Tengo i segreti, sono un cuoco geloso
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Tengo i segreti, sono un cuoco geloso
CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 17 DOMENICA 29 GENNAIO 2017 ( Trentotto poeti al Tempio di Adriano Dieci ore di poesia con trentotto poeti, slam, letture e dibattiti. L’XI edizione della rassegna Ritratti di poesia, organizzata dalla Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo, si svolgerà venerdì 3 febbraio a Roma, al Tempio di Adriano in Piazza di Pietra (www.fondazioneterzopilastro.it). Aprirà la giornata l’incontro con gli studenti Caro poeta, condotto da Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Claudio Damiani, Elio Pecora e altri autori (alle 9.30), seguito dal poetry slam guidato da Lello Voce (alle 11). Dopo il saluto del presidente della Fondazione, Emmanuele F. M. Emanuele (alle 11.50), si svolgerà la cerimonia di consegna dei premi Fondazione Terzo Pilastro - Ritratti di poesia a Giuseppe Conte e al poeta coreano Ko Un. In un’edizione che riserva particolare attenzione alla natura, in programma tra gli altri gli interventi di Tiziano Fratus, Alessandro Fo, Tommaso Di Dio, Mario De Santis, Pasquale Vitagliano e Antonella Bukovaz, con la performance dell’artista e acrobata Erika Lemay. Maestri Giampiero Neri, 90 anni tra poco, ha trascorso una vita in banca scrivendo versi dopo il lavoro. Ora esce una raccolta di brevi prose poetiche. Il dolore dei ricordi, il padre ucciso dai partigiani, il rapporto con il fratello Giuseppe Pontiggia Tengo i segreti, sono un cuoco geloso di PAOLO DI STEFANO 22. Si riflette sulla sconfitta, non sulla vittoria. Si cercano i perché della sconfitta e si finisce per ritenerla inevitabile. Sulla vittoria invece si festeggia. Da Via provinciale di Giampiero Neri (Garzanti) S i entra nell’appartamento di Giampiero Neri accolti da un sorriso aperto, una stretta di mano: uno sguardo rapido e subito si intuisce che la delicatezza dei modi somiglia alla sottigliezza delle sue prose poetiche, fatte di poco, nude e precise. Niente fronzoli, si va all’essenziale, con piccole scosse sintattiche o scarti minimi di senso. Una semplicità abbagliante che inquieta, come quella dei frammenti che compongono il nuovo libro, Via provinciale (Garzanti), tra memoria, divagazioni, flânerie. La casa no, non inquieta, le pareti sono calde, cariche di quadri e incisioni tra l’astratto e l’informale. E fotografie: Neri indica il padre, eccolo là, Ugo Pontiggia, in divisa sul fronte greco. Chissà quante volte, il poeta ha dovuto spiegare la rinuncia al proprio cognome: «All’inizio, sessant’anni fa, mi sono dato il cognome Neri — dice — perché altrimenti sarei stato G. Pontiggia come mio fratello Peppo. Ma c’è anche la mia passione per le storie fiorentine tra fazioni, tant’è vero che Corso Donati è il protagonista della mia prima raccolta. Mi sono immedesimato nello sconfitto: mentre sulla vittoria si festeggia, la sconfitta porta con sé la riflessione». E riattiva anche l’inquietudine della memoria, forse. In molte zone di quest’ultimo libro, si torna ai tempi della guerra civile vissuta in provincia. Neri cita alcuni versi scritti anni fa: «Come l’acqua del fiume si muove/ contro corrente vicino alla riva/ si disperde dentro fili d’erba/ lontana dal suo centro/ la memoria fa un cammino a ritroso/ dove una materia incerta/ torna con mille frammenti». «Invecchiando — aggiunge — l’uomo torna al passato e il passato torna in maniera più vivida del tempo presente o appena trascorso: i momenti della guerra sono i più vivi, quelli dolorosi che si sono conservati meglio. La gioia ha poca vita». In altre zone del libro si torna a Neri impiegato di banca, la Galleria, i tram, piazza Missori con il monumento del generale a cavallo: «Ho cominciato nel ’47 e sono rimasto impiegato ordinario per i primi vent’anni, poi mi sono occupato di acquisizione clienti. Sono entrato in banca per necessità, senza neanche conoscere l’abc delle operazioni bancarie, ho cambiato quattro istituti e nessuno mi è sopravvissuto, almeno come tale. Per me l’impegno più importante era scrivere nelle ore dopo la banca». Durante il lavoro non si riusciva? Scoppia a ridere: «No, magari potevo pensare, ma proprio mettermi a scrivere... Il lavoro in banca può lasciare la mente libera, non ho difficoltà ad ammettere che la banca non mi è mai stata matrigna, diciamo che mi ha sopportato». Uno degli episodi più belli del libro, il 30, racconta il bancario di fronte a due fratelli che gli richiedono un prestito che appare eccessivo rispetto alle loro possibilità di rimborso. L’impiegato è perplesso. E uno dei due fratelli, il pescivendolo, escla- Il poeta Giampiero Neri (nato Giampiero Pontiggia a Erba, Como, il 7 aprile 1927) ritratto nella sua casa di Milano, in zona Porta Romana (Duilio Piaggesi/ Fotogramma) re 13, mercoledì 25 gennaio, stazione della metropolitana torinese di Porta Susa, Pablo Neruda è ai tornelli. Giosuè Carducci, sulle scale mobili. Konstantinos Kavafis e Arthur Rimbaud si rincorrono con le loro liriche monelle sulla pensilina. Quando si aprono le porte dei convogli, i viaggiatori sono circondati da Federico García Lorca, Jacques Prévert, Charles Baudelaire, Giacomo Leopardi e altri ancora. Succederà così, puntualmente alle ore dispari, in tutte le 21 stazioni fino al 15 aprile. La programmazione di radio GTT si interrompe, una musichetta le introduce e poi ecco le voci di Chiara, Marta, Rita, Silvana, Guido, Giorgio e Paolo fare timidamente capolino tra i fischi delle vetture, prendere confidenza col sibilo delle porte scorrevoli, acquisire di rima in stanza ritmo e forza a scapito delle urla dei ragazzi usciti da scuola. E poi riuscire nell’impresa, ardua, di far alzare lo sguardo dallo smartphone, destare la curiosità di impiegati altrimenti concentrati sugli screen appiccicati alle pareti e di operai edili col caschetto giallo. Quando poi i cantori, interpreti, attori — improvvisati perché nella vita si occupano di altro, alcuni di sicurezza aziendale, altri sono insegnanti o casalinghe, a parte Chiara Francese doppiatrice nei reality — di Yowras, l’associazione culturale ideatrice di Metro Poetry, compaiono dal vivo come adesso e come fanno a sorpresa, la reazione del pubblico (160 mila utenti giornalieri) è incoraggiante. «Lo facciamo nelle fabbriche, al supermercato, nelle piazze. Crediamo che la poesia — dice Nicoletta Fabrizio, l’anima di questi aedi — possa ancora espugnare luoghi che apparentemente sono andati perduti, conquistati dalla frenesia di un mondo più liquido. Ci basta che anche solo un frammento susciti curiosità». Accade, accade davvero. Quando si ode «Nessuno conosce questa piccola rosa», ragazze e ragazzi si girano di scatto. Come se Emily Dickinson fosse lì, sul metrò. E forse c’è davvero. Fabre, compulsati dal giovane Giampiero: «Una lettura divorante per me ragazzo». Viene da lì il sentimento naturalistico che percorre la sua poesia. L’altro maestro è il professor Fumagalli, filosofo comasco di detti e paradossi, autore di un’opera appena abbozzata su Giuda e sul «tradimento necessario alla vita», una figura che ricorre nei pensieri (e nei libri) di Neri. Si alza di nuovo, va a staccare dal muro la foto-ritratto di quell’uomo insonne dal naso speciale: «Per tanto tempo l’ho tenuta nel portafogli. Basta guardarlo per capire che era fuori dall’ordinario». Sono gli anni dell’Istituto magistrale Carlo Annoni, che si trovava a Erba sulla via provinciale. Un giorno il preside, romano, chiese al giovane Giampiero di parafrasare Il sabato del villaggio: il ragazzo tradusse la «donzelletta» con «la signorina» e si sentì commentare ironicamente «sì, colla pelliccia de visone...». Gran risata. «La parafrasi... — alza le spalle Neri —. Nell’ultimo anno di liceo ho avuto il piacere di leggere, nella prefazione all’antologia di letteratura francese: Et d’abord point de paraphrase!». Innanzitutto niente parafrasi! «Rispetto alla cultura francese siamo sempre dei provinciali… Io ho imparato molto da poeti come Villon e Rimbaud. Alla madre che voleva sapere che cosa volevano dire i suoi testi, Rimbaud rispose seccamente: quello che ho scritto, in quel senso e in tutti i sensi! Come dire: inutile cercare di spiegare...». Per Neri in apparenza non c’è niente da spiegare. È tutto molto chiaro, basta leggere ad apertura di pagina: «Dal finestrino del treno, fermo alla Stazione, il ragazzo guardava sua madre che parlava con un uomo…». Ma poi c’è sempre una torsione, accade qualcosa e cambi idea, c’è qualcosa che sfugge e che ti lascia come sospeso… «La semplicità della frase l’ho cercata con il Peppo, tante volte ci siamo interrogati sull’essenzialità, eravamo d’accordo sul fare a meno degli aggettivi, il sostantivo doveva bastarci... E c’era l’esempio dei classici, leggevamo Tucidide, i tragici greci, Eschilo: “Temibili in battaglia per coraggiosa risolutezza dell’animo” è una frase su cui ho molto riflettuto... A un certo punto mi sono innamorato dei filosofi orientali, Laozi, Milarepa... Sono arrivato a scrivere a trent’anni, dopo aver fatto questi incontri. Così ho lasciato la chitarra classica, che era l’ideale per la mia pigrizia, e mi sono dato alla poesia». Che invece richiede una fatica diversa? «Be’, sì». Correzioni e rifacimenti da far divertire i filologi? «Direi di sì, tante correzioni, ma sono geloso e butto via tutto. È come pretendere da un cuoco le ricette. Il cuoco è il cuoco, fa il suo mestiere, va per tentativi finché trova gli ingredienti giusti. Per me una volta che un testo è fatto, è fatto, perché dovrei tenere i documenti degli errori...0». Ride. Il libro si conclude con il momento dei saluti e delle strette di mano. Come questo incontro. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA i GIAMPIERO NERI Via provinciale GARZANTI Pagine 85, e 16 ma: «Ma si fidi, Neri, si fidi. Se non si fida dei poveri, di chi vuole fidarsi?». Il bancario gli dà fiducia e il rimborso sarà puntuale. Una pagina da brivido. «Sentendo quella frase del pescivendolo mi sono sentito come sulle rive del Giordano, avrebbe potuto dirla un profeta». Neri ricorda una frase del suo direttore, il dottor Morbioli: «Se un uomo non ha il coraggio di presentarsi armata manu al cassiere, che cosa fa? Apre un conto corrente». E postilla: «Sono contento di non avere più a che fare con i conti correnti». Anche il Peppo, suo fratello, ha lavorato in banca: dopo l’assassinio di papà Ugo, nel novembre ’43, per mano dei partigiani gappisti, la famiglia è prostrata. Senza dimenticare che nel ’55 la sorella Elena, ventenne, si suicida. «Occorre vivere ma direi che certi dolori non si superano mai. Papà era un sentimentale, un uomo di pace, da giovane aveva una bella moto Triumph con il manubrio alto e portava una cravatta all’anarchica, poi da sposato girava solo in bicicletta. Mamma era più combattiva... Con il Peppo ho avuto un rapporto molto profondo, la morte della mamma ci ha divisi per un po’, ma ci sentivamo molto spesso: a Milano non ci si vede, ci si sente. Lui leggeva le mie cose, io leggevo le sue, e ognuno seguiva i consigli dell’altro. Mi ha scritto dediche bellissime…». Si alza, va a prendere i libri e torna mostrando frasi affettuose. «Sapeva che io non avevo timori a giudicarlo e lo stesso valeva per me, mi ha insegnato molto». Un maestro più giovane di 7 anni. «Grazie a una sua tesina su Dino Campana, ho scoperto un capolavoro come i Canti orfici». Rimane l’immagine di una biblioteca paterna ben fornita, dove troneggiavano, oltre ai grandi russi, i dieci volumi dell’entomologo Jean-Henry Torino Emily Dickinson prende il metrò da Torino testo e foto di LUCA BERGAMIN O Codice cliente: 5258135