenta così suddivisa:
-
-
Coalizione ufficiale interna: Ghad Democratic Coalition
Organizzazioni nazionali: Local Coordination Committees of Syria; Syrian Revolution General
Commission; Higher Council of the Syrian Revolution; Coordination Union of Syrian Kurdish
Youth; Nabed Coalition for Syrian Civil Youth
Gruppi di opposizione più localizzati: Revolution Command Council in Idlib; Revolution Command
Council in Lattakia; 17 Nissan youth Movement in Deraa; Union of Homs Free People; Union of
Homs Neighborhoods; Euphrates Revolution in Deir Ezzor; Damascus Coordinations‟ Union
2. L’opposizione esterna:
Esistono numerosi gruppi esterni di attivisti, oppositori del regime, che operano al di fuori dei confini
siriani – specialmente negli Stati Uniti, in Europa e in Libano.
Nonostante siano stati fatti diversi tentativi per creare un “consiglio nazionale”, ispirato al Consiglio
nazionale di transizione libico, fino ad ora questi sforzi sono falliti.
L‟ultima iniziativa ha portato alla nascita del Consiglio nazionale siriano (CNS), guidato da attivisti che
si trovano all‟estero. Il CNS dovrebbe essere formato da 140 rappresentanti, di cui il 60% costituito dai
gruppi di opposizione interna e il 40% costituito da membri esterni. Fino ad ora, sono state nominate 71
persone, e 34 di queste sono state identificate come islamiste. A causa di questa tendenza a favorire gli
islamisti in seno al CNS, molti gruppi di opposizione interna hanno richiesto ulteriori negoziazioni
affinché le componenti del Consiglio rispecchino al meglio le diverse componenti etniche e religiose
della società siriana.
16
In collaborazione con
3.L’opposizione armata:
L‟opposizione armata è costituita da due gruppi principali, “Esercito per la Siria Libera” e “Movimento
degli Ufficiali Liberi”. Riguardo quest‟ultimo non si sa molto, mentre l‟Esercito per la Siria Libera
sembra rispettare una gerarchia dovuta al fatto che sono ufficiali che hanno lasciato l‟esercito siriano. Il
colonnello Ryad Assad è il leader dell‟esercito e al momento si trova in Turchia, insieme ad altri suoi
ufficiali.
I diversi attori coinvolti possono essere quindi divisi, ulteriormente, in tre categorie:
attori individuali: intellettuali esiliati, professori, attivisti politici del web, ex ba‟thisti che sono diventati
critici nei confronti del regime e sono stati esiliati; organizzazioni non governative/gruppi della diaspora
gruppi di opposizione, interni ed esterni, che sono nati quando sono cominciate le rivolte in aprile.
Pensa che sia possibile definire una leadership del movimento rivoluzionario?
Dall‟inizio della rivoluzione, la vera sfida delle opposizioni è stata quella di creare un fronte unitario e
una struttura a capo del movimenti. Questo bisogno scaturisce in parte dalla spontaneità della
rivoluzione, che implica la mancanza di coordinamento del movimento di opposizione siriano.
17
In collaborazione con
Ugualmente, la nascita spontanea delle proteste ha escluso la comunità della diaspora, che non si
aspettava una rivoluzione e che era ancora impegnata a riformare la Siria dall‟interno dell‟attuale
sistema politico.
Attualmente il Consiglio nazionale siriano – dopo diverse false partenze – sta diventando l‟autorità
dominante e la struttura portante del movimento. Il CNS ha ottenuto il supporto del 90% dei movimenti
di opposizione interna ed esterna, ed è strutturato in modo da bilanciare diverse sezioni rappresentative:
opposizioni interne VS opposizioni esterne; rappresentanze geografiche e rappresentanze etniche e
settarie.
Il CNS sta ancora lavorando per consolidare la sua autorità all‟interno del movimento rivoluzionario e
per ottenere il supporto della comunità internazionale.
L‟attuale formazione del CNS è la seguente19:
- Consiglio esecutivo (CE), che rappresenta la leadership del CNS ed è composto da 7 membri;
- Segreteria Generale (SG), consiglio politico e consultivo della CE composta da 29 membri;
- Assemblea Generale (AG), corpo rappresentativo generale che viene consultato e che ha il diritto di
voto su ogni decisione presa dal CE e dalla SG. Composta attualmente da 140 membri i quali
potrebbero aumentare fino a 230. Inoltre si sta valutando l‟idea (e, personalmente, penso sia
altamente probabile) che alcuni posti della AG e almeno un posto della SG siano riservati alla
comunità alawita e ai loro rappresentanti, dato che la maggior parte della comunità ha deciso di
appoggiare la rivoluzione.
Qual è lo stato attuale della rivoluzione?20
È difficile a dirsi. Giudicando lo stato attuale delle cose, al momento stanno avendo luogo due
rivoluzioni parallele: una pacifica e una armata. La maggior parte dei manifestanti è ancora pacifica e il
CNS continua a sottolineare la natura pacifica e non armata della rivoluzione siriana.
Detto questo, l‟alto numero di vittime e di atti violenti perpetrati dalle forze di sicurezza, atti che
possono essere definiti come crimini contro l‟umanità, stanno portando alcuni elementi della rivoluzione
ad armarsi e difendersi.
L‟aumento delle defezioni nelle forze di sicurezza, tradizionalmente fedeli al regime degli Assad, e la
formazione “Esercito per la Siria libera” da parte del Col. Ryad Assad, sono gli elementi chiave
dell‟opposizione armata.
L‟esercito del Col. Ryad ha condotto piccole operazioni nella regione – prevalentemente contro la
Shabiha – facendo crescere l‟opposizione al regime ed ha altresì inflitto un alto numero di perdite alle
forze di sicurezza. Tra l‟aumento delle defezioni, l‟unirsi delle opposizioni siriane sotto una unica
direzione e l‟aumento della pressione della comunità internazionale, pronta ad intervenire con sanzioni
economiche, sembra che tutto porti ad un momento di svolta in favore dell‟opposizione siriana.
19
20
Ndr. La conformazione del CNS potrebbe cambiare.
Ndr. Ottobre 2011
18
In collaborazione con
* Laureato presso l‟Università di Exeter con un Master in Politiche del Medio Oriente, il suo interesse
per la regione si concentra sul “Levant” (Siria, Libano, Giordania, OPT, Israele) e ha portato avanti studi
in Israele e nella West Bank. Ultimamente, ha passato tre mesi e mezzo ad Aleppo, in Siria, dove ha
portato avanti gli studi della lingua araba. In questo periodo, è stato testimone dell‟inizio della
rivoluzione siriana ed ha quindi creato il blog www.thesyriareport.blogspot.com, in risposta alla
mancanza di notizie riguardo la situazione in Siria negli Stati Uniti. Prima di ottenere il master, Il Dr.
Ghosh-Siminoff è stato giornalista presso il Congressional Quartlerly a Washington DC, e ha continuato
ad usare le capacità apprese per riportare le notizie dalla Siria. Ha anche scritto un Op-Ed per il
Guardian intitolato “Life in Syria's Psychological Prison of Fear”. Attualmente, sta lavorando come
assistente presso il POMED (Project on Middle East Democracy) a Washington DC.
19
In collaborazione con
Interview with Charles Tripp
Would you like to define a political profile of Syria in order to get a clear idea of the political
establishment existing in the region since the last 40 years?
Since 1963 Syria has been ruled by a Ba`thist/military regime that has witnessed various factions
seeking to dominate the others. In 1970 Hafiz al-Asad carried out a coup and overthrew his rival, Salah
Jadid. Asad became President, dominating all agencies of state and party and ruling Syria as an
autocracy in which no truly representative institutions, free elections or even public dissent was allowed.
Syria thus became a prime example of what has been called „dawlah almukhabirat‟ [state of the
intelligence services] since, in the final analysis, they and the security services, working under the direct
control of Asad dominated all agencies of the state and ensured order, if necessary through
imprisonment, torture, murder and exile.This system was sustained until the year of Hafiz al-Asad‟s
death in 2000.
At the heart of power were those who were implicitly trusted by Asad, not necessarily because they were
ideologically reliable (this had been notoriously fractious within the Ba`th) but because they shared his
worldview and because their fates were tied to his. Sometimes this was because of years of trusted
personal service; sometimes it was because they came from his extended family or from related clans in
the impoverished rural Jabal Alawi in Western Syria. Like Asad himself, therefore, many of them were
from the Alawi community – a heterodox and syncretic religious grouping with its origin in the
followers of Imam Ali, son-in-law of the Prophet Muhammad that dates from roughly the 10/11th
centuries.The importance of trusted family and clan ties at the heart of power was reinforced by Hafiz
al-Asad‟s designation first his eldest son, Basil, as his successor.
When Basil was killed in a car accident in 1994, hisyounger brother Bashar was promoted by his father
as his likely successor. Bashar, now President of Syria, did indeed take over the presidency in 2000
when his father died. A powerful incentive for the clan, the Ba`th Party, the military high command and
the security apparatus to allow this to happen was the belief that Bashar‟s succession, strange as it may
have looked in a nominally socialist republic, was a better guarantor of stability and continuity than the
struggle for power that might have followed. There were many vested interests keen on seeing the
continuation of the kind of regime set up by Hafiz al-Asad. These were not simply the people who were
related to the president or from his community.
It also included large numbers of the emerging urban middle class who had benefited financially from
the infitah [opening up] of the Syrian economy, the trade opportunities in Lebanon (where some 30,000
Syrian forces had been stationed since 1976), and the kind of order that authoritarian rule appeared to
guarantee. This also included many members of Syria‟s multiconfessional society – the Christians, the
Druze and the Ismailis who, with the Alawis, comprise about 35% of the population. Already perturbed
by the rise of political Islam – there had been a violent four year uprising between 1978 and 1982 that
had pitted the armed units of the Syrian Muslim Brotherhood against the repressive forces of the regime
– these members of minorities may not have been wildly enthusiastic about the Asad family or the Ba`th
party, but they feared for their own position in a country where they were minority communities. If the
government were avowedly secular, or even in the hands of members of one of these minorities, it
reassured them that they would not be discriminated against on the basis of their religious identity, as
they feared either if a strong Islamist government were to come to power in Syria, or if, like Lebanon,
confessional difference led to civil war.
20
In collaborazione con
This kind of support was very valuable to Basil al-Asad at the outset. Although there was talk of a
„Damascus Spring‟ in the early years, with promises of, or hints at liberalization, this never amounted to
much. Instead, the security state reasserted itself, the clan closed ranks at the top, repression was the
norm and the opportunities for patronage and corruption as ways of co-opting the Syrian middle classes
became prominent once again. Protests broke out in some parts of the country, notably in the Kurdish
towns of the northeast and the Syria‟s forced withdrawal of its troops from Lebanon in 2005 was a blow
to Asad‟s prestige. As a result, there was some disruption, and a few defections from the inner circle of
power, as well as some suspicious deaths of senior officials.
Nevertheless, despite these setbacks, and a deteriorating economic situation, it appeared to many that
Bashar had managed to reassert his authority by 2010. Indeed, when the upheavals in Tunisia and in
Egypt took place in early 2011, the Syrian regime congratulated itself on the apparent calm in Syria
itself, arguing that the absence of open protest in Syria was due to the steadfastly anti-imperialist and
anti-Zionist stance of the government, as well as the legitimacy of the president. Things were to change
dramatically by March 2011.
After the fall of the regime of Ben Ali in Tunisia and Mubarak in Egypt and having a look to what is
happening in Libya, in your opinion, what has been the fundamental strength of the Assad regime
which permitted them to rule for over 4 decades and which is helping them to don‟t give up the power
during the last months of revolution?
From March 2011 the Syrian regime has been faced by a series of hostile but in many areas largely
peaceful demonstrations, voicing opposition to all aspects of its rule. It was noticeable that initially, and
to some extent still, these open demonstrations of protest and hostility have taken place across the
country in multiple centres, villages, small towns and provincial cities. By and large, the major cities of
Aleppo and Damascus have not witnessed scenes of mass protest – certainly nothing on the scale of
Tunisia, Egypt or Libya. For the past six months people have repeatedly gone out on the streets of these
various provincial towns to voice their protest and indeed hatred of the regime and all it stands for. They
have been met by concentrated and targeted violence by the security forces of the regime, both in
uniform and in civilian clothes, that has claimed some 3000 lives.
At the same time, some tens of thousands of Syrians have been arrested and detained, sometimes
released to make way for thousands of others. Even so, despite the violence used against them Syrians
have gone on demonstrating and in some places have begun to take up arms to defend their towns and
communities against the violence of the regime. In the past few months, this armed element has become
more obvious in a number of places, inflicting perhaps 400 or so casualties on the government‟s forces
and strengthened by defections and desertions from the security forces themselves.
However, it is noticeable that the regime and its security forces have not crumbled or split apart, as in
some of the other countries in the region when faced by mass protest. This may be explained by the
nature of the regime and the way it has organized the security forces.
There have been no major defections and certainly none within the high command of the armed forces.
It appears therefore that the recruitment, vetting and cementing of the loyalties of the high command
that was so much a preoccupation of Hafiz al-Asad has been successful. Equally, the co-option of these
men into the reward system of the regime and the fear of what might be lost if the centre gives way has
been a powerful way of ensuring, if not loyalty, then self-interested adherence to a regime that can still
deliver the goods.
21
In collaborazione con
The example of Iraq and its descent into sectarian civil war in 2005-8 when central government was
weak has been a powerful and frightening prospect, not simply for the inner circle of the Syrian regime.
Equally, the fate of Gadhafi and his followers has been a clear indication of what happens when the
solidarity of the inner circle breaks down. It has therefore been in the interests of the regime to portray
the protesters as driven both by sectarian prejudices, animated by extremist Islamist ideology and
willing to use armed force to overthrow the government.
For the most part, this has not been the case through the months of demonstration, but the fact that these
features have appeared at different times and places – and some would argue with more frequency in the
past month – allows the regime to make its case.The medium term problem for the regime is how to deal
with mass public protest without using violent and repressive measures. Every indication is that
wherever government forces have failed to intervene, people take heart, see this as a sign of weakness
and come out onto the streets in their tens of thousands. This happens not just in one place, but across
the country.
Thus, the regime is locked into a permanent cycle of repression. For Bashar, the fear is that if he eases
up, it will be taken as a sign of his own personal weakness by some of those around him in the inner
circle, including and perhaps principally by his ambitious and ruthless younger brother, Maher. The
longer term problem is the effect that this unrest is having on the Syrian economy and its prospects.
Hitherto, many were content to put up with the authoritarian character of the regime if they felt that they
could profit personally from the opportunities that connections and wasta offered.Now this is not so
certain and this too may cause second thoughts among those who have hitherto been supportive.
In the context of the revolution which started in April and is still on the field, what is the role of the
Ba‟th party and of the „Alawis clan (if it is possible to discuss about two different positions) during
the revolution?
The Ba`th party is not an independent or autonomous actor in Syria. It mirrors the preoccupations and
patterns of power at the heart of the regime. Thus, at the senior levels it is dominated by men who owe
everything to the Asad clan and its hold on power. Lower down, it is full of people who have joined it
because this seemed to be the sure path to promotion and career advancement. It stands or falls therefore
with the small elite that dominates the heart of the state.
This elite is not exclusively Alawi, nor do all Alawis support the regime. In fact, many have been
bitterly opposed, in part because the Asads tended to favour only certain clans and families within the
larger Alawi community, in part because they do not see themselves primarily as Alawi in their political
identity. However, the regime has done everything it can to persuade all Alawis (and Druze, Christians
and Ismailis) that they would be in grave danger if the present regime were to be overthrown, since, they
argue, its most obvious replacement would be a regime driven by an intolerant and extreme brand of
Islamism. The government has reinforced this message by deploying the plain clothes al-Shabbiha
[ghosts] militia to use violence against demonstrators, particularly in the Western cities of Latakia and
Banias, but also elsewhere. This militia is notorious for being drawn from the young men who formed
the Alawi dominated networks of smugglers, extortionists and thugs who have been given a license to
terrorise the Jabal Alawi and the coastal plain for the past decades.
22
In collaborazione con
Interview with Moghaddam
Is it possible to define a clear role of Political Islam in the Syrian revolution? Do you think that the
Muslim Brotherhood had a relevant role in the revolution?
Politicised forms of Islam are a factor of politics throughout the region including in Syria. But there are
no „secular versus Islamist‟ battle-lines. Certainly, in Syria and elsewhere the revolts are driven by very
concrete demands: democracy, human rights, and socio-economic emancipation. These are norms that
are universal and that are being dispersed and enriched in the Arab revolts. Of course, there are Saudifinanced Wahhabi inspired extremists involved, but they are at the margins and do not have a political
constituency in Syria. The Muslim Brotherhood too has undergone profound changes from the heydays
of Qutbian Islamism to the current calls for civic Islam (al-Islam al-madaniya) which would function as
a cultural reference point for society, rather than a totalitarian system. If anything, Islamic politics in
Syria would look like Turkey‟s model and the future of Tunisia.
We are not witnessing Islamic revolutions modelled after the Iranian experience, exactly because in
these post-modern revolts there is no ideological Islam that drives the masses. What we are witnessing
are de-centralised, nuclear struggles that affect politics from the bottom-up. These are micro battles that
transmute into mass movements because of just and legitimate demands for democracy, human rights
and economic equality that permeate different strata of society.
Their absence from the Syrian political arena during the last years and almost during the last months
of revolution is still related to the harsh regime repression conducted against them during the 80‟s?
or, otherwise, is related „only‟ to a field leadership absence?
The Syrian state has had to deal with two dilemmas: First, it has been challenged to bridge the sectarian
divide between the minority Alawite rule of the Assads and the Sunni majority. And secondly, it has
been hard-pressed to transmute a militaristic ideology such as Ba‟thism into a form of governance that is
accountable to the people. Syrian Ba‟athism and its socialist pretexts have lost most, if not all of their
ideological appeal in the past decade. In the absence of such an ideological momentum and democratic
legitimacy, political support has been organised around the person of the leader, i.e. Hafiz-al Assad and
Bashir al-Assad after him.
It is no wonder that the slogans of the pro-government demonstrators - visibly in the minority but still
active – are almost entirely geared to the persona of Bashir al-Assad, whereas the opposition brings
forward concrete demands that are enveloped in a language of democracy and human rights. Even
before the fall of Mubarak and Ben-Ali, it was simply not enough to cultivate a state around a heroised
leader image. Hence, the flare ups of violence and counter-violence throughout the contemporary history
of Syria. The opposition has continuously exploited the absence of democratic legitimacy of the state,
which in turn used systematic repression to mute society. Without a democratic order, every Syrian state
will have to deal with similar periods of mass discontent.
I don‟t deem the protests sectarian. Rather, they are driven by the unequal distribution of power and
economic benefits. Therefore, they are not directed against the minority Alawites per se, but against the
oligarchy constituting the state and its economic underbelly, a vast network of cronies that have not been
responsive to the demands of society.
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Do you think that Hamas is having an active role in the Syrian revolution? In which sense? How an
hypothetical fall of the Assad regime will affect Hamas?
I don‟t think that HAMAS has the operational capability to have any kind of direct role in Syria. But it
is noteworthy that Khaled Meshaal and other HAMAS leaders have not come out in explicit support for
Assad. At the same time, HAMAS has suppressed the display of anti-Syrian sentiments in Gaza.
Certainly, HAMAS would not want the downfall of the Assad regime, not at least because of the
uncertainty that would follow. But they are also sitting on the fences, unsure about their own future in
the country.
I believe that every successor state to the Assad regime would be responsive to the plight of the
Palestinians. This reflects the preference setting of most Arab societies. Hence, it is very difficult for
states to ignore pro-Palestinian sentiments. Hosni Mubarak and Zine El Abidine Ben-Ali did so and it
contributed to their downfall; they were deemed to be subservient to the demands of Israel and the
United States. And perhaps it is due to the support to the Palestinian cause that Assad continues to
command residual loyalties in Syria and beyond. Amidst the violence he has unleashed on his people,
this maybe the last ideological plank to hold on to.
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Interview with Sasha Ghosh-Siminoff
Which are the real reasons, which brought the Syrian people to rebel against the Assad regime after 4
decades?
There are several main causes for the revolution in Syria. That being said, while Syria was influenced by
the events in the region, commonly known as the “Arab Spring”, Syria‟s own unique set of issues and
localized events really propelled the nation into revolution: unbanning of Facebook in February which
allowed online activists to take advantage of the social media tool to promote and advance democratic
activism in the same vein as the kind of activism found in Tunisia and Egypt, i.e. “Syria Day of Rage”.
Mismanagement of the initial situation by the Assad regime. The heavy handed response against the
children who sprayed graffiti in their school (March 15th) and then the even worse response to the
protests that erupted afterwards really appalled many Syrians and spurred them into action.
Syria‟s revolution was a “slow-burning” revolution: started out with demands for internal reform not and
overthrow of the system and again, the response of the regime to these peaceful protests propelled
people to change their demands from internal reform to the demand for the toppling of the regime.
Societal issues added extra pressure that produced a “demographic ripeness” for revolution: 1) high-ish
unemployment, even for those with college degrees; 2) men between the age of 20-30 have a hard time
marrying due to the fact that getting married in Syria requires the man to buy a house and pay a dowry
that can run at least $5,00; A housing shortage (and thus housing was expensive) contributed to the
marriage issue. Thus, unemployed, unmarried men with little to loose were willing to go out every day
and peacefully protest, even if that meant facing bullets and tanks.
The general refrain from protesters was that they were sick of being humiliated by their government,
and the violent repression of the protests in Deraa was the last straw for many people.
Do you think that there is an Islamic component in the revolution? In which sense?
There is not an explicitly “Islamist” component to this revolution. This revolution is about the honor,
dignity and the demand for basic human rights for the Syrian people. In many ways, this is a
nationalistic and “transcendentalist” revolution, in which the emphasis has always been on the Syrian
national identity first, ethno-sectarian identities second.
There are “Islamists” present in the opposition, but these elements range from Islamist similar to the
ruling Turkish AK Party to the Muslim Brotherhood, to Salafists. The Muslim Brotherhood are not
popular in Syria and have not been popular since the 1980s when the Assad regime crushed the last
attempted revolt. Islamists do represent some portions of the population and as such they are included in
the Syrian opposition- specifically, they have seats on Syrian National Council, in the General
Assembly.
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In general terms, which are the different actors having a role in the revolution?
Three components to the revolution: (please review attachment for a more detailed explanation of these
three groups)
-
Internal opposition
External opposition
Armed opposition
The Opposition:
1.
The internal opposition:
Internal Official Coalitions: Ghad Democratic Coalition (see those highlighted)
National Organizations:
- Local Coordination Committees of Syria
- Syrian Revolution General Commission
- Higher Council of the Syrian Revolution
- Coordination Union of Syrian Kurdish Youth
- Nabed Coalition for Syrian Civil Youth
More Localized Opposition Groups:
- Revolution Command Council in Idlib
- Revolution Command Council in Lattakia
- 17 Nissan youth Movement in Deraa
- Union of Homs Free People
- Union of Homs Neighborhoods
- Euphrates Revolution in Deir Ezzor
- Damascus Coordinations‟ Union
The creation of internal opposition organizations were spontaneous in nature and a direct result of a
need for protests to be effectively organized, kept track of, and filmed/photographed for the media. As
the uprising has evolved, and the repressive tactics of the regime have changed, so has the sophistication
with which these organizations operate and the scope of their of their responsibilities.
These organizations also keep track of protester deaths, general news events on the ground, putting the
media in touch of activists willing to speak as eye-witnesses, and recording (in film, pictures and words)
the regime‟s brutality against protesters. Many of these organizations have had their own organizers
jailed, tortured and killed on numerous occasions.
2.
Armed Opposition
The armed opposition consists of two main groups: The Free Syria Army and the Free Officers
Movement. Not much is known about the latter, but the Free Syria Army seems to have a cohesive
hierarchy that consists of officers who have defected from the Syrian army. Colonel Riad Assad is the
head of the Free Syria Army and is currently in Turkey along with his other officers. The Colonel has
stated that “hundreds” of soldiers are defecting weekly –mainly conscripts or career soldiers, and a few
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officers. Estimates put the FSA at anywhere from one to four thousand troops outside of Syria, and
“several thousand” inside Syria itself. The SFA also has a network of spies within the forces loyal to the
regime who feed them information. Generally, the SFA conducts operations against the Shabiha and in
defense of unarmed protesters, but these operations are limited. It is unknown what kind of weaponry
they have but in an interview with the Washington Post an SFA officer said they have Kalashnikov
rifles, RPGs, and some anti-aircraft guns.
3.
The external opposition:
There are numerous external opposition groups and activists operating outside of Syria- especially in the
United States, around Europe and Lebanon. While several attempts have been made to form a “national
council” reminiscent of the Libyan TNC, so far these efforts have failed unto now. The latest genesis has
come in the form of the Syrian National Council- spearheaded by external opposition activists. The SNC
is supposed to consist of 140 seats split 60% in favor of internal opposition groups, 40% external
opposition groups. Thus far, 71 people have been appointed to the council with 34 people who have
been identified as “Islamists.” Due to this lopsided favoring of appointing Islamists to the SNC,
numerous internal opposition groups –most notably the Local Coordinating Committees of Syria- have
asked that further discussions be had regarding the SNC‟s makeup to better reflect the diverse ethnic and
religious nature of Syrian society.
The different actors involved can be broken up into three categories:
- Individual actors: exiled intellectuals, professors, online political activists, former Baathists who
became critical of the regime and were exiled.
- NGOs/Diaspora groups that focus on the Syrian or Arab at-large Diaspora
- Internal and external opposition groups that sprung up starting in early April.
3. Do you think that it is possible to define a leadership in the revolutionary movement?
Attempts to create a unified opposition and leadership structure has been a serious struggle since the
beginning of the revolution. This is in part due to the spontaneity of the revolution which meant there
was no initial coordination of the internal opposition in Syria and the revolution caught the Diaspora
community off guard who were not expecting a revolution to occur in Syria and were thus still
committed to the reform of Syria from within the current political system. Currently, the Syria National
Council –after several false starts- is setting itself to become the dominant authority and leadership
structure in the movement. The SNC garners the support of 90% of the internal and external opposition
and is structured to balance several representative sections: external verses internal opposition,
geographic representation and ethno-sectarian representation. The SNC is still working to consolidate its
authority within the revolution and garner international support, but steps have definitely been taken in
the right direction.
The current makeup of the SNC is the following but could change as the SNC remains in flux.
Three Parts:
- Executive Council (EC) which consists of the leadership of the SNC: 7 members
- General Secretariat (GS), policy making and advisory council to the EC: 29 members
- General Assembly, general representative body which is consulted and then votes on all main
decisions taken by the EC and GS: 140 members have been named, and possibly as high as 230
members will be representative. It has also been contemplated (and I think likely) that several seats
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at the GA level and maybe 1 seat at the GS level will be reserved for the Alawi community and their
representatives as more of this community chooses to switch sides and support the revolution.
What is the actual stage of the revolution?
It is hard to tell, but judging by the current state of affairs there are two parallel revolutions taking place:
One peaceful, one armed. The vast majority of protests are still peaceful and the SNC continuously
stresses the peaceful and un-armed nature of the Syrian revolution. That being said, the high death toll
and acts perpetrated by the security forces, which can be constituted as crimes against humanity, are
also driving some elements of the protest movement to arm themselves in self-defense. The rise in the
number of defections among soldiers, and the formation of the Free Syria Army (FSA) by dissident
Colonel Riyad Assad are the key elements spearheading an armed opposition.
Col. Riyad‟s FSA has been conducting small operations in-country- largely against the Shabiha- have
risen the stakes for the regime and has inflicted higher casualties amongst security forces. It seems,
between the increased defections, the coalescing of the Syrian opposition under a single umbrella group
and increased pressure from the international community in the form of economic sanctions all point to
a swinging of momentum in favor of the Syrian opposition.
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