Corso di etica ed economia - Università degli Studi di Udine

Transcript

Corso di etica ed economia - Università degli Studi di Udine
Corso di etica ed economia
Pier Luigi D’Eredità
Un lungo sguardo alle spalle di Adam Smith
Per un excursus storico dei rapporti fra etica ed economia nell’Europa occidentale, ovvero
quando l’etica accompagnava l’economia . Dai Greci al Rinascimento
Premessa
1. E’ opinione largamente diffusa che la riflessione sull’etica e quella sull’economia
abbiano intrapreso diverse strade, spesso divergenti, alla metà del settecento,
con l’illuminismo scozzese di Hutcheson, Hume e Smith. Si tratterebbe della
nascita dell’economia politica che, in effetti, inizia a delineare un proprio ambito
disciplinare solo a partire dal 1776, data di pubblicazione della Indagine sulla
ricchezza delle nazioni di Adam Smith. E’ vero che le due discipline derivano da
un ceppo comune, ma dedurne che l’economia costituisca una semplice
derivazione, gemmazione, della filosofia morale è sbagliato per due motivi:
innanzi tutto perché non si non si terrebbe conto che per “filosofia morale” fino
a Kant, dunque fino a tutto il secolo XVIII, si intendeva l’insieme delle scienze
umane come distinte dalla cosiddetta filosofia naturale, vale a dire le nostre
discipline scientifiche;
(si consideri che il titolo del capolavoro di Newton è
Philosophiae naturalis principia mahtematica…), ed in secondo luogo perché è
proprio con l’illuminismo che prende corpo l’idea ed insieme la consapevolezza
della separazione, della diversità e ramificazione degli ambiti del sapere e
dunque di rifondazione del sapere stesso.
2. In quell’ambito, effettivamente, si scorgono i primi tentativi di sottoporre ad
un’analisi approfondita il nesso che intercorre fra le motivazioni dell’agire
morale e le motivazioni dell’agire economico senza farsi condizionare da un
pregiudizio che a monte incanalasse la valutazione, come era stato più o meno
fatto da quasi tutti i pensatori precedenti. In altri termini, per quanto sia
2
veramente facile , anche troppo facile, sostenere che anche quella di questi
intellettuali fosse a sua volta un ideologia, si può onestamente attribuire a
questa fase della riflessione etico-sociale, il tentativo di intraprendere un
discorso su i due ambiti senza senza utilizzare ideologie religiose o invadenti
apparati teoretici. Tuttavia in realtà un notevole, ed a mio avviso anche decisivo
antecedente, lo si può riscontrare nella pubblicazione della Favola delle api di
Bernard de Mandeville (1714) che si può a buon diritto considerare la base della
legittimazione di un discorso sull’agire economico finalmente non subalterno,
conseguente, rispetto alla riflessione morale.
3. I componenti di un prospero e florido alveare si comportano in modo disonesto
maledicendo sempre le disonestà altrui. Ciascuno, un po’ ipocritamente, chiede
agli dèi un po’ più di onestà. Ma mentre Mercurio“sorride a tanta impudenza”,
Giove, indignato, decide di accontentarli, e “libera lo schiamazzante alveare
dalla frode”: da presuntuosi,arroganti, avidi, invidiosi ed amanti del lusso,
vengono trasformati in buoni cittadini dediti alla sobrietà e al risparmio. Le
conseguenze sociali di una simile trasformazione disastrose perché nessuno può
più lucrare sui bisogni dell’altro e la vita nell’alveare da caotico via vai di mille
attività si trasforma in una silenzioso campo di lavoro. Scrive l’autore “mentre
vanità e lusso diminuiscono,anche le vie del mare sono abbandonate.Non vi
sono più mercanti,e intere fabbriche vengono chiuse.Tutte le arti e i mestieri
sono negletti:l’accontentarsi del proprio stato, rovina l’industria. L’allegoria è
evidente: per avere una società economicamente prospera, è veramente
necessario che gli individui che la compongono siano virtuosi? La risposta è
sorprendentemente negativa : i vizi privati sono la base dei pubblici benefici, e
pertanto l’economia sembrerebbe poter fare a meno della morale…Per la
cronaca a prima versione dell’opera di Mandeville risale a ben prima del 1714,
cioè al 1704, col titolo The grumbling hive, or knaves turn'd honest (L'alveare
ronzante ovvero i truffatori divenuti onesti).
4. Sul piano teorico toccherà ad Adam Smith a scoprire nell’egoismo individuale il
motore
dell’economia
cogliendo
un
collegamento
tra
perseguimento
del
tornaconto personale e la realizzazione del massimo bene per la collettività. Il
3
brano più celebre della sua opera recita: “non è dalla benevolenza del
macellaio, del birraio e del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla
considerazione del loro interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro umanità
ma al loro egoismo”.L’armonizzazione dell’interesse personale e del bene
pubblico è affidata nella visione di Smith al mercato. Una mano invisibile che
guida gli uomini a conseguire il più propizio dei fini. Sembrerebbe che da quella
data da quel 1776 in poi le azioni volte al soddisfacimento dei propri bisogni
potessero funzionare , andare a buon fine non se governate da quel ‘sentimento
morale’ che proprio lo stesso Adam Smith aveva invocato in un’opera
precedente a questa, ma ad un meccanismo compensativo apparentemente
auto regolativo, il mercato. Ma il mercato senza il lavoro non esiste. Neppure i
mercantilisti più accesi poterono né prima né dopo Smith discutere che il
mercato esiste se esistono merci da scambiare e se è vero che scambiare le
merci è un lavoro, questo lavoro presuppone che le merci vengano prodotte.
Che vengano prodotte in vista dello scambio è un discorso tanto vero quanto
ovvio ma che la ricchezza derivi esclusivamente dallo scambio , questo è un
tema
che
secoli
e
secoli
prima
di
Smith
era
stato
affrontato,
sia
soggettivamente (cioè attraverso la riflessione soggettiva di un pensatore) sia
oggettivamente (cioè attraverso un modello sociale, economico e politico ben
preciso …). Bene, ambizione di questa nostra conversazione è quella di gettare
uno sguardo profondo alle spalle di Smith ed indagare sul nesso fra etica ed
economia attraverso un excursus storico sulla considerazione etica del lavoro
umano, vero e principale motore di ogni discorso economico. E’ appena il caso
di ricordare che la Costituzione della nostra Repubblica ne fa menzione in
apertura e lo utilizza, insieme alla democrazia,
come concetto definitorio di
comunità.
5. Tuttavia esistono altre ragioni che inducono a guardare con questa prospettiva.
In effetti, come si è accennato, se cerchiamo una logica del rapporto fra etica
ed economia senza un termine medio rischiamo di coniugare grandezze
eterogenee. Presso gli antichi il concetto di benessere , per esempio, divergeva
alquanto dall’analogo concetto medievale, così come quello medievale divergeva
da quello moderno e quello moderno da quello contemporaneo e quello
contemporaneo da quello postmoderno… Senza dire che probabilmente la crisi
4
economica in atto elaborerà un concetto se così possiamo dire, neomoderno,
cioè successivo al postmoderno. In effetti l’unico fattore che veramente lega alla
riflessione ed al valore il concetto di economia così come si è evoluto nei secoli
è quello relativo al valore ed all’incidenza del lavoro. Senza bisogno di avvitarci
su esegesi vetero testamentarie sul binomio lavoro-condanna, è appena il caso
di ricordare che per tutto l’arco della storia pregreca e fino alla nascita della
Repubblica romana, il concetto di lavoro, di operosità, di produttività, non è che
rivestisse un ruolo centrale nella considerazione di un uomo. La ricerca del
benessere attuata attraverso la produzione di beni, diretta o sia anche indiretta,
acquisisce dignità solo con la straordinaria carica espansiva dei latini. Non
prima. Occuparsi di economia, come farà egregiamente Aristotele (al quale tutto
sommato dobbiamo dire grazie perchè almeno, sia pure dimensionandola,
assume come attività degna la cura del benessere materiale) era qualcosa di
non centrale. E’ vero che la il termine economia deriva dal greco οἴκος - oikos ("casa", inteso anche come "beni di famiglia") e νόµος - nomos - (norma, legge)
e denotava, in origine, le regole per la buona amministrazione della casa. E’
anche vero che i primi a trattare l’argomento, almeno in occidente ( qui non si
fa riferimento per esempio alla cultura indiana…) furono i greci, ma la loro è
un’attenzione teoretica, come quasi sempre.
6. Le teorizzazioni greco-classiche di economia sono ravvisabili, ad esempio, nelle
opere di Esiodo, Teogonia e Le opere e i giorni. In Teogonia, nel racconto del
Mito di Pandora, tra i mali che vengono liberati dal vaso di Pandora vi è anche la
scarsità. Senza la scarsità non vi sarebbero neppure lo scambio e i prezzi. In Le
opere e i giorni, con riferimento alla gestione di un'impresa agricola, compare il
concetto di efficienza. Oppure in Senofonte ,che in contrasto con Platone nella
sua opera Economico sottolinea l'importanza dell'aspetto economico, non solo
con riferimento alla gestione familiare, ma estendendo tale concetto ad entità
collettive quali l'esercito e lo stato. Egli aveva inoltre capito per esempio che la
suddivisione del lavoro nei campi portava ad un incremento della produttività
dei terreni. Tuttavia questa attenzione non è strutturante, non è parte
determinante, segno di civiltà. Citiamo due esempi importanti, Platone ed
Aristotele. Platone, criticando il filosofo Protagora, assumeva un famoso detto a
quest’ultimo attribuito in senso letterale: l’uomo per Protagora sarebbe misura
5
di tutte le cose e ‘cose’ viene espresso in greco antico con il termine
χρηµατα , Chrèmata, cioè ricchezza materiale. La Crematistica, specialmente
nella successiva elaborazione di Aristotele, era infatti considerata una disciplina
della considerazione dei beni materiali;
l’uomo sarebbe metro, per dirla più
esattamente delle ricchezze; l’indifferenza con la quale i traduttori propongono
‘cose’ invece che ‘ricchezze’ è legittima perché non solo in Platone ma in tutto il
mondo greco classico la distinzione fra cosa materiale e ricchezza non è così
netta. Occuparsi in modo razionale dell’arte di arricchirsi era considerato
semplicemente occuparsi di cose materiali, non di valori. Aristotele invece si
occupò
dello
scambio
dei
beni
ma
lo
fece
sotto
una
luce
filosofica,
suddividendolo in "naturale" e "non naturale", dove il primo riguardava la
soddisfazione dei bisogni umani primari, e quindi fisicamente limitati, mentre il
secondo aveva una funzione finanziaria e quindi carattere potenzialmente
illimitato. Egli, in ciò,
esprimeva un giudizio etico, considerando giusto il
commercio e l'uso della moneta solo ed esclusivamente se riferiti alla
soddisfazione dei bisogni primari e cioè
all'ambito naturale. Per la cronaca
ritroveremo questa distinzione nell’inoltrato secolo XIX in Germania in un
ambito
culturale
vagamente
nostalgico
di
una
condizione
naturale
ipoteticamente felice attraverso la comparazione di una pesante Geldwirtschaft
economia monetaria ad una sana , sempre ipoteticamente, Naturwirtschaft, ed
economia naturale, o di semplice scambio delle eccedenze. Aristotele, da par
suo, reca sempre il segno greco della teoreticità perché classifica, ha come fine
della sua discussione quello di trovare un posto adatto, una misura appropriata
e non quello di elaborare un’analisi di come quando e perché una società può,
come sistema, strutturare le esigenze economiche. Infatti perviene al concetto
di economia attraverso la classificazione delle scienze in tre grandi gruppi: la
scienza teoretica che studia
i principi primi, scienza poietica che regola la
produzione degli oggetti e la scienza pratica, da
πραξιζ , pràxis, azione, che ha
per oggetto i principi normativi dell'agire umano. Bene, l’economia è la 'filosofia
pratica' per eccellenza ma niente di più. L’economia, cioè , per Aristotele è
anzitutto uno stato abituale, un ethos, un habitus dell'animo che è parte della
capacità di un uomo dì raggiungere il bene più alto, la cosiddetta felicità ,
ευδαιµονια eudaimonia; anche qui, come per la crematistica va sottolineata la
6
legittimità di una traduzione, con l’espressione italiana felicità, di un concetto
che rigori dovremmo tradurre con una perifrasi “ la giusta condizione
dell’anima” ; ebbene, l’economia concorre a questo pervenire ad un equilibrio
nelle cose pratiche. Il lavorare, dunque, come attività cardinale, non è un
concetto strutturante.
7. L’affermazione della cultura latina cambierà molto di tutto ciò; se per non pochi
aspetti valse il motto Graecia capta ferum victorem coepit, cio’ non valse certo
per
la
struttura
economica,
nella
quale
il
lavoro
la
produzione
e
la
razionalizzazione delle risorse rivestiva una importanza enorme. In questo
senso, a prescindere dalla questione servile, che ovviamente non è affrontabile
in questa sede se non in modo estremamente sommario, non vi è dubbio che
una parte considerevole del mos maiorum , della dignitas romana, consisteva
nella corretta cura dei propri interessi economici. Era così radicata nei nobili
romani questa convinzione che specie in età alto repubblicana
i messi del
senato venivano denominati viatores perché era talmente normale che i
senatori si occupassero delle proprie terre e della produzione dei beni che per
raggiungerli e convocarli bisognava fare moltissima strada. Prima che , come
disse Catone, i latifondi rovinassero l’Italia ( Latifundia perdirere Italiam ) un vir
curava i propri interessi, si applicava alla produzione, la migliorava. Opere come
il De Re Rustica di Varrone sono veri e propri trattati di economia e segni della
grande attenzione che attraverso questa attività, veniva individuata nei mores,
nei costumi dell’uomo libero. Occuparsi del benessere della propria azienda
agricola, per esempio, era considerato moralmente molto ammirevole. Certo, si
tratta di un fatto culturale molto radicato e differenziato perché non tutte le
attività economiche erano ammissibili, giusta la lex claudia che praticamente
imponeva alla classe dei senatori il solo esercizio economico della cura
proprietaria. A differenza dal greco, che per altri aspetti sovrasta il latino quanto
ad
efficacia
comunicativa,
tuttavia
il
latino
conserva
una
straordinaria
attenzione alla valenza del lavoro e della produzione. La cultura economica
latina,
madre
di
quella
dell’impero
romano,
si
era
sviluppata
infatti
progressivamente, forse lentamente, ma con una sua dinamica interna solida e
coerente. La stessa lingua latina porta con sé i segni di questa componente
contadina attraverso l’evoluzione lessicale; gli esempi sarebbero moltissimi,
7
alcuni dei quali sono tuttavia veramente eclatanti : delirare ( letteralmente
“uscire dal solco”), “rivalis” ( “colui che prende acqua dalla tua stessa fonte “,
dallo stesso rivus ), pecunia ( da pecus, ovino ), putare ( scegliere quale parte
dell’albero tagliare) , Robur ( “quercia”, dunque anche “forza”), Coniux ( colui
che porta lo stesso iugum, giogo dei buoi in aratura…), etc… Effetto del rispetto
profondo che i latini nutrivano per l’eticità, la qualità dell’azione economica fu
una straordinaria crescita degli scambi, del diritto, della giurisprudenza
economica non paragonabile a niente di precedente: l’economia era entrata
come sensibilità nel sentire sociale, nel lavoro, nell’etica civile. Ve ne erano
ampi motivi : i prodotti venivano trasportati su lungo raggio, pur provenienti
ciascuno dalle zone più diverse: olivo ( intera costa meridionale europea ) , lino
(Gallia) , cotone
e
papiro (Egitto ), lana e sale ( Italia ) ,
derivati della
pastorizia come latte e prodotti caseari ( Italia ). Ne’ possiamo staccare la
produzione agraria da altre forme produttive come l’industria estrattiva, i
temibili metalla dove i criminali espiavano dure condanne: oro ( Hispania)
,argento (Attica, Dalmazia ) stagno
ancora Etruria
e piombo ( Etruria, Sardinia )
marmo (
ed anche Lesbo, Paro ); per i lavorati metallurgici ancora la
Gallia . E poi le grandi specializzazioni per i manufatti: le fornaci di Populonia
per lame, zappe, falci, martelli,
le armi di Concordia Sagittaria o il rame di
Cipro ed i vasi di tutta la Grecia; ma la lista sarebbe veramente lunghissima.
Il dato è che fino al II secolo i traffici furono parte integrante dell’espansione
economica produttiva, perché ne costituivano allo stesso tempo sbocco e
presupposto. Si trattò di imponenti quantità che, per giunta, non si limitavano
ai territori dell’Impero . Dall’oriente infatti non venivano solo tessuti e coralli o
oreficeria raffinata ma anche smeraldi, perle, profumi, avorio e giungevano
normalmente prodotti nel bacino dell’impero perfino dalla Cina e dalle lontane
Molucche. E non si trattò di un fenomeno passivo; gli antichi romani andarono a
vedere di persona. Spedizioni di notevole importanza geo-economica vennero
realizzate in grande stile:
sotto Augusto , il comandante Gallo giunse
sull’Hadramaut, con Nerone vennero raggiunte le regioni dell’Axum e del Nilo
Azzurro, poi sotto Claudio, Dar es Salam, il Kenia ed il Kilimangiaro. Cornelio
Balbo penetrò il Sahara, Settimio Flacco raggiunse Bilma e Giulio Materno toccò
il lago Ciad. Si hanno dati archeologici poi su empori romani sulla Sprea e lungo
8
il Mar baltico , come persino nel deserto di Gobi, alle porte del Celeste Impero
cinese.
Gli
stessi
funzionari
imperiali
cinesi
conoscevano
e
citavano
meticolosamente l’esistenza dell’impero romano come una delle poche forme
civili degne di essere se non paragonata almeno accostata a quella del loro
impero. Tutto ciò fu segno non solo dell’importanza che si conferiva alla sfera
della produzione ma del rispetto che si nutriva per l’economia e per le
conoscenze che ne ordinavano la crescita. Lo spirito pratico dei latini passava da
un habitus da un costume operoso che coniugò per secoli etica ed economia. Le
comunicazioni, per esempio, vero polmone del commercio e della produzione: in
età imperiale alla tradizionale posta marittima e fluviale venne affiancato in
tutta la rete viaria romana, vero vanto del sistema infrastrutturale dell’età
antica, il cosiddetto cursus publicus, un sistema postale che si distingueva in
equestris e vehicularis; a sua volta era suddiviso in velox, celer e tardus. Un
discorso analogo sul
credito; per quanto
diversi dalle società di credito
bancario, introduzione tardo medievale, tuttavia l’antica Roma poteva contare
su istituti similari. Nell’antica Roma troviamo gli antenati degli odierni banchieri
ed ancora una volta si tratta di figure che esistevano nella società greca e che i
latini istituzionalizzarono: si trattava di
uomini
che avevano reputazione di
onestà e che avevano le loro botteghe accanto ai grandi porti o, più
semplicemente, che nei giorni di mercato esercitavano nel Foro, i cosiddetti
‘trapezisti’, termine greco il cui etimo
è ancora in uso. Ma i veri e propri
banchieri romani erano i cosiddetti nummularii o argentarii . Come ha osservato
F.Serrao, “ …La società moderna fondata sul capitalismo produttivo, presenta
molte concezioni uguali o simili a quelle romane in quanto ( riprese dal diritto
privato romano o create in modo autonomo, poco conta..) sono dirette a
soddisfare esigenze uguali o simili a quelle sentite dalla società romana
8. Tuttavia il sistema latino si poggiò sempre più ampiamente sul sistema servile e
tutte le considerazioni etiche sulla dignità e l’importanza della cura del proprio
interesse, dell’attenzione pubblica all’economia, devono fare i conti con il peso
indiscutibile dell’istituto servile che trafigge letteralmente il profilo dell’eticità.
Varrone chiarisce , ad esempio, nel suo trattato di agricoltura, che lo schiavo è
uno instrumentum vocale cioè uno strumento che, a differenza dell’attrezzo
9
(detto Instrumentum mutum) e dell’animale (instrumentum semivocale ),
parla. Si deve invece a Catone1 la fissazione di quanto e come debba essere
alimentato uno schiavo di campagna perché renda bene all’azienda agricola, in
funzione dei periodi dell’anno e dei relativi lavori che è chiamato a svolgere.
Insomma, siamo di fronte ad una proprietà che va considerata esclusivamente
come forza lavoro da adibire in ogni incombenza , sia che richiedesse sforzi
elevati o rischiosi sia sforzi prolungati e meccanici ; fatto si è che alla fine della
fase repubblicana si può calcolare che gli schiavi addetti ai lavori artigianali di
basso profilo costituissero il 90% degli addetti. E’ un dato di assoluta
significazione economica e che non può lasciare dubbi intorno alla importanza
che finì per assumere un istituto come questo non solo nella determinazione dei
volumi di prodotto ma direttamente nell’ordinamento economico e sociale e
morale dell’impero romano. Ne deriva che, nonostante qualche sporadica voce
come quella di Seneca, nella sostanza l’eticità romana , rispetto all’economia, è
come segnata, attraversata nel suo profondo, dalla esistenza di una forza lavoro
come quella servile, (la più grande ‘invenzione energetica’ dell’antichità, dice
Paolo Malanima ).
9. Per cogliere l’ampiezza e l’incidenza dell’istituto servile nell’economia antica,
bisogna evitare di assumere la sua funzione nella società romana in modo
generalizzato perché si tratterebbe di un’operazione piena di equivoci. Come
dire che non si deve solo giustamente considerare l’evoluzione dell’istituto
servile nei secoli – fino alla sua disintegrazione - ma soprattutto la sua natura
giuridica peculiare se non atipica, nel senso che l’equivalenza schiavo-merce
non può essere assunta semplicisticamente, anche, se non soprattutto quanto
quest’ultimo è a sua volta produttore di beni. La considerazione del stato servile
a dimensione cosale può a buon diritto essere considerata almeno da alcuni
punti di vista una vera e propria “reificazione imperfetta”.Se infatti da un lato lo
schiavo non era soggetto ma oggetto delle norme giuridiche, pur tuttavia egli
poteva ,ad esempio, riscattarsi, stringere accordi, stipulare contratti etc..; era,
cioè,
in una condizione così particolare e lontana dalla nostra idea di ‘uomo
libero’ , di cittadino, che facciamo fatica a ricostruirne il vero profilo colpiti al
10
contempo dalla completa assenza di alcuni diritti ed alcune garanzie e la
precisa presenza di talune, non indifferenti, capacità ( abbiamo anche gli schiavi
imprenditori o, come scrive A. Di Porto schiavi managers ). Quello del rapporto
fra cittadino e schiavo, a Roma, a parte la sub-leggenda che vuole Romolo e
remo figli di una schiava, fu una rapporto diremmo totalizzante ed integrante
sfere anche non squisitamente economiche. Tutto ciò per dire che il concetto di
ethos rispetto alla produzione economica e rispetto agli avanzati processi di
razionalizzazione più che produttiva dovremmo dire logistica e distributiva,
inglobava la differenza di concetto di lavoro fra uomo libero e servo. Differenza
che progressivamente andò sfumando con l’incedere della decadenza. I
problemi etici connessi al crollo del sistema imperiale ed i nuovi drammatici
collegamenti che si instauravano fra etica ed economia non sfuggirono neppure
i contemporanei. La volontaria autocancellaqzione dell’ethos dell’uomo libero (
perché di questo nell’età antica si trattava, che sia chiaro…)
che accettava il
patronatus e la commendatio. Meglio allora uomo libero affamato o schiavo
mantenuto? moltissimi contadini conobbero
povertà e miseria preferendo
affidarsi, commendarsi , ad un potente in grado, almeno, di sfamarli. Infatti ad
un certo punto apparve una soluzione lo scegliere la commendatio, l’affidarsi
ad un signore capace di tenere testa al brutale fiscalismo dello Stato, attuando
una scelta dolorosa formalmente ( perdita del proprio stato di uomo libero ) ma
paradossalmente liberatoria. Subentrava il precarium, cioè una sorta di rapporto
di concessione di lunga durata e rinnovabile in base al quale il colono otteneva
dal protettore (patronus) di tenere per sé una parte del prodotto del terreno che
lavorava. La commendatio poteva avere diversi livelli ed anche medi proprietari
iniziarono a considerarla tutto sommato accettabile, segno di una fortissima
sfiducia nelle capacità dello Stato di ricostruire un tessuto di diritto tale da
giustificare la libertà, da renderla almeno appetibile. In pratica il contenzioso si
aprì fra ‘protettori’, cioè i padroni e lo Stato; da un lato infatti i proprietari delle
villae dall’altro il Fisco, “ vero flagello del sistema”, come dice G.Luzzatto. Chi
non poteva reggere la fiscalità ‘pregava’ il potente di assumersi la difesa e la
protezione sua e della sua terra, riconoscendogli alcuni diritti, preferendo così
un possesso precario ( dal latino precor, ‘pregare’) al pieno diritto di proprietà.
Per assimilazione, poi, il termine ‘precario’ andò ad assumere il significato di
11
‘insicuro’, ‘non stabile’, e così è giunto ai nostri giorni assumendo perfino
sorprendenti connotazioni antonomastiche. Ne conseguì che i protettori, i
patrones, videro ingigantirsi il numero non più di schiavi, come ai tempi di
Tiberio, ma di precarii,
divenuti ormai loro homines.Era la fine di un mondo
etico , di un legame antico con la produzione, con il lavoro, con l’idea romana di
benessere. Scrive Salviano: “ i poveri, che sono i primi a subire il peso fiscale,
sono gli ultimi ad avere qualche sollievo e se lo Stato ha talvolta inteso
provvedere alle città in rovina ed ha diminuito i tributi, poi in effetti i ricchi
hanno trasformato in un vantaggio per loro stessi ciò che avrebbe voluto essere
un sollievo per tutti; se tutti i poveri non hanno cercato salvezza emigrando
presso i barbari è soltanto perché non si possono trasportare le terre le case e
le famiglie. Ciò che rimane loro da fare, allora, è il consegnarsi ai potenti per
essere difesi diventando una loro proprietà. Ciò non sarebbe da giudicarsi poi
tanto indegno se non fosse che quelli si fanno pagare carissima la propria
protezione,
mascherandola come
un’opera di umanità. E’ molto miserevole
vedere non la tutela ma la spoliazione dei poveri e la trasformazione di uomini
liberi in servi “ (Salviano, De Gubernatione Dei, VIII, 34, la traduz.é mia). Si
Capisce, che è entrata in funzione, nella considerazione etica dello stato
economico, un visione diversa, certam,ente più ampia e indiscutibilmente più
complesso. Si tratta del Cristianesimo, nei cui confronti è superfluo ricordare
che non si deve condurre né si può un discorso di collegamento diretto con i
costumi. Tuttavia la rivoluzione c’è. Ed anche di livello profondo.
10.
Non bisogna cadere nell’equivoco che l’affermazione del cristianesimo
abbia, ipso facto, restaurato un ethos economico contrapposto;
intendere
il
senso
evolutivo
del
rapporto
etica-economia
se vogliamo
a
partire
dall’affermazione del Cristianesimo, la prospettiva deve mutarsi. Giova ricordare
che mai la Chiesa condannò l’istituto servile in quanto condizione sociale; infatti
sin da S.Paolo era apparso chiaro che le istituzioni ecclesiastiche avevano
subito la
preoccupazione che il cristianesimo fosse scambiato per un
movimento di emancipazione materiale o addirittura sociale-materiale e dunque
un qualcosa di eversivo. Ora, per quanto sia ovvio che una istituzione come la
Chiesa non fosse altro che per la sua dimensione non può che conoscere al suo
interno diverse figure e diversi atteggiamenti anche contemporaneamente,
12
tuttavia se nei primi secoli si era oggettivamente e infaticabilmente sforzata di
inculcare nei proprietari l’idea di dignità della creatura, che schiavo e padrone
sono identici in Cristo e per Cristo e che la sofferenza in questo mondo è
espiazione ( “ Ognuno resti in quella vocazione in cui fu chiamato; sei stato tu
chiamato essendo servo? Non affannartene ma pur potendo diventare libero
preferisci servire“2) con il passare del tempo mutò lentamente atteggiamento.
Infatti, man mano che Vescovi ed Abati assumevano ruoli titolari nelle attività
produttive e quindi andavano prendendo atto della complessità del sistema
economico e della estrema difficoltà connessa al reperimento di manodopera, il
tenore della catechesi
sfruttare i servi
da questo punto di vista divenne meno rigido. Certo
restava
sempre un qualcosa da non prendersi a modello di
virtù cristiana, ma tenere schiavi non fu in alcun modo considerata una prassi
proibita e neppure criticata; veniva esaltata ed auspicata, si, la cosiddetta
manumissio in ecclesia, ma va ricordato che gli stessi ecclesiastici si avvalsero
di manodopera servile.
11.
La
novità
più
rilevante,
anche
qui
sembra
superfluo
sottolinearlo,
consistette nella dimensione profonda del rapporto con l’esistenza, i beni, il
lavoro, il progresso, il futuro, etc… Come è stato osservato, la concezione stessa
del tempo va a mutarsi ed il senso della presenza nel mondo va a riconfigurarsi;
per usare una espressione tedesca, ad una Zeitauffassung ciclica, grecoromana, si sovrappone una lineare, tipicamente cristiana. Dunque l’etica e
l’economia vengono viste entrambe con uno sguardo diverso. Sicuramente fra le
tante novità connesse a questi nuovi rapporti, quella più significativa consistette
nell’affermazione di una nuova economia del lavoro e della produttività non più
legata ai patrone, all’amaro rituale della immixtio manuum con il quale un uomo
libero si consegnava al patronus . Si tratta del monastero, nuova cellula morale
del devastato occidente europeo.
12. Anche sulla base di importanti esperienze di monachesimo da parte di illustri
dottori quali Cesario di Arles, Isidoro di Siviglia, Fruttuoso di Braga, Leandro di
Toledo,etc…, in Italia, nonostante la grande crisi dovuta alla straziante guerra greco
1
Cfr.S.Paolo, Cor.7, 17-24
13
– gotica, si sviluppò una regola monacale che esorbita dalla storia della religione
per trovare anche posto in quella dello sviluppo economico medievale. Si tratta della
Regola di San Benedetto e della diffusione dei monasteri benedettini, ovvero quelle
comunità di vita , preghiera e lavoro, che a partire dal secolo VI cominciarono ad
agglomerare intorno al proprio mondo una serie di attività economiche e talvolta
sociali di notevole rilievo rispetto a quanto, all’insegna della vita monacale,
era
stato fatto fino a quel momento specie all’interno dei domini bizantini. La comunità
benedettina non presenta infatti le caratteristiche tipiche delle altre comunità
monastiche, cristiano orientali; dal punto di vista dell’organizzazione, il servizio che
veniva imposto ai monaci quasi ricalcava quello di una ‘milizia’ movendosi secondo il
giudizio e comando altrui
La ‘regola’ di S.Benedetto insiste molto sulla obbedienza e sulla disciplina quali
elementi distintivi della vita monastica, associandola ad una serie di doveri
individuati all’interno del concetto cristiano di solidarietà collettiva. Infatti la
benedettina Schola Dominici Servitii è , si, un mondo indirizzato alla preghiera, ma
non solo ad essa,
o meglio non soltanto alla preghiera in senso stretto. Per lo
spirito benedettino, infatti, è l’ozio il vero nemico dell’anima e pertanto applicarsi in
attività di lavoro, nel senso di attività produttive, è come restare aderenti alla scelta
di consacrarsi al Signore. Il lavoro manuale è parte integrante del servizio ed appare
assolutamente consono al senso della accettazione della condizione umana (
conversio morum ed opus manuum ). L’opera benedettina era permeata di spirito
autarchico, se non proprio nei fatti , comunque negli ideali, la qual cosa negli anni
del secolo VI costituì un fatto economicamente rilevante. La Regola benedettina
specificava apertamente che
organizzato in modo
"Per quanto sia possibile il monastero deve essere
che vi sia disponibile tutto il necessario, il che vuol dire
l'acqua, un mulino, un orto e delle botteghe in cui sia possibile praticare i diversi
mestieri (artes diversas) all'interno del monastero."
Anche quando, in seguito,
la cultura benedettina dovette ammettere il ricorso a
mano d’opera esterna, ciò accadde comunque secondo i principi della regola e
dovette essere anch’essa guidata dall’ideale autarchico. Dunque i monaci ,
coerentemente con l’idea che la cura materiale fosse un atto di rispetto e piena
accettazione della volontà del Creatore, erano chiamati a provvedere ai propri
bisogni concreti non con la questua o l’elemosina ma con la produzione dei beni,
14
con la citata autosufficienza: che si trattasse di fare i contadini, gli artigiani, gli
allevatori o quant’altro, per S. Benedetto non faceva una gran differenza purché essi
lavorassero.
13 Il Monastero, invece, prima di essere un centro di vita spirituale e di operosità,
fu un centro di organizzazione, costituendo una sorta di restaurazione del significato
di finalizzazione collettiva del lavoro umano anche ai fini materiali, cioè di
benessere. Ecco perché esso doveva partire dalla certezza del luogo (stabilitas loci),
quasi per far sì che il monastero diventasse un elemento architettonicamente
visibile, rassicurante, nel mare delle citate incertezze e precarietà. Tale particolare
non costituisce un dettaglio perché questo costituirsi apertamente come centro di
produzione, in aperta contrapposizione con il vagabondaggio e l’elemosina alla quale
spesso ricorrevano i monaci ricalcando consuetudini orientali, divenne ben presto
anche un fattore attrattivo ed ordinativo: dissodamenti, bonifiche, reintroduzione di
tecniche
agricole abbandonate, furono tutte attività che
ebbero il centro di
diffusione e propulsione assai più nel monastero benedettino che non nella villa
padronale.
Naturalmente
questa
condizione
intercetta
solo
parzialmente
la
problematica etica connessa alla dura condizione di contadino ; tuttavia va
sottolineato che , vuoi per la scarsità di popolazione, vuoi per tanti altri motivi che
sarebbe improprio enucleare in questa sede, la condizione del lavoro nel cosiddetto
sistema curtense , appariva non tutto sommato in linea con una ritrovata dignità e
considerazione ; fu la dissoluzione di questo sistema, l’affermazione del modello
franco e le successive catastrofiche seconde invasioni e relativi incastellamenti che
portarono un colpo mortale a questa fiera condizione del lavoro, non più servile.
14. Si affermò il feudo, con tutte le pesanti conseguenze sull’etica del lavoro. Dal
punto di vista economico, dunque, la fase che accompagnò l’assestamento del
sistema
vassallatico
-
beneficiario
fu
segnata
riorganizzazione conservativa delle risorse e non
dall’idea
complessiva
della
certamente da uno sforzo
di
sviluppo propulsivo, anche perché, giova di tanto in tanto rammentarlo, qualunque
modifica di un ordine costituito, dunque anche una modifica economica, porta con
sé il rischio che i gestori e i dell’ordine che viene ad essere modificato, possano
ritrovarsi a non poterlo più controllare, a non avere più, semplicemente, potere. Non
vi è certo da stupirsene;
15
il controllo dei rischi nelle fasi propulsive costituì
appannaggio di ceti enormemente più evoluti ed avvertiti di quanto non lo fosse
quello del feudatario altomedievale. Questo non vuol dire che l’economia che segnò
quei processi fosse una sorta di miseria organizzata e quasi codificata, anzi.
E’ vero che tipiche dei secoli VIII-XI sono quelle dinamiche riguardanti
la
tendenziale sclerotizzazione dei rapporti sociali, anche dal punto di vista economico,
ma con ciò non si deve precipitare in quella che A.Barbero ha definito “la leggenda
dell’economia chiusa .
16. Certo, per quanto non chiusa, l’economia si trasformò e la considerazione etica
del lavoro ne subì profondi contraccolpi. Il duro banno, la distinzione esasperante
fra laboratores, ecclesiastici
e bellatores non fu indolore e lentamente inizia
prendere corpo l’idea che la dignitas la honestas la probitas non possono passare
dal lavoro manuale, non nobilis ma ignobilis. I lavoratori erano inoltre obbligati alle
citate corvées
(prestazioni lavorative gratuite sulle terre signorili)
e
in caso di
controversie relative alle terre essi dovevano ricorrere alla iustitia dominica, ossia
persino accettare che a dirimerle
fosse lo stesso signore proprietario. Con la
signoria territoriale il signore poteva mettere a carico degli abitanti del suo territorio
anche la manutenzione delle infrastrutture, dalle mura del castello
alle strade ai
ponti alle torri di avvistamento. Anche la giustizia penale veniva esercitata da
questo piccolo monarca assoluto che giunse a incamerare anche le multe e le pene
pecuniarie comminate. Ma innanzi tutto il signore riscuoteva la «taglia», ossia un
versamento in denaro da parte dall’intera comunità come
corrispettivo della
funzione di protezione che signore garantiva.3 Fu sempre il signore che incamerò le
tasse dovute teoricamente
al potere pubblico, quali il fodro (originariamente
l’obbligo di provvedere al sostentamento materiale dell’esercito al suo passaggio) e
l’albergaria (l’obbligo di ospitalità dovuto al sovrano).
Nella lista degli obblighi verso il signore oltre quelli già elencati alla fine del
precedente paragrafo, si annovera anche la curadia, ossia la tassa sui mercati, il
teloneo, ossia il pedaggio stradale,
ed anche il
ripatico
ed il pontatico,
rispettivamente quanto dovuto per utilizzare un porto fluviale o un ponte, senza
contare le multe e le pene comminate ai condannati dalla stessa giustizia signorile.
Si è rilevato talvolta infine anche il rotatico per formidabili, ma segni chiarissimi del
3
questa tassa era detta anche focaticum poiché spesso veniva applicata a ogni singolo «focolare», cioè ad
ogni famiglia nucleare che si identificava con il focolare domestico..
16
minimo spazio di azione del contadino.usare carri e perfino il polveratico per il
fastidio arrecato da questi carri in transito. Certo, si trattava di imposte variabili,
applicate in modo quanto mai vago e differenziato, eluse con abilità e tenacia
Questa diversa eticità, però, si accompagna ad una estrema frammentazione delle
funzioni economiche e solo con la riforma cluniacense, ancora una volta di
ispirazione benedettina, l’occidente europeo ritrova il fascino e la forza connessa
all’azione economica, anche moralmente. L’azione dei cluniacensi, sia in campo
direttamente economico
rilanciando in modo straordinario l’agricultura, sia in
campo etico restituendo dignità al lavoro manuale va considerata centrale.
18. Nel frattempo prendeva corpo, lentamente, in silenzio, un nuovo ethos
economico, quello legato agli scambi. Inizialmente le grandi fiere furono luogo di
grande interesse e curiosità ma anche moralmente un luogo moralmente pericoloso.
L’attrazione per le fiere fu tanta che Carlo Magno si preoccupò di redarguire i suoi
servi affinché non venissero colti a “vagare per i mercati”; si trattava di un sistema
fieristico ancora lontano dai fasti dei secoli XI e XII : la circolazione monetaria era
quello che era, le banche non esistevano, la disponibilità di credito vaga e sempre
sottoposta al pesante sospetto di rientrare nel peccato d’usura.
Il lucrum iniquum non si addiceva ai cristiani d’occidente, alla gente onesta ,e la
liquidità non era comunque un fattore usuale nelle attività economiche. Tuttavia
occorre operare le considerazioni in modo accurato: vi fu sempre differenza fra
lucrum turpe e lucrum iniquum, anche se essa venne concettualizzata secoli dopo,
perché anche un bottino frutto di un raggiro può essere diviso fra ladri in modo
equo (non-iniquo) ma non per questo l’oggetto della divisione non deriva da
un’azione turpe; persino il meretricio era un lucrum equo in ordine al corrispettivo
ma non per questo l’atto in se stesso esula dalle turpitudini.
Queste non sono sottigliezze e se il mondo medievale ne fu per certi versi
imprigionato, fu una bella prigione. Il tormento che poi, dopo il secolo XI, avrebbe
portato ad un’azione così rigida da parte delle autorità ecclesiastiche con una serie
di prese di posizione formali non era astratto ed assunse rilievo in quanto crebbe il
ruolo del denaro nella vita civile: il tempo non è una proprietà esclusiva di chi offre
denaro in prestito che può essere messo a disposizione del cliente a interesse;
invece il rischio ( periculum ) si, e si tratta di un principio che il Medioevo, alto e
17
basso, comunque riconobbe a condizione che il rischio fosse effettivamente corso
dalla persona proprietaria delle merci o del denaro soggetto al rischio stesso La
questione, come oggi talvolta viene posta è semplicistica ma in effetti aveva una
sua razionalità interna e persino una sua funzionalità ad un modello di vita
alquanto statico e poco dipendente dall’interscambio produttivo. Il discrimine fra
giusto prezzo e abuso
per secoli sarebbe stato calibrato sulla base dell’antico
precetto romano “alterum non ledere” che aveva a sua volta una fortissima
connotazione sociale e non strettamente privatistica in quanto si riconosceva
comunque una soggettività alla comunità cristiana che, naturalmente, con il tempo
si sarebbe spenta o trasformata in comunità politica. Certamente con il
consolidamento della produzione vi fu in effetti anche di imprese a largo raggio,
cioè marittimo, specie nel versante sud dell’Europa. Era comunque così rischioso il
viaggio mercantile che qualche traccia di tale impronta la si ritrova anche nella
lingua, dato che per esempio era normale usare il termine procertare , cioè andare
a combattere per una finalità ben precisa, per dire intraprendere un’attività
mercantile di lungo raggio. Addirittura lo stesso concetto di commercio era stato
associato a quello di navigazione dato che con l’espressione navigatio si intendeva
anche “commercio”. “ Oltretutto “ commenta R. Fossier – “ i Vescovi benedicono le
imbarcazioni in partenza e sul rovescio dei denari c’è la croce. D’altronde fra le
onde
e
sulle
strade
circolano
commercianti,
viaggiatori,
pellegrini
e,
sfortunatamente, guerrieri “.
In questo campo la Chiesa per quanto avesse preso posizione possiamo dire sin
dagli albori altomedievali, soltanto con il IX secolo espresse il divieto di prestito ad
interesse, fin ad allora ristretto al clero, estendendolo anche ai laici, quando, cioè,
esisteva ed era diventato almeno nelle fasce alte della società cristiana un dato di
fatto. Ciò ebbe l’effetto che ogni virtuosistico aggiramento del divieto diventerà
progressivamente una variante sul tema. Più avanti, nel secolo XII illustri
pensatori cristiani, come Alessandro di Hales e Giovanni di Salisbury, propongono
anche
delle
riflessioni
importanti
che
agevoleranno
l’accettazione
della
remunerazione degli impieghi, naturalmente entro un certo limite. Insomma, sta
iniziando l’ondata di quella che Lopez ha chiamato la rivoluzione commerciale e la
percezione dell’economia come
disciplina, attività , nella quale leggere e
comprendere la dignità etica dell’uomo
torna a farsi sensibile.
Le arti ed i
18
mestieri, le corporazioni esibiscono con orgoglio un ethos di corpo, quasi gelose
della propria rettitudine e rispetto degli standard manifatturieri e commerciali.
Insomma, l'etica e l'economia , per tutto il floruit della società comunale sono di
nuovo in dialogo costruttivo.
19. Tuttavia l’elaborazione è stranamente lenta. L’Italia sforna nuovi formidabili ceti
mercantili e produttivi ma sembra che a fronte di questa nuova sensibilità si faccia
fatica a ridefinire il rapporto fra etica ed economia. Tutto sommato, per intendersi,
lo stupore altomedievale per osservare un popolo, come quello veneziano, che si
mantiene con il commercio, un po’ serpeggia in tutti secoli della rivoluzione
commerciale, magari sopita. Aveva scritto con diffidenza un cronachista longobardo
di Pavia nelle sue Honorantiae
vengono lungo il
parlando di questi strani mercanti veneziani che
Po “ et illa gens non arat non seminat, non vindemiat”.
L’economia è in poderoso sviluppo ma manca non solo una sistemazione etica
teorica ma anche una chiarificazione. Con Tommaso d’Aquino la struttura di questo
processo si solidifica ed il grande pensatore rivede, risistema ed in qualche modo
riconsidera la posizione etica dell’economia. Con lui concetti come iustum pretium e
come periculum sortis assumono valore riflessivo. L’attività economica si riqualifica
e non solo dal problematico
punto di vista finanziario. Continuarono poi i
francescani, con Duns Scoto, sostenne l’idea che il giusto prezzo di un bene fosse
quello del suo costo di produzione (misurato dal lavoro diretto ed indiretto
necessario per produrlo). Nella tradizione cristiana la problematica dell'usura era in
effetti sempre stata presente, ereditata tanto dalla cultura ebraica quanto da quella
classica, assorbita e quindi rielaborata dai dottori della Chiesa . Essa fu inoltre
proibita già nei canoni dei primi concili di Elvira (300), Nicea (325) e Clichy (626), e
poi affrontata soprattutto da quasi tutti i grandi concili ecumenici del Medioevo che
vanno dal 1123 al 1311-1312. Dai sermoni dei vari san Bernardino da Siena, san
Giacomo della Marca, Bernardino da Feltre trapela in effetti una coscienza antica e
comune, ma anche tipicamente "popolare" nei confronti dell’usura. In particolare, e
significativamente, quest'ultimo aspetto si poteva manifestare più chiaramente
quando nei discorsi dei predicatori si voleva soprattutto difendere i poveri
dall'attività
illecita
prepotentemente,
ad
dell'usuraio,
onta
delle
uomo
eticamente
condanne,
anche
spregevole.
la
parte
più
Eppure
discutibile
19
dell’economia finanziaria cominciava a rivendicare un suo ruolo costruttivo, una
sua dignità etica. E’ il caso di sottolineare che con l’ingresso nel Quattrocento la
condanna praticamente cessa ed una sensibilità sempre più consapevole del ruolo
propulsivo dell’economia finanziaria e la ridefinizione del ruolo dell’economia va
prendendo corpo; nascono le moderne professioni, la manifattura definisce meglio
il proprio ambito.
20. A partire dal 1441 , con la pubblicazione del trattato chiamato
Libri della
Famiglia di Leon Battista Alberti, gli intellettuali europei mostrano una più forte
attenzione al rapporto fra etica ed economia. Il trattato riproduce un dialogo che si
svolse a Padova nel 1421 al quale parteciparono quattro componenti della famiglia
Alberti, perciò personaggi realmente esistiti a cui l'autore ne aggiunse un quinto,
Battista, un personaggio immaginario che impersona l'Alberti da giovane. In questo
dialogo si scontrano due visioni contrapposte: da una parte la nuova mentalità,
borghese e moderna, dall'altra il passato, la tradizione. Nei quattro libri Leon
Battista Alberti esplora pressoché tutti i nuovi pilastri del vivere sociale: il
matrimonio ben equilibrato, l'educazione dei figli mirata ad una solida concretezza,
la gestione economica della famiglia mirata al mantenimento ed accrescimento dei
beni economici, nonché sotto questo aspetto anche l’etica dei rapporti tra le varie
famiglie. È un testo importante sia per i contenuti, espressione dell'umanesimo
civile, sia perché non fa mistero della importanza del benessere economico nella
formazione dell’uomo ‘ideale’. In questo trattato emerge chiaramente come il nesso
fra oculata gestione dei beni patrimoniali ed il binomio dignità-rispettabilità, sia una
vera esigenza della società.
21 E' l'età del Rinascimento ed è ormai definitivamente spezzata la dipendenza fra
economia ed etica intesa come subalternità; figlia di un'operazione dapprima
indirizzata alla politica ( Machiavelli, Gucciardini, Bodin, Botero, e poi Hobbes e
Grotio ) e poi di una esplicitamente indirizzata all'economia, l'attenzione etica per
l'imprenditore, per il mercante, per l'organizzazione economica dello Stato
;
esempio forte è il cosiddetto "Machiavelli cattolico" , il pensatore piemontese
Giovanni Botero che , fra i tanti elementi di riflessioni sull’etica dello Stato, non ha
alcun problema a raccomandare il possesso di colonie oltremare per dare terre e
20
pane al sopravanzo della popolazione; e, contro l’opinione dominante ai suoi
tempi, vuole che le imposte regie colpiscano proporzionatamente tutte le proprietà
dei privati non siano personali, ma reali, cioè non su le teste, ma su i beni,
altrimenti
“ tutto il carico delle taglie cadrà sopra de’ poveri, come avviene
ordinariamente, perché la nobiltà si scarica sopra la plebe e le città grosse sopra i
contadini "……..” l'agricoltura dev’esser favorita" e si deve "far conto della gente che
s’intende di migliorare e fecondare i terreni e di quelli i cui poderi sono
eccellentemente coltivati", perciò da lode ai Duelli di Milano che scavando canali
irrigatori "hanno arricchito sopra ogni credenza quel felicissimo contado": è avverso
alle milizie mercenarie, che "vendono a guisa di mercatanti e di bottegai di poca
fede l’opera loro piena di infinita tara di mille paghe morte o truffate, o di gente a
buon mercato e perciò di poco valore e mal condizionata"; ma siamo ormai nella
seconda metà del secolo XVI ed un altro grande evento culturale politico e religioso
ha monopolizzato il corso della storia, ovvero la Riforma; ma per i rapporti fra etica
ed economia il fatto per antonomasia, parlando di Riforma , è certamente la
calvinista.
21. Nell’etica protestante e lo spirito del capitalismo Weber ha sostenuto che il
capitalismo moderno ha ricevuto un determinante impulso dall’etica protestante, in
modo particolare, per l’appunto, calvinista . In questa dottrina si ravviserebbe
secondo Weber, e non è possibile dargli torto, il primo seme di quel concetto di
Beruf la cui traduzione è a volte faticosa. Che si intenda lavoro, professione, servizio
o persino vocazione o chiamata, il discorso ha un elevato impatto con l’economia
perché; specie in un documento molto successivo all’operato storico di Calvino, la
Confessione di Westminster ( del 1647 ) effettivamente il calvinismo esprime una
potenzialità di interazione con l’economia veramente notevole.
Che si debba
operare ad majorem Dei gloriam non basta; bisogna operare in vista , si, di una
santità delle opere, ma ‘elevata a sistema’. Elevare a sistema le opere significa
armonizzare e finalizzare azione etica ed azione economica economia, non vi è
dubbio. La raccomandazione di mettere a frutto il lavoro e di non cadere nelle spese
del lusso ha un solo connotato: investire, reinvestire ed ampliare il più possibile il
raggio dell’opera. In altri termini saremmo di fronte alla prima, vera, teorizzazione
di sistema fra etica e politica.
21