Corso di etica ed economia - Università degli Studi di Udine
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Corso di etica ed economia - Università degli Studi di Udine
Corso di etica ed economia Pier Luigi D’Eredità Un lungo sguardo alle spalle di Adam Smith Per un excursus storico dei rapporti fra etica ed economia nell’Europa occidentale, ovvero quando l’etica accompagnava l’economia . Dai Greci al Rinascimento Premessa 1. E’ opinione largamente diffusa che la riflessione sull’etica e quella sull’economia abbiano intrapreso diverse strade, spesso divergenti, alla metà del settecento, con l’illuminismo scozzese di Hutcheson, Hume e Smith. Si tratterebbe della nascita dell’economia politica che, in effetti, inizia a delineare un proprio ambito disciplinare solo a partire dal 1776, data di pubblicazione della Indagine sulla ricchezza delle nazioni di Adam Smith. E’ vero che le due discipline derivano da un ceppo comune, ma dedurne che l’economia costituisca una semplice derivazione, gemmazione, della filosofia morale è sbagliato per due motivi: innanzi tutto perché non si non si terrebbe conto che per “filosofia morale” fino a Kant, dunque fino a tutto il secolo XVIII, si intendeva l’insieme delle scienze umane come distinte dalla cosiddetta filosofia naturale, vale a dire le nostre discipline scientifiche; (si consideri che il titolo del capolavoro di Newton è Philosophiae naturalis principia mahtematica…), ed in secondo luogo perché è proprio con l’illuminismo che prende corpo l’idea ed insieme la consapevolezza della separazione, della diversità e ramificazione degli ambiti del sapere e dunque di rifondazione del sapere stesso. 2. In quell’ambito, effettivamente, si scorgono i primi tentativi di sottoporre ad un’analisi approfondita il nesso che intercorre fra le motivazioni dell’agire morale e le motivazioni dell’agire economico senza farsi condizionare da un pregiudizio che a monte incanalasse la valutazione, come era stato più o meno fatto da quasi tutti i pensatori precedenti. In altri termini, per quanto sia 2 veramente facile , anche troppo facile, sostenere che anche quella di questi intellettuali fosse a sua volta un ideologia, si può onestamente attribuire a questa fase della riflessione etico-sociale, il tentativo di intraprendere un discorso su i due ambiti senza senza utilizzare ideologie religiose o invadenti apparati teoretici. Tuttavia in realtà un notevole, ed a mio avviso anche decisivo antecedente, lo si può riscontrare nella pubblicazione della Favola delle api di Bernard de Mandeville (1714) che si può a buon diritto considerare la base della legittimazione di un discorso sull’agire economico finalmente non subalterno, conseguente, rispetto alla riflessione morale. 3. I componenti di un prospero e florido alveare si comportano in modo disonesto maledicendo sempre le disonestà altrui. Ciascuno, un po’ ipocritamente, chiede agli dèi un po’ più di onestà. Ma mentre Mercurio“sorride a tanta impudenza”, Giove, indignato, decide di accontentarli, e “libera lo schiamazzante alveare dalla frode”: da presuntuosi,arroganti, avidi, invidiosi ed amanti del lusso, vengono trasformati in buoni cittadini dediti alla sobrietà e al risparmio. Le conseguenze sociali di una simile trasformazione disastrose perché nessuno può più lucrare sui bisogni dell’altro e la vita nell’alveare da caotico via vai di mille attività si trasforma in una silenzioso campo di lavoro. Scrive l’autore “mentre vanità e lusso diminuiscono,anche le vie del mare sono abbandonate.Non vi sono più mercanti,e intere fabbriche vengono chiuse.Tutte le arti e i mestieri sono negletti:l’accontentarsi del proprio stato, rovina l’industria. L’allegoria è evidente: per avere una società economicamente prospera, è veramente necessario che gli individui che la compongono siano virtuosi? La risposta è sorprendentemente negativa : i vizi privati sono la base dei pubblici benefici, e pertanto l’economia sembrerebbe poter fare a meno della morale…Per la cronaca a prima versione dell’opera di Mandeville risale a ben prima del 1714, cioè al 1704, col titolo The grumbling hive, or knaves turn'd honest (L'alveare ronzante ovvero i truffatori divenuti onesti). 4. Sul piano teorico toccherà ad Adam Smith a scoprire nell’egoismo individuale il motore dell’economia cogliendo un collegamento tra perseguimento del tornaconto personale e la realizzazione del massimo bene per la collettività. Il 3 brano più celebre della sua opera recita: “non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio e del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione del loro interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro egoismo”.L’armonizzazione dell’interesse personale e del bene pubblico è affidata nella visione di Smith al mercato. Una mano invisibile che guida gli uomini a conseguire il più propizio dei fini. Sembrerebbe che da quella data da quel 1776 in poi le azioni volte al soddisfacimento dei propri bisogni potessero funzionare , andare a buon fine non se governate da quel ‘sentimento morale’ che proprio lo stesso Adam Smith aveva invocato in un’opera precedente a questa, ma ad un meccanismo compensativo apparentemente auto regolativo, il mercato. Ma il mercato senza il lavoro non esiste. Neppure i mercantilisti più accesi poterono né prima né dopo Smith discutere che il mercato esiste se esistono merci da scambiare e se è vero che scambiare le merci è un lavoro, questo lavoro presuppone che le merci vengano prodotte. Che vengano prodotte in vista dello scambio è un discorso tanto vero quanto ovvio ma che la ricchezza derivi esclusivamente dallo scambio , questo è un tema che secoli e secoli prima di Smith era stato affrontato, sia soggettivamente (cioè attraverso la riflessione soggettiva di un pensatore) sia oggettivamente (cioè attraverso un modello sociale, economico e politico ben preciso …). Bene, ambizione di questa nostra conversazione è quella di gettare uno sguardo profondo alle spalle di Smith ed indagare sul nesso fra etica ed economia attraverso un excursus storico sulla considerazione etica del lavoro umano, vero e principale motore di ogni discorso economico. E’ appena il caso di ricordare che la Costituzione della nostra Repubblica ne fa menzione in apertura e lo utilizza, insieme alla democrazia, come concetto definitorio di comunità. 5. Tuttavia esistono altre ragioni che inducono a guardare con questa prospettiva. In effetti, come si è accennato, se cerchiamo una logica del rapporto fra etica ed economia senza un termine medio rischiamo di coniugare grandezze eterogenee. Presso gli antichi il concetto di benessere , per esempio, divergeva alquanto dall’analogo concetto medievale, così come quello medievale divergeva da quello moderno e quello moderno da quello contemporaneo e quello contemporaneo da quello postmoderno… Senza dire che probabilmente la crisi 4 economica in atto elaborerà un concetto se così possiamo dire, neomoderno, cioè successivo al postmoderno. In effetti l’unico fattore che veramente lega alla riflessione ed al valore il concetto di economia così come si è evoluto nei secoli è quello relativo al valore ed all’incidenza del lavoro. Senza bisogno di avvitarci su esegesi vetero testamentarie sul binomio lavoro-condanna, è appena il caso di ricordare che per tutto l’arco della storia pregreca e fino alla nascita della Repubblica romana, il concetto di lavoro, di operosità, di produttività, non è che rivestisse un ruolo centrale nella considerazione di un uomo. La ricerca del benessere attuata attraverso la produzione di beni, diretta o sia anche indiretta, acquisisce dignità solo con la straordinaria carica espansiva dei latini. Non prima. Occuparsi di economia, come farà egregiamente Aristotele (al quale tutto sommato dobbiamo dire grazie perchè almeno, sia pure dimensionandola, assume come attività degna la cura del benessere materiale) era qualcosa di non centrale. E’ vero che la il termine economia deriva dal greco οἴκος - oikos ("casa", inteso anche come "beni di famiglia") e νόµος - nomos - (norma, legge) e denotava, in origine, le regole per la buona amministrazione della casa. E’ anche vero che i primi a trattare l’argomento, almeno in occidente ( qui non si fa riferimento per esempio alla cultura indiana…) furono i greci, ma la loro è un’attenzione teoretica, come quasi sempre. 6. Le teorizzazioni greco-classiche di economia sono ravvisabili, ad esempio, nelle opere di Esiodo, Teogonia e Le opere e i giorni. In Teogonia, nel racconto del Mito di Pandora, tra i mali che vengono liberati dal vaso di Pandora vi è anche la scarsità. Senza la scarsità non vi sarebbero neppure lo scambio e i prezzi. In Le opere e i giorni, con riferimento alla gestione di un'impresa agricola, compare il concetto di efficienza. Oppure in Senofonte ,che in contrasto con Platone nella sua opera Economico sottolinea l'importanza dell'aspetto economico, non solo con riferimento alla gestione familiare, ma estendendo tale concetto ad entità collettive quali l'esercito e lo stato. Egli aveva inoltre capito per esempio che la suddivisione del lavoro nei campi portava ad un incremento della produttività dei terreni. Tuttavia questa attenzione non è strutturante, non è parte determinante, segno di civiltà. Citiamo due esempi importanti, Platone ed Aristotele. Platone, criticando il filosofo Protagora, assumeva un famoso detto a quest’ultimo attribuito in senso letterale: l’uomo per Protagora sarebbe misura 5 di tutte le cose e ‘cose’ viene espresso in greco antico con il termine χρηµατα , Chrèmata, cioè ricchezza materiale. La Crematistica, specialmente nella successiva elaborazione di Aristotele, era infatti considerata una disciplina della considerazione dei beni materiali; l’uomo sarebbe metro, per dirla più esattamente delle ricchezze; l’indifferenza con la quale i traduttori propongono ‘cose’ invece che ‘ricchezze’ è legittima perché non solo in Platone ma in tutto il mondo greco classico la distinzione fra cosa materiale e ricchezza non è così netta. Occuparsi in modo razionale dell’arte di arricchirsi era considerato semplicemente occuparsi di cose materiali, non di valori. Aristotele invece si occupò dello scambio dei beni ma lo fece sotto una luce filosofica, suddividendolo in "naturale" e "non naturale", dove il primo riguardava la soddisfazione dei bisogni umani primari, e quindi fisicamente limitati, mentre il secondo aveva una funzione finanziaria e quindi carattere potenzialmente illimitato. Egli, in ciò, esprimeva un giudizio etico, considerando giusto il commercio e l'uso della moneta solo ed esclusivamente se riferiti alla soddisfazione dei bisogni primari e cioè all'ambito naturale. Per la cronaca ritroveremo questa distinzione nell’inoltrato secolo XIX in Germania in un ambito culturale vagamente nostalgico di una condizione naturale ipoteticamente felice attraverso la comparazione di una pesante Geldwirtschaft economia monetaria ad una sana , sempre ipoteticamente, Naturwirtschaft, ed economia naturale, o di semplice scambio delle eccedenze. Aristotele, da par suo, reca sempre il segno greco della teoreticità perché classifica, ha come fine della sua discussione quello di trovare un posto adatto, una misura appropriata e non quello di elaborare un’analisi di come quando e perché una società può, come sistema, strutturare le esigenze economiche. Infatti perviene al concetto di economia attraverso la classificazione delle scienze in tre grandi gruppi: la scienza teoretica che studia i principi primi, scienza poietica che regola la produzione degli oggetti e la scienza pratica, da πραξιζ , pràxis, azione, che ha per oggetto i principi normativi dell'agire umano. Bene, l’economia è la 'filosofia pratica' per eccellenza ma niente di più. L’economia, cioè , per Aristotele è anzitutto uno stato abituale, un ethos, un habitus dell'animo che è parte della capacità di un uomo dì raggiungere il bene più alto, la cosiddetta felicità , ευδαιµονια eudaimonia; anche qui, come per la crematistica va sottolineata la 6 legittimità di una traduzione, con l’espressione italiana felicità, di un concetto che rigori dovremmo tradurre con una perifrasi “ la giusta condizione dell’anima” ; ebbene, l’economia concorre a questo pervenire ad un equilibrio nelle cose pratiche. Il lavorare, dunque, come attività cardinale, non è un concetto strutturante. 7. L’affermazione della cultura latina cambierà molto di tutto ciò; se per non pochi aspetti valse il motto Graecia capta ferum victorem coepit, cio’ non valse certo per la struttura economica, nella quale il lavoro la produzione e la razionalizzazione delle risorse rivestiva una importanza enorme. In questo senso, a prescindere dalla questione servile, che ovviamente non è affrontabile in questa sede se non in modo estremamente sommario, non vi è dubbio che una parte considerevole del mos maiorum , della dignitas romana, consisteva nella corretta cura dei propri interessi economici. Era così radicata nei nobili romani questa convinzione che specie in età alto repubblicana i messi del senato venivano denominati viatores perché era talmente normale che i senatori si occupassero delle proprie terre e della produzione dei beni che per raggiungerli e convocarli bisognava fare moltissima strada. Prima che , come disse Catone, i latifondi rovinassero l’Italia ( Latifundia perdirere Italiam ) un vir curava i propri interessi, si applicava alla produzione, la migliorava. Opere come il De Re Rustica di Varrone sono veri e propri trattati di economia e segni della grande attenzione che attraverso questa attività, veniva individuata nei mores, nei costumi dell’uomo libero. Occuparsi del benessere della propria azienda agricola, per esempio, era considerato moralmente molto ammirevole. Certo, si tratta di un fatto culturale molto radicato e differenziato perché non tutte le attività economiche erano ammissibili, giusta la lex claudia che praticamente imponeva alla classe dei senatori il solo esercizio economico della cura proprietaria. A differenza dal greco, che per altri aspetti sovrasta il latino quanto ad efficacia comunicativa, tuttavia il latino conserva una straordinaria attenzione alla valenza del lavoro e della produzione. La cultura economica latina, madre di quella dell’impero romano, si era sviluppata infatti progressivamente, forse lentamente, ma con una sua dinamica interna solida e coerente. La stessa lingua latina porta con sé i segni di questa componente contadina attraverso l’evoluzione lessicale; gli esempi sarebbero moltissimi, 7 alcuni dei quali sono tuttavia veramente eclatanti : delirare ( letteralmente “uscire dal solco”), “rivalis” ( “colui che prende acqua dalla tua stessa fonte “, dallo stesso rivus ), pecunia ( da pecus, ovino ), putare ( scegliere quale parte dell’albero tagliare) , Robur ( “quercia”, dunque anche “forza”), Coniux ( colui che porta lo stesso iugum, giogo dei buoi in aratura…), etc… Effetto del rispetto profondo che i latini nutrivano per l’eticità, la qualità dell’azione economica fu una straordinaria crescita degli scambi, del diritto, della giurisprudenza economica non paragonabile a niente di precedente: l’economia era entrata come sensibilità nel sentire sociale, nel lavoro, nell’etica civile. Ve ne erano ampi motivi : i prodotti venivano trasportati su lungo raggio, pur provenienti ciascuno dalle zone più diverse: olivo ( intera costa meridionale europea ) , lino (Gallia) , cotone e papiro (Egitto ), lana e sale ( Italia ) , derivati della pastorizia come latte e prodotti caseari ( Italia ). Ne’ possiamo staccare la produzione agraria da altre forme produttive come l’industria estrattiva, i temibili metalla dove i criminali espiavano dure condanne: oro ( Hispania) ,argento (Attica, Dalmazia ) stagno ancora Etruria e piombo ( Etruria, Sardinia ) marmo ( ed anche Lesbo, Paro ); per i lavorati metallurgici ancora la Gallia . E poi le grandi specializzazioni per i manufatti: le fornaci di Populonia per lame, zappe, falci, martelli, le armi di Concordia Sagittaria o il rame di Cipro ed i vasi di tutta la Grecia; ma la lista sarebbe veramente lunghissima. Il dato è che fino al II secolo i traffici furono parte integrante dell’espansione economica produttiva, perché ne costituivano allo stesso tempo sbocco e presupposto. Si trattò di imponenti quantità che, per giunta, non si limitavano ai territori dell’Impero . Dall’oriente infatti non venivano solo tessuti e coralli o oreficeria raffinata ma anche smeraldi, perle, profumi, avorio e giungevano normalmente prodotti nel bacino dell’impero perfino dalla Cina e dalle lontane Molucche. E non si trattò di un fenomeno passivo; gli antichi romani andarono a vedere di persona. Spedizioni di notevole importanza geo-economica vennero realizzate in grande stile: sotto Augusto , il comandante Gallo giunse sull’Hadramaut, con Nerone vennero raggiunte le regioni dell’Axum e del Nilo Azzurro, poi sotto Claudio, Dar es Salam, il Kenia ed il Kilimangiaro. Cornelio Balbo penetrò il Sahara, Settimio Flacco raggiunse Bilma e Giulio Materno toccò il lago Ciad. Si hanno dati archeologici poi su empori romani sulla Sprea e lungo 8 il Mar baltico , come persino nel deserto di Gobi, alle porte del Celeste Impero cinese. Gli stessi funzionari imperiali cinesi conoscevano e citavano meticolosamente l’esistenza dell’impero romano come una delle poche forme civili degne di essere se non paragonata almeno accostata a quella del loro impero. Tutto ciò fu segno non solo dell’importanza che si conferiva alla sfera della produzione ma del rispetto che si nutriva per l’economia e per le conoscenze che ne ordinavano la crescita. Lo spirito pratico dei latini passava da un habitus da un costume operoso che coniugò per secoli etica ed economia. Le comunicazioni, per esempio, vero polmone del commercio e della produzione: in età imperiale alla tradizionale posta marittima e fluviale venne affiancato in tutta la rete viaria romana, vero vanto del sistema infrastrutturale dell’età antica, il cosiddetto cursus publicus, un sistema postale che si distingueva in equestris e vehicularis; a sua volta era suddiviso in velox, celer e tardus. Un discorso analogo sul credito; per quanto diversi dalle società di credito bancario, introduzione tardo medievale, tuttavia l’antica Roma poteva contare su istituti similari. Nell’antica Roma troviamo gli antenati degli odierni banchieri ed ancora una volta si tratta di figure che esistevano nella società greca e che i latini istituzionalizzarono: si trattava di uomini che avevano reputazione di onestà e che avevano le loro botteghe accanto ai grandi porti o, più semplicemente, che nei giorni di mercato esercitavano nel Foro, i cosiddetti ‘trapezisti’, termine greco il cui etimo è ancora in uso. Ma i veri e propri banchieri romani erano i cosiddetti nummularii o argentarii . Come ha osservato F.Serrao, “ …La società moderna fondata sul capitalismo produttivo, presenta molte concezioni uguali o simili a quelle romane in quanto ( riprese dal diritto privato romano o create in modo autonomo, poco conta..) sono dirette a soddisfare esigenze uguali o simili a quelle sentite dalla società romana 8. Tuttavia il sistema latino si poggiò sempre più ampiamente sul sistema servile e tutte le considerazioni etiche sulla dignità e l’importanza della cura del proprio interesse, dell’attenzione pubblica all’economia, devono fare i conti con il peso indiscutibile dell’istituto servile che trafigge letteralmente il profilo dell’eticità. Varrone chiarisce , ad esempio, nel suo trattato di agricoltura, che lo schiavo è uno instrumentum vocale cioè uno strumento che, a differenza dell’attrezzo 9 (detto Instrumentum mutum) e dell’animale (instrumentum semivocale ), parla. Si deve invece a Catone1 la fissazione di quanto e come debba essere alimentato uno schiavo di campagna perché renda bene all’azienda agricola, in funzione dei periodi dell’anno e dei relativi lavori che è chiamato a svolgere. Insomma, siamo di fronte ad una proprietà che va considerata esclusivamente come forza lavoro da adibire in ogni incombenza , sia che richiedesse sforzi elevati o rischiosi sia sforzi prolungati e meccanici ; fatto si è che alla fine della fase repubblicana si può calcolare che gli schiavi addetti ai lavori artigianali di basso profilo costituissero il 90% degli addetti. E’ un dato di assoluta significazione economica e che non può lasciare dubbi intorno alla importanza che finì per assumere un istituto come questo non solo nella determinazione dei volumi di prodotto ma direttamente nell’ordinamento economico e sociale e morale dell’impero romano. Ne deriva che, nonostante qualche sporadica voce come quella di Seneca, nella sostanza l’eticità romana , rispetto all’economia, è come segnata, attraversata nel suo profondo, dalla esistenza di una forza lavoro come quella servile, (la più grande ‘invenzione energetica’ dell’antichità, dice Paolo Malanima ). 9. Per cogliere l’ampiezza e l’incidenza dell’istituto servile nell’economia antica, bisogna evitare di assumere la sua funzione nella società romana in modo generalizzato perché si tratterebbe di un’operazione piena di equivoci. Come dire che non si deve solo giustamente considerare l’evoluzione dell’istituto servile nei secoli – fino alla sua disintegrazione - ma soprattutto la sua natura giuridica peculiare se non atipica, nel senso che l’equivalenza schiavo-merce non può essere assunta semplicisticamente, anche, se non soprattutto quanto quest’ultimo è a sua volta produttore di beni. La considerazione del stato servile a dimensione cosale può a buon diritto essere considerata almeno da alcuni punti di vista una vera e propria “reificazione imperfetta”.Se infatti da un lato lo schiavo non era soggetto ma oggetto delle norme giuridiche, pur tuttavia egli poteva ,ad esempio, riscattarsi, stringere accordi, stipulare contratti etc..; era, cioè, in una condizione così particolare e lontana dalla nostra idea di ‘uomo libero’ , di cittadino, che facciamo fatica a ricostruirne il vero profilo colpiti al 10 contempo dalla completa assenza di alcuni diritti ed alcune garanzie e la precisa presenza di talune, non indifferenti, capacità ( abbiamo anche gli schiavi imprenditori o, come scrive A. Di Porto schiavi managers ). Quello del rapporto fra cittadino e schiavo, a Roma, a parte la sub-leggenda che vuole Romolo e remo figli di una schiava, fu una rapporto diremmo totalizzante ed integrante sfere anche non squisitamente economiche. Tutto ciò per dire che il concetto di ethos rispetto alla produzione economica e rispetto agli avanzati processi di razionalizzazione più che produttiva dovremmo dire logistica e distributiva, inglobava la differenza di concetto di lavoro fra uomo libero e servo. Differenza che progressivamente andò sfumando con l’incedere della decadenza. I problemi etici connessi al crollo del sistema imperiale ed i nuovi drammatici collegamenti che si instauravano fra etica ed economia non sfuggirono neppure i contemporanei. La volontaria autocancellaqzione dell’ethos dell’uomo libero ( perché di questo nell’età antica si trattava, che sia chiaro…) che accettava il patronatus e la commendatio. Meglio allora uomo libero affamato o schiavo mantenuto? moltissimi contadini conobbero povertà e miseria preferendo affidarsi, commendarsi , ad un potente in grado, almeno, di sfamarli. Infatti ad un certo punto apparve una soluzione lo scegliere la commendatio, l’affidarsi ad un signore capace di tenere testa al brutale fiscalismo dello Stato, attuando una scelta dolorosa formalmente ( perdita del proprio stato di uomo libero ) ma paradossalmente liberatoria. Subentrava il precarium, cioè una sorta di rapporto di concessione di lunga durata e rinnovabile in base al quale il colono otteneva dal protettore (patronus) di tenere per sé una parte del prodotto del terreno che lavorava. La commendatio poteva avere diversi livelli ed anche medi proprietari iniziarono a considerarla tutto sommato accettabile, segno di una fortissima sfiducia nelle capacità dello Stato di ricostruire un tessuto di diritto tale da giustificare la libertà, da renderla almeno appetibile. In pratica il contenzioso si aprì fra ‘protettori’, cioè i padroni e lo Stato; da un lato infatti i proprietari delle villae dall’altro il Fisco, “ vero flagello del sistema”, come dice G.Luzzatto. Chi non poteva reggere la fiscalità ‘pregava’ il potente di assumersi la difesa e la protezione sua e della sua terra, riconoscendogli alcuni diritti, preferendo così un possesso precario ( dal latino precor, ‘pregare’) al pieno diritto di proprietà. Per assimilazione, poi, il termine ‘precario’ andò ad assumere il significato di 11 ‘insicuro’, ‘non stabile’, e così è giunto ai nostri giorni assumendo perfino sorprendenti connotazioni antonomastiche. Ne conseguì che i protettori, i patrones, videro ingigantirsi il numero non più di schiavi, come ai tempi di Tiberio, ma di precarii, divenuti ormai loro homines.Era la fine di un mondo etico , di un legame antico con la produzione, con il lavoro, con l’idea romana di benessere. Scrive Salviano: “ i poveri, che sono i primi a subire il peso fiscale, sono gli ultimi ad avere qualche sollievo e se lo Stato ha talvolta inteso provvedere alle città in rovina ed ha diminuito i tributi, poi in effetti i ricchi hanno trasformato in un vantaggio per loro stessi ciò che avrebbe voluto essere un sollievo per tutti; se tutti i poveri non hanno cercato salvezza emigrando presso i barbari è soltanto perché non si possono trasportare le terre le case e le famiglie. Ciò che rimane loro da fare, allora, è il consegnarsi ai potenti per essere difesi diventando una loro proprietà. Ciò non sarebbe da giudicarsi poi tanto indegno se non fosse che quelli si fanno pagare carissima la propria protezione, mascherandola come un’opera di umanità. E’ molto miserevole vedere non la tutela ma la spoliazione dei poveri e la trasformazione di uomini liberi in servi “ (Salviano, De Gubernatione Dei, VIII, 34, la traduz.é mia). Si Capisce, che è entrata in funzione, nella considerazione etica dello stato economico, un visione diversa, certam,ente più ampia e indiscutibilmente più complesso. Si tratta del Cristianesimo, nei cui confronti è superfluo ricordare che non si deve condurre né si può un discorso di collegamento diretto con i costumi. Tuttavia la rivoluzione c’è. Ed anche di livello profondo. 10. Non bisogna cadere nell’equivoco che l’affermazione del cristianesimo abbia, ipso facto, restaurato un ethos economico contrapposto; intendere il senso evolutivo del rapporto etica-economia se vogliamo a partire dall’affermazione del Cristianesimo, la prospettiva deve mutarsi. Giova ricordare che mai la Chiesa condannò l’istituto servile in quanto condizione sociale; infatti sin da S.Paolo era apparso chiaro che le istituzioni ecclesiastiche avevano subito la preoccupazione che il cristianesimo fosse scambiato per un movimento di emancipazione materiale o addirittura sociale-materiale e dunque un qualcosa di eversivo. Ora, per quanto sia ovvio che una istituzione come la Chiesa non fosse altro che per la sua dimensione non può che conoscere al suo interno diverse figure e diversi atteggiamenti anche contemporaneamente, 12 tuttavia se nei primi secoli si era oggettivamente e infaticabilmente sforzata di inculcare nei proprietari l’idea di dignità della creatura, che schiavo e padrone sono identici in Cristo e per Cristo e che la sofferenza in questo mondo è espiazione ( “ Ognuno resti in quella vocazione in cui fu chiamato; sei stato tu chiamato essendo servo? Non affannartene ma pur potendo diventare libero preferisci servire“2) con il passare del tempo mutò lentamente atteggiamento. Infatti, man mano che Vescovi ed Abati assumevano ruoli titolari nelle attività produttive e quindi andavano prendendo atto della complessità del sistema economico e della estrema difficoltà connessa al reperimento di manodopera, il tenore della catechesi sfruttare i servi da questo punto di vista divenne meno rigido. Certo restava sempre un qualcosa da non prendersi a modello di virtù cristiana, ma tenere schiavi non fu in alcun modo considerata una prassi proibita e neppure criticata; veniva esaltata ed auspicata, si, la cosiddetta manumissio in ecclesia, ma va ricordato che gli stessi ecclesiastici si avvalsero di manodopera servile. 11. La novità più rilevante, anche qui sembra superfluo sottolinearlo, consistette nella dimensione profonda del rapporto con l’esistenza, i beni, il lavoro, il progresso, il futuro, etc… Come è stato osservato, la concezione stessa del tempo va a mutarsi ed il senso della presenza nel mondo va a riconfigurarsi; per usare una espressione tedesca, ad una Zeitauffassung ciclica, grecoromana, si sovrappone una lineare, tipicamente cristiana. Dunque l’etica e l’economia vengono viste entrambe con uno sguardo diverso. Sicuramente fra le tante novità connesse a questi nuovi rapporti, quella più significativa consistette nell’affermazione di una nuova economia del lavoro e della produttività non più legata ai patrone, all’amaro rituale della immixtio manuum con il quale un uomo libero si consegnava al patronus . Si tratta del monastero, nuova cellula morale del devastato occidente europeo. 12. Anche sulla base di importanti esperienze di monachesimo da parte di illustri dottori quali Cesario di Arles, Isidoro di Siviglia, Fruttuoso di Braga, Leandro di Toledo,etc…, in Italia, nonostante la grande crisi dovuta alla straziante guerra greco 1 Cfr.S.Paolo, Cor.7, 17-24 13 – gotica, si sviluppò una regola monacale che esorbita dalla storia della religione per trovare anche posto in quella dello sviluppo economico medievale. Si tratta della Regola di San Benedetto e della diffusione dei monasteri benedettini, ovvero quelle comunità di vita , preghiera e lavoro, che a partire dal secolo VI cominciarono ad agglomerare intorno al proprio mondo una serie di attività economiche e talvolta sociali di notevole rilievo rispetto a quanto, all’insegna della vita monacale, era stato fatto fino a quel momento specie all’interno dei domini bizantini. La comunità benedettina non presenta infatti le caratteristiche tipiche delle altre comunità monastiche, cristiano orientali; dal punto di vista dell’organizzazione, il servizio che veniva imposto ai monaci quasi ricalcava quello di una ‘milizia’ movendosi secondo il giudizio e comando altrui La ‘regola’ di S.Benedetto insiste molto sulla obbedienza e sulla disciplina quali elementi distintivi della vita monastica, associandola ad una serie di doveri individuati all’interno del concetto cristiano di solidarietà collettiva. Infatti la benedettina Schola Dominici Servitii è , si, un mondo indirizzato alla preghiera, ma non solo ad essa, o meglio non soltanto alla preghiera in senso stretto. Per lo spirito benedettino, infatti, è l’ozio il vero nemico dell’anima e pertanto applicarsi in attività di lavoro, nel senso di attività produttive, è come restare aderenti alla scelta di consacrarsi al Signore. Il lavoro manuale è parte integrante del servizio ed appare assolutamente consono al senso della accettazione della condizione umana ( conversio morum ed opus manuum ). L’opera benedettina era permeata di spirito autarchico, se non proprio nei fatti , comunque negli ideali, la qual cosa negli anni del secolo VI costituì un fatto economicamente rilevante. La Regola benedettina specificava apertamente che organizzato in modo "Per quanto sia possibile il monastero deve essere che vi sia disponibile tutto il necessario, il che vuol dire l'acqua, un mulino, un orto e delle botteghe in cui sia possibile praticare i diversi mestieri (artes diversas) all'interno del monastero." Anche quando, in seguito, la cultura benedettina dovette ammettere il ricorso a mano d’opera esterna, ciò accadde comunque secondo i principi della regola e dovette essere anch’essa guidata dall’ideale autarchico. Dunque i monaci , coerentemente con l’idea che la cura materiale fosse un atto di rispetto e piena accettazione della volontà del Creatore, erano chiamati a provvedere ai propri bisogni concreti non con la questua o l’elemosina ma con la produzione dei beni, 14 con la citata autosufficienza: che si trattasse di fare i contadini, gli artigiani, gli allevatori o quant’altro, per S. Benedetto non faceva una gran differenza purché essi lavorassero. 13 Il Monastero, invece, prima di essere un centro di vita spirituale e di operosità, fu un centro di organizzazione, costituendo una sorta di restaurazione del significato di finalizzazione collettiva del lavoro umano anche ai fini materiali, cioè di benessere. Ecco perché esso doveva partire dalla certezza del luogo (stabilitas loci), quasi per far sì che il monastero diventasse un elemento architettonicamente visibile, rassicurante, nel mare delle citate incertezze e precarietà. Tale particolare non costituisce un dettaglio perché questo costituirsi apertamente come centro di produzione, in aperta contrapposizione con il vagabondaggio e l’elemosina alla quale spesso ricorrevano i monaci ricalcando consuetudini orientali, divenne ben presto anche un fattore attrattivo ed ordinativo: dissodamenti, bonifiche, reintroduzione di tecniche agricole abbandonate, furono tutte attività che ebbero il centro di diffusione e propulsione assai più nel monastero benedettino che non nella villa padronale. Naturalmente questa condizione intercetta solo parzialmente la problematica etica connessa alla dura condizione di contadino ; tuttavia va sottolineato che , vuoi per la scarsità di popolazione, vuoi per tanti altri motivi che sarebbe improprio enucleare in questa sede, la condizione del lavoro nel cosiddetto sistema curtense , appariva non tutto sommato in linea con una ritrovata dignità e considerazione ; fu la dissoluzione di questo sistema, l’affermazione del modello franco e le successive catastrofiche seconde invasioni e relativi incastellamenti che portarono un colpo mortale a questa fiera condizione del lavoro, non più servile. 14. Si affermò il feudo, con tutte le pesanti conseguenze sull’etica del lavoro. Dal punto di vista economico, dunque, la fase che accompagnò l’assestamento del sistema vassallatico - beneficiario fu segnata riorganizzazione conservativa delle risorse e non dall’idea complessiva della certamente da uno sforzo di sviluppo propulsivo, anche perché, giova di tanto in tanto rammentarlo, qualunque modifica di un ordine costituito, dunque anche una modifica economica, porta con sé il rischio che i gestori e i dell’ordine che viene ad essere modificato, possano ritrovarsi a non poterlo più controllare, a non avere più, semplicemente, potere. Non vi è certo da stupirsene; 15 il controllo dei rischi nelle fasi propulsive costituì appannaggio di ceti enormemente più evoluti ed avvertiti di quanto non lo fosse quello del feudatario altomedievale. Questo non vuol dire che l’economia che segnò quei processi fosse una sorta di miseria organizzata e quasi codificata, anzi. E’ vero che tipiche dei secoli VIII-XI sono quelle dinamiche riguardanti la tendenziale sclerotizzazione dei rapporti sociali, anche dal punto di vista economico, ma con ciò non si deve precipitare in quella che A.Barbero ha definito “la leggenda dell’economia chiusa . 16. Certo, per quanto non chiusa, l’economia si trasformò e la considerazione etica del lavoro ne subì profondi contraccolpi. Il duro banno, la distinzione esasperante fra laboratores, ecclesiastici e bellatores non fu indolore e lentamente inizia prendere corpo l’idea che la dignitas la honestas la probitas non possono passare dal lavoro manuale, non nobilis ma ignobilis. I lavoratori erano inoltre obbligati alle citate corvées (prestazioni lavorative gratuite sulle terre signorili) e in caso di controversie relative alle terre essi dovevano ricorrere alla iustitia dominica, ossia persino accettare che a dirimerle fosse lo stesso signore proprietario. Con la signoria territoriale il signore poteva mettere a carico degli abitanti del suo territorio anche la manutenzione delle infrastrutture, dalle mura del castello alle strade ai ponti alle torri di avvistamento. Anche la giustizia penale veniva esercitata da questo piccolo monarca assoluto che giunse a incamerare anche le multe e le pene pecuniarie comminate. Ma innanzi tutto il signore riscuoteva la «taglia», ossia un versamento in denaro da parte dall’intera comunità come corrispettivo della funzione di protezione che signore garantiva.3 Fu sempre il signore che incamerò le tasse dovute teoricamente al potere pubblico, quali il fodro (originariamente l’obbligo di provvedere al sostentamento materiale dell’esercito al suo passaggio) e l’albergaria (l’obbligo di ospitalità dovuto al sovrano). Nella lista degli obblighi verso il signore oltre quelli già elencati alla fine del precedente paragrafo, si annovera anche la curadia, ossia la tassa sui mercati, il teloneo, ossia il pedaggio stradale, ed anche il ripatico ed il pontatico, rispettivamente quanto dovuto per utilizzare un porto fluviale o un ponte, senza contare le multe e le pene comminate ai condannati dalla stessa giustizia signorile. Si è rilevato talvolta infine anche il rotatico per formidabili, ma segni chiarissimi del 3 questa tassa era detta anche focaticum poiché spesso veniva applicata a ogni singolo «focolare», cioè ad ogni famiglia nucleare che si identificava con il focolare domestico.. 16 minimo spazio di azione del contadino.usare carri e perfino il polveratico per il fastidio arrecato da questi carri in transito. Certo, si trattava di imposte variabili, applicate in modo quanto mai vago e differenziato, eluse con abilità e tenacia Questa diversa eticità, però, si accompagna ad una estrema frammentazione delle funzioni economiche e solo con la riforma cluniacense, ancora una volta di ispirazione benedettina, l’occidente europeo ritrova il fascino e la forza connessa all’azione economica, anche moralmente. L’azione dei cluniacensi, sia in campo direttamente economico rilanciando in modo straordinario l’agricultura, sia in campo etico restituendo dignità al lavoro manuale va considerata centrale. 18. Nel frattempo prendeva corpo, lentamente, in silenzio, un nuovo ethos economico, quello legato agli scambi. Inizialmente le grandi fiere furono luogo di grande interesse e curiosità ma anche moralmente un luogo moralmente pericoloso. L’attrazione per le fiere fu tanta che Carlo Magno si preoccupò di redarguire i suoi servi affinché non venissero colti a “vagare per i mercati”; si trattava di un sistema fieristico ancora lontano dai fasti dei secoli XI e XII : la circolazione monetaria era quello che era, le banche non esistevano, la disponibilità di credito vaga e sempre sottoposta al pesante sospetto di rientrare nel peccato d’usura. Il lucrum iniquum non si addiceva ai cristiani d’occidente, alla gente onesta ,e la liquidità non era comunque un fattore usuale nelle attività economiche. Tuttavia occorre operare le considerazioni in modo accurato: vi fu sempre differenza fra lucrum turpe e lucrum iniquum, anche se essa venne concettualizzata secoli dopo, perché anche un bottino frutto di un raggiro può essere diviso fra ladri in modo equo (non-iniquo) ma non per questo l’oggetto della divisione non deriva da un’azione turpe; persino il meretricio era un lucrum equo in ordine al corrispettivo ma non per questo l’atto in se stesso esula dalle turpitudini. Queste non sono sottigliezze e se il mondo medievale ne fu per certi versi imprigionato, fu una bella prigione. Il tormento che poi, dopo il secolo XI, avrebbe portato ad un’azione così rigida da parte delle autorità ecclesiastiche con una serie di prese di posizione formali non era astratto ed assunse rilievo in quanto crebbe il ruolo del denaro nella vita civile: il tempo non è una proprietà esclusiva di chi offre denaro in prestito che può essere messo a disposizione del cliente a interesse; invece il rischio ( periculum ) si, e si tratta di un principio che il Medioevo, alto e 17 basso, comunque riconobbe a condizione che il rischio fosse effettivamente corso dalla persona proprietaria delle merci o del denaro soggetto al rischio stesso La questione, come oggi talvolta viene posta è semplicistica ma in effetti aveva una sua razionalità interna e persino una sua funzionalità ad un modello di vita alquanto statico e poco dipendente dall’interscambio produttivo. Il discrimine fra giusto prezzo e abuso per secoli sarebbe stato calibrato sulla base dell’antico precetto romano “alterum non ledere” che aveva a sua volta una fortissima connotazione sociale e non strettamente privatistica in quanto si riconosceva comunque una soggettività alla comunità cristiana che, naturalmente, con il tempo si sarebbe spenta o trasformata in comunità politica. Certamente con il consolidamento della produzione vi fu in effetti anche di imprese a largo raggio, cioè marittimo, specie nel versante sud dell’Europa. Era comunque così rischioso il viaggio mercantile che qualche traccia di tale impronta la si ritrova anche nella lingua, dato che per esempio era normale usare il termine procertare , cioè andare a combattere per una finalità ben precisa, per dire intraprendere un’attività mercantile di lungo raggio. Addirittura lo stesso concetto di commercio era stato associato a quello di navigazione dato che con l’espressione navigatio si intendeva anche “commercio”. “ Oltretutto “ commenta R. Fossier – “ i Vescovi benedicono le imbarcazioni in partenza e sul rovescio dei denari c’è la croce. D’altronde fra le onde e sulle strade circolano commercianti, viaggiatori, pellegrini e, sfortunatamente, guerrieri “. In questo campo la Chiesa per quanto avesse preso posizione possiamo dire sin dagli albori altomedievali, soltanto con il IX secolo espresse il divieto di prestito ad interesse, fin ad allora ristretto al clero, estendendolo anche ai laici, quando, cioè, esisteva ed era diventato almeno nelle fasce alte della società cristiana un dato di fatto. Ciò ebbe l’effetto che ogni virtuosistico aggiramento del divieto diventerà progressivamente una variante sul tema. Più avanti, nel secolo XII illustri pensatori cristiani, come Alessandro di Hales e Giovanni di Salisbury, propongono anche delle riflessioni importanti che agevoleranno l’accettazione della remunerazione degli impieghi, naturalmente entro un certo limite. Insomma, sta iniziando l’ondata di quella che Lopez ha chiamato la rivoluzione commerciale e la percezione dell’economia come disciplina, attività , nella quale leggere e comprendere la dignità etica dell’uomo torna a farsi sensibile. Le arti ed i 18 mestieri, le corporazioni esibiscono con orgoglio un ethos di corpo, quasi gelose della propria rettitudine e rispetto degli standard manifatturieri e commerciali. Insomma, l'etica e l'economia , per tutto il floruit della società comunale sono di nuovo in dialogo costruttivo. 19. Tuttavia l’elaborazione è stranamente lenta. L’Italia sforna nuovi formidabili ceti mercantili e produttivi ma sembra che a fronte di questa nuova sensibilità si faccia fatica a ridefinire il rapporto fra etica ed economia. Tutto sommato, per intendersi, lo stupore altomedievale per osservare un popolo, come quello veneziano, che si mantiene con il commercio, un po’ serpeggia in tutti secoli della rivoluzione commerciale, magari sopita. Aveva scritto con diffidenza un cronachista longobardo di Pavia nelle sue Honorantiae vengono lungo il parlando di questi strani mercanti veneziani che Po “ et illa gens non arat non seminat, non vindemiat”. L’economia è in poderoso sviluppo ma manca non solo una sistemazione etica teorica ma anche una chiarificazione. Con Tommaso d’Aquino la struttura di questo processo si solidifica ed il grande pensatore rivede, risistema ed in qualche modo riconsidera la posizione etica dell’economia. Con lui concetti come iustum pretium e come periculum sortis assumono valore riflessivo. L’attività economica si riqualifica e non solo dal problematico punto di vista finanziario. Continuarono poi i francescani, con Duns Scoto, sostenne l’idea che il giusto prezzo di un bene fosse quello del suo costo di produzione (misurato dal lavoro diretto ed indiretto necessario per produrlo). Nella tradizione cristiana la problematica dell'usura era in effetti sempre stata presente, ereditata tanto dalla cultura ebraica quanto da quella classica, assorbita e quindi rielaborata dai dottori della Chiesa . Essa fu inoltre proibita già nei canoni dei primi concili di Elvira (300), Nicea (325) e Clichy (626), e poi affrontata soprattutto da quasi tutti i grandi concili ecumenici del Medioevo che vanno dal 1123 al 1311-1312. Dai sermoni dei vari san Bernardino da Siena, san Giacomo della Marca, Bernardino da Feltre trapela in effetti una coscienza antica e comune, ma anche tipicamente "popolare" nei confronti dell’usura. In particolare, e significativamente, quest'ultimo aspetto si poteva manifestare più chiaramente quando nei discorsi dei predicatori si voleva soprattutto difendere i poveri dall'attività illecita prepotentemente, ad dell'usuraio, onta delle uomo eticamente condanne, anche spregevole. la parte più Eppure discutibile 19 dell’economia finanziaria cominciava a rivendicare un suo ruolo costruttivo, una sua dignità etica. E’ il caso di sottolineare che con l’ingresso nel Quattrocento la condanna praticamente cessa ed una sensibilità sempre più consapevole del ruolo propulsivo dell’economia finanziaria e la ridefinizione del ruolo dell’economia va prendendo corpo; nascono le moderne professioni, la manifattura definisce meglio il proprio ambito. 20. A partire dal 1441 , con la pubblicazione del trattato chiamato Libri della Famiglia di Leon Battista Alberti, gli intellettuali europei mostrano una più forte attenzione al rapporto fra etica ed economia. Il trattato riproduce un dialogo che si svolse a Padova nel 1421 al quale parteciparono quattro componenti della famiglia Alberti, perciò personaggi realmente esistiti a cui l'autore ne aggiunse un quinto, Battista, un personaggio immaginario che impersona l'Alberti da giovane. In questo dialogo si scontrano due visioni contrapposte: da una parte la nuova mentalità, borghese e moderna, dall'altra il passato, la tradizione. Nei quattro libri Leon Battista Alberti esplora pressoché tutti i nuovi pilastri del vivere sociale: il matrimonio ben equilibrato, l'educazione dei figli mirata ad una solida concretezza, la gestione economica della famiglia mirata al mantenimento ed accrescimento dei beni economici, nonché sotto questo aspetto anche l’etica dei rapporti tra le varie famiglie. È un testo importante sia per i contenuti, espressione dell'umanesimo civile, sia perché non fa mistero della importanza del benessere economico nella formazione dell’uomo ‘ideale’. In questo trattato emerge chiaramente come il nesso fra oculata gestione dei beni patrimoniali ed il binomio dignità-rispettabilità, sia una vera esigenza della società. 21 E' l'età del Rinascimento ed è ormai definitivamente spezzata la dipendenza fra economia ed etica intesa come subalternità; figlia di un'operazione dapprima indirizzata alla politica ( Machiavelli, Gucciardini, Bodin, Botero, e poi Hobbes e Grotio ) e poi di una esplicitamente indirizzata all'economia, l'attenzione etica per l'imprenditore, per il mercante, per l'organizzazione economica dello Stato ; esempio forte è il cosiddetto "Machiavelli cattolico" , il pensatore piemontese Giovanni Botero che , fra i tanti elementi di riflessioni sull’etica dello Stato, non ha alcun problema a raccomandare il possesso di colonie oltremare per dare terre e 20 pane al sopravanzo della popolazione; e, contro l’opinione dominante ai suoi tempi, vuole che le imposte regie colpiscano proporzionatamente tutte le proprietà dei privati non siano personali, ma reali, cioè non su le teste, ma su i beni, altrimenti “ tutto il carico delle taglie cadrà sopra de’ poveri, come avviene ordinariamente, perché la nobiltà si scarica sopra la plebe e le città grosse sopra i contadini "……..” l'agricoltura dev’esser favorita" e si deve "far conto della gente che s’intende di migliorare e fecondare i terreni e di quelli i cui poderi sono eccellentemente coltivati", perciò da lode ai Duelli di Milano che scavando canali irrigatori "hanno arricchito sopra ogni credenza quel felicissimo contado": è avverso alle milizie mercenarie, che "vendono a guisa di mercatanti e di bottegai di poca fede l’opera loro piena di infinita tara di mille paghe morte o truffate, o di gente a buon mercato e perciò di poco valore e mal condizionata"; ma siamo ormai nella seconda metà del secolo XVI ed un altro grande evento culturale politico e religioso ha monopolizzato il corso della storia, ovvero la Riforma; ma per i rapporti fra etica ed economia il fatto per antonomasia, parlando di Riforma , è certamente la calvinista. 21. Nell’etica protestante e lo spirito del capitalismo Weber ha sostenuto che il capitalismo moderno ha ricevuto un determinante impulso dall’etica protestante, in modo particolare, per l’appunto, calvinista . In questa dottrina si ravviserebbe secondo Weber, e non è possibile dargli torto, il primo seme di quel concetto di Beruf la cui traduzione è a volte faticosa. Che si intenda lavoro, professione, servizio o persino vocazione o chiamata, il discorso ha un elevato impatto con l’economia perché; specie in un documento molto successivo all’operato storico di Calvino, la Confessione di Westminster ( del 1647 ) effettivamente il calvinismo esprime una potenzialità di interazione con l’economia veramente notevole. Che si debba operare ad majorem Dei gloriam non basta; bisogna operare in vista , si, di una santità delle opere, ma ‘elevata a sistema’. Elevare a sistema le opere significa armonizzare e finalizzare azione etica ed azione economica economia, non vi è dubbio. La raccomandazione di mettere a frutto il lavoro e di non cadere nelle spese del lusso ha un solo connotato: investire, reinvestire ed ampliare il più possibile il raggio dell’opera. In altri termini saremmo di fronte alla prima, vera, teorizzazione di sistema fra etica e politica. 21